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Paziente maschio giunto alla nostra osservazione a un anno d’età per astenia, inappetenza da dieci giorni, febbre da tre giorni. Genitori Pakistani cugini di primo grado. Bambino nato in Pakistan, in Italia da due mesi; dieta con allattamento materno pressoché esclusivo. All’ingresso condizioni scadenti, distrofia, pallore, restante obiettività normale. Gli esami rivelavano gravissima anemia macrocitica, piastrinopenia, neutropenia (Hb 3,7 g/dl, MCV 101 fl, globuli bianchi 14.200/ ml, neutrofili 660/ ml, plt 55.000/ml) LDH e bilirubina aumentati (LDH 2.930 mU/ml, bilirubina 2,2 mg/dl). Date le gravi condizioni il paziente veniva ricoverato in Terapia intensiva pediatrica, sottoposto a trasfusione di emazie concentrate ed infusione di vitamina B12 ex iuvantibus (non effettuati dosaggi di cianocobalamina e acido folico pre-supplementazione). Durante la degenza venivano esclusi: - leucosi acuta o mielodisplasia: non blasti nello striscio di sangue periferico e nell’aspirato midollare (che mostrava gravissima diseritropoiesi, restante parenchima ipodisplasico); - patologie infettive: emoscopia per malaria, esame copro-parassitologico, anticorpi anti Leishmania, ricerca midollare di Leishmania, Widal-Wright, Weil-Felix: negativi; - wmolisi: test di Coombs, aptoglobina normali; - pancitopenia di Fanconi: cariotipo con DEB negativo; - sindrome di Schwachmann: funzione pancreatica normale; non alterazioni scheletriche; - malattie metaboliche: aminoacidemia, acidi organici urinari normali. Decorso clinico ed epicrisi: si assisteva ad una progressiva normalizzazione delle condizioni cliniche con supplementazione di acido folico, vitamina B 12 e con dieta adeguata all’età. Il quadro complessivo faceva pensare in primis ad una forma carenziale di B12, la cui diagnosi non era certa per mancanza dei dosaggi basali. Nei mesi successivi alla dimissione le condizioni del bimbo si mantenevano buone, i parametri ematologici erano nella norma mentre i livelli serici di B12 rimanevano ai limiti inferiori, nonostante la supplementazione per os; dopo sette mesi si assisteva a ricomparsa dell'anemia macrocitica (Hb 7,9 g/dl, MCV 98,7 fl), corretta con vitamina B12 parenterale. Si poneva quindi il sospetto di Sindrome di Imerslund-Grasbeck, patologia autosomica recessiva secondaria a mutazioni del gene Cubilina (cromosoma 10) o del gene Amnionless (cromosoma 14), che portano a difetto del recettore per il complesso vitamina B12-fattore intrinseco dell’enterocita ileale e del recettore per il riassorbimento tubulare renale di proteine. Tale condizione si associa ad infezioni respiratorie ricorrenti, scarsa crescita, proteinuria. L’analisi molecolare di CUBN confermava l’ipotesi diagnostica. Il paziente è risultato eterozigote composto per una mutazione di splicing ereditata dal padre (c. 252+1G>A) e per un’ampia delezione, ereditata dalla madre, che si estende all’incirca da 50 Kb prossimalmente fino all’esone 28. La metà 5' del gene risulta deleta; gli esatti punti di rottura non sono ancora definiti. L’analisi del cariotipo della madre ha escluso riarrangiamenti cromosomici. Il paziente è in terapia cronica con 100 mcg di cianocobalamina/ mese per via parenterale. L’emocromo è normale; persiste lieve proteinuria senza danno renale, come descritto nella sindrome.
IT101179
Date le gravi condizioni il paziente veniva ricoverato in Terapia intensiva pediatrica, sottoposto a trasfusione di emazie concentrate ed infusione di vitamina B12 ex iuvantibus (non effettuati dosaggi di cianocobalamina e acido folico pre-supplementazione).
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Paziente maschio giunto alla nostra osservazione a un anno d’età per astenia, inappetenza da dieci giorni, febbre da tre giorni. Genitori Pakistani cugini di primo grado. Bambino nato in Pakistan, in Italia da due mesi; dieta con allattamento materno pressoché esclusivo. All’ingresso condizioni scadenti, distrofia, pallore, restante obiettività normale. Gli esami rivelavano gravissima anemia macrocitica, piastrinopenia, neutropenia (Hb 3,7 g/dl, MCV 101 fl, globuli bianchi 14.200/ ml, neutrofili 660/ ml, plt 55.000/ml) LDH e bilirubina aumentati (LDH 2.930 mU/ml, bilirubina 2,2 mg/dl). Date le gravi condizioni il paziente veniva ricoverato in Terapia intensiva pediatrica, sottoposto a trasfusione di emazie concentrate ed infusione di vitamina B12 ex iuvantibus (non effettuati dosaggi di cianocobalamina e acido folico pre-supplementazione). Durante la degenza venivano esclusi: - leucosi acuta o mielodisplasia: non blasti nello striscio di sangue periferico e nell’aspirato midollare (che mostrava gravissima diseritropoiesi, restante parenchima ipodisplasico); - patologie infettive: emoscopia per malaria, esame copro-parassitologico, anticorpi anti Leishmania, ricerca midollare di Leishmania, Widal-Wright, Weil-Felix: negativi; - wmolisi: test di Coombs, aptoglobina normali; - pancitopenia di Fanconi: cariotipo con DEB negativo; - sindrome di Schwachmann: funzione pancreatica normale; non alterazioni scheletriche; - malattie metaboliche: aminoacidemia, acidi organici urinari normali. Decorso clinico ed epicrisi: si assisteva ad una progressiva normalizzazione delle condizioni cliniche con supplementazione di acido folico, vitamina B 12 e con dieta adeguata all’età. Il quadro complessivo faceva pensare in primis ad una forma carenziale di B12, la cui diagnosi non era certa per mancanza dei dosaggi basali. Nei mesi successivi alla dimissione le condizioni del bimbo si mantenevano buone, i parametri ematologici erano nella norma mentre i livelli serici di B12 rimanevano ai limiti inferiori, nonostante la supplementazione per os; dopo sette mesi si assisteva a ricomparsa dell'anemia macrocitica (Hb 7,9 g/dl, MCV 98,7 fl), corretta con vitamina B12 parenterale. Si poneva quindi il sospetto di Sindrome di Imerslund-Grasbeck, patologia autosomica recessiva secondaria a mutazioni del gene Cubilina (cromosoma 10) o del gene Amnionless (cromosoma 14), che portano a difetto del recettore per il complesso vitamina B12-fattore intrinseco dell’enterocita ileale e del recettore per il riassorbimento tubulare renale di proteine. Tale condizione si associa ad infezioni respiratorie ricorrenti, scarsa crescita, proteinuria. L’analisi molecolare di CUBN confermava l’ipotesi diagnostica. Il paziente è risultato eterozigote composto per una mutazione di splicing ereditata dal padre (c. 252+1G>A) e per un’ampia delezione, ereditata dalla madre, che si estende all’incirca da 50 Kb prossimalmente fino all’esone 28. La metà 5' del gene risulta deleta; gli esatti punti di rottura non sono ancora definiti. L’analisi del cariotipo della madre ha escluso riarrangiamenti cromosomici. Il paziente è in terapia cronica con 100 mcg di cianocobalamina/ mese per via parenterale. L’emocromo è normale; persiste lieve proteinuria senza danno renale, come descritto nella sindrome.
IT101179
Durante la degenza venivano esclusi: - leucosi acuta o mielodisplasia: non blasti nello striscio di sangue periferico e nell’aspirato midollare (che mostrava gravissima diseritropoiesi, restante parenchima ipodisplasico); - patologie infettive: emoscopia per malaria, esame copro-parassitologico, anticorpi anti Leishmania, ricerca midollare di Leishmania, Widal-Wright, Weil-Felix: negativi; - wmolisi: test di Coombs, aptoglobina normali; - pancitopenia di Fanconi: cariotipo con DEB negativo; - sindrome di Schwachmann: funzione pancreatica normale; non alterazioni scheletriche; - malattie metaboliche: aminoacidemia, acidi organici urinari normali.
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Paziente maschio giunto alla nostra osservazione a un anno d’età per astenia, inappetenza da dieci giorni, febbre da tre giorni. Genitori Pakistani cugini di primo grado. Bambino nato in Pakistan, in Italia da due mesi; dieta con allattamento materno pressoché esclusivo. All’ingresso condizioni scadenti, distrofia, pallore, restante obiettività normale. Gli esami rivelavano gravissima anemia macrocitica, piastrinopenia, neutropenia (Hb 3,7 g/dl, MCV 101 fl, globuli bianchi 14.200/ ml, neutrofili 660/ ml, plt 55.000/ml) LDH e bilirubina aumentati (LDH 2.930 mU/ml, bilirubina 2,2 mg/dl). Date le gravi condizioni il paziente veniva ricoverato in Terapia intensiva pediatrica, sottoposto a trasfusione di emazie concentrate ed infusione di vitamina B12 ex iuvantibus (non effettuati dosaggi di cianocobalamina e acido folico pre-supplementazione). Durante la degenza venivano esclusi: - leucosi acuta o mielodisplasia: non blasti nello striscio di sangue periferico e nell’aspirato midollare (che mostrava gravissima diseritropoiesi, restante parenchima ipodisplasico); - patologie infettive: emoscopia per malaria, esame copro-parassitologico, anticorpi anti Leishmania, ricerca midollare di Leishmania, Widal-Wright, Weil-Felix: negativi; - wmolisi: test di Coombs, aptoglobina normali; - pancitopenia di Fanconi: cariotipo con DEB negativo; - sindrome di Schwachmann: funzione pancreatica normale; non alterazioni scheletriche; - malattie metaboliche: aminoacidemia, acidi organici urinari normali. Decorso clinico ed epicrisi: si assisteva ad una progressiva normalizzazione delle condizioni cliniche con supplementazione di acido folico, vitamina B 12 e con dieta adeguata all’età. Il quadro complessivo faceva pensare in primis ad una forma carenziale di B12, la cui diagnosi non era certa per mancanza dei dosaggi basali. Nei mesi successivi alla dimissione le condizioni del bimbo si mantenevano buone, i parametri ematologici erano nella norma mentre i livelli serici di B12 rimanevano ai limiti inferiori, nonostante la supplementazione per os; dopo sette mesi si assisteva a ricomparsa dell'anemia macrocitica (Hb 7,9 g/dl, MCV 98,7 fl), corretta con vitamina B12 parenterale. Si poneva quindi il sospetto di Sindrome di Imerslund-Grasbeck, patologia autosomica recessiva secondaria a mutazioni del gene Cubilina (cromosoma 10) o del gene Amnionless (cromosoma 14), che portano a difetto del recettore per il complesso vitamina B12-fattore intrinseco dell’enterocita ileale e del recettore per il riassorbimento tubulare renale di proteine. Tale condizione si associa ad infezioni respiratorie ricorrenti, scarsa crescita, proteinuria. L’analisi molecolare di CUBN confermava l’ipotesi diagnostica. Il paziente è risultato eterozigote composto per una mutazione di splicing ereditata dal padre (c. 252+1G>A) e per un’ampia delezione, ereditata dalla madre, che si estende all’incirca da 50 Kb prossimalmente fino all’esone 28. La metà 5' del gene risulta deleta; gli esatti punti di rottura non sono ancora definiti. L’analisi del cariotipo della madre ha escluso riarrangiamenti cromosomici. Il paziente è in terapia cronica con 100 mcg di cianocobalamina/ mese per via parenterale. L’emocromo è normale; persiste lieve proteinuria senza danno renale, come descritto nella sindrome.
IT101179
Decorso clinico ed epicrisi: si assisteva ad una progressiva normalizzazione delle condizioni cliniche con supplementazione di acido folico, vitamina B 12 e con dieta adeguata all’età.
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IT101179
Il quadro complessivo faceva pensare in primis ad una forma carenziale di B12, la cui diagnosi non era certa per mancanza dei dosaggi basali.
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Paziente maschio giunto alla nostra osservazione a un anno d’età per astenia, inappetenza da dieci giorni, febbre da tre giorni. Genitori Pakistani cugini di primo grado. Bambino nato in Pakistan, in Italia da due mesi; dieta con allattamento materno pressoché esclusivo. All’ingresso condizioni scadenti, distrofia, pallore, restante obiettività normale. Gli esami rivelavano gravissima anemia macrocitica, piastrinopenia, neutropenia (Hb 3,7 g/dl, MCV 101 fl, globuli bianchi 14.200/ ml, neutrofili 660/ ml, plt 55.000/ml) LDH e bilirubina aumentati (LDH 2.930 mU/ml, bilirubina 2,2 mg/dl). Date le gravi condizioni il paziente veniva ricoverato in Terapia intensiva pediatrica, sottoposto a trasfusione di emazie concentrate ed infusione di vitamina B12 ex iuvantibus (non effettuati dosaggi di cianocobalamina e acido folico pre-supplementazione). Durante la degenza venivano esclusi: - leucosi acuta o mielodisplasia: non blasti nello striscio di sangue periferico e nell’aspirato midollare (che mostrava gravissima diseritropoiesi, restante parenchima ipodisplasico); - patologie infettive: emoscopia per malaria, esame copro-parassitologico, anticorpi anti Leishmania, ricerca midollare di Leishmania, Widal-Wright, Weil-Felix: negativi; - wmolisi: test di Coombs, aptoglobina normali; - pancitopenia di Fanconi: cariotipo con DEB negativo; - sindrome di Schwachmann: funzione pancreatica normale; non alterazioni scheletriche; - malattie metaboliche: aminoacidemia, acidi organici urinari normali. Decorso clinico ed epicrisi: si assisteva ad una progressiva normalizzazione delle condizioni cliniche con supplementazione di acido folico, vitamina B 12 e con dieta adeguata all’età. Il quadro complessivo faceva pensare in primis ad una forma carenziale di B12, la cui diagnosi non era certa per mancanza dei dosaggi basali. Nei mesi successivi alla dimissione le condizioni del bimbo si mantenevano buone, i parametri ematologici erano nella norma mentre i livelli serici di B12 rimanevano ai limiti inferiori, nonostante la supplementazione per os; dopo sette mesi si assisteva a ricomparsa dell'anemia macrocitica (Hb 7,9 g/dl, MCV 98,7 fl), corretta con vitamina B12 parenterale. Si poneva quindi il sospetto di Sindrome di Imerslund-Grasbeck, patologia autosomica recessiva secondaria a mutazioni del gene Cubilina (cromosoma 10) o del gene Amnionless (cromosoma 14), che portano a difetto del recettore per il complesso vitamina B12-fattore intrinseco dell’enterocita ileale e del recettore per il riassorbimento tubulare renale di proteine. Tale condizione si associa ad infezioni respiratorie ricorrenti, scarsa crescita, proteinuria. L’analisi molecolare di CUBN confermava l’ipotesi diagnostica. Il paziente è risultato eterozigote composto per una mutazione di splicing ereditata dal padre (c. 252+1G>A) e per un’ampia delezione, ereditata dalla madre, che si estende all’incirca da 50 Kb prossimalmente fino all’esone 28. La metà 5' del gene risulta deleta; gli esatti punti di rottura non sono ancora definiti. L’analisi del cariotipo della madre ha escluso riarrangiamenti cromosomici. Il paziente è in terapia cronica con 100 mcg di cianocobalamina/ mese per via parenterale. L’emocromo è normale; persiste lieve proteinuria senza danno renale, come descritto nella sindrome.
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Nei mesi successivi alla dimissione le condizioni del bimbo si mantenevano buone, i parametri ematologici erano nella norma mentre i livelli serici di B12 rimanevano ai limiti inferiori, nonostante la supplementazione per os; dopo sette mesi si assisteva a ricomparsa dell'anemia macrocitica (Hb 7,9 g/dl, MCV 98,7 fl), corretta con vitamina B12 parenterale.
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Paziente maschio giunto alla nostra osservazione a un anno d’età per astenia, inappetenza da dieci giorni, febbre da tre giorni. Genitori Pakistani cugini di primo grado. Bambino nato in Pakistan, in Italia da due mesi; dieta con allattamento materno pressoché esclusivo. All’ingresso condizioni scadenti, distrofia, pallore, restante obiettività normale. Gli esami rivelavano gravissima anemia macrocitica, piastrinopenia, neutropenia (Hb 3,7 g/dl, MCV 101 fl, globuli bianchi 14.200/ ml, neutrofili 660/ ml, plt 55.000/ml) LDH e bilirubina aumentati (LDH 2.930 mU/ml, bilirubina 2,2 mg/dl). Date le gravi condizioni il paziente veniva ricoverato in Terapia intensiva pediatrica, sottoposto a trasfusione di emazie concentrate ed infusione di vitamina B12 ex iuvantibus (non effettuati dosaggi di cianocobalamina e acido folico pre-supplementazione). Durante la degenza venivano esclusi: - leucosi acuta o mielodisplasia: non blasti nello striscio di sangue periferico e nell’aspirato midollare (che mostrava gravissima diseritropoiesi, restante parenchima ipodisplasico); - patologie infettive: emoscopia per malaria, esame copro-parassitologico, anticorpi anti Leishmania, ricerca midollare di Leishmania, Widal-Wright, Weil-Felix: negativi; - wmolisi: test di Coombs, aptoglobina normali; - pancitopenia di Fanconi: cariotipo con DEB negativo; - sindrome di Schwachmann: funzione pancreatica normale; non alterazioni scheletriche; - malattie metaboliche: aminoacidemia, acidi organici urinari normali. Decorso clinico ed epicrisi: si assisteva ad una progressiva normalizzazione delle condizioni cliniche con supplementazione di acido folico, vitamina B 12 e con dieta adeguata all’età. Il quadro complessivo faceva pensare in primis ad una forma carenziale di B12, la cui diagnosi non era certa per mancanza dei dosaggi basali. Nei mesi successivi alla dimissione le condizioni del bimbo si mantenevano buone, i parametri ematologici erano nella norma mentre i livelli serici di B12 rimanevano ai limiti inferiori, nonostante la supplementazione per os; dopo sette mesi si assisteva a ricomparsa dell'anemia macrocitica (Hb 7,9 g/dl, MCV 98,7 fl), corretta con vitamina B12 parenterale. Si poneva quindi il sospetto di Sindrome di Imerslund-Grasbeck, patologia autosomica recessiva secondaria a mutazioni del gene Cubilina (cromosoma 10) o del gene Amnionless (cromosoma 14), che portano a difetto del recettore per il complesso vitamina B12-fattore intrinseco dell’enterocita ileale e del recettore per il riassorbimento tubulare renale di proteine. Tale condizione si associa ad infezioni respiratorie ricorrenti, scarsa crescita, proteinuria. L’analisi molecolare di CUBN confermava l’ipotesi diagnostica. Il paziente è risultato eterozigote composto per una mutazione di splicing ereditata dal padre (c. 252+1G>A) e per un’ampia delezione, ereditata dalla madre, che si estende all’incirca da 50 Kb prossimalmente fino all’esone 28. La metà 5' del gene risulta deleta; gli esatti punti di rottura non sono ancora definiti. L’analisi del cariotipo della madre ha escluso riarrangiamenti cromosomici. Il paziente è in terapia cronica con 100 mcg di cianocobalamina/ mese per via parenterale. L’emocromo è normale; persiste lieve proteinuria senza danno renale, come descritto nella sindrome.
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Si poneva quindi il sospetto di Sindrome di Imerslund-Grasbeck, patologia autosomica recessiva secondaria a mutazioni del gene Cubilina (cromosoma 10) o del gene Amnionless (cromosoma 14), che portano a difetto del recettore per il complesso vitamina B12-fattore intrinseco dell’enterocita ileale e del recettore per il riassorbimento tubulare renale di proteine.
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Paziente maschio giunto alla nostra osservazione a un anno d’età per astenia, inappetenza da dieci giorni, febbre da tre giorni. Genitori Pakistani cugini di primo grado. Bambino nato in Pakistan, in Italia da due mesi; dieta con allattamento materno pressoché esclusivo. All’ingresso condizioni scadenti, distrofia, pallore, restante obiettività normale. Gli esami rivelavano gravissima anemia macrocitica, piastrinopenia, neutropenia (Hb 3,7 g/dl, MCV 101 fl, globuli bianchi 14.200/ ml, neutrofili 660/ ml, plt 55.000/ml) LDH e bilirubina aumentati (LDH 2.930 mU/ml, bilirubina 2,2 mg/dl). Date le gravi condizioni il paziente veniva ricoverato in Terapia intensiva pediatrica, sottoposto a trasfusione di emazie concentrate ed infusione di vitamina B12 ex iuvantibus (non effettuati dosaggi di cianocobalamina e acido folico pre-supplementazione). Durante la degenza venivano esclusi: - leucosi acuta o mielodisplasia: non blasti nello striscio di sangue periferico e nell’aspirato midollare (che mostrava gravissima diseritropoiesi, restante parenchima ipodisplasico); - patologie infettive: emoscopia per malaria, esame copro-parassitologico, anticorpi anti Leishmania, ricerca midollare di Leishmania, Widal-Wright, Weil-Felix: negativi; - wmolisi: test di Coombs, aptoglobina normali; - pancitopenia di Fanconi: cariotipo con DEB negativo; - sindrome di Schwachmann: funzione pancreatica normale; non alterazioni scheletriche; - malattie metaboliche: aminoacidemia, acidi organici urinari normali. Decorso clinico ed epicrisi: si assisteva ad una progressiva normalizzazione delle condizioni cliniche con supplementazione di acido folico, vitamina B 12 e con dieta adeguata all’età. Il quadro complessivo faceva pensare in primis ad una forma carenziale di B12, la cui diagnosi non era certa per mancanza dei dosaggi basali. Nei mesi successivi alla dimissione le condizioni del bimbo si mantenevano buone, i parametri ematologici erano nella norma mentre i livelli serici di B12 rimanevano ai limiti inferiori, nonostante la supplementazione per os; dopo sette mesi si assisteva a ricomparsa dell'anemia macrocitica (Hb 7,9 g/dl, MCV 98,7 fl), corretta con vitamina B12 parenterale. Si poneva quindi il sospetto di Sindrome di Imerslund-Grasbeck, patologia autosomica recessiva secondaria a mutazioni del gene Cubilina (cromosoma 10) o del gene Amnionless (cromosoma 14), che portano a difetto del recettore per il complesso vitamina B12-fattore intrinseco dell’enterocita ileale e del recettore per il riassorbimento tubulare renale di proteine. Tale condizione si associa ad infezioni respiratorie ricorrenti, scarsa crescita, proteinuria. L’analisi molecolare di CUBN confermava l’ipotesi diagnostica. Il paziente è risultato eterozigote composto per una mutazione di splicing ereditata dal padre (c. 252+1G>A) e per un’ampia delezione, ereditata dalla madre, che si estende all’incirca da 50 Kb prossimalmente fino all’esone 28. La metà 5' del gene risulta deleta; gli esatti punti di rottura non sono ancora definiti. L’analisi del cariotipo della madre ha escluso riarrangiamenti cromosomici. Il paziente è in terapia cronica con 100 mcg di cianocobalamina/ mese per via parenterale. L’emocromo è normale; persiste lieve proteinuria senza danno renale, come descritto nella sindrome.
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Tale condizione si associa ad infezioni respiratorie ricorrenti, scarsa crescita, proteinuria.
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Paziente maschio giunto alla nostra osservazione a un anno d’età per astenia, inappetenza da dieci giorni, febbre da tre giorni. Genitori Pakistani cugini di primo grado. Bambino nato in Pakistan, in Italia da due mesi; dieta con allattamento materno pressoché esclusivo. All’ingresso condizioni scadenti, distrofia, pallore, restante obiettività normale. Gli esami rivelavano gravissima anemia macrocitica, piastrinopenia, neutropenia (Hb 3,7 g/dl, MCV 101 fl, globuli bianchi 14.200/ ml, neutrofili 660/ ml, plt 55.000/ml) LDH e bilirubina aumentati (LDH 2.930 mU/ml, bilirubina 2,2 mg/dl). Date le gravi condizioni il paziente veniva ricoverato in Terapia intensiva pediatrica, sottoposto a trasfusione di emazie concentrate ed infusione di vitamina B12 ex iuvantibus (non effettuati dosaggi di cianocobalamina e acido folico pre-supplementazione). Durante la degenza venivano esclusi: - leucosi acuta o mielodisplasia: non blasti nello striscio di sangue periferico e nell’aspirato midollare (che mostrava gravissima diseritropoiesi, restante parenchima ipodisplasico); - patologie infettive: emoscopia per malaria, esame copro-parassitologico, anticorpi anti Leishmania, ricerca midollare di Leishmania, Widal-Wright, Weil-Felix: negativi; - wmolisi: test di Coombs, aptoglobina normali; - pancitopenia di Fanconi: cariotipo con DEB negativo; - sindrome di Schwachmann: funzione pancreatica normale; non alterazioni scheletriche; - malattie metaboliche: aminoacidemia, acidi organici urinari normali. Decorso clinico ed epicrisi: si assisteva ad una progressiva normalizzazione delle condizioni cliniche con supplementazione di acido folico, vitamina B 12 e con dieta adeguata all’età. Il quadro complessivo faceva pensare in primis ad una forma carenziale di B12, la cui diagnosi non era certa per mancanza dei dosaggi basali. Nei mesi successivi alla dimissione le condizioni del bimbo si mantenevano buone, i parametri ematologici erano nella norma mentre i livelli serici di B12 rimanevano ai limiti inferiori, nonostante la supplementazione per os; dopo sette mesi si assisteva a ricomparsa dell'anemia macrocitica (Hb 7,9 g/dl, MCV 98,7 fl), corretta con vitamina B12 parenterale. Si poneva quindi il sospetto di Sindrome di Imerslund-Grasbeck, patologia autosomica recessiva secondaria a mutazioni del gene Cubilina (cromosoma 10) o del gene Amnionless (cromosoma 14), che portano a difetto del recettore per il complesso vitamina B12-fattore intrinseco dell’enterocita ileale e del recettore per il riassorbimento tubulare renale di proteine. Tale condizione si associa ad infezioni respiratorie ricorrenti, scarsa crescita, proteinuria. L’analisi molecolare di CUBN confermava l’ipotesi diagnostica. Il paziente è risultato eterozigote composto per una mutazione di splicing ereditata dal padre (c. 252+1G>A) e per un’ampia delezione, ereditata dalla madre, che si estende all’incirca da 50 Kb prossimalmente fino all’esone 28. La metà 5' del gene risulta deleta; gli esatti punti di rottura non sono ancora definiti. L’analisi del cariotipo della madre ha escluso riarrangiamenti cromosomici. Il paziente è in terapia cronica con 100 mcg di cianocobalamina/ mese per via parenterale. L’emocromo è normale; persiste lieve proteinuria senza danno renale, come descritto nella sindrome.
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L’analisi molecolare di CUBN confermava l’ipotesi diagnostica.
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Il paziente è risultato eterozigote composto per una mutazione di splicing ereditata dal padre (c. 252+1G>A) e per un’ampia delezione, ereditata dalla madre, che si estende all’incirca da 50 Kb prossimalmente fino all’esone 28.
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Paziente maschio giunto alla nostra osservazione a un anno d’età per astenia, inappetenza da dieci giorni, febbre da tre giorni. Genitori Pakistani cugini di primo grado. Bambino nato in Pakistan, in Italia da due mesi; dieta con allattamento materno pressoché esclusivo. All’ingresso condizioni scadenti, distrofia, pallore, restante obiettività normale. Gli esami rivelavano gravissima anemia macrocitica, piastrinopenia, neutropenia (Hb 3,7 g/dl, MCV 101 fl, globuli bianchi 14.200/ ml, neutrofili 660/ ml, plt 55.000/ml) LDH e bilirubina aumentati (LDH 2.930 mU/ml, bilirubina 2,2 mg/dl). Date le gravi condizioni il paziente veniva ricoverato in Terapia intensiva pediatrica, sottoposto a trasfusione di emazie concentrate ed infusione di vitamina B12 ex iuvantibus (non effettuati dosaggi di cianocobalamina e acido folico pre-supplementazione). Durante la degenza venivano esclusi: - leucosi acuta o mielodisplasia: non blasti nello striscio di sangue periferico e nell’aspirato midollare (che mostrava gravissima diseritropoiesi, restante parenchima ipodisplasico); - patologie infettive: emoscopia per malaria, esame copro-parassitologico, anticorpi anti Leishmania, ricerca midollare di Leishmania, Widal-Wright, Weil-Felix: negativi; - wmolisi: test di Coombs, aptoglobina normali; - pancitopenia di Fanconi: cariotipo con DEB negativo; - sindrome di Schwachmann: funzione pancreatica normale; non alterazioni scheletriche; - malattie metaboliche: aminoacidemia, acidi organici urinari normali. Decorso clinico ed epicrisi: si assisteva ad una progressiva normalizzazione delle condizioni cliniche con supplementazione di acido folico, vitamina B 12 e con dieta adeguata all’età. Il quadro complessivo faceva pensare in primis ad una forma carenziale di B12, la cui diagnosi non era certa per mancanza dei dosaggi basali. Nei mesi successivi alla dimissione le condizioni del bimbo si mantenevano buone, i parametri ematologici erano nella norma mentre i livelli serici di B12 rimanevano ai limiti inferiori, nonostante la supplementazione per os; dopo sette mesi si assisteva a ricomparsa dell'anemia macrocitica (Hb 7,9 g/dl, MCV 98,7 fl), corretta con vitamina B12 parenterale. Si poneva quindi il sospetto di Sindrome di Imerslund-Grasbeck, patologia autosomica recessiva secondaria a mutazioni del gene Cubilina (cromosoma 10) o del gene Amnionless (cromosoma 14), che portano a difetto del recettore per il complesso vitamina B12-fattore intrinseco dell’enterocita ileale e del recettore per il riassorbimento tubulare renale di proteine. Tale condizione si associa ad infezioni respiratorie ricorrenti, scarsa crescita, proteinuria. L’analisi molecolare di CUBN confermava l’ipotesi diagnostica. Il paziente è risultato eterozigote composto per una mutazione di splicing ereditata dal padre (c. 252+1G>A) e per un’ampia delezione, ereditata dalla madre, che si estende all’incirca da 50 Kb prossimalmente fino all’esone 28. La metà 5' del gene risulta deleta; gli esatti punti di rottura non sono ancora definiti. L’analisi del cariotipo della madre ha escluso riarrangiamenti cromosomici. Il paziente è in terapia cronica con 100 mcg di cianocobalamina/ mese per via parenterale. L’emocromo è normale; persiste lieve proteinuria senza danno renale, come descritto nella sindrome.
IT101179
La metà 5' del gene risulta deleta; gli esatti punti di rottura non sono ancora definiti.
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Paziente maschio giunto alla nostra osservazione a un anno d’età per astenia, inappetenza da dieci giorni, febbre da tre giorni. Genitori Pakistani cugini di primo grado. Bambino nato in Pakistan, in Italia da due mesi; dieta con allattamento materno pressoché esclusivo. All’ingresso condizioni scadenti, distrofia, pallore, restante obiettività normale. Gli esami rivelavano gravissima anemia macrocitica, piastrinopenia, neutropenia (Hb 3,7 g/dl, MCV 101 fl, globuli bianchi 14.200/ ml, neutrofili 660/ ml, plt 55.000/ml) LDH e bilirubina aumentati (LDH 2.930 mU/ml, bilirubina 2,2 mg/dl). Date le gravi condizioni il paziente veniva ricoverato in Terapia intensiva pediatrica, sottoposto a trasfusione di emazie concentrate ed infusione di vitamina B12 ex iuvantibus (non effettuati dosaggi di cianocobalamina e acido folico pre-supplementazione). Durante la degenza venivano esclusi: - leucosi acuta o mielodisplasia: non blasti nello striscio di sangue periferico e nell’aspirato midollare (che mostrava gravissima diseritropoiesi, restante parenchima ipodisplasico); - patologie infettive: emoscopia per malaria, esame copro-parassitologico, anticorpi anti Leishmania, ricerca midollare di Leishmania, Widal-Wright, Weil-Felix: negativi; - wmolisi: test di Coombs, aptoglobina normali; - pancitopenia di Fanconi: cariotipo con DEB negativo; - sindrome di Schwachmann: funzione pancreatica normale; non alterazioni scheletriche; - malattie metaboliche: aminoacidemia, acidi organici urinari normali. Decorso clinico ed epicrisi: si assisteva ad una progressiva normalizzazione delle condizioni cliniche con supplementazione di acido folico, vitamina B 12 e con dieta adeguata all’età. Il quadro complessivo faceva pensare in primis ad una forma carenziale di B12, la cui diagnosi non era certa per mancanza dei dosaggi basali. Nei mesi successivi alla dimissione le condizioni del bimbo si mantenevano buone, i parametri ematologici erano nella norma mentre i livelli serici di B12 rimanevano ai limiti inferiori, nonostante la supplementazione per os; dopo sette mesi si assisteva a ricomparsa dell'anemia macrocitica (Hb 7,9 g/dl, MCV 98,7 fl), corretta con vitamina B12 parenterale. Si poneva quindi il sospetto di Sindrome di Imerslund-Grasbeck, patologia autosomica recessiva secondaria a mutazioni del gene Cubilina (cromosoma 10) o del gene Amnionless (cromosoma 14), che portano a difetto del recettore per il complesso vitamina B12-fattore intrinseco dell’enterocita ileale e del recettore per il riassorbimento tubulare renale di proteine. Tale condizione si associa ad infezioni respiratorie ricorrenti, scarsa crescita, proteinuria. L’analisi molecolare di CUBN confermava l’ipotesi diagnostica. Il paziente è risultato eterozigote composto per una mutazione di splicing ereditata dal padre (c. 252+1G>A) e per un’ampia delezione, ereditata dalla madre, che si estende all’incirca da 50 Kb prossimalmente fino all’esone 28. La metà 5' del gene risulta deleta; gli esatti punti di rottura non sono ancora definiti. L’analisi del cariotipo della madre ha escluso riarrangiamenti cromosomici. Il paziente è in terapia cronica con 100 mcg di cianocobalamina/ mese per via parenterale. L’emocromo è normale; persiste lieve proteinuria senza danno renale, come descritto nella sindrome.
IT101179
L’analisi del cariotipo della madre ha escluso riarrangiamenti cromosomici.
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Paziente maschio giunto alla nostra osservazione a un anno d’età per astenia, inappetenza da dieci giorni, febbre da tre giorni. Genitori Pakistani cugini di primo grado. Bambino nato in Pakistan, in Italia da due mesi; dieta con allattamento materno pressoché esclusivo. All’ingresso condizioni scadenti, distrofia, pallore, restante obiettività normale. Gli esami rivelavano gravissima anemia macrocitica, piastrinopenia, neutropenia (Hb 3,7 g/dl, MCV 101 fl, globuli bianchi 14.200/ ml, neutrofili 660/ ml, plt 55.000/ml) LDH e bilirubina aumentati (LDH 2.930 mU/ml, bilirubina 2,2 mg/dl). Date le gravi condizioni il paziente veniva ricoverato in Terapia intensiva pediatrica, sottoposto a trasfusione di emazie concentrate ed infusione di vitamina B12 ex iuvantibus (non effettuati dosaggi di cianocobalamina e acido folico pre-supplementazione). Durante la degenza venivano esclusi: - leucosi acuta o mielodisplasia: non blasti nello striscio di sangue periferico e nell’aspirato midollare (che mostrava gravissima diseritropoiesi, restante parenchima ipodisplasico); - patologie infettive: emoscopia per malaria, esame copro-parassitologico, anticorpi anti Leishmania, ricerca midollare di Leishmania, Widal-Wright, Weil-Felix: negativi; - wmolisi: test di Coombs, aptoglobina normali; - pancitopenia di Fanconi: cariotipo con DEB negativo; - sindrome di Schwachmann: funzione pancreatica normale; non alterazioni scheletriche; - malattie metaboliche: aminoacidemia, acidi organici urinari normali. Decorso clinico ed epicrisi: si assisteva ad una progressiva normalizzazione delle condizioni cliniche con supplementazione di acido folico, vitamina B 12 e con dieta adeguata all’età. Il quadro complessivo faceva pensare in primis ad una forma carenziale di B12, la cui diagnosi non era certa per mancanza dei dosaggi basali. Nei mesi successivi alla dimissione le condizioni del bimbo si mantenevano buone, i parametri ematologici erano nella norma mentre i livelli serici di B12 rimanevano ai limiti inferiori, nonostante la supplementazione per os; dopo sette mesi si assisteva a ricomparsa dell'anemia macrocitica (Hb 7,9 g/dl, MCV 98,7 fl), corretta con vitamina B12 parenterale. Si poneva quindi il sospetto di Sindrome di Imerslund-Grasbeck, patologia autosomica recessiva secondaria a mutazioni del gene Cubilina (cromosoma 10) o del gene Amnionless (cromosoma 14), che portano a difetto del recettore per il complesso vitamina B12-fattore intrinseco dell’enterocita ileale e del recettore per il riassorbimento tubulare renale di proteine. Tale condizione si associa ad infezioni respiratorie ricorrenti, scarsa crescita, proteinuria. L’analisi molecolare di CUBN confermava l’ipotesi diagnostica. Il paziente è risultato eterozigote composto per una mutazione di splicing ereditata dal padre (c. 252+1G>A) e per un’ampia delezione, ereditata dalla madre, che si estende all’incirca da 50 Kb prossimalmente fino all’esone 28. La metà 5' del gene risulta deleta; gli esatti punti di rottura non sono ancora definiti. L’analisi del cariotipo della madre ha escluso riarrangiamenti cromosomici. Il paziente è in terapia cronica con 100 mcg di cianocobalamina/ mese per via parenterale. L’emocromo è normale; persiste lieve proteinuria senza danno renale, come descritto nella sindrome.
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Il paziente è in terapia cronica con 100 mcg di cianocobalamina/ mese per via parenterale.
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Paziente maschio giunto alla nostra osservazione a un anno d’età per astenia, inappetenza da dieci giorni, febbre da tre giorni. Genitori Pakistani cugini di primo grado. Bambino nato in Pakistan, in Italia da due mesi; dieta con allattamento materno pressoché esclusivo. All’ingresso condizioni scadenti, distrofia, pallore, restante obiettività normale. Gli esami rivelavano gravissima anemia macrocitica, piastrinopenia, neutropenia (Hb 3,7 g/dl, MCV 101 fl, globuli bianchi 14.200/ ml, neutrofili 660/ ml, plt 55.000/ml) LDH e bilirubina aumentati (LDH 2.930 mU/ml, bilirubina 2,2 mg/dl). Date le gravi condizioni il paziente veniva ricoverato in Terapia intensiva pediatrica, sottoposto a trasfusione di emazie concentrate ed infusione di vitamina B12 ex iuvantibus (non effettuati dosaggi di cianocobalamina e acido folico pre-supplementazione). Durante la degenza venivano esclusi: - leucosi acuta o mielodisplasia: non blasti nello striscio di sangue periferico e nell’aspirato midollare (che mostrava gravissima diseritropoiesi, restante parenchima ipodisplasico); - patologie infettive: emoscopia per malaria, esame copro-parassitologico, anticorpi anti Leishmania, ricerca midollare di Leishmania, Widal-Wright, Weil-Felix: negativi; - wmolisi: test di Coombs, aptoglobina normali; - pancitopenia di Fanconi: cariotipo con DEB negativo; - sindrome di Schwachmann: funzione pancreatica normale; non alterazioni scheletriche; - malattie metaboliche: aminoacidemia, acidi organici urinari normali. Decorso clinico ed epicrisi: si assisteva ad una progressiva normalizzazione delle condizioni cliniche con supplementazione di acido folico, vitamina B 12 e con dieta adeguata all’età. Il quadro complessivo faceva pensare in primis ad una forma carenziale di B12, la cui diagnosi non era certa per mancanza dei dosaggi basali. Nei mesi successivi alla dimissione le condizioni del bimbo si mantenevano buone, i parametri ematologici erano nella norma mentre i livelli serici di B12 rimanevano ai limiti inferiori, nonostante la supplementazione per os; dopo sette mesi si assisteva a ricomparsa dell'anemia macrocitica (Hb 7,9 g/dl, MCV 98,7 fl), corretta con vitamina B12 parenterale. Si poneva quindi il sospetto di Sindrome di Imerslund-Grasbeck, patologia autosomica recessiva secondaria a mutazioni del gene Cubilina (cromosoma 10) o del gene Amnionless (cromosoma 14), che portano a difetto del recettore per il complesso vitamina B12-fattore intrinseco dell’enterocita ileale e del recettore per il riassorbimento tubulare renale di proteine. Tale condizione si associa ad infezioni respiratorie ricorrenti, scarsa crescita, proteinuria. L’analisi molecolare di CUBN confermava l’ipotesi diagnostica. Il paziente è risultato eterozigote composto per una mutazione di splicing ereditata dal padre (c. 252+1G>A) e per un’ampia delezione, ereditata dalla madre, che si estende all’incirca da 50 Kb prossimalmente fino all’esone 28. La metà 5' del gene risulta deleta; gli esatti punti di rottura non sono ancora definiti. L’analisi del cariotipo della madre ha escluso riarrangiamenti cromosomici. Il paziente è in terapia cronica con 100 mcg di cianocobalamina/ mese per via parenterale. L’emocromo è normale; persiste lieve proteinuria senza danno renale, come descritto nella sindrome.
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L’emocromo è normale; persiste lieve proteinuria senza danno renale, come descritto nella sindrome.
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IT101179
Uomo 51 aa con cirrosi HCV Child Pough A, TURV per Ca uroteliale in remissione, ricoverato per intensi dolori inguinali bilaterali irradiati agli arti inferiori, insorti da poche ore; febbre la sera prima.
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Uomo 51 aa con cirrosi HCV Child Pough A, TURV per Ca uroteliale in remissione, ricoverato per intensi dolori inguinali bilaterali irradiati agli arti inferiori, insorti da poche ore; febbre la sera prima. All’ingresso apiretico, parametri nella norma, PCR 20 mg/l, leucociti 5.410/mmc, Hb 11,7 g/dl, piastrine 53.000/mmc (come i precedenti), il resto nella norma. EO non lesioni cutanee, né edemi, non iperemia cutanea arti inferiori, non ascite. TC: ipertrofia muscoli ileo-psoas, medio gluteo sx e iperdensità sottocutanea nella regione glutea sx, addensamento polmonare al lobo inferiore sx. RM: edema interstiziale ai muscoli ileo-psoas, otturatori, adduttori, glutei, vasto laterale, retto femorale, tensore della fascia lata bilaterale, edema del tessuto adiposo dello scavo pelvico, non raccolte. Es. 2 ore dopo: PCR 25,6 mg/l, 6.050 gb/mmc, Hb 12,6 g/dl, piastrine stabili, CPK 113.000 U/l, mioglobina 17.204 ug/l, AST 1810 U/l. Dopo emocolture in apiressia, iniziava Vancomicina e Meropenem ev. Per rapido aggravamento trasferito in UTI ma decesso dopo 6 ore (12 ore dal ricovero). Emocolture: Streptococcus Zooepidemicus sensibile a Penicillina, Levofloxacina e Vancomicina, resistente a Clindamicina. Il paziente lavorava in un maneggio, spesso a contatto con deiezioni. Peculiarità del caso: epidemiologia (zoonosi, trasmissione aerea?), clinica (rapida evoluzione a esito infausto con imponente rabdomiolisi, in assenza di evidente stato settico, solo con lieve flogosi) e resistenza dello Streptococco a Clindamicina, farmaco indicato come I scelta nelle gravi infezioni.
IT100460
All’ingresso apiretico, parametri nella norma, PCR 20 mg/l, leucociti 5.410/mmc, Hb 11,7 g/dl, piastrine 53.000/mmc (come i precedenti), il resto nella norma.
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Uomo 51 aa con cirrosi HCV Child Pough A, TURV per Ca uroteliale in remissione, ricoverato per intensi dolori inguinali bilaterali irradiati agli arti inferiori, insorti da poche ore; febbre la sera prima. All’ingresso apiretico, parametri nella norma, PCR 20 mg/l, leucociti 5.410/mmc, Hb 11,7 g/dl, piastrine 53.000/mmc (come i precedenti), il resto nella norma. EO non lesioni cutanee, né edemi, non iperemia cutanea arti inferiori, non ascite. TC: ipertrofia muscoli ileo-psoas, medio gluteo sx e iperdensità sottocutanea nella regione glutea sx, addensamento polmonare al lobo inferiore sx. RM: edema interstiziale ai muscoli ileo-psoas, otturatori, adduttori, glutei, vasto laterale, retto femorale, tensore della fascia lata bilaterale, edema del tessuto adiposo dello scavo pelvico, non raccolte. Es. 2 ore dopo: PCR 25,6 mg/l, 6.050 gb/mmc, Hb 12,6 g/dl, piastrine stabili, CPK 113.000 U/l, mioglobina 17.204 ug/l, AST 1810 U/l. Dopo emocolture in apiressia, iniziava Vancomicina e Meropenem ev. Per rapido aggravamento trasferito in UTI ma decesso dopo 6 ore (12 ore dal ricovero). Emocolture: Streptococcus Zooepidemicus sensibile a Penicillina, Levofloxacina e Vancomicina, resistente a Clindamicina. Il paziente lavorava in un maneggio, spesso a contatto con deiezioni. Peculiarità del caso: epidemiologia (zoonosi, trasmissione aerea?), clinica (rapida evoluzione a esito infausto con imponente rabdomiolisi, in assenza di evidente stato settico, solo con lieve flogosi) e resistenza dello Streptococco a Clindamicina, farmaco indicato come I scelta nelle gravi infezioni.
IT100460
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Uomo 51 aa con cirrosi HCV Child Pough A, TURV per Ca uroteliale in remissione, ricoverato per intensi dolori inguinali bilaterali irradiati agli arti inferiori, insorti da poche ore; febbre la sera prima. All’ingresso apiretico, parametri nella norma, PCR 20 mg/l, leucociti 5.410/mmc, Hb 11,7 g/dl, piastrine 53.000/mmc (come i precedenti), il resto nella norma. EO non lesioni cutanee, né edemi, non iperemia cutanea arti inferiori, non ascite. TC: ipertrofia muscoli ileo-psoas, medio gluteo sx e iperdensità sottocutanea nella regione glutea sx, addensamento polmonare al lobo inferiore sx. RM: edema interstiziale ai muscoli ileo-psoas, otturatori, adduttori, glutei, vasto laterale, retto femorale, tensore della fascia lata bilaterale, edema del tessuto adiposo dello scavo pelvico, non raccolte. Es. 2 ore dopo: PCR 25,6 mg/l, 6.050 gb/mmc, Hb 12,6 g/dl, piastrine stabili, CPK 113.000 U/l, mioglobina 17.204 ug/l, AST 1810 U/l. Dopo emocolture in apiressia, iniziava Vancomicina e Meropenem ev. Per rapido aggravamento trasferito in UTI ma decesso dopo 6 ore (12 ore dal ricovero). Emocolture: Streptococcus Zooepidemicus sensibile a Penicillina, Levofloxacina e Vancomicina, resistente a Clindamicina. Il paziente lavorava in un maneggio, spesso a contatto con deiezioni. Peculiarità del caso: epidemiologia (zoonosi, trasmissione aerea?), clinica (rapida evoluzione a esito infausto con imponente rabdomiolisi, in assenza di evidente stato settico, solo con lieve flogosi) e resistenza dello Streptococco a Clindamicina, farmaco indicato come I scelta nelle gravi infezioni.
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Es. 2 ore dopo: PCR 25,6 mg/l, 6.050 gb/mmc, Hb 12,6 g/dl, piastrine stabili, CPK 113.000 U/l, mioglobina 17.204 ug/l, AST 1810 U/l.
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Emocolture: Streptococcus Zooepidemicus sensibile a Penicillina, Levofloxacina e Vancomicina, resistente a Clindamicina.
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Uomo 51 aa con cirrosi HCV Child Pough A, TURV per Ca uroteliale in remissione, ricoverato per intensi dolori inguinali bilaterali irradiati agli arti inferiori, insorti da poche ore; febbre la sera prima. All’ingresso apiretico, parametri nella norma, PCR 20 mg/l, leucociti 5.410/mmc, Hb 11,7 g/dl, piastrine 53.000/mmc (come i precedenti), il resto nella norma. EO non lesioni cutanee, né edemi, non iperemia cutanea arti inferiori, non ascite. TC: ipertrofia muscoli ileo-psoas, medio gluteo sx e iperdensità sottocutanea nella regione glutea sx, addensamento polmonare al lobo inferiore sx. RM: edema interstiziale ai muscoli ileo-psoas, otturatori, adduttori, glutei, vasto laterale, retto femorale, tensore della fascia lata bilaterale, edema del tessuto adiposo dello scavo pelvico, non raccolte. Es. 2 ore dopo: PCR 25,6 mg/l, 6.050 gb/mmc, Hb 12,6 g/dl, piastrine stabili, CPK 113.000 U/l, mioglobina 17.204 ug/l, AST 1810 U/l. Dopo emocolture in apiressia, iniziava Vancomicina e Meropenem ev. Per rapido aggravamento trasferito in UTI ma decesso dopo 6 ore (12 ore dal ricovero). Emocolture: Streptococcus Zooepidemicus sensibile a Penicillina, Levofloxacina e Vancomicina, resistente a Clindamicina. Il paziente lavorava in un maneggio, spesso a contatto con deiezioni. Peculiarità del caso: epidemiologia (zoonosi, trasmissione aerea?), clinica (rapida evoluzione a esito infausto con imponente rabdomiolisi, in assenza di evidente stato settico, solo con lieve flogosi) e resistenza dello Streptococco a Clindamicina, farmaco indicato come I scelta nelle gravi infezioni.
IT100460
Peculiarità del caso: epidemiologia (zoonosi, trasmissione aerea?)
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Uomo 51 aa con cirrosi HCV Child Pough A, TURV per Ca uroteliale in remissione, ricoverato per intensi dolori inguinali bilaterali irradiati agli arti inferiori, insorti da poche ore; febbre la sera prima. All’ingresso apiretico, parametri nella norma, PCR 20 mg/l, leucociti 5.410/mmc, Hb 11,7 g/dl, piastrine 53.000/mmc (come i precedenti), il resto nella norma. EO non lesioni cutanee, né edemi, non iperemia cutanea arti inferiori, non ascite. TC: ipertrofia muscoli ileo-psoas, medio gluteo sx e iperdensità sottocutanea nella regione glutea sx, addensamento polmonare al lobo inferiore sx. RM: edema interstiziale ai muscoli ileo-psoas, otturatori, adduttori, glutei, vasto laterale, retto femorale, tensore della fascia lata bilaterale, edema del tessuto adiposo dello scavo pelvico, non raccolte. Es. 2 ore dopo: PCR 25,6 mg/l, 6.050 gb/mmc, Hb 12,6 g/dl, piastrine stabili, CPK 113.000 U/l, mioglobina 17.204 ug/l, AST 1810 U/l. Dopo emocolture in apiressia, iniziava Vancomicina e Meropenem ev. Per rapido aggravamento trasferito in UTI ma decesso dopo 6 ore (12 ore dal ricovero). Emocolture: Streptococcus Zooepidemicus sensibile a Penicillina, Levofloxacina e Vancomicina, resistente a Clindamicina. Il paziente lavorava in un maneggio, spesso a contatto con deiezioni. Peculiarità del caso: epidemiologia (zoonosi, trasmissione aerea?), clinica (rapida evoluzione a esito infausto con imponente rabdomiolisi, in assenza di evidente stato settico, solo con lieve flogosi) e resistenza dello Streptococco a Clindamicina, farmaco indicato come I scelta nelle gravi infezioni.
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, clinica (rapida evoluzione a esito infausto con imponente rabdomiolisi, in assenza di evidente stato settico, solo con lieve flogosi) e resistenza dello Streptococco a Clindamicina, farmaco indicato come I scelta nelle gravi infezioni.
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IT100460
K.S., maschio, nasce alla 40° settimana di gestazione da parto eutocico con peso neonatale di 4.290 gr.
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K.S., maschio, nasce alla 40° settimana di gestazione da parto eutocico con peso neonatale di 4.290 gr. L’esame obiettivo alla nascita mostra una modesta cianosi traumatica al volto, un tumore da parto a livello del vertice ed importante edema con fovea a livello di entrambi i piedi. La madre 39enne proveniente dal Marocco, terzigravida, riferisce due gravidanze precedenti decorse fisiologicamente e conclusesi con parti spontanei di neonati fisiologici di circa 3 Kg di peso. I parametri vitali del neonato risultano nella norma, il bambino si attacca bene al seno, diuresi fisiologica, esami ematochimici, esame urine ed eco renale eseguiti nelle prime 24 ore di vita risultano nella norma. Un’anamnesi familiare più approfondita durante i giorni seguenti rivela la presenza di un edema a livello dei piedi e pretibiale nella madre; un edema del dorso delle mani della nonna materna e un edema delle dita dei piedi e della parte distale degli stessi presente dalla nascita e regredito a circa 2 mesi di vita della sorellina di 6 anni. Nel fondato sospetto clinico di sindrome di nonne-Milroy viene eseguito prelievo per la ricerca di mutazioni nel gene VegFr3 al lattante, al fratellino, alla sorellina ed a entrambi i genitori da effettuarsi presso il laboratorio di diagnostica molecolare del St. george's hospital di londra. La crescita del bambino prosegue nei mesi seguenti senza nessuna particolare problematica di rilievo anche se persiste praticamente immutato l’edema a livello dei piedi. Ora il bambino ha 24 mesi, cammina, corre, gode di buona salute. La ricerca della mutazione nel gene VegFr3 ha evidenziato una delezione della tripletta tCt in posizione 3323-3325 nell’esone 24 in eterozigosi e conseguente perdita di una fenilalanina in posizione 1108 nella proteina matura. La stessa mutazione in eterozigosi è stata dimostrata nella sorella e nella madre. Non è stato possibile studiare la nonna materna (riferita affetta da edema agli arti superiori) perché non raggiungibile in Marocco.
IT101137
L’esame obiettivo alla nascita mostra una modesta cianosi traumatica al volto, un tumore da parto a livello del vertice ed importante edema con fovea a livello di entrambi i piedi.
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K.S., maschio, nasce alla 40° settimana di gestazione da parto eutocico con peso neonatale di 4.290 gr. L’esame obiettivo alla nascita mostra una modesta cianosi traumatica al volto, un tumore da parto a livello del vertice ed importante edema con fovea a livello di entrambi i piedi. La madre 39enne proveniente dal Marocco, terzigravida, riferisce due gravidanze precedenti decorse fisiologicamente e conclusesi con parti spontanei di neonati fisiologici di circa 3 Kg di peso. I parametri vitali del neonato risultano nella norma, il bambino si attacca bene al seno, diuresi fisiologica, esami ematochimici, esame urine ed eco renale eseguiti nelle prime 24 ore di vita risultano nella norma. Un’anamnesi familiare più approfondita durante i giorni seguenti rivela la presenza di un edema a livello dei piedi e pretibiale nella madre; un edema del dorso delle mani della nonna materna e un edema delle dita dei piedi e della parte distale degli stessi presente dalla nascita e regredito a circa 2 mesi di vita della sorellina di 6 anni. Nel fondato sospetto clinico di sindrome di nonne-Milroy viene eseguito prelievo per la ricerca di mutazioni nel gene VegFr3 al lattante, al fratellino, alla sorellina ed a entrambi i genitori da effettuarsi presso il laboratorio di diagnostica molecolare del St. george's hospital di londra. La crescita del bambino prosegue nei mesi seguenti senza nessuna particolare problematica di rilievo anche se persiste praticamente immutato l’edema a livello dei piedi. Ora il bambino ha 24 mesi, cammina, corre, gode di buona salute. La ricerca della mutazione nel gene VegFr3 ha evidenziato una delezione della tripletta tCt in posizione 3323-3325 nell’esone 24 in eterozigosi e conseguente perdita di una fenilalanina in posizione 1108 nella proteina matura. La stessa mutazione in eterozigosi è stata dimostrata nella sorella e nella madre. Non è stato possibile studiare la nonna materna (riferita affetta da edema agli arti superiori) perché non raggiungibile in Marocco.
IT101137
La madre 39enne proveniente dal Marocco, terzigravida, riferisce due gravidanze precedenti decorse fisiologicamente e conclusesi con parti spontanei di neonati fisiologici di circa 3 Kg di peso.
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K.S., maschio, nasce alla 40° settimana di gestazione da parto eutocico con peso neonatale di 4.290 gr. L’esame obiettivo alla nascita mostra una modesta cianosi traumatica al volto, un tumore da parto a livello del vertice ed importante edema con fovea a livello di entrambi i piedi. La madre 39enne proveniente dal Marocco, terzigravida, riferisce due gravidanze precedenti decorse fisiologicamente e conclusesi con parti spontanei di neonati fisiologici di circa 3 Kg di peso. I parametri vitali del neonato risultano nella norma, il bambino si attacca bene al seno, diuresi fisiologica, esami ematochimici, esame urine ed eco renale eseguiti nelle prime 24 ore di vita risultano nella norma. Un’anamnesi familiare più approfondita durante i giorni seguenti rivela la presenza di un edema a livello dei piedi e pretibiale nella madre; un edema del dorso delle mani della nonna materna e un edema delle dita dei piedi e della parte distale degli stessi presente dalla nascita e regredito a circa 2 mesi di vita della sorellina di 6 anni. Nel fondato sospetto clinico di sindrome di nonne-Milroy viene eseguito prelievo per la ricerca di mutazioni nel gene VegFr3 al lattante, al fratellino, alla sorellina ed a entrambi i genitori da effettuarsi presso il laboratorio di diagnostica molecolare del St. george's hospital di londra. La crescita del bambino prosegue nei mesi seguenti senza nessuna particolare problematica di rilievo anche se persiste praticamente immutato l’edema a livello dei piedi. Ora il bambino ha 24 mesi, cammina, corre, gode di buona salute. La ricerca della mutazione nel gene VegFr3 ha evidenziato una delezione della tripletta tCt in posizione 3323-3325 nell’esone 24 in eterozigosi e conseguente perdita di una fenilalanina in posizione 1108 nella proteina matura. La stessa mutazione in eterozigosi è stata dimostrata nella sorella e nella madre. Non è stato possibile studiare la nonna materna (riferita affetta da edema agli arti superiori) perché non raggiungibile in Marocco.
IT101137
I parametri vitali del neonato risultano nella norma, il bambino si attacca bene al seno, diuresi fisiologica, esami ematochimici, esame urine ed eco renale eseguiti nelle prime 24 ore di vita risultano nella norma.
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K.S., maschio, nasce alla 40° settimana di gestazione da parto eutocico con peso neonatale di 4.290 gr. L’esame obiettivo alla nascita mostra una modesta cianosi traumatica al volto, un tumore da parto a livello del vertice ed importante edema con fovea a livello di entrambi i piedi. La madre 39enne proveniente dal Marocco, terzigravida, riferisce due gravidanze precedenti decorse fisiologicamente e conclusesi con parti spontanei di neonati fisiologici di circa 3 Kg di peso. I parametri vitali del neonato risultano nella norma, il bambino si attacca bene al seno, diuresi fisiologica, esami ematochimici, esame urine ed eco renale eseguiti nelle prime 24 ore di vita risultano nella norma. Un’anamnesi familiare più approfondita durante i giorni seguenti rivela la presenza di un edema a livello dei piedi e pretibiale nella madre; un edema del dorso delle mani della nonna materna e un edema delle dita dei piedi e della parte distale degli stessi presente dalla nascita e regredito a circa 2 mesi di vita della sorellina di 6 anni. Nel fondato sospetto clinico di sindrome di nonne-Milroy viene eseguito prelievo per la ricerca di mutazioni nel gene VegFr3 al lattante, al fratellino, alla sorellina ed a entrambi i genitori da effettuarsi presso il laboratorio di diagnostica molecolare del St. george's hospital di londra. La crescita del bambino prosegue nei mesi seguenti senza nessuna particolare problematica di rilievo anche se persiste praticamente immutato l’edema a livello dei piedi. Ora il bambino ha 24 mesi, cammina, corre, gode di buona salute. La ricerca della mutazione nel gene VegFr3 ha evidenziato una delezione della tripletta tCt in posizione 3323-3325 nell’esone 24 in eterozigosi e conseguente perdita di una fenilalanina in posizione 1108 nella proteina matura. La stessa mutazione in eterozigosi è stata dimostrata nella sorella e nella madre. Non è stato possibile studiare la nonna materna (riferita affetta da edema agli arti superiori) perché non raggiungibile in Marocco.
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Un’anamnesi familiare più approfondita durante i giorni seguenti rivela la presenza di un edema a livello dei piedi e pretibiale nella madre; un edema del dorso delle mani della nonna materna e un edema delle dita dei piedi e della parte distale degli stessi presente dalla nascita e regredito a circa 2 mesi di vita della sorellina di 6 anni.
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K.S., maschio, nasce alla 40° settimana di gestazione da parto eutocico con peso neonatale di 4.290 gr. L’esame obiettivo alla nascita mostra una modesta cianosi traumatica al volto, un tumore da parto a livello del vertice ed importante edema con fovea a livello di entrambi i piedi. La madre 39enne proveniente dal Marocco, terzigravida, riferisce due gravidanze precedenti decorse fisiologicamente e conclusesi con parti spontanei di neonati fisiologici di circa 3 Kg di peso. I parametri vitali del neonato risultano nella norma, il bambino si attacca bene al seno, diuresi fisiologica, esami ematochimici, esame urine ed eco renale eseguiti nelle prime 24 ore di vita risultano nella norma. Un’anamnesi familiare più approfondita durante i giorni seguenti rivela la presenza di un edema a livello dei piedi e pretibiale nella madre; un edema del dorso delle mani della nonna materna e un edema delle dita dei piedi e della parte distale degli stessi presente dalla nascita e regredito a circa 2 mesi di vita della sorellina di 6 anni. Nel fondato sospetto clinico di sindrome di nonne-Milroy viene eseguito prelievo per la ricerca di mutazioni nel gene VegFr3 al lattante, al fratellino, alla sorellina ed a entrambi i genitori da effettuarsi presso il laboratorio di diagnostica molecolare del St. george's hospital di londra. La crescita del bambino prosegue nei mesi seguenti senza nessuna particolare problematica di rilievo anche se persiste praticamente immutato l’edema a livello dei piedi. Ora il bambino ha 24 mesi, cammina, corre, gode di buona salute. La ricerca della mutazione nel gene VegFr3 ha evidenziato una delezione della tripletta tCt in posizione 3323-3325 nell’esone 24 in eterozigosi e conseguente perdita di una fenilalanina in posizione 1108 nella proteina matura. La stessa mutazione in eterozigosi è stata dimostrata nella sorella e nella madre. Non è stato possibile studiare la nonna materna (riferita affetta da edema agli arti superiori) perché non raggiungibile in Marocco.
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Nel fondato sospetto clinico di sindrome di nonne-Milroy viene eseguito prelievo per la ricerca di mutazioni nel gene VegFr3 al lattante, al fratellino, alla sorellina ed a entrambi i genitori da effettuarsi presso il laboratorio di diagnostica molecolare del St. george's hospital di londra.
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K.S., maschio, nasce alla 40° settimana di gestazione da parto eutocico con peso neonatale di 4.290 gr. L’esame obiettivo alla nascita mostra una modesta cianosi traumatica al volto, un tumore da parto a livello del vertice ed importante edema con fovea a livello di entrambi i piedi. La madre 39enne proveniente dal Marocco, terzigravida, riferisce due gravidanze precedenti decorse fisiologicamente e conclusesi con parti spontanei di neonati fisiologici di circa 3 Kg di peso. I parametri vitali del neonato risultano nella norma, il bambino si attacca bene al seno, diuresi fisiologica, esami ematochimici, esame urine ed eco renale eseguiti nelle prime 24 ore di vita risultano nella norma. Un’anamnesi familiare più approfondita durante i giorni seguenti rivela la presenza di un edema a livello dei piedi e pretibiale nella madre; un edema del dorso delle mani della nonna materna e un edema delle dita dei piedi e della parte distale degli stessi presente dalla nascita e regredito a circa 2 mesi di vita della sorellina di 6 anni. Nel fondato sospetto clinico di sindrome di nonne-Milroy viene eseguito prelievo per la ricerca di mutazioni nel gene VegFr3 al lattante, al fratellino, alla sorellina ed a entrambi i genitori da effettuarsi presso il laboratorio di diagnostica molecolare del St. george's hospital di londra. La crescita del bambino prosegue nei mesi seguenti senza nessuna particolare problematica di rilievo anche se persiste praticamente immutato l’edema a livello dei piedi. Ora il bambino ha 24 mesi, cammina, corre, gode di buona salute. La ricerca della mutazione nel gene VegFr3 ha evidenziato una delezione della tripletta tCt in posizione 3323-3325 nell’esone 24 in eterozigosi e conseguente perdita di una fenilalanina in posizione 1108 nella proteina matura. La stessa mutazione in eterozigosi è stata dimostrata nella sorella e nella madre. Non è stato possibile studiare la nonna materna (riferita affetta da edema agli arti superiori) perché non raggiungibile in Marocco.
IT101137
La crescita del bambino prosegue nei mesi seguenti senza nessuna particolare problematica di rilievo anche se persiste praticamente immutato l’edema a livello dei piedi.
[]
K.S., maschio, nasce alla 40° settimana di gestazione da parto eutocico con peso neonatale di 4.290 gr. L’esame obiettivo alla nascita mostra una modesta cianosi traumatica al volto, un tumore da parto a livello del vertice ed importante edema con fovea a livello di entrambi i piedi. La madre 39enne proveniente dal Marocco, terzigravida, riferisce due gravidanze precedenti decorse fisiologicamente e conclusesi con parti spontanei di neonati fisiologici di circa 3 Kg di peso. I parametri vitali del neonato risultano nella norma, il bambino si attacca bene al seno, diuresi fisiologica, esami ematochimici, esame urine ed eco renale eseguiti nelle prime 24 ore di vita risultano nella norma. Un’anamnesi familiare più approfondita durante i giorni seguenti rivela la presenza di un edema a livello dei piedi e pretibiale nella madre; un edema del dorso delle mani della nonna materna e un edema delle dita dei piedi e della parte distale degli stessi presente dalla nascita e regredito a circa 2 mesi di vita della sorellina di 6 anni. Nel fondato sospetto clinico di sindrome di nonne-Milroy viene eseguito prelievo per la ricerca di mutazioni nel gene VegFr3 al lattante, al fratellino, alla sorellina ed a entrambi i genitori da effettuarsi presso il laboratorio di diagnostica molecolare del St. george's hospital di londra. La crescita del bambino prosegue nei mesi seguenti senza nessuna particolare problematica di rilievo anche se persiste praticamente immutato l’edema a livello dei piedi. Ora il bambino ha 24 mesi, cammina, corre, gode di buona salute. La ricerca della mutazione nel gene VegFr3 ha evidenziato una delezione della tripletta tCt in posizione 3323-3325 nell’esone 24 in eterozigosi e conseguente perdita di una fenilalanina in posizione 1108 nella proteina matura. La stessa mutazione in eterozigosi è stata dimostrata nella sorella e nella madre. Non è stato possibile studiare la nonna materna (riferita affetta da edema agli arti superiori) perché non raggiungibile in Marocco.
IT101137
Ora il bambino ha 24 mesi, cammina, corre, gode di buona salute.
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K.S., maschio, nasce alla 40° settimana di gestazione da parto eutocico con peso neonatale di 4.290 gr. L’esame obiettivo alla nascita mostra una modesta cianosi traumatica al volto, un tumore da parto a livello del vertice ed importante edema con fovea a livello di entrambi i piedi. La madre 39enne proveniente dal Marocco, terzigravida, riferisce due gravidanze precedenti decorse fisiologicamente e conclusesi con parti spontanei di neonati fisiologici di circa 3 Kg di peso. I parametri vitali del neonato risultano nella norma, il bambino si attacca bene al seno, diuresi fisiologica, esami ematochimici, esame urine ed eco renale eseguiti nelle prime 24 ore di vita risultano nella norma. Un’anamnesi familiare più approfondita durante i giorni seguenti rivela la presenza di un edema a livello dei piedi e pretibiale nella madre; un edema del dorso delle mani della nonna materna e un edema delle dita dei piedi e della parte distale degli stessi presente dalla nascita e regredito a circa 2 mesi di vita della sorellina di 6 anni. Nel fondato sospetto clinico di sindrome di nonne-Milroy viene eseguito prelievo per la ricerca di mutazioni nel gene VegFr3 al lattante, al fratellino, alla sorellina ed a entrambi i genitori da effettuarsi presso il laboratorio di diagnostica molecolare del St. george's hospital di londra. La crescita del bambino prosegue nei mesi seguenti senza nessuna particolare problematica di rilievo anche se persiste praticamente immutato l’edema a livello dei piedi. Ora il bambino ha 24 mesi, cammina, corre, gode di buona salute. La ricerca della mutazione nel gene VegFr3 ha evidenziato una delezione della tripletta tCt in posizione 3323-3325 nell’esone 24 in eterozigosi e conseguente perdita di una fenilalanina in posizione 1108 nella proteina matura. La stessa mutazione in eterozigosi è stata dimostrata nella sorella e nella madre. Non è stato possibile studiare la nonna materna (riferita affetta da edema agli arti superiori) perché non raggiungibile in Marocco.
IT101137
La ricerca della mutazione nel gene VegFr3 ha evidenziato una delezione della tripletta tCt in posizione 3323-3325 nell’esone 24 in eterozigosi e conseguente perdita di una fenilalanina in posizione 1108 nella proteina matura.
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K.S., maschio, nasce alla 40° settimana di gestazione da parto eutocico con peso neonatale di 4.290 gr. L’esame obiettivo alla nascita mostra una modesta cianosi traumatica al volto, un tumore da parto a livello del vertice ed importante edema con fovea a livello di entrambi i piedi. La madre 39enne proveniente dal Marocco, terzigravida, riferisce due gravidanze precedenti decorse fisiologicamente e conclusesi con parti spontanei di neonati fisiologici di circa 3 Kg di peso. I parametri vitali del neonato risultano nella norma, il bambino si attacca bene al seno, diuresi fisiologica, esami ematochimici, esame urine ed eco renale eseguiti nelle prime 24 ore di vita risultano nella norma. Un’anamnesi familiare più approfondita durante i giorni seguenti rivela la presenza di un edema a livello dei piedi e pretibiale nella madre; un edema del dorso delle mani della nonna materna e un edema delle dita dei piedi e della parte distale degli stessi presente dalla nascita e regredito a circa 2 mesi di vita della sorellina di 6 anni. Nel fondato sospetto clinico di sindrome di nonne-Milroy viene eseguito prelievo per la ricerca di mutazioni nel gene VegFr3 al lattante, al fratellino, alla sorellina ed a entrambi i genitori da effettuarsi presso il laboratorio di diagnostica molecolare del St. george's hospital di londra. La crescita del bambino prosegue nei mesi seguenti senza nessuna particolare problematica di rilievo anche se persiste praticamente immutato l’edema a livello dei piedi. Ora il bambino ha 24 mesi, cammina, corre, gode di buona salute. La ricerca della mutazione nel gene VegFr3 ha evidenziato una delezione della tripletta tCt in posizione 3323-3325 nell’esone 24 in eterozigosi e conseguente perdita di una fenilalanina in posizione 1108 nella proteina matura. La stessa mutazione in eterozigosi è stata dimostrata nella sorella e nella madre. Non è stato possibile studiare la nonna materna (riferita affetta da edema agli arti superiori) perché non raggiungibile in Marocco.
IT101137
La stessa mutazione in eterozigosi è stata dimostrata nella sorella e nella madre.
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K.S., maschio, nasce alla 40° settimana di gestazione da parto eutocico con peso neonatale di 4.290 gr. L’esame obiettivo alla nascita mostra una modesta cianosi traumatica al volto, un tumore da parto a livello del vertice ed importante edema con fovea a livello di entrambi i piedi. La madre 39enne proveniente dal Marocco, terzigravida, riferisce due gravidanze precedenti decorse fisiologicamente e conclusesi con parti spontanei di neonati fisiologici di circa 3 Kg di peso. I parametri vitali del neonato risultano nella norma, il bambino si attacca bene al seno, diuresi fisiologica, esami ematochimici, esame urine ed eco renale eseguiti nelle prime 24 ore di vita risultano nella norma. Un’anamnesi familiare più approfondita durante i giorni seguenti rivela la presenza di un edema a livello dei piedi e pretibiale nella madre; un edema del dorso delle mani della nonna materna e un edema delle dita dei piedi e della parte distale degli stessi presente dalla nascita e regredito a circa 2 mesi di vita della sorellina di 6 anni. Nel fondato sospetto clinico di sindrome di nonne-Milroy viene eseguito prelievo per la ricerca di mutazioni nel gene VegFr3 al lattante, al fratellino, alla sorellina ed a entrambi i genitori da effettuarsi presso il laboratorio di diagnostica molecolare del St. george's hospital di londra. La crescita del bambino prosegue nei mesi seguenti senza nessuna particolare problematica di rilievo anche se persiste praticamente immutato l’edema a livello dei piedi. Ora il bambino ha 24 mesi, cammina, corre, gode di buona salute. La ricerca della mutazione nel gene VegFr3 ha evidenziato una delezione della tripletta tCt in posizione 3323-3325 nell’esone 24 in eterozigosi e conseguente perdita di una fenilalanina in posizione 1108 nella proteina matura. La stessa mutazione in eterozigosi è stata dimostrata nella sorella e nella madre. Non è stato possibile studiare la nonna materna (riferita affetta da edema agli arti superiori) perché non raggiungibile in Marocco.
IT101137
Non è stato possibile studiare la nonna materna (riferita affetta da edema agli arti superiori) perché non raggiungibile in Marocco.
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K.S., maschio, nasce alla 40° settimana di gestazione da parto eutocico con peso neonatale di 4.290 gr. L’esame obiettivo alla nascita mostra una modesta cianosi traumatica al volto, un tumore da parto a livello del vertice ed importante edema con fovea a livello di entrambi i piedi. La madre 39enne proveniente dal Marocco, terzigravida, riferisce due gravidanze precedenti decorse fisiologicamente e conclusesi con parti spontanei di neonati fisiologici di circa 3 Kg di peso. I parametri vitali del neonato risultano nella norma, il bambino si attacca bene al seno, diuresi fisiologica, esami ematochimici, esame urine ed eco renale eseguiti nelle prime 24 ore di vita risultano nella norma. Un’anamnesi familiare più approfondita durante i giorni seguenti rivela la presenza di un edema a livello dei piedi e pretibiale nella madre; un edema del dorso delle mani della nonna materna e un edema delle dita dei piedi e della parte distale degli stessi presente dalla nascita e regredito a circa 2 mesi di vita della sorellina di 6 anni. Nel fondato sospetto clinico di sindrome di nonne-Milroy viene eseguito prelievo per la ricerca di mutazioni nel gene VegFr3 al lattante, al fratellino, alla sorellina ed a entrambi i genitori da effettuarsi presso il laboratorio di diagnostica molecolare del St. george's hospital di londra. La crescita del bambino prosegue nei mesi seguenti senza nessuna particolare problematica di rilievo anche se persiste praticamente immutato l’edema a livello dei piedi. Ora il bambino ha 24 mesi, cammina, corre, gode di buona salute. La ricerca della mutazione nel gene VegFr3 ha evidenziato una delezione della tripletta tCt in posizione 3323-3325 nell’esone 24 in eterozigosi e conseguente perdita di una fenilalanina in posizione 1108 nella proteina matura. La stessa mutazione in eterozigosi è stata dimostrata nella sorella e nella madre. Non è stato possibile studiare la nonna materna (riferita affetta da edema agli arti superiori) perché non raggiungibile in Marocco.
IT101137
Gabriele è un uomo di 53 anni, affetto dal 2004 da malattie croniche altamente invalidanti: la distrofia muscolare di tipo 1 e il diabete mellito di tipo 2.
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Gabriele è un uomo di 53 anni, affetto dal 2004 da malattie croniche altamente invalidanti: la distrofia muscolare di tipo 1 e il diabete mellito di tipo 2. Vive in un piccolo borgo di Trieste in una zona periferica, con la madre anziana, in quanto, a causa delle sue patologie e di un basso livello di scolarità, non è mai riuscito a emanciparsi e a trovare un’occupazione. Le condizioni fisiche dell’uomo sono molto peggiorate nel corso degli ultimi anni, limitando la sua funzione motoria, fino al ricorso, nell’ultimo anno, all’utilizzo di una carrozzina per potersi muovere. All’inizio del 2017, la madre di Gabriele muore per una malattia improvvisa. Nonostante la presenza del fratello e di alcuni amici, Gabriele si sente solo e si lascia andare. Non si controlla più il diabete, cade più volte all’interno del proprio domicilio, non esce di casa per la presenza di barriere architettoniche importanti e i suoi deficit motori peggiorano ulteriormente. La presa in carico da parte dei servizi territoriali del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste si articola in una valutazione da parte di un’equipe composta dall’infermiera, dal medico di medicina generale, dal fisioterapista e dall’assistente sociale per l’attivazione della rete e di un piano assistenziale individuale. La costruzione del piano assistenziale in base ai bisogni e alla collaborazione di Gabriele prevede l’intervento del fisiatra per un programma riabilitativo e del fisioterapista per la fornitura di ausili adeguati alle necessità della persona. Un letto articolato, un materasso antidecubito e una carrozzina hanno permesso la mobilità sicura all’interno della casa, ma l’intervento più significativo è stato la fornitura di uno scendiscale e di una carrozzina elettrica specifica per uscire dall’abitazione e superare le barriere architettoniche. L’assistente sociale è intervenuta con l’attivazione di un progetto di sostegno al reddito e il contributo per una badante per venti ore alla settimana, per aiutare l’uomo in tutte le attività della vita quotidiana. Nella valutazione multidimensionale con scheda Valgraf, prevista per la presa in carico, è stata inserita anche la valutazione con la scala PHE-S®, che ha rilevato un valore basso di engagement pari a 2. La rivalutazione a 4 mesi di distanza dopo la costruzione della rete assistenziale ha permesso di evidenziare un innalzamento di mezzo punto, dimostrando che Gabriele ha compreso il suo ruolo attivo nel processo di cura e ha messo in atto tutte le competenze acquisite per gestirlo in modo ottimale e in autonomia. Ora si muove con la sua carrozzina elettrica in autonomia per le vie del paese, si sottopone ai controlli per il diabete in modo costante con valori delle glicemie stabili nei range previsti dalla diabetologa e mantiene uno stile di vita adeguato alle sue patologie.
IT100003
Vive in un piccolo borgo di Trieste in una zona periferica, con la madre anziana, in quanto, a causa delle sue patologie e di un basso livello di scolarità, non è mai riuscito a emanciparsi e a trovare un’occupazione.
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Gabriele è un uomo di 53 anni, affetto dal 2004 da malattie croniche altamente invalidanti: la distrofia muscolare di tipo 1 e il diabete mellito di tipo 2. Vive in un piccolo borgo di Trieste in una zona periferica, con la madre anziana, in quanto, a causa delle sue patologie e di un basso livello di scolarità, non è mai riuscito a emanciparsi e a trovare un’occupazione. Le condizioni fisiche dell’uomo sono molto peggiorate nel corso degli ultimi anni, limitando la sua funzione motoria, fino al ricorso, nell’ultimo anno, all’utilizzo di una carrozzina per potersi muovere. All’inizio del 2017, la madre di Gabriele muore per una malattia improvvisa. Nonostante la presenza del fratello e di alcuni amici, Gabriele si sente solo e si lascia andare. Non si controlla più il diabete, cade più volte all’interno del proprio domicilio, non esce di casa per la presenza di barriere architettoniche importanti e i suoi deficit motori peggiorano ulteriormente. La presa in carico da parte dei servizi territoriali del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste si articola in una valutazione da parte di un’equipe composta dall’infermiera, dal medico di medicina generale, dal fisioterapista e dall’assistente sociale per l’attivazione della rete e di un piano assistenziale individuale. La costruzione del piano assistenziale in base ai bisogni e alla collaborazione di Gabriele prevede l’intervento del fisiatra per un programma riabilitativo e del fisioterapista per la fornitura di ausili adeguati alle necessità della persona. Un letto articolato, un materasso antidecubito e una carrozzina hanno permesso la mobilità sicura all’interno della casa, ma l’intervento più significativo è stato la fornitura di uno scendiscale e di una carrozzina elettrica specifica per uscire dall’abitazione e superare le barriere architettoniche. L’assistente sociale è intervenuta con l’attivazione di un progetto di sostegno al reddito e il contributo per una badante per venti ore alla settimana, per aiutare l’uomo in tutte le attività della vita quotidiana. Nella valutazione multidimensionale con scheda Valgraf, prevista per la presa in carico, è stata inserita anche la valutazione con la scala PHE-S®, che ha rilevato un valore basso di engagement pari a 2. La rivalutazione a 4 mesi di distanza dopo la costruzione della rete assistenziale ha permesso di evidenziare un innalzamento di mezzo punto, dimostrando che Gabriele ha compreso il suo ruolo attivo nel processo di cura e ha messo in atto tutte le competenze acquisite per gestirlo in modo ottimale e in autonomia. Ora si muove con la sua carrozzina elettrica in autonomia per le vie del paese, si sottopone ai controlli per il diabete in modo costante con valori delle glicemie stabili nei range previsti dalla diabetologa e mantiene uno stile di vita adeguato alle sue patologie.
IT100003
Le condizioni fisiche dell’uomo sono molto peggiorate nel corso degli ultimi anni, limitando la sua funzione motoria, fino al ricorso, nell’ultimo anno, all’utilizzo di una carrozzina per potersi muovere.
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Gabriele è un uomo di 53 anni, affetto dal 2004 da malattie croniche altamente invalidanti: la distrofia muscolare di tipo 1 e il diabete mellito di tipo 2. Vive in un piccolo borgo di Trieste in una zona periferica, con la madre anziana, in quanto, a causa delle sue patologie e di un basso livello di scolarità, non è mai riuscito a emanciparsi e a trovare un’occupazione. Le condizioni fisiche dell’uomo sono molto peggiorate nel corso degli ultimi anni, limitando la sua funzione motoria, fino al ricorso, nell’ultimo anno, all’utilizzo di una carrozzina per potersi muovere. All’inizio del 2017, la madre di Gabriele muore per una malattia improvvisa. Nonostante la presenza del fratello e di alcuni amici, Gabriele si sente solo e si lascia andare. Non si controlla più il diabete, cade più volte all’interno del proprio domicilio, non esce di casa per la presenza di barriere architettoniche importanti e i suoi deficit motori peggiorano ulteriormente. La presa in carico da parte dei servizi territoriali del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste si articola in una valutazione da parte di un’equipe composta dall’infermiera, dal medico di medicina generale, dal fisioterapista e dall’assistente sociale per l’attivazione della rete e di un piano assistenziale individuale. La costruzione del piano assistenziale in base ai bisogni e alla collaborazione di Gabriele prevede l’intervento del fisiatra per un programma riabilitativo e del fisioterapista per la fornitura di ausili adeguati alle necessità della persona. Un letto articolato, un materasso antidecubito e una carrozzina hanno permesso la mobilità sicura all’interno della casa, ma l’intervento più significativo è stato la fornitura di uno scendiscale e di una carrozzina elettrica specifica per uscire dall’abitazione e superare le barriere architettoniche. L’assistente sociale è intervenuta con l’attivazione di un progetto di sostegno al reddito e il contributo per una badante per venti ore alla settimana, per aiutare l’uomo in tutte le attività della vita quotidiana. Nella valutazione multidimensionale con scheda Valgraf, prevista per la presa in carico, è stata inserita anche la valutazione con la scala PHE-S®, che ha rilevato un valore basso di engagement pari a 2. La rivalutazione a 4 mesi di distanza dopo la costruzione della rete assistenziale ha permesso di evidenziare un innalzamento di mezzo punto, dimostrando che Gabriele ha compreso il suo ruolo attivo nel processo di cura e ha messo in atto tutte le competenze acquisite per gestirlo in modo ottimale e in autonomia. Ora si muove con la sua carrozzina elettrica in autonomia per le vie del paese, si sottopone ai controlli per il diabete in modo costante con valori delle glicemie stabili nei range previsti dalla diabetologa e mantiene uno stile di vita adeguato alle sue patologie.
IT100003
All’inizio del 2017, la madre di Gabriele muore per una malattia improvvisa.
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Gabriele è un uomo di 53 anni, affetto dal 2004 da malattie croniche altamente invalidanti: la distrofia muscolare di tipo 1 e il diabete mellito di tipo 2. Vive in un piccolo borgo di Trieste in una zona periferica, con la madre anziana, in quanto, a causa delle sue patologie e di un basso livello di scolarità, non è mai riuscito a emanciparsi e a trovare un’occupazione. Le condizioni fisiche dell’uomo sono molto peggiorate nel corso degli ultimi anni, limitando la sua funzione motoria, fino al ricorso, nell’ultimo anno, all’utilizzo di una carrozzina per potersi muovere. All’inizio del 2017, la madre di Gabriele muore per una malattia improvvisa. Nonostante la presenza del fratello e di alcuni amici, Gabriele si sente solo e si lascia andare. Non si controlla più il diabete, cade più volte all’interno del proprio domicilio, non esce di casa per la presenza di barriere architettoniche importanti e i suoi deficit motori peggiorano ulteriormente. La presa in carico da parte dei servizi territoriali del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste si articola in una valutazione da parte di un’equipe composta dall’infermiera, dal medico di medicina generale, dal fisioterapista e dall’assistente sociale per l’attivazione della rete e di un piano assistenziale individuale. La costruzione del piano assistenziale in base ai bisogni e alla collaborazione di Gabriele prevede l’intervento del fisiatra per un programma riabilitativo e del fisioterapista per la fornitura di ausili adeguati alle necessità della persona. Un letto articolato, un materasso antidecubito e una carrozzina hanno permesso la mobilità sicura all’interno della casa, ma l’intervento più significativo è stato la fornitura di uno scendiscale e di una carrozzina elettrica specifica per uscire dall’abitazione e superare le barriere architettoniche. L’assistente sociale è intervenuta con l’attivazione di un progetto di sostegno al reddito e il contributo per una badante per venti ore alla settimana, per aiutare l’uomo in tutte le attività della vita quotidiana. Nella valutazione multidimensionale con scheda Valgraf, prevista per la presa in carico, è stata inserita anche la valutazione con la scala PHE-S®, che ha rilevato un valore basso di engagement pari a 2. La rivalutazione a 4 mesi di distanza dopo la costruzione della rete assistenziale ha permesso di evidenziare un innalzamento di mezzo punto, dimostrando che Gabriele ha compreso il suo ruolo attivo nel processo di cura e ha messo in atto tutte le competenze acquisite per gestirlo in modo ottimale e in autonomia. Ora si muove con la sua carrozzina elettrica in autonomia per le vie del paese, si sottopone ai controlli per il diabete in modo costante con valori delle glicemie stabili nei range previsti dalla diabetologa e mantiene uno stile di vita adeguato alle sue patologie.
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Nonostante la presenza del fratello e di alcuni amici, Gabriele si sente solo e si lascia andare.
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Non si controlla più il diabete, cade più volte all’interno del proprio domicilio, non esce di casa per la presenza di barriere architettoniche importanti e i suoi deficit motori peggiorano ulteriormente.
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Gabriele è un uomo di 53 anni, affetto dal 2004 da malattie croniche altamente invalidanti: la distrofia muscolare di tipo 1 e il diabete mellito di tipo 2. Vive in un piccolo borgo di Trieste in una zona periferica, con la madre anziana, in quanto, a causa delle sue patologie e di un basso livello di scolarità, non è mai riuscito a emanciparsi e a trovare un’occupazione. Le condizioni fisiche dell’uomo sono molto peggiorate nel corso degli ultimi anni, limitando la sua funzione motoria, fino al ricorso, nell’ultimo anno, all’utilizzo di una carrozzina per potersi muovere. All’inizio del 2017, la madre di Gabriele muore per una malattia improvvisa. Nonostante la presenza del fratello e di alcuni amici, Gabriele si sente solo e si lascia andare. Non si controlla più il diabete, cade più volte all’interno del proprio domicilio, non esce di casa per la presenza di barriere architettoniche importanti e i suoi deficit motori peggiorano ulteriormente. La presa in carico da parte dei servizi territoriali del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste si articola in una valutazione da parte di un’equipe composta dall’infermiera, dal medico di medicina generale, dal fisioterapista e dall’assistente sociale per l’attivazione della rete e di un piano assistenziale individuale. La costruzione del piano assistenziale in base ai bisogni e alla collaborazione di Gabriele prevede l’intervento del fisiatra per un programma riabilitativo e del fisioterapista per la fornitura di ausili adeguati alle necessità della persona. Un letto articolato, un materasso antidecubito e una carrozzina hanno permesso la mobilità sicura all’interno della casa, ma l’intervento più significativo è stato la fornitura di uno scendiscale e di una carrozzina elettrica specifica per uscire dall’abitazione e superare le barriere architettoniche. L’assistente sociale è intervenuta con l’attivazione di un progetto di sostegno al reddito e il contributo per una badante per venti ore alla settimana, per aiutare l’uomo in tutte le attività della vita quotidiana. Nella valutazione multidimensionale con scheda Valgraf, prevista per la presa in carico, è stata inserita anche la valutazione con la scala PHE-S®, che ha rilevato un valore basso di engagement pari a 2. La rivalutazione a 4 mesi di distanza dopo la costruzione della rete assistenziale ha permesso di evidenziare un innalzamento di mezzo punto, dimostrando che Gabriele ha compreso il suo ruolo attivo nel processo di cura e ha messo in atto tutte le competenze acquisite per gestirlo in modo ottimale e in autonomia. Ora si muove con la sua carrozzina elettrica in autonomia per le vie del paese, si sottopone ai controlli per il diabete in modo costante con valori delle glicemie stabili nei range previsti dalla diabetologa e mantiene uno stile di vita adeguato alle sue patologie.
IT100003
La presa in carico da parte dei servizi territoriali del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste si articola in una valutazione da parte di un’equipe composta dall’infermiera, dal medico di medicina generale, dal fisioterapista e dall’assistente sociale per l’attivazione della rete e di un piano assistenziale individuale.
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Gabriele è un uomo di 53 anni, affetto dal 2004 da malattie croniche altamente invalidanti: la distrofia muscolare di tipo 1 e il diabete mellito di tipo 2. Vive in un piccolo borgo di Trieste in una zona periferica, con la madre anziana, in quanto, a causa delle sue patologie e di un basso livello di scolarità, non è mai riuscito a emanciparsi e a trovare un’occupazione. Le condizioni fisiche dell’uomo sono molto peggiorate nel corso degli ultimi anni, limitando la sua funzione motoria, fino al ricorso, nell’ultimo anno, all’utilizzo di una carrozzina per potersi muovere. All’inizio del 2017, la madre di Gabriele muore per una malattia improvvisa. Nonostante la presenza del fratello e di alcuni amici, Gabriele si sente solo e si lascia andare. Non si controlla più il diabete, cade più volte all’interno del proprio domicilio, non esce di casa per la presenza di barriere architettoniche importanti e i suoi deficit motori peggiorano ulteriormente. La presa in carico da parte dei servizi territoriali del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste si articola in una valutazione da parte di un’equipe composta dall’infermiera, dal medico di medicina generale, dal fisioterapista e dall’assistente sociale per l’attivazione della rete e di un piano assistenziale individuale. La costruzione del piano assistenziale in base ai bisogni e alla collaborazione di Gabriele prevede l’intervento del fisiatra per un programma riabilitativo e del fisioterapista per la fornitura di ausili adeguati alle necessità della persona. Un letto articolato, un materasso antidecubito e una carrozzina hanno permesso la mobilità sicura all’interno della casa, ma l’intervento più significativo è stato la fornitura di uno scendiscale e di una carrozzina elettrica specifica per uscire dall’abitazione e superare le barriere architettoniche. L’assistente sociale è intervenuta con l’attivazione di un progetto di sostegno al reddito e il contributo per una badante per venti ore alla settimana, per aiutare l’uomo in tutte le attività della vita quotidiana. Nella valutazione multidimensionale con scheda Valgraf, prevista per la presa in carico, è stata inserita anche la valutazione con la scala PHE-S®, che ha rilevato un valore basso di engagement pari a 2. La rivalutazione a 4 mesi di distanza dopo la costruzione della rete assistenziale ha permesso di evidenziare un innalzamento di mezzo punto, dimostrando che Gabriele ha compreso il suo ruolo attivo nel processo di cura e ha messo in atto tutte le competenze acquisite per gestirlo in modo ottimale e in autonomia. Ora si muove con la sua carrozzina elettrica in autonomia per le vie del paese, si sottopone ai controlli per il diabete in modo costante con valori delle glicemie stabili nei range previsti dalla diabetologa e mantiene uno stile di vita adeguato alle sue patologie.
IT100003
La costruzione del piano assistenziale in base ai bisogni e alla collaborazione di Gabriele prevede l’intervento del fisiatra per un programma riabilitativo e del fisioterapista per la fornitura di ausili adeguati alle necessità della persona.
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IT100003
Un letto articolato, un materasso antidecubito e una carrozzina hanno permesso la mobilità sicura all’interno della casa, ma l’intervento più significativo è stato la fornitura di uno scendiscale e di una carrozzina elettrica specifica per uscire dall’abitazione e superare le barriere architettoniche.
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Gabriele è un uomo di 53 anni, affetto dal 2004 da malattie croniche altamente invalidanti: la distrofia muscolare di tipo 1 e il diabete mellito di tipo 2. Vive in un piccolo borgo di Trieste in una zona periferica, con la madre anziana, in quanto, a causa delle sue patologie e di un basso livello di scolarità, non è mai riuscito a emanciparsi e a trovare un’occupazione. Le condizioni fisiche dell’uomo sono molto peggiorate nel corso degli ultimi anni, limitando la sua funzione motoria, fino al ricorso, nell’ultimo anno, all’utilizzo di una carrozzina per potersi muovere. All’inizio del 2017, la madre di Gabriele muore per una malattia improvvisa. Nonostante la presenza del fratello e di alcuni amici, Gabriele si sente solo e si lascia andare. Non si controlla più il diabete, cade più volte all’interno del proprio domicilio, non esce di casa per la presenza di barriere architettoniche importanti e i suoi deficit motori peggiorano ulteriormente. La presa in carico da parte dei servizi territoriali del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste si articola in una valutazione da parte di un’equipe composta dall’infermiera, dal medico di medicina generale, dal fisioterapista e dall’assistente sociale per l’attivazione della rete e di un piano assistenziale individuale. La costruzione del piano assistenziale in base ai bisogni e alla collaborazione di Gabriele prevede l’intervento del fisiatra per un programma riabilitativo e del fisioterapista per la fornitura di ausili adeguati alle necessità della persona. Un letto articolato, un materasso antidecubito e una carrozzina hanno permesso la mobilità sicura all’interno della casa, ma l’intervento più significativo è stato la fornitura di uno scendiscale e di una carrozzina elettrica specifica per uscire dall’abitazione e superare le barriere architettoniche. L’assistente sociale è intervenuta con l’attivazione di un progetto di sostegno al reddito e il contributo per una badante per venti ore alla settimana, per aiutare l’uomo in tutte le attività della vita quotidiana. Nella valutazione multidimensionale con scheda Valgraf, prevista per la presa in carico, è stata inserita anche la valutazione con la scala PHE-S®, che ha rilevato un valore basso di engagement pari a 2. La rivalutazione a 4 mesi di distanza dopo la costruzione della rete assistenziale ha permesso di evidenziare un innalzamento di mezzo punto, dimostrando che Gabriele ha compreso il suo ruolo attivo nel processo di cura e ha messo in atto tutte le competenze acquisite per gestirlo in modo ottimale e in autonomia. Ora si muove con la sua carrozzina elettrica in autonomia per le vie del paese, si sottopone ai controlli per il diabete in modo costante con valori delle glicemie stabili nei range previsti dalla diabetologa e mantiene uno stile di vita adeguato alle sue patologie.
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L’assistente sociale è intervenuta con l’attivazione di un progetto di sostegno al reddito e il contributo per una badante per venti ore alla settimana, per aiutare l’uomo in tutte le attività della vita quotidiana.
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La rivalutazione a 4 mesi di distanza dopo la costruzione della rete assistenziale ha permesso di evidenziare un innalzamento di mezzo punto, dimostrando che Gabriele ha compreso il suo ruolo attivo nel processo di cura e ha messo in atto tutte le competenze acquisite per gestirlo in modo ottimale e in autonomia.
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Ora si muove con la sua carrozzina elettrica in autonomia per le vie del paese, si sottopone ai controlli per il diabete in modo costante con valori delle glicemie stabili nei range previsti dalla diabetologa e mantiene uno stile di vita adeguato alle sue patologie.
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IT100003
Anna è una donna di 47 anni, vive con il figlio in un piccolo appartamento in un paese carsico, lavora nel campo della ristorazione e, nonostante una patologia genetica familiare che provoca delle alterazioni scheletriche, cardiologiche, oculari e cutanee, vive una vita serena e tranquilla.
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Anna è una donna di 47 anni, vive con il figlio in un piccolo appartamento in un paese carsico, lavora nel campo della ristorazione e, nonostante una patologia genetica familiare che provoca delle alterazioni scheletriche, cardiologiche, oculari e cutanee, vive una vita serena e tranquilla. Ha una buona rete familiare e informale che supporta la famiglia. Viene seguita da un centro di riferimento specifico per patologia rara a Bologna e si sottopone a controlli clinicostrumentali periodici e regolari. Nel gennaio del 2017 esegue un intervento chirurgico di piede torto congenito presso l’Istituto Rizzoli. Durante la degenza, a seguito di un dolore retrosternale e di una sincope, viene sottoposta a un intervento di endoprotesi di aorta per dissezione acuta. Al rientro a casa, nel marzo del 2017, deve proseguire i controlli cardiologici ed eseguire la fisioterapia per gli esiti di intervento al piede e regolari controlli ematici. Non essendo autonoma nella deambulazione, viene presa in carico dai servizi del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste. Anna sembra, in un primo momento, una persona collaborante al piano assistenziale predisposto, ma, dopo un paio di interventi per controllare gli esiti della ferita al piede, si intuisce che qualcosa non funziona. Si somministra la scheda PHE-S® per una valutazione dell’elaborazione del vissuto della malattia, riscontrando un punteggio di 2,5. Parlando con lei emerge una profonda difficoltà ad accettare l’intervento al cuore, riferisce di sentirsi bloccata e ripete spesso: “Sono in black out”. Questa incapacità di reagire è evidente sul piano pratico: non controlla la pressione arteriosa come suggerito dalle dimissioni ospedaliere, non si preoccupa dei risultati delle analisi diagnostico-strumentali, ma è, invece, molto concentrata sul piede che le provoca molto dolore. In questo caso, il piano assistenziale individuale ha previsto un ciclo di fisiokinesiterapia per l’arto inferiore, interventi infermieristici di monitoraggio dei parametri vitali e del dolore, educazione terapeutica, controlli cardiologici ed esami ematochimici. Per lo stato di “black out”, si è proposto l’intervento di una psicoterapeuta del Distretto Sanitario, per cercare di attivare risorse atte a superare lo shock dell’intervento chirurgico al cuore. La vita è cambiata radicalmente per questa giovane donna, non può rientrare presso la sua sede lavorativa, l’attività in piedi per molte ore non è consentita per il suo stato di salute e arriva, quindi, il licenziamento. Un colloquio con l’assistente sociale si rende necessario per capire come indirizzare Anna alle varie possibilità di sostegno economico per lei e la sua famiglia. I valori della PHE-S dopo 4 mesi di interventi sono incrementati fino a raggiungere un punteggio pari a 3. Lentamente e con il supporto dell’infermiera e della fisioterapista, Anna inizia ad avere un ruolo attivo nella gestione della sua salute. Si misura costantemente la pressione arteriosa, che si mantiene nei valori consigliati dal cardiologo, si sottopone agli accertamenti di controllo, inizia a riconoscere gli effetti di 60 Engagement e coinvolgimento attivo ciascuna terapia, riesce a fare spostamenti munita di stampelle in autonomia e sostituisce il medico di medicina generale che è andato in pensione con un professionista attivo e collaborante. Infine, riesce a mettere in atto e a mantenere cambiamenti dello stile di vita relativi al suo stato di salute: segue una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, si iscrive alle liste di collocamento speciali per persone con ridotte capacità e inizia a frequentare corsi di formazione per poter avere la possibilità di esercitare un nuovo lavoro.
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Ha una buona rete familiare e informale che supporta la famiglia.
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Anna è una donna di 47 anni, vive con il figlio in un piccolo appartamento in un paese carsico, lavora nel campo della ristorazione e, nonostante una patologia genetica familiare che provoca delle alterazioni scheletriche, cardiologiche, oculari e cutanee, vive una vita serena e tranquilla. Ha una buona rete familiare e informale che supporta la famiglia. Viene seguita da un centro di riferimento specifico per patologia rara a Bologna e si sottopone a controlli clinicostrumentali periodici e regolari. Nel gennaio del 2017 esegue un intervento chirurgico di piede torto congenito presso l’Istituto Rizzoli. Durante la degenza, a seguito di un dolore retrosternale e di una sincope, viene sottoposta a un intervento di endoprotesi di aorta per dissezione acuta. Al rientro a casa, nel marzo del 2017, deve proseguire i controlli cardiologici ed eseguire la fisioterapia per gli esiti di intervento al piede e regolari controlli ematici. Non essendo autonoma nella deambulazione, viene presa in carico dai servizi del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste. Anna sembra, in un primo momento, una persona collaborante al piano assistenziale predisposto, ma, dopo un paio di interventi per controllare gli esiti della ferita al piede, si intuisce che qualcosa non funziona. Si somministra la scheda PHE-S® per una valutazione dell’elaborazione del vissuto della malattia, riscontrando un punteggio di 2,5. Parlando con lei emerge una profonda difficoltà ad accettare l’intervento al cuore, riferisce di sentirsi bloccata e ripete spesso: “Sono in black out”. Questa incapacità di reagire è evidente sul piano pratico: non controlla la pressione arteriosa come suggerito dalle dimissioni ospedaliere, non si preoccupa dei risultati delle analisi diagnostico-strumentali, ma è, invece, molto concentrata sul piede che le provoca molto dolore. In questo caso, il piano assistenziale individuale ha previsto un ciclo di fisiokinesiterapia per l’arto inferiore, interventi infermieristici di monitoraggio dei parametri vitali e del dolore, educazione terapeutica, controlli cardiologici ed esami ematochimici. Per lo stato di “black out”, si è proposto l’intervento di una psicoterapeuta del Distretto Sanitario, per cercare di attivare risorse atte a superare lo shock dell’intervento chirurgico al cuore. La vita è cambiata radicalmente per questa giovane donna, non può rientrare presso la sua sede lavorativa, l’attività in piedi per molte ore non è consentita per il suo stato di salute e arriva, quindi, il licenziamento. Un colloquio con l’assistente sociale si rende necessario per capire come indirizzare Anna alle varie possibilità di sostegno economico per lei e la sua famiglia. I valori della PHE-S dopo 4 mesi di interventi sono incrementati fino a raggiungere un punteggio pari a 3. Lentamente e con il supporto dell’infermiera e della fisioterapista, Anna inizia ad avere un ruolo attivo nella gestione della sua salute. Si misura costantemente la pressione arteriosa, che si mantiene nei valori consigliati dal cardiologo, si sottopone agli accertamenti di controllo, inizia a riconoscere gli effetti di 60 Engagement e coinvolgimento attivo ciascuna terapia, riesce a fare spostamenti munita di stampelle in autonomia e sostituisce il medico di medicina generale che è andato in pensione con un professionista attivo e collaborante. Infine, riesce a mettere in atto e a mantenere cambiamenti dello stile di vita relativi al suo stato di salute: segue una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, si iscrive alle liste di collocamento speciali per persone con ridotte capacità e inizia a frequentare corsi di formazione per poter avere la possibilità di esercitare un nuovo lavoro.
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Viene seguita da un centro di riferimento specifico per patologia rara a Bologna e si sottopone a controlli clinicostrumentali periodici e regolari.
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Anna è una donna di 47 anni, vive con il figlio in un piccolo appartamento in un paese carsico, lavora nel campo della ristorazione e, nonostante una patologia genetica familiare che provoca delle alterazioni scheletriche, cardiologiche, oculari e cutanee, vive una vita serena e tranquilla. Ha una buona rete familiare e informale che supporta la famiglia. Viene seguita da un centro di riferimento specifico per patologia rara a Bologna e si sottopone a controlli clinicostrumentali periodici e regolari. Nel gennaio del 2017 esegue un intervento chirurgico di piede torto congenito presso l’Istituto Rizzoli. Durante la degenza, a seguito di un dolore retrosternale e di una sincope, viene sottoposta a un intervento di endoprotesi di aorta per dissezione acuta. Al rientro a casa, nel marzo del 2017, deve proseguire i controlli cardiologici ed eseguire la fisioterapia per gli esiti di intervento al piede e regolari controlli ematici. Non essendo autonoma nella deambulazione, viene presa in carico dai servizi del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste. Anna sembra, in un primo momento, una persona collaborante al piano assistenziale predisposto, ma, dopo un paio di interventi per controllare gli esiti della ferita al piede, si intuisce che qualcosa non funziona. Si somministra la scheda PHE-S® per una valutazione dell’elaborazione del vissuto della malattia, riscontrando un punteggio di 2,5. Parlando con lei emerge una profonda difficoltà ad accettare l’intervento al cuore, riferisce di sentirsi bloccata e ripete spesso: “Sono in black out”. Questa incapacità di reagire è evidente sul piano pratico: non controlla la pressione arteriosa come suggerito dalle dimissioni ospedaliere, non si preoccupa dei risultati delle analisi diagnostico-strumentali, ma è, invece, molto concentrata sul piede che le provoca molto dolore. In questo caso, il piano assistenziale individuale ha previsto un ciclo di fisiokinesiterapia per l’arto inferiore, interventi infermieristici di monitoraggio dei parametri vitali e del dolore, educazione terapeutica, controlli cardiologici ed esami ematochimici. Per lo stato di “black out”, si è proposto l’intervento di una psicoterapeuta del Distretto Sanitario, per cercare di attivare risorse atte a superare lo shock dell’intervento chirurgico al cuore. La vita è cambiata radicalmente per questa giovane donna, non può rientrare presso la sua sede lavorativa, l’attività in piedi per molte ore non è consentita per il suo stato di salute e arriva, quindi, il licenziamento. Un colloquio con l’assistente sociale si rende necessario per capire come indirizzare Anna alle varie possibilità di sostegno economico per lei e la sua famiglia. I valori della PHE-S dopo 4 mesi di interventi sono incrementati fino a raggiungere un punteggio pari a 3. Lentamente e con il supporto dell’infermiera e della fisioterapista, Anna inizia ad avere un ruolo attivo nella gestione della sua salute. Si misura costantemente la pressione arteriosa, che si mantiene nei valori consigliati dal cardiologo, si sottopone agli accertamenti di controllo, inizia a riconoscere gli effetti di 60 Engagement e coinvolgimento attivo ciascuna terapia, riesce a fare spostamenti munita di stampelle in autonomia e sostituisce il medico di medicina generale che è andato in pensione con un professionista attivo e collaborante. Infine, riesce a mettere in atto e a mantenere cambiamenti dello stile di vita relativi al suo stato di salute: segue una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, si iscrive alle liste di collocamento speciali per persone con ridotte capacità e inizia a frequentare corsi di formazione per poter avere la possibilità di esercitare un nuovo lavoro.
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Nel gennaio del 2017 esegue un intervento chirurgico di piede torto congenito presso l’Istituto Rizzoli.
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Anna è una donna di 47 anni, vive con il figlio in un piccolo appartamento in un paese carsico, lavora nel campo della ristorazione e, nonostante una patologia genetica familiare che provoca delle alterazioni scheletriche, cardiologiche, oculari e cutanee, vive una vita serena e tranquilla. Ha una buona rete familiare e informale che supporta la famiglia. Viene seguita da un centro di riferimento specifico per patologia rara a Bologna e si sottopone a controlli clinicostrumentali periodici e regolari. Nel gennaio del 2017 esegue un intervento chirurgico di piede torto congenito presso l’Istituto Rizzoli. Durante la degenza, a seguito di un dolore retrosternale e di una sincope, viene sottoposta a un intervento di endoprotesi di aorta per dissezione acuta. Al rientro a casa, nel marzo del 2017, deve proseguire i controlli cardiologici ed eseguire la fisioterapia per gli esiti di intervento al piede e regolari controlli ematici. Non essendo autonoma nella deambulazione, viene presa in carico dai servizi del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste. Anna sembra, in un primo momento, una persona collaborante al piano assistenziale predisposto, ma, dopo un paio di interventi per controllare gli esiti della ferita al piede, si intuisce che qualcosa non funziona. Si somministra la scheda PHE-S® per una valutazione dell’elaborazione del vissuto della malattia, riscontrando un punteggio di 2,5. Parlando con lei emerge una profonda difficoltà ad accettare l’intervento al cuore, riferisce di sentirsi bloccata e ripete spesso: “Sono in black out”. Questa incapacità di reagire è evidente sul piano pratico: non controlla la pressione arteriosa come suggerito dalle dimissioni ospedaliere, non si preoccupa dei risultati delle analisi diagnostico-strumentali, ma è, invece, molto concentrata sul piede che le provoca molto dolore. In questo caso, il piano assistenziale individuale ha previsto un ciclo di fisiokinesiterapia per l’arto inferiore, interventi infermieristici di monitoraggio dei parametri vitali e del dolore, educazione terapeutica, controlli cardiologici ed esami ematochimici. Per lo stato di “black out”, si è proposto l’intervento di una psicoterapeuta del Distretto Sanitario, per cercare di attivare risorse atte a superare lo shock dell’intervento chirurgico al cuore. La vita è cambiata radicalmente per questa giovane donna, non può rientrare presso la sua sede lavorativa, l’attività in piedi per molte ore non è consentita per il suo stato di salute e arriva, quindi, il licenziamento. Un colloquio con l’assistente sociale si rende necessario per capire come indirizzare Anna alle varie possibilità di sostegno economico per lei e la sua famiglia. I valori della PHE-S dopo 4 mesi di interventi sono incrementati fino a raggiungere un punteggio pari a 3. Lentamente e con il supporto dell’infermiera e della fisioterapista, Anna inizia ad avere un ruolo attivo nella gestione della sua salute. Si misura costantemente la pressione arteriosa, che si mantiene nei valori consigliati dal cardiologo, si sottopone agli accertamenti di controllo, inizia a riconoscere gli effetti di 60 Engagement e coinvolgimento attivo ciascuna terapia, riesce a fare spostamenti munita di stampelle in autonomia e sostituisce il medico di medicina generale che è andato in pensione con un professionista attivo e collaborante. Infine, riesce a mettere in atto e a mantenere cambiamenti dello stile di vita relativi al suo stato di salute: segue una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, si iscrive alle liste di collocamento speciali per persone con ridotte capacità e inizia a frequentare corsi di formazione per poter avere la possibilità di esercitare un nuovo lavoro.
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Durante la degenza, a seguito di un dolore retrosternale e di una sincope, viene sottoposta a un intervento di endoprotesi di aorta per dissezione acuta.
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Al rientro a casa, nel marzo del 2017, deve proseguire i controlli cardiologici ed eseguire la fisioterapia per gli esiti di intervento al piede e regolari controlli ematici.
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Anna è una donna di 47 anni, vive con il figlio in un piccolo appartamento in un paese carsico, lavora nel campo della ristorazione e, nonostante una patologia genetica familiare che provoca delle alterazioni scheletriche, cardiologiche, oculari e cutanee, vive una vita serena e tranquilla. Ha una buona rete familiare e informale che supporta la famiglia. Viene seguita da un centro di riferimento specifico per patologia rara a Bologna e si sottopone a controlli clinicostrumentali periodici e regolari. Nel gennaio del 2017 esegue un intervento chirurgico di piede torto congenito presso l’Istituto Rizzoli. Durante la degenza, a seguito di un dolore retrosternale e di una sincope, viene sottoposta a un intervento di endoprotesi di aorta per dissezione acuta. Al rientro a casa, nel marzo del 2017, deve proseguire i controlli cardiologici ed eseguire la fisioterapia per gli esiti di intervento al piede e regolari controlli ematici. Non essendo autonoma nella deambulazione, viene presa in carico dai servizi del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste. Anna sembra, in un primo momento, una persona collaborante al piano assistenziale predisposto, ma, dopo un paio di interventi per controllare gli esiti della ferita al piede, si intuisce che qualcosa non funziona. Si somministra la scheda PHE-S® per una valutazione dell’elaborazione del vissuto della malattia, riscontrando un punteggio di 2,5. Parlando con lei emerge una profonda difficoltà ad accettare l’intervento al cuore, riferisce di sentirsi bloccata e ripete spesso: “Sono in black out”. Questa incapacità di reagire è evidente sul piano pratico: non controlla la pressione arteriosa come suggerito dalle dimissioni ospedaliere, non si preoccupa dei risultati delle analisi diagnostico-strumentali, ma è, invece, molto concentrata sul piede che le provoca molto dolore. In questo caso, il piano assistenziale individuale ha previsto un ciclo di fisiokinesiterapia per l’arto inferiore, interventi infermieristici di monitoraggio dei parametri vitali e del dolore, educazione terapeutica, controlli cardiologici ed esami ematochimici. Per lo stato di “black out”, si è proposto l’intervento di una psicoterapeuta del Distretto Sanitario, per cercare di attivare risorse atte a superare lo shock dell’intervento chirurgico al cuore. La vita è cambiata radicalmente per questa giovane donna, non può rientrare presso la sua sede lavorativa, l’attività in piedi per molte ore non è consentita per il suo stato di salute e arriva, quindi, il licenziamento. Un colloquio con l’assistente sociale si rende necessario per capire come indirizzare Anna alle varie possibilità di sostegno economico per lei e la sua famiglia. I valori della PHE-S dopo 4 mesi di interventi sono incrementati fino a raggiungere un punteggio pari a 3. Lentamente e con il supporto dell’infermiera e della fisioterapista, Anna inizia ad avere un ruolo attivo nella gestione della sua salute. Si misura costantemente la pressione arteriosa, che si mantiene nei valori consigliati dal cardiologo, si sottopone agli accertamenti di controllo, inizia a riconoscere gli effetti di 60 Engagement e coinvolgimento attivo ciascuna terapia, riesce a fare spostamenti munita di stampelle in autonomia e sostituisce il medico di medicina generale che è andato in pensione con un professionista attivo e collaborante. Infine, riesce a mettere in atto e a mantenere cambiamenti dello stile di vita relativi al suo stato di salute: segue una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, si iscrive alle liste di collocamento speciali per persone con ridotte capacità e inizia a frequentare corsi di formazione per poter avere la possibilità di esercitare un nuovo lavoro.
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Non essendo autonoma nella deambulazione, viene presa in carico dai servizi del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste.
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Anna è una donna di 47 anni, vive con il figlio in un piccolo appartamento in un paese carsico, lavora nel campo della ristorazione e, nonostante una patologia genetica familiare che provoca delle alterazioni scheletriche, cardiologiche, oculari e cutanee, vive una vita serena e tranquilla. Ha una buona rete familiare e informale che supporta la famiglia. Viene seguita da un centro di riferimento specifico per patologia rara a Bologna e si sottopone a controlli clinicostrumentali periodici e regolari. Nel gennaio del 2017 esegue un intervento chirurgico di piede torto congenito presso l’Istituto Rizzoli. Durante la degenza, a seguito di un dolore retrosternale e di una sincope, viene sottoposta a un intervento di endoprotesi di aorta per dissezione acuta. Al rientro a casa, nel marzo del 2017, deve proseguire i controlli cardiologici ed eseguire la fisioterapia per gli esiti di intervento al piede e regolari controlli ematici. Non essendo autonoma nella deambulazione, viene presa in carico dai servizi del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste. Anna sembra, in un primo momento, una persona collaborante al piano assistenziale predisposto, ma, dopo un paio di interventi per controllare gli esiti della ferita al piede, si intuisce che qualcosa non funziona. Si somministra la scheda PHE-S® per una valutazione dell’elaborazione del vissuto della malattia, riscontrando un punteggio di 2,5. Parlando con lei emerge una profonda difficoltà ad accettare l’intervento al cuore, riferisce di sentirsi bloccata e ripete spesso: “Sono in black out”. Questa incapacità di reagire è evidente sul piano pratico: non controlla la pressione arteriosa come suggerito dalle dimissioni ospedaliere, non si preoccupa dei risultati delle analisi diagnostico-strumentali, ma è, invece, molto concentrata sul piede che le provoca molto dolore. In questo caso, il piano assistenziale individuale ha previsto un ciclo di fisiokinesiterapia per l’arto inferiore, interventi infermieristici di monitoraggio dei parametri vitali e del dolore, educazione terapeutica, controlli cardiologici ed esami ematochimici. Per lo stato di “black out”, si è proposto l’intervento di una psicoterapeuta del Distretto Sanitario, per cercare di attivare risorse atte a superare lo shock dell’intervento chirurgico al cuore. La vita è cambiata radicalmente per questa giovane donna, non può rientrare presso la sua sede lavorativa, l’attività in piedi per molte ore non è consentita per il suo stato di salute e arriva, quindi, il licenziamento. Un colloquio con l’assistente sociale si rende necessario per capire come indirizzare Anna alle varie possibilità di sostegno economico per lei e la sua famiglia. I valori della PHE-S dopo 4 mesi di interventi sono incrementati fino a raggiungere un punteggio pari a 3. Lentamente e con il supporto dell’infermiera e della fisioterapista, Anna inizia ad avere un ruolo attivo nella gestione della sua salute. Si misura costantemente la pressione arteriosa, che si mantiene nei valori consigliati dal cardiologo, si sottopone agli accertamenti di controllo, inizia a riconoscere gli effetti di 60 Engagement e coinvolgimento attivo ciascuna terapia, riesce a fare spostamenti munita di stampelle in autonomia e sostituisce il medico di medicina generale che è andato in pensione con un professionista attivo e collaborante. Infine, riesce a mettere in atto e a mantenere cambiamenti dello stile di vita relativi al suo stato di salute: segue una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, si iscrive alle liste di collocamento speciali per persone con ridotte capacità e inizia a frequentare corsi di formazione per poter avere la possibilità di esercitare un nuovo lavoro.
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Anna sembra, in un primo momento, una persona collaborante al piano assistenziale predisposto, ma, dopo un paio di interventi per controllare gli esiti della ferita al piede, si intuisce che qualcosa non funziona.
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Anna è una donna di 47 anni, vive con il figlio in un piccolo appartamento in un paese carsico, lavora nel campo della ristorazione e, nonostante una patologia genetica familiare che provoca delle alterazioni scheletriche, cardiologiche, oculari e cutanee, vive una vita serena e tranquilla. Ha una buona rete familiare e informale che supporta la famiglia. Viene seguita da un centro di riferimento specifico per patologia rara a Bologna e si sottopone a controlli clinicostrumentali periodici e regolari. Nel gennaio del 2017 esegue un intervento chirurgico di piede torto congenito presso l’Istituto Rizzoli. Durante la degenza, a seguito di un dolore retrosternale e di una sincope, viene sottoposta a un intervento di endoprotesi di aorta per dissezione acuta. Al rientro a casa, nel marzo del 2017, deve proseguire i controlli cardiologici ed eseguire la fisioterapia per gli esiti di intervento al piede e regolari controlli ematici. Non essendo autonoma nella deambulazione, viene presa in carico dai servizi del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste. Anna sembra, in un primo momento, una persona collaborante al piano assistenziale predisposto, ma, dopo un paio di interventi per controllare gli esiti della ferita al piede, si intuisce che qualcosa non funziona. Si somministra la scheda PHE-S® per una valutazione dell’elaborazione del vissuto della malattia, riscontrando un punteggio di 2,5. Parlando con lei emerge una profonda difficoltà ad accettare l’intervento al cuore, riferisce di sentirsi bloccata e ripete spesso: “Sono in black out”. Questa incapacità di reagire è evidente sul piano pratico: non controlla la pressione arteriosa come suggerito dalle dimissioni ospedaliere, non si preoccupa dei risultati delle analisi diagnostico-strumentali, ma è, invece, molto concentrata sul piede che le provoca molto dolore. In questo caso, il piano assistenziale individuale ha previsto un ciclo di fisiokinesiterapia per l’arto inferiore, interventi infermieristici di monitoraggio dei parametri vitali e del dolore, educazione terapeutica, controlli cardiologici ed esami ematochimici. Per lo stato di “black out”, si è proposto l’intervento di una psicoterapeuta del Distretto Sanitario, per cercare di attivare risorse atte a superare lo shock dell’intervento chirurgico al cuore. La vita è cambiata radicalmente per questa giovane donna, non può rientrare presso la sua sede lavorativa, l’attività in piedi per molte ore non è consentita per il suo stato di salute e arriva, quindi, il licenziamento. Un colloquio con l’assistente sociale si rende necessario per capire come indirizzare Anna alle varie possibilità di sostegno economico per lei e la sua famiglia. I valori della PHE-S dopo 4 mesi di interventi sono incrementati fino a raggiungere un punteggio pari a 3. Lentamente e con il supporto dell’infermiera e della fisioterapista, Anna inizia ad avere un ruolo attivo nella gestione della sua salute. Si misura costantemente la pressione arteriosa, che si mantiene nei valori consigliati dal cardiologo, si sottopone agli accertamenti di controllo, inizia a riconoscere gli effetti di 60 Engagement e coinvolgimento attivo ciascuna terapia, riesce a fare spostamenti munita di stampelle in autonomia e sostituisce il medico di medicina generale che è andato in pensione con un professionista attivo e collaborante. Infine, riesce a mettere in atto e a mantenere cambiamenti dello stile di vita relativi al suo stato di salute: segue una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, si iscrive alle liste di collocamento speciali per persone con ridotte capacità e inizia a frequentare corsi di formazione per poter avere la possibilità di esercitare un nuovo lavoro.
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Si somministra la scheda PHE-S® per una valutazione dell’elaborazione del vissuto della malattia, riscontrando un punteggio di 2,5.
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Anna è una donna di 47 anni, vive con il figlio in un piccolo appartamento in un paese carsico, lavora nel campo della ristorazione e, nonostante una patologia genetica familiare che provoca delle alterazioni scheletriche, cardiologiche, oculari e cutanee, vive una vita serena e tranquilla. Ha una buona rete familiare e informale che supporta la famiglia. Viene seguita da un centro di riferimento specifico per patologia rara a Bologna e si sottopone a controlli clinicostrumentali periodici e regolari. Nel gennaio del 2017 esegue un intervento chirurgico di piede torto congenito presso l’Istituto Rizzoli. Durante la degenza, a seguito di un dolore retrosternale e di una sincope, viene sottoposta a un intervento di endoprotesi di aorta per dissezione acuta. Al rientro a casa, nel marzo del 2017, deve proseguire i controlli cardiologici ed eseguire la fisioterapia per gli esiti di intervento al piede e regolari controlli ematici. Non essendo autonoma nella deambulazione, viene presa in carico dai servizi del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste. Anna sembra, in un primo momento, una persona collaborante al piano assistenziale predisposto, ma, dopo un paio di interventi per controllare gli esiti della ferita al piede, si intuisce che qualcosa non funziona. Si somministra la scheda PHE-S® per una valutazione dell’elaborazione del vissuto della malattia, riscontrando un punteggio di 2,5. Parlando con lei emerge una profonda difficoltà ad accettare l’intervento al cuore, riferisce di sentirsi bloccata e ripete spesso: “Sono in black out”. Questa incapacità di reagire è evidente sul piano pratico: non controlla la pressione arteriosa come suggerito dalle dimissioni ospedaliere, non si preoccupa dei risultati delle analisi diagnostico-strumentali, ma è, invece, molto concentrata sul piede che le provoca molto dolore. In questo caso, il piano assistenziale individuale ha previsto un ciclo di fisiokinesiterapia per l’arto inferiore, interventi infermieristici di monitoraggio dei parametri vitali e del dolore, educazione terapeutica, controlli cardiologici ed esami ematochimici. Per lo stato di “black out”, si è proposto l’intervento di una psicoterapeuta del Distretto Sanitario, per cercare di attivare risorse atte a superare lo shock dell’intervento chirurgico al cuore. La vita è cambiata radicalmente per questa giovane donna, non può rientrare presso la sua sede lavorativa, l’attività in piedi per molte ore non è consentita per il suo stato di salute e arriva, quindi, il licenziamento. Un colloquio con l’assistente sociale si rende necessario per capire come indirizzare Anna alle varie possibilità di sostegno economico per lei e la sua famiglia. I valori della PHE-S dopo 4 mesi di interventi sono incrementati fino a raggiungere un punteggio pari a 3. Lentamente e con il supporto dell’infermiera e della fisioterapista, Anna inizia ad avere un ruolo attivo nella gestione della sua salute. Si misura costantemente la pressione arteriosa, che si mantiene nei valori consigliati dal cardiologo, si sottopone agli accertamenti di controllo, inizia a riconoscere gli effetti di 60 Engagement e coinvolgimento attivo ciascuna terapia, riesce a fare spostamenti munita di stampelle in autonomia e sostituisce il medico di medicina generale che è andato in pensione con un professionista attivo e collaborante. Infine, riesce a mettere in atto e a mantenere cambiamenti dello stile di vita relativi al suo stato di salute: segue una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, si iscrive alle liste di collocamento speciali per persone con ridotte capacità e inizia a frequentare corsi di formazione per poter avere la possibilità di esercitare un nuovo lavoro.
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Parlando con lei emerge una profonda difficoltà ad accettare l’intervento al cuore, riferisce di sentirsi bloccata e ripete spesso: “Sono in black out”.
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Anna è una donna di 47 anni, vive con il figlio in un piccolo appartamento in un paese carsico, lavora nel campo della ristorazione e, nonostante una patologia genetica familiare che provoca delle alterazioni scheletriche, cardiologiche, oculari e cutanee, vive una vita serena e tranquilla. Ha una buona rete familiare e informale che supporta la famiglia. Viene seguita da un centro di riferimento specifico per patologia rara a Bologna e si sottopone a controlli clinicostrumentali periodici e regolari. Nel gennaio del 2017 esegue un intervento chirurgico di piede torto congenito presso l’Istituto Rizzoli. Durante la degenza, a seguito di un dolore retrosternale e di una sincope, viene sottoposta a un intervento di endoprotesi di aorta per dissezione acuta. Al rientro a casa, nel marzo del 2017, deve proseguire i controlli cardiologici ed eseguire la fisioterapia per gli esiti di intervento al piede e regolari controlli ematici. Non essendo autonoma nella deambulazione, viene presa in carico dai servizi del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste. Anna sembra, in un primo momento, una persona collaborante al piano assistenziale predisposto, ma, dopo un paio di interventi per controllare gli esiti della ferita al piede, si intuisce che qualcosa non funziona. Si somministra la scheda PHE-S® per una valutazione dell’elaborazione del vissuto della malattia, riscontrando un punteggio di 2,5. Parlando con lei emerge una profonda difficoltà ad accettare l’intervento al cuore, riferisce di sentirsi bloccata e ripete spesso: “Sono in black out”. Questa incapacità di reagire è evidente sul piano pratico: non controlla la pressione arteriosa come suggerito dalle dimissioni ospedaliere, non si preoccupa dei risultati delle analisi diagnostico-strumentali, ma è, invece, molto concentrata sul piede che le provoca molto dolore. In questo caso, il piano assistenziale individuale ha previsto un ciclo di fisiokinesiterapia per l’arto inferiore, interventi infermieristici di monitoraggio dei parametri vitali e del dolore, educazione terapeutica, controlli cardiologici ed esami ematochimici. Per lo stato di “black out”, si è proposto l’intervento di una psicoterapeuta del Distretto Sanitario, per cercare di attivare risorse atte a superare lo shock dell’intervento chirurgico al cuore. La vita è cambiata radicalmente per questa giovane donna, non può rientrare presso la sua sede lavorativa, l’attività in piedi per molte ore non è consentita per il suo stato di salute e arriva, quindi, il licenziamento. Un colloquio con l’assistente sociale si rende necessario per capire come indirizzare Anna alle varie possibilità di sostegno economico per lei e la sua famiglia. I valori della PHE-S dopo 4 mesi di interventi sono incrementati fino a raggiungere un punteggio pari a 3. Lentamente e con il supporto dell’infermiera e della fisioterapista, Anna inizia ad avere un ruolo attivo nella gestione della sua salute. Si misura costantemente la pressione arteriosa, che si mantiene nei valori consigliati dal cardiologo, si sottopone agli accertamenti di controllo, inizia a riconoscere gli effetti di 60 Engagement e coinvolgimento attivo ciascuna terapia, riesce a fare spostamenti munita di stampelle in autonomia e sostituisce il medico di medicina generale che è andato in pensione con un professionista attivo e collaborante. Infine, riesce a mettere in atto e a mantenere cambiamenti dello stile di vita relativi al suo stato di salute: segue una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, si iscrive alle liste di collocamento speciali per persone con ridotte capacità e inizia a frequentare corsi di formazione per poter avere la possibilità di esercitare un nuovo lavoro.
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Questa incapacità di reagire è evidente sul piano pratico: non controlla la pressione arteriosa come suggerito dalle dimissioni ospedaliere, non si preoccupa dei risultati delle analisi diagnostico-strumentali, ma è, invece, molto concentrata sul piede che le provoca molto dolore.
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Anna è una donna di 47 anni, vive con il figlio in un piccolo appartamento in un paese carsico, lavora nel campo della ristorazione e, nonostante una patologia genetica familiare che provoca delle alterazioni scheletriche, cardiologiche, oculari e cutanee, vive una vita serena e tranquilla. Ha una buona rete familiare e informale che supporta la famiglia. Viene seguita da un centro di riferimento specifico per patologia rara a Bologna e si sottopone a controlli clinicostrumentali periodici e regolari. Nel gennaio del 2017 esegue un intervento chirurgico di piede torto congenito presso l’Istituto Rizzoli. Durante la degenza, a seguito di un dolore retrosternale e di una sincope, viene sottoposta a un intervento di endoprotesi di aorta per dissezione acuta. Al rientro a casa, nel marzo del 2017, deve proseguire i controlli cardiologici ed eseguire la fisioterapia per gli esiti di intervento al piede e regolari controlli ematici. Non essendo autonoma nella deambulazione, viene presa in carico dai servizi del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste. Anna sembra, in un primo momento, una persona collaborante al piano assistenziale predisposto, ma, dopo un paio di interventi per controllare gli esiti della ferita al piede, si intuisce che qualcosa non funziona. Si somministra la scheda PHE-S® per una valutazione dell’elaborazione del vissuto della malattia, riscontrando un punteggio di 2,5. Parlando con lei emerge una profonda difficoltà ad accettare l’intervento al cuore, riferisce di sentirsi bloccata e ripete spesso: “Sono in black out”. Questa incapacità di reagire è evidente sul piano pratico: non controlla la pressione arteriosa come suggerito dalle dimissioni ospedaliere, non si preoccupa dei risultati delle analisi diagnostico-strumentali, ma è, invece, molto concentrata sul piede che le provoca molto dolore. In questo caso, il piano assistenziale individuale ha previsto un ciclo di fisiokinesiterapia per l’arto inferiore, interventi infermieristici di monitoraggio dei parametri vitali e del dolore, educazione terapeutica, controlli cardiologici ed esami ematochimici. Per lo stato di “black out”, si è proposto l’intervento di una psicoterapeuta del Distretto Sanitario, per cercare di attivare risorse atte a superare lo shock dell’intervento chirurgico al cuore. La vita è cambiata radicalmente per questa giovane donna, non può rientrare presso la sua sede lavorativa, l’attività in piedi per molte ore non è consentita per il suo stato di salute e arriva, quindi, il licenziamento. Un colloquio con l’assistente sociale si rende necessario per capire come indirizzare Anna alle varie possibilità di sostegno economico per lei e la sua famiglia. I valori della PHE-S dopo 4 mesi di interventi sono incrementati fino a raggiungere un punteggio pari a 3. Lentamente e con il supporto dell’infermiera e della fisioterapista, Anna inizia ad avere un ruolo attivo nella gestione della sua salute. Si misura costantemente la pressione arteriosa, che si mantiene nei valori consigliati dal cardiologo, si sottopone agli accertamenti di controllo, inizia a riconoscere gli effetti di 60 Engagement e coinvolgimento attivo ciascuna terapia, riesce a fare spostamenti munita di stampelle in autonomia e sostituisce il medico di medicina generale che è andato in pensione con un professionista attivo e collaborante. Infine, riesce a mettere in atto e a mantenere cambiamenti dello stile di vita relativi al suo stato di salute: segue una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, si iscrive alle liste di collocamento speciali per persone con ridotte capacità e inizia a frequentare corsi di formazione per poter avere la possibilità di esercitare un nuovo lavoro.
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In questo caso, il piano assistenziale individuale ha previsto un ciclo di fisiokinesiterapia per l’arto inferiore, interventi infermieristici di monitoraggio dei parametri vitali e del dolore, educazione terapeutica, controlli cardiologici ed esami ematochimici.
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Per lo stato di “black out”, si è proposto l’intervento di una psicoterapeuta del Distretto Sanitario, per cercare di attivare risorse atte a superare lo shock dell’intervento chirurgico al cuore.
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Anna è una donna di 47 anni, vive con il figlio in un piccolo appartamento in un paese carsico, lavora nel campo della ristorazione e, nonostante una patologia genetica familiare che provoca delle alterazioni scheletriche, cardiologiche, oculari e cutanee, vive una vita serena e tranquilla. Ha una buona rete familiare e informale che supporta la famiglia. Viene seguita da un centro di riferimento specifico per patologia rara a Bologna e si sottopone a controlli clinicostrumentali periodici e regolari. Nel gennaio del 2017 esegue un intervento chirurgico di piede torto congenito presso l’Istituto Rizzoli. Durante la degenza, a seguito di un dolore retrosternale e di una sincope, viene sottoposta a un intervento di endoprotesi di aorta per dissezione acuta. Al rientro a casa, nel marzo del 2017, deve proseguire i controlli cardiologici ed eseguire la fisioterapia per gli esiti di intervento al piede e regolari controlli ematici. Non essendo autonoma nella deambulazione, viene presa in carico dai servizi del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste. Anna sembra, in un primo momento, una persona collaborante al piano assistenziale predisposto, ma, dopo un paio di interventi per controllare gli esiti della ferita al piede, si intuisce che qualcosa non funziona. Si somministra la scheda PHE-S® per una valutazione dell’elaborazione del vissuto della malattia, riscontrando un punteggio di 2,5. Parlando con lei emerge una profonda difficoltà ad accettare l’intervento al cuore, riferisce di sentirsi bloccata e ripete spesso: “Sono in black out”. Questa incapacità di reagire è evidente sul piano pratico: non controlla la pressione arteriosa come suggerito dalle dimissioni ospedaliere, non si preoccupa dei risultati delle analisi diagnostico-strumentali, ma è, invece, molto concentrata sul piede che le provoca molto dolore. In questo caso, il piano assistenziale individuale ha previsto un ciclo di fisiokinesiterapia per l’arto inferiore, interventi infermieristici di monitoraggio dei parametri vitali e del dolore, educazione terapeutica, controlli cardiologici ed esami ematochimici. Per lo stato di “black out”, si è proposto l’intervento di una psicoterapeuta del Distretto Sanitario, per cercare di attivare risorse atte a superare lo shock dell’intervento chirurgico al cuore. La vita è cambiata radicalmente per questa giovane donna, non può rientrare presso la sua sede lavorativa, l’attività in piedi per molte ore non è consentita per il suo stato di salute e arriva, quindi, il licenziamento. Un colloquio con l’assistente sociale si rende necessario per capire come indirizzare Anna alle varie possibilità di sostegno economico per lei e la sua famiglia. I valori della PHE-S dopo 4 mesi di interventi sono incrementati fino a raggiungere un punteggio pari a 3. Lentamente e con il supporto dell’infermiera e della fisioterapista, Anna inizia ad avere un ruolo attivo nella gestione della sua salute. Si misura costantemente la pressione arteriosa, che si mantiene nei valori consigliati dal cardiologo, si sottopone agli accertamenti di controllo, inizia a riconoscere gli effetti di 60 Engagement e coinvolgimento attivo ciascuna terapia, riesce a fare spostamenti munita di stampelle in autonomia e sostituisce il medico di medicina generale che è andato in pensione con un professionista attivo e collaborante. Infine, riesce a mettere in atto e a mantenere cambiamenti dello stile di vita relativi al suo stato di salute: segue una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, si iscrive alle liste di collocamento speciali per persone con ridotte capacità e inizia a frequentare corsi di formazione per poter avere la possibilità di esercitare un nuovo lavoro.
IT100002
La vita è cambiata radicalmente per questa giovane donna, non può rientrare presso la sua sede lavorativa, l’attività in piedi per molte ore non è consentita per il suo stato di salute e arriva, quindi, il licenziamento.
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Un colloquio con l’assistente sociale si rende necessario per capire come indirizzare Anna alle varie possibilità di sostegno economico per lei e la sua famiglia.
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I valori della PHE-S dopo 4 mesi di interventi sono incrementati fino a raggiungere un punteggio pari a 3.
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Anna è una donna di 47 anni, vive con il figlio in un piccolo appartamento in un paese carsico, lavora nel campo della ristorazione e, nonostante una patologia genetica familiare che provoca delle alterazioni scheletriche, cardiologiche, oculari e cutanee, vive una vita serena e tranquilla. Ha una buona rete familiare e informale che supporta la famiglia. Viene seguita da un centro di riferimento specifico per patologia rara a Bologna e si sottopone a controlli clinicostrumentali periodici e regolari. Nel gennaio del 2017 esegue un intervento chirurgico di piede torto congenito presso l’Istituto Rizzoli. Durante la degenza, a seguito di un dolore retrosternale e di una sincope, viene sottoposta a un intervento di endoprotesi di aorta per dissezione acuta. Al rientro a casa, nel marzo del 2017, deve proseguire i controlli cardiologici ed eseguire la fisioterapia per gli esiti di intervento al piede e regolari controlli ematici. Non essendo autonoma nella deambulazione, viene presa in carico dai servizi del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste. Anna sembra, in un primo momento, una persona collaborante al piano assistenziale predisposto, ma, dopo un paio di interventi per controllare gli esiti della ferita al piede, si intuisce che qualcosa non funziona. Si somministra la scheda PHE-S® per una valutazione dell’elaborazione del vissuto della malattia, riscontrando un punteggio di 2,5. Parlando con lei emerge una profonda difficoltà ad accettare l’intervento al cuore, riferisce di sentirsi bloccata e ripete spesso: “Sono in black out”. Questa incapacità di reagire è evidente sul piano pratico: non controlla la pressione arteriosa come suggerito dalle dimissioni ospedaliere, non si preoccupa dei risultati delle analisi diagnostico-strumentali, ma è, invece, molto concentrata sul piede che le provoca molto dolore. In questo caso, il piano assistenziale individuale ha previsto un ciclo di fisiokinesiterapia per l’arto inferiore, interventi infermieristici di monitoraggio dei parametri vitali e del dolore, educazione terapeutica, controlli cardiologici ed esami ematochimici. Per lo stato di “black out”, si è proposto l’intervento di una psicoterapeuta del Distretto Sanitario, per cercare di attivare risorse atte a superare lo shock dell’intervento chirurgico al cuore. La vita è cambiata radicalmente per questa giovane donna, non può rientrare presso la sua sede lavorativa, l’attività in piedi per molte ore non è consentita per il suo stato di salute e arriva, quindi, il licenziamento. Un colloquio con l’assistente sociale si rende necessario per capire come indirizzare Anna alle varie possibilità di sostegno economico per lei e la sua famiglia. I valori della PHE-S dopo 4 mesi di interventi sono incrementati fino a raggiungere un punteggio pari a 3. Lentamente e con il supporto dell’infermiera e della fisioterapista, Anna inizia ad avere un ruolo attivo nella gestione della sua salute. Si misura costantemente la pressione arteriosa, che si mantiene nei valori consigliati dal cardiologo, si sottopone agli accertamenti di controllo, inizia a riconoscere gli effetti di 60 Engagement e coinvolgimento attivo ciascuna terapia, riesce a fare spostamenti munita di stampelle in autonomia e sostituisce il medico di medicina generale che è andato in pensione con un professionista attivo e collaborante. Infine, riesce a mettere in atto e a mantenere cambiamenti dello stile di vita relativi al suo stato di salute: segue una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, si iscrive alle liste di collocamento speciali per persone con ridotte capacità e inizia a frequentare corsi di formazione per poter avere la possibilità di esercitare un nuovo lavoro.
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Si misura costantemente la pressione arteriosa, che si mantiene nei valori consigliati dal cardiologo, si sottopone agli accertamenti di controllo, inizia a riconoscere gli effetti di 60 Engagement e coinvolgimento attivo ciascuna terapia, riesce a fare spostamenti munita di stampelle in autonomia e sostituisce il medico di medicina generale che è andato in pensione con un professionista attivo e collaborante.
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IT100002
Infine, riesce a mettere in atto e a mantenere cambiamenti dello stile di vita relativi al suo stato di salute: segue una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, si iscrive alle liste di collocamento speciali per persone con ridotte capacità e inizia a frequentare corsi di formazione per poter avere la possibilità di esercitare un nuovo lavoro.
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Anna è una donna di 47 anni, vive con il figlio in un piccolo appartamento in un paese carsico, lavora nel campo della ristorazione e, nonostante una patologia genetica familiare che provoca delle alterazioni scheletriche, cardiologiche, oculari e cutanee, vive una vita serena e tranquilla. Ha una buona rete familiare e informale che supporta la famiglia. Viene seguita da un centro di riferimento specifico per patologia rara a Bologna e si sottopone a controlli clinicostrumentali periodici e regolari. Nel gennaio del 2017 esegue un intervento chirurgico di piede torto congenito presso l’Istituto Rizzoli. Durante la degenza, a seguito di un dolore retrosternale e di una sincope, viene sottoposta a un intervento di endoprotesi di aorta per dissezione acuta. Al rientro a casa, nel marzo del 2017, deve proseguire i controlli cardiologici ed eseguire la fisioterapia per gli esiti di intervento al piede e regolari controlli ematici. Non essendo autonoma nella deambulazione, viene presa in carico dai servizi del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste. Anna sembra, in un primo momento, una persona collaborante al piano assistenziale predisposto, ma, dopo un paio di interventi per controllare gli esiti della ferita al piede, si intuisce che qualcosa non funziona. Si somministra la scheda PHE-S® per una valutazione dell’elaborazione del vissuto della malattia, riscontrando un punteggio di 2,5. Parlando con lei emerge una profonda difficoltà ad accettare l’intervento al cuore, riferisce di sentirsi bloccata e ripete spesso: “Sono in black out”. Questa incapacità di reagire è evidente sul piano pratico: non controlla la pressione arteriosa come suggerito dalle dimissioni ospedaliere, non si preoccupa dei risultati delle analisi diagnostico-strumentali, ma è, invece, molto concentrata sul piede che le provoca molto dolore. In questo caso, il piano assistenziale individuale ha previsto un ciclo di fisiokinesiterapia per l’arto inferiore, interventi infermieristici di monitoraggio dei parametri vitali e del dolore, educazione terapeutica, controlli cardiologici ed esami ematochimici. Per lo stato di “black out”, si è proposto l’intervento di una psicoterapeuta del Distretto Sanitario, per cercare di attivare risorse atte a superare lo shock dell’intervento chirurgico al cuore. La vita è cambiata radicalmente per questa giovane donna, non può rientrare presso la sua sede lavorativa, l’attività in piedi per molte ore non è consentita per il suo stato di salute e arriva, quindi, il licenziamento. Un colloquio con l’assistente sociale si rende necessario per capire come indirizzare Anna alle varie possibilità di sostegno economico per lei e la sua famiglia. I valori della PHE-S dopo 4 mesi di interventi sono incrementati fino a raggiungere un punteggio pari a 3. Lentamente e con il supporto dell’infermiera e della fisioterapista, Anna inizia ad avere un ruolo attivo nella gestione della sua salute. Si misura costantemente la pressione arteriosa, che si mantiene nei valori consigliati dal cardiologo, si sottopone agli accertamenti di controllo, inizia a riconoscere gli effetti di 60 Engagement e coinvolgimento attivo ciascuna terapia, riesce a fare spostamenti munita di stampelle in autonomia e sostituisce il medico di medicina generale che è andato in pensione con un professionista attivo e collaborante. Infine, riesce a mettere in atto e a mantenere cambiamenti dello stile di vita relativi al suo stato di salute: segue una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, si iscrive alle liste di collocamento speciali per persone con ridotte capacità e inizia a frequentare corsi di formazione per poter avere la possibilità di esercitare un nuovo lavoro.
IT100002
Il signor Franco, di anni 62 viene accompagnato al PS dal 118 perché presenta cefalea generalizzata, acufeni, nausea e vomito, bradicardia, vertigini, crisi convulsive e alterazioni dello stato di coscienza.
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Il signor Franco, di anni 62 viene accompagnato al PS dal 118 perché presenta cefalea generalizzata, acufeni, nausea e vomito, bradicardia, vertigini, crisi convulsive e alterazioni dello stato di coscienza. Il signor Franco soffre di ipertensione arteriosa, 2 anni fa gli è stata diagnosticata la fibrillazione atriale, e per questo è in trattamento con anticoagulante. Il medico decide di fare una TC Cranio che evidenzia l'aumento della PIC a causa di un'emorragia cerebrale. Verosimilmente da attribuire alla presenza di un picco pressorio. Il paziente viene operato d’urgenza e a fine intervento viene posizionato un drenaggio per il monitoraggio della PIC.
IT101097
Il signor Franco soffre di ipertensione arteriosa, 2 anni fa gli è stata diagnosticata la fibrillazione atriale, e per questo è in trattamento con anticoagulante.
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Il signor Franco, di anni 62 viene accompagnato al PS dal 118 perché presenta cefalea generalizzata, acufeni, nausea e vomito, bradicardia, vertigini, crisi convulsive e alterazioni dello stato di coscienza. Il signor Franco soffre di ipertensione arteriosa, 2 anni fa gli è stata diagnosticata la fibrillazione atriale, e per questo è in trattamento con anticoagulante. Il medico decide di fare una TC Cranio che evidenzia l'aumento della PIC a causa di un'emorragia cerebrale. Verosimilmente da attribuire alla presenza di un picco pressorio. Il paziente viene operato d’urgenza e a fine intervento viene posizionato un drenaggio per il monitoraggio della PIC.
IT101097
Il medico decide di fare una TC Cranio che evidenzia l'aumento della PIC a causa di un'emorragia cerebrale.
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Il signor Franco, di anni 62 viene accompagnato al PS dal 118 perché presenta cefalea generalizzata, acufeni, nausea e vomito, bradicardia, vertigini, crisi convulsive e alterazioni dello stato di coscienza. Il signor Franco soffre di ipertensione arteriosa, 2 anni fa gli è stata diagnosticata la fibrillazione atriale, e per questo è in trattamento con anticoagulante. Il medico decide di fare una TC Cranio che evidenzia l'aumento della PIC a causa di un'emorragia cerebrale. Verosimilmente da attribuire alla presenza di un picco pressorio. Il paziente viene operato d’urgenza e a fine intervento viene posizionato un drenaggio per il monitoraggio della PIC.
IT101097
Verosimilmente da attribuire alla presenza di un picco pressorio.
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Il signor Franco, di anni 62 viene accompagnato al PS dal 118 perché presenta cefalea generalizzata, acufeni, nausea e vomito, bradicardia, vertigini, crisi convulsive e alterazioni dello stato di coscienza. Il signor Franco soffre di ipertensione arteriosa, 2 anni fa gli è stata diagnosticata la fibrillazione atriale, e per questo è in trattamento con anticoagulante. Il medico decide di fare una TC Cranio che evidenzia l'aumento della PIC a causa di un'emorragia cerebrale. Verosimilmente da attribuire alla presenza di un picco pressorio. Il paziente viene operato d’urgenza e a fine intervento viene posizionato un drenaggio per il monitoraggio della PIC.
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Il paziente viene operato d’urgenza e a fine intervento viene posizionato un drenaggio per il monitoraggio della PIC.
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Il signor Franco, di anni 62 viene accompagnato al PS dal 118 perché presenta cefalea generalizzata, acufeni, nausea e vomito, bradicardia, vertigini, crisi convulsive e alterazioni dello stato di coscienza. Il signor Franco soffre di ipertensione arteriosa, 2 anni fa gli è stata diagnosticata la fibrillazione atriale, e per questo è in trattamento con anticoagulante. Il medico decide di fare una TC Cranio che evidenzia l'aumento della PIC a causa di un'emorragia cerebrale. Verosimilmente da attribuire alla presenza di un picco pressorio. Il paziente viene operato d’urgenza e a fine intervento viene posizionato un drenaggio per il monitoraggio della PIC.
IT101097
Si descrive il caso di una paziente di anni 52, con diagnosi bioptica nel 1983 di GN membranosa, sottrattasi al follow-up per alcuni anni e ripresa in carico ambulatoriale con un grado di insufficienza renale avanzato (Crs 4,5 mg/dl).
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Si descrive il caso di una paziente di anni 52, con diagnosi bioptica nel 1983 di GN membranosa, sottrattasi al follow-up per alcuni anni e ripresa in carico ambulatoriale con un grado di insufficienza renale avanzato (Crs 4,5 mg/dl). Costituzionalmente obesa (BMI = 34), era stata esclusa dalla dialisi peritoneale per la presenza di alcune controindicazioni cliniche insieme a scarsa accettazione della paziente. Nel maggio 2005 era stata sottoposta a un primo intervento di confezionamento di FAV radiocefalica sinistra che poche settimane dopo, in concomitanza di un episodio ipotensivo, andava incontro a trombosi precoce. Alla fine dello stesso anno si procedeva con successo all’allestimento di una FAV prossimale omerocefalica sinistra. Il trattamento emodialitico cronico era infine avviato nel dicembre 2006. Dopo circa 12 mesi di dialisi trascorsi senza problemi clinici, si osservavano progressivi segni di dilatazione, tortuosità, iperpulsatilità della FAV con tempi di tamponamento prolungati a fine dialisi. L’esecuzione di un ecodoppler, non metteva in evidenza segni di stenosi sul decorso della vena a livello del braccio, mentre più prossimalmente il colordoppler registrava a livello del tratto precedente la confluenza cefalico-succlavia spiccate turbolenze cui corrispondeva al duplex un notevole aumento della velocità di flusso fino a 4,5 m/s. Il reperto nel complesso deponeva per la presenza di una stenosi serrata. Lo studio flebografico confermava una stenosi pre-occlusiva alla confluenza tra vena cefalica e succlavia che veniva trattata con PTA a 7 mm e successivamente a 9 mm a 14 atm, ottenendo l’adeguato ripristino del calibro vascolare. Veniva inserita terapia antiaggregante con 100 mg/die di acido acetilsalicilico. Il controllo ecodoppler del novembre 2008 evidenziava recidiva della stenosi precedentemente dilatata che veniva sottoposta nuovamente a PTA mediante cateteri a palloncino da 7 e 8 mm sino a 30 atm e successivamente da 10 mm, con buon esito angiografico. Tuttavia nel marzo 2009 l’ecodoppler mostrava ancora segni di recidiva stenotica: dopo un inefficace tentativo di dilatazione con palloni ad alta pressione (Conquest da 7 e 8 mm gonfiati fino a 30 atmosfere), l’angioradiologo poneva indicazione a posizionamento di stent convenzionale a 9 mm con buon risultato finale e senza complicanze. La terapia antiaggregante veniva potenziata con doppia copertura farmacologica (acido acetilsalicilico 100 mg + ticlopidina 250 mg die). Nel periodo a seguire fino al maggio 2011 i controlli ecodoppler hanno sempre confermato pervietà dello stent senza segni di restenosi. La misurazione del flusso dell’accesso eseguita con il metodo della diluizione degli ultrasuoni (Transonic) a partire dalla prima procedura ha costantemente evidenziato un’elevata portata della FAV (range 2500-3000 ml/min).
IT100015
Costituzionalmente obesa (BMI = 34), era stata esclusa dalla dialisi peritoneale per la presenza di alcune controindicazioni cliniche insieme a scarsa accettazione della paziente.
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Si descrive il caso di una paziente di anni 52, con diagnosi bioptica nel 1983 di GN membranosa, sottrattasi al follow-up per alcuni anni e ripresa in carico ambulatoriale con un grado di insufficienza renale avanzato (Crs 4,5 mg/dl). Costituzionalmente obesa (BMI = 34), era stata esclusa dalla dialisi peritoneale per la presenza di alcune controindicazioni cliniche insieme a scarsa accettazione della paziente. Nel maggio 2005 era stata sottoposta a un primo intervento di confezionamento di FAV radiocefalica sinistra che poche settimane dopo, in concomitanza di un episodio ipotensivo, andava incontro a trombosi precoce. Alla fine dello stesso anno si procedeva con successo all’allestimento di una FAV prossimale omerocefalica sinistra. Il trattamento emodialitico cronico era infine avviato nel dicembre 2006. Dopo circa 12 mesi di dialisi trascorsi senza problemi clinici, si osservavano progressivi segni di dilatazione, tortuosità, iperpulsatilità della FAV con tempi di tamponamento prolungati a fine dialisi. L’esecuzione di un ecodoppler, non metteva in evidenza segni di stenosi sul decorso della vena a livello del braccio, mentre più prossimalmente il colordoppler registrava a livello del tratto precedente la confluenza cefalico-succlavia spiccate turbolenze cui corrispondeva al duplex un notevole aumento della velocità di flusso fino a 4,5 m/s. Il reperto nel complesso deponeva per la presenza di una stenosi serrata. Lo studio flebografico confermava una stenosi pre-occlusiva alla confluenza tra vena cefalica e succlavia che veniva trattata con PTA a 7 mm e successivamente a 9 mm a 14 atm, ottenendo l’adeguato ripristino del calibro vascolare. Veniva inserita terapia antiaggregante con 100 mg/die di acido acetilsalicilico. Il controllo ecodoppler del novembre 2008 evidenziava recidiva della stenosi precedentemente dilatata che veniva sottoposta nuovamente a PTA mediante cateteri a palloncino da 7 e 8 mm sino a 30 atm e successivamente da 10 mm, con buon esito angiografico. Tuttavia nel marzo 2009 l’ecodoppler mostrava ancora segni di recidiva stenotica: dopo un inefficace tentativo di dilatazione con palloni ad alta pressione (Conquest da 7 e 8 mm gonfiati fino a 30 atmosfere), l’angioradiologo poneva indicazione a posizionamento di stent convenzionale a 9 mm con buon risultato finale e senza complicanze. La terapia antiaggregante veniva potenziata con doppia copertura farmacologica (acido acetilsalicilico 100 mg + ticlopidina 250 mg die). Nel periodo a seguire fino al maggio 2011 i controlli ecodoppler hanno sempre confermato pervietà dello stent senza segni di restenosi. La misurazione del flusso dell’accesso eseguita con il metodo della diluizione degli ultrasuoni (Transonic) a partire dalla prima procedura ha costantemente evidenziato un’elevata portata della FAV (range 2500-3000 ml/min).
IT100015
Nel maggio 2005 era stata sottoposta a un primo intervento di confezionamento di FAV radiocefalica sinistra che poche settimane dopo, in concomitanza di un episodio ipotensivo, andava incontro a trombosi precoce.
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Si descrive il caso di una paziente di anni 52, con diagnosi bioptica nel 1983 di GN membranosa, sottrattasi al follow-up per alcuni anni e ripresa in carico ambulatoriale con un grado di insufficienza renale avanzato (Crs 4,5 mg/dl). Costituzionalmente obesa (BMI = 34), era stata esclusa dalla dialisi peritoneale per la presenza di alcune controindicazioni cliniche insieme a scarsa accettazione della paziente. Nel maggio 2005 era stata sottoposta a un primo intervento di confezionamento di FAV radiocefalica sinistra che poche settimane dopo, in concomitanza di un episodio ipotensivo, andava incontro a trombosi precoce. Alla fine dello stesso anno si procedeva con successo all’allestimento di una FAV prossimale omerocefalica sinistra. Il trattamento emodialitico cronico era infine avviato nel dicembre 2006. Dopo circa 12 mesi di dialisi trascorsi senza problemi clinici, si osservavano progressivi segni di dilatazione, tortuosità, iperpulsatilità della FAV con tempi di tamponamento prolungati a fine dialisi. L’esecuzione di un ecodoppler, non metteva in evidenza segni di stenosi sul decorso della vena a livello del braccio, mentre più prossimalmente il colordoppler registrava a livello del tratto precedente la confluenza cefalico-succlavia spiccate turbolenze cui corrispondeva al duplex un notevole aumento della velocità di flusso fino a 4,5 m/s. Il reperto nel complesso deponeva per la presenza di una stenosi serrata. Lo studio flebografico confermava una stenosi pre-occlusiva alla confluenza tra vena cefalica e succlavia che veniva trattata con PTA a 7 mm e successivamente a 9 mm a 14 atm, ottenendo l’adeguato ripristino del calibro vascolare. Veniva inserita terapia antiaggregante con 100 mg/die di acido acetilsalicilico. Il controllo ecodoppler del novembre 2008 evidenziava recidiva della stenosi precedentemente dilatata che veniva sottoposta nuovamente a PTA mediante cateteri a palloncino da 7 e 8 mm sino a 30 atm e successivamente da 10 mm, con buon esito angiografico. Tuttavia nel marzo 2009 l’ecodoppler mostrava ancora segni di recidiva stenotica: dopo un inefficace tentativo di dilatazione con palloni ad alta pressione (Conquest da 7 e 8 mm gonfiati fino a 30 atmosfere), l’angioradiologo poneva indicazione a posizionamento di stent convenzionale a 9 mm con buon risultato finale e senza complicanze. La terapia antiaggregante veniva potenziata con doppia copertura farmacologica (acido acetilsalicilico 100 mg + ticlopidina 250 mg die). Nel periodo a seguire fino al maggio 2011 i controlli ecodoppler hanno sempre confermato pervietà dello stent senza segni di restenosi. La misurazione del flusso dell’accesso eseguita con il metodo della diluizione degli ultrasuoni (Transonic) a partire dalla prima procedura ha costantemente evidenziato un’elevata portata della FAV (range 2500-3000 ml/min).
IT100015
Alla fine dello stesso anno si procedeva con successo all’allestimento di una FAV prossimale omerocefalica sinistra.
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Si descrive il caso di una paziente di anni 52, con diagnosi bioptica nel 1983 di GN membranosa, sottrattasi al follow-up per alcuni anni e ripresa in carico ambulatoriale con un grado di insufficienza renale avanzato (Crs 4,5 mg/dl). Costituzionalmente obesa (BMI = 34), era stata esclusa dalla dialisi peritoneale per la presenza di alcune controindicazioni cliniche insieme a scarsa accettazione della paziente. Nel maggio 2005 era stata sottoposta a un primo intervento di confezionamento di FAV radiocefalica sinistra che poche settimane dopo, in concomitanza di un episodio ipotensivo, andava incontro a trombosi precoce. Alla fine dello stesso anno si procedeva con successo all’allestimento di una FAV prossimale omerocefalica sinistra. Il trattamento emodialitico cronico era infine avviato nel dicembre 2006. Dopo circa 12 mesi di dialisi trascorsi senza problemi clinici, si osservavano progressivi segni di dilatazione, tortuosità, iperpulsatilità della FAV con tempi di tamponamento prolungati a fine dialisi. L’esecuzione di un ecodoppler, non metteva in evidenza segni di stenosi sul decorso della vena a livello del braccio, mentre più prossimalmente il colordoppler registrava a livello del tratto precedente la confluenza cefalico-succlavia spiccate turbolenze cui corrispondeva al duplex un notevole aumento della velocità di flusso fino a 4,5 m/s. Il reperto nel complesso deponeva per la presenza di una stenosi serrata. Lo studio flebografico confermava una stenosi pre-occlusiva alla confluenza tra vena cefalica e succlavia che veniva trattata con PTA a 7 mm e successivamente a 9 mm a 14 atm, ottenendo l’adeguato ripristino del calibro vascolare. Veniva inserita terapia antiaggregante con 100 mg/die di acido acetilsalicilico. Il controllo ecodoppler del novembre 2008 evidenziava recidiva della stenosi precedentemente dilatata che veniva sottoposta nuovamente a PTA mediante cateteri a palloncino da 7 e 8 mm sino a 30 atm e successivamente da 10 mm, con buon esito angiografico. Tuttavia nel marzo 2009 l’ecodoppler mostrava ancora segni di recidiva stenotica: dopo un inefficace tentativo di dilatazione con palloni ad alta pressione (Conquest da 7 e 8 mm gonfiati fino a 30 atmosfere), l’angioradiologo poneva indicazione a posizionamento di stent convenzionale a 9 mm con buon risultato finale e senza complicanze. La terapia antiaggregante veniva potenziata con doppia copertura farmacologica (acido acetilsalicilico 100 mg + ticlopidina 250 mg die). Nel periodo a seguire fino al maggio 2011 i controlli ecodoppler hanno sempre confermato pervietà dello stent senza segni di restenosi. La misurazione del flusso dell’accesso eseguita con il metodo della diluizione degli ultrasuoni (Transonic) a partire dalla prima procedura ha costantemente evidenziato un’elevata portata della FAV (range 2500-3000 ml/min).
IT100015
Il trattamento emodialitico cronico era infine avviato nel dicembre 2006.
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Si descrive il caso di una paziente di anni 52, con diagnosi bioptica nel 1983 di GN membranosa, sottrattasi al follow-up per alcuni anni e ripresa in carico ambulatoriale con un grado di insufficienza renale avanzato (Crs 4,5 mg/dl). Costituzionalmente obesa (BMI = 34), era stata esclusa dalla dialisi peritoneale per la presenza di alcune controindicazioni cliniche insieme a scarsa accettazione della paziente. Nel maggio 2005 era stata sottoposta a un primo intervento di confezionamento di FAV radiocefalica sinistra che poche settimane dopo, in concomitanza di un episodio ipotensivo, andava incontro a trombosi precoce. Alla fine dello stesso anno si procedeva con successo all’allestimento di una FAV prossimale omerocefalica sinistra. Il trattamento emodialitico cronico era infine avviato nel dicembre 2006. Dopo circa 12 mesi di dialisi trascorsi senza problemi clinici, si osservavano progressivi segni di dilatazione, tortuosità, iperpulsatilità della FAV con tempi di tamponamento prolungati a fine dialisi. L’esecuzione di un ecodoppler, non metteva in evidenza segni di stenosi sul decorso della vena a livello del braccio, mentre più prossimalmente il colordoppler registrava a livello del tratto precedente la confluenza cefalico-succlavia spiccate turbolenze cui corrispondeva al duplex un notevole aumento della velocità di flusso fino a 4,5 m/s. Il reperto nel complesso deponeva per la presenza di una stenosi serrata. Lo studio flebografico confermava una stenosi pre-occlusiva alla confluenza tra vena cefalica e succlavia che veniva trattata con PTA a 7 mm e successivamente a 9 mm a 14 atm, ottenendo l’adeguato ripristino del calibro vascolare. Veniva inserita terapia antiaggregante con 100 mg/die di acido acetilsalicilico. Il controllo ecodoppler del novembre 2008 evidenziava recidiva della stenosi precedentemente dilatata che veniva sottoposta nuovamente a PTA mediante cateteri a palloncino da 7 e 8 mm sino a 30 atm e successivamente da 10 mm, con buon esito angiografico. Tuttavia nel marzo 2009 l’ecodoppler mostrava ancora segni di recidiva stenotica: dopo un inefficace tentativo di dilatazione con palloni ad alta pressione (Conquest da 7 e 8 mm gonfiati fino a 30 atmosfere), l’angioradiologo poneva indicazione a posizionamento di stent convenzionale a 9 mm con buon risultato finale e senza complicanze. La terapia antiaggregante veniva potenziata con doppia copertura farmacologica (acido acetilsalicilico 100 mg + ticlopidina 250 mg die). Nel periodo a seguire fino al maggio 2011 i controlli ecodoppler hanno sempre confermato pervietà dello stent senza segni di restenosi. La misurazione del flusso dell’accesso eseguita con il metodo della diluizione degli ultrasuoni (Transonic) a partire dalla prima procedura ha costantemente evidenziato un’elevata portata della FAV (range 2500-3000 ml/min).
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Dopo circa 12 mesi di dialisi trascorsi senza problemi clinici, si osservavano progressivi segni di dilatazione, tortuosità, iperpulsatilità della FAV con tempi di tamponamento prolungati a fine dialisi.
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Si descrive il caso di una paziente di anni 52, con diagnosi bioptica nel 1983 di GN membranosa, sottrattasi al follow-up per alcuni anni e ripresa in carico ambulatoriale con un grado di insufficienza renale avanzato (Crs 4,5 mg/dl). Costituzionalmente obesa (BMI = 34), era stata esclusa dalla dialisi peritoneale per la presenza di alcune controindicazioni cliniche insieme a scarsa accettazione della paziente. Nel maggio 2005 era stata sottoposta a un primo intervento di confezionamento di FAV radiocefalica sinistra che poche settimane dopo, in concomitanza di un episodio ipotensivo, andava incontro a trombosi precoce. Alla fine dello stesso anno si procedeva con successo all’allestimento di una FAV prossimale omerocefalica sinistra. Il trattamento emodialitico cronico era infine avviato nel dicembre 2006. Dopo circa 12 mesi di dialisi trascorsi senza problemi clinici, si osservavano progressivi segni di dilatazione, tortuosità, iperpulsatilità della FAV con tempi di tamponamento prolungati a fine dialisi. L’esecuzione di un ecodoppler, non metteva in evidenza segni di stenosi sul decorso della vena a livello del braccio, mentre più prossimalmente il colordoppler registrava a livello del tratto precedente la confluenza cefalico-succlavia spiccate turbolenze cui corrispondeva al duplex un notevole aumento della velocità di flusso fino a 4,5 m/s. Il reperto nel complesso deponeva per la presenza di una stenosi serrata. Lo studio flebografico confermava una stenosi pre-occlusiva alla confluenza tra vena cefalica e succlavia che veniva trattata con PTA a 7 mm e successivamente a 9 mm a 14 atm, ottenendo l’adeguato ripristino del calibro vascolare. Veniva inserita terapia antiaggregante con 100 mg/die di acido acetilsalicilico. Il controllo ecodoppler del novembre 2008 evidenziava recidiva della stenosi precedentemente dilatata che veniva sottoposta nuovamente a PTA mediante cateteri a palloncino da 7 e 8 mm sino a 30 atm e successivamente da 10 mm, con buon esito angiografico. Tuttavia nel marzo 2009 l’ecodoppler mostrava ancora segni di recidiva stenotica: dopo un inefficace tentativo di dilatazione con palloni ad alta pressione (Conquest da 7 e 8 mm gonfiati fino a 30 atmosfere), l’angioradiologo poneva indicazione a posizionamento di stent convenzionale a 9 mm con buon risultato finale e senza complicanze. La terapia antiaggregante veniva potenziata con doppia copertura farmacologica (acido acetilsalicilico 100 mg + ticlopidina 250 mg die). Nel periodo a seguire fino al maggio 2011 i controlli ecodoppler hanno sempre confermato pervietà dello stent senza segni di restenosi. La misurazione del flusso dell’accesso eseguita con il metodo della diluizione degli ultrasuoni (Transonic) a partire dalla prima procedura ha costantemente evidenziato un’elevata portata della FAV (range 2500-3000 ml/min).
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L’esecuzione di un ecodoppler, non metteva in evidenza segni di stenosi sul decorso della vena a livello del braccio, mentre più prossimalmente il colordoppler registrava a livello del tratto precedente la confluenza cefalico-succlavia spiccate turbolenze cui corrispondeva al duplex un notevole aumento della velocità di flusso fino a 4,5 m/s.
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Si descrive il caso di una paziente di anni 52, con diagnosi bioptica nel 1983 di GN membranosa, sottrattasi al follow-up per alcuni anni e ripresa in carico ambulatoriale con un grado di insufficienza renale avanzato (Crs 4,5 mg/dl). Costituzionalmente obesa (BMI = 34), era stata esclusa dalla dialisi peritoneale per la presenza di alcune controindicazioni cliniche insieme a scarsa accettazione della paziente. Nel maggio 2005 era stata sottoposta a un primo intervento di confezionamento di FAV radiocefalica sinistra che poche settimane dopo, in concomitanza di un episodio ipotensivo, andava incontro a trombosi precoce. Alla fine dello stesso anno si procedeva con successo all’allestimento di una FAV prossimale omerocefalica sinistra. Il trattamento emodialitico cronico era infine avviato nel dicembre 2006. Dopo circa 12 mesi di dialisi trascorsi senza problemi clinici, si osservavano progressivi segni di dilatazione, tortuosità, iperpulsatilità della FAV con tempi di tamponamento prolungati a fine dialisi. L’esecuzione di un ecodoppler, non metteva in evidenza segni di stenosi sul decorso della vena a livello del braccio, mentre più prossimalmente il colordoppler registrava a livello del tratto precedente la confluenza cefalico-succlavia spiccate turbolenze cui corrispondeva al duplex un notevole aumento della velocità di flusso fino a 4,5 m/s. Il reperto nel complesso deponeva per la presenza di una stenosi serrata. Lo studio flebografico confermava una stenosi pre-occlusiva alla confluenza tra vena cefalica e succlavia che veniva trattata con PTA a 7 mm e successivamente a 9 mm a 14 atm, ottenendo l’adeguato ripristino del calibro vascolare. Veniva inserita terapia antiaggregante con 100 mg/die di acido acetilsalicilico. Il controllo ecodoppler del novembre 2008 evidenziava recidiva della stenosi precedentemente dilatata che veniva sottoposta nuovamente a PTA mediante cateteri a palloncino da 7 e 8 mm sino a 30 atm e successivamente da 10 mm, con buon esito angiografico. Tuttavia nel marzo 2009 l’ecodoppler mostrava ancora segni di recidiva stenotica: dopo un inefficace tentativo di dilatazione con palloni ad alta pressione (Conquest da 7 e 8 mm gonfiati fino a 30 atmosfere), l’angioradiologo poneva indicazione a posizionamento di stent convenzionale a 9 mm con buon risultato finale e senza complicanze. La terapia antiaggregante veniva potenziata con doppia copertura farmacologica (acido acetilsalicilico 100 mg + ticlopidina 250 mg die). Nel periodo a seguire fino al maggio 2011 i controlli ecodoppler hanno sempre confermato pervietà dello stent senza segni di restenosi. La misurazione del flusso dell’accesso eseguita con il metodo della diluizione degli ultrasuoni (Transonic) a partire dalla prima procedura ha costantemente evidenziato un’elevata portata della FAV (range 2500-3000 ml/min).
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Lo studio flebografico confermava una stenosi pre-occlusiva alla confluenza tra vena cefalica e succlavia che veniva trattata con PTA a 7 mm e successivamente a 9 mm a 14 atm, ottenendo l’adeguato ripristino del calibro vascolare.
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IT100015
Veniva inserita terapia antiaggregante con 100 mg/die di acido acetilsalicilico.
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Si descrive il caso di una paziente di anni 52, con diagnosi bioptica nel 1983 di GN membranosa, sottrattasi al follow-up per alcuni anni e ripresa in carico ambulatoriale con un grado di insufficienza renale avanzato (Crs 4,5 mg/dl). Costituzionalmente obesa (BMI = 34), era stata esclusa dalla dialisi peritoneale per la presenza di alcune controindicazioni cliniche insieme a scarsa accettazione della paziente. Nel maggio 2005 era stata sottoposta a un primo intervento di confezionamento di FAV radiocefalica sinistra che poche settimane dopo, in concomitanza di un episodio ipotensivo, andava incontro a trombosi precoce. Alla fine dello stesso anno si procedeva con successo all’allestimento di una FAV prossimale omerocefalica sinistra. Il trattamento emodialitico cronico era infine avviato nel dicembre 2006. Dopo circa 12 mesi di dialisi trascorsi senza problemi clinici, si osservavano progressivi segni di dilatazione, tortuosità, iperpulsatilità della FAV con tempi di tamponamento prolungati a fine dialisi. L’esecuzione di un ecodoppler, non metteva in evidenza segni di stenosi sul decorso della vena a livello del braccio, mentre più prossimalmente il colordoppler registrava a livello del tratto precedente la confluenza cefalico-succlavia spiccate turbolenze cui corrispondeva al duplex un notevole aumento della velocità di flusso fino a 4,5 m/s. Il reperto nel complesso deponeva per la presenza di una stenosi serrata. Lo studio flebografico confermava una stenosi pre-occlusiva alla confluenza tra vena cefalica e succlavia che veniva trattata con PTA a 7 mm e successivamente a 9 mm a 14 atm, ottenendo l’adeguato ripristino del calibro vascolare. Veniva inserita terapia antiaggregante con 100 mg/die di acido acetilsalicilico. Il controllo ecodoppler del novembre 2008 evidenziava recidiva della stenosi precedentemente dilatata che veniva sottoposta nuovamente a PTA mediante cateteri a palloncino da 7 e 8 mm sino a 30 atm e successivamente da 10 mm, con buon esito angiografico. Tuttavia nel marzo 2009 l’ecodoppler mostrava ancora segni di recidiva stenotica: dopo un inefficace tentativo di dilatazione con palloni ad alta pressione (Conquest da 7 e 8 mm gonfiati fino a 30 atmosfere), l’angioradiologo poneva indicazione a posizionamento di stent convenzionale a 9 mm con buon risultato finale e senza complicanze. La terapia antiaggregante veniva potenziata con doppia copertura farmacologica (acido acetilsalicilico 100 mg + ticlopidina 250 mg die). Nel periodo a seguire fino al maggio 2011 i controlli ecodoppler hanno sempre confermato pervietà dello stent senza segni di restenosi. La misurazione del flusso dell’accesso eseguita con il metodo della diluizione degli ultrasuoni (Transonic) a partire dalla prima procedura ha costantemente evidenziato un’elevata portata della FAV (range 2500-3000 ml/min).
IT100015
Il controllo ecodoppler del novembre 2008 evidenziava recidiva della stenosi precedentemente dilatata che veniva sottoposta nuovamente a PTA mediante cateteri a palloncino da 7 e 8 mm sino a 30 atm e successivamente da 10 mm, con buon esito angiografico.
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Si descrive il caso di una paziente di anni 52, con diagnosi bioptica nel 1983 di GN membranosa, sottrattasi al follow-up per alcuni anni e ripresa in carico ambulatoriale con un grado di insufficienza renale avanzato (Crs 4,5 mg/dl). Costituzionalmente obesa (BMI = 34), era stata esclusa dalla dialisi peritoneale per la presenza di alcune controindicazioni cliniche insieme a scarsa accettazione della paziente. Nel maggio 2005 era stata sottoposta a un primo intervento di confezionamento di FAV radiocefalica sinistra che poche settimane dopo, in concomitanza di un episodio ipotensivo, andava incontro a trombosi precoce. Alla fine dello stesso anno si procedeva con successo all’allestimento di una FAV prossimale omerocefalica sinistra. Il trattamento emodialitico cronico era infine avviato nel dicembre 2006. Dopo circa 12 mesi di dialisi trascorsi senza problemi clinici, si osservavano progressivi segni di dilatazione, tortuosità, iperpulsatilità della FAV con tempi di tamponamento prolungati a fine dialisi. L’esecuzione di un ecodoppler, non metteva in evidenza segni di stenosi sul decorso della vena a livello del braccio, mentre più prossimalmente il colordoppler registrava a livello del tratto precedente la confluenza cefalico-succlavia spiccate turbolenze cui corrispondeva al duplex un notevole aumento della velocità di flusso fino a 4,5 m/s. Il reperto nel complesso deponeva per la presenza di una stenosi serrata. Lo studio flebografico confermava una stenosi pre-occlusiva alla confluenza tra vena cefalica e succlavia che veniva trattata con PTA a 7 mm e successivamente a 9 mm a 14 atm, ottenendo l’adeguato ripristino del calibro vascolare. Veniva inserita terapia antiaggregante con 100 mg/die di acido acetilsalicilico. Il controllo ecodoppler del novembre 2008 evidenziava recidiva della stenosi precedentemente dilatata che veniva sottoposta nuovamente a PTA mediante cateteri a palloncino da 7 e 8 mm sino a 30 atm e successivamente da 10 mm, con buon esito angiografico. Tuttavia nel marzo 2009 l’ecodoppler mostrava ancora segni di recidiva stenotica: dopo un inefficace tentativo di dilatazione con palloni ad alta pressione (Conquest da 7 e 8 mm gonfiati fino a 30 atmosfere), l’angioradiologo poneva indicazione a posizionamento di stent convenzionale a 9 mm con buon risultato finale e senza complicanze. La terapia antiaggregante veniva potenziata con doppia copertura farmacologica (acido acetilsalicilico 100 mg + ticlopidina 250 mg die). Nel periodo a seguire fino al maggio 2011 i controlli ecodoppler hanno sempre confermato pervietà dello stent senza segni di restenosi. La misurazione del flusso dell’accesso eseguita con il metodo della diluizione degli ultrasuoni (Transonic) a partire dalla prima procedura ha costantemente evidenziato un’elevata portata della FAV (range 2500-3000 ml/min).
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Tuttavia nel marzo 2009 l’ecodoppler mostrava ancora segni di recidiva stenotica: dopo un inefficace tentativo di dilatazione con palloni ad alta pressione (Conquest da 7 e 8 mm gonfiati fino a 30 atmosfere), l’angioradiologo poneva indicazione a posizionamento di stent convenzionale a 9 mm con buon risultato finale e senza complicanze.
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Si descrive il caso di una paziente di anni 52, con diagnosi bioptica nel 1983 di GN membranosa, sottrattasi al follow-up per alcuni anni e ripresa in carico ambulatoriale con un grado di insufficienza renale avanzato (Crs 4,5 mg/dl). Costituzionalmente obesa (BMI = 34), era stata esclusa dalla dialisi peritoneale per la presenza di alcune controindicazioni cliniche insieme a scarsa accettazione della paziente. Nel maggio 2005 era stata sottoposta a un primo intervento di confezionamento di FAV radiocefalica sinistra che poche settimane dopo, in concomitanza di un episodio ipotensivo, andava incontro a trombosi precoce. Alla fine dello stesso anno si procedeva con successo all’allestimento di una FAV prossimale omerocefalica sinistra. Il trattamento emodialitico cronico era infine avviato nel dicembre 2006. Dopo circa 12 mesi di dialisi trascorsi senza problemi clinici, si osservavano progressivi segni di dilatazione, tortuosità, iperpulsatilità della FAV con tempi di tamponamento prolungati a fine dialisi. L’esecuzione di un ecodoppler, non metteva in evidenza segni di stenosi sul decorso della vena a livello del braccio, mentre più prossimalmente il colordoppler registrava a livello del tratto precedente la confluenza cefalico-succlavia spiccate turbolenze cui corrispondeva al duplex un notevole aumento della velocità di flusso fino a 4,5 m/s. Il reperto nel complesso deponeva per la presenza di una stenosi serrata. Lo studio flebografico confermava una stenosi pre-occlusiva alla confluenza tra vena cefalica e succlavia che veniva trattata con PTA a 7 mm e successivamente a 9 mm a 14 atm, ottenendo l’adeguato ripristino del calibro vascolare. Veniva inserita terapia antiaggregante con 100 mg/die di acido acetilsalicilico. Il controllo ecodoppler del novembre 2008 evidenziava recidiva della stenosi precedentemente dilatata che veniva sottoposta nuovamente a PTA mediante cateteri a palloncino da 7 e 8 mm sino a 30 atm e successivamente da 10 mm, con buon esito angiografico. Tuttavia nel marzo 2009 l’ecodoppler mostrava ancora segni di recidiva stenotica: dopo un inefficace tentativo di dilatazione con palloni ad alta pressione (Conquest da 7 e 8 mm gonfiati fino a 30 atmosfere), l’angioradiologo poneva indicazione a posizionamento di stent convenzionale a 9 mm con buon risultato finale e senza complicanze. La terapia antiaggregante veniva potenziata con doppia copertura farmacologica (acido acetilsalicilico 100 mg + ticlopidina 250 mg die). Nel periodo a seguire fino al maggio 2011 i controlli ecodoppler hanno sempre confermato pervietà dello stent senza segni di restenosi. La misurazione del flusso dell’accesso eseguita con il metodo della diluizione degli ultrasuoni (Transonic) a partire dalla prima procedura ha costantemente evidenziato un’elevata portata della FAV (range 2500-3000 ml/min).
IT100015
La terapia antiaggregante veniva potenziata con doppia copertura farmacologica (acido acetilsalicilico 100 mg + ticlopidina 250 mg die).
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IT100015
Nel periodo a seguire fino al maggio 2011 i controlli ecodoppler hanno sempre confermato pervietà dello stent senza segni di restenosi.
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Si descrive il caso di una paziente di anni 52, con diagnosi bioptica nel 1983 di GN membranosa, sottrattasi al follow-up per alcuni anni e ripresa in carico ambulatoriale con un grado di insufficienza renale avanzato (Crs 4,5 mg/dl). Costituzionalmente obesa (BMI = 34), era stata esclusa dalla dialisi peritoneale per la presenza di alcune controindicazioni cliniche insieme a scarsa accettazione della paziente. Nel maggio 2005 era stata sottoposta a un primo intervento di confezionamento di FAV radiocefalica sinistra che poche settimane dopo, in concomitanza di un episodio ipotensivo, andava incontro a trombosi precoce. Alla fine dello stesso anno si procedeva con successo all’allestimento di una FAV prossimale omerocefalica sinistra. Il trattamento emodialitico cronico era infine avviato nel dicembre 2006. Dopo circa 12 mesi di dialisi trascorsi senza problemi clinici, si osservavano progressivi segni di dilatazione, tortuosità, iperpulsatilità della FAV con tempi di tamponamento prolungati a fine dialisi. L’esecuzione di un ecodoppler, non metteva in evidenza segni di stenosi sul decorso della vena a livello del braccio, mentre più prossimalmente il colordoppler registrava a livello del tratto precedente la confluenza cefalico-succlavia spiccate turbolenze cui corrispondeva al duplex un notevole aumento della velocità di flusso fino a 4,5 m/s. Il reperto nel complesso deponeva per la presenza di una stenosi serrata. Lo studio flebografico confermava una stenosi pre-occlusiva alla confluenza tra vena cefalica e succlavia che veniva trattata con PTA a 7 mm e successivamente a 9 mm a 14 atm, ottenendo l’adeguato ripristino del calibro vascolare. Veniva inserita terapia antiaggregante con 100 mg/die di acido acetilsalicilico. Il controllo ecodoppler del novembre 2008 evidenziava recidiva della stenosi precedentemente dilatata che veniva sottoposta nuovamente a PTA mediante cateteri a palloncino da 7 e 8 mm sino a 30 atm e successivamente da 10 mm, con buon esito angiografico. Tuttavia nel marzo 2009 l’ecodoppler mostrava ancora segni di recidiva stenotica: dopo un inefficace tentativo di dilatazione con palloni ad alta pressione (Conquest da 7 e 8 mm gonfiati fino a 30 atmosfere), l’angioradiologo poneva indicazione a posizionamento di stent convenzionale a 9 mm con buon risultato finale e senza complicanze. La terapia antiaggregante veniva potenziata con doppia copertura farmacologica (acido acetilsalicilico 100 mg + ticlopidina 250 mg die). Nel periodo a seguire fino al maggio 2011 i controlli ecodoppler hanno sempre confermato pervietà dello stent senza segni di restenosi. La misurazione del flusso dell’accesso eseguita con il metodo della diluizione degli ultrasuoni (Transonic) a partire dalla prima procedura ha costantemente evidenziato un’elevata portata della FAV (range 2500-3000 ml/min).
IT100015
La misurazione del flusso dell’accesso eseguita con il metodo della diluizione degli ultrasuoni (Transonic) a partire dalla prima procedura ha costantemente evidenziato un’elevata portata della FAV (range 2500-3000 ml/min).
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Si descrive il caso di una paziente di anni 52, con diagnosi bioptica nel 1983 di GN membranosa, sottrattasi al follow-up per alcuni anni e ripresa in carico ambulatoriale con un grado di insufficienza renale avanzato (Crs 4,5 mg/dl). Costituzionalmente obesa (BMI = 34), era stata esclusa dalla dialisi peritoneale per la presenza di alcune controindicazioni cliniche insieme a scarsa accettazione della paziente. Nel maggio 2005 era stata sottoposta a un primo intervento di confezionamento di FAV radiocefalica sinistra che poche settimane dopo, in concomitanza di un episodio ipotensivo, andava incontro a trombosi precoce. Alla fine dello stesso anno si procedeva con successo all’allestimento di una FAV prossimale omerocefalica sinistra. Il trattamento emodialitico cronico era infine avviato nel dicembre 2006. Dopo circa 12 mesi di dialisi trascorsi senza problemi clinici, si osservavano progressivi segni di dilatazione, tortuosità, iperpulsatilità della FAV con tempi di tamponamento prolungati a fine dialisi. L’esecuzione di un ecodoppler, non metteva in evidenza segni di stenosi sul decorso della vena a livello del braccio, mentre più prossimalmente il colordoppler registrava a livello del tratto precedente la confluenza cefalico-succlavia spiccate turbolenze cui corrispondeva al duplex un notevole aumento della velocità di flusso fino a 4,5 m/s. Il reperto nel complesso deponeva per la presenza di una stenosi serrata. Lo studio flebografico confermava una stenosi pre-occlusiva alla confluenza tra vena cefalica e succlavia che veniva trattata con PTA a 7 mm e successivamente a 9 mm a 14 atm, ottenendo l’adeguato ripristino del calibro vascolare. Veniva inserita terapia antiaggregante con 100 mg/die di acido acetilsalicilico. Il controllo ecodoppler del novembre 2008 evidenziava recidiva della stenosi precedentemente dilatata che veniva sottoposta nuovamente a PTA mediante cateteri a palloncino da 7 e 8 mm sino a 30 atm e successivamente da 10 mm, con buon esito angiografico. Tuttavia nel marzo 2009 l’ecodoppler mostrava ancora segni di recidiva stenotica: dopo un inefficace tentativo di dilatazione con palloni ad alta pressione (Conquest da 7 e 8 mm gonfiati fino a 30 atmosfere), l’angioradiologo poneva indicazione a posizionamento di stent convenzionale a 9 mm con buon risultato finale e senza complicanze. La terapia antiaggregante veniva potenziata con doppia copertura farmacologica (acido acetilsalicilico 100 mg + ticlopidina 250 mg die). Nel periodo a seguire fino al maggio 2011 i controlli ecodoppler hanno sempre confermato pervietà dello stent senza segni di restenosi. La misurazione del flusso dell’accesso eseguita con il metodo della diluizione degli ultrasuoni (Transonic) a partire dalla prima procedura ha costantemente evidenziato un’elevata portata della FAV (range 2500-3000 ml/min).
IT100015
Vi presentiamo un caso clinico.
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Vi presentiamo un caso clinico. Giunge alla nostra osservazione una donna di 50 anni, fumatrice di circa 10 sigarette al dì, che riferisce dolori addominali post prandiali, che durano circa un paio d’ore, accompagnati da nausea, conati di vomito e senso di fatica respiratoria. La paziente riferisce inoltre gonfiore addominale subito dopo i pasti e riduzione del peso corporeo (circa in un mese). Si decide di ricoverare la paziente in regime di DH presso la nostra struttura ospedaliera per sottoporla ad indagini laboratoristiche e diagnostiche. All’esame obiettivo, oltre ad un valore di PA di 145/95 mmHg, si riscontra un rinforzo del secondo tono sul focolaio aortico. All’esame obiettivo del torace si apprezza un murmure aspro su tutto l’ambito polmonare e all’esame obiettivo dell’addome, assenza di dolenzia alla palpazione profonda e superficiale, con organi ipocondriaci all’arco. Gli esami di laboratorio evidenziano un’alterata glicemia a digiuno (110 mg/dL) e un lieve aumento delle transaminasi (GOT: 50 U/L, GPT: 60 U/L). ECG: ritmo sinusale con frequenza cardiaca di 75 b/minuto. All’ecografia dell’addome: presenza di brigth disomogeneo, in assenza di lesioni focali e versamento in addome. RX torace: incremento della trama bronco vascolare con assenza di lesioni focali. Ecografia cardiaca: nella norma. Esame EGDS: segni di gastrite aspecifica. HP negativo. Per tale motivo viene iniziata terapia con farmaci antiipertensivi: TRIATEC 5 mg una compressa al mattino, associata a terapia anti reflusso: ANTRA 20 mg e PERIDON 10 mg prima dei pasti. La paziente viene dimessa col consiglio di assumere un regime dietetico alimentare corretto, evitando cibi reflussogeni, quali caffè, menta, thè, spezie, di osservare una buona masticazione, di utilizzare cibi ben cotti. Viene consigliato inoltre di ridurre l’utilizzo del sale e l’abolizione completa dell’abitudine tabagica. Dopo tre settimane, la paziente rientra riferendo assenza di miglioramento della sintomatologia clinica, nonostante la terapia e la modifica dello stile di vita. La paziente viene rivisitata. L’esame obiettivo risulta invariato rispetto al precedente, fatta eccezione per l’evidenza di una riduzione della pressione arteriosa (130/85 mmHg). Ad un esame più accurato dell’addome si reperta all’auscultazione un soffio sistolico a livello epigastrico. La paziente viene sottoposta ad esame EcoColorDoppler (ECD) dei vasi addominali da cui emerge: stenosi emodinamica del tripode celiaco, con presenza di ectasia post-stenotica. Generalmente, nel paziente affetto da aterosclerosi pluridistrettuale, il ritrovamento all’ECD di una stenosi asintomatica del tripode celiaco è un evento abbastanza frequente. Poiché la paziente però, non presentava localizzazione di malattia aterosclerotica in nessun distretto, è stata sospettata una patologia da legamento arcuato, che ben si evidenzia all’ECD durante gli atti respiratori forzati. Viene effettuata Angio-TC addome per conferma diagnostica che ben evidenzia la costrizione del tronco celiaco da parte del legamento arcuato. La paziente avendo attualmente una sintomatologia saltuaria è in attuale controllo clinico-strumentale in previsione di un intervento chirurgico.
IT100415
Giunge alla nostra osservazione una donna di 50 anni, fumatrice di circa 10 sigarette al dì, che riferisce dolori addominali post prandiali, che durano circa un paio d’ore, accompagnati da nausea, conati di vomito e senso di fatica respiratoria.
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Vi presentiamo un caso clinico. Giunge alla nostra osservazione una donna di 50 anni, fumatrice di circa 10 sigarette al dì, che riferisce dolori addominali post prandiali, che durano circa un paio d’ore, accompagnati da nausea, conati di vomito e senso di fatica respiratoria. La paziente riferisce inoltre gonfiore addominale subito dopo i pasti e riduzione del peso corporeo (circa in un mese). Si decide di ricoverare la paziente in regime di DH presso la nostra struttura ospedaliera per sottoporla ad indagini laboratoristiche e diagnostiche. All’esame obiettivo, oltre ad un valore di PA di 145/95 mmHg, si riscontra un rinforzo del secondo tono sul focolaio aortico. All’esame obiettivo del torace si apprezza un murmure aspro su tutto l’ambito polmonare e all’esame obiettivo dell’addome, assenza di dolenzia alla palpazione profonda e superficiale, con organi ipocondriaci all’arco. Gli esami di laboratorio evidenziano un’alterata glicemia a digiuno (110 mg/dL) e un lieve aumento delle transaminasi (GOT: 50 U/L, GPT: 60 U/L). ECG: ritmo sinusale con frequenza cardiaca di 75 b/minuto. All’ecografia dell’addome: presenza di brigth disomogeneo, in assenza di lesioni focali e versamento in addome. RX torace: incremento della trama bronco vascolare con assenza di lesioni focali. Ecografia cardiaca: nella norma. Esame EGDS: segni di gastrite aspecifica. HP negativo. Per tale motivo viene iniziata terapia con farmaci antiipertensivi: TRIATEC 5 mg una compressa al mattino, associata a terapia anti reflusso: ANTRA 20 mg e PERIDON 10 mg prima dei pasti. La paziente viene dimessa col consiglio di assumere un regime dietetico alimentare corretto, evitando cibi reflussogeni, quali caffè, menta, thè, spezie, di osservare una buona masticazione, di utilizzare cibi ben cotti. Viene consigliato inoltre di ridurre l’utilizzo del sale e l’abolizione completa dell’abitudine tabagica. Dopo tre settimane, la paziente rientra riferendo assenza di miglioramento della sintomatologia clinica, nonostante la terapia e la modifica dello stile di vita. La paziente viene rivisitata. L’esame obiettivo risulta invariato rispetto al precedente, fatta eccezione per l’evidenza di una riduzione della pressione arteriosa (130/85 mmHg). Ad un esame più accurato dell’addome si reperta all’auscultazione un soffio sistolico a livello epigastrico. La paziente viene sottoposta ad esame EcoColorDoppler (ECD) dei vasi addominali da cui emerge: stenosi emodinamica del tripode celiaco, con presenza di ectasia post-stenotica. Generalmente, nel paziente affetto da aterosclerosi pluridistrettuale, il ritrovamento all’ECD di una stenosi asintomatica del tripode celiaco è un evento abbastanza frequente. Poiché la paziente però, non presentava localizzazione di malattia aterosclerotica in nessun distretto, è stata sospettata una patologia da legamento arcuato, che ben si evidenzia all’ECD durante gli atti respiratori forzati. Viene effettuata Angio-TC addome per conferma diagnostica che ben evidenzia la costrizione del tronco celiaco da parte del legamento arcuato. La paziente avendo attualmente una sintomatologia saltuaria è in attuale controllo clinico-strumentale in previsione di un intervento chirurgico.
IT100415
La paziente riferisce inoltre gonfiore addominale subito dopo i pasti e riduzione del peso corporeo (circa in un mese).
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Vi presentiamo un caso clinico. Giunge alla nostra osservazione una donna di 50 anni, fumatrice di circa 10 sigarette al dì, che riferisce dolori addominali post prandiali, che durano circa un paio d’ore, accompagnati da nausea, conati di vomito e senso di fatica respiratoria. La paziente riferisce inoltre gonfiore addominale subito dopo i pasti e riduzione del peso corporeo (circa in un mese). Si decide di ricoverare la paziente in regime di DH presso la nostra struttura ospedaliera per sottoporla ad indagini laboratoristiche e diagnostiche. All’esame obiettivo, oltre ad un valore di PA di 145/95 mmHg, si riscontra un rinforzo del secondo tono sul focolaio aortico. All’esame obiettivo del torace si apprezza un murmure aspro su tutto l’ambito polmonare e all’esame obiettivo dell’addome, assenza di dolenzia alla palpazione profonda e superficiale, con organi ipocondriaci all’arco. Gli esami di laboratorio evidenziano un’alterata glicemia a digiuno (110 mg/dL) e un lieve aumento delle transaminasi (GOT: 50 U/L, GPT: 60 U/L). ECG: ritmo sinusale con frequenza cardiaca di 75 b/minuto. All’ecografia dell’addome: presenza di brigth disomogeneo, in assenza di lesioni focali e versamento in addome. RX torace: incremento della trama bronco vascolare con assenza di lesioni focali. Ecografia cardiaca: nella norma. Esame EGDS: segni di gastrite aspecifica. HP negativo. Per tale motivo viene iniziata terapia con farmaci antiipertensivi: TRIATEC 5 mg una compressa al mattino, associata a terapia anti reflusso: ANTRA 20 mg e PERIDON 10 mg prima dei pasti. La paziente viene dimessa col consiglio di assumere un regime dietetico alimentare corretto, evitando cibi reflussogeni, quali caffè, menta, thè, spezie, di osservare una buona masticazione, di utilizzare cibi ben cotti. Viene consigliato inoltre di ridurre l’utilizzo del sale e l’abolizione completa dell’abitudine tabagica. Dopo tre settimane, la paziente rientra riferendo assenza di miglioramento della sintomatologia clinica, nonostante la terapia e la modifica dello stile di vita. La paziente viene rivisitata. L’esame obiettivo risulta invariato rispetto al precedente, fatta eccezione per l’evidenza di una riduzione della pressione arteriosa (130/85 mmHg). Ad un esame più accurato dell’addome si reperta all’auscultazione un soffio sistolico a livello epigastrico. La paziente viene sottoposta ad esame EcoColorDoppler (ECD) dei vasi addominali da cui emerge: stenosi emodinamica del tripode celiaco, con presenza di ectasia post-stenotica. Generalmente, nel paziente affetto da aterosclerosi pluridistrettuale, il ritrovamento all’ECD di una stenosi asintomatica del tripode celiaco è un evento abbastanza frequente. Poiché la paziente però, non presentava localizzazione di malattia aterosclerotica in nessun distretto, è stata sospettata una patologia da legamento arcuato, che ben si evidenzia all’ECD durante gli atti respiratori forzati. Viene effettuata Angio-TC addome per conferma diagnostica che ben evidenzia la costrizione del tronco celiaco da parte del legamento arcuato. La paziente avendo attualmente una sintomatologia saltuaria è in attuale controllo clinico-strumentale in previsione di un intervento chirurgico.
IT100415
Si decide di ricoverare la paziente in regime di DH presso la nostra struttura ospedaliera per sottoporla ad indagini laboratoristiche e diagnostiche.
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Vi presentiamo un caso clinico. Giunge alla nostra osservazione una donna di 50 anni, fumatrice di circa 10 sigarette al dì, che riferisce dolori addominali post prandiali, che durano circa un paio d’ore, accompagnati da nausea, conati di vomito e senso di fatica respiratoria. La paziente riferisce inoltre gonfiore addominale subito dopo i pasti e riduzione del peso corporeo (circa in un mese). Si decide di ricoverare la paziente in regime di DH presso la nostra struttura ospedaliera per sottoporla ad indagini laboratoristiche e diagnostiche. All’esame obiettivo, oltre ad un valore di PA di 145/95 mmHg, si riscontra un rinforzo del secondo tono sul focolaio aortico. All’esame obiettivo del torace si apprezza un murmure aspro su tutto l’ambito polmonare e all’esame obiettivo dell’addome, assenza di dolenzia alla palpazione profonda e superficiale, con organi ipocondriaci all’arco. Gli esami di laboratorio evidenziano un’alterata glicemia a digiuno (110 mg/dL) e un lieve aumento delle transaminasi (GOT: 50 U/L, GPT: 60 U/L). ECG: ritmo sinusale con frequenza cardiaca di 75 b/minuto. All’ecografia dell’addome: presenza di brigth disomogeneo, in assenza di lesioni focali e versamento in addome. RX torace: incremento della trama bronco vascolare con assenza di lesioni focali. Ecografia cardiaca: nella norma. Esame EGDS: segni di gastrite aspecifica. HP negativo. Per tale motivo viene iniziata terapia con farmaci antiipertensivi: TRIATEC 5 mg una compressa al mattino, associata a terapia anti reflusso: ANTRA 20 mg e PERIDON 10 mg prima dei pasti. La paziente viene dimessa col consiglio di assumere un regime dietetico alimentare corretto, evitando cibi reflussogeni, quali caffè, menta, thè, spezie, di osservare una buona masticazione, di utilizzare cibi ben cotti. Viene consigliato inoltre di ridurre l’utilizzo del sale e l’abolizione completa dell’abitudine tabagica. Dopo tre settimane, la paziente rientra riferendo assenza di miglioramento della sintomatologia clinica, nonostante la terapia e la modifica dello stile di vita. La paziente viene rivisitata. L’esame obiettivo risulta invariato rispetto al precedente, fatta eccezione per l’evidenza di una riduzione della pressione arteriosa (130/85 mmHg). Ad un esame più accurato dell’addome si reperta all’auscultazione un soffio sistolico a livello epigastrico. La paziente viene sottoposta ad esame EcoColorDoppler (ECD) dei vasi addominali da cui emerge: stenosi emodinamica del tripode celiaco, con presenza di ectasia post-stenotica. Generalmente, nel paziente affetto da aterosclerosi pluridistrettuale, il ritrovamento all’ECD di una stenosi asintomatica del tripode celiaco è un evento abbastanza frequente. Poiché la paziente però, non presentava localizzazione di malattia aterosclerotica in nessun distretto, è stata sospettata una patologia da legamento arcuato, che ben si evidenzia all’ECD durante gli atti respiratori forzati. Viene effettuata Angio-TC addome per conferma diagnostica che ben evidenzia la costrizione del tronco celiaco da parte del legamento arcuato. La paziente avendo attualmente una sintomatologia saltuaria è in attuale controllo clinico-strumentale in previsione di un intervento chirurgico.
IT100415
All’esame obiettivo, oltre ad un valore di PA di 145/95 mmHg, si riscontra un rinforzo del secondo tono sul focolaio aortico.
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Vi presentiamo un caso clinico. Giunge alla nostra osservazione una donna di 50 anni, fumatrice di circa 10 sigarette al dì, che riferisce dolori addominali post prandiali, che durano circa un paio d’ore, accompagnati da nausea, conati di vomito e senso di fatica respiratoria. La paziente riferisce inoltre gonfiore addominale subito dopo i pasti e riduzione del peso corporeo (circa in un mese). Si decide di ricoverare la paziente in regime di DH presso la nostra struttura ospedaliera per sottoporla ad indagini laboratoristiche e diagnostiche. All’esame obiettivo, oltre ad un valore di PA di 145/95 mmHg, si riscontra un rinforzo del secondo tono sul focolaio aortico. All’esame obiettivo del torace si apprezza un murmure aspro su tutto l’ambito polmonare e all’esame obiettivo dell’addome, assenza di dolenzia alla palpazione profonda e superficiale, con organi ipocondriaci all’arco. Gli esami di laboratorio evidenziano un’alterata glicemia a digiuno (110 mg/dL) e un lieve aumento delle transaminasi (GOT: 50 U/L, GPT: 60 U/L). ECG: ritmo sinusale con frequenza cardiaca di 75 b/minuto. All’ecografia dell’addome: presenza di brigth disomogeneo, in assenza di lesioni focali e versamento in addome. RX torace: incremento della trama bronco vascolare con assenza di lesioni focali. Ecografia cardiaca: nella norma. Esame EGDS: segni di gastrite aspecifica. HP negativo. Per tale motivo viene iniziata terapia con farmaci antiipertensivi: TRIATEC 5 mg una compressa al mattino, associata a terapia anti reflusso: ANTRA 20 mg e PERIDON 10 mg prima dei pasti. La paziente viene dimessa col consiglio di assumere un regime dietetico alimentare corretto, evitando cibi reflussogeni, quali caffè, menta, thè, spezie, di osservare una buona masticazione, di utilizzare cibi ben cotti. Viene consigliato inoltre di ridurre l’utilizzo del sale e l’abolizione completa dell’abitudine tabagica. Dopo tre settimane, la paziente rientra riferendo assenza di miglioramento della sintomatologia clinica, nonostante la terapia e la modifica dello stile di vita. La paziente viene rivisitata. L’esame obiettivo risulta invariato rispetto al precedente, fatta eccezione per l’evidenza di una riduzione della pressione arteriosa (130/85 mmHg). Ad un esame più accurato dell’addome si reperta all’auscultazione un soffio sistolico a livello epigastrico. La paziente viene sottoposta ad esame EcoColorDoppler (ECD) dei vasi addominali da cui emerge: stenosi emodinamica del tripode celiaco, con presenza di ectasia post-stenotica. Generalmente, nel paziente affetto da aterosclerosi pluridistrettuale, il ritrovamento all’ECD di una stenosi asintomatica del tripode celiaco è un evento abbastanza frequente. Poiché la paziente però, non presentava localizzazione di malattia aterosclerotica in nessun distretto, è stata sospettata una patologia da legamento arcuato, che ben si evidenzia all’ECD durante gli atti respiratori forzati. Viene effettuata Angio-TC addome per conferma diagnostica che ben evidenzia la costrizione del tronco celiaco da parte del legamento arcuato. La paziente avendo attualmente una sintomatologia saltuaria è in attuale controllo clinico-strumentale in previsione di un intervento chirurgico.
IT100415
All’esame obiettivo del torace si apprezza un murmure aspro su tutto l’ambito polmonare e all’esame obiettivo dell’addome, assenza di dolenzia alla palpazione profonda e superficiale, con organi ipocondriaci all’arco.
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Vi presentiamo un caso clinico. Giunge alla nostra osservazione una donna di 50 anni, fumatrice di circa 10 sigarette al dì, che riferisce dolori addominali post prandiali, che durano circa un paio d’ore, accompagnati da nausea, conati di vomito e senso di fatica respiratoria. La paziente riferisce inoltre gonfiore addominale subito dopo i pasti e riduzione del peso corporeo (circa in un mese). Si decide di ricoverare la paziente in regime di DH presso la nostra struttura ospedaliera per sottoporla ad indagini laboratoristiche e diagnostiche. All’esame obiettivo, oltre ad un valore di PA di 145/95 mmHg, si riscontra un rinforzo del secondo tono sul focolaio aortico. All’esame obiettivo del torace si apprezza un murmure aspro su tutto l’ambito polmonare e all’esame obiettivo dell’addome, assenza di dolenzia alla palpazione profonda e superficiale, con organi ipocondriaci all’arco. Gli esami di laboratorio evidenziano un’alterata glicemia a digiuno (110 mg/dL) e un lieve aumento delle transaminasi (GOT: 50 U/L, GPT: 60 U/L). ECG: ritmo sinusale con frequenza cardiaca di 75 b/minuto. All’ecografia dell’addome: presenza di brigth disomogeneo, in assenza di lesioni focali e versamento in addome. RX torace: incremento della trama bronco vascolare con assenza di lesioni focali. Ecografia cardiaca: nella norma. Esame EGDS: segni di gastrite aspecifica. HP negativo. Per tale motivo viene iniziata terapia con farmaci antiipertensivi: TRIATEC 5 mg una compressa al mattino, associata a terapia anti reflusso: ANTRA 20 mg e PERIDON 10 mg prima dei pasti. La paziente viene dimessa col consiglio di assumere un regime dietetico alimentare corretto, evitando cibi reflussogeni, quali caffè, menta, thè, spezie, di osservare una buona masticazione, di utilizzare cibi ben cotti. Viene consigliato inoltre di ridurre l’utilizzo del sale e l’abolizione completa dell’abitudine tabagica. Dopo tre settimane, la paziente rientra riferendo assenza di miglioramento della sintomatologia clinica, nonostante la terapia e la modifica dello stile di vita. La paziente viene rivisitata. L’esame obiettivo risulta invariato rispetto al precedente, fatta eccezione per l’evidenza di una riduzione della pressione arteriosa (130/85 mmHg). Ad un esame più accurato dell’addome si reperta all’auscultazione un soffio sistolico a livello epigastrico. La paziente viene sottoposta ad esame EcoColorDoppler (ECD) dei vasi addominali da cui emerge: stenosi emodinamica del tripode celiaco, con presenza di ectasia post-stenotica. Generalmente, nel paziente affetto da aterosclerosi pluridistrettuale, il ritrovamento all’ECD di una stenosi asintomatica del tripode celiaco è un evento abbastanza frequente. Poiché la paziente però, non presentava localizzazione di malattia aterosclerotica in nessun distretto, è stata sospettata una patologia da legamento arcuato, che ben si evidenzia all’ECD durante gli atti respiratori forzati. Viene effettuata Angio-TC addome per conferma diagnostica che ben evidenzia la costrizione del tronco celiaco da parte del legamento arcuato. La paziente avendo attualmente una sintomatologia saltuaria è in attuale controllo clinico-strumentale in previsione di un intervento chirurgico.
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Gli esami di laboratorio evidenziano un’alterata glicemia a digiuno (110 mg/dL) e un lieve aumento delle transaminasi (GOT: 50 U/L, GPT: 60 U/L).
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Vi presentiamo un caso clinico. Giunge alla nostra osservazione una donna di 50 anni, fumatrice di circa 10 sigarette al dì, che riferisce dolori addominali post prandiali, che durano circa un paio d’ore, accompagnati da nausea, conati di vomito e senso di fatica respiratoria. La paziente riferisce inoltre gonfiore addominale subito dopo i pasti e riduzione del peso corporeo (circa in un mese). Si decide di ricoverare la paziente in regime di DH presso la nostra struttura ospedaliera per sottoporla ad indagini laboratoristiche e diagnostiche. All’esame obiettivo, oltre ad un valore di PA di 145/95 mmHg, si riscontra un rinforzo del secondo tono sul focolaio aortico. All’esame obiettivo del torace si apprezza un murmure aspro su tutto l’ambito polmonare e all’esame obiettivo dell’addome, assenza di dolenzia alla palpazione profonda e superficiale, con organi ipocondriaci all’arco. Gli esami di laboratorio evidenziano un’alterata glicemia a digiuno (110 mg/dL) e un lieve aumento delle transaminasi (GOT: 50 U/L, GPT: 60 U/L). ECG: ritmo sinusale con frequenza cardiaca di 75 b/minuto. All’ecografia dell’addome: presenza di brigth disomogeneo, in assenza di lesioni focali e versamento in addome. RX torace: incremento della trama bronco vascolare con assenza di lesioni focali. Ecografia cardiaca: nella norma. Esame EGDS: segni di gastrite aspecifica. HP negativo. Per tale motivo viene iniziata terapia con farmaci antiipertensivi: TRIATEC 5 mg una compressa al mattino, associata a terapia anti reflusso: ANTRA 20 mg e PERIDON 10 mg prima dei pasti. La paziente viene dimessa col consiglio di assumere un regime dietetico alimentare corretto, evitando cibi reflussogeni, quali caffè, menta, thè, spezie, di osservare una buona masticazione, di utilizzare cibi ben cotti. Viene consigliato inoltre di ridurre l’utilizzo del sale e l’abolizione completa dell’abitudine tabagica. Dopo tre settimane, la paziente rientra riferendo assenza di miglioramento della sintomatologia clinica, nonostante la terapia e la modifica dello stile di vita. La paziente viene rivisitata. L’esame obiettivo risulta invariato rispetto al precedente, fatta eccezione per l’evidenza di una riduzione della pressione arteriosa (130/85 mmHg). Ad un esame più accurato dell’addome si reperta all’auscultazione un soffio sistolico a livello epigastrico. La paziente viene sottoposta ad esame EcoColorDoppler (ECD) dei vasi addominali da cui emerge: stenosi emodinamica del tripode celiaco, con presenza di ectasia post-stenotica. Generalmente, nel paziente affetto da aterosclerosi pluridistrettuale, il ritrovamento all’ECD di una stenosi asintomatica del tripode celiaco è un evento abbastanza frequente. Poiché la paziente però, non presentava localizzazione di malattia aterosclerotica in nessun distretto, è stata sospettata una patologia da legamento arcuato, che ben si evidenzia all’ECD durante gli atti respiratori forzati. Viene effettuata Angio-TC addome per conferma diagnostica che ben evidenzia la costrizione del tronco celiaco da parte del legamento arcuato. La paziente avendo attualmente una sintomatologia saltuaria è in attuale controllo clinico-strumentale in previsione di un intervento chirurgico.
IT100415
ECG: ritmo sinusale con frequenza cardiaca di 75 b/minuto.
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Vi presentiamo un caso clinico. Giunge alla nostra osservazione una donna di 50 anni, fumatrice di circa 10 sigarette al dì, che riferisce dolori addominali post prandiali, che durano circa un paio d’ore, accompagnati da nausea, conati di vomito e senso di fatica respiratoria. La paziente riferisce inoltre gonfiore addominale subito dopo i pasti e riduzione del peso corporeo (circa in un mese). Si decide di ricoverare la paziente in regime di DH presso la nostra struttura ospedaliera per sottoporla ad indagini laboratoristiche e diagnostiche. All’esame obiettivo, oltre ad un valore di PA di 145/95 mmHg, si riscontra un rinforzo del secondo tono sul focolaio aortico. All’esame obiettivo del torace si apprezza un murmure aspro su tutto l’ambito polmonare e all’esame obiettivo dell’addome, assenza di dolenzia alla palpazione profonda e superficiale, con organi ipocondriaci all’arco. Gli esami di laboratorio evidenziano un’alterata glicemia a digiuno (110 mg/dL) e un lieve aumento delle transaminasi (GOT: 50 U/L, GPT: 60 U/L). ECG: ritmo sinusale con frequenza cardiaca di 75 b/minuto. All’ecografia dell’addome: presenza di brigth disomogeneo, in assenza di lesioni focali e versamento in addome. RX torace: incremento della trama bronco vascolare con assenza di lesioni focali. Ecografia cardiaca: nella norma. Esame EGDS: segni di gastrite aspecifica. HP negativo. Per tale motivo viene iniziata terapia con farmaci antiipertensivi: TRIATEC 5 mg una compressa al mattino, associata a terapia anti reflusso: ANTRA 20 mg e PERIDON 10 mg prima dei pasti. La paziente viene dimessa col consiglio di assumere un regime dietetico alimentare corretto, evitando cibi reflussogeni, quali caffè, menta, thè, spezie, di osservare una buona masticazione, di utilizzare cibi ben cotti. Viene consigliato inoltre di ridurre l’utilizzo del sale e l’abolizione completa dell’abitudine tabagica. Dopo tre settimane, la paziente rientra riferendo assenza di miglioramento della sintomatologia clinica, nonostante la terapia e la modifica dello stile di vita. La paziente viene rivisitata. L’esame obiettivo risulta invariato rispetto al precedente, fatta eccezione per l’evidenza di una riduzione della pressione arteriosa (130/85 mmHg). Ad un esame più accurato dell’addome si reperta all’auscultazione un soffio sistolico a livello epigastrico. La paziente viene sottoposta ad esame EcoColorDoppler (ECD) dei vasi addominali da cui emerge: stenosi emodinamica del tripode celiaco, con presenza di ectasia post-stenotica. Generalmente, nel paziente affetto da aterosclerosi pluridistrettuale, il ritrovamento all’ECD di una stenosi asintomatica del tripode celiaco è un evento abbastanza frequente. Poiché la paziente però, non presentava localizzazione di malattia aterosclerotica in nessun distretto, è stata sospettata una patologia da legamento arcuato, che ben si evidenzia all’ECD durante gli atti respiratori forzati. Viene effettuata Angio-TC addome per conferma diagnostica che ben evidenzia la costrizione del tronco celiaco da parte del legamento arcuato. La paziente avendo attualmente una sintomatologia saltuaria è in attuale controllo clinico-strumentale in previsione di un intervento chirurgico.
IT100415
All’ecografia dell’addome: presenza di brigth disomogeneo, in assenza di lesioni focali e versamento in addome.
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Vi presentiamo un caso clinico. Giunge alla nostra osservazione una donna di 50 anni, fumatrice di circa 10 sigarette al dì, che riferisce dolori addominali post prandiali, che durano circa un paio d’ore, accompagnati da nausea, conati di vomito e senso di fatica respiratoria. La paziente riferisce inoltre gonfiore addominale subito dopo i pasti e riduzione del peso corporeo (circa in un mese). Si decide di ricoverare la paziente in regime di DH presso la nostra struttura ospedaliera per sottoporla ad indagini laboratoristiche e diagnostiche. All’esame obiettivo, oltre ad un valore di PA di 145/95 mmHg, si riscontra un rinforzo del secondo tono sul focolaio aortico. All’esame obiettivo del torace si apprezza un murmure aspro su tutto l’ambito polmonare e all’esame obiettivo dell’addome, assenza di dolenzia alla palpazione profonda e superficiale, con organi ipocondriaci all’arco. Gli esami di laboratorio evidenziano un’alterata glicemia a digiuno (110 mg/dL) e un lieve aumento delle transaminasi (GOT: 50 U/L, GPT: 60 U/L). ECG: ritmo sinusale con frequenza cardiaca di 75 b/minuto. All’ecografia dell’addome: presenza di brigth disomogeneo, in assenza di lesioni focali e versamento in addome. RX torace: incremento della trama bronco vascolare con assenza di lesioni focali. Ecografia cardiaca: nella norma. Esame EGDS: segni di gastrite aspecifica. HP negativo. Per tale motivo viene iniziata terapia con farmaci antiipertensivi: TRIATEC 5 mg una compressa al mattino, associata a terapia anti reflusso: ANTRA 20 mg e PERIDON 10 mg prima dei pasti. La paziente viene dimessa col consiglio di assumere un regime dietetico alimentare corretto, evitando cibi reflussogeni, quali caffè, menta, thè, spezie, di osservare una buona masticazione, di utilizzare cibi ben cotti. Viene consigliato inoltre di ridurre l’utilizzo del sale e l’abolizione completa dell’abitudine tabagica. Dopo tre settimane, la paziente rientra riferendo assenza di miglioramento della sintomatologia clinica, nonostante la terapia e la modifica dello stile di vita. La paziente viene rivisitata. L’esame obiettivo risulta invariato rispetto al precedente, fatta eccezione per l’evidenza di una riduzione della pressione arteriosa (130/85 mmHg). Ad un esame più accurato dell’addome si reperta all’auscultazione un soffio sistolico a livello epigastrico. La paziente viene sottoposta ad esame EcoColorDoppler (ECD) dei vasi addominali da cui emerge: stenosi emodinamica del tripode celiaco, con presenza di ectasia post-stenotica. Generalmente, nel paziente affetto da aterosclerosi pluridistrettuale, il ritrovamento all’ECD di una stenosi asintomatica del tripode celiaco è un evento abbastanza frequente. Poiché la paziente però, non presentava localizzazione di malattia aterosclerotica in nessun distretto, è stata sospettata una patologia da legamento arcuato, che ben si evidenzia all’ECD durante gli atti respiratori forzati. Viene effettuata Angio-TC addome per conferma diagnostica che ben evidenzia la costrizione del tronco celiaco da parte del legamento arcuato. La paziente avendo attualmente una sintomatologia saltuaria è in attuale controllo clinico-strumentale in previsione di un intervento chirurgico.
IT100415
RX torace: incremento della trama bronco vascolare con assenza di lesioni focali.
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Vi presentiamo un caso clinico. Giunge alla nostra osservazione una donna di 50 anni, fumatrice di circa 10 sigarette al dì, che riferisce dolori addominali post prandiali, che durano circa un paio d’ore, accompagnati da nausea, conati di vomito e senso di fatica respiratoria. La paziente riferisce inoltre gonfiore addominale subito dopo i pasti e riduzione del peso corporeo (circa in un mese). Si decide di ricoverare la paziente in regime di DH presso la nostra struttura ospedaliera per sottoporla ad indagini laboratoristiche e diagnostiche. All’esame obiettivo, oltre ad un valore di PA di 145/95 mmHg, si riscontra un rinforzo del secondo tono sul focolaio aortico. All’esame obiettivo del torace si apprezza un murmure aspro su tutto l’ambito polmonare e all’esame obiettivo dell’addome, assenza di dolenzia alla palpazione profonda e superficiale, con organi ipocondriaci all’arco. Gli esami di laboratorio evidenziano un’alterata glicemia a digiuno (110 mg/dL) e un lieve aumento delle transaminasi (GOT: 50 U/L, GPT: 60 U/L). ECG: ritmo sinusale con frequenza cardiaca di 75 b/minuto. All’ecografia dell’addome: presenza di brigth disomogeneo, in assenza di lesioni focali e versamento in addome. RX torace: incremento della trama bronco vascolare con assenza di lesioni focali. Ecografia cardiaca: nella norma. Esame EGDS: segni di gastrite aspecifica. HP negativo. Per tale motivo viene iniziata terapia con farmaci antiipertensivi: TRIATEC 5 mg una compressa al mattino, associata a terapia anti reflusso: ANTRA 20 mg e PERIDON 10 mg prima dei pasti. La paziente viene dimessa col consiglio di assumere un regime dietetico alimentare corretto, evitando cibi reflussogeni, quali caffè, menta, thè, spezie, di osservare una buona masticazione, di utilizzare cibi ben cotti. Viene consigliato inoltre di ridurre l’utilizzo del sale e l’abolizione completa dell’abitudine tabagica. Dopo tre settimane, la paziente rientra riferendo assenza di miglioramento della sintomatologia clinica, nonostante la terapia e la modifica dello stile di vita. La paziente viene rivisitata. L’esame obiettivo risulta invariato rispetto al precedente, fatta eccezione per l’evidenza di una riduzione della pressione arteriosa (130/85 mmHg). Ad un esame più accurato dell’addome si reperta all’auscultazione un soffio sistolico a livello epigastrico. La paziente viene sottoposta ad esame EcoColorDoppler (ECD) dei vasi addominali da cui emerge: stenosi emodinamica del tripode celiaco, con presenza di ectasia post-stenotica. Generalmente, nel paziente affetto da aterosclerosi pluridistrettuale, il ritrovamento all’ECD di una stenosi asintomatica del tripode celiaco è un evento abbastanza frequente. Poiché la paziente però, non presentava localizzazione di malattia aterosclerotica in nessun distretto, è stata sospettata una patologia da legamento arcuato, che ben si evidenzia all’ECD durante gli atti respiratori forzati. Viene effettuata Angio-TC addome per conferma diagnostica che ben evidenzia la costrizione del tronco celiaco da parte del legamento arcuato. La paziente avendo attualmente una sintomatologia saltuaria è in attuale controllo clinico-strumentale in previsione di un intervento chirurgico.
IT100415
Ecografia cardiaca: nella norma.
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Vi presentiamo un caso clinico. Giunge alla nostra osservazione una donna di 50 anni, fumatrice di circa 10 sigarette al dì, che riferisce dolori addominali post prandiali, che durano circa un paio d’ore, accompagnati da nausea, conati di vomito e senso di fatica respiratoria. La paziente riferisce inoltre gonfiore addominale subito dopo i pasti e riduzione del peso corporeo (circa in un mese). Si decide di ricoverare la paziente in regime di DH presso la nostra struttura ospedaliera per sottoporla ad indagini laboratoristiche e diagnostiche. All’esame obiettivo, oltre ad un valore di PA di 145/95 mmHg, si riscontra un rinforzo del secondo tono sul focolaio aortico. All’esame obiettivo del torace si apprezza un murmure aspro su tutto l’ambito polmonare e all’esame obiettivo dell’addome, assenza di dolenzia alla palpazione profonda e superficiale, con organi ipocondriaci all’arco. Gli esami di laboratorio evidenziano un’alterata glicemia a digiuno (110 mg/dL) e un lieve aumento delle transaminasi (GOT: 50 U/L, GPT: 60 U/L). ECG: ritmo sinusale con frequenza cardiaca di 75 b/minuto. All’ecografia dell’addome: presenza di brigth disomogeneo, in assenza di lesioni focali e versamento in addome. RX torace: incremento della trama bronco vascolare con assenza di lesioni focali. Ecografia cardiaca: nella norma. Esame EGDS: segni di gastrite aspecifica. HP negativo. Per tale motivo viene iniziata terapia con farmaci antiipertensivi: TRIATEC 5 mg una compressa al mattino, associata a terapia anti reflusso: ANTRA 20 mg e PERIDON 10 mg prima dei pasti. La paziente viene dimessa col consiglio di assumere un regime dietetico alimentare corretto, evitando cibi reflussogeni, quali caffè, menta, thè, spezie, di osservare una buona masticazione, di utilizzare cibi ben cotti. Viene consigliato inoltre di ridurre l’utilizzo del sale e l’abolizione completa dell’abitudine tabagica. Dopo tre settimane, la paziente rientra riferendo assenza di miglioramento della sintomatologia clinica, nonostante la terapia e la modifica dello stile di vita. La paziente viene rivisitata. L’esame obiettivo risulta invariato rispetto al precedente, fatta eccezione per l’evidenza di una riduzione della pressione arteriosa (130/85 mmHg). Ad un esame più accurato dell’addome si reperta all’auscultazione un soffio sistolico a livello epigastrico. La paziente viene sottoposta ad esame EcoColorDoppler (ECD) dei vasi addominali da cui emerge: stenosi emodinamica del tripode celiaco, con presenza di ectasia post-stenotica. Generalmente, nel paziente affetto da aterosclerosi pluridistrettuale, il ritrovamento all’ECD di una stenosi asintomatica del tripode celiaco è un evento abbastanza frequente. Poiché la paziente però, non presentava localizzazione di malattia aterosclerotica in nessun distretto, è stata sospettata una patologia da legamento arcuato, che ben si evidenzia all’ECD durante gli atti respiratori forzati. Viene effettuata Angio-TC addome per conferma diagnostica che ben evidenzia la costrizione del tronco celiaco da parte del legamento arcuato. La paziente avendo attualmente una sintomatologia saltuaria è in attuale controllo clinico-strumentale in previsione di un intervento chirurgico.
IT100415