decision_id
stringlengths 36
36
| facts
stringlengths 618
1.55M
| considerations
stringlengths 0
643k
| law_area
stringclasses 3
values | law_sub_area
stringclasses 13
values | language
stringclasses 3
values | year
int32 2k
2.02k
| court
stringclasses 28
values | chamber
stringlengths 9
11
| canton
stringclasses 13
values | region
stringclasses 7
values |
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
7690324d-6f5f-5d47-bbfe-68f0b55db13b
|
ritenuto che il magistrato inquirente, interpellato, non ha presentato osservazioni;
richiamate le osservazioni 31.12.2011/5.1.2012 di PI 1, 4/9.1.2012 di PI 2 e 31.12.2011/9.1.2012 di PI 3, tutte concludenti per la reiezione del gravame;
richiamata la replica 2/6.2.2012 di RE 1, mediante la quale la stessa si riconferma nelle proprie allegazioni;
considerato che non sono state presentate osservazioni di duplica;
letti ed esaminati gli atti;
considerato
in fatto
a
. Con esposto 12/14.4.2011 RE 1 ha sporto querela/denuncia nei confronti di PI 1 (dal quale è separata legalmente dal 2009), PI 2 (nuova compagna dell’ex-marito) e PI 3 (zia di quest’ultima), per titolo di vie di fatto e aggressione, in relazione ad un’accesa discussione tra le parti avvenuta in data 1.4.2011 ad _, presso l’abitazione di PI 1.
b
. Dopo l’assunzione del rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 29.11.2011, con decisione 15.12.2011 il magistrato inquirente ha decretato il non luogo a procedere in capo al suddetto procedimento, ritenuto che “
è assodato che tra le parti è nata un’accesa discussione, nel corso della quale vi possono essere state anche delle vie di fatto maggiormente incise del ‘tenere le guance’ o ancora ‘tenere l’avambraccio’ come descritto dagli imputati. Vie di fatto che rientrano in un contesto di presumibili parole non garbate da parte dell’accusatrice privata, (...). Ne consegue che, in applicazione dell’art. 177 cpv. 3 CP, se all’ingiuria si è immediatamente risposto con vie di fatto, il giudice può mandare esente da pena le parti o una di esse. Disposto penale che appare corretto applicare alla fattispecie (...)
” (decreto di non luogo a procedere 15.12.2011, p. 2, NLP _).
c
. Con tempestivo gravame, RE 1 chiede l’apertura del procedimento penale nei confronti dei querelati/denunciati.
La reclamante ritiene che il decreto impugnato sia arbitrario, ed il suo contenuto incompatibile con i riscontri medici effettuati sulla stessa a seguito dei fatti.
Afferma che l’aggressione subìta ha richiesto la sua ospedalizzazione a causa della gravità delle percosse e, addirittura, la profilassi “
detta antitetanica, a causa dei graffi sanguinanti sul collo
” (reclamo 20/27.12.2011, p. 2), aspetti che sarebbero in contraddizione con la versione dei fatti resa dai querelati/denunciati e ripresa nel decreto impugnato, secondo cui PI 3 avrebbe unicamente preso la reclamante per le guance, in un gesto materno, per calmarla e PI 1 l’avrebbe presa per un avambraccio.
d
. Delle osservazioni dei querelati/denunciati e della replica di RE 1 si dirà, laddove necessario, in corso di motivazione.
|
in diritto
1
. 1.1.
Giusta i combinati art. 310 cpv. 2 e 322 cpv. 2 CPP le parti possono impugnare, entro dieci giorni (art. 396 cpv. 1 CPP), il decreto di non luogo a procedere dinanzi alla giurisdizione di reclamo.
Con il gravame si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l'eccesso e l'abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l'accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e l'inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta e all’art. 385 CPP per la motivazione.
In particolare il reclamo deve indicare i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP)
.
1.2.
Il gravame, inoltrato il 20/27.12.2011 alla Corte dei reclami penali, competente ex art. 62 cpv. 2 LOG, contro il decreto di non luogo a procedere 15.12.2011 (NLP _), è tempestivo
.
Le esigenze di forma e di motivazione sono rispettate
.
RE 1
,
quale accusatrice privata, è pacificamente legittimata a reclamare ex art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica del giudizio
.
Il reclamo è – di conseguenza – ricevibile in ordine
.
2
.
Il reclamo contro il decreto di non luogo a procedere è accolto, segnatamente, in presenza di sufficienti indizi di reato (art. 309 cpv. 1 lit. a CPP), se (contrariamente al giudizio del procuratore pubblico) sono adempiuti gli elementi costitutivi di un reato o i presupposti processuali (art. 310 cpv. 1 lit. a CPP), qualora non sono intervenuti impedimenti a procedere (art. 310 cpv. 1 lit. b CPP) o quando non si giustifica di rinunciare all’azione penale per uno dei motivi di cui all’art. 8 CPP (art. 310 cpv. 1 lit. c CPP)
.
Si ricorda che l’azione penale - per principio - è essenzialmente pubblica (art. 7 cpv. 1 CPP) e, come tale, esercitata dal procuratore pubblico, per cui non può essere lasciata all’arbitrio o al sentimento soggettivo delle parti, ma deve fondarsi su oggettivi, concreti e sufficienti elementi indizianti. In questo senso non basta una diversa interpretazione delle risultanze da parte del reclamante, ma occorre la dimostrazione della verosimiglianza di alto grado circa altra conclusione che merita approfondimento
.
3
. RE 1 ipotizza a carico dei querelati/denunciati i reati di vie di fatto giusta l’art. 126 cpv. 1 CP [secondo cui è punito chiunque commette vie di fatto contro una persona senza cagionarle un danno al corpo o alla salute (BSK Strafrecht II – A. ROTH, 2. ed., art. 126 CP n. 1 ss.)] e di aggressione giusta l’art. 134 CP [secondo cui è punito chiunque prende parte ad un’aggressione, a danno di una o più persone, che ha per conseguenza la morte o la lesione di un aggredito o di un terzo (BSK Strafrecht II - P. AEBERSOLD, op. cit., art. 134 CP n. 5 e 7)], in relazione alla discussione avvenuta tra le parti in data 1.4.2011.
4.
4.1.
Sentita dalla polizia cantonale in data 26.5.2011 e 27.5.2011, RE 1 ha innanzitutto spiegato la difficile situazione famigliare vissuta con PI 1, dal quale è separata legalmente dal 2009. In merito ai fatti che qui ci occupano la stessa ha sostanzialmente ribadito quanto indicato in sede di querela/denuncia, segnatamente di essere stata spintonata in modo violento dall’ex-marito e dalla sua attuale compagna, e di essere stata afferrata “
più volte al collo con entrambe le mani
” da parte della zia di quest’ultima, PI 3 (cfr. verbale di interrogatorio 27.5.2011, p. 3, in rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 29.11.2011, AI 8).
A seguito di ciò la stessa, lamentando dolori vari e bruciore al collo, si è recata presso l’Ospedale regionale di _, _. Dei riscontri medici così come della documentazione fotografica, rilasciati dal suddetto nosocomio, e prodotti dalla reclamante in questa sede, si dirà in seguito.
4.2.
I querelati/denunciati, a loro volta, hanno fornito delle versioni dei fatti tra loro lineari e concordi, che divergono da quanto sostenuto dalla qui reclamante.
Gli stessi hanno infatti riferito di non aver commesso alcun atto di violenza fisica nei confronti di RE 1.
PI 1, in particolare, ha dichiarato di aver tenuto l’avambraccio sinistro della ex-moglie senza forza ed unicamente con lo scopo di farla allontanare, e di aver visto PI 3 “
con metodi paternalistici
” e al fine di calmare la reclamante, tenerle “
per pochi secondi le guance con entrambe le mani (...) senza violenza e senza forza
” (cfr. verbale di interrogatorio 25.10.2011, p. 2, in rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 29.11.2011, AI 8).
La compagna di PI 1, PI 2, ha confermato di aver visto sua zia mettere “
le mani al viso, sulle guance, di RE 1 in modo materno e gentile, continuando a dirgli di calmarsi
” (cfr. verbale di interrogatorio 3.11.2011, p. 2, in rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 29.11.2011, AI 8).
La stessa PI 3 ha dichiarato di avere preso la reclamante “
con le mani alle sue guance in modo materno per cercare di calmarla
” e di aver visto PI 1 prenderla per un braccio ed accompagnarla fuori dalla porta dell’abitazione (cfr. verbale di interrogatorio 8.11.2011, p. 2, in rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 29.11.2011, AI 8).
5.
In siffatte circostanze, viste le divergenti dichiarazioni a verbale di RE 1 da un lato e dei querelati/denunciati dall’altro, e considerata l’assenza di testimonianze neutre e/o di qualsiasi altra prova o indizio idonei a sostanziare le versioni dei fatti fornite, risulta impossibile stabilire l’esatta dinamica degli eventi qui in discussione.
Neppure i riscontri medici e la documentazione fotografica soccorrono la tesi della reclamante.
Dalla lettera di dimissione 1.4.2011 rilasciata dalla dr.ssa med. _ inerente a RE 1 risulta, quale “status”:
"
marca di strangolamento cervicale sopra il sternocleidomastoideo bilateralmente. Marca di contusione cassa toracica bilateralmente. Dolore alla palpazione epicondrio sinistro
" (lettera di dimissione 1.4.2011 annessa alla querela penale 12/14.4.2011, AI 1 – inc. MP _
12
).
Dalla documentazione fotografica allegata risultano degli arrossamenti nella parte inferiore del collo della reclamante.
Questa documentazione non è tuttavia atta a comprovare che le lesioni subìte da RE 1 siano state effettivamente e direttamente causate dall’agire dei querelati/denunciati.
In queste circostanze, la decisione del procuratore pubblico non può che essere tutelata.
6
. Il gravame è respinto. Tassa di giustizia e spese sono poste a carico dell’insorgente, soccombente.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,012 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
76d5bcb4-3d2c-56eb-a2a0-c1ae0dd8a16f
|
in fatto ed in diritto
1.
In data _ _ (_) è stato trasferito dal _ all’Ospedale Regionale di _ a causa di un malore. Nonostante le cure prestate, egli è deceduto lo stesso giorno. Il Ministero pubblico ha quindi aperto un procedimento penale (inc. MP _) nell’ambito del quale
il procuratore pubblico Andrea Pagani ha ordinato l’autopsia sulla salma della vittima (per stabilire il momento e l’esatta causa del decesso) e i prelievi tossicologici necessari. Il _ il perito incaricato ha allestito il rapporto definitivo, stabilendo che la causa del decesso di
┼_
è da ricondurre a un’ischemia miocardica acuta da trombosi della coronaria destra. L’incarto penale è stato archiviato il _ (scritto PP _, NLP _).
2.
Con la presente richiesta – trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza ex art. 62 cpv. 4 LOG, a questa Corte – il dr. med. IS 1 chiede di poter accedere alle risultanze delle indagini anatomico-patologiche esperite
post mortem
sulla salma di
┼_
.
A sostegno della sua richiesta precisa in particolare che nell’estate del 2012 aveva sottoposto quest’ultimo ad una perizia e che si trattava di un caso molto complesso dal profilo diagnostico (doc. CRP 1.a).
Come esposto in entrata, il magistrato inquirente non si è opposto alla richiesta.
3.
L
’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
Nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente istanza e la sua finalità – appare, di principio, dato
un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG del dr. med. IS 1 a consultare la documentazione medica agli atti. La sua richiesta è stata formulata sostanzialmente a fini scientifici/professionali allo scopo di approfondire la causa del decesso di
┼_
, già suo peritando (che a suo tempo aveva presentato una diagnosi molto insolita), per poter fare un confronto tra il quadro clinico ottenuto mediante la perizia e le risultanze dell’esame autoptico.
Di conseguenza le relazioni di autopsie provvisorie datate 7.05.2013 e 10.09.2013 (AI 14 e AI 17), la relazione integrativa datata 18.09.2013 (AI 18), la relazione medico legale sugli accertamenti necroscopici eseguiti sulla salma di _ datata 30.10.2013 (AI 19) e infine l’expertise toxicologique rapport d’analyse datato 10.10.2013 (AI 20) vengono trasmessi, in copia, al qui istante unitamente alla presente decisione.
Questa Corte autorizza già sin d’ora il dr. med. IS 1 ad esaminare, se necessario, presso il Ministero pubblico i due raccoglitori contenenti diversa documentazione medica sequestrata il 25.04.2013 presso l’Ospedale Regionale di _ e presso il _ (cfr., al proposito, scritto PP 31.10./1.11.2014, doc. CRP 1), concordando i tempi e le modalità di accesso con il procuratore pubblico Andrea Pagani, compatibilmente con i suoi impegni. Il medico è, se del caso, autorizzato a fotocopiare i documenti utili alle sue incombenze.
Va da sé che il dr. med. IS 1 è tenuto al segreto d’ufficio.
5.
L’istanza è accolta ai sensi del surriferito considerando. Stante la particolarità della fattispecie, non si prelevano tassa di giustizia e spese.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,014 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
76e29975-acb6-58a7-9111-5433b8e8fa02
|
in fatto: A.
Con sentenza del 26 giugno 2000 il presidente della Corte delle assise correzionali di Lugano ha dichiarato _ autore colpevole di commercio di merci contraffatte per avere, tra il febbraio e l'aprile del 1993, partecipato in tre occasioni alla vendita alla ditta _ SA, _, di articoli di pelletteria del valore di circa Lit. 60'000'000 ognuna recante il marchio “_ ”, sapendo che la merce era contraffatta. Egli ha prosciolto l'accusato invece dall'imputazione di uso fraudolento del marchio in relazione ai citati fatti per intervenuta prescrizione dell'azione penale e per tardività della querela.
In applicazione della pena, il presidente della Corte delle assise correzionali ha condannato _ a 45 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente con un periodo di prova di due anni. Inoltre ha pronunciato la confisca ai fini della distruzione della partita di merce sequestrata il 27 luglio 1993 presso il Punto Franco di Chiasso proveniente dalla ditta _, _ (Giappone) e destinata alla _ SA.
B.
Contro la sentenza di assise _ e la _ SA, costituitasi parte civile, hanno inoltrato una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi dei gravami, presentati il 25 e 26 luglio 2000, essi chiedono:
– _: il proscioglimento dall'imputazione di commercio di merci contraffatte o, in via subordinata, una riduzione della pena inflittagli;
– La _ SA: la condanna dell'imputato a 60 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente, per il reato di uso fraudolento del marchio “_ ” in relazione alla messa in circolazione di merce contraffatte nel mese di aprile del 1993 e la rifusione di fr. 5'000.– per ripetibili.
C.
Con scritto del 4 agosto 2000 la _ SA propone di respingere il ricorso di _. Con osservazioni del 7 agosto successivo il Procuratore pubblico ha formulato la medesima richiesta, rimettendosi al giudizio della Corte di cassazione e di revisione penale per quanto riguarda il ricorso della _ SA. _, da parte sua, ha postulato la reiezione del ricorso presentato dalla _ SA con osservazioni del 21 agosto 2000.
|
Considerando
in diritto: I. Sul ricorso di _
1.
Il ricorrente impugna la condanna per il reato di commercio di merci contraffatte, commesso tra l'11 febbraio e il 7 aprile 1993. Ora, giusta l'art. 155 n. 1 cpv. 1 e 2 CP (entrato in vigore il 1° gennaio 1995), che compendia in una sola norma le ipotesi di reato previste dal diritto anteriore (art. 153, 154 e 155 vCP), chiunque, a scopo di frode nel commercio e nelle relazioni d'affari, fabbrica merci il cui reale valore venale è inferiore a quanto fan pensare le apparenze, segnatamente perché contraffà o falsifica merci, importa, tiene in deposito o mette in circolazione tali merci, è punito con la detenzione o con la multa, eccetto che l'atto sia passibile di una pena più grave in virtù di un'altra disposizione. L'art. 154 cpv. 1 vCP, che si riferiva al solo commercio di merci contraffatte e che il primo giudice ha applicato alla fattispecie come
lex mitior
(sentenza, pag. 10 e 11), prevedeva la stessa comminatoria, ovvero la detenzione o la multa. Trattasi quindi di un delitto che si prescrive in 5 anni (prescrizione relativa), rispettivamente in 7 anni e 6 mesi (prescrizione assoluta), così come prevedono gli art. 70 n. 1 cpv. 4 CP (cfr. art. 70 n. 1 cpv. 4 vCP) e 72 n. 2 CP.
2.
Nella fattispecie la prescrizione assoluta dell'azione penale (7 anni e 6 mesi) relativa al reato di commercio di merci per cui il ricorrente è stato condannato, è intervenuta nell'agosto del 2000, in pendenza del ricorso per cassazione (prima spedizione avvenuta attorno alla metà di febbraio del 1993: sentenza pag. 6), rispettivamente nel settembre del 2000 (seconda spedizione avvenuta nel marzo del 1993: sentenza, pag. 6) e il 7 ottobre 2000 (terza spedizione, fatturazione del 7 aprile 1993: sentenza, pag. 7; cfr. la data indicata nell'atto di accusa, che prospetta l'infrazione fino a quel momento). La prescrizione assoluta, infatti, non si interrompe, salvo l'ipotesi – estranea nel caso in esame – di sospensione giusta l'art. 72 n. 1 CP (DTF 100 Ib 275, 111 IV 89) e continua a decorrere anche in pendenza di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale (art. 290 cpv. 1 CPP; CCRP, sentenza dell'8 luglio 1994 in re Z. consid. 4). Il suo compimento va rilevato d'ufficio (DTF 116 IV 80, 97 IV 157; CCRP, sentenza del 1° giugno 2000 in re I., pag. 3).
3.
La prescrizione assoluta dell'azione penale non comporta il proscioglimento dell'imputato. Come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, tale circostanza osta solo all'emanazione di un giudizio di merito e determina l'archiviazione del caso (CCRP, sentenza del 26 giugno 1991 in re E., consid. 5; v. anche
Trechsel
, StGB, Kurzkommentar, 2a edizione, n. 3 ad art. 70). Ciò impone, ad ogni modo, di annullare la condanna pronunciata dalla prima Corte nei dispositivi n. 1., 1.1, 3. 3.1, 4 e 3.2 (spese processuali). Rimane per contro invariato il dispositivo n. 5 relativo alla confisca ai fini della distruzione della merce sequestrata il 27 luglio 1993 presso il punto Franco di Chiasso, non impugnato (giustamente) dal ricorrente. Dato il venir meno della condanna, il ricorso diventa privo di oggetto e va stralciato dai ruoli (CCRP, sentenza 8 luglio 1994 in re Z.; CCRP, sentenza del 26 giugno 1991 in re E.).
II. Sul ricorso della _ SA
4.
La ricorrente impugna il dispositivo con cui il presidente della Corte di assise ha assolto il prevenuto – in mancanza di tempestiva querela giusta l'art. 29 CP – dall'imputazione di uso fraudolento del marchio (art. 62 LPM). Sostiene di avere sporto querela in tempo utile e propone la condanna del prevenuto anche per tale reato. Anche questa imputazione soggiace però alla prescrizione assoluta di 7 anni e 6 mesi, trattandosi di un delitto punibile con la detenzione o con la multa (art. 62 LPM). Tale prescrizione si è compiuta a sua volta nelle more del giudizio sul ricorso per cassazione, il quale ha impedito il passaggio in giudicato del dispositivo n. 2 della sentenza relativo al proscioglimento (
recte:
all'abbandono del caso, se non vi era tempestiva querela:
Trechsel
, op. cit., n. 11 ad art. 28 n. 11), sicché il termine di prescrizione è continuato a decorrere anche dopo la pronuncia della sentenza impugnata (CCRP, sentenza del 21 giugno 2000 in re I., pag. 3). Ne segue che il dispositivo n. 2 della sentenza impugnata deve pure essere annullato, indipendentemente dal fatto che la querela fosse o non fosse tempestiva. Con la prescrizione, in effetti, si è estinta la stessa azione penale. È vero che al momento del suo inoltro il ricorso era proponibile. Prima che esso potesse essere deciso, il 7 ottobre 2000, la prescrizione si è tuttavia compiuta, facendo decadere un presupposto processuale rilevabile d'ufficio in ogni stadio di causa (DTF 116 IV 80). Anche il ricorso della parte civile dev'essere perciò dichiarato privo d'oggetto e la causa va stralciata dai ruoli.
5.
Si aggiunga che all'impossibilità di statuire sui ricorsi prima della prescrizione assoluta ha contribuito il carico di lavoro gravante sulla Corte di cassazione e di revisione penale, ma anche lo stesso ricorso della parte civile. Quest'ultima aveva certo interesse legittimo a impugnare il proscioglimento dal reato meno grave (riferito all'ultima parte dell'attività delittuosa) e la mancata attribuzione di ripetibili per fr. 5'000.–. Se non che, sollevando ulteriori problemi meritevoli di approfondimento accanto a quelli esposti del condannato (il cui ricorso era facilmente prevedibile), essa ha procrastinato l'emanazione del giudizio. Non si può ragionevolmente pretendere celerità nella decisione per evitare l'intervento della prescrizione assoluta (si vedano i solleciti a questa Corte) e, nel contempo, insistere su aspetti relativamente secondari (come la condanna per uso fraudolento del marchio in relazione alla sola ultima spedizione e l'attribuzione di ripetibili) quando è in gioco una condanna ben più importante per commercio di beni contraffatte. Quanto alla richiesta di ripetibili per il procedimento di prima sede, essa sfugge una volta di più a un esame di merito, dato che la prescrizione assoluta dell'azione penale è subentrata anche – come detto – in relazione al reato per il quale il prevenuto è stato in un primo momento condannato.
III. Sulle spese
6.
Si è visto che la prescrizione assoluta dell'azione penale per il commercio di merci contraffatte implica l'annullamento – tra l'altro – del dispositivo sulle spese della sentenza impugnata, le quali vanno pertanto addebitate allo Stato (v. anche l'art. 9 cpv. 4 CPP). Data la modesta entità dell'importo (le spese di inchiesta ammontano complessivamente a fr. 300.–; sentenza, pag. 16 in fondo), si rinuncia a scorporare l'eventuale quota che rimane a carico di _ per la decisione di confisca. Non si prelevano oneri invece per la procedura di cassazione. Siccome l'attuale sentenza non comporta proscioglimenti, ma soltanto l'archiviazione del caso, non si giustifica nemmeno di assegnare ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,000 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
76f97070-a565-5e41-a7a6-07e2a5ad5a6f
|
in fatto
a.
Con decreto 11.12.2014 l’PI 1 ha posto in stato d’accusa dinanzi alla Pretura penale RE 1 siccome ritenuto
“presunto autore colpevole di contravvenzione alla Legge federale sui lavoratori distaccati in Svizzera (LDist)”
e l’ha condannato al pagamento di una multa di CHF 2'500.-- (inc. BIL – _, AI 4).
b.
Con scritto 15/23.1.2015 RE 1 ha inoltrato formale opposizione al suddetto decreto di accusa (inc. BIL – _, AI 6).
c.
Con decisione 29.1.2015, a seguito di tale opposizione, l’PI 1 ha confermato il decreto di accusa 11.12.2014, trasmettendo gli atti del procedimento alla Pretura penale (doc. 1, inc. Pretura penale _).
d.
Con scritto 2.3.2015 il presidente della Pretura penale ha assegnato alle parti (RE 1 e l’PI 1) un termine di 10 giorni “
per presentare e motivare eventuali istanze probatorie
” (doc. 3, inc. _).
e.
Con scritto di medesima data il presidente della Pretura penale ha citato l’autorità inquirente e l’imputato a comparire il giorno 7.5.2015, alle ore 14:00, per procedere al dibattimento, avvertendo nel contempo che “
se l’opponente ingiustificatamente non compare né si fa rappresentare (art. 127 cpv. 5 CPP), l’opposizione è considerata ritirata (art. 356 cpv. 4 CPP)
” [doc. 4, inc. _).
f.
In sede di verbale di dibattimento 7.5.2015 il giudice Marco Kraushaar ha preso atto “
dell’assenza dell’imputato e visto che la citazione è stata inviata al suo domicilio estero (...) procederà a una nuova citazione in applicazione dell’art. 366 cpv. 1 CPP
” (doc. 6, inc. _).
g.
Con scritto 11.5.2015, indirizzato a RE 1 presso il suo domicilio _, il presidente della Pretura penale ha comunicato all’imputato che l’opposizione interposta contro il suddetto decreto di accusa “
è stata trasmessa alla scrivente autorità per il proseguo della procedura e in particolare per la celebrazione del pubblico dibattimento, previsto il 7 maggio 2015 alle ore 14.00 e al quale non si è presentato; tuttavia è emerso che con ogni verosimiglianza la firma sull’opposizione datata 15 gennaio 2015, che le alleghiamo in copia, non sia la sua. Se così fosse con la presente, in applicazione dell’art. 110 CPP le viene assegnato un termine perentorio di 10 giorni per inoltrarci l’opposizione con apposta la sua firma in originale oppure per controfirmare e ritornarci la copia della lettera allegata, con la comminatoria che, trascorso infruttuosamente tale termine, l’opposizione sarà dichiarata irricevibile e il decreto di accusa definitivo. Se invece la firma autografa in calce all’opposizione fosse la sua, entro lo stesso termine e pena le medesime conseguenze giuridiche sopra riportate, dovrà darcene comunicazione scritta
” (doc. 8, inc. _).
A tale comunicazione il presidente della Pretura penale ha allegato una nuova citazione delle parti a comparire il giorno 10.7.2015 alle ore 14:00 per procedere al dibattimento, “
con l’avvertenza che se l’imputato non si presenta neppure questa volta si procederà in sua assenza (art. 366 cpv. 2 CPP)
” [doc. 7, inc. _
h.
Lo scritto di cui al doc. 8, unitamente alla nuova citazione (doc. 7), sono stati spediti all’imputato in data 11.5.2015 (cfr. timbro apposto sul retro di entrambi i documenti), e sono stati notificati allo stesso RE 1, presso il suo domicilio in _, in data 19.5.2015 (cfr. verifica postale agli atti, doc. 8, inc. _).
i.
Con decreto 3.7.2015 il presidente della Pretura penale ha dichiarato irricevibile l’opposizione 15/23.1.2015, in quanto “
l’imputato, al quale è stata notificata la raccomandata con la richiesta di cui sopra il 19 maggio 2015 (cfr. verifica postale agli atti), non ha provveduto a sanare il vizio entro il termine impartitogli
” [doc. 9, inc. _].
l.
Con gravame 16/21.7.2015 RE 1 afferma di essersi erroneamente presentato il giorno della prima convocazione, segnatamente il 7.5.2015, alle ore 15:00, convinto che il pubblico dibattimento fosse fissato per quell’ora, mentre che era previsto per le ore 14:00; non sarebbe dunque stato accolto e sarebbe invece stato rimandato indietro.
In merito alla seconda raccomandata ricevuta (di data 11.5.2015) il reclamante ha affermato che “
per (...) negligenza non ho letto con attenzione, in quanto la mia concentrazione si è focalizzata sulla nuova data 10 luglio 2015 per poter effettuare un nuovo dibattito, di conseguenza non ho risposto entro i termini da Voi indicati, dove mi si chiedeva se la firma apposta sull’opposizione formale fosse realmente mia
” (reclamo 16/21.7.2015).
Precisa che la firma apposta sull’opposizione 15.1.2015 è stata apposta dal suo commercialista, al fine di accelerare l’iter e risolvere la questione in tempi brevi.
Afferma di essersi presentato il 10.7.2015 “
alla convocazione fissata, dove nuovamente non sono stato accolto in quanto non avendo risposto alla precedente raccomandata non mi è stata data neanche la possibilità di controbattere e farvi capire come fossero andate realmente le cose
” (reclamo 16/21.7.2015).
Conclude ribadendo che la colpa sarebbe unicamente la sua, per aver letto in modo superficiale le comunicazioni ricevute, precisando altresì che l’autorità sarebbe stata eccessivamente fiscale, considerato che la sua volontà di risolvere la questione l’avrebbe sempre dimostrata presentandosi alle convocazioni.
|
Delle ulteriori motivazioni del reclamante, si dirà, se necessario, nei considerandi in diritto.
in diritto
1.
1.1.
Giusta l’art. 393 cpv. 1 lit. b CPP il reclamo può essere interposto, entro dieci giorni (art. 396 cpv. 1 CPP), contro i decreti e le ordinanze, nonché gli atti procedurali dei tribunali di primo grado; sono eccettuate le decisioni ordinatorie.
Con il gravame si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l'eccesso e l'abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l'accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e l'inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta e all’art. 385 CPP per la motivazione.
In particolare il reclamo deve indicare i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP)
.
La prevalenza dei principi della verità materiale e della legalità impone alla giurisdizione di reclamo, investita di un gravame, di decidere indipendentemente dalle conclusioni o dalle motivazioni addotte dalle parti, applicando il diritto penale, che deve imporsi d’ufficio (Commentario CPP – M. MINI, art. 391 CPP n. 2; cfr., anche, sentenze TF 1B_460/2013 del 22.1.2014 consid. 3.1. e 1B_40/2013 del 26.2.2013 consid. 3.2.).
1.2.
Il gravame, inoltrato il 16/21.7.2015 alla Corte dei reclami penali, competente ex art. 62 cpv. 2 LOG, contro il decreto 3.7.2015
del presidente della Pretura penale
(inc. _), è tempestivo
.
Le esigenze di forma e di motivazione sono rispettate
.
RE 1, imputato e destinatario del decreto qui impugnato, è pacificamente legittimato a reclamare ex art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica del giudizio
.
Il reclamo è – di conseguenza – ricevibile in ordine
.
2.
2.1.
Ai sensi dell’art. 354 cpv. 1 lit. a CPP (applicabile alla fattispecie giusta l’art. 357 cpv. 2 CPP), il decreto d’accusa può essere impugnato dall’imputato entro dieci giorni con opposizione scritta.
Giusta l’art. 90 cpv. 1 CPP, i termini la cui decorrenza dipende da una notificazione o dal verificarsi di un evento decorrono dal giorno successivo.
Ai sensi dell’art. 91 cpv. 2 CPP le istanze o memorie devono inoltre essere consegnate al più tardi l’ultimo giorno del termine presso l’autorità penale oppure, all’indirizzo di questa, presso la posta svizzera, una rappresentanza diplomatica o consolare svizzera oppure, per finire, qualora provengano da persone in stato di carcerazione, alla direzione dello stabilimento medesimo (decisione TF 1B_139/2012 del 29.3.2012 consid. 3.).
Se l’ultimo giorno del termine è un sabato, una domenica o un giorno riconosciuto festivo dal diritto federale o cantonale, il termine scade il primo giorno feriale seguente.
2.2.
La nozione di termine di cui all’art. 90 cpv. 1 CPP comprende sia i termini legali, improrogabili giusta l’art. 89 cpv. 1 CPP (come ad esempio il termine di opposizione al decreto d’accusa), sia i termini impartiti dall’autorità competente: ad esempio il termine di 10 giorni impartito dal presidente della Pretura penale a RE 1 con scritto 11.5.2015, per provvedere a sanare il vizio di forma riscontrato nell’opposizione (
ZK StPO
–
D. BRÜSCHWEILER, 2. ed., art. 89 CPP n. 1; N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, 2. ed., vor art. 89-94 CPP n. 2-3).
Pertanto, una volta notificato lo scritto con il quale l’autorità competente impartisce al destinatario un termine, esso decorre dal giorno successivo alla notifica.
2.3.
Giusta
l’art. 91 cpv. 1 CPP il termine è osservato se l'atto procedurale è compiuto presso l'autorità competente al più tardi l'ultimo giorno. Per il cpv. 4 il termine è reputato osservato anche quando la memoria o l’istanza perviene al più tardi l’ultimo giorno del termine a un'autorità svizzera non competente. Questa la inoltra senza indugio all'autorità penale competente.
Ai sensi dell’art. 93 CPP, vi è inosservanza di un termine quando una parte non compie tempestivamente un atto procedurale o non compare a un’udienza. Il motivo dell’inosservanza è irrilevante (CR CPP – D. STOLL, art. 93 CPP n. 2; BSK StPO .C. RIEDO, 2. ed., art. 93 CPP n. 5).
3.
3.1.
Come sopra esposto, dopo aver constatato che la firma apposta sull’opposizione 15.1.2015 al decreto d’accusa 11.12.2014 dell’PI 1 (BIL – _) non apparteneva (con ogni verosimiglianza) all’imputato stesso, con scritto 11.5.2015 [pervenuto a RE 1 il 19.5.2015 (cfr. consid. h)], il presidente della Pretura penale, ha assegnato a quest’ultimo, un termine di dieci giorni per sanare tale vizio di forma.
Il reclamante non ha provveduto a sanare tale vizio entro il termine impartitogli e si è (semplicemente) presentato il 10.7.2015 per il dibattimento previsto per le ore 14:00.
3.2.
Nel gravame che qui ci occupa, RE 1 si limita ad affermare di non aver rispettato il termine di cui sopra per sua “
negligenza
” e “
colpa
”, in quanto si sarebbe concentrato unicamente sulla data della nuova citazione, senza preoccuparsi di rispondere alla domanda dell’autorità che gli chiedeva se la firma apposta sull’opposizione 15.1.2015 fosse realmente la sua. Lo stesso conferma poi che la citata firma è stata apposta dal suo commercialista, il quale si sarebbe occupato lui di tutto al fine di accelerare i tempi di conclusione della pratica.
Nella fattispecie concreta non è dunque contestato il ricevimento o meno della raccomandata 11.5.2015, così come neppure è contestato il mancato rispetto del termine assegnato dal presidente della Pretura penale per sanare il vizio di forma riscontrato nell’opposizione. RE 1 si limita a rilevare un certo formalismo da parte dell’autorità, che non riconoscerebbe la sua volontà di risolvere la questione.
3.3.
In siffatte circostanze questa Corte non può che confermare il decreto 3.7.2015 del presidente della Pretura penale. L’opposizione 15.1.2015 interposta avverso il decreto di accusa 11.12.2014 dell’PI 1 è dunque da considerarsi irricevibile in quanto il vizio di forma non è stato sanato nei termini prescritti, ciò che il reclamante nemmeno pretende.
4.
Il gravame è respinto. Tassa di giustizia e spese sono poste a carico dell’insorgente, soccombente.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,015 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
775eb30f-8600-5411-bc2c-e30d86602650
|
in fatto ed in diritto
che a seguito della denuncia/querela sporta il 20.12.2011 da IS 1 in relazione ai fatti accaduti a _, il 18.12.2011, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale contro ignoti (inc. MP _) sfociato nel decreto di accusa 15.10.2012 (DA _) mediante il quale il procuratore pubblico ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale PI 2 siccome ritenuto colpevole di lesioni semplici qualificate giusta l’art. 123 cifra 2 CP "
per avere, il 18.12.2011, a _, colpendolo con il dorso della mano al viso per poi spintonarlo all’indietro tanto da farlo cadere di schiena su una panchina, nonché colpendolo con oggetti pericolosi, segnatamente due bicchieri di vetro in testa e al volto, cagionato a IS 1 le lesioni emergenti dal certificato medico, agli atti, allestito il 22.12.2011 dal dr. med. _ di _
" e di danneggiamento giusta l’art. 144 cpv. 1 CP "
per avere, il 18.12.2011, a _, colpendo al volto IS 1 come descritto sub 1, intenzionalmente danneggiato gli occhiali di proprietà dell’accusatore privato
" ed ha proposto la sua condanna alla pena pecuniaria di novanta aliquote giornaliere da CHF 30.-- cadauna, corrispondenti a complessivi CHF 2'700.-- [con l’avvertenza che, in caso di mancato pagamento, la stessa sarà sostituita con una pena detentiva di novanta giorni (art. 34 e 36 CP)], al pagamento della tassa di giustizia e delle spese, rinviando l’accusatore privato al competente foro civile per far valere le sue pretese (DA _);
che il suddetto decreto è passato in giudicato il 19.11.2012;
che con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Ministero pubblico a questa Corte – l’avv. PR 1, in nome e per conto del suo assistito IS 1, chiede la conferma che il DA _ sia passato in giudicato e la trasmissione, in copia, degli atti formanti l’incarto MP _ (doc. 1.a);
che a suffragio della sua richiesta precisa che nel DA _ IS 1, in qualità di accusatore privato, è stato rinviato al competente foro per le pretese di natura civile e che egli è intenzionato ad intraprendere un’azione civile di risarcimento dei danni causati da PI 2;
che, come esposto in entrata, il procuratore pubblico non si è opposto alla richiesta;
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare
PI 2, essendo stato il qui istante parte (in qualità di accusatore privato) al procedimento penale di cui all’incarto MP _ sfociato nel DA _ (passato in giudicato);
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di accusatore privato) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta e la sua finalità – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, degli atti istruttori dell’incarto MP _ riguardanti la sua persona e del decreto di accusa 15.10.2012 (DA _), poiché il procedimento penale nel frattempo archiviato l’ha interessato personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che il procuratore pubblico nel DA _ ha rinviato il qui istante al competente foro civile per far valere eventuali pretese: egli necessita dunque della documentazione richiesta allo scopo di avviare un procedimento civile nei confronti dell’imputato;
che di conseguenza il verbale del procedimento (art. 77 CP) del 28.12.2012, l’e-mail 22.12.2011 (AI 1), il conferimento di mandato alla polizia fase investigativa 22.12.2011 (AI 2), il rapporto di segnalazione 31.01.2012 (AI 3), il mandato di accompagnamento coattivo 27.02.2012 (AI 4), il rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 18.07.2012 limitatamente alla fattispecie inerente alla persona di IS 1 (AI 5), lo scritto 3.10.2012 del procuratore pubblico inviato a IS 1 (AI 6), i giustificativi trasmessi da IS 1 (AI 8) di cui all’inc. MP _ e il decreto di accusa 15.10.2012 (DA _) vengono trasmessi, in copia, al patrocinatore del qui istante unitamente alla presente decisione;
che non vengono, per contro, trasmessi le parti del rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 18.07.2012 riguardanti un’altra fattispecie (AI 5) e l’estratto del casellario giudiziale svizzero di PI 2 (AI 7), poiché estranei ai fini della procedura civile e nel rispetto del diritto di essere sentito;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stato parte al procedimento penale nel frattempo archiviato.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
77666560-62cd-506f-82c7-b8331564272d
|
in fatto ed in diritto
1.
A seguito della querela sporta il _ da _ nei confronti del marito PI 2 per l’ipotesi di reato di furto, sub. furto d’uso del _, targato _, di proprietà della querelante, nonché per l’ipotesi di reato di furto del suo telefono cellulare, rispettivamente a seguito del fatto che, la mattina del _, a _, è stato trovato dagli agenti di polizia all’interno della citata autovettura PI 2, il quale è poi stato ricoverato coattamente presso il _ di _, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale (inc. MP _) per le ipotesi di reato di furto giusta l’art. 139 cifra 1 CP, furto d’uso giusta l’art. 94 cpv. 1 LCStr ed elusione di provvedimenti per accertare l’inattitudine alla guida giusta l’art. 94 cpv. 1 lit. a LCStr, sfociato nel decreto di non luogo a procedere _ emanato dal procuratore pubblico Margherita Lanzillo, per ritiro di querela da parte della moglie rispettivamente in applicazione dell’art. 19 cpv. 1 CP (NLP _).
Il predetto decreto è regolarmente passato in giudicato, non essendo stato impugnato presso questa Corte.
2.
Con la presente istanza –
trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza ex art. 62 cpv. 4 LOG, a questa Corte – il IS 1 del Canton _ (Ufficio della circolazione stradale e della navigazione) [di seguito IS 1] chiede la trasmissione, in copia, del summenzionato decreto di non luogo a procedere, poiché a carico di PI 2 è pendente un procedimento amministrativo (doc. CRP 1).
3.
Come esposto in entrata, il procuratore pubblico non si oppone alla richiesta. PI 2, dal canto suo, non ha presentato osservazioni.
4.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.1.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
5.
Nella fattispecie in esame – viste le mansioni attribuite all’IS 1 [che si occupa, tra l’altro, di provvedimenti amministrativi a carico di conducenti (quali ritiro della patente di guida oppure ammonimenti) ai sensi della LCStr, cfr., al proposito, l’art. 16 StrVV del Canton _; cfr. anche _], ritenuti inoltre i motivi alla base della richiesta e la sua finalità, il contenuto e l’esito del NLP _ – è pacifico l’interesse giuridico legittimo ex art. 62 cpv. 4 LOG dell’autorità istante prevalente sui diritti personali di PI 2 ad ottenere la trasmissione, in copia,
del decreto richiesto. In effetti, è data una stretta connessione tra il procedimento amministrativo pendente presso l’autorità istante e il procedimento penale sfociato nel decreto di non luogo a procedere in questione (passato in giudicato), il cui contenuto ed esito è potenzialmente utile all’IS 1 ai fini del procedimento amministrativo aperto a carico di PI 2.
Ne discende che – dopo il passaggio in giudicato della presente decisione – il NLP _
richiesto verrà
trasmesso, in copia, all’autorità istante.
6.
L’istanza è accolta ai sensi del precedente considerando. Visti la natura e la finalità della richiesta, si prescinde dal prelievo di tassa di giustizia e spese.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,015 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
7773e72a-cdd7-54a0-bb59-33b44dd57243
|
in fatto
a
. Con esposto 20/28.12.2011 PI 1 ha sporto querela contro ignoti per i reati di diffamazione, calunnia e ingiuria, in relazione alla distribuzione in diversi luoghi del Cantone Ticino ed in particolare a _, in data 14.10.2011, di una pubblicazione intitolata “_”, nella quale vi sarebbero contenuti dei passaggi – a suo dire – lesivi del suo onore penalmente protetto (querela penale 20/28.12.2011, AI 1, inc. MP _).
Precedentemente, mediante un comunicato stampa apparso sul settimanale _ in data 6.11.2011 dal titolo “
Ci assumiamo la responsabilità della falsificazione
”, _, RE 1, _, _ e _, hanno reso noto di assumersi “
la responsabilità politica e legale per le pubblicazioni intitolate ‘_1’ e ‘_ ‘ del 14 ottobre 2011
”
.
b
. Con scritto 16/18.1.2012 RE 1 ha comunicato al procuratore generale che “
le cinque persone querelate eleggono recapito postale presso il sottoscritto, cui vorrete far comunicare il nome del Magistrato incaricato nonché inviare ogni corrispondenza, citazione, decisione e simili
” (cfr. AI 2).
c
. In reazione a tale scritto il procuratore pubblico Nicola Corti, allora titolare del procedimento in questione, ha chiesto conferma a RE 1 del fatto che “
gli ignoti vanno identificati in lei e nei suoi altri quattro patrocinati
”, considerato che la querela era rivolta contro ignoti, invitandolo a prendere posizione – per iscritto – in merito e precisare l’eventuale disponibilità ad un’udienza di conciliazione (cfr. scritto 19.1.2012, AI 3).
d
. A seguito dell’esposto penale di cui sopra, di un articolo 15.1.2012 pubblicato sul _ che annunciava detto esposto, nonché dello scritto 19.1.2012 del magistrato inquirente (AI 3), con lettera 30/31.1.2012, RE 1 ha comunicato al procuratore pubblico che “
la responsabilità legale e politica del contenuto del volantino denominato ‘_’ è stata assunta pubblicamente, oltre che da parte del sottoscritto, anche da parte delle persone seguenti: _, _, _ e _, come del resto già fatto mediante il comunicato apparso sul _ del 6.11.2011
”, allegando tale comunicato quale annesso 1 (cfr. AI 4). RE 1 ha altresì precisato che la “
presente dichiarazione viene firmata dal sottoscritto anche in nome e per conto delle quattro persone elencate (...)
” (scritto 30/31.1.2012, p. 2, AI 4).
e
.
In data 20/21.2.2012 l’avv. RE 1 ha presentato un memoriale difensivo, anche a nome di_, _, _ e _ (cfr. AI 5).
f
. Con scritto 5.6.2012, indirizzato a RE 1 ed inviato per conoscenza a PI 1 e per conoscenza e presa di posizione ad _, _, _ e _, il procuratore pubblico Andrea Gianini (subentrato nell’inchiesta) ha chiesto, “
fermo restando il principio nemo tenetur se detegere, (...) di precisare se con tali dichiarazioni
[ndr lo scritto 30/31.1.2012 (AI 4) ed il memoriale difensivo 20/21.2.2012 (AI 5)]
lei intendeva e intende tuttora indicare di essere, unitamente alle altre persone citate, autore ai sensi dell’art. 28 cpv. 1 CP del volantino ‘_’, assumendo così l’eventuale responsabilità penale per il contenuto dello stesso
” (cfr. decisione 5.6.2012, p. 1, AI 6).
Nel medesimo scritto il magistrato inquirente ha altresì informato il destinatario di non ritenere possibile, qualora dovesse essere ritenuto autore del volantino in questione e rivestire quindi la posizione processuale di imputato, “
l’assunzione da parte sua
(ndr di RE 1)
della difesa di altre persone che potrebbero essere, a loro volta, coinvolte in qualità di imputati nel procedimento in oggetto, come pure escludo che le stesse persone possano eleggere recapito postale presso di lei
” (cfr. decisione 5.6.2012, p. 2, AI 6).
Mediante detto scritto il procuratore pubblico ha quindi assegnato al destinatario dello scritto nonché a coloro che l’hanno ricevuto “per conoscenza e presa di posizione”, un termine di 10 giorni dalla ricezione “
indicando, qualora abbiano assunto la responsabilità penale, se intervengono di persona nel procedimento o se hanno conferito il mandato a un difensore, precisando in questo caso le generalità del professionista di loro scelta
” (cfr. decisione 5.6.2012, p. 2, AI 6).
Lo stesso ha infine indicato, in calce, quale rimedio giuridico il reclamo a questa Corte.
g
. Con scritti 12.6.2012, del medesimo tenore dell’AI 6, il magistrato inquirente ha concesso una proroga del termine (richiesta da RE 1, cfr. AI 7) scadente il 2.7.2012. Il procuratore pubblico ha inviato tali scritti singolarmente e rispettivamente a RE 1 (AI 8), _ (AI 9), _ (AI 10), _ (AI 11) e _ (AI 12).
h
. Con gravame 18/19.6.2012 RE 1 chiede l’annullamento della decisione 5.6.2012, ed in via subordinata il rinvio della stessa al Ministero pubblico “
affinché venga corredata di motivazione
” (reclamo 18/19.6.2012, p. 8).
Il reclamante ritiene che mediante la decisione impugnata il magistrato inquirente avrebbe violato il principio
nemo tenetur
, in quanto rispondere alla domanda contenuta nella decisione di cui sopra significherebbe cooperare al corso del procedimento. Inoltre, “
siccome il PM ipotizza un conflitto di interessi fra il ricorrente e le altre quattro persone menzionate nella querela, significa che ipotizza perlomeno che il ricorrente possa assumere la veste di imputato. In tale veste, il ricorrente ha diritto di rifiutarsi di cooperare in qualsiasi modo. (...). Anche in qualità di testimone o di persona informata sui fatti, il ricorrente conserva la sua facoltà di non rispondere per timore di esporsi ad un procedimento penale
” (reclamo 18/19.6.2012, p. 5). La decisione impugnata violerebbe quindi anche tale diritto, “
codificato all’art. 3 CPP
” (reclamo 18/19.6.2012, p. 5).
Tale decisione violerebbe inoltre il diritto di assumere il patrocinio nonché il diritto di assumere il mandato di recapito postale, in quanto il conflitto di interessi menzionato dal magistrato inquirente sarebbe “
puramente ipotetico
”, rispettivamente non motivato “
in violazione dell’art. 8 cpv. 2 CPP
” per quanto attiene alla questione del recapito postale (reclamo 18/19.6.2012, p. 6).
RE 1 ritiene infine che vi sarebbe un divieto di “
venire contra factum proprium
”, in quanto il Ministero pubblico ha già avviato un procedimento penale a seguito della suddetta querela ed in questo ambito ha già condotto diversi atti che implicherebbero - a suo dire - il riconoscimento: “
a)
dell’inutilità di qualsiasi atto istruttorio; b) della necessità di risolvere il quesito di diritto materiale penale della qualifica di reato contro l’onore delle affermazioni querelate; c) del diritto del ricorrente di rappresentare le altre quattro persone; d) del diritto del ricorrente di fungere da recapito postale delle altre quattro persone
” (reclamo 18/19.6.2012, p. 6).
Afferma quindi che queste decisioni non sono state impugnate da parte della querelante e pertanto sono cresciute in giudicato, motivo per cui non possono essere modificate, se non in presenza di fatti nuovi. Ritiene tale principio procedurale come corollario “
dell’obbligo di fairness e di buona fede stabiliti dall’art. 3 cpv. 2 CPP
” (reclamo 18/19.6.2012, p. 7).
Conclude sostenendo che la questione di fatto è assolutamente chiara, essendosi cinque persone assunte la responsabilità legale, e quindi anche penale. Non rimane quindi altro che procedere alla qualifica giuridica, “
ossia stabilire se le dichiarazioni oggetto di querela siano o meno censurabili dal profilo penale
” (reclamo 18/19.6.2012, p. 7).
i
. Con scritto 20/21.6.2012 _ ha comunicato al magistrato inquirente che “
anche se non ho partecipato alla stesura del ‘_(vedi _ di domenica 13 novembre 2011 Etic(hett)a) per l’amore che porto all’etica e al paese me ne assumo ogni responsabilità legale e politica
” (AI 16).
l
. Con osservazioni al reclamo 28.6.2012 il magistrato inquirente, in merito all’asserita violazione del diritto di assumere il patrocinio, fa riferimento allo scritto 20/21.6.2012 di _ (cfr. AI 16). Per tale motivo il procuratore pubblico ribadisce la necessità che RE 1, oltre alla propria, non si accolli anche la difesa degli altri, al momento potenziali, imputati. Medesimo discorso va fatto per l’asserita violazione del diritto di assumere il mandato di recapito postale. Per quanto attiene poi all’asserito “
venire contra factum
” il magistrato inquirente fa notare che prima dello scritto 5.6.2012 qui impugnato, nessun’altra decisione è stata assunta, né espressa, né tacita. Rileva infine che la mancata reazione al memoriale difensivo 20/21.2.2012 del reclamante (AI 5), non può certo essere intesa come tacito consenso, “
semmai l’inazione dell’autorità inquirente potrà essere valutata secondo il principio di celerità (art. 5 CPP), ma non come violazione della dignità umana e della correttezza (cfr. art. 3 CPP) invocata
” (osservazioni 28.6.2012, p. 2).
Delle osservazioni di PI 1 si dirà, laddove necessario, in corso di motivazione.
m
. Con scritti 2.7.2012, 4.7.2012 e 9.7.2012 il magistrato inquirente ha inviato a questa Corte copia rispettivamente degli scritti 30.6/2.7.2012 di _, 2/3.7.2012 di _ e 6/8.7.2012 di _, mediante i quali gli stessi affermano di assumersi la responsabilità legale e politica della pubblicazione “_”, ai sensi dell’art. 28 cpv. 1 CP, indicando nel contempo di non intendere avvalersi dell’assistenza di un difensore allo stadio attuale della procedura, e riferendosi/associandosi infine al memoriale difensivo 20/21.2.2012 di RE 1.
n
. Con replica 9/11.7.2012 RE 1 chiede, in via processuale, che il magistrato inquirente metta a disposizione di questa Corte nonché del reclamante stesso “
le lettere indirizzate dal PM ai signori _, _, _, _ nonché le risposte di questi ultimi
” (replica 9/11.7.2012, p. 11), ed in via principale, l’accoglimento integrale delle domande formulate in conclusione del reclamo 18/19.6.2012.
Chiede quindi la sospensione della procedura ricorsuale fintanto che tutti i suddetti documenti siano stati messi a sua disposizione.
Delle ulteriori motivazioni, così come delle dupliche del magistrato inquirente e di PI 1 si dirà, se indispensabile, in seguito.
|
in diritto
1
. 1.1.
Giusta l’art. 393 cpv. 1 lit. a CPP il reclamo può essere interposto, entro il termine di dieci giorni, contro le decisioni e gli atti procedurali della polizia, del pubblico ministero e delle autorità penali delle contravvenzioni, eccettuati i casi in cui è espressamente escluso dal CPP o quando è prevista un’altra impugnativa.
Con il gravame, da introdurre davanti alla giurisdizione di reclamo (art. 20 cpv. 1 lit. b CPP), ovvero – in Ticino – alla Corte dei reclami penali (art. 62 cpv. 2 LOG), si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l’eccesso e l’abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l’accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e l’inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta ed all’art. 385 CPP per la motivazione.
Esso deve indicare – in particolare – i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP).
1.2.
Il gravame – inoltrato il
18/19.6.2012
– contro lo scritto
5.6.2012 del procuratore pubblico è tempestivo.
Visto l’esito del presente gravame, il quesito riguardo la legittimazione di RE 1 a reclamare giusta l’art. 382 cpv. 1 CPP contro la succitata decisione, può restare irrisolta. Questa Corte tuttavia non comprende quale sarebbe il suo interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica dello scritto impugnato. Pure irrisolto può restare il quesito a sapere se lo scritto 5.6.2012 possa assurgere a decisione o atto procedurale.
1.3.
Preliminarmente si osserva che la richiesta esposta in sede di replica da RE 1 di sospendere la procedura ricorsuale fintanto che tutti i documenti indicati al considerando m. siano stati messi a sua disposizione (replica 9/11.7.2012, p. 3), non è direttamente pertinente alla procedura di reclamo che qui ci occupa e non può quindi essere presa in considerazione.
Si tratta di un problema di accesso agli atti del procedimento penale da parte di RE 1, che non può essere sollevato e risolto nell’ambito del reclamo contro la decisione 5.6.2012.
Le esigenze di forma e motivazione del reclamo sono, nei limiti di quanto sopra esposto, rispettate.
1.4.
Si rileva inoltre che secondo la giurisprudenza dell’Alta Corte l’autorità chiamata ad emanare una decisione non deve confrontarsi con tutti gli argomenti sollevati, ma è sufficiente che si esprima su quelli rilevanti per il giudizio (decisione TF 6B_457/2010 dell’8.9.2010).
Ciò che è conforme all’obbligo di motivazione giusta l’art. 29 cpv. 2 Cost.
[
che impone di menzionare, almeno brevemente, i motivi che hanno spinto a decidere in un senso piuttosto che nell’altro e di porre pertanto l’interessato nelle condizioni di rendersi conto della portata del provvedimento e delle eventuali possibilità di impugnazione presso un’istanza superiore, che deve poter esercitare il controllo sullo stesso (cfr., in merito all’obbligo di motivazione, decisione TF 6B_457/2010 dell’8.9.2010; G. PIQUEREZ, Traité de procédure pénale suisse, 2. ed., n. 340/1134; R. HAUSER / E. SCHWERI / K. HARTMANN,
Schweizerisches Strafprozessrecht, 6. ed.,
§ 55 n. 22 ss.; N. SCHMID,
Strafprozessrecht, 4. ed.
, n. 214 s./260/576)
].
Questa Corte, nell’evasione del presente reclamo, si atterrà dunque a detto principio.
2
. RE 1 contesta anzitutto il fatto che il magistrato inquirente, mediante la decisione impugnata, gli abbia chiesto di indicare se fosse “
autore ai sensi dell’art. 28 cpv. 1 CP del volantino ‘_’, assumendo così l’eventuale responsabilità penale per il contenuto dello stesso
” (decisione 5.6.2012, p. 1).
Il reclamante ritiene che agendo in tale modo, il procuratore pubblico avrebbe violato il principio
nemo tenetur
(reclamo 18/19.6.2012, p. 3-5).
2.2.
Anzitutto va rilevato che il principio
nemo tenetur
non vieta al magistrato inquirente di porre domande del tenore di quella in questione, così come RE 1 - dal canto suo - ha il diritto di invocare la sua facoltà di non rispondere (cfr. art. 158 cpv. 1 e 169 CPP).
Il procuratore pubblico non ha del resto posto in modo coercitivo tale richiesta e neppure ha minacciato sanzioni o conseguenze in caso di mancata risposta. Ha pertanto salvaguardato le libertà ed il diritto del destinatario di non rispondere.
2.3.
Inoltre, nella fattispecie concreta il problema sollevato non si pone più ed è superato.
Già in data 30/31.1.2012 RE 1 ha comunicato al magistrato inquirente allora titolare del procedimento, Nicola Corti, di essersi assunto pubblicamente mediante il comunicato apparso sul _ il 6.11.2011, nonché unitamente alle altre quattro persone menzionate, “
la responsabilità legale e politica del contenuto del volantino denominato ‘_’
(scritto 30/31.1.2012, p. 1, AI 4).
Anche in questa sede poi, mediante la replica 9/11.7.2012, il reclamante ha precisato che tutte le persone coinvolte, quindi lui compreso, “
si sono annunciate per iscritto in conformità dell’art. 28 CP
”, assumendosi la responsabilità secondo appunto l’art. 28 CP. Lo stesso tiene poi a precisare che l’art. 28 CP si applica indiscutibilmente anche allo scritto in questione, alla luce della dottrina e della giurisprudenza (replica 9/11.7.2012, p. 4).
In siffatte circostanze, la contestazione del reclamante relativa all’asserita violazione del principio
nemo tenutur
, è quindi divenuta priva di interesse oltre che di fondamento.
3
. A medesima conclusione si giunge per quanto attiene alla censura sollevata da RE 1 relativa alla violazione del diritto di assumere il patrocinio, nonché quella relativa al diritto di assumere il mandato di recapito postale.
Anche per tali argomenti il reclamo risulta essere privo d’oggetto.
Agli atti vi sono infatti gli scritti 30.6/2.7.2012 di _, 2/3.7.2012 di _ e 6/8.7.2012 di _, mediante i quali gli stessi affermano di non intendere avvalersi dell’assistenza di un difensore a questo stadio del procedimento, riferendosi/associandosi altresì al memoriale difensivo 20/21.2.2012 (AI 5) sottoscritto da RE 1.
L’unico scritto che è silente in merito alla questione del patrocinio è quello datato 20/21.6.2012 di _ (AI 16), ma d’altra parte nessuna procura a favore di RE 1 risulta agli atti, e nemmeno è stata prodotta in questa sede.
Così come agli atti non figura alcun mandato di recapito postale a favore del reclamante, sottoscritto dalle persone interessate.
La questione non merita quindi ulteriori approfondimenti.
4
. Il reclamante solleva infine il divieto di “
venire contra factum proprium
”
(reclamo 18/19.6.2012, p. 6-8).
Questa Corte non comprende tuttavia quali sarebbero i “
diversi atti
” già condotti dal Ministero pubblico nell’ambito del procedimento penale in questione (reclamo 18/19.6.2012, p. 6).
Dal verbale di procedimento dell’inc. MP _ risulta, in reazione allo scritto 16/18.1.2012 del reclamante (AI 2), un riscontro dell’allora magistrato inquirente competente allo stesso, mediante il quale gli si chiedeva conferma del fatto che gli ignoti
andassero “
identificati in lei e nei suoi altri quattro patrocinati
” (scritto 19.1.2012, AI 3).
A seguito di ciò, a parte lo scritto 5.6.2012 (AI 6) che qui ci occupa e gli scritti 12.6.2012 (AI 8, 9, 10, 11 e 12) del medesimo tenore dell’AI 6, non vi è alcun altro atto istruttorio compiuto dal Ministero pubblico.
Ora, come detto, ed unicamente per quanto attiene alla posizione _ (essendo le altre chiare), in assenza di una formale procura a favore del reclamante, gli atti sopra menzionati, non possono essere ritenuti sufficienti per determinare il diritto di RE 1 a patrocinare e fungere da recapito postale per lo stesso.
Anche sotto tale aspetto il reclamo non può trovare accoglimento.
5
. Alla luce di quanto sopra, il gravame, per quanto non divenuto privo di oggetto, è respinto. Tassa di giustizia e spese sono poste a carico del reclamante, soccombente. Non si assegnano ripetibili.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,012 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
778bd126-4bf7-521d-a5fe-6b24eb74fcc2
|
in fatto ed in diritto
che a seguito della querela 16.05.2011 sporta da IS 1 contro PI 2 per titolo di minaccia
in relazione ai presunti fatti accaduti a _, il 10.05.2011, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale (inc. MP _) sfociato nel decreto di non luogo a procedere 19.09.2012 (NLP _) emanato dal procuratore pubblico a carico del querelato, non ritenendo adempiuti gli elementi costitutivi del reato ipotizzato;
che avverso il suddetto decreto non è stato presentato reclamo a questa Corte giusta i combinati art. 310 cpv. 2 e 322 cpv. 2 CPP;
che il citato decreto è dunque passato in giudicato;
che con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Ministero pubblico a questa Corte in applicazione dell’art. 62 cpv. 4 LOG – IS 1 chiede di poter accedere agli atti del surriferito procedimento penale;
che, come esposto in entrata, il procuratore pubblico non ha presentato osservazioni in merito alla richiesta;
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare PI 2 nel procedimento penale di cui all’incarto MP _ nel frattempo archiviato, essendo il qui istante stato parte (in qualità di accusatore privato) al medesimo;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di accusatore privato) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – nonostante il qui stante abbia omesso di precisare i motivi della sua richiesta come esatto dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dalla giurisprudenza di questa Corte – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 ad ottenere la trasmissione, in copia, degli atti istruttori dell’incarto penale MP _ sfociato nel NLP _, poiché il procedimento penale nel frattempo archiviato l’ha interessato personalmente in veste di parte;
che di conseguenza l’elenco atti datato 14.02.2013 e gli atti istruttori AI 1 – AI 5 vengono trasmessi, in copia, all’istante unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stato parte al procedimento penale nel frattempo archiviato.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
77ac72d6-a408-52c0-94ea-d20b72d374f0
|
in fatto:
A.
Il 3 aprile 1997 la ditta RI 1 ha denunciato _ B_, azionista unico e procuratore con diritto di firma individuale della A_, con sede a G_, spiegando di avere sollecitato costui nei primi mesi del 1996 a onorare fatture impagate per forniture risalenti al dicembre del 1995, al gennaio e al febbraio del 1996. _ B_ le aveva consegnato due assegni di FF 75
000 cadauno, invitandola a non incassarli prima della fine di maggio del 1996 e a non sospendere le forniture nel frattempo. Se non che, i due assegni, presentati alla B_ di B_ il 7 e il 19 giugno 1996, le erano stati ritornati per ¿mancata copertura¿. _ B_ aveva chiesto pazienza, invocando l'ottimo andamento della sua società, il grande sviluppo di essa e gli importanti investimenti svolti di recente. Per finire, egli l'aveva pregata nuovamente di non interrompere le forniture, consegnandole quattro nuovi assegni della Banca _ da incassare dopo il febbraio del 1997: il primo di FF 25
000 come ¿acconto fatt. dicembre 1995¿, il secondo di FF 25
000 come ¿saldo fatt. 95¿, il terzo di FF 52
000 come ¿saldo febbraio 96¿ e il quarto di FF 42
000 come ¿saldo febbraio 96¿. Anche tali assegni si erano però rivelati scoperti.
B.
Il 24 dicembre 1998 il Procuratore pubblico ha posto _ B_ in stato di accusa per truffa, rimproverandogli di avere ¿ come procuratore della A_ ¿ ingannato con astuzia tra il dicembre del 1995 e il dicembre del 1996 _ G_, gerente della RI 1, cui aveva celato a scopo di indebito profitto lo stato fallimentare in cui versava da tempo la sua ditta. Anzi, secondo il Procuratore pubblico costui aveva rassicurato la controparte circa la solvibilità della sua azienda per continuare i rapporti commerciali, convincendo la RI 1 a maturare crediti per complessivi FF 610
913.46 (fr. 143
140.35) ben sapendo che la sua ditta non avrebbe potuto pagare. Sottoposto a processo il 16 maggio 2002, _ B_i è stato assolto nondimeno dalla presidente della Corte delle assise correzionali di Lugano.
C.
Contro la sentenza appena citata la RI 1, parte civile, ha introdotto il 17 maggio 2002 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta, del 26 giugno successivo, essa chiede che _ B_ sia condannato a 12 mesi di detenzione per truffa, con obbligo di risarcirle complessivi fr. 191
217.25; in subordine essa postula l'annullamento della sentenza impugnata e il rinvio degli atti a un'altra Corte di assise per nuovo giudizio. Nelle sue osservazioni del 17 luglio 2002 _ B_ propone di respingere il ricorso. Il Procuratore pubblico ha comunicato il 4 luglio 2002 di associarsi alle conclusioni della ricorrente.
|
Considerando
in diritto:
1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288
lett. a e b CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono sindacabili unicamente qualora la sentenza impugnata denoti estremi di arbitrio (art. 288 let.c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì apertamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 129 I 173 consid. 3.a pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 173 consid. 3.1 pag. 178, 128 I 273 consid. 2.1 pag. 275).
2.
La ricorrente rammenta anzitutto che secondo dottrina e giurisprudenza agisce con astuzia nel senso dell'art. 146 CP chi, mentendo, dissuade la vittima dall'eseguire controlli oppure chi presume, date le circostanze, che in virtù di un particolare rapporto di fiducia la vittima si asterrà da verifiche. Anche il silenzio su fatti determinanti ¿ essa prosegue ¿ può connotare inganno astuto ove l'autore non debba tacere, per legge o in buona fede. Ciò posto, essa sottolinea che l'accusato era azionista e procuratore unico con firma individuale della A_, con la quale essa era in stretti rapporti d'affari da oltre dieci anni, sicché tra le due ditte si era consolidato un intenso quanto vicendevole rapporto di fiducia. Essa ricorda altresì che la A_ era solita onorare le fatture con assegni non datati, due dei quali nel maggio e nel giugno del 1996 erano risultati scoperti. Proprio in forza del rapporto di fiducia instauratosi negli anni essa non aveva ragione tuttavia per subodorare inganni. Anzi, rassicurata dall'accusato, essa aveva continuato le forniture. In realtà, costui sapeva benissimo che gli assegni non potevano essere onorati e che la sua ditta sarebbe rimasta inadempiente (sentenza impugnata, pag. 20). Accampando scuse, egli è venuto meno ai suoi doveri di lealtà commerciale (sentenza, loc. cit.).
Oltre a sapere di non avere la necessaria liquidità ¿ soggiunge la ricorrente ¿ l'accusato nemmeno aveva intenzione di pagare, che sul conto della A_ ci fosse o non ci fosse disponibilità. Come ha confermato il gerente della Banca _ di B_, l'imputato gli aveva impartito istruzioni nel senso di non onorare più assegno di sorta. Eppure egli continuava con le ordinazioni, sapendo che la RI 1 avrebbe eseguito le forniture in forza dei rapporti commerciali e di fiducia, anche perché qualche volta accadeva che la A_ pagasse in ritardo, ma senza conseguenze. Così, mantenendo invariato il volume di ordinazioni l'accusato evocava viepiù l'impressione di solvibilità. L'inganno astuto, conclude la ricorrente, non può dunque essere negato.
3.
I requisiti formali di un ricorso per cassazione sono già stati illustrati (consid. 1) e il memoriale in esame è lungi dall'adempierli. Basti rilevare che nel suo esposto la parte civile non si confronta per nulla con gli accertamenti che hanno indotto la presidente della Corte a prosciogliere l'accusato, nonostante le riserve
espresse sul suo comportamento. La prima giudice è giunta alla convinzione, sulla base di tali accertamenti, che l'imputato aveva sì violato i suoi doveri di lealtà commerciale, ma non che avesse ordito un inganno astuto con intenzione o con dolo eventuale (sentenza, pag. 23). Descritto il contesto in cui avvenivano le ordinazioni giornaliere di fiori, con fatturazione mensile, fino al giugno del 1996 essa non ha ravvisato elementi per desumere che l'imputato non volesse o non potesse saldare le fatture. Benché la parte civile fornisse a credito in virtù di un radicato rapporto di fiducia, la A_ avendo denotato fino ad allora semplici ritardi nei pagamenti, la presidente della Corte ha ritenuto che nel quadro di relazioni internazionali la parte civile non potesse disconoscere il rischio di accettare come mezzi di pagamento assegni senza data.
Quanto all'imputato, stando alle informazioni che riceveva dall'amministrazione contabile, nel dicembre del 1995 e nei mesi immediatamente successivi egli poteva ritenere che la sua ditta fosse solvibile. L'ex amministratore unico e azionista paritario _ Ge_ (rimasto tale fino alla primavera del 1996) gli aveva invero segnalato problemi di liquidità, invitandolo a immettere nuovi fondi nella società. Se non che, la _ C_
aveva comunicato di non reputare necessario un provvedimento del genere (al che Ge_ aveva lasciato l'azienda). Fino ai primi mesi del 1996, quando aveva consegnato alla parte civile i primi due assegni andati a vuoto, l'imputato non risultava dunque avere consapevolmente assunto il rischio che le forniture della parte civile non fossero onorate. Tutt'al più ¿ ha rilevato la prima giudice ¿ l'imputato ha dato prova di negligenza, ma ciò non bastava per integrare gli estremi della truffa (sentenza, pag. 23 seg.).
Vistosi comunicare nel giugno del 1996 dal gerente della Banca _, _ P_, che la sua ditta non avrebbe più potuto superare il limite di credito, l'imputato aveva continuato le ordinazioni per tutto il mese di giugno pur sapendo che i due noti assegni non erano stati pagati. Tuttavia ¿ ha accertato la prima giudice ¿ il 19 giugno 1996 il conto della A_ era rientrato nel limite di credito, di modo che il comportamento dell'imputato non poteva dirsi di rilevanza penale (sentenza, pag. 24). Inoltre dal luglio del 1996 la parte civile aveva disatteso le più elementari regole di prudenza, continuando le forniture nonostante il mancato incasso dei due citati assegni e un'infruttuosa trasferta a Lugano della gerente _ G_ (l'accusato non si era fatto trovare). Anzi, nell'ottobre del 1996, dopo la pausa estiva durante la quale l'imputato sosteneva di essersi dovuto approvvigionare sul mercato indigeno, essa aveva ripreso le vendite a credito, senza cautelarsi minimamente. Neppure un invalso rapporto di fiducia poteva giustificare una leggerezza siffatta. La condotta del prevenuto, ha concluso la prima Corte, pur riprovevole, è rimasta pertanto nel campo dell'inadempienza contrattuale (sentenza, pag. 24).
4.
Come si è accennato, la ricorrente sorvola completamente sugli accertamenti che hanno persuaso la prima giudice a escludere i presupposti di un inganno astuto, a dispetto del consolidato rapporto d'affari e di fiducia instauratosi tra le parti. Nel chiedere la condanna dell'imputato per truffa essa menziona ¿ di scorcio ¿ i censurabili comportamenti di lui, come il rifiuto di apportare nuova liquidità alla ditta, l'ordine impartito al gerente P_ di non onorare più assegni, la slealtà di averle sottaciuto il problema di ottenere crediti dalla banca (dopo la partenza di Ge_) e il rischio che per finire la A_ rimanesse inadempiente. Così argomentando, essa disconosce però che la presidente della Corte ha già vagliato tali comportamenti disinvolti (sentenza, pag. 17, 20 e 24), ritenendoli commercialmente biasimevoli, ma senza rilievo penale. La ricorrente si limita a ribadire il suo punto di vista e il suo personale convincimento, ma non spiega perché l'opinione della prima giudice lederebbe l'art. 146 CP, né tenta di contrastare gli addebiti di leggerezza a essa rivolti o allude a eventuali misure di cautele da essa adottate dopo il primo incasso infruttuoso. Insufficientemente motivato, il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
5.
Gli oneri del giudizio odierno seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 combinato con l'art. 9 cpv. 1 CPP). La ricorrente rifonderà inoltre all'accusato, che ha presentato osservazioni per il tramite di un legale, un'indennità di fr. 1000.¿ a titolo di ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,005 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
77cddf8c-b2cc-5623-af3a-dbf925150acf
|
in fatto: A.
Con sentenza del 12 ottobre 2000 la Corte delle assise criminali in Lugano ha riconosciuto _ autore colpevole di atti sessuali con fanciulli, atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere e violazione dei doveri d'assistenza o educazione. Essa ha accertato – in estrema sintesi – che tra la primavera del 1998 e il marzo del 1999 l'imputato ha sodomizzato il figlio _ (nato _ 1989) in almeno tre occasioni, ha commesso atti sessuali con la figlia _ (nata il _ 1995) in almeno due occasioni e ha sodomizzato quest'ultima in almeno un'altra occasione, esponendo a pericolo lo sviluppo fisico e intellettuale dei figli. In applicazione della pena, la Corte di assise ha condannato _ a 7 anni e 6 mesi di reclusione (computato il carcere preventivo sofferto) e alla privazione dell'autorità parentale. Lo ha condannato inoltre a versare a ciascuna delle vittime fr. 20'000.– a titolo di indennità e fr. 6'000.– per ripetibili e a _ (madre delle vittime) fr. 20'000.– a titolo di indennità e fr. 10'000.– per ripetibili. Infine ha ordinato che _ sia sottoposto a trattamento ambulatoriale da iniziare già durante l'esecuzione della pena.
B.
Contro la sentenza di assise _ ha inoltrato il 13 ottobre 2000 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 23 novembre successivo, egli chiede il proscioglimento da ogni imputazione o quanto meno, in via subordinata, la limitazione della condanna per atti sessuali con fanciulli a semplici manipolazioni anali sul figlio _ (in tre occasioni), ad atti sessuali sulla figlia _ (in 2 occasioni) e ad atti sessuali con persona incapace di discernimento o inetta a resistere sulla sola figlia _. Sempre in subordine egli chiede di ridurre la condanna a 3 anni di reclusione (computato il carcere preventivo sofferto), alla privazione dell'autorità parentale e al pagamento di indennità e ripetibili ridotte. Chiede infine di essere sottoposto a trattamento ambulatoriale.
C.
Nelle sue osservazioni del 4 dicembre 2000 _ propone di respingere il ricorso. Identica conclusione formulano _ e _, come pure il Procuratore pubblico con osservazioni del 14 e 15 dicembre 2000.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorrente si duole anzitutto di un arbitrario accertamento dei fatti e di un'arbitraria valutazione delle prove poste a fondamento della sentenza impugnata (art. 288 cpv. 1 lett. c CPP). Arbitrario non significa tuttavia discutibile, contestabile o finanche erroneo, bensì manifestamente insostenibile o in aperto contrasto con gli atti (DTF126 IV 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4a). Per motivare una censura di arbitrio non basta quindi criticare la decisione impugnata, né contrapporle una versione dei fatti, per quanto essa appaia preferibile. Occorre invece spiegare per quale ragione l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sarebbero manifestamente insostenibili, si trovino in chiaro contrasto con gli atti o contraddicano in modo urtante il sentimento di giustizia e dell'equità (DTF125 IV 10 consid. 3a, 124 I 86 consid. 2a, 123 I consid. 4a, 122 I 61 consid. 3a). Secondo giurisprudenza, inoltre, una sentenza incorre nell'annullamento quando essa è arbitraria non solo nella motivazione, ma anche nel risultato (DTF125 II 129 consid. 5b, 124 II 166 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4a, 122 I 253 consid. 6c con rinvii).
2.
La Corte di assise ha raggiunto il convincimento circa la colpevolezza dell'imputato grazie anzitutto alle testimonianze che i figli _ e _ hanno reso davanti al segretario della Magistratura dei minorenni, durante le quali essi hanno riferito – in modo definito credibile dalla psicologa e perita giudiziaria _ – i ripetuti abusi sessuali che il padre aveva compiuto su di loro. Alla credibilità di _ – ha soggiunto la Corte – hanno contribuito, tra l'altro, le spontanee rivelazioni della bambina ad alcune educatrici del “Centro _ ”, presso il quale essa è stata collocata dopo l'arrivo della polizia in seguito a una violenza lite fra genitori la notte del 12 marzo 1999, come pure le spiegazioni date all'educatrice _ su un disegno da essa eseguito il 19 settembre 1999, quando ha evocato ancora una volta gli abusi subiti. Quanto al racconto di _, esso risultava ancor più credibile dopo che l'8 ottobre 1999 il ragazzo aveva eseguito presso il “Centro _ ” un disegno alla presenza della psicologa _; dopo avere raffigurato una balena, di proprio pugno e spontaneamente il ragazzo vi ha scritto accanto due frasi; nella prima invitava la mamma a consegnare a _ il game-boy e la bicicletta, nella seconda esortava la madre stessa a riferire a _ tutto quanto era accaduto in casa. Quest'ultimo messaggio, a mente della Corte, poteva riferirsi solo agli abusi sessuali (sentenza, pag. 17).
Al giudizio di colpevolezza la prima Corte è giunta anche dopo avere esaminato la testimonianza di _, madre delle giovani vittime, la quale ha dichiarato al Procuratore pubblico di avere visto essa medesima quattro volte il marito abusare dei figli (sentenza, pag.19 segg.). Pur biasimandola per il ritardo con cui essa si era decisa a parlare, i primi giudici hanno ritenuto credibili le sue accuse, in particolare dopo avere constatato la sua sincera reazione durante un colloquio da essa avuto con i figli il 19 ottobre 1999 – dopo l'interrogatorio davanti al Procuratore pubblico – presso il “Centro _ ” alla presenza di _ (sentenza, pag. 24 e 25). Ricordate le psicodiagnosi eseguite dalla dott. _ e dalla dott. _, che evidenziavano in entrambi i bambini un quadro compatibile con l'ipotesi di un trauma sessuale (sentenza, pag. 26), la Corte di assise ha richiamato anche il parere dello psichiatra dott. _, il quale ha scorto nell'imputato non solo un uomo capace d'abuso sessuale, ma persino “con alta probabilità (...) una personalità tipica dell'abusatore”. Nondimeno, essa ha evocato tale opinione (che collimava comunque nel risultato con i rilievi eseguiti dallo psicologo dott. _) in via meramente abbondanziale, poiché lo psichiatra si era basato anche su elementi di fatto emergenti dall'incarto penale, come tali non rientranti nella sfera scientifica e quindi travalicanti l'ambito strettamente peritale (sentenza, pag. 26 e 27).
3.
Il ricorrente critica la sentenza impugnata nella misura in cui la prima Corte, basandosi sui pareri e affermazioni degli psichiatri dott. _ e dott. _, della psicologa _ e di _ (suo fratello), ha accertato che in casa egli era la figura dominante e che la moglie gli era sottomessa. Egli si domanda come mai un soggetto tanto succubo si sia dimostrato così forte e tenace in occasione della discussione tenutasi il 18 marzo 1998 (ossia in tempi non sospetti) dinanzi alla Delegazione tutoria di _. La risolutezza dimostrata dalla moglie in tale circostanza mal si concilierebbe con la descrizione di lei che risulta dalla sentenza impugnata. Interrogativi del genere sono però di natura palesemente appellatoria e come tali inammissibili in un ricorso per cassazione fondati sul divieto d'arbitrio. In proposito il ricorso sfugge a ulteriore disamina.
4.
Alla Corte di merito il ricorrente rimprovera arbitrio per avere accertato che egli non lesinava botte alla moglie e ai figli. A suo parere le prove raccolte – le accuse della moglie e del figlio _, le testimonianze di _ (sua cognata) e di _ (maestro di _) – sono inconcludenti, poiché la credibilità della moglie e del figlio è vacillante, poiché la cognata ha soltanto notato la sorella con dei lividi, senza sapere chi li avesse causati e poiché il docente _ si è limitato a raccontare quanto riferitogli da un amico di _, che a sua volta aveva appreso la contestata circostanza dallo stesso _. Tali argomentazioni non bastano però per intravedere arbitrio. Intanto, anche la figlia _ ha riferito di essere stata talvolta percossa dal padre (sentenza, pag. 10) e quest'ultimo non pretende che tale asserzione sia falsa. Egli pone in dubbio la credibilità del figlio e della moglie, senza però sostanziare alcunché. Certo, la cognata ha ammesso che sua sorella non ha accusato direttamente il marito di averle procurato i lividi ricordati nella sentenza impugnata (act. 199, pag. 2). Il ricorrente trascura però che la testimone ha soggiunto che in famiglia avevano capito che l'autore era il ricorrente (act. PP 199, pag. 2). È vero altresì che _ ha riferito di eventi appresi da un alunno, il quale a sua volta li ha saputi da _ (act. 57 annesso al rapporto di polizia giudiziaria). Le confidenze di _ al compagno di scuola riprendono però le accuse mosse da _ e dalla moglie _ e pertanto confermano quanto era noto in famiglia, segnatamente alla cognata _. Nella misura in cui è sufficientemente motivata, la critica si rivela perciò priva di consistenza.
5.
Il ricorrente riprende l'accertamento secondo cui sua moglie mal sopportava sia la frequenza dei rapporti sessuali, sia soprattutto i rapporti anali, come pure l'accertamento secondo cui essa tollerava comportamenti del genere per non irritarlo. Assevera che, contrariamente a quanto ha ritenuto arbitrariamente la Corte, la consorte non soltanto non si è mai arrabbiata, ma che essa non ha fatto nulla per opporsi. La questione, egli spiega, non è irrilevante, dato che il perito psichiatrico dott. _ lo ha ritenuto capace di abuso considerando anche ciò. L'obiezione non gli giova. A prescindere dal fatto che egli non sostanzia alcun arbitrio, limitandosi a riflessioni per lo più appellatorie, va ricordato che la perizia allestita dal dott. _ (che per altro collima con i rilievi testistici eseguiti dal dott. _), non ha inciso sul giudizio di colpevolezza, maturato sulla base di altri e ben più concreti indizi. Quel referto è infatti stato considerato solo a titolo abbondanziale (sentenza, pag. 27).
6.
Il ricorrente ravvisa ulteriore arbitrio nella considerazione, stando alla quale la moglie, nei colloqui con il consulente psichiatrico dott. _ durante la degenza presso la clinica di _ (dov'era stata ricoverata dal 16 dicembre 1998 e il 16 gennaio 1999), avrebbe riferito spontaneamente di un abuso del marito in danno della figlia. _ – egli assevera – ha se mai riferito un'affermazione in tal senso fatta dalla piccola, il che non è la stessa cosa. Allegazioni del genere, per altro ai limiti del pretesto, sono però inammissibili in un ricorso per cassazione fondato sul divieto d'arbitrio.
7.
Assevera il ricorrente che a pag. 13 della sentenza impugnata i primi giudici hanno ricordato come durante le audizioni del 17 e 20 maggio 1999 _ abbia eluso le domande a lei rivolte e che, ciò nonostante, essi hanno seguito l'opinione della psicologa dott. _, secondo cui il linguaggio analogico (e non verbale) appariva comunque compatibile con i fatti di causa. A suo giudizio la Corte di assise non ha però rilevato quanto emerge realmente dalle audizioni, in particolare in quella di maggio, ossia l'insopportabile pressione alla quale la piccola è stata sottoposta. Ancora una volta il ricorrente si avvale di critiche appellatorie, limitandosi a contrapporre la propria opinione a quella delle assise come se si trovasse di fronte a un'autorità di appello munita di pieno potere cognitivo anche su questioni di fatto e di valutazione delle prove. In un ricorso per arbitrio un approccio del genere è però inammissibile.
8.
Riferendosi alla testimonianza di _, il ricorrente rileva che la prima Corte ha dato atto che durante l'interrogatorio del 20 maggio 1999 il ragazzo ha affermato tra l'altro che suo padre gli aveva imposto di compiere atti sessuali sulla sorellina mentre egli filmava la scena per poi vendere forse i “filmini” perché aveva bisogno di soldi (trascrizione nell'act. 5 annesso al rapporto di polizia giudiziaria). Il ricorrente ribadisce di avere contestato fatti del genere, tanto più che non sono state rinvenute né cassette pornografiche né videocamere a casa sua, e critica la prima Corte per essersi limitata a soggiungere che tali accuse non hanno trovato conferme, né smentite. A mente sua la Corte avrebbe dovuto concludere che si trattava di affermazioni fantasiose, suscettibili di influire sulla credibilità del ragazzo anche per quanto concerne le altre accuse. Ora, la Corte di merito si è effettivamente espressa in modo ambiguo al riguardo. Mancando riscontri oggettivi e incontrando perplessità, in virtù del principio
in dubio pro reo
essa avrebbe dovuto abbandonare l'ipotesi di scene pedofile filmate dal ricorrente per far soldi. Ciò non significa però che il ricorso debba essere accolto. Come noto, per incorrere nell'annullamento una sentenza deve essere arbitraria non soltanto nelle motivazioni, ma anche nel risultato. Un concreto ciò sarebbe potuto essere il caso ove il ricorrente avesse dimostrato che pure le successive considerazioni che hanno indotto i giudici a convincersi che l'accusato ha compiuto atti sessuali su _ sono arbitrarie. Come si vedrà ancora, un'eventualità simile è fuori questione. Senza abusare del proprio potere di apprezzamento, la Corte di assise poteva infatti considerare le (rimanenti) accuse di _ credibili perché suffragate da altri riscontri, come la frase che figura accanto alla balena disegnata l'8 ottobre 1999 davanti alla psicologa _ (sentenza, pag. 16 segg), il parere della psicologa dott. _, secondo cui i bambini sono attendibili (sentenza, pag. 15 e 17) e la testimonianza della madre, che ha personalmente assistito a ripetuti abusi del padre sui figli (sentenza, pag. 19 segg).
9.
Secondo il ricorrente la Corte di assise ha persistito nella sua erronea impostazione anche al momento di valutare la credibilità delle successive affermazioni di _. Dando per scontata la credibilità del ragazzo (sentenza, pag. 14, punto 4), riferendosi all'interrogatorio del 9 settembre 1999 essa si è limitata a rilevare che in quell'occasione per _ è stato difficile – ciò che è comprensibile – togliersi il peso dallo stomaco (sentenza, pag. 15). Una considerazione del genere non basta però per dimostrare il preteso arbitrio. Appellatorio, in proposito il ricorso è destinato all'insuccesso. Soggiunge il ricorrente che arbitrario è pure l'accertamento stando al quale _ ha poi confermato chiaramente di essere stato sodomizzato dal padre. La semplice lettura delle trascrizioni, egli opina, denota un racconto farcito di frasi possibiliste (“credo”, “mi sono venute delle scene”, “se ben ricordo”). Se non che, la Corte stessa ha ricordato i passaggi citati e i momenti in cui il ragazzo ha manifestato incertezza (sentenza, pag. 15). Essa ha gli però creduto ugualmente, in particolare dopo avere preso atto che, sollecitato a ulteriori spiegazioni, _ ha aggiunto altri particolari e che le difficoltà “a venire al dunque”, come spiegato dalla psicologa _, rafforzano se mai la credibilità dell'interlocutore (sentenza, pag. 15 e 16). Con tali considerazioni il ricorrente non si confronta compiutamente, limitandosi a sottolineare che al dibattimento _ ha spiegato che sulla credibilità di un bambino si può dire tutto e il contrario di tutto e che in questo campo le opinioni sono spesso se non sempre discordanti. Un esposto del genere è però inidoneo a confortare una qualsivoglia censura di arbitrio.
10.
Assevera il ricorrente che l'opinione della Corte di assise non può essere condivisa nemmeno ove essa accredita la testimonianza di _ anche dall'espressione da lui usata per spiegare come si sentiva prima, durante e dopo la penetrazione anale (“come se uno mi ha messo cento supposte dentro, nel mio sedere”: sentenza, pag. 16). Un paragone del genere – egli fa valere – non deve sorprendere poiché è normale che un bambino di dieci anni tende a paragonare un simile dolore proprio con quello conseguente all'uso di supposte, ingigantendone il numero. Una siffatta allegazione appellatoria, per altro poco seria, non può tuttavia trovare spazio in un ricorso per cassazione fondato sul divieto dell'arbitrio. Ancora una volta l'ammissibilità del ricorso non è data. Alla prima Corte il ricorrente rimprovera poi di avere conferito rilevanza soverchia ai disegni di _, segnatamente a quello in cui egli esortava la madre a parlare, la credibilità del ragazzo essendo venuta meno già per le sue precedenti bugie. Di nuovo egli trascura però i limiti del potere cognitivo della Corte di cassazione e di revisione penale, chiamata a statuire su un ricorso fondato sul divieto dell'arbitrio. Sia come sia, non si vede quale arbitrio avrebbe commesso la prima Corte considerando che con la frase apposta accanto alla balena _ intendesse alludere al fatto che la madre aveva assistito ad altri due casi di abusi (sentenza, pag. 17; cfr. act. annesso ad act. 98). Tanto meno se si pensa che _ ha effettivamente assistito a queste scene (sentenza, pag. 19 segg). Al riguardo il gravame non merita altra disamina.
11.
Richiamati gli accertamenti peritali del dott. _ e del dott. _, il ricorrente confuta gli abusi sessuali che, secondo la Corte di assise, egli avrebbe compiuto su _. Egli sembra affermare che si possa tutt'al più parlare di manipolazioni nella zona anale – ciò che non basterebbe a dimostrarne la finalità sessuale – e non di penetrazione peniena. Egli non pretende però che la Corte di assise sia caduta nell'arbitrio ritenendo – sulla base del racconto del ragazzo, della testimonianza della madre e della perizia del dott. _ (act. 16, pag. 2 e verbale del dibattimento; sentenza, pag. 17) – che _ sia stato vittima di sodomia. Carente di motivazione, su questo punto il ricorso deve essere ancora un volta dichiarato inammissibile. D'altro canto nel gravame l'interessato si vale di circostanze che neppure figurano agli atti del processo. Al dibattimento il dott. _ ha sì manifestato dubbi sulla eventualità di una penetrazione anale, con riferimento tuttavia all'altra vittima, _ (verbale del dibattimento, pag. 7).
12.
Il ricorrente insorge contro la sentenza di assise anche nella misura in cui la Corte di merito ha creduto alla figlia _ e assume che i primi giudici non avrebbero correttamente affrontato il problema legato all'affidabilità di bambini in tenera età. A suo modo di vedere i giudici avrebbe dovuto per lo meno porsi i medesimi interrogativi evidenziati dal prof. _ nel procedimento sfociato con sentenza 5 maggio 2000 della Corte delle assise criminali in Lugano in re R.; essi avrebbero dovuto considerare la suggestionabilità e, quindi, la scarsa attendibilità di tali soggetti. Invece essi nemmeno hanno esaminato il problema e mai hanno dato più credito all'opinione della dott. _ rispetto a quella del prof. _. Richiami e paragoni del genere, di chiara connotazione appellatoria, sono però inammissibili in un ricorso fondato sul divieto dell'arbitrio.
13.
Il ricorrente si diffonde dipoi con ulteriori riflessioni sulla credibilità della bambina. Fa carico alla Corte di assise di essersi basata su testimonianze indirette, nella misura in cui essa ha accertato che _ aveva già rivelato gli abusi subiti (verosimilmente alle educatrici del Centro _). Alla prima Corte egli rimprovera anche di avere trascurato il rapporto 20 marzo 2000 della psicologa _ (firmato anche dal dott. _), da cui si può unicamente evincere che a mente di _ il papà le faceva male al sederino (act. 234) e in particolare di non essersi domandata se altre cause avrebbero potuto causare i dolori. Inoltre il ricorrente critica i primi giudici anche per non avere considerato che i bambini sono giunti al centro di accoglienza “_ ” già sapendo della storia del “pippi nella patatina” perché presenti la sera del 12 marzo 1999 quando è intervenuta la polizia, che _ e _ hanno recepito le preoccupazione degli adulti a causa delle visite mediche cui sono stati sottoposti e delle quali – quanto meno _ – conoscono il risultato, che _ sa quanto racconta _, che le sue rilevazioni potrebbero essere equiparate a quelle di un fratello maggiore che protegge la sorellina. Con argomentazioni del genere, di natura appellatoria, il ricorrente si limita però a prospettare una propria versione e interpretazione dei fatti, senza dimostrare perché, giudicando diversamente (ossia credendo a _ anche perché la sua versione, ritenuta veritiera dalla psicologa _, ha trovato sostanziale conferma nella deposizione della madre) i primi giudici siano trascesi in arbitrio. Al ricorrente va ricordato che per motivare l'arbitrio non basta criticare semplicemente la decisione impugnata, né contrapporle una versione propria, per quanto sostenibile o finanche preferibile. Occorre dimostrare perché, accertando i fatti e valutando le prove diversamente, la Corte di merito abbia errato a tal punto da urtare il sentimento di giustizia e di equità. Come visto, il ricorrente non ha per nulla soddisfatto tale condizione .
14.
Il ricorrente critica la Corte di assise perché essa si sarebbe limitata a osservare che l'esame ginecologico eseguito dalla dott. _ non ha consentito di ravvisare segni tipici di abuso nella zona vaginale, senza precisare che a pochi giorni dell'inizio del dibattimento la stessa ginecologa ha smentito i suoi precedenti rapporti medici, i quali hanno condizionato il procedimento, inducendo gli inquirenti a non più chiedersi se abuso vi fosse stato. La censura cade nel vuoto. Anzitutto la prima Corte ha ricordato che la perita ha corretto i suoi precedenti referti (sentenza, pag. 19). Nel rapporto del 27 maggio 1999 la dott. _ aveva constatato “uno status compatibile con delle manipolazioni croniche a livello dei genitali della bambina segnalate dalla scomparsa dell'imene in una zona tipica soprattutto in seguito a manipolazioni ripetute con dita o altri strumenti che riescono comunque a non provocare la rottura dell'imene ma a provocare una dilatazione e assottigliamento” (act. 12). Con scritto del 27 settembre 2000 la stessa specialista ha rettificato la sua opinione basandosi su una nuova classificazione, concludendo nel senso che non vi sono segni specifici di abuso (act. 6 successivo all'atto di accusa). Il ricorrente non spiega tuttavia perché un più sollecito chiarimento da parte della perita avrebbe potuto incidere sulla ricostruzione della fattispecie che ha comportato la sua condanna per gli atti sessuali di cui al dispositivo n. 1.1.2 della sentenza impugnata, ai quali ha assistito finanche la madre (atto di accusa punto 1.2; sentenza, pag. 19 e 20). Ne segue che la doglianza, come detto, cade nel vuoto.
15.
Secondo il ricorrente sarebbe manifestamente arbitrario l'accertamento degli abusi nella zona anale di _, che lo hanno fatto condannare per avere in almeno un'occasione commesso sodomia sulla figlia. Nessuna prova certa – egli assevera – è stata fornita al riguardo, come ha ammesso il perito giudiziario dott. _, il quale per finire ha ritenuto poco probabile una penetrazione anale con pene alla luce degli esami da egli eseguiti (rapporto di polizia giudiziaria, annesso act. 12).
a)
Secondo la Corte delle assise criminali un riscontro oggettivo di abuso anale risulterebbe invece dalla perizia del dott. _, dato che secondo quell'esperto la serie di alterazioni anatomiche osservate depongono “con forza” per un abuso sessuale proprio nella ragione anale della bimba. Il perito ha ritenuto più probabile, nondimeno, che si sia trattato di manipolazioni e non di una penetrazione peniena, pur non escludendola. Premesso che un atto del genere non può essere escluso anche alla luce della sentenza emanata dalla Corte delle assise criminali il 15 novembre 1999 in re S., i primi giudici hanno soggiunto che il dott. _ ha altresì precisato che le lesioni riscontrate avrebbero potuto senz'altro essere state cagionate da una forte pressione del pene sull'orifizio anale della piccola. Ha per finire stabilito che ciò è il minimo di quel che la bambina ha dovuto subire (sentenza, pag. 19).
b)
Quale conclusione la prima Corte ha tratto al riguardo non è chiaro, salvo che nel dispositivo n. 1.1.3. della sentenza impugnata essa ha condannato l'imputato per atti sessuali con fanciulli anche per avere sodomizzato almeno una volta la figlia _. Nel consid. 4.2 (sentenza, pag.18 e 19) essa non ha accertato però se sia trattato di penetrazione – come ha dichiarato la bambina in un suo interrogatorio (sentenza, pag. 17) – oppure di atti simili, come a un certo momento il perito ha finanche ritenuto più probabile. Essa ha rilevato soltanto che, secondo il perito, le lesioni riscontate avrebbero potuto essere state causate anche da una forte pressione del pene sull'ano.
c)
In diritto ci si potrebbe domandare invero se la Corte di assise avesse particolari motivi per inserire nella sentenza impugnata i dispositivi con i quali riconosce il ricorrente autore colpevole di sodomia in due occasioni sul figlio _ (n. 1.1.1) e in un'altra occasione sulla figlia _ (n. 1.1.3). L'art. 187 CP non differenzia secondo l'atto sessuale commesso (
Trechsel
, Kurzkommentar zum StGB, 2a edizione, n. 79 ad art. 187). La natura e l'intensità dell'abuso costituisce se mai, dandosene il caso, un criterio per determinare la colpa dell'autore e, quindi, per stabilire la pena a suo carico in applicazione dell'art. 63 CP (cfr.
Corboz
, Les principales infractions, vol. II, n. 23 ad art. 187 CP). La questione, più accademica che pratica, può essere lasciata irrisolta.
d)
Sia come sia, in effetti, in mancanza di più solidi riscontri il ricorrente non può essere riconosciuto colpevole del reato così com'è descritto nel dispositivo n. 1.1.3 della sentenza impugnata. Il precetto
in dubio pro reo
impone che gli si imputi la versione – che poteva essere accertata senza incorrere in arbitrio – a lui più favorevole: quella cioè di una forte pressione del pene sull'orifizio anale della bambina, senza penetrazione, come ha prospettato il perito al dibattimento (verbale del processo, pag. 7, in cui l'esperto ha ritenuto difficilmente immaginabile, pur senza escluderla, una penetrazione anale). Su questo punto il ricorso si rivela perciò, almeno in parte, provvisto in parte di buon diritto. Il dispositivo n. 1.1.3 della sentenza impugnata va di conseguenza annullato e il dispositivo n. 1.1.2 riformato nel senso che il ricorrente è dichiarato autore colpevole di avere commesso atti sessuali con la figlia _ (di 3 anni) in almeno tre occasioni. Sulla commisurazione della pena si dirà oltre.
16.
Secondo il ricorrente la prima Corte sarebbe caduta in arbitrio ritenendo credibile la testimonianza della moglie resa davanti al Procuratore pubblico il 12 ottobre 1999. Egli non dimostra però la manifesta insostenibilità delle considerazioni – per altro non sempre confutate nel gravame – che hanno spinto i primi giudici a credere che il ricovero della donna presso la clinica di _ fosse dovuto anche al trauma da essa sofferto per gli abusi sessuali commessi dal marito sui figli (sentenza, pag. 25). Né dimostra essere arbitrario credere alla commovente reazione della madre il 19 ottobre 1999 presso il “Centro _ ”, davanti ai figli, come ha riferito _ nel verbale del PP act. 98, (sentenza, pag. 24-25). Certo, quanto ha detto la madre non collima appieno con quanto hanno detto i figli (in particolare _). Ciò non basta tuttavia per far apparire manifestamente insostenibile l'apprezzamento della prima Corte sulla credibilità di _. Del resto, il fatto che i singoli racconti non combacino in tutto e per tutto induce a escludere che gli interessati si siano messi d'accordo sul contenuto delle dichiarazioni.
17.
Il ricorrente dissente anche dalla psicodiagnosi eseguita dalla dott. _ e dalla dott. _, che evidenziano in entrambi i bambini un quadro compatibile con l'ipotesi di un trauma sessuale (sentenza, pag. 26 con riferimento ad act. 23). Nemmeno al riguardo egli dimostra tuttavia perché i primi giudici avrebbero abusato del loro potere di apprezzamento. In proposito la sentenza impugnata sfugge alla critica.
18.
Alla prima Corte il ricorrente rimprovera di avere violato il diritto federale negandogli la scemata responsabilità (art. 11 CP). Ora, su questo punto la prima Corte ha rilevato che il perito psichiatrico dott. _ ha escluso deliri o atteggiamenti psicotici o altri gravi malattie che possano avere alterato il pensiero o l'agire del prevenuto, sicché ha ritenuto quest'ultimo pienamente responsabile, capace di valutare il carattere illecito degli atti commessi e di conseguentemente agire (sentenza, pag. 27). Ha soggiunto, il perito, che il ricorrente denota un'anomalia del carattere con parafilia e che la sua personalità non esclude la possibilità o la tendenza alla recidiva. Il ricorrente asserisce che i primi giudici hanno trattato l'argomento con superficialità nella misura in cui si sono limitati a rilevare “l'anomalia di carattere constatata dal perito dr. _, la quale pur non giustificando l'applicazione dell'art. 11 CP, ha avuto un certo influsso sui freni inibitori” (sentenza, pag. 30). In realtà, contrariamente a quanto si assume nel ricorso, la prima Corte non ha mancato di considerare il problema, giacché al momento di fissare la pena (art. 63 CP) essa ha tenuto conto proprio dell'anomalia di carattere (sentenza, pag. 30). Il ricorrente insiste nel far valere che occorreva almeno motivare perché, nonostante quell'anomalia, non entrava in considerazione la scemata responsabilità, ma a torto. Chiamato ad esprimersi, il perito ha dato risposte precise sia per quanto attiene alla capacità di intendere e di volere, sia per quanto riguarda gli effetti della patologia ricordata nel ricorso (act. 142, pag. 7). Il ricorrente dissente dall'opinione del perito, citando fonti mediche che consentirebbero, a suo modo di vedere, di giungere a una conclusione diversa. Non è però compito del giudice né tanto meno della Corte di cassazione e di revisione penale sostituirsi al perito nello stabilire se un autore abbia agito in stato di scemata responsabilità (CCRP, sentenza del 17 dicembre 1998 in re C., consid. 11). Di nuovo il ricorso è perciò destinato all'insuccesso.
19.
Nel punto 3.9 del memoriale il ricorrente critica pure la Corte di assise per avere liquidato in poche righe, nel consid. 4.6, diverse sue obiezioni e riflessioni sulle risposte date dai figli e sui riscontri medici e clinici. La critica non è chiara. Nel considerando censurato la Corte di merito ha spiegato perché essa ha escluso l'eventualità che gli abusi sessuali possano essere stati compiuti dalla zio _. Motivando il gravame, il ricorrente affronta però tutt'altri temi, ciò che ne fa apparire dubbia l'ammissibilità. Comunque sia, il ricorso sarebbe destinato all'insuccesso quand'anche lo si vagliasse nel merito. Le doglianze si esauriscono per lo più, difatti, in considerazioni appellatorie e ad ogni modo inidonee a far apparire la sentenza impugnata arbitraria, nella misura in cui i primi giudici hanno ritenuto il ricorrente colpevole sulla base della prove raccolte.
20.
Da ultimo il ricorrente invoca il principio
in dubio pro reo
, sgorgante dall'art. 32 cpv. 1 Cost. (art. 4 vCost.), il quale trova applicazione sia nell'ambito della valutazione delle prove sia in quello della ripartizione dell'onere probatorio. Riferito alla valutazione delle prove, esso significa che il giudice non può dichiararsi convinto di una fattispecie più sfavorevole all'imputato quando secondo una valutazione oggettiva del materiale probatorio sussistano dubbi che la fattispecie si sia verificata in quel modo. Ciò non impone che l'assunzione delle prove conduca a un'assoluta certezza di colpevolezza. Dubbi astratti e teorici sono sempre possibili, né una certezza totale può essere pretesa: il principio è disatteso solo quando il giudice avrebbe dovuto nutrire, dopo un'analisi globale o oggettiva delle prove, rilevanti e insopprimibili dubbi sulla colpevolezza (DTF del 25 settembre 2000 in re S., consid. 33b, 120 Ia 31 consid. 2c). Riferito all'onere probatorio, il principio
in dubio pro reo
significa che spetta alla pubblica accusa provare la colpevolezza dell'imputato, non a quest'ultimo dimostrare la sua innocenza (DTF 120 Ia 31 consid. 2c e 2d). Nella fattispecie il ricorrente invoca il principio
in dubio pro reo
come regola sull'apprezzamento delle prove. Tenuto conto di quanto precede, non è però possibile affermare che la Corte di assise abbia condannato il ricorrente quantunque un apprezzamento non arbitrario delle risultanze istruttorie nel loro complesso lasciasse oggettivamente sussistere dubbi sulla colpevolezza. Anche nella misura in cui il ricorrente invoca il principio
in dubio pro reo
, il ricorso deve perciò essere respinto.
21.
Nella decisione che lo condanna per atti sessuali con fanciulli (art. 187 CP) in concorso con atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere (art. 191 CP) il ricorrente ravvisa una violazione del diritto federale nella misura in cui la Corte di assise si riferisce agli abusi commessi su _. Egli assevera che al riguardo entra in considerazione soltanto l'ipotesi di atti sessuali con fanciulli giusta l'art. 187 CP.
a)
Secondo i giudici di merito il ricorrente si è reso colpevole non solo di atti sessuali con fanciulli (art. 187 CP), ma anche di atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere (art. 191 CP). A _ faceva difetto sia la capacità di discernimento, data la giovane età, sia la capacità di resistere. A _ – sempre secondo i giudici – faceva difetto la capacità di resistere alle brame del ricorrente, a causa della sua autorità, della differenza di età e di forza fisica, della fiducia conseguente al rapporto di parentela, della sottomissione cognitiva, della dipendenza emozionale e della paura di perdere l'approvazione del genitore cui voleva bene. Nemmeno _ però era capace di discernimento, avuto riguardo anche al contenuto della videocassetta, da cui si evince che il ragazzo non è manifestamente in grado di determinarsi in campo sessuale, di comprenderne la portata o la gravità né di reagire in modo ragionevole (sentenza, pag. 28 e 29).
b)
In DTF 120 IV 194 il Tribunale federale ha stabilito che, ove siano commessi atti sessuali su fanciulli incapaci di discernimento a causa della loro età, sussiste concorso ideale tra l'art. 187 e l'art. 191 CP. Ha soggiunto nondimeno che l'art. 191 CP va applicato con riserbo ove l'incapacità di discernimento sia da mettere in relazione esclusivamente all'età della vittima (DTF120 IV 198 consid. c). Il problema di sapere a quali condizioni si applichi il medesimo principio nel caso in cui l'incapacità di discernimento o l'inettitudine a resistere non dipendano solo dalla giovane età della vittima è stato invece lasciato indeciso (DTF120 IV 198 consid. c).
c)
In concreto la Corte di assise ha escluso che _, pur avendo 9 anni al momento dei fatti, fosse capace di discernimento. Basandosi sulla videoregistrazione, essa ha rilevato che il ragazzo non è manifestamente in grado di determinarsi nella sfera sessuale, di comprenderne la portata o la gravità né di reagire di conseguenza (sentenza, pag. 29). Il ricorrente non pretende che tale accertamento sia arbitrario. Egli richiama la giurisprudenza del Tribunale federale, ricordando che occorre applicarla con rigore, specialmente se l'incapacità di discernimento è da mettere in relazione alla giovane età della vittima, ma per finire si limita a far valere – riferendosi per altro alla questione di sapere se il ragazzo fosse incapace di resistere a causa del rapporto di subordinazione con il padre – che _ è un ragazzo intelligente, che avrebbe potuto opporsi, rivolgendosi a terzi. Ciò non basta per far apparire arbitrario l'accertamento secondo cui in campo sessuale _ denotava carenze tali da relegare in secondo piano la sua età (9 anni, a differenza del caso giudicato nella citata sentenza del Tribunale federale, ove la vittima non aveva ancora compiuto cinque anni). Tutt'al più gli apprezzamenti della prima Corte sulla ridotta capacità di intendere e di volere di _ possono lasciare perplessi. Ma nemmeno il ricorrente asserisce – per esempio – che durante gli abusi _ avesse dato segni che lasciassero presumere di capire l'illiceità e la gravità dei fatti (CCRP, sentenza del 28 dicembre 1994 in re P., consid. 3b e 3c). Del resto la nozione di incapacità di discernimento ai sensi dell'art. 191 CP è relativa. Spetta al giudice apprezzarla di caso in caso (DTF120 IV 198 consid. c). Ciò posto, non è possibile far carico ai primi giudici di aver violato il diritto federale ammettendo il concorso tra l'art. 187 e l'art. 191 CP.
d)
Dandosi concorso ideale tra l'art. 187 e 191 CP già per le considerazioni che precedono, può essere lasciato aperto il quesito di sapere se la vittima fosse anche incapace di resistere alle brame del padre per la differenza di età e di forza fisica e, in genere, per il rapporto di subordinazione con il genitore. L'interrogativo è per altro delicato, la giurisprudenza tendendo a subordinare l'applicazione dell'art. 191 CP alla totale incapacità di resistere della vittima (DTF inedita del 20 maggio in re B., consid. 2aa).
22.
Secondo il ricorrente la Corte di assise ha violato il diritto ammettendo il concorso ideale tra l'art. 187 CP (atti sessuali con fanciulli), l'art. 191 CP (atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere) e l'art. 219 CP (violazione del dovere di assistenza o educazione). Invocando DTF 126 IV 136, egli assume che la fattispecie prevista dall'art. 219 CP è già “assorbita” dagli art. 187 e 191 CP.
a)
Pur rilevando che la dottrina non è unanime al riguardo e pur ricordando che in DTF 126 IV 136 il Tribunale federale ha ammesso il concorso imperfetto tra l'art. 219 CP e gli art. 189 e 190 CP, i primi giudici hanno ritenuto applicabile in concreto sia l'art. 219, sia l'art. 187, sia l'art. 191 CP. Essi hanno richiamato il vecchio art. 191 CP (“atti di libidine su fanciulli”) e il fatto che tale norma considerava come reato qualificato l'abuso commesso dall'autore su una vittima che gli era stata affidata, come pure il protrarsi e l'intensità degli abusi. Hanno rilevato che in ogni modo, trattandosi di concorso ideale, la questione è accademica, dato che il quadro edittale della pena non muta e dato che, comunque sia, la posizione di padre dev'essere considerata nella commisurazione della pena (sentenza, pag. 29).
b)
In realtà la tesi del ricorrente, secondo cui l'art. 219 CP è “assorbito” dagli art. 187 e 191 CP, convince meglio e trova riscontro in DTF 126 IV 136, ove il Tribunale federale ha stabilito che se la violazione del dovere di assistenza o di educazione (art. 219 CP) costituisce nel contempo un reato di coazione sessuale (art. 189 CP) o di violenza carnale (art. 190 CP), il concorso è improprio e il primo reato rientra negli art. 189 e 190 CP. Il Tribunale federale non ha ravvisato concorso ideale, in sintesi, perché gli art. 189 e 190 non contengono disposizioni particolari nel caso in cui l'autore abbia anche l'obbligo di vegliare sulla giovane vittima (DTF 126 IV 138). Come risulta dalla citata sentenza (pag. 139), il concorso improprio tra gli art. 187 segg. e l'art. 219 CP è inoltre sostenuto da
Trechsel
. Vi sono però opinioni più sfumate:
Moreillon
sostiene che è possibile un concorso tra gli art. 219 e 188 CP (atti sessuali con persone dipendenti) nel caso in cui l'autore reiteri negli atti sessuali, al punto che la violazione pregiudichi sia l'integrità sessuale e psichica del bambino. Il Tribunale federale però non ha seguito tale impostazione, optando per l'applicazione dell'art. 188 CP (DTF 126 IV 140).
Stratenwerth
e
Hurtado Pozo
sembrano orientati anch'essi verso il concorso imperfetto, anche se la loro opinione si riferisce al concorso tra gli art. 219 CP e gli art. 122 segg., rispettivamente 127 segg. CP (DTF 126 IV 139).
Rehberg
, dal canto suo, reputa che l'art. 219 CP possa essere applicato accanto agli art. 187 segg. CP soltanto nel caso in cui l'agire illecito, a causa della durata e dell'intensità, non attenti solo all'integrità sessuale, ma vada oltre, mettendo in pericolo la vittima (DTF 116 IV 139). Si tratta però di un'opinione minoritaria, che non sembra condivisa dalla recente giurisprudenza del Tribunale federale. Ciò non significa che dalla prevalenza degli art. 187 e 191 CP il ricorrente possa dedurre apprezzabili vantaggi. Il fatto di avere abusato come padre nei confronti dei figlioletti va preso in considerazione difatti – come ha correttamente rilevato la Corte di assise – ai fini della commisurazione della pena (DTF 136 IV 140).
23.
Se ne conclude pertanto che, nella misura in cui è ammissibile, il ricorso dev'essere accolto per quanto riguarda l'impugnazione del dispositivo n. 1.1.3, nel senso che il ricorrente va riconosciuto colpevole – in relazione a quello specifico reato – di atti sessuali diversi da quelli ritenuti dai primi giudici (egli non ha commesso sodomia sulla figlia). Il ricorso va pure accolto nella misura in cui il ricorrente insorge contro la condanna per violazione del dovere di assistenza o di educazione (dispositivo n.1.3 della sentenza impugnata). Come si è visto, tale imputazione (art. 219 CP) è “assorbita” dagli art. 187 e 191 CP. Bisogna a questo punto ricommisurare la pena a carico del prevenuto in virtù dell'art. 296 cpv. 1 CP.
a)
Il giudice commisura la pena alla colpa del reo tenendo conto dei motivi a delinquere, della vita anteriore e delle condizioni personali di lui (art. 63 CP). La gravità della colpa è il criterio fondamentale per la fissazione della pena. A tale riguardo entrano in considerazione numerosi fattori: movente e circostanze esterne, intensità del proposito (determinazione) o della negligenza, risultato ottenuto, assenza di scrupoli, modi di esecuzione del reato, entità del pregiudizio arrecato volontariamente, durata o reiterazione dell'illecito, ruolo in seno a una banda, recidiva, difficoltà personali o psicologiche e così via. Per quanto riguarda l'autore, in particolare, occorre considerare la sua situazione familiare e professionale, l'educazione ricevuta e la formazione seguita, l'integrazione sociale, gli eventuali precedenti e la reputazione in genere. Anche il comportamento dopo la perpetrazione del reato entra in linea di conto, compresa la collaborazione con gli inquirenti e la volontà di emendamento (DTF 124 IV 47 consid. 2d con rinvio a DTF 117 IV 112 consid. 11 e 116 IV 289 consid. 2a). Criteri ispirati alla parità di trattamento con casi analoghi hanno invece una portata relativa (DTF 124 IV 47 consid. 2c), mentre esigenze di prevenzione generale svolgono un ruolo di second'ordine (DTF118 IV 350 consid. 2g).
b)
Dal parziale accoglimento del ricorso il ricorrente non può beneficiare – come si è anticipato – di importanti riduzioni di pena. Come hanno rilevato i primi giudici, la sua colpa è gravissima, ove appena si consideri che egli ha abusato di ragazzini (di 9, rispettivamente di 3 anni) sui quali aveva l'autorità parentale, cagionando loro traumi che per comune esperienza possono avere strascichi fino all'età adulta. Né egli ha dimostrato un qualsiasi pentimento: anzi, con un comportamento processuale reticente egli ha tentato di sottrarsi alle proprie responsabilità, asserendo che i figli raccontavano il falso, incurante di causare loro altri traumi. Come circostanze attenuanti valgono l'incensuratezza, la non facile vita anteriore e l'anomalia di carattere riscontrata dal dott. _ (sentenza, pag. 30). È vero inoltre che – contrariamente a quanto ha ritenuto la Corte di merito – egli non risulta avere commesso sodomia vera e propria sulla figlia _ (che all'epoca non aveva nemmeno quattro anni), com'è vero che non vi è spazio per una condanna (supplementare) per violazione dei doveri di educazione o di assistenza. Resta il fatto che, premendo fortemente il pene sull'ano della bambina, il ricorrente ha nondimeno compiuto un atto sessuale ripugnante e che, abusando dei propri figli, egli ha violato i suoi doveri di padre. Nella commisurazione della pena (art. 63 CP) occorre tenere conto anche di ciò. Dell'inapplicabilità dell'art. 68 cpv. 1 CP egli può trarre, quindi, solo un beneficio relativo.
c)
Ciò posto, tenuto conto sia delle circostanze aggravanti e attenuanti, compresa l'anomalia di carattere, appare equo fissare la pena a carico del ricorrente in 7 anni di reclusione. La sostanziale conferma delle imputazioni più gravi non consente – contrariamente a quanto il condannato pretende – di ridurre l'ammontare delle indennità a favore delle vittime stabilite dalla Corte di assise (art. 272 CPP). Al ricorrente rimane comunque aperta la via dell'appello giusta l'art. 268 cpv. 1 CPP.
24.
Gli oneri processuali del presente giudizio seguono la soccombenza. Sono posti così per quattro quinti a carico del ricorrente e per il resto a carico dello Stato (art. 15 CPP). Non è il caso invece di modificare il dispositivo sulle spese di prima sede, l'attuale riforma non incidendo apprezzabilmente sul loro ammontare né sul loro riparto (art. 9 cpv. 1 CPP). Il ricorrente rifonderà inoltre ai figli, che si sono costituiti parti civili e che hanno presentato osservazioni al ricorso con l'ausilio di un legale, un'indennità complessiva di fr. 1'500.– per ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP). Non si assegnano ripetibili invece alla moglie _, che si è limitata a postulare il rigetto del ricorso con brevi osservazioni.
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,001 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
780876b5-ad2e-5752-a76c-214af8de56ef
|
in fatto ed in diritto
1.
Con esposto 11/14.01.2013, redatto in lingua tedesca e tradotto, su richiesta del Ministero pubblico, in italiano il 27/29.01.2013, PI 2 ha sporto denuncia penale nei confronti di PI 1, della moglie PI 2 e della (loro) figlia PI 3 per le ipotesi di reato di coazione e di sequestro di persona e rapimento, in relazione alla posa, nel corso del 2008, a _, di una barriera sulla strada privata che conduce alla loro abitazione, la quale – a mente del denunciante – sarebbe stata posata dai denunciati contro la volontà degli altri proprietari che abitano lungo la medesima strada privata, nonostante a tutti sarebbe stato distribuito il telecomando per aprirla. Inoltre tale barriera, nel periodo compreso tra il 2009 e il 2012, in occasione di alcune ristrutturazioni, avrebbe cagionato non pochi disagi a lui stesso e agli altri vicini di casa.
PI 2 ha ipotizzato nei confronti dei denunciati anche il reato di denuncia mendace in relazione ad una denuncia che gli stessi avrebbero sporto contro ignoti per titolo di danneggiamento e violazione di domicilio riguardante l’allontanamento con forza della barriera in questione nel corso del mese di ottobre 2012 (inc. MP _).
2.
Con decisione 6.03.2013 il procuratore pubblico ha decretato il non luogo a procedere in capo al suddetto procedimento penale, stante l’assenza dei presupposti oggettivi e soggettivi dei reati ipotizzati ed il carattere amministrativo e/o civile rivestito dalla vertenza (NLP _).
3.
Adita da PI 2, con decisione 14.06.2013 questa Corte ha respinto, in quanto ricevibile, il suo reclamo 21/22.03.2013, confermando in sostanza il NLP _ (inc. CRP _).
Avverso la predetta sentenza non è stato presentato ricorso al Tribunale federale.
4.
Con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Ministero pubblico a questa Corte – la MLaw _ chiede, in nome e per conto dei suoi assistiti IS 1, IS 2 e IS 3, di poter visionare la denuncia di PI 2 inoltrata nei loro confronti, allegando copia delle relative procure (doc. CRP 1.a. 1.b, 1.c e 1.d).
5.
Come visto in entrata, il magistrato inquirente non si oppone alla richiesta (doc. CRP 1).
PI 2, dal canto suo, osserva che l’istanza non contiene alcuna motivazione e che di conseguenza sarebbe molto difficile per lui esprimersi puntualmente sulla domanda. Inoltre i qui istanti non avrebbero fatto uso della facoltà di esaminare gli atti durante il procedimento penale, protrattosi per oltre un anno, ragione per la quale la presente domanda sarebbe oltre che immotivata anche tardiva. Postula dunque la reiezione dell’istanza (doc. CRP 3).
Con replica 24/25.10.2011 i qui istanti, riconfermando la loro istanza, evidenziano anzitutto che, a tutela della loro reputazione e della loro onorabilità, stanno valutando la possibilità di presentare una controquerela nei confronti di PI 2, essendo stati accusati ingiustamente da quest’ultimo di aver commesso reati di una certa gravità. Da qui la necessità di accedere agli atti per valutare l’effettiva portata delle affermazioni rilasciate da PI 2 e la loro valenza penale. Inoltre la censura sollevata da quest’ultimo riguardo alla presunta tardività della presente istanza sarebbe infondata, poiché il diritto di accedere agli atti, se giustificato, sussisterebbe anche dopo la chiusura del procedimento penale (doc. CRP 6).
Con duplica 4.11.2013 il procuratore pubblico comunica di non avere particolari osservazioni da formulare e di non avere obiezioni all’invio di copia della denuncia agli istanti (doc. CRP 8).
PI 2, preso atto che gli istanti indicano i motivi della loro richiesta, sostiene che l’accesso agli atti era possibile durante il procedimento così come l’inoltro della prospettata controquerela nei suoi confronti (doc. CRP 9).
6.
6.1.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
6.2.
Nel presente caso, pur essendo stati i qui istanti parti (in qualità di imputati) nel procedimento nel frattempo terminato, essi devono seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo.
C
ome ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10).
Inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19).
Lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG.
7.
Nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta (cfr., al proposito, la replica 24/25.10.2013, doc. CRP 6 e il considerando 5. della presente decisione) – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo dei qui istanti giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, della denuncia datata 11.01.2013 di PI 2 (AI 1 – inc. NLP _) e della sua relativa traduzione (AI 3 – inc. NLP _), poiché il procedimento penale nel frattempo archiviato li ha interessati personalmente in veste di parti (in qualità di imputati).
A ciò aggiungasi che i qui istanti, unitamente al loro patrocinatore, stanno valutando se inoltrare o meno una controquerela nei confronti di PI 2 in relazione al procedimento penale in questione.
Stante il tenore dell’art. 62 cpv. 4 LOG, va da sé che la censura sollevata da PI 2, secondo il quale l’accesso agli atti dopo l’archiviazione di un procedimento penale così come un’eventuale controdenuncia/querela da parte dei qui istanti sarebbero tardivi, è priva di qualsivoglia fondamento.
Di conseguenza – dopo il passaggio in giudicato della presente decisione – la denuncia datata 11.01.2013 (con gli allegati) (AI 1 – inc. NLP _) e la sua relativa traduzione in italiano (AI 3 – inc. NLP _) vengono trasmessi, in copia, al patrocinatore dei qui istanti.
8.
L’istanza è accolta ai sensi del precedente considerando. Si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo i qui istanti già stati parti al procedimento penale di cui all’incarto NLP _ (già incarto MP _) nel frattempo archiviato.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
785bf4e5-dbf0-5014-bb71-6b18d4a7cc31
|
in fatto: A. RI 1
e PC 1 hanno avuto una relazione sentimentale dall’estate 2004 fino a quella del 2006, conclusasi in un clima di litigiosità che ha comportato – oltre a degli strascichi di natura penale sfociati in due procedimenti distinti - lunghe trattative tra i rispettivi legali, sfociate nella sottoscrizione di una convenzione datata 27 aprile 2007 (act 3/annesso) in cui le parti hanno tra l’altro stabilito quanto segue
“1. L’automobile modello Astra (no. Telaio ) rimane di proprietà della signora PC 1
2. La signora PC 1 è pertanto autorizzata a procedere alle relative modifiche della licenza di condurre.
3. Il signor RI 1 si impegna a consegnare alla signora PC 1 le parti interne del suo attuale veicolo (Opel ASTRA) non appena gli verrà consegnato dal sellaio _, i sedili a suo tempo commissionati. Il signor RI 1 si impegna a versare la somma dell’intera fattura di tali lavori.
4. Con la sottoscrizione della presente convenzione, le parti si dichiarano integralmente e reciprocamente tacitate di qualsiasi ulteriori pretesa.”
B.
La vettura oggetto del citato accordo è stata immatricolata nel giugno del 1992 ed era intestata congiuntamente a RI 1 e a suo padre. Nonostante la sua vetustà, RI 1 e PC 1 avevano allora deciso di fare sulla stessa svariati interventi di tuning per quasi fr. 25'000.-. I relativi costi erano stati anticipati dalla donna, con l’accordo che il compagno avrebbe poi in un secondo tempo fatto la sua parte. Sta di fatto che al momento della separazione, RI 1 non aveva restituito alcunché all’amica, come desumibile dalla premessa nella convezione stessa, secondo cui nel corso della convivenza PC 1 ha sopportato personalmente le spese di acquisto e di riparazione della vettura, come pure ulteriori spese comuni.
C.
Benché si fosse impegnato a lasciare la vettura in proprietà dell’ex compagna, RI 1 non ha mai accettato che l’automobile regalatagli a suo tempo dai genitori passasse di mano. Discutendo con l’amico _ del problema, è cosi nata l’idea di immatricolare l’Opel Astra a nome di quest’ultimo e di fare figurare con un contratto fittizio – datato evidentemente prima della conclusione della nota convenzione – che la stessa gli era stata venduta, per poi andare dalla legittima proprietaria (PC 1) a farsela consegnare. Cosciente che il veicolo si trovava nella mani dell’ex compagnaRI 1, al fine di concretizzare il piano del suo recupero, ha dapprima richiesto, con formulario datato 29 gennaio 2008, un duplicato della carta grigia all’Ufficio delle circolazione , dichiarando contrariamente alla verità che la stessa carta era stata persa (act. 3/annesso). Ottenuto soddisfazione, RI 1 ha allestito un contratto fittizio tra suo padre, _, predatato al 20 settembre 2006, con cui si attestava la vendita dell’Opel Astra, senza interno (sedili) allo stesso _ per la somma di fr. 1'500.-, con la precisazione che da quel momento non sarebbero state accettate reclamazioni per la stessa (act. 3/annesso). L’atto è stato presentato dal figlio al padre, affinché lo firmasse, cosa che quest’ultimo ha fatto (act. 3/annesso). Di fatto la compravendita non è mai avvenuta e il prezzo indicato non è mai stato pagato. Con l’ausilio del duplicato della carta grigia e del contratto fittizio _ è così riuscito in seguito, segnatamente il 1. febbraio 2008, a farsi rilasciare a suo nome una nuova licenza di circolazione dell’automobile (act. 3/annesso).
D.
Il 15 febbraio 2008 PC 1, intenzionata a immatricolare il veicolo, ha incaricato il suo garagista di provvedere alle pratiche necessarie, consegnandogli la licenza di circolazione annullata in suo possesso. Questi, dopo essersi rivolto lo stesso giorno all’autorità, ha dovuto informare la cliente del fatto che l’Ufficio della circolazione gli aveva ritirato tutti i documenti, avendo preso atto che la vettura in questione era già stata immatricolata sotto un altro nome. Dal funzionario competente, PC 1 ha poi saputo che il nuovo intestatario del veicolo era _, il quale, da lei interpellato, le ha riferito di avere acquistato la macchina dal padre del suo ex-compagno nel 2006. Il 19 febbraio 2008 lo stesso _ si è quindi presentato al domicilio della donna con un rimorchio, chiedendole di consegnargli senza indugio l’Opel. Quest’ultima, dopo essersi rifiutata di dar seguito all’ingiunzione, ha chiesto l’immediato intervento della polizia che ha effettuato i rilevamenti di sua competenza. Da qui l’apertura di un procedimento penale nei confronti, tra l’altro, di RI 1.
E.
Con decreto di accusa del 7 maggio 2008 il Sostituto procuratore pubblico ha ritenuto RI 1 autore colpevole di tentata truffa per avere, per procacciarsi un indebito profitto e in correità con _, tentato di ingannare con astuzia PC 1 affermando cose false, inducendola in tal modo ad atti pregiudizievoli al patrimonio proprio o altrui, e, in specie, _ nel periodo gennaio 2008/febbraio 2008 per essersi fatto rilasciare un duplicato della licenza di circolazione del veicolo Opel Astra, consegnando tale documento a _ , affinché questi ne facesse allestire uno a suo nome e per avere parimenti confezionato un fittizio contratto di vendita della predetta automobile dove _ figurava avere acquistato il 20 settembre 2006 la vettura per fr. 1'500.-, in modo da consentire allo stesso _ di presentarsi in data 19 febbraio 2008 a mano dei summenzionati documenti presso l’abitazione di PC 1 affinché essa gli consegnasse il veicolo, non riuscendovi, essendosi quest’ultima insospettita e avendo chiamato la polizia.
In applicazione della pena, il Sostituto procuratore pubblico ha proposto la condanna di RI 1 alla pena pecuniaria di fr. 4'000.-, corrispondente a 50 aliquote da fr. 80.-, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, e a una multa di fr. 500.-, con l’avvertenza che, in caso di mancato pagamento, la stessa sarà sostituita con una pena detentiva di 5 giorni (art. 106 cpv. 2 CP). Non ha invece revocato il beneficio della condizionale concesso alla pena pecuniaria di fr. 1'200.-, decretata nei suoi confronti dalla Pretura penale del Cantone Ticino il 15 luglio 2005; ha tuttavia prolungato il periodo di prova di 6 mesi (art. 46 cpv. 2).
Al decreto di accusa, RI 1 ha sollevato opposizione.
F.
Statuendo sull’opposizione, con sentenza del 9 ottobre 2008 il giudice della Pretura penale ha ritenuto RI 1 autore colpevole di tentata truffa, condannandolo alla pena pecuniaria di 30 aliquote giornaliere di fr. 90.-, per un totale di fr. 2'700.-, pena sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, e una multa di fr. 300.- con l’avvertenza che, in caso di mancato pagamento, la pena detentiva sostituiva è fissata in 3 giorni (art. 106 cpv. 2 CP).
G.
Contro la citata sentenza RI 1 ha inoltrato il 14 ottobre 2008 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi scritti del gravame, presentati in data 11 novembre 2008, egli chiede l’annullamento della sentenza impugnata nel senso di proscioglierlo dalla relativa condanna.
H.
Con osservazioni del 15 dicembre 2008 la parte civile PC 1 ha chiesto la reiezione del ricorso.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288 lett. a e b CPP). L’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 conidi. 2b pag. 30, 112 Ia 369 consid. 3 pag. 271). Per motivare un censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata, né contrapporle una propria versione dell’accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev’essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 173 consid. 3.1 pag. 178).
2.
Il ricorrente definisce decisamente insostenibile e, pertanto, arbitraria la conclusione del giudice della Pretura penale, secondo cui nella fattispecie ci si trova di fronte a un insieme di sotterfugi che avrebbero potuto potenzialmente indurre la vittima, ovvero PC 1, a spossessarsi dell’automobile. Se é vero che il prevenuto e _ hanno orchestrato una messa in scena comportante il ricorso a dichiarazioni e documenti falsi, che hanno consentito loro di ottenere una licenza di circolazione vera che di per sé, unita ai primi, avrebbe potuto anche trarre in inganno una vittima con un normale spirito critico e a indurla, nell’incertezza, a prendere una disposizione a scapito del proprio patrimonio, è anche vero che PC 1 aveva la proprietà del veicolo, attestata da un convenzione chiarissima allestita da due legali, aveva il possesso effettivo del medesimo nonché l’originale della carte grigia, come da essa stessa confermato davanti al primo giudice, e aveva la certezza di essere proprietaria esclusiva dell’automobile. Tanto che, a fronte della insostenibile richiesta di _ , Claudia Lehneherr non si è mai trovata in una situazione di incertezza. Senza l’uso della forza, assevera sempre il ricorrente, _ non avrebbe mai potuto ottenere la vettura e questo già per il semplice fatto che nessuna azione giudiziaria avrebbe permesso al richiedente di poter entrare in possesso dell’Opel Astra (art. 924 segg. CC). L’operazione di _ , reitera nel sostenere il ricorrente, era sotto ogni aspetto destinata all’insuccesso.
3.
Con argomenti del genere il ricorrente, per ora, sorvola i motivi che hanno spinto il primo giudice a ritenerlo autore colpevole di tentata truffa, il che rende inammissibile il rimedio al riguardo. Una volta esposte le condizioni richieste da dottrina e da giurisprudenza per applicare l’art 146 CP (truffa), segnatamente una volta definita la nozione di inganno astuto che sta alla base del summenzionato reato, il giudice della Pretura penale ha spiegato perché si è verificato un tentativo di truffa, nonostante che la predestinata vittima non sia stata tratta in inganno e abbia perciò subito allertato la polizia. Secondo il giudice, decisivo si è rilevato in particolare il fatto che per convincere PC 1 a non ritenersi legittima proprietaria dell’automobile nonostante il chiaro testo delle convenzione del 27 aprile 2006 in cui i contraenti avevano espressamente concordato che il veicolo sarebbe di proprietà della donna, il ricorrente ha creato false apparenze e persino documenti falsi. E meglio, si è fatto rilasciare dalla Sezione della circolazione un duplicato della carta grigia, dichiarando contrariamente alla verità di averne smarrito l’originale (sentenza, pag. 4), ha allestito un contratto fittizio, antidatato, attestante – contrariamente al vero - la vendita del veicolo a _ prima che la nota convenzione fra il prevenuto e PC 1 fosse stata stipulata (sentenza, pag. 4), creando in questo modo le condizioni per il rilascio, poi puntualmente avveratesi, allo stesso _ di una nuova licenza di circolazione dell’automobile (sentenza, pag. 5 e 6). L’intervento di _ , ha sottolineato il giudice, ha costituito un ulteriore elemento suscettibile, sulla carta, di ingannare la predestinata vittima, trattandosi di una persona apparentemente estranea alle vicissitudini dell’ex coppia (sentenza, pag. 6). In altri termini, ha continuato il giudice della Pretura penale, per dimostrare il passaggio di proprietà a un terzo ignaro della situazione di diritto avvenuto prima dell’accordo, i due hanno costruito un castello di menzogne ben documentato e, quindi, sufficiente a far risultare a un primo esame la convenzione del 26 aprile 2007 in apparenza priva di effetti sulla proprietà del bene conteso e, di riflesso, _ come legittimo proprietario del veicolo (sentenza, pag. 6). Ciò posto, ha poi rilevato il Pretore, non si può parlare di reato impossibile solo perché la carta grigia e l’automezzo sono sempre rimasti nelle mani della vittima, dal momento che non si poteva a priori escludere che questa, confrontata con documenti come quelli che le erano stati sottoposti con un atteggiamento aggressivo da parte del sedicente avente diritto, finisse per cedere alla richiesta avversaria (sentenza, pag. 6-7). Questo – sempre secondo lo stesso giudice - non è avvenuto per la pronta reazione della donna, il che non cancella però il reato, ma lo riduce al rango di tentativo (sentenza, pag. 7). Come visto, il ricorrente non si confronta, se non di passata, con tali diffuse e puntuali considerazioni, reiterando nel sostenere che la parte civile aveva la proprietà del veicolo, attestata in modo chiaro da una convenzione, aveva il possesso effettivo del medesimo nonché l’originale della carta grigia e che essa non ha mai avuto dubbi sulla reale proprietà dell’automobile. Non cerca, però, di spiegare perché le carte false create ad arte dal prevenuto, fossero inidonee, come tali, a trarre in inganno, ossia a mettere per lo meno in discussione la proprietà del veicolo.
4.
Secondo il ricorrente, non può in ogni modo nemmeno essere condivisa l’opinione del Pretore, secondo cui, mostrando un passaggio di proprietà prima dell’accordo di cui alla convenzione del 26 aprile 2007, si poteva in linea teorica far apparire giuridi- camente fondato il preteso diritto previgente e far di conse- guenza risultare la rivendicazione di _ documentata, al punto da mettere in discussione la convenzione stessa. Uno scenario del genere, assevera il ricorrente, avrebbe richiesto un atteggiamento aggressivo del postulante, come riconosciuto dal primo giudice, ciò che avrebbe semmai costituito un furto, rispettivamente un’ estorsione. Con un atteggiamento normale, ossia fondato solo sui documenti contraffati, _ , conclude il ricorrente, non avrebbe potuto ottenere nulla. Ora, nella misura in cui il Pretore parrebbe sorreggere la truffa sul fatto che, oltre all’uso di documenti falsi, il richiedente avrebbe tenuto pure un atteggiamento aggressivo, la sentenza impugnata suscita legittimi interrogativi. Poiché un conto è l’uso di manovre fraudolente e di stratagemmi per spingere qualcuno a un atto pregiudizievole al suo patrimonio, un altro conto è l’avvalersi di metodi coercitivi per raggiungere lo stesso scopo. Sennonché, la questione non ha da essere approfondita oltre. Giacché decisivo al riguardo, ossia ai fini della tentata truffa, risulta un fatto incontrovertibile completamente sorvolato nel ricorso, ossia non tanto la presentazione di un contratto che apparentemente attesterebbe il passaggio di proprietà del veicolo prima della stipulazione della nota convenzione tra i due ex compagni, ma soprattutto la presentazione da parte di _ - che agiva su istruzioni del ricorrente - di una nuova licenza di circolazione (carta grigia) dell’automobile a suo nome (cfr. documento allegato al rapporto di polizia, act. 3). Orbene, esibendo un documento del genere rilasciato da un pubblico ufficio, _ ha conferito in pari tempo una (potenziale) valenza accresciuta al contratto fittizio di compravendita stipulato con il padre del prevenuto – cui la vittima poteva di per sé contrapporre la convenzione 26 aprile 2007, la carta grigia che si trovava nella sue mani e il possesso dell’automobile – tale da creare all’interlocutrice, almeno in teoria, dubbi sulla titolarità del veicolo.
5.
Da quanto precede, condannando il ricorrente per tentata truffa il giudice della Pretura penale non ha violato il diritto federale. Ne consegue che, nella misura in cui è ammissibile, il ricorso deve essere disatteso, siccome infondato.
6.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza, ossia sono posti a carico del ricorrente (art. 15 cpv. 1 in combinazione con l’art. 9 cpv. 6 CPP), con l’obbligo di rifondere a PC 1, che ha presentato osservazioni al ricorso tramite un avvocato, fr. 700.- per ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,009 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
7865e60d-2c7e-5749-8c3b-d1e051646389
|
in fatto ed in diritto
1.
In data 14.12.2009 IS 1 ha sporto querela nei confronti di PI 3 – con il quale ha avuto una relazione iniziata nel mese di agosto 2009 e terminata, con discussioni accese, verso la fine del mese di novembre 2009, e dalla cui unione è nata una figlia il _ – per le ipotesi di reato di danneggiamento e minaccia in relazione a presunti fatti avvenuti a _ il _. Il procedimento penale (inc. MP _) è dapprima sfociato nel DA _ emanato il 24.01.2011 dal procuratore pubblico Paolo Bordoli ed è poi stato stralciato dai ruoli dal giudice della Pretura penale Sonia Giamboni Tommasini, a seguito del ritiro della querela 16/17.05.2013, avendo le parti trovato un accordo (inc. DA _).
In data 3/5.05.2011 IS 1 ha sporto un’ulteriore querela nei confronti del di lei ex compagno PI 3
,
per le ipotesi di reato di vie di fatto e di ingiuria in relazione a presunti fatti accaduti a _ il 2.05.2011 (inc. MP _). Durante l’interrogatorio tenutosi il 23.08.2011 dinanzi alla Polizia, IS 1 ha deciso di ritirare la sua querela in applicazione dell’art. 33 CP. Il 30.08.2011 il procuratore pubblico Arturo Garzoni ha di conseguenza decretato il non luogo a procedere in capo al summenzionato procedimento penale (inc. NLP _).
Infine in data 7/8.02.2012 IS 1 ha nuovamente sporto querela nei confronti di PI 3 per
"
minacc
(i)
e
"e "
violenze varie
" in relazione a presunti fatti accaduti il _ presso il domicilio della querelante (inc. MP _). Con scritto 10/13.02.2012 IS 1 ha comunicato il ritiro della sua querela, precisando parimenti che "
(....). In accordo con il mio avvocato (con cui siamo già in causa per altre cose contro l’accusato) procederemo senza denuncia se quest’ultimo collaborerà
" (scritto 10/13.02.2012, AI 3). L’incarto è stato archiviato il 13.02.2012 per recesso di querela (inc. NLP _).
2.
Con la presente istanza – trasmessa, per competenza ex art. 62 cpv. 4 LOG, dal Ministero pubblico a questa Corte – IS 1 chiede
"
per motivi giudiziari
"
di ottenere la trasmissione delle querele sporte,
nel periodo compreso tra il mese di dicembre 2009 e il mese di dicembre 2012, nei confronti del di lei ex compagno PI 3 (doc. CRP 1.a)
.
Come esposto in entrata, il procuratore pubblico Arturo Garzoni e il procuratore pubblico Paolo Bordoli non si oppongono alla presente richiesta.
3.
Questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare PI 3, querelato/imputato nei summenzionati procedimenti penali
,
nel frattempo archiviati, essendo la qui istante stata parte (in qualità di accusatrice privata) ai medesimi.
4.
4.1.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.2.
Nel presente caso, pur essendo stata l’istante parte (in qualità di accusatrice privata) nei summenzionati procedimenti nel frattempo terminati, essa deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo.
C
ome ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10).
Inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994, p. 19).
Lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG.
5.
Nella fattispecie in esame appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, delle tre querele da lei presentate nei confronti di PI 3, poiché i procedimenti penali, nel frattempo archiviati, l’hanno interessata personalmente in veste di parte.
Di conseguenza le tre querele, ovverossia il rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 13.02.2010 (AI 2 – inc. DA _, in cui è contenuto anche la querela), la denuncia/querela penale 3/5.05.2011 (AI 1 – inc. NLP _) e la denuncia/querela penale 7/8.02.2012 (AI 1 – inc. NLP _), vengono trasmessi, in copia, alla qui istante unitamente alla presente decisione.
Stante la particolare e delicata situazione famigliare e personale creatasi tra le parti dalla cui unione è nata una figlia, questa Corte autorizza già sin d’ora IS 1 rispettivamente il suo eventuale patrocinatore (il quale dovrà produrre la debita procura) a chiedere, se necessario, direttamente al procuratore pubblico Arturo Garzoni rispettivamente al procuratore pubblico Paolo Bordoli la trasmissione, in copia, di ulteriori atti istruttori degli incarti NLP _ (già inc. MP _), DA _ (già inc. MP _) e NLP _ (già inc. MP _) per avere un quadro più completo della situazione (in particolare per il patrocinatore di IS 1 in Svizzera interna anche ai fini di eventuali procedimenti giudiziari pendenti).
6.
L’istanza è accolta ai sensi del precedente considerando. Si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo la qui istante già stata parte ai procedimenti penali in questione nel frattempo archiviati.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,014 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
79b048c6-4463-5769-bcca-71ef4cef8b70
|
in fatto: A.
Con decreto di accusa del 5 maggio 2008
il Procuratore pubblico ha ritenuto RI 1 autore colpevole di complicità in truffa, falsità in documenti, vie di fatto e grave infrazione alle norme della circolazione.
Riferendosi all’imputazione di complicità in truffa, il Procuratore pubblico ha fatto carico a RI 1 di avere, nell’aprile del 1997, a Lugano, al fine di procacciare ad altri un indebito profitto, aiutato A. a tentare di ingannare con astuzia persone e a indurle in tal modo ad atti pregiudizievoli al patrimonio proprio, e meglio per avere, in qualità di collaboratore con procura individuale della _ , ditta membro dell’associazione romanda degli intermediari finanziari e della Camera fiduciaria della Svizzera italiana, allestito, o fatto allestire, una falsa fattura di fr. 266'250.- antedatata al 25 febbraio 1997 a carico di B., ditta riconducibile allo stesso A., consegnandola altresì allo stesso A., sapendo che questi (A.) ne avrebbe fatto uso nei confronti della ditta C. allo scopo di chiederne alla stessa il rimborso o comunque di compensare le pretese che questa vantava nei confronti di B. in relazione al mancato adempimento da parte di quest’ultima di un contratto di finanziamento; rispettivamente per avere allestito una lettera datata 25 aprile 1997 su carta intestata a _ , confermando contrariamente al vero l’emissione della fattura 25 febbraio 1997 a carico di B., inviandola altresì alla ditta C., sapendo che A. pretendeva che quest’ultima assumesse ovvero rimborsasse il costo (in realtà inesistente) della fattura, ritenuto che la truffa non si è consumata poiché C. - benché sollecitata in tal senso anche da uno scritto 30 luglio 2007 dell’avv. _ , agente per conto di A./B. ed attestante contrariamente al vero l’avvenuto pagamento della fattura da parte di B. - non ha versato alcuna importo a quest’ultima.
Quanto all’imputazione di falsità in documenti, il Procuratore pubblico ha fatto carico a RI 1 di avere, nelle circostanze di cui sopra e agendo in correità con A. e al fine di nuocere al patrimonio o ad altri diritti di una persona e di procacciare a sé o ad altri un indebito profitto, in particolare al fine di perfezionare l’inganno astuto messo in atto da A. nei confronti della ditta C., formato documenti falsi nonché attestato in un documento, contrariamente alla verità, un fatto di importanze giuridica, facendone altresì uso a scopi di inganno, e meglio per avere allestito, o fatto allestire, la falsa fattura antedatata 25 febbraio 1997 di fr. 266'250.- nonché allestito la lettera datata 25 aprile 1997 con cui _ confermava contrariamente al vero l’emissione della citata fattura, consegnando la prima a A. e inviando la seconda a C.
Riferendosi all’imputazione di vie di fatto, il Procuratore pubblico ha rimproverato a RI 1 di avere, il 4 marzo 2007, colpito la moglie con degli schiaffi, spintonandola inoltre in modo da farle perdere l’equilibrio e farla cadere per terra, facendole in tal modo altresì picchiare le testa contro un mobile, mentre che per quanto riguarda l’imputazione di grave infrazione alle norme delle circolazione lo stesso Procuratore pubblico ha incolpato RI 1 di avere, il 3 ottobre 2007, sulla tratta autostradale _ , circolato a bordo di un’automobile intestata al _, alla velocità di 170 Km/h, già dedotto il limite di tolleranza, mentre la velocità consentita era di 120 Km/h.
In applicazione della pena, il Procuratore pubblico ha proposto la condanna di RI 1 alla pena pecuniaria di fr. 10'800.-, corrispondente a 9 aliquote da fr. 120.00 (art. 34 e seg. CP), sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni. Ne ha altresì proposto la condanna al pagamento di una multa di fr. 1500.-, con l’avvertenza che, in caso di mancato pagamento, la stessa sarà sostituita con una pena detentiva di 15 giorni (art. 106 cpv. 2 CP). Al decreto di accusa RI 1 ha sollevato opposizione.
B.
Con scritto del 20 ottobre 2008 M.
ha dichiarato di ritirare la querela sporta nei confronti del marito a titolo di vie di fatto, con conseguente decadimento dell’imputazione prospettata dal Procuratore pubblico a questo titolo.
C.
Statuendo sull’opposizione, con sentenza del 12 novembre 2008 il giudice della Pretura penale ha ritenuto RI 1 autore colpevole di complicità in truffa, falsità in documenti e grave infrazione alle norme della circolazione, condannandolo alla pena pecuniaria di 50 aliquote giornaliere da fr. 120.-, per un totale di fr. 6'000.-, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, oltre che al pagamento di una multa di fr. 1’000.-, con l’avvertenza che in caso di mancato pagamento la pena detentiva sostitutiva è fissata in 8 giorni (art. 106 cpv. 2 CP).
D.
Contro la citata sentenza RI 1 ha inoltrato il 13 novembre 2008 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi scritti del gravame, presentati il 22 dicembre 2008, egli chiede l’annullamento della sentenza impugnata.
E.
Con osservazioni del 6 febbraio 2009 il Procuratore pubblico ha chiesto la reiezione del ricorso.
|
Considerando
In diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288 lett. a e b CPP). L’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 133 I 149 I 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su taluni prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata, né contrapporle una propria versione dell’accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev’essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178).
2.
In sintesi, i fatti alla base del decreto di accusa, stando alla sentenza impugnata, sono i seguenti.
Attivo da diversi anni nel campo fiduciario con posizione dirigenziale nella società _, azienda con sede a _ che si occupa di gestione patrimoniale e, in particolare, di operazioni di mediazione finanziaria, di partecipazione a società finanziarie oltre che del finanziamento a favore di persone fisiche e giuridiche in Svizzera e all’estero, RI 1 ha avuto modo nel corso del 1997 di trattare con A., divenuto cliente – ancorché non importante e nemmeno facoltoso - dello stesso _. A. aveva individuato un interessante affare a _, concernente l’edificazione di una clinica dentaria per bambini, operazione denominata “_”. Del progetto e dell’edificazione di questa clinica, stando al “general contractors’s contract” datato 10 novembre 1996, si sarebbe anche occupata una società di _, ossia la C. (v. il contratto prodotto al dibattimento). Il finanziamento dell’opera avrebbe invece dovuto farsi tramite la B., società controllata dallo stesso A.. Allo scopo di procurarsi i mezzi finanziari necessari, quest’ultima ditta si è a sua volta rivolta al _ e, in particolare, a RI 1. Era la fine del 1996 [(v. fascicolo degli atti prodotti al dibattimento, segnatamente lo scritto C., filiale di _ , del 22 novembre 1996 a _ , C.-_ , a RI 1, _ , e a A.; B.; v. “Cession Act” del 28 novembre 2006, act. ICC/1 (sentenza, pag. 4).]
Sempre stando alla sentenza impugnata (pag. 4), è in questo periodo che vanno situati i contatti e le trattative tra B. (oltre che la sua filiale di _
) e il
_
.
Questi contatti, tuttavia, non sono mai andati a buon fine ed hanno scatenato, a un certo punto, un fitto scambio di corrispondenza tra le parti, segnatamente a far tempo dall’invio 30 marzo 1997 da parte di B. a C. di una fattura (“Invoice”) di $ 150’000.-, emessa per ottenere la corresponsione di asseriti servizi resi “for financial consulting”, riferiti, anche, al citato progetto di edificazione della clinica dentaria di
_
(act. ICC/4). A detta richiesta la C. ha reagito opponendosi fermamente con scritto 31 marzo 1997, tanto da rimproverare alla B., non solo di non avere intrapreso praticamente nulla di concreto per il progetto “
_
”, ma anche di averle cagionato un ingente danno a causa delle lungaggini provocate (sentenza, pag. 6). Per quanto attiene, inoltre, al coinvolgimento del _ nell’operazione di finanziamento, a detta della C. lo stesso sarebbe durato solo pochi giorni e non avrebbe neppure quello portato alcun risultato concreto, tant’e che si era dovuto pensare ad altre vie e all’intervento di un istituto finanziario nel senso stretto del termine (act. ICC/5). Dal canto suo A. ha ribattuto con fax del 7 aprile 1997, asserendo che, contrariamente a quanto preteso, la sua società un pregiudizio l’aveva patito eccome, in quanto, diversamente da quanto indicato da C., la B. avrebbe effettuato diverse prestazioni e avrebbe beneficiato pure di una cessione di $ 870'000.- maturata nei confronti della D., anche essa coinvolta nel progetto edilizio di
_
(act. ICC/6). Alle ulteriori puntualizzazioni e contestazioni della C. (act. ICC/8), la B. ha obiettato con fax 17 aprile 1997 (act. ICC/9), ponendo l’accento, tramite un altro scritto di stessa data (act. ICC/11), sulla sua posizione di onesta parte contrattuale e creditrice, che si è adoperata per il buon esito dell’operazione russa, avvalendosi anche della collaborazione di
_
, che le avrebbe fatturato i propri servizi. Al fax in rassegna era stata allegata una fattura del 25 febbraio 2007 di fr. 266'250.-; la quale, ancorché redatta senza intestazione, faceva riferimento al conto bancario
_
della società in cui RI 1 era attivo, era indirizzata alla B. e doveva essere accollata alla C. (act. ICC/111). A questo fax C. ha risposto il giorno seguente, contestando qualsiasi pretesa fatta valere nei suoi confronti (act. ICC/12). Ed era proprio a quell’epoca che A. si era recato nell’ufficio di RI 1, ufficio nel quale - secondo il primo giudice – lo stesso A. doveva già essere stato prima, visto che la fattura del 25 febbraio 1997, non redatta su carta intestata, come indicato da RI 1 al dibattimento, A. l’aveva probabilmente presa con sé durante una discussione avuta presso il
_
. Società ques’ultima che, in ogni modo, il 25 aprile 1997 ha poi direttamente confermato di avere emesso la citata fattura alla B., attestando, a firma di RI 1, che effettivamente l’importo di fr. 266'250.- era dovuto (act. ICC/14; sentenza, pag. 5).
Premesso che A. è stato in seguito indagato penalmente per altri motivi e che la documentazione
_
è stata vagliata dagli inquirenti, il giudice della Pretura penale ha ricordato che, nell’ambito di quel procedimento, RI 1 è stato citato come testimone. Nell’interrogatorio di polizia del 23 gennaio 2003, chiamato a chiarire lo scritto 25 aprile 1997 (act. ICC/14), RI 1 ha per finire ammesso che, contrariamente a quanto riportato nel punto B del citato scritto, nessuna fattura ufficiale è mai stata emessa, come pure che non vi era alcun credito suscettibile di giustificare l’emissione di una fattura intestata a A. o alla B..
RI 1 ha altresì riconosciuto di avere, prima della redazione di questo testo, interpellato A., informandolo che C. aveva scritto al _chiedendo spiegazioni. Per finire RI 1 ha riferito che il testo in questione fu verosimilmente preventivamente concordato “tra noi”, che fu scritto e ufficialmente inviato a C. su carta intestata della _. Da qui il decreto di accusa emesso dal Procuratore pubblico nei confronti di RI 1 per il reato di complicità in truffa e falsità in documenti (sentenza, pag. 5-6).
3.
Nel convalidare le citate imputazioni, il giudice della Pretura penale ha dapprima ricordato che al dibattimento l’imputato – pur non essendosi opposto in precedenza all’utilizzo delle risultanze processuali - ha improvvisamente ritrattato quanto allora riferito sotto giuramento, ossia ha fornito una versione diametralmente opposta, asserendo che l’importo della fattura emessa il 25 febbraio 1997 sarebbe in realtà dovuto, avendo il _ effettuato delle concrete e reali prestazioni a favore della C. e meglio quelle di cui ai documenti prodotti al dibattimento. L’accusato, ha soggiunto il giudice, ha spiegato che la fattura in rassegna è stata emessa dopo che l’istituto da lui diretto aveva effettuato le verifiche del caso sulla società di _ in relazione al progetto di _ , L’importo in parola, secondo la nuova versione del prevenuto, è stato calcolato sul valore, milionario, globale dell’affare, motivo questo che spiegherebbe l’entità della cifra in discussione. A seguito delle contestazioni della C. e del mancato pagamento della fattura da parte di B. o della C., la società da lui diretta avrebbe però rinunciato all’incasso emettendo il 10 settembre 1997 una “nota di credito”, documento di nuovo prodotto al dibattimento dopo che il giudice ha chiesto allo stesso accusato come fosse stato contabilizzato (IVA e imposte) l’asserito mancato guadagno di cui alla fattura del 25 febbraio 1997.
Sennonché, il primo giudice non ha creduto a questo racconto, ritenendo per contro più plausibile, oltre che coerente con le vicissitudini che vi sono state tra A. e C., la versione fornita dall’accusato in occasione del suo interrogatorio di polizia del 23 gennaio 2003. E ciò non solo perché proferita sotto giuramento, ma anche perché quest’ultima è stata resa in sintonia con l’atteggiamento assunto da A. nei confronti della C., finalizzato a “compensare” crediti vantati da questa società verso B. senza effettivamente disporre di un valido titolo. A quel tempo, ha puntualizzato il pretore, il pervenuto era consapevole che la proposta di A. non era del tutto corretta, tant’è che la “sua reazione iniziale” fu di non accettare di emettere quella fattura. A fronte delle “convincenti” argomentazioni di A., ha ricordato il primo giudice, la fattura in questione, falsa, è tuttavia stata redatta, emessa e giustificata (sentenza, pag. 6 con riferimento al citato verbale di interrogatorio, pag. 10). Del resto, ha proseguito il giudice della Pretura penale, a conferma della validità delle affermazioni fatte dal prevenuto nel 2003, vi è il fatto che, a quel tempo, alla polizia non era stata data nessuna informazione in merito alla nota di credito del 10 settembre 1997. Non solo. All’epoca l’accusato, spiegando l’accaduto, non si è limitato a proferire una singola frase, ma ha descritto in modo preciso e circostanziato agli inquirenti quanto realmente avvenuto, facendo accenno al progetto russo, agli interlocutori coinvolti, a diverse riunioni, alle rivendicazioni all’epoca avanzate dalla C., e quindi note al prevenuto, che, secondo lo stesso giudice, era pure a conoscenza dell’intenzione del suo cliente (A.) di porre “fine all’andare e venire di corrispondenza relativa alle rispettive pretese tra C. e B. di risarcimento danni”. Pretese che, tra l’altro, erano state fatte valere da una società (la C.) che non aveva nascosto le sue perplessità in merito al coinvolgimento del _ che, sebbene così denominato, “non è una banca” e, comunque, non ha poi fornito un grande apporto per la buona riuscita del progetto riferito alla clinica russa (act IC/5). Circostanza questa, sempre secondo il giudice, confermata del resto dallo stesso prevenuto nel suo verbale di polizia, laddove ha riferito che il _ si era limitato ad effettuare qualche contatto telefonico e a partecipare a un paio di incontri a _. Per cui, ha concluso il pretore, è la prima versione che deve prevalere in quanto lineare e circostanziata e raccolta in presenza della polizia e di un responsabile dell’équipe finanziaria del Ministero pubblico (_), con modalità che non possono di certo essere definite pressanti nei confronti dello stesso accusato, esperto mediatore finanziario e perciò non un qualsiasi sprovveduto (sentenza, pag. 7). Per tacere del fatto che alla medesima conclusione, ha osservato il giudice, si giunge analizzando la congruità dell’importo oggetto della fattura, che si riferisce, come visto, a qualche contatto e alla partecipazione a qualche incontro. La cifra esposta, secondo lo stesso giudice, ancorché forfettaria, appare di primo acchito ingiustificata anche analizzando la documentazione prodotta al dibattimento, il plico consegnato consistendo in effetti in un insieme di documenti contabili, che la C. ha inviato via fax in una sola volta il 21 novembre 2006 oltre che in alcuni contratti e disegni inerenti la clinica, senza che vi sia annesso nemmeno un documento redatto dal _ e senza quindi che si possa giustificare una fatturazione pari a circa un quarto di milione di franchi (sentenza, pag. 7). Dalla stessa documentazione, ha puntualizzato il pretore, si può unicamente evincere che la predetta società ha effettuato qualche riunione, ha intrattenuto qualche contatto con A., con la C. e con potenziali finanziatori e ha preso atto della situazione economica della società di Bucarest, comunque già nota a A., tramite informazioni da lei stessa fornite, oltre che di una minima parte dei progetti della clinica. Circostanza questa, sempre secondo il giudice, che anche agli occhi di un profano non giustifica di certo un onorario del genere, ritenuto poi che l’operazione non è nemmeno stata conclusa (sentenza,pag. 7). Pure poco credibile, ha infine rilevato il pretore, è la versione del prevenuto, secondo cui _ avrebbe investito energie di tale misura per un cliente come A., assolutamente non facoltoso. In ogni modo, ha obiettato lo stesso primo giudice, anche se si volesse ammettere che le prestazioni siano state effettivamente fornite e la fattura erogata, è poco plausibile che, dopo che A. aveva tentato invano di incassarla, il prevenuto l’abbia semplicemente accantonata tramite l’emissione di una nota di credito. Tenuto conto dell’elevato importo in gioco, ha osservato il pretore, simile procedura non rappresenta di certo la prassi per una società che opera nel ramo finanziario, specie dopo che quest’ultima aveva peraltro distrutto una cambiale di fr. 250’000.-, ai tempi delle contestazioni, che A. aveva firmato e consegnato alla società diretta dall’imputato quale garanzia (sentenza, pag. 8).
4.
Il ricorrente ritiene insostenibile la conclusione del giudice della Pretura penale, rilevando che essa ignora completamente la situazione di fatto che emerge dalla documentazione e dalle affermazioni dei vari soggetti coinvolti e, in particolare, dalla dichiarazione di _ consegnata in occasione del dibattimento. Quali sarebbero i fatti trascurati nella sentenza impugnata, rispettivamente quali sarebbero le affermazioni rese da terze persone, segnatamente da _ e per quali ragioni tali richiami gioverebbero al buon esito del ricorso, il ricorrente però non indica. Non può che conseguirne l’inammissibilità del rimedio al riguardo. Soggiunge il ricorrente che in questo ambito gli è stato più volte rimproverato dal giudice della Pretura penale di avere presentato la propria tesi soltanto al dibattimento. In verità, egli obietta, quella era la sede preposta per spiegare quanto accaduto, per cui non si può condividere la tesi del pretore. Dopo il verbale del 14 luglio 2003, A., egli non è più stato sentito, né dalla polizia, né dal magistrato inquirente, così che ha utilizzato la prima occasione (il dibattimento) per esporre quanto accaduto. Con argomentazioni del genere, il ricorrente trascura tuttavia che il primo giudice non si è limitato ad esternare le proprie riserve per il fatto che egli abbia improvvisamente ritrattato le compromettenti affermazioni rilasciate in occasione dell’interrogatorio del 23 gennaio 2003, ma che questi – come rilevato nel considerando che precede - ha pure spiegato in modo diffuso e circostanziato le ragioni che lo hanno spinto a preferire la versione predibattimentale rispetto a quella esposta al dibattimento. Orbene, il ricorrente sorvola di nuovo la sentenza impugnata al riguardo, ciò che comporta ancora una volta l’inammissibilità del ricorso.
5.
Secondo il ricorrente, la sentenza pretorile va annullata per il fatto che è stata rifiutata dal giudice della Pretura penale l’audizione di A., nonostante la stessa apparisse del tutto rilevante. Con lettera del 7 luglio 2008, ricorda l’accusato, egli ha chiesto al Procuratore pubblico l’audizione del presunto autore principale del reato, che tuttavia è stata da questi respinta con la motivazione che lo stesso ricorrente avrebbe ammesso davanti alla polizia sia di avere allestito una fattura falsa, sia l’altrettanto falsa conferma che _ aveva emesso tale fattura nei confronti di B. e ciò dietro richiesta dello stesso A.. Per gli stesso motivi, rileva l’accusato, anche il giudice della Pretura penale ha rifiutato l’audizione di quel teste. Sennonché, obietta il ricorrente, la confessione dell’indiziato o accusato non dispensa il giudice dall’obbligo di verificare, per quanto possibile, le circostanze di fatto del reato. Scorrendo la sentenza impugnata, prosegue il ricorrente, appare evidente come il rifiuto dell’audizione di A. lo ha, di fatto, condannato già in partenza. Il giudice della Pretura penale, sempre secondo il ricorrente, si è basato, come visto, sulla sua deposizione del 2003. Egli ha però portato un grande numero di elementi che, anche muovendosi nell’ipotesi più sfavorevole al ricorrente, provano che alla base della fattura vi è stata una certa attività, congrua o meno. Solo l’audizione di A. avrebbe potuto permettere al giudice di farsi un corretto e completo quadro della situazione.
L’argomento sfiora il pretesto. Giacché nel motivare la richiesta di audizione testimoniale di A. (v. scritto del 7 luglio 2008) il ricorrente non ha affatto accennato alla necessità di sentirlo perché egli intendeva dimostrare, contrariamente a quanto riferito in occasione dell’interrogatorio del 23 gennaio 2003, che da parte di _ vi sarebbe comunque stata una certa attività che giustificava, comunque sia, l’emissione della contestata fattura, né tanto meno ha accennato che sarebbe stato opportuno ridiscutere la fattispecie alla luce di quella documentazione prodotta soltanto in occasione del dibattimento. Si è limato soltanto a riportare un passo della deposizione di A. del 14 luglio 2003 riferita al rapporto esistente tra una fattura di US$ 150'000.- di data 30 marzo 2007 (annesso 2 alla deposizione) e quella oggetto del presente procedimento penale e a estrapolare un passaggio della sua audizione del 23 gennaio 2003, ove ha riferito che la sua reazione iniziale fu di non essere d’accordo sull’emissione di questa seconda fattura e che probabilmente a fronte del fatto che A. aveva esternato argomentazioni di convincimento, tale fattura è stata preparata o emessa dal _ e consegnata o inviata a A. al fine di trasmetterla alla C., per poi concludere che nell’interesse della giustizia è necessario chiarire la situazione venutasi a creare, se del caso confrontando direttamente quando affermato dalla due persone coinvolte. Il ricorrente non ha però minimamente messo in dubbio quanto affermato successivamente nel suo interrogatorio, ossia che non sarebbe mai stata emessa una fattura ufficiale, come pure che non vi era alcun credito suscettibile di giustificare l’emissione di una fattura intestata a A. o C. (verbale, pag. 12; sentenza, pag. 5 in fondo e 6 in alto). Proposto con argomenti infruttuosi, il rimedio è perciò votato all’insuccesso.
6.
Assevera il ricorrente che dopo un breve riassunto della posizione da lui esposta al dibattimento, la sentenza impugnata afferma che le dichiarazioni rese dal prevenuto in occasione del verbale di interrogatorio del 23 gennaio 2003 apparirebbero più credibili e più coerenti rispetto a quanto sostenuto in sede di pubblico dibattimento. La sentenza impugnata, prosegue il ricorrente, si basa essenzialmente sul citato verbale senza in alcun modo affrontare quelli che sono i riscontri oggettivi che emergono dagli atti. In particolare, egli fa valere, sia le dichiarazioni di
_
, sia gli stessi documenti provano come la verità si riassume facilmente: _ha lavorato nell’ambito del progetto e ha emesso una fattura per questa sua attività. L’amministratore delegato della presunta parte lesa lo ammette chiaramente nella già citata dichiarazione, che non si presta a malinteso alcuno; dichiarazione che la sentenza impugnata nemmeno menziona. Sennonché, argomenti del genere denotano manifesta indole appellatoria, in quanto protese a rendere verosimile uno scenario diverso da quello stabilito dal primo giudice sulla base delle compromettenti ammissioni dello stesso prevenuto in sede predibattimentale, del raffronto delle stesse con quelle invocate dallo stesso accusato al pubblico dibattimento e, non da ultimo, tenendo conto anche della documentazione prodotta al dibattimento. Certo, la sentenza impugnata non menziona espressamente la dichiarazione che
_
, associato e amministratore della C., ha rilasciato il 21 agosto 2008, in cui ha tra l’altro riconosciuto che _ha svolto una sicura attività nell’interesse del progetto ed in particolare, ad esempio, l’analisi di contratti e dei bilanci societari di C., riunioni e conferenze con lui medesimo e con
_
e che per la propria attività _ ha anche emesso una fattura. Sennonché, il ricorrente non tenta nemmeno di spiegare perché una dichiarazione del genere si contrapporrebbe in modo decisivo, pena l’arbitrio - peraltro nemmeno invocato al riguardo, ciò che comporterebbe d’acchito l’inammissibilità del rimedio - rispetto alle considerazioni che hanno spinto il primo giudice a ritenere, invece, che si è trattato di una fattura di comodo emessa dal _ (e per essa dal prevenuto), in quanto non vi era alcun credito suscettibile di giustificare un passo del genere, dato che lo scopo di questa operazione era di porre fine all’andare e venire di corrispondenza relativa alle rispettive pretese tra C. e B. di risarcimento danni (e quindi di coadiuvare A. nel suo disegno di compensare crediti – inesistenti - vantati da questa società verso _ senza disporre di un valido titolo); circostanza subito avvertita dallo stesso prevenuto, visto che d’acchito ha perfino pensato di non accettare la proposta di A., apparsagli dubbia, cedendo alla fine a fronte delle “convincenti”, ma in realtà futili, argomentazioni dello stesso A.. Del resto, il giudice della Pretura penale non ha mancato di vagliare la fattispecie anche tenendo conto di un possibile lavoro effettuato dal _; lavoro che a suo giudizio si è però limitato a ben poca cosa, segnatamente a qualche contatto telefonico e alla partecipazione a un paio di incontri a
_
oppure a
_
, azioni queste – secondo lo stesso giudice - ben lungi dal giustificare una parcella come quella emessa nei confronti di C. Insistere sulla dichiarazione rilasciata da _ lascia, a ben vedere, finanche allibiti, specie se si considera che – stando ai vincolanti accertamenti contenuti nella sentenza impugnata con riferimento all’act. ICC/5 – lo stesso accusato era a conoscenza del fatto che la C. gestita da _ aveva avanzato nei confronti del _ pretese, perché non aveva nascosto le sue perplessità in merito al coinvolgimento di questo istituto che, sebbene così denominato, non era una banca e comunque perché non avrebbe fornito un grande apporto per la buona riuscita del progetto della clinica dentaria (sentenza, pag. 7). Ciò posto, gli elogi di _ al _ nella sua dichiarazione del 21 agosto 2008 sfiorano l’autolesionismo a fronte dello scritto 31 marzo 1997 di cui all’act. C./5. Non può che discenderne la reiezione del rimedio nella limitata misura della sua ammissibilità. Alla medesima conclusione il ricorso è destinato nei successivi punti 4 e 5, ove il ricorrente si diffonde con ragionamenti e considerazioni di vario tipo come se si stesse rivolgendo a un’autorità di appello munita di pieno potere cognitivo anche nel dirimere questioni di fatto. Davanti alla Corte di cassazione e di revisione penale occorre argomentare in ben altro modo, e non limitarsi a riproporre di passata l’arringa difensiva di prima sede. Carente di spunti rilevanti, il rimedio sfugge perciò a una disamina di merito ed è perciò una volta di più votato all’insuccesso.
7.
Nel punto 6 del gravame, il ricorrente si diffonde sui motivi che lo avrebbero spinto alle ammissioni riportate nel suo verbale di polizia del 23 gennaio 2008. Nel motivare l’esposto egli perde però di nuovo di vista la differenza tra ricorso per cassazione e appello, reiterando nel ripercorrere la fattispecie a ruota libera senza confrontarsi con la sentenza impugnata. Quanto, poi, alle obiezioni sulla valenza del citato verbale, in quanto redatto in presenza della sola polizia e non dal Procuratore pubblico, benché risulti che questi alla fine è intervenuto promuovendo l’accusa per falsità in documenti, giova ricordare che secondo l’art. 288 lett. b CPP il ricorso per cassazione per vizi essenziali di procedura è ammissibile purché il ricorrente abbia eccepito l’irregolarità non appena possibile. Orbene, non soltanto il ricorrente è rimasto al riguardo passivo davanti al primo giudice, ma non si è nemmeno opposto all’acquisizione agli atti del processo del contestato verbale, benché ne avesse avuto l’opportunità a seguito dell’ingiunzione del pretore di cui all’ordinanza del 23 giugno 2008. Di nuovo l’ammissibilità del rimedio non è data.
8.
Richiamato l’art. 146 cpv. 1 CP, secondo cui, chiunque, per procacciare a sé o ad altri un indebito profitto, inganna con astuzia una persona affermando cose false o dissimulando cose vere, oppure ne conferma subdolamente l’errore inducendola in tale modo ad atti pregiudizievoli al patrimonio proprio o altrui, è punito con una pena detentiva sino a cinque anni o con una pena pecuniaria, il ricorrente ricorda che, secondo il giudice della Pretura penale, egli avrebbe tentato di indurre in errore C.. Ha agito perciò come complice: con la fattura in questione e con l’artifizio del credito inesistente, egli ha fornito a A. i mezzi per compensare illecitamente una pretesa fatta valere dalla C.. Soggettivamente, prosegue il ricorrente, è poi necessario che il complice abbia saputo o si sia reso conto di contribuire a un atto delittuoso e che egli lo voglia o lo accetti; a tale proposito basta che egli conosca gli aspetti principali dell’attività delittuosa dell’autore, il quale deve avere preso la decisione di compiere l’atto. Orbene, assevera il prevenuto, il tentativo di complicità non è punibile, come risulta dalla DTF 130 IV 131 consid. 2.4. Ciò è il caso quando il complice fallisce nel tentativo di assistenza e non facilita oggettivamente la commissione del reato. Nella fattispecie, rileva sempre il ricorrente, non vi è alcun dubbio che sia la fattura, sia la successiva lettera, non hanno sortito alcun effetto di nessuna natura. _ ha scritto alla _ e non a A. indicando come sostanzialmente non aveva intenzione di pagare la fattura emessa. L’affermazione secondo cui la B. avrebbe pagato la fattura alla _ non è riconducibile al ricorrente, ma al legale della B. a cui evidentemente sono state date da A. certo non dal prevenuto delle informazioni inesatte. Si tratterebbe al massimo di un tentativo di complicità, poiché la B. non ha avuto i soldi richiesti, ma e sopratutto non ha potuto portare in compensazione la fattura, che si presume falsa, e che le è stata data dal _. La fattura non ha scaturito quindi alcun effetto.
a) Premesso che agisce con astuzia ai sensi dell’art. 146 cpv. 1 CP (truffa) chi, nell’ingannare, si avvale di una messa in scena oppure di artifizi o manovre fraudolente e, ancora, chi dissuade nel contempo la vittima dall’effettuare il controllo del mendacio oppure può presumere, date le circostanze, che a seguito di un particolare rapporto di fiducia o di regole chiare il controllo non sarà effettuato, il giudice della Pretura penale ha rilevato che il reato di truffa è realizzato in modo particolare tramite la produzione o presentazione di titoli o giustificativi ottenuti illecitamente e contraffatti, come da esempio con l’emissione di una fattura dal contenuto falso o con l’impiego di documenti fittizi. E’ pertanto evidente, ha proseguito il giudice, che la fattura emessa dal _, società membro dell’associazione romanda degli intermediari finanziari e della Camera fiduciaria della Svizzera italiana, adempie perfettamente tali requisiti, così come pure il successivo scritto che la conferma, contrariamente alla verità. I documenti usati dal ricorrente, sempre secondo il giudice di prime cure, provengono infatti da un operatore finanziario svizzero riconosciuto, dal quale non si può tollerare che rediga documenti ufficiali contenenti falsità al solo scopo di difendere gli interessi di un proprio cliente. Avendo però il ricorrente agito come ausiliario e non essendosi per finire realizzato un pregiudizio economico a carico della C., il reato – ha concluso il Pretore – consiste in un tentativo, mancato, commesso in complicità. Giacché, ai sensi dell’art 25 CP è complice colui che, come il prevenuto, non ha direttamente commesso i fatti di cui alla disposizione penale di riferimento, ma si è limitato ad aiutare intenzionalmente altri, segnatamente A., a commettere il delitto. Premesso che la complicità è una forma di partecipazione accessoria al reato che presuppone oggettivamente che il complice apporti all’autore principale un contributo causale alla realizzazione dell’infrazione, in modo tale che gli eventi non si sarebbero realizzati nello stesso modo senza l’atto di favoreggiamento, il giudice della Pretura penale ha concluso che in pratica è ciò che è avvenuto nel caso concreto, poiché con la fattura in questione e con l’artifizio del credito inesistente, l’accusato ha fornito a A. i mezzi per compensare illecitamente una pretesa fatta valere dalla C.. Dal profilo soggettivo, ha puntualizzato il pretore, il ricorrente sapeva altresì perfettamente che A. aveva delle discussioni con la C., la quale vantava della pretese e che la fattura di fr. 266'250.- era stata redatta per farle cessare (sentenza, pag. 9).
b) Stante quanto precede, come correttamente rilevato dal Procuratore pubblico nelle osservazioni al ricorso, il ricorrente si propone di equivocare senza fondato motivo tra tentativo di complicità, non punibile (DTF 130 IV 131 consid. 2.4) pag. 139) e complicità in reato tentato. Giacché risulta di meridiana evidenza che con la sua confessione in occasione dell’interrogatorio del 23 gennaio 2003 egli ha riconosciuto di avere messo in atto tutto quanto necessario per commettere il reato di truffa nei confronti della C., segnatamente per far sì che A. compensasse illecitamente una pretesa fatta valere da quest’ultima nei confronti della B., ditta – lo si ricordi – riconducibile allo stesso A.; al quale però, come visto, la frode non è riuscita nonostante abbia con ogni mezzo tentato di portarla a termine, poiché C. (ovvero la predestinata vittima) non ha per finire pagato alcunché alla B.. E la complicità presuppone che il reato principale sia stato per lo meno tentato (DTF 130 IV 131 consid. 2.4 pag. 138). Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non si è trattato di un tentativo di complicità, ma di una complicità in un reato tentato dall’autore principale (ovvero da A.), come illustrato nel considerando 8 della sentenza impugnata; considerando che non lascia dubbi sul senso da attribuire alla frase – invero poco felice – che chiude il precedente considerando 7 (“Avendo però RI 1 agito come ausiliario e non essendosi per finire realizzato un pregiudizio economico a carico della C. il reato consiste in un tentativo, mancato, commesso in complicità “). Certo, il ricorrente è stato condannato per complicità in truffa e non in tentata truffa, ossia per il reato prospettato dal Procuratore pubblico nelle sue osservazioni al ricorso (e di fatto nello stesso decreto di accusa, ove lo stesso magistrato di accusa riconosce che il prevenuto avrebbe aiutato A. a
tentare
di ingannare con astuzia persone e ad indurle in tale modo ad atti pregiudizievoli al patrimonio proprio) e, per finire, dallo stesso giudice nel quesito n. 1.1 (v. verbale del dibattimento, pag. 5). Tale condanna non è tuttavia stata impugnata come tale nel ricorso, ove il ricorrente si è limitato a contestare gli estremi della complicità e non la qualifica esatta del reato principale. Tanto meno egli ha chiesto la rettifica del relativo dispositivo. Del resto, ci si potrebbe finanche chiedere se al ricorrente non si sarebbe dovuto addirittura prospettare l’imputazione per correità (anziché per sola complicità) in tentata truffa, visto il suo presumibile chiaro intento (condiviso da entrambi i protagonisti della vicenda) di dar corpo grazie al suo non indifferente contributo al disegno criminoso di A.. La questione non ha però da essere vagliata oltre, ritenuto che per finire ci si deve dipartire dall’incontestato accertamento, secondo cui il ricorrente avrebbe agito solo come ausiliario di A. e, quindi, come complice (sentenza, pag. 9).
9.
Ciò posto, ne discende che nella misura in cui è ammissibile il ricorso deve essere disatteso, siccome manifestamente infondato. Gli oneri processuali seguono la soccombenza, ovvero sono posti a carico del ricorrente (art. 15 cpv. 1 in combinazione con l’art. 9 cpv. 1 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,009 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
7a05eb03-d815-5d0c-96c0-cbe568dfadb8
|
in fatto e in diritto:
1.
A far tempo dalla sua apertura, nel luglio del 2005, RI 1 ha svolto presso il _ l’attività di
merchandiser
. In questa veste, si occupava, per conto di alcuni fornitori del supermercato, di ordinare e sistemare negli scaffali diversi prodotti.
La donna non figurava, però, quale dipendente della _, società zurighese che gestiva la catena di supermercati _, ma quale professionista indipendente che operava all’interno del grande magazzino su mandato dei fornitori, suoi clienti.
2.
A partire dalla primavera 2006 la signora RI 1 ha inviato ai quadri della _ alcuni scritti, nei quali lamentava la mancata collaborazione da parte del personale del supermercato di _ ed evidenziava gli ostacoli che venivano posti alla sua attività. Negli stessi scritti, RI 1 faceva pure riferimento ad episodi di mobbing di cui lei si diceva vittima.
3.
Sentendosi inascoltata, in data 21 giugno 2007, la signora RI 1 ha inviato al direttore della succursale del _, PC 1, lo scritto oggetto del presente gravame, provvedendo a trasmetterne copia al direttore generale di _, al direttore delle risorse umane, _ e al direttore del settore exploitation della _.
Lo scritto contiene frasi quali:
“...mobbing che ho subito da parte sua...”, “...sua arroganza nei miei confronti...”,”...il suo operato nei miei confronti è sempre e solo stato dettato dalla sua volontà di colpire chi non si sottomette...”, “...al suo sopruso...”, “...la sua prepotenza...”, “...tentativo di lesione grave della mia persona con la divulgazione di informazioni false e volutamente diffamatorie...”, “...è prassi comune tacciarla di persona inaffidabile...”
.
In un secondo tempo RI 1, ha inviato copia della lettera anche ai fornitori suoi clienti.
4.
Preso atto del tenore dello scritto, PC 1, in data 2 luglio 2007, ha sporto querela contro RI 1 per i reati di calunnia, sussidiariamente diffamazione e ingiuria.
5.
Con decreto d’accusa 23 giugno 2008, il procuratore pubblico ha dichiarato RI 1 colpevole di diffamazione, proponendo la sua condanna alla pena pecuniaria - sospesa condizionalmente per un periodo di due anni - di fr. 300.- (corrispondente a 10 aliquote da fr. 30.-) e ad una multa di fr. 200.-, rinviando la parte civile al competente foro per le sue pretese di risarcimento.
Contro il decreto di accusa la prevenuta ha sollevato tempestiva opposizione.
6.
Dopo il dibattimento, con sentenza 8 ottobre 2008, il giudice della Pretura penale – statuendo sull’opposizione – ha confermato la condanna di RI 1 per il reato di diffamazione, commutando però la pena in 20 ore di lavoro di pubblica utilità da effettuare.
7.
Avverso la predetta sentenza è insorta la condannata con dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e revisione penale di data 9 ottobre 2008.
Nella motivazione scritta, presentata il 12 novembre 2008, RI 1 afferma di confidare nel riesame della sentenza, rinunciando tuttavia a formulare un proprio petitum.
Senza svolgere particolari osservazioni, con scritto 5 dicembre 2008, il Procuratore pubblico osserva che la sentenza impugnata merita piena tutela e si rimette al giudizio di questa Corte.
Le osservazioni di PC 1 del 7 gennaio 2009 sono intempestive (il termine di 20 giorni per la loro presentazione scadeva
al più tardi il 31 dicembre 2008) e, pertanto, non sono considerate nel presente giudizio.
8.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288 lett. a e b CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata, né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 173 consid. 3.1 pag. 178, 128 I 273 consid. 2.1 pag. 278).
9.
La ricorrente, nel suo confuso esposto, dopo alcune considerazioni inerenti la sua situazione personale e l’organizzazione della _, sostiene innanzitutto di non aver voluto colpire PC 1 personalmente, ma di averne semplicemente voluto evidenziare i comportamenti da lei ritenuti costitutivi di mobbing (ricorso, pag. 3).
Il senso di una tale osservazione, che la ricorrente non sviluppa né sostanzia, non è comprensibile a questa Corte, ritenuto che le affermazioni contenute nello scritto 21 giugno 2007 e riportate nel decreto d’accusa – in particolare, la frase con cui la ricorrente attribuisce alla parte civile “
volontà di colpire chi non si sottomette
”, quella con cui accusa la parte civile di avere “
divulgato informazioni false e volutamente diffamatorie”
(cfr. DTF 81 IV 324) e, infine, l’accusa di mobbing (definito quale comportamento vessatorio esercitato tramite violenze psicologiche all’interno di un gruppo verso un individuo che si vuole isolare, emarginare o allontanare, cfr. Vocabolario Zingarelli)
– sono, come ritenuto dal primo giudice (cfr. sentenza, consid. 5 pag. 5), suscettibili di far apparire la parte civile una persona spregevole e, pertanto, sono atte a costituire reato ai sensi dell’art. 173 cifra 1 CPS.
Carente di motivazione, al riguardo il ricorso va dichiarato inammissibile.
10.
La ricorrente sostiene, poi, che la sua “
è stata un’azione dettata dall’estremo bisogno di bloccare l’atteggiamento aggressivo”
di
PC 1
e
di essere stata costretta a scrivere la lettera in questione a causa delle manchevolezze dei quadri della _, in particolare, a causa di una carente sorveglianza dei dipendenti da parte dei superiori (ricorso, pag. 3).
Nuovamente non si comprende cosa intenda la ricorrente con questi rilievi, considerato come in ogni caso un’affermazione lesiva dell’onore di una persona non può essere giustificata da non meglio specificati atteggiamenti aggressivi di quest’ultima o da presunte manchevolezze organizzative.
L’affermazione diffamatoria potrebbe, tutt’al più, andare esente da pena, qualora l’autore provasse di avere detto o divulgato cose vere oppure provasse di avere avuto seri motivi di considerarle vere in buona fede (art. 173 cifra 2 CPS).
Questa prova, tuttavia, in concreto, non è stata apportata.
Carente di motivazione, anche su questo punto il ricorso è inammissibile.
11.
Da quanto procede discende che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza e sono posti a carico della ricorrente (art. 15 cpv. 1 in combinazione con l’art. 9 cpv. 1 CPP).
Ritenuta l’intempestività delle osservazioni presentate, alla parte civile non vengono assegnate ripetibili.
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,009 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
|
7a1968ff-bf8f-5957-959c-b88749e028a0
|
in fatto: A.
Il mattino del 29 settembre 2002
un torpedone Scania targato _ (_) è partito da R_ (_), guidato da _ H_, con a bordo 39 passeggeri e un secondo autista. Verso le ore 11 il secondo autista, _ R_, ha preso il volante del mezzo nell'area autostradale di C_. Davanti alla galleria del S_ _ il pullman è rimasto incolonnato una decina di minuti ai semafori. Ripartito, _ R_ si è messo in bocca alcune caramelle gelatinose. Se non che, una di esse gli si è fermata in gola, provocandogli una tosse viepiù soffocante e uno svenimento nel lasso di 3 o 4 secondi. Erano le 12.24 e il torpedone, a circa circa 300 m dal portale sud, procedeva verso nord a 76 km/h. Senza controllo, esso ha urtato il cordolo del marciapiede destro, poi ha invaso la corsia di contromano, ha strisciato lungo la parete sinistra del tunnel e si è scontrato frontalmente con una Toyota
“
Previa
”
targata (_) _ guidata da RI 1, oltre che con una Nissan
“
Micra
”
targata _ _, alla cui guida era _ W_.
B.
Con decreto di accusa del 10 febbraio 2003 il Procuratore pubblico ha ritenuto _ R_ autore colpevole di grave infrazione alle norme della circolazione per avere perso negligentemente la padronanza del torpedone e cagionato un serio pericolo per la sicurezza altrui. Ne ha proposto così la condanna a 15 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente per 3 anni, e a una multa di fr. 1500.–. Al decreto di accusa _ R_ ha sollevato opposizione. Statuendo sull'opposizione, con sentenza del 5 marzo 2004 il presidente della Pretura penale ha assolto _ R_.
C.
Contro la sentenza appena citata RI 1 ha inoltrato l'8 marzo 2004 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta, del 13 aprile 2004, egli chiede la conferma del decreto d'accusa e la riforma in tal senso del giudizio impugnato. Nelle sue osservazioni del 12 maggio 2004 _ R_ propone di respingere il ricorso. Il Procuratore pubblico è rimasto silente.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288
lett. a e b CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono sindacabili unicamente qualora la sentenza impugnata denoti estremi di arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì apertamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 173 consid. 3.1 pag. 178, 128 I 273 consid. 2.1 pag. 275).
2.
Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata poggia su un arbitrario accertamento dei fatti, un'arbitraria valutazione delle prove e un'errata applicazione del diritto federale (ricorso, pag. 9 in fondo). Ora, per quanto riguarda l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove si cercherebbe invano di sapere in che cosa consista l'arbitrio, tanto meno ove si pensi che nel memoriale l'interessato dà più volte per acquisiti i fatti posti a base della sentenza impugnata. Insufficientemente motivato, al proposito il ricorso si dimostra pertanto inammissibile.
3.
Per quanto attiene all'applicazione del diritto, il ricorrente afferma che l'accusato, autista di professione, avrebbe dovuto comportarsi con maggiore diligenza, soprattutto con 39 passeggeri a bordo: in primo luogo non avrebbe dovuto mettersi caramelle in bocca, togliendo le mani dal volante, e in secondo luogo avrebbe dovuto fermare il torpedone subito dopo i primi colpi di tosse.
Egli dev'essere condannato quindi “non per aver perso coscienza, ma per aver mangiato al volante, rispettivamente per aver continuato la sua corsa durante l'attacco di tosse, con gli occhi pieni di lacrime” (ricorso pag. 8).
a)
Il presidente della Pretura penale ha ricordato anzitutto che l'art. 90 n. 2 LCStr commina la detenzione o la multa a chi, violando gravemente le norme della circolazione, cagiona un serio pericolo per la sicurezza altrui o assume il rischio di detto pericolo. Tale reato può essere commesso anche per negligenza (art. 100 n. 1 LCStr). Ciò premesso, nel caso specifico egli ha accertato che al momento di perdere conoscenza (e quindi il controllo del mezzo), l'imputato non era in grado d'intendere né di volere e non era responsabile dei suoi atti. Il presidente della Pretura penale non ha mancato di indagare se l'accusato avesse commesso un'imprevidenza colpevole, ma non l'ha ravvisata, accertando che dai primi colpi di tosse allo svenimento erano trascorsi 3 o 4 secondi al massimo, onde l'impossibilità per l'uomo di reagire adeguatamente. D'altro lato – egli ha continuato – che dopo alcuni colpi di tosse segua un principio di soffocamento tanto rapido da far perdere conoscenza in pochi istanti è un fatto assolutamente straordinario, praticamente una fatalità di fronte dalla quale nemmeno un conducente professionista può cautelarsi.
b)
L'art. 90 n. 2 LCStr presuppone un'oggettiva e grave violazione di un'importante norma della circolazione con relativa messa in pericolo della sicurezza stradale (DTF 123 IV 88 consid. 2a pag. 91, 122 IV 173 consid. 2b/aa pag. 175). Dal profilo soggettivo deve ascriversi all'autore una grave negligenza, cioè un comportamento senza scrupoli o palesemente contrario alle norme della circolazione (DTF 123 IV 88 consid. 2a pag. 91 con richiamo, 122 IV 173 consid. 2b/aa pag. 175). Un pericolo per la sicurezza di terzi nel senso dell'art. 90 n. 2 LCStr è dato nel caso di una cosiddetta
“
messa in pericolo astratta accresciuta
”
(DTF 122 IV 173 consid. 2bb/aa pag. 175, 121 IV 230 consid. 2b/aa pag. 232). Dal profilo soggettivo l'art. 90 n. 2 LCStr richiede pertanto una colpa grave o almeno una grave negligenza (DTF 123 IV 88 consid. 4a pag. 93). Negligenza grave sussiste anche ove l'autore, violando i suoi doveri, non abbia pensato alla possibilità di creare un pericolo. In casi del genere essa va ravvisata però solo dopo un esame approfondito (DTF 123 IV 88 consid. 4a pag. 93).
c)
Nella fattispecie gli accertamenti operati dal primo giudice non consentono di intravedere una condotta particolarmente riprovevole dell'imputato. Contrariamente all'opinione del ricorrente, non si riscontra infatti una violazione dell'art. 3
cpv. 3 ONC (divieto per i conducenti di veicoli a motore di abbandonare il dispositivo di guida) per il solo fatto che il conducente abbia tolto un attimo una mano dal volante per mettersi in bocca una caramella. Si ragionasse a tale stregua, andrebbe condannato chiunque accenda o spenga l'autoradio. Per di più, come ha rilevato il primo giudice, in concreto tale comportamento non si è rivelato causale per l'incidente, poiché l'imputato si era messo la caramella in bocca ancor prima di entrare nel tunnel, mentre l'infortunio è sopraggiunto a 300 m dal portale. Quanto all'art. 3 cpv. 2 ONC (divieto per il conducente di torpedoni di dare ragguagli ai passeggeri sul paesaggio e su altro se il traffico è intenso o la strada è difficile), il richiamo del ricorrente è addirittura incomprensibile. Su questo punto il ricorso denota tutta la sua inconsistenza.
d)
Il ricorrente obietta, certo, che l'accusato avrebbe dovuto fermare il torpedone subito dopo i primi colpi di tosse. Il problema è che tra i primi colpi di tosse e lo svenimento sono intercorsi appena 3 o 4 secondi. E il presidente della Pretura penale non ha violato il diritto per avere ritenuto che nelle
straordinarie circostanze del caso (per comune esperienza e secondo il normale andamento delle cose non si perdono i sensi in 3 o 4 secondi a causa di una caramella) quei pochi attimi fossero un intervallo troppo breve per un'efficace reazione. Si fosse trattato di un normale attacco di tosse, si sarebbe potuto senz'altro pretendere dal guidatore un comportamento diverso. Una tosse tanto violenta da provocare uno svenimento in 3 o 4 secondi è invece un fenomeno del tutto anomalo e atipico, che ha colto di sorpresa l'imputato, il quale non ha avuto il tempo di fermare il pullman. Se ne conclude che nelle particolari condizioni descritte il presidente della Pretura penale non ha violato l'art. 90 n. 2 LCStr (né l'art. 31 cpv. 1 LCStr, non menzionato nel decreto di accusa, che impone al conducente di padroneggiare costantemente il veicolo, in modo da conformarsi ai suoi doveri di prudenza). Anche in proposito il ricorso è destinato perciò all'insuccesso.
4.
Gli oneri del giudizio odierno seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 combinato con l'art. 9 cpv. 1 e CPP). Il ricorrente rifonderà inoltre all’accusato, che ha presentato osservazioni per il tramite di un legale, un’indennità di fr. 1500.– a titolo di ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,005 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
7a498325-9470-521d-89ac-679a34b18503
|
in fatto ed in diritto
che a seguito di un intervento da parte della Polizia verificatosi il _, presso un appartamento ubicato a _ (Quartiere di _), in Via _, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale (inc. MP _) a carico di un cittadino _ sfociato nel DA _ (regolarmente passato in giudicato), emanato il 4.03.2014 dal procuratore pubblico Andrea Pagani;
che con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Ministero pubblico a questa Corte – l’avv. IS 1, quale proprietario dello stabile ubicato a _ (Quartiere di _), in Via _, chiede la trasmissione, in copia, del rapporto di polizia allestito nell’ambito del predetto procedimento penale;
che a sostegno della sua richiesta precisa in particolare che il _ vi è stato un intervento da parte della Polizia cantonale e comunale in uno degli appartamenti dello stabile di sua proprietà dato in locazione a un’inquilina: egli necessiterebbe del rapporto di polizia in questione nell’ambito della procedura di sfratto avviata a suo carico;
che, come esposto in entrata, il procuratore pubblico non si è opposto alla richiesta;
che
questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare l’imputato e la conduttrice, essendo il qui istante stato interrogato in qualità di persona informata sui fatti nell’ambito del procedimento penale in questione, nel frattempo archiviato, e non essendo l’inquilina parte al procedimento;
che l’
art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante
altro partecipante al procedimento
(quale persona informata sui fatti) giusta l’art. 105 cpv. 1 lit. d e l’art. 105 cpv. 2 CPP nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo
;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente istanza e il contenuto del rapporto di polizia richiesto – è pacifico l’interesse giuridico legittimo dell’avv. IS 1 in applicazione dell’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere copia del rapporto di segnalazione 16.04.2014, poiché il procedimento penale lo ha interessato personalmente in veste di
altro partecipante al procedimento
giusta l’art. 105 cpv. 1 lit. d CPP (in veste di persona informata sui fatti) e l’art. 105 cpv. 2 CPP (secondo cui
"
le persone di cui al capoverso 1, se direttamente lese nei loro diritti fruiscono dei diritti procedurali spettanti alle parti, nella misura necessaria alla tutela dei loro interessi
"
);
che a ciò aggiungasi che il contenuto del postulato rapporto di polizia potrebbe, in effetti, essere utile nell’ambito della procedura di sfratto avviata nei confronti dell’inquilina, in quanto l’intervento della Polizia è avvenuto nell’appartamento da lei locato;
che di conseguenza il rapporto di segnalazione 16.04.2014 viene trasmesso, in copia, al qui istante unitamente alla presente decisione;
che va da sé che la documentazione ivi contenuta potrà essere utilizzata soltanto nell’ambito della procedura di sfratto a carico dell’inquilina;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo l’avv. IS 1 già stato
altro partecipante al procedimento
(in veste di persona informata sui fatti) nel procedimento penale di cui all’incarto MP _, nel frattempo archiviato.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,014 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
7a4b00b2-9118-5cd7-bf35-31bc66d0059e
|
in fatto ed in diritto
1.
A seguito dell’incidente della circolazione stradale avvenuto il _, in territorio di _, all’altezza di un incrocio semaforico, avente quali protagonisti _, conducente dell’autovettura _ targata _
, e PI 1, conducente dell’autovettura _ _ _, targata _, è stato aperto un procedimento penale (inc. MP _) sfociato dapprima nel DA _ emanato il 6.06.2011 dal procuratore pubblico Antonio Perugini a carico di PI 1.
Mediante il medesimo il magistrato inquirente ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale PI 1 siccome ritenuto colpevole di guida in stato di inattitudine
"
per aver condotto l’autovettura _ targata TI _ essendo in stato di ubriachezza (alcolemia: min. 0.82 – max. 1.03 grammi per mille)
"
e di infrazione alle norme della circolazione
"
per avere, circolando nello stato psico-fisico surriferito, alla velocità da lui stesso ammessa in circa 50/60 Km/h, malgrado il vigente limite di 50 Km/h, negligentemente omesso di ottemperare al segnale luminoso indicante “fermata”, scontrandosi conseguentemente con la vettura prioritaria _ targata _ condotta da _, regolarmente sopraggiungente sulla sua sinistra, terminando infine la corsa cozzando contro la barriera protettiva ivi esistente
"
, in relazione ai fatti avvenuti a _, il _, ed ha proposto la sua condanna alla pena di venti aliquote giornaliere da CHF 80.-- ciascuna, per complessivi CHF 1'600.--, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di tre anni, alla multa di CHF 1'000.--, al pagamento della tassa di giustizia e delle spese, e meglio come ivi descritto (decreto di accusa 6.06.2011, p. 1 e 2, DA _).
Avverso il summenzionato decreto il 16/17.06.2011 PI 1 ha inoltrato opposizione (AI 5 – inc. MP _).
Il 17/20.06.2011 il procuratore pubblico ha deciso di confermare il DA _, trasmettendo contestualmente gli atti alla Pretura penale per procedere al dibattimento con l’avvertenza che il citato DA sarà considerato come atto di accusa (art. 356 cpv. 1 CPP) (AI 1 – inc. _).
2.
Il 15.11.2012 il giudice della Pretura penale Sonia Giamboni Tommasini ha dichiarato PI 1 autore colpevole di guida in stato di inattitudine per avere, a _, il _, condotto l’autovettura _, targata _, essendo in stato di ubriachezza (alcolemia: min. 0.82 – max. 1.03 grammi per mille), lo
ha nondimeno prosciolto dal reato di infrazione alle norme della circolazione riguardo ai fatti descritti al capo d’imputazione n. 2 del DA _, e lo ha condannato alla pena pecuniaria di dieci aliquote giornaliere da CHF 50.-- ciascuna, per complessivi CHF 500.--, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, alla multa di CHF 500.-- e al pagamento della tassa di giustizia e delle spese giudiziarie (AI 6 – inc. _).
La predetta sentenza è passata in giudicato il 18.12.2012.
3.
Con scritto datato 22.02.2013, spedito il 25.02.2013 e ricevuto dalla Pretura penale il 26.02.2013 la IS 1, _ (di seguito IS 1), ha anzitutto comunicato al pretore di aver ricevuto, per il tramite di PI 1, copia del DA _ e della relativa decisione del 15.11.2012. Ha poi precisato che:
"
Alfine di stabilire la responsabilità dell’incidente, la preghiamo di comunicarci cosa sia stato accertato in merito all’infrazione commessa dal signor PI 1, relativa all’omissione di ottemperare al segnale luminoso indicante “fermata”, poiché l’imputato è stato prosciolto da questo capo d’imputazione
", rilevando contestualmente che nel rapporto di polizia gli agenti hanno indicato: "
Abbiamo visionato il filmato dell’impianto di videosorveglianza sito all’incrocio. Si può stabilire con certezza che il signor _ è transitato all’incrocio, con il semaforo verde
" (scritto datato 22.02.2013, AI 7 – inc. _
).
Con lettera di risposta del 26.02.2013 il pretore ha comunicato alla IS 1 che
"
(...) agli atti non vi era una prova certa che il signor PI 1 fosse passato con il rosso. Il filmato non era chiaro e non permetteva di giungere ad una conclusione, mentre un testimone sentito dalla Polizia ha dichiarato sotto giuramento che il signor PI 1 fosse passato con il giallo. In mancanza di una prova certa abbiamo prosciolto il signor PI 1 per il reato di infrazione alle norme della circolazione in base al principio in dubio pro reo
" (scritto 26.02.2013, AI 8 – inc. _
).
4.
Con la presente richiesta – trasmessa dalla Pretura penale, per competenza, a questa Corte – la IS 1 postula la trasmissione del filmato in questione allo scopo di completare l’incarto e di poter discutere della responsabilità con la compagnia RC dell’altro protagonista dell’incidente della circolazione stradale.
Come esposto in entrata, _ non si oppone alla richiesta. PI 1, interpellato da questa Corte, non ha presentato osservazioni in merito.
5.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
6.
Giova anzitutto rilevare che dagli atti emerge che l’autovettura _, targata _, di proprietà della madre di PI 1, il giorno dell’incidente della circolazione stradale in questione, era assicurata presso la IS 1, qui istante (verbale d’interrogatorio di PI 1 8.03.2011, p. 2, AI 1 – inc. MP _).
Circa l’agire di _, la polizia nel suo rapporto datato 13.04.2011 ha osservato di aver
"
(...) visionato il filmato dell’impianto di sorveglianza sito all’incrocio. Si può stabilire con certezza che _ è transitato all’incrocio, con il semaforo verde
" (rapporto di constatazione incidente della circolazione con ferimento 13.04.2011, p. 4, AI 1 – inc. MP _).
Per quanto concerne, per contro, il comportamento assunto da PI 1, il giudice della Pretura penale ha, tra l’altro, prosciolto quest’ultimo dall’imputazione di infrazione alle norme della circolazione in applicazione del principio
in dubio pro reo
, non avendo riscontrato negli atti alcuna prova certa atta a comprovare che egli quel giorno fosse transitato con il semaforo rosso. Il giudice ha inoltre precisato che il filmato, non essendo chiaro, non ha permesso di giungere ad una conclusione
(cfr., al proposito, scritto datato 26.02.2013, AI 8 – inc. _
).
Alla luce di quanto sopra esposto, nella fattispecie in esame appare, di principio, adempiuto un interesse giuridico legittimo ex art. 62 cpv. 4 LOG da parte della IS 1 a visionare il filmato in questione, per completare il suo incarto ai fini delle sue mansioni.
Di conseguenza – dopo il passaggio in giudicato della presente decisione – un rappresentate della IS 1 è autorizzato a visionare, presso questa Corte, la
"
Registrazione video Via _ _
"
dell’incarto MP _,
concordando i tempi di accesso con i collaboratori della cancelleria, compatibilmente con i loro impegni.
7.
L’istanza è accolta ai sensi del precedente considerando. La tassa di giustizia e le spese sono poste a carico di chi le ha occasionate.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
7a7097a1-c1a3-5b99-b518-25e2ccad26ef
|
in fatto ed in diritto
che a seguito dei
fatti accaduti a _, il 24.11.2012, PI 2 ha sporto querela penale contro ignoti, successivamente identificato nella persona di IS 1, sfociata nel decreto di accusa 25.03.2013 mediante il quale il procuratore pubblico lo ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale siccome ritenuto colpevole di lesioni semplici giusta l’art. 123 cifra 1 CP "
per avere, a _, in data _, cagionato, intenzionalmente, delle lesioni al corpo di PI 2, colpendolo con un pugno al volto, procurandogli una frattura coronale dell’incisivo centrale superiore sinistro, una lacerazione al labbro superiore e inferiore, una sublussazione mandibolare ed un trauma cranico con perdita di conoscenza, come si evince dai certificati medici agli atti
" ed ha proposto la sua condanna alla pena pecuniaria di trenta aliquote da CHF 50.-- cadauna, corrispondenti a complessivi CHF 1'500.--, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, alla multa di CHF 100.--, al pagamento della tassa di giustizia e delle spese, rinviando l’accusatore privato al competente foro civile per far valere le sue pretese (DA _);
che il suddetto decreto è passato in giudicato il 22.04.2013;
che con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Ministero pubblico a questa Corte – l’avv. PR 1 chiede urgentemente, in nome e per conto del suo assistito IS 1, di ottenere copia del surriferito DA nonché la facoltà di accedere agli atti del surriferito procedimento penale;
che a sostegno della sua richiesta precisa che la scuola presso la quale è iscritto il suo patrocinato (_) avrebbe preso dei provvedimenti disciplinari nei confronti di quest’ultimo, che richiedono una celere presa di posizione, evidenziando parimenti che sarebbero in corso delle trattative con l’accusatore privato riguardo al procedimento civile (doc. CRP 1);
che, come esposto in entrata, il procuratore pubblico non si è opposto alla richiesta;
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare PI 2, accusatore privato nel procedimento penale di cui all’incarto DA _, nel frattempo archiviato, essendo il qui istante stato parte (in qualità di imputato) al medesimo;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di imputato) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 (rispettivamente del suo patrocinatore) giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad esaminare gli atti istruttori dell’incarto DA _ e del relativo decreto di accusa, poiché il procedimento penale nel frattempo archiviato l’ha interessato personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che il legale del qui istante necessita della surriferita documentazione, avendo l’istituto scolastico che frequenta IS 1 preso dei provvedimenti disciplinari nei confronti di quest’ultimo ed essendo in corso delle trattative con l’accusatore privato riguardo al procedimento civile, circostanze che richiedono una (rapida) presa di posizione da parte sua;
che di conseguenza gli atti istruttori dell’incarto penale DA _ e il relativo decreto di accusa vengono trasmessi, in copia, al patrocinatore di IS 1 unitamente alla presente decisione;
che l’avv. PR 1 è inoltre autorizzato a visionare, presso il Ministero pubblico di Bellinzona, il CD facente parte dell’incarto DA _ (videoregistrazione dell’autosilo del 24.11.2012), concordando i tempi di accesso con i collaboratori della cancelleria, compatibilmente con i loro impegni;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stato parte al procedimento penale nel frattempo archiviato.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
7b3a0521-f30d-5178-8608-3324bd45eb40
|
in fatto: A.
Con sentenza del 25 maggio 1998 il Pretore della giurisdizione di Mendrisio Sud ha pronunciato il divorzio fra _ e _. Il figlio _, nato il 9 maggio 1990, è stato affidato alla madre, con obbligo per il padre di versare un contributo alimentare di fr. 600.– mensili fino al compimento del 7° anno di età, di fr. 700.– fino al compimento del 16° anno e di fr. 750.– fino al compimento del 18° anno. _ era già stato tenuto in via provvisionale, con decreto cautelare 12 novembre 1993 del medesimo Pretore, a versare per il figlio fr. 700.– mensili. In realtà egli non ha mai pagato nulla e i contributi di mantenimento sono stati anticipati dall'Ufficio cantonale dell'assistenza sociale.
B.
In data 11 febbraio 1997 l'Ufficio dell'assistenza sociale ha sporto querela contro _, a quel tempo di ignota dimora, per trascuranza degli obblighi di mantenimento (art. 217 CP), in particolare per il mancato pagamento dal 1° dicembre 1993 al
30 novembre 1996 di complessivi fr. 25'200.– (act. 1). Il 10 febbraio 1998 l'Ufficio ha aggiornato la querela con l'aggiunta dei contributi alimentari scaduti nel frattempo, per un arretrato complessivo di fr. 35'000.– fino al 31 gennaio 1998 (act. 3). Il 18 febbraio 1998 _ è stato arrestato (act. 5). Raggiunto con lui un accordo per il rimborso a rate, l'Ufficio dell'assistenza sociale ha chiesto il 10 marzo 1998 al Ministero pubblico di sospendere il procedimento penale (act. 8). Dal 3 aprile 1998 al
4 luglio 1999 _ ha poi versato fr. 4'800.– complessivi, ma dopo di allora non ha più pagato alcunché. Il 26 gennaio 2000 l'Ufficio del sostegno sociale e dell'inserimento ha chiesto quindi, con un ulteriore aggiornamento della querela, la continuazione del procedimento penale, notificando una pretesa di
fr. 44'627.85 complessivi (fr. 35'000.– per gli arretrati fino al
31 gennaio 1998, fr. 3'500.– per i contributi dal 1° febbraio 1998 al 30 giugno 1998 e fr. 10'927.25 per i contributi dal 1° luglio 1998 al 31 gennaio 2000, meno fr. 4'800.– corrispondenti ai versamenti eseguiti dal debitore fra il 3 aprile 1998 e il 4 luglio 1999: act. 12).
C.
Con decreto di accusa del 19 giugno 2000 il Procuratore pubblico ha dichiarato _ autore colpevole di trascuranza degli obblighi di mantenimento per avere, dal 1° dicembre 1993 al 31 gennaio 2000, omesso di versare al figlio _ (rispettivamente all'Ufficio dell'assistenza sociale), benché avesse i mezzi per farlo, i contributi alimentari fissati dal Pretore della giurisdizione di Mendrisio Sud con decreto cautelare del 12 dicembre 1993 e con sentenza del 25 maggio 1998, maturando un arretrato di complessivi di fr. 44'627.85. In applicazione della pena, egli ha proposto la condanna di _ a 15 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente con un periodo di prova di tre anni, e alla rifusione di fr. 44'627.85 all'Ufficio del sostegno sociale e dell'inserimento, costituitosi parte civile.
D.
Statuendo su opposizione, con sentenza del 9 ottobre 2000 il Pretore del Distretto di Bellinzona ha confermato l'imputazione di trascuranza degli obblighi di mantenimento. Ha ridotto però la pena a 10 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente con un periodo di prova di due anni. L'obbligo di risarcimento all'Ufficio del sostegno sociale e dell'inserimento è rimasto invariato.
E.
Contro la sentenza del Pretore _ ha inoltrato il
10 ottobre 2000 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 31 ottobre successivo, egli chiede di essere prosciolto dall'imputazione di trascuranza degli obblighi di mantenimento. Nelle sue osservazioni del 9 novembre 2000 il Procuratore pubblico propone di respingere il ricorso. Analoga conclusione formula l'Ufficio del sostegno sociale e dell'inserimento nelle sue osservazioni del 23 novembre 2000.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorrente rimprovera anzitutto al primo giudice di averlo condannato per trascuranza degli obblighi di mantenimento senza avere previamente accertato la sua effettiva disponibilità finanziaria. In mancanza di un puntuale accertamento delle entrate – egli soggiunge – il Pretore non poteva condannarlo a una pena ridotta solo perché per un certo periodo egli disponeva, forse, di un importo eccedente il minimo di esistenza. La pena inoltre appare esorbitante se riferita ai fatti tra il 1993 e il 1996. Per di più, la querela del 26 gennaio 2000 sarebbe tardiva e l'azione penale prescritta, non potendosi parlare in concreto di comportamento durevole contrario ai doveri di mantenimento. Infine il ricorrente opina che con la richiesta di sospensione del 10 marzo 1998 la parte civile abbia di fatto ritirato la querela, senza più poter riattivare la procedura, a meno di offendere il principio della la buona fede.
2.
L'art. 217 cpv. 1 CP punisce, a querela di parte, con la detenzione chiunque non presta gli alimenti o i sussidi che gli sono imposti dal diritto di famiglia benché abbia o possa avere i mezzi di farlo. Presupposto oggettivo è che l'autore disponesse dei mezzi per adempiere il proprio obbligo o potesse conseguirli. Non occorre che egli avesse mezzi sufficienti per onorare integralmente la prestazione; basta che egli potesse versare più di quanto ha effettivamente pagato (DTF 114 IV 124 consid. 3b). Per stabilire se egli potesse far capo, anche solo parzialmente, all'obbligo alimentare tornano applicabili i principi derivanti dall'art. 93 LEF: si deve quindi accertare, per il periodo in questione e in ogni caso sull'arco di più mesi, l'insieme delle entrate del debitore e il relativo fabbisogno (DTF 121 IV 272 consid. 3c e 3d). Ove risulti che costui non disponeva dei mezzi necessari per dare seguito all'obbligo contributivo, occorre ancora verificare se egli non avesse la possibilità di conseguirli. È infatti compito del debitore, in casi del genere, intraprendere quanto possibile per onorare il debito (DTF 126 IV 131 consid. 3a/cc). Sapere quale fosse la situazione finanziaria del debitore e quali possibilità egli avesse di conseguire i mezzi necessari è poi una questione legata all'accertamento dei fatti e alla valutazione delle prove (
Corboz
, Les principales infractions, Berna 1997, n. 26 segg. ad art. 297; CCRP, sentenza del 17 novembre 2000 in re G., consid.1). In sede di cassazione problemi siffatti sono sindacabili unicamente se il giudizio impugnato denota gli estremi dell'arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c e 295 CPP). E arbitrario non significa opinabile o finanche erroneo, bensì chiaramente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo o in urto palese con il sentimento di giustizia e dell'equità (DTF 126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 124 I 316 consid. 5a).
3.
Il Pretore ha ricordato che al dibattimento l'accusato ha ammesso di non avere mai pagato alimenti, neppure in parte e nemmeno nei periodo in cui conseguiva un reddito superiore al suo minimo di esistenza. Quanto alla giustificazione addotta, ossia di non avere saputo che sarebbe stato possibile effettuare pagamenti anche solo parziali, egli non l'ha ritenuta valida e comunque non tale da potersi accertare che l'imputato si trovasse nell'impossibilità assoluta di far fronte ai propri obblighi. Pur essendo stato assunto dalla ditta _ nell'ottobre del 1997 con un salario di fr. 22.– l'ora, egli nulla ha pagato se non dopo essere stato arrestato in seguito alla querela e all'apertura del procedimento penale (sentenza, pag. 4).
a)
Che fra il 30 novembre 1996 e il 31 gennaio 1998 il ricorrente disponesse di mezzi sufficienti per adempiere almeno in parte i propri obblighi poteva essere accertato senza arbitrio (act. 1 e 3). Nel verbale del 19 febbraio 1998 l'accusato, in stato di fermo, ha dichiarato al segretario giudiziario di avere quasi sempre lavorato dal 1993 e di essere lattoniere edile pagato a ore con uno stipendio mensile di circa fr. 3'500.–. Ha soggiunto di essersi poi trasferito in Italia (a _, in provincia di Brescia) tra il mese di luglio e l'ottobre del 1996, ove ha lavorato saltuariamente. Dopo di allora è entrato alle dipendenze della ditta _ di Chiasso con una retribuzione oraria di fr. 22.– per 41 ore settimanali, conseguendo un reddito lordo di fr. 3'600.– mensili. L'accusato ha precisato di pagare un canone di fr. 880.– mensili per un appartamento di Chiasso e di usare un auto in proprietà di suo padre. Invitato a spiegare perché non avesse versato il contributo alimentare stabilito dal giudice, egli si è limitato a rispondere che quanto guadagnava serviva a sé stesso, senza dare altre spiegazioni, salvo dichiararsi pronto a versare fr. 300.– mensili (act. 7). Su questo verbale il ricorrente sorvola, né pretende che fino al giorno dell'arresto egli si trovasse nell'impossibilità di onorare almeno in parte il suo obbligo. Egli asserisce di non avere agito intenzionalmente perché non sapeva di poter risolvere il problema con pagamenti parziali. Senza cadere in arbitrio il Pretore poteva però non credere a tale giustificazione. Basti rilevare che nel citato verbale l'accusato nemmeno aveva accennato a tale circostanza, ammettendo anzi di sapere che avrebbe dovuto rimborsare gli anticipi all'ente pubblico.
b)
Il ricorrente fa valere che con lettera del 10 marzo 1998 al Procuratore pubblico l'Ufficio dell'assistenza sociale, richiamato l'accordo con lui intervenuto (estinzione del debito con pagamenti mensili di fr. 300.–: act. 7 pag. 2), ha chiesto la sospensione del procedimento (act. 8), dimostrando con ciò di voler recedere dalla querela. A torto. A parte la fattispecid prevista dell'art. 5 CPP, la “sospensione” è per vero un istituto estraneo alla procedura penale, ma un'istanza in tal senso non può interpretarsi semplicemente come un ritiro della querela. Può intendersi come un invito al Procuratore affinché non continui, per il momento, nel perseguimento penale. E in concreto il Procuratore ha agito secondo buona fede, non compiendo più alcun atto e riprendendo la procedura solo dopo avere ricevuto l'aggiornamento” del 26 gennaio 2000 (act. 12). D'altro lato è pur vero che l'accordo intercorso con l'Ufficio dell'assistenza sociale e la conseguente richiesta di sospensione non sono atti irrilevanti. È possibile infatti che, avesse il debitore onorato l'accordo, l'ente pubblico non avrebbe insistito per la continuazione del procedimento (si veda il caso analogo in DTF 106 IV 178 seg.). Tant'è che solo il 26 gennaio 2000, constatato come dal luglio del 1999 il debitore non avesse più pagato nulla, esso ha postulato la riattivazione del caso, oltre che per gli arretrati cumulati fino al 3 luglio 1999, anche per quelli maturati nel frattempo, fino al 31 gennaio 2000 (act. 12).
c)
La questione è dunque di sapere che cosa prevedesse esattamente l'intesa fra l'Ufficio dell'assistenza sociale e il debitore. Facendo difetto il testo dell'accordo, gli atti andrebbero rinviati al Pretore viciniore per i necessari accertamenti. Dal rinvio si potrebbe prescindere, tuttavia, qualora risultasse che la cessazione dei pagamenti rateali era – comunque sia – dovuta a malvolere del ricorrente, il quale non ha più fatto fronte ai propri impegni nonostante fosse in grado di farlo, almeno in parte. In tal caso, indipendentemente dal testo dell'accordo, la sentenza del Pretore resisterebbe alla critica, almeno nel risultato. All'ente pubblico non potrebbe infatti essere rimproverato di avere disatteso il procetto della buona fede per avere postulato la continuazione del procedimento sebbene il debitore avesse interrotto i versamenti senza colpa, perché oggettivamente impossibilitato a pagare (DTF 106 IV 178 seg.).
4.
Chiamato a esprimersi sulla terza querela (l'aggiornamento” del 26 gennaio 2000), nel verbale del 29 marzo 2000 il ricorrente aveva dichiarato al segretario giudiziario di non esercitare alcuna attività fissa, di guadagnare saltuariamente Lit. 200'000/300'000 mensili con piccoli lavori, di non avere più trovato un impiego dal luglio del 1999, di avere svariati attestati di carenza beni e di non essere in grado di pagare nemmeno una parte degli alimenti arretrati. Ha affermato, in particolare, di essere stato costretto a lasciare la Svizzera nel luglio del 1999, essendogli stata respinta la domanda intesa al reintegro del permesso C (cfr. anche DTF del 9 giugno 1999 in act. 11). Ora, il Pretore non ha compiuto il minimo accertamento sulla situazione finanziaria dell'accusato, in specie sulle sue possibilità di pagare almeno in parte gli arretrati che maturavano di mese in mese dal luglio del 1999. Ha sì ricordato che costui riusciva a guadagnare anche fr. 22.– l'ora, dimenticando però che tale entrata si riferiva al lavoro accennato nel verbale del 19 febbraio 1998. Né il Pretore ha dato riscontro alle giustificazioni dell'imputato, il quale sosteneva che dal luglio del 1999 non gli era più stato possibile conseguire alcun reddito.
Il fascicolo processuale non contiene alcun elemento che permetta di confortare l'eventuale malvolere del debitore. L'assenza di riscontri affidabili non consente perciò alla Corte di cassazione e di revisione penale di stabilire se l'imputato avesse cessato i versamenti per circostanze a lui non imputabili oppure se egli fosse ancora in grado di conseguire introiti che gli permettessero almeno pagamenti parziali, ancorché inferiori ai fr. 300.– mensili previsti nel noto accordo. Un rinvio degli atti in prima sede si rivela perciò ineluttabile. Dovesse il Pretore accertare che nel luglio del 1999 l'imputato avrebbe potuto continuare a pagare qualche cosa, commisurerà la pena in base al grado di colpa. Prima di ciò, in ogni modo, egli si determinerà sulla prescrizione dell'azione penale e sull'argomentazione dell'imputato, secondo cui la querela presentata dall'ente pubblico non era nell'interesse della famiglia (art. 217 cpv. 2 CP).
5.
Se ne conclude che il ricorso deve essere parzialmente accolto, la sentenza impugnata annullata e gli atti trasmessi al Pretore viciniore (art. 12 LOG) per nuovo giudizio nel senso dei considerandi (art. 278 cpv. 2 con rinvio all'art. 296 cpv. 2 CPP). Gli oneri processuali vanno a carico dello Stato (art. 15 cpv. 2 CPP), che rifonderà al ricorrente fr. 500.– per ripetibili ridotte (art. 9 cpv. 6 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,001 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
7b5bed78-ea71-5dd6-ba23-618f119fc09f
|
in fatto: A.
Con decreto di accusa del 9 dicembre 2008 il Procuratore pubblico ha ritenuto RI 1 colpevole di:
- guida senza licenza di condurre o nonostante revoca, per avere condotto, il 18.7.2008, a _, l’autovettura Toyota targata , sebbene la licenza di condurre le fosse stata revocata dalla competente Autorità amministrativa in data 18.1.2007 per un periodo indeterminato,
- infrazione alle norme della circolazione per avere, il 18 7.2008, a _, alla guida della suddetta vettura, negligentemente urtato - nell’effettuare una manovra per parcheggiare - la vettura Hyundai targata di PL 1 regolarmente posteggiata,
-
inosservanza dei doveri in caso d’infortunio per avere, il 18.7.2008, a _, abbandonato il luogo dell’incidente surriferito senza osservare i doveri impostile dalla legge, in specie senza avvisare immediatamente il danneggiato o avvertire senza indugio la polizia, ed
- elusione di provvedimento per accertare l’incapacità alla guida, per essersi intenzionalmente opposta all’analisi dell’alito e alla prova del sangue per la determinazione dell’alcolemia ordinata dall’autorità il 18.7.2008 a _, malgrado l’avvertimento sulle possibili conseguenze penali del suo rifiuto.
In applicazione della pena, il procuratore pubblico ne ha proposto la condanna alla pena pecuniaria (sospesa condizionalmente per 5 anni) di 90 aliquote giornaliere da fr. 100.- l’una, corrispondenti a complessivi fr. 9'000.- ed alla multa di fr. 1'200.-, oltre al pagamento della tassa di giustizia e delle spese giudiziarie. Il procuratore pubblico ha, altresì, revocato la sospensione condizionale concessa alla pena detentiva di 60 giorni decretata nei suoi confronti dal MP in data 24.7.2006.
B.
Il 24 dicembre 2008, l’avv. PA 1 ha comunicato al Ministero pubblico di rappresentare la signora RI 1 per i fatti occorsi a _ il 18 luglio 2008, legittimandosi con una procura datata 17 settembre 2008, ed ha chiesto di poter visionare le dichiarazioni rese dalla sua patrocinata dinnanzi alla polizia il 26 settembre 2008.
Il 2 gennaio 2009 la cancelleria del Ministero pubblico ha trasmesso all’avv. PA 1 il decreto di accusa 9.12.2008.
C.
Il 7 gennaio 2009, l’avv. PA 1 ha formulato opposizione contro il decreto di accusa, precisando che la sua patrocinata ne contestava la ricezione.
D.
Con sentenza del 19 gennaio 2009 il presidente della Pretura penale ha statuito sull’opposizione 7 gennaio 2009 dichiarandola intempestiva.
E.
Contro tale sentenza, RI 1 ha presentato il 29 gennaio 2009 un ricorso alla CRP - trasmesso d’ufficio alla Corte di cassazione e di revisione penale – chiedendo, in via principale, l’annullamento della decisione impugnata e l’accertamento della tempestività e ricevibilità dell’opposizione 7 gennaio 2009 al decreto di accusa 9 dicembre 2008.
Con scritto 5 febbraio 2009 indirizzato alla Corte di cassazione e revisione penale, l’avv. PA 1 ha completato il suo gravame – entro i termini di cui ai combinati disposti dell’art. 278 e 289 CPP – eccependo un’errata applicazione del diritto sostanziale ai fatti posti a base della sentenza e l’arbitrio nell’accertamento dei fatti.
F.
Il 6.2.2009 il procuratore pubblico non ha formulato particolari osservazioni, postulando per la reiezione del gravame.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288
lett. a e b CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata, né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 173 consid. 3.1 pag. 178, 128 I 273 consid. 2.1 pag. 275).
2.
Nel suo allegato, la ricorrente contesta l’accertamento pretorile riguardo i fatti che l’hanno portato a ritenere come notificato il decreto d’accusa, affermando – per la prima volta – di non avere mai ricevuto l’avviso di ritiro della raccomandata.
3.
Il primo giudice, statuendo sull’opposizione presentata il 7 gennaio 2009, ha accertato quanto segue:
- il decreto di accusa era stato spedito con invio raccomandato alla prevenuta in data 9 dicembre 2008,
-
il 19 dicembre 2008 l’ufficio postale di _ aveva ritornato al mittente la raccomandata poiché, malgrado l’avviso del 10 dicembre 2008, non era stata ritirata.
Pertanto, il giudice di prime cure ha considerato che il termine aveva cominciato a decorrere il 19 dicembre 2008 ed era scaduto il 2 gennaio 2009.
Esprimendosi, poi, a titolo abbondanziale, il primo giudice ha ritenuto che, quand’anche lo scritto 7 gennaio 2009 dovesse essere ritenuto un’istanza di restituzione dei termini, essa andrebbe respinta in quanto
“la motivazione addotta non è tale da giustificare il ritardo, ritenuto oltretutto che l’accusata sapeva di avere in corso un procedimento penale e doveva attendersi di ricevere una comunicazione in merito
”.
4.
Secondo l'art. 7 CCP l'intimazione delle sentenze e degli atti del processo penale avviene per invio postale o per mezzo di usciere o della polizia (cpv. 1), in applicazione analogica delle disposizioni del Codice di procedura civile (cpv. 2). Di regola, una notificazione avviene dunque per invio raccomandato, con o senza ricevuta di ritorno, in conformità con i regolamenti postali (art. 124 cpv. 1 CPC). Alle persone domiciliate nel Cantone la notifica avviene mediante consegna dell'atto al destinatario, nel luogo in cui esso dimora o svolge la sua attività, oppure al suo rappresentante; in caso di assenza il plico è rimesso a una persona adulta della sua famiglia o a un suo impiegato (art. 120 CPC).
L'onere della prova circa l'atto e il momento della notifica di una decisione incombe, di principio, all'autorità che intende trarne conseguenze giuridiche. Secondo giurisprudenza, un atto, per principio, è considerato notificato alla data alla quale il suo destinatario lo riceve effettivamente. Quando il tentativo di intimazione di un invio raccomandato si rivela infruttuoso e, di conseguenza, viene emesso un avviso di ritiro nella bucalettere del destinatario, l'invio è validamente notificato quando viene ritirato alla Posta. Se ciò non avviene entro il termine di ritiro, corrispondente a sette giorni, l'invio viene ritenuto notificato l'ultimo giorno di questo termine, nella misura in cui il destinatario doveva prevedere un'intimazione (cosiddetta "Zustellungsfiktion";
DTF 127 I 31 consid. 2a/aa
,
123 III 492 consid. 1
,
119 V 94 consid. 4b/aa
; RAMI 2001 no. U 434 pag. 329). Il termine di giacenza previsto dall'art. 169 cpv. 1 lett. d ed e dell'ordinanza (1) della legge sul servizio delle poste del 1° settembre 1997 è stato invero abrogato con l'entrata in vigore dell'art. 13 dell'ordinanza delle poste, del 29 ottobre 1997 (OPA). Il termine di giacenza di sette giorni è stato ripreso però nelle condizioni generali “Servizi postali” (010.01 it, rif. 142713, edizione gennaio 2004, cifra 2.3.7 lett. b). Conserva perciò tutti i suoi effetti (DTF 127 I 131 consid. 2b pag. 34; CCRP, sentenza del 27 marzo 2003 in re S., consid. 3; sentenza 29 dicembre 2004 in re A.D.O. consid. 3).
Una decisione o altro atto giudiziario intimato mediante invio raccomandato vale, pertanto, come notificato quando entra nella sfera d'influenza di una parte ad un procedimento giudiziario. Non è per contro necessario che quest'ultima la prenda anche effettivamente in consegna oppure ne prenda altrimenti conoscenza (cfr. sentenza non pubblicata del TF del 3 luglio 2001 [2A.271/2001];
DTF 122 I 143 consid. 1
).
Deve prevedere un’intimazione – ai sensi della citata giurisprudenza - colui che è parte ad un procedimento giudiziario
(sentenza TF non pubblicata del 20 gennaio 2009 [6B.31/2009], consid.1; DTF
130 III 396 consid.
1.2.3 p. 399
;
119 V 89 consid. 4b/aa p. 94
;
116 Ia 90 consid. 2a p. 92
;
115 Ia 12 consid. 3a p. 15
)
. In ambito penale, una persona diventa parte di un procedimento penale – incombendogli quindi l’obbligo di doversi attendere l’invio di atti o decisioni giudiziarie – quando tra lei e l’autorità di perseguimento penale si instaura un rapporto giuridico di procedura penale
(DTF 116 Ia 90)
.
Un interrogatorio da parte della polizia non basta a creare un rapporto giuridico di procedura penale con la persona interrogata. Ritenere che, in seguito all'interrogatorio, tale persona avrebbe dovuto prevedere che le sarebbero stati notificati atti giudiziari è arbitrario (DTF 116 Ia 90).
Per converso, sorge un rapporto giuridico di procedura penale con l'imputato quando gli sia comunicata l'apertura di un'inchiesta penale; tale rapporto comporta l'obbligo di ricevere le relative notificazioni (DTF 116 Ia 90)
In effetti, secondo la giurisprudenza, conformemente al principio della buona fede, quando è stata comunicata all'interessato l'apertura di un'inchiesta penale egli deve prevedere che gli saranno notificati atti giudiziari e provvedere affinché possano essergli notificati (
sentenza TF non pubblicata del 2 aprile 2007 [1B_46/2007], consid.2.4.,
DTF 116 Ia 90 consid. 2a
;
115 Ia 12 consid. 3a
;
123 III 492 consid. 1
).
5.
Con l’opposizione presentata il 7 gennaio 2009, la ricorrente, patrocinata da un avvocato, si è limitata a dire di non avere ricevuto il decreto d’accusa.
In particolare, a quel momento, essa si è ben guardata di precisare di non avere nemmeno ricevuto l’avviso di raccomandata
Pertanto, sulla scorta della verifica postale effettuata e in assenza di qualsiasi argomento che avrebbe potuto anche soltanto rendere plausibile l’esistenza, in concreto, di situazioni particolari che imponessero accertamenti istruttori supplementari, il primo giudice poteva, senza arbitrio, accertare che l’opponente non aveva ritirato l’invio raccomandato che le era stato “avvisato” (accertamento implicito) e concludere che il termine per formulare opposizione aveva cominciato a decorrere il 19 dicembre 2008.
In concreto, si sarebbero imposti ulteriori accertamenti istruttori soltanto se la ricorrente – come visto, assistita da un avvocato - avesse indicato, già al momento dell’opposizione, di non avere mai ricevuto l’avviso di raccomandata ed avesse reso verosimili situazioni tali da rendere privo di valore probatorio la ricostruzione effettuata da La Posta (Track&Trace) del percorso effettuato dalla raccomandata 98.00.659068.00030695 (cfr. doc. 7), ricostruzione da cui si deduce, in particolare, che l’avviso di ritiro (o avviso di raccomandata) è stato depositato presso il domicilio del destinatario alle ore 11.17 del giorno 10.12.2008 e che, poi, la raccomandata è stata depositata, alle ore 14.22, presso l’ufficio postale di _ in attesa del suo ritiro.
Avanzata in questa sede, l’argomentazione è un novum e, quindi, per sua stessa natura, non può essere oggetto di valutazione nell’ambito di un ricorso per cassazione (cfr. Rep. 1973 pag. 240 consid. 7; analogamente: CCRP, sentenza inc. 17.1999.61/ 62 del 18 febbraio 2000, consid. 1; inc. 17.2000.8 del 26 aprile 2000, consid. 1; inc. 17.2002.56 del 6 maggio 2003, consid. 2).
6.
Sempre per la prima volta in questa sede, la ricorrente sostiene di avere ritenuto che il suo
“caso fosse chiuso”
visto che dopo l’interrogatorio di polizia del 26 settembre 2008 non aveva
“più sentito nulla”
e, perciò, non avendo ricevuto comunicazione dell’apertura di un procedimento penale a suo carico, lei non poteva – contrariamente a quanto stabilito dal giudice di prime cure – attendersi l’invio di un atto giudiziario.
A mente della ricorrente tale accertamento è determinante per il giudizio sulla tempestività dell’opposizione ritenuto come, secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, un atto giudiziario - oggetto di un invio per raccomandata e tornato al mittente per mancato ritiro da parte del destinatario - è presunto validamente notificato solo in presenza di un preesistente rapporto giuridico tra l’autorità ed il destinatario.
In caso contrario, la citata presunzione decade con la conseguenza che l’atto giudiziario non può essere considerato validamente notificato ciò che – nel caso in esame – comporterebbe l’annullamento della sentenza pretorile in punto all’irricevibilità dell’opposizione 7 gennaio 2009.
7.
Dall’esame dell’incarto penale è stato possibile stabilire che, nel luglio 2008, RI 1 ha preso atto - in occasione del primo verbale di interrogatorio (cfr. PS 18.7.2008, pag. 2) - di essere stata denunciata dalla polizia alle competenti autorità per infrazione alla legge sulla circolazione stradale in relazione ai fatti occorsi a _ (che hanno, poi, fatto oggetto del decreto di accusa 9.12.2008).
Lo stesso giorno, visto il suo rifiuto di sottoporsi all’esame del sangue, l’imputata ha preso atto anche delle conseguenze che un siffatto rifiuto avrebbe generato e si è dichiarata disposta ad accettare, sul piano amministrativo, la revoca della licenza di condurre per un periodo minimo di 3 mesi, in assenza di precedenti e, sul piano penale, la condanna a una pena detentiva o alla multa per l’elusione di provvedimento per accertare l’incapacità della guida (cfr. formulario di procedura in caso di rifiuto dell’accertamento di inattitudine alla giuda sottoscritto in data 19.7.2008).
Sempre in data 19.7.2008 RI 1 ha preso, altresì, conoscenza dell’esistenza di un’inchiesta preliminare di polizia a suo carico per i reati di infrazione alle norme della circolazione, elusione di provvedimenti per accertare l’incapacità alla guida, guida in stato di inattitudine, inosservanza dei doveri in caso di infortunio e guida senza licenza di condurre o revoca in relazione all’incidente avvenuto a _ il 18.7.2008.
La donna è, pure, stata informata della trasmissione degli atti di inchiesta al Ministero pubblico e del suo diritto di chiedere di essere sentita dal Procuratore pubblico. È stata, da ultimo, informata che in virtù dell’art. 207a CPP, il Procuratore pubblico avrebbe potuto, senza ulteriori avvisi, formulare a suo carico un decreto di accusa (cfr. formulario dichiarazione art. 207-207a CPP, sottoscritto in data 19.7.2008).
L’esistenza di una denuncia a suo carico per titolo di infrazione alla legge federale sulla circolazione stradale le è, poi, stata ribadita in occasione del secondo verbale di polizia del 16.9.2008, nel corso del quale, per la prima volta, RI 1 aveva finito per ammettere di avere
“fatto un paio di metri in retromarcia per uscire dalla rampa”
e di avere
poi “giudicato ancora per 5 metri fino ad un parcheggio sul lato destro della strada”
e ciò malgrado le fosse ben noto di essere in revoca e di non poter guidare (cfr. PS RI 1 18.7.2008, pag. 2).
Ciò rilevato, la censura ricorsuale deve essere respinta.
RI 1, rea confessa per almeno due dei cinque capi di imputazione che le sono stati contestati, è stata, in realtà, informata a più riprese di essere oggetto di una o più denunce penali.
Inoltre, la donna era stata puntualmente informata del fatto che il procuratore pubblico avrebbe potuto senza ulteriori avvisi emettere a suo carico un decreto di accusa.
In siffatte circostanze la ricorrente, già condannata per reati simili nel 1999 e nel 2006 ed assistita da un legale a far tempo dal settembre del 2008, non può seriamente sostenere che non sapeva dell’esistenza di un procedimento penale in corso e che poteva legittimamente pensare che il
“caso era chiuso”
e che, pertanto, altrettanto legittimamente non doveva attendersi l’invio di una decisione giudiziaria.
Il ricorso va, quindi, su questo punto, respinto.
8.
Alla luce dei considerandi che precedono deve essere altrettanto respinta la censura ricorsale di un’errata applicazione del diritto sostanziale ai fatti accertati.
Il giudice di prime cure ha correttamente applicato il diritto e la giurisprudenza in materia (cfr. consid. 2) al caso in esame, concludendo per l’irricevibilità dell’opposizione 7 gennaio 2009, in quanto tardiva (art. 208 cpv. 1 lett. e CPP).
Egli ha considerato a giusta ragione che il decreto di accusa 9.12.2008 era stato validamente notificato il 19 dicembre 2008, dovendo RI 1 prevedere la sua intimazione, con la conseguenza che il termine di 15 giorni per formulare opposizione era venuto a scadere il 2 gennaio 2009.
Il ricorso va, quindi, anche su questo punto, respinto.
9.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza della ricorrente (art. 15 cpv. 1 con rinvio all'art. 9 cpv. 1 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,009 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
7bc46b4d-49b3-5860-8023-987e17b144d0
|
in fatto
a
. RE 1 (_) è stato arrestato in data 11.5.2010 siccome accusato di omicidio intenzionale, sub. di lesioni gravi e di omicidio colposo in relazione al decesso di _ (_) conseguente ai fatti della sera del 22.8.2009 presso un’area di sosta dell’autostrada A2 in direzione sud-nord (AI 37).
b
. Il provvedimento è stato confermato il giorno successivo dall’allora giudice dell’istruzione e dell’arresto Claudia Solcà per l’esistenza di gravi e concreti indizi di colpevolezza (rilevabili dal rapporto di polizia e dalle ammissioni dell’accusato) e di bisogni dell’istruzione (in particolare di un pericolo di collusione) [AI 39].
c
. Il carcere preventivo a cui era astretto RE 1 è stato prorogato dalla competente autorità fino all’11.1.2011 [decisione 9.11.2010 dell’allora giudice dell’istruzione e dell’arresto (inc. GIAR _, AI 131), confermata dall’allora Camera dei ricorsi penali, adita con ricorso 19/22.11.2010, con giudizio 6.12.2010 (inc. CRP _, AI 139)] e, successivamente, in applicazione del Codice di procedura penale del 5.10.2007, in vigore dall’1.1.2011, fino all’11.2.2011 [decisione 10.1.2011 del giudice dei provvedimenti coercitivi (inc. GPC _, AI 157), confermata dalla Corte dei reclami penali, a cui si era rivolto l’imputato RE 1 con reclamo 13.1.2011, con sentenza 31.1.2011 (inc. CRP _, AI 173) e, di seguito, dal Tribunale federale con decisione 14.3.2011 (inc. TF _)].
d
. Il magistrato inquirente, in data 1.2.2011, ha promosso l’accusa davanti alla Corte delle assise criminali di _ nei confronti di RE 1 per titolo di omicidio intenzionale giusta l’art. 111 CP [“
per avere, a _, la sera del 22 agosto 2009, verso le ore 21.50, presso l’area di sosta autostradale _, intenzionalmente cagionato la morte di _ (_), colpendolo di sorpresa con una gomitata al viso e quindi, caduto supino al suolo, con due violente pedate, dall’alto verso il basso, all’addome e al collo, causandogli lesioni tali che ne determinarono il decesso intervenuto il 23 agosto 2009 alle ore 00.20 presso l’Ospedale _ di _ come alla documentazione in atti, ritenuto che l’imputato, dopo aver ferito _ e incurante della sorte della vittima a terra, si allontanò velocemente a bordo della sua automobile a fari spenti nell’intento di non essere identificato
”] (ACC _).
e
. Il medesimo giorno il procuratore pubblico ha inoltrato al giudice dei provvedimenti coercitivi istanza di carcerazione di sicurezza a’ sensi dell’art. 229 cpv. 1 CPP invocando a carico di RE 1 il persistere di un concreto pericolo di recidiva e chiedendo di ordinare la carcerazione fino al termine del dibattimento.
f
. Con decisione 8.2.2011 il giudice dei provvedimenti coercitivi, dati i presupposti, ha accolto la domanda (inc. GPC _).
Il giudice, ricordato il diritto applicabile, ha esposto le sue considerazioni di cui al giudizio 9.11.2010 in capo all’esistenza di seri e concreti indizi di colpevolezza. Ha di seguito confermato un serio e concreto pericolo di recidiva, facendo riferimento alle sue argomentazioni nella decisione 10.1.2011 ed alle motivazioni di questa Corte nella sentenza 31.1.2011 (della quale ha riprodotto le p. da 8 a 17). Ha reputato inapplicabili misure sostitutive in luogo della carcerazione di sicurezza siccome non sufficienti per ovviare all’accertato e grave pericolo di recidiva. Infine, il giudice ha considerato rispettati i principi di proporzionalità e di celerità.
g
. Con reclamo 21/22.2.2011 RE 1 postula, in via principale, che la predetta decisione sia dichiarata nulla per carenza di motivazione e che sia immediatamente posto in libertà provvisoria oppure che il giudizio sia annullato e che la domanda di carcerazione di sicurezza sia respinta e, in via subordinata, che sia immediatamente posto in libertà provvisoria, in via più subordinata, che la carcerazione di sicurezza sia sostituita con la misura dell’obbligo di residenza al proprio domicilio con o senza sorveglianza elettronica e, in via ancora più subordinata, che l’incarto sia ritornato al procuratore pubblico affinché inoltri una nuova domanda indicante un periodo determinato della carcerazione di sicurezza (in subordine che sia concessa per la durata di un mese).
Il reclamante ritiene nulla sub. annullabile la decisione 8.2.2011 del giudice dei provvedimenti coercitivi in difetto di motivazione. Quest’ultimo si sarebbe infatti limitato a giustificare il pericolo di recidiva procedendo ad un copia / incolla del giudizio 31.1.2011 della Corte dei reclami penali, inammissibile. La motivazione di una decisione dovrebbe infatti essere notificata / comunicata al momento stesso in cui si pone in essere (materialmente o formalmente) la limitazione della libertà personale dell’imputato. Un modo di procedere contrario configurerebbe un diniego di giustizia.
RE 1, che considera pacifica l’esistenza di seri indizi di colpevolezza a suo carico, reputa assente un interesse pubblico al perdurare della sua carcerazione. Il pericolo di recidiva individuato dal perito rimarrebbe circoscritto al verificarsi di eventi per loro natura rari e non frequenti nella vita di tutti i giorni, ciò che non giustificherebbe il mantenimento della carcerazione.
Non sarebbe dato un pericolo di recidiva sufficiente a tutelare la decisione impugnata: la giurisprudenza del Tribunale federale in applicazione del previgente diritto prevedrebbe che si possa riconoscere un concreto pericolo di recidiva soltanto in presenza di una prognosi molto sfavorevole sul detenuto e se i reati di cui si temerebbe la reiterazione sono gravi. Il procuratore pubblico, per motivare il pericolo di recidiva, si rifarebbe esclusivamente alla perizia giudiziaria agli atti ed al successivo verbale di delucidazione. Il perito avrebbe rilevato un rischio di essere preda di un raptus analogo a quello che aveva condotto all’apertura del procedimento penale unicamente qualora fosse confrontato con “
un’avance omosessuale, esplicita, insistente e pubblica
”. Il pericolo di recidiva si fonderebbe su una “
rein hypothetische Möglichkeit
”: non sussisterebbe dunque un interesse pubblico preponderante nel proteggere la comunità da una minaccia di portata estremamente circoscritta come quella individuata dal perito.
Il reclamante sottolinea di seguito l’assenza di una base legale in capo ad un pericolo di recidiva: l’art. 221 cpv. 1 lit. c CPP esigerebbe infatti la commissione, in precedenza, di reati analoghi. Evidenzia che esisterebbe una diatriba sull’interpretazione della predetta disposizione limitata a sapere se sia necessario un precedente o se siano necessari due precedenti per dichiarare adempiuta la condizione per mantenere la carcerazione. Sarebbe nondimeno certo che, in assenza di precedenti, non sarebbe possibile mantenere la carcerazione per il solo pericolo di recidiva. Sostenere il contrario significherebbe soltanto interpretare la norma legale contro il suo tenore letterale rispettivamente fare uso improprio della lingua italiana. In questo senso la norma sarebbe di assoluta chiarezza: un pericolo di recidiva potrebbe sussistere laddove l’imputato, prima dei fatti per i quali è aperto il procedimento penale, abbia già commesso reati analoghi, dunque – nell’ipotesi più favorevole al ragionamento esposto da questa Corte nel giudizio 31.1.2011 – almeno uno oltre a quello per cui l’imputato è perseguito. L’interpretazione teleologica del disposto sarebbe inammissibile: essa non potrebbe infatti contrastare apertamente con il tenore letterale della legge.
L’art. 221 cpv. 1 lit. c CPP non sarebbe applicabile al caso concreto: in passato non si sarebbe mai reso protagonista di reati analoghi a quello per i quali sarebbe perseguito nel presente procedimento penale. Una perizia giudiziaria, la cui portata probatoria sarebbe da discutere in ragione del divergente rapporto di parte, non potrebbe sostituirsi ad esplicite condizioni di legge.
Il perito giudiziario, proponendo unicamente un trattamento ambulatoriale, e non l’internamento (art. 64 CP) o una misura terapeutica stazionaria (art. 59 CP), avrebbe ben evidenziato che la reale pericolosità non sarebbe quella che si tenterebbe di professare per mantenerlo in regime di carcerazione di sicurezza.
Chiede, in via subordinata, la sostituzione della carcerazione con, segnatamente, l’obbligo di risiedere al proprio domicilio, con o senza sorveglianza elettronica, provvedimento che il CPP prevedrebbe espressamente. Sarebbe il CPP medesimo a fungere da base legale per questo tipo di misura. I Cantoni sarebbero tenuti a darvi seguito. L’argomentazione di cui al considerando 7.5. della decisione 31.1.2011 di questa Corte sarebbe infondata.
Il limitato rischio di recidiva (qualora si trovasse confrontato con avances omosessuali esplicite, insistenti e pubbliche) potrebbe essere validamente contenuto se fosse obbligato a rimanere al proprio domicilio, con o senza sorveglianza elettronica: non avrebbe infatti modo di incontrare persone del proprio sesso che potrebbero fargli, in pubblico, delle avances di natura sessuale. In questo senso la detenzione in ambiente carcerario sarebbe addirittura molto meno efficace nel contenere il pericolo di recidiva. Sarebbe infatti in quotidiano contatto con persone di sesso maschile; la possibilità che una di esse possa fargli avances esplicite, insistenti e pubbliche sarebbe molto superiore rispetto all’ambiente domestico (dove non rischierebbe di essere esposto a questo genere di provocazioni). La misura sostitutiva dell’obbligo di residenza in un luogo determinato con o senza sorveglianza elettronica non sarebbe soltanto atta a raggiungere gli obiettivi della carcerazione preventiva, ma addirittura garantirebbe meglio la tutela dell’interesse pubblico rispetto a questa.
Non sarebbe un pazzo psicotico che altro non aspetterebbe che aggirarsi per il cantone a picchiare omosessuali, come di fatto si tenterebbe di dipingerlo nelle decisioni prolate. Mai, durante la carcerazione, avrebbe dato adito a dubbi in merito al suo comportamento e al rispetto delle regole imposte dal carcere. Non si intravvederebbero motivi per i quali, nell’ipotesi di una misura sostitutiva, dovrebbe evadere dai domiciliari per frequentare locali notturni e per farsi nuovamente arrestare nel giro di poche decine di minuti, con la prospettiva di essere poi nuovamente posto in carcerazione di sicurezza. Si tratterebbe di un’assurdità.
Sottolinea che il procuratore pubblico avrebbe chiesto la carcerazione di sicurezza fino al termine del dibattimento rifacendosi alla prassi dell’allora Camera dei ricorsi penali. Il giudice dei provvedimenti coercitivi non si sarebbe espresso su tale punto. L’art. 229 CPP in materia di carcerazione di sicurezza rinvierebbe, per quanto riguarda gli aspetti procedurali, all’art. 227 CPP disciplinante la proroga della carcerazione preventiva, il cui cpv. 7 prevedrebbe che “
la proroga della carcerazione preventiva è di volta in volta concessa al massimo per tre mesi, in casi eccezionali al massimo per sei mesi
”. Il CPP non avrebbe dei termini massimi entro i quali, dopo l’emanazione dell’atto di accusa, debba essere aggiornato il dibattimento; la fase predibattimentale apparirebbe anche più corposa. Non sarebbe quindi affatto garantito che i termini giusta l’art. 227 CPP siano rispettati.
Delle ulteriori argomentazioni del reclamante, così come delle osservazioni del procuratore pubblico, del giudice dei provvedimenti coercitivi e del presidente della Corte delle assise criminali, si dirà – per quanto necessario – nei considerandi successivi.
|
in diritto
1
. 1.1.
A’ sensi dell’art. 222 CPP il carcerato [e il procuratore pubblico (decisioni TF 1B_64/2011 del 17.2.2011, 1B_65/2011 del 22.2.2011 e 1B_83/2011 del 24.2.2011)] può impugnare dinanzi alla giurisdizione di reclamo le decisioni che ordinano, prorogano o mettono fine alla carcerazione preventiva (art. 224 ss. CPP) o di sicurezza (art. 229 ss. CPP). E’ fatto salvo l’art. 233 CPP.
Il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta e all’art. 385 CPP per la motivazione.
In particolare il reclamo deve indicare i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP)
.
1.2.
Il gravame, presentato il 21/22.2.2011 alla Corte dei reclami penali, competente ex art. 62 cpv. 2 LOG, contro la decisione 8.2.2011 del giudice dei provvedimenti coercitivi in materia di carcerazione di sicurezza (inc. GPC _), è tempestivo.
RE 1, quale destinatario della decisione e persona in stato di carcerazione di sicurezza, è pacificamente legittimato a reclamare giusta l’art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica del giudizio.
Le esigenze di forma e motivazione del gravame sono rispettate.
Il reclamo in esame è, in queste circostanze,
ricevibile in ordine
.
2
. 2.1.
Giusta l’art. 212 cpv. 1 CPP l’imputato resta in libertà. Può essere sottoposto a provvedimenti coercitivi privativi della libertà soltanto entro i limiti delle disposizioni del CPP [secondo i principi di cui all’art. 197 cpv. 1 CPP (
“
Possono essere adottati provvedimenti coercitivi soltanto se: a. sono previsti dalla legge; b. vi sono sufficienti indizi di reato; c. gli obiettivi con essi perseguiti non possono essere raggiunti mediante misure meno severe; d. l’importanza del reato li giustifica.
”)].
Eventuali provvedimenti coercitivi privativi della libertà vanno revocati (d’ufficio) non appena: a. i loro presupposti non sono più adempiuti; b. la durata prevista dal presente Codice o autorizzata dal giudice è scaduta; oppure c. misure sostitutive consentono di raggiungere lo stesso obiettivo (art. 212 cpv. 2 CPP). La durata della carcerazione preventiva o di sicurezza non può superare quella della pena detentiva presumibile (art. 212 cpv. 3 CPP).
2.2.
La carcerazione di sicurezza (art. 229 ss. CPP), che mira a garantire la disponibilità dell’imputato durante il procedimento di primo grado e nel corso della procedura di ricorso e l’esecuzione di sanzioni privative della libertà (
Messaggio concernente l’unificazione del diritto processuale penale del 21.12.2005, p. 1132), è quella
durante il periodo tra il deposito dell’atto d’accusa presso il tribunale di primo grado (art. 328 cpv. 1 CPP) e il giudicato della sentenza (art. 437 CPP), l’inizio di una sanzione privativa della libertà (art. 439 ss. CPP) oppure la liberazione [art. 220 cpv. 2 CPP] (BSK StPO – M. FORSTER, art. 229 CPP n. 1 ss.).
La carcerazione di sicurezza – e preventiva – è ammissibile soltanto quando l’imputato è gravemente indiziato di un crimine o di un delitto (art. 10 cpv. 2/3 CP) e vi è seriamente da temere che:
a. si sottragga con la fuga al procedimento penale o alla prevedibile sanzione; b. influenzi persone o inquini mezzi di prova, compromettendo in tal modo l’accertamento della verità; o c. minacci seriamente la sicurezza altrui commettendo gravi crimini o delitti, dopo aver già commesso in precedenza reati analoghi (art. 221 cpv. 1 CPP). In applicazione dell’art. 221 cpv. 2 CPP la carcerazione preventiva (non tuttavia quella di sicurezza: BSK StPO – M. FORSTER, art. 221 CPP n. 16 nota 65) è pure ammissibile se vi è seriamente da temere che chi ha proferito la minaccia di commettere un grave crimine lo compia effettivamente.
Giusta l’art. 229 cpv. 1 CPP se l’imputato si trova in carcerazione preventiva, la decisione di ordinare la carcerazione di sicurezza spetta al giudice dei provvedimenti coercitivi, su domanda scritta del pubblico ministero [che procede a’ sensi dell’art. 327 cpv. 2 CPP (
“
Se chiede che sia disposta la carcerazione di sicurezza, il pubblico ministero notifica una copia dell’atto di accusa, unitamente alla sua richiesta, anche al giudice dei provvedimenti coercitivi.
”)].
La procedura dinanzi al giudice dei provvedimenti coercitivi è retta per analogia: (...) b. dall’art. 227 CPP se l’imputato si trova in carcerazione preventiva (art. 229 cpv. 3 CPP) [
BSK StPO – M. FORSTER, art. 229 CPP n. 3/6].
La carcerazione di sicurezza può essere ordinata sia se l’imputato si trova, come in casu, in carcere sia se l’imputato non si trova in carcerazione preventiva, ovvero qualora i motivi di carcerazione emergano soltanto dopo la promozione dell’accusa, nel qual caso chi dirige il procedimento nel tribunale di primo grado avvia una procedura di carcerazione applicando per analogia l’art. 224 CPP e propone al giudice dei provvedimenti coercitivi di ordinare la carcerazione di sicurezza (procedura retta per analogia dagli art. 225/226 CPP) [art. 229 cpv. 2 e 3 lit. a CPP].
A differenza del previgente CPP TI (art. 102/103) la protrazione della privazione della libertà dopo l’emanazione dell’atto di accusa deve sempre essere oggetto di specifica decisione (
Commentario CPP, E. MELI, art. 220 CPP n. 8).
2.3.
La carcerazione di sicurezza non è soggetta ad una durata prestabilita e quindi a proroga; l’applicazione dell’art. 227 CPP, al quale rinvia l’art. 229 cpv. 3 lit. b CPP, è limitata alla procedura relativa alla domanda di messa in carcerazione (
Commentario CPP, E. MELI, art. 229 CPP n. 15; M. HUG, Kommentar zur StPO, art. 229 CPP n. 2; N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 229 CPP n. 3; critico, in considerazione del rinvio dell’art. 229 cpv. 3 lit. b CPP all’art. 227 CPP, ed in particolare al suo cpv. 7,
BSK StPO – M. FORSTER, art. 229 CPP n. 6).
Ciò è da ricondurre al fatto che, essendo stata promossa l’accusa, gli elementi indizianti ed i motivi alternativi necessari per l’adozione della misura sono reputati dati e non suscettibili di controllo ad intervalli regolari (Commentario CPP, E. MELI, art. 229 CPP n. 15). L’imputato e il pubblico ministero possono nondimeno presentare in ogni tempo domanda di scarcerazione (art. 230/233 CPP) [Commentario CPP, E. MELI, art. 229 CPP n. 15]. La carcerazione di sicurezza dura quindi – riservata la scarcerazione giusta gli art. 230 o 233 CPP – fino
al giudicato della sentenza oppure fino all’inizio di una sanzione privativa della libertà. La carcerazione deve altresì ossequiare il principio di proporzionalità (art. 212 cpv. 3 CPP) ed il principio di celerità (art. 5 CPP).
3
. 3.1.
RE 1 ritiene anzitutto nulla sub. annullabile la decisione 8.2.2011 del giudice dei provvedimenti coercitivi in difetto di motivazione. Questi si sarebbe infatti limitato a giustificare il pericolo di recidiva procedendo ad un copia / incolla del giudizio 31.1.2011 di questa Corte, inammissibile. La motivazione di una decisione dovrebbe infatti essere notificata / comunicata al momento stesso in cui si pone in essere (materialmente o formalmente) la limitazione della libertà personale dell’imputato. Un modo di procedere contrario configurerebbe un diniego di giustizia.
3.2.
L’obbligo di motivazione – elemento essenziale del diritto di essere sentito giusta gli art. 3 cpv. 2 lit. c CPP e 29 cpv. 2 Cost. – è previsto esplicitamente dall’art. 80 cpv. 2 CPP ed impone di menzionare, almeno brevemente, i motivi che hanno spinto a decidere in un senso piuttosto che nell’altro e di porre pertanto l’interessato nelle condizioni di rendersi conto della portata del provvedimento e delle eventuali possibilità di impugnazione presso un’istanza superiore, che deve poter esercitare il controllo sullo stesso (decisione TF 6B_609/2009 del 22.2.2011, considerando 3.1.2.; G. PIQUEREZ, Traité de procédure pénale suisse, 2. ed., n. 340/1134; R. HAUSER / E. SCHWERI / K. HARTMANN,
Schweizerisches Strafprozessrecht, 6. ed.
, § 55 n. 22 ss.; N. SCHMID,
Strafprozessrecht, 4. ed.
, n. 214 s./260/576; cfr. anche
, D. BRÜSCHWEILER, Kommentar zur StPO, art. 80 CPP n. 2
). L’autorità chiamata ad emanare una decisione non deve confrontarsi con tutti gli argomenti sollevati, ma è sufficiente che essa si esprima su quelli rilevanti per il giudizio (decisione TF 1B_380/2010 del 14.3.2011, considerando 3.2.1.).
La decisione circa la carcerazione di sicurezza, come ogni decisione, deve essere perlomeno sommariamente motivata [cfr., in analogia, art. 226 cpv. 2 seconda frase CPP (N. SCHMID, Handbuch des schweizerischen Strafprozessrechts, n. 1045)] in capo all’esistenza dei presupposti della carcerazione: la motivazione deve permettere all’imputato (e al procuratore pubblico) di impugnare la sentenza davanti alla giurisdizione di reclamo giusta l’art. 222 CPP (BSK StPO – M. FORSTER, art. 226 CPP n. 6).
Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale in materia di proroga della carcerazione preventiva si può motivare una decisione rinviando a precedenti giudizi oppure aderendo alle motivazioni della domanda di proroga della carcerazione qualora l’imputato non invochi nuovi argomenti; la motivazione a cui si rimanda deve inoltre essere stata redatta nel rispetto dell’art. 29 cpv. 2 Cost. (decisione TF 1B_235/2009 del 25.9.2009, considerando 3.1.; BSK StPO – M. FORSTER, art. 226 CPP n. 6).
Anche l’art. 82 cpv. 4 CPP (secondo cui nella procedura di ricorso, il giudice può rimandare alla motivazione della giurisdizione inferiore per quanto concerne l’apprezzamento di fatto e di diritto dei fatti contestati all’imputato) [BSK StPO – N. STOHNER, art. 82 CPP n. 9;
N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 82 CPP n. 15
] prevede analoga possibilità (cfr. pure art. 109 cpv. 3 LTF).
3.3.
Il giudice dei provvedimenti coercitivi, sul presupposto di cui all’art. 221 cpv. 1 lit. c CPP, pericolo di recidiva, ha indicato che “
(...) non può che confermare la presenza di un serio e concreto pericolo di recidiva in capo all’accusato, con riferimento alle conclusioni della decisione 31 gennaio 2011 della CRP, che vengono qui di seguito integralmente richiamate (CRP _, p. 8-17) e quelle cui è giunto questo giudice nella propria decisione di proroga della carcerazione preventiva 10 gennaio 2011 (GIAR/GPC _, p. 5-13)
” [decisione 8.2.2011, p. 3].
Ha di seguito riportato –
verbatim
– le indicate p. 8-17 della decisione 31.1.2011 di questa Corte, che – respingendo l’impugnativa 13.1.2011 di RE 1 avverso il giudizio 10.1.2011 del giudice dei provvedimenti coercitivi – aveva riconosciuto un pericolo di recidiva giusta l’art. 221 cpv. 1 lit. c CPP.
Ora – in applicazione della suddetta giurisprudenza dell’Alta Corte in materia di proroga della carcerazione preventiva, applicabile per analogia al caso di specie riguardante la carcerazione di sicurezza (sostanzialmente identica, nei presupposti e nelle limitazioni della libertà, ad una proroga della carcerazione) – si deve necessariamente concludere che la decisione 8.2.2011 del giudice dei provvedimenti coercitivi ossequia, manifestamente, l’obbligo di motivazione derivante dal diritto di essere sentito.
RE 1, che ha rinunciato a presentare osservazioni all’istanza di carcerazione di sicurezza 1.2.2011 del procuratore pubblico, non ha infatti invocato argomenti differenti rispetto a quelli richiamati con il suo reclamo 13.1.2011 a questa Corte (censure evase con giudizio 31.1.2011, p. 8-17, riportato nella sentenza 8.2.2011 del giudice dei provvedimenti coercitivi). Dal 31.1.2011 neppure sono intervenuti nell’inchiesta elementi nuovi, se non che a carico del reclamante è stata promossa l’accusa (fatto, questo, che evidentemente non influisce sulla pericolosità del reclamante e quindi sul concreto pericolo di recidiva).
La Corte dei reclami penali, da parte sua, si era diffusamente confrontata con la questione a sapere se l’art. 221 cpv. 1 lit. c CPP (che, secondo il suo tenore letterale, prevede – tra l’altro – l’aver già commesso in precedenza
reati analoghi
) fosse applicabile al caso concreto, ossequiando – certo – l’obbligo di motivazione. Tanto è vero che il Tribunale federale, respingendo con giudizio 14.3.2011 (inc. TF _, di cui si dirà in seguito) il ricorso in materia di diritto penale 2/4.2.2011 del reclamante contro la sentenza 31.1.2011 di questa Corte, nulla le aveva rimproverato in merito ad un’eventuale carenza di motivazione.
In queste circostanze, la censura di RE 1 in merito ad un difetto di motivazione della decisione 8.2.2011 del giudice dei provvedimenti coercitivi, che si era limitato a riprodurre i considerandi del giudizio 31.1.2011 di questa Corte, è infondata.
4
. 4.1.
La carcerazione di sicurezza implica anzitutto, come detto in precedenza, che l’imputato sia gravemente indiziato di un crimine o di un delitto (BSK StPO – M. FORSTER, art. 221 CPP n. 1 ss.).
L’esame di questo presupposto deve essere effettuato nell’ottica delle finalità dello specifico giudizio relativo alla misura cautelare in discussione, senza che la conclusione possa essere letta quale affermazione di colpevolezza o di innocenza; non si tratta dunque di valutare nella sostanza l’esistenza del reato o la colpevolezza dell’imputato, ossia di addentrarsi in giudizi di merito (
Commentario CPP, E. MELI, art. 221 CPP n. 4; art. 229 CPP n. 3).
4.2.
RE 1, nel corso dell’interrogatorio 22.7.2010 davanti al magistrato inquirente, confrontato con le risultanze medico legali che attestavano sul corpo della vittima quindici lesioni, ha ammesso di avere sferrato a _, la sera del 22.8.2009 presso un’area di sosta dell’autostrada A2 in direzione sud-nord, tre colpi in rapida successione, e non solo uno come aveva riferito fino ad allora (verbale di interrogatorio 22.7.2010, AI 77).
Si può pertanto concludere – senza necessità di approfondimento, che competerà al giudice di merito – per l’esistenza di gravi e seri indizi di colpevolezza nei confronti del reclamante per il titolo di reato di omicidio intenzionale giusta l’art. 111 CP [secondo cui chiunque intenzionalmente uccide una persona è punito con una pena detentiva non inferiore a cinque anni (BSK Strafrecht II – C. SCHWARZENEGGER, 2. ed., art. 111 CP n. 2 ss.)].
Il reclamante ritiene peraltro pacifica la sussistenza di seri indizi di colpevolezza stanti le ammissioni
(reclamo 21/22.2.2011, p. 6).
La giurisprudenza e la dottrina inerenti al previgente diritto reputavano inoltre che, in presenza di un atto di accusa, salvo errori manifesti, gli indizi di reato erano da considerare presenti siccome impliciti nell’atto di accusa (decisione 14.10.2003 dell’allora giudice dell’istruzione e dell’arresto, inc. GIAR 1997.26802; M. RUSCA / E. SALMINA / C. VERDA, Commento del Codice di procedura penale ticinese, Lugano 1997, art. 103 CPP TI n. 13).
Principio che si può applicare anche in merito all’istituto della promozione dell’accusa ex art. 324 ss. CPP, assimilabile nei suoi effetti (deferimento davanti al competente giudice) all’emanazione di un atto di accusa giusta gli art. 199 ss. CPP TI.
Il fatto che l’1.2.2011 il magistrato inquirente abbia promosso l’accusa nei confronti di RE 1 per titolo di omicidio intenzionale
(ACC _) conforta ulteriormente – a questo stadio del procedimento – l’esistenza della prima condizione per ordinare la carcerazione di sicurezza giusta gli art. 229 ss. CPP.
5
. 5.1.
La carcerazione di sicurezza implica poi – cumulativamente all’esistenza di gravi indizi di reato (BSK StPO – M. FORSTER, art. 221 CPP n. 4) – che vi sia seriamente da temere che l’imputato: a. si sottragga con la fuga al procedimento penale o alla prevedibile sanzione; b. influenzi persone o inquini mezzi di prova, compromettendo in tal modo l’accertamento della verità; o c. minacci seriamente la sicurezza altrui commettendo gravi crimini o delitti, dopo aver già commesso in precedenza reati analoghi.
5.2.
5.2.1.
Il giudice dei provvedimenti coercitivi – facendo riferimento, come esposto, alla decisione 31.1.2011 di questa Corte – ha ritenuto che nel caso concreto fosse adempiuto il presupposto del pericolo di recidiva regolamentato dall’art. 221 cpv. 1 lit. c CPP.
5.2.2.
RE 1 contesta, con argomentazioni non differenti da quelle già proposte con reclamo 13.1.2011, che il disposto in questione sia applicabile al caso: il pericolo di recidiva individuato dal perito rimarrebbe circoscritto al verificarsi di eventi per loro natura rari e non frequenti nella vita di tutti i giorni, ciò che non giustificherebbe il mantenimento della carcerazione; farebbe inoltre difetto una base legale in quanto l’art. 221 cpv. 1 lit. c CPP esigerebbe la commissione, in precedenza, di reati analoghi.
5.2.3.
5.2.3.1.
Nel menzionato giudizio 31.1.2011 (p. 8 ss.) questa Corte ha anzitutto riportato quanto ritenuto nella precedente decisione 6.12.2010 (inc. CRP _) in capo al pericolo di recidiva, fondato sulla perizia psichiatrica (nella quale il perito dr. med. _ aveva indicato come RE 1 fosse affetto da una turba psichica nell’ambito di un disturbo della personalità di tipo narcisistico, con gravi tratti antisociali, e come, nel caso si fosse riprodotta una situazione che avesse confrontato l’imputato con il disturbo narcisistico – ovvero con la sua omosessualità che non poteva essere ammessa coscientemente – avrebbe potuto commettere nuovi reati dello stesso tipo). Ha di seguito constatato che la delucidazione della perizia giudiziaria il 7.12.2010 non aveva sostanzialmente modificato il contenuto del referto; anche le critiche alla perizia di cui alla consulenza peritale 28.12.2010, di parte, rispettivamente l’inizio di una psicoterapia non erano tali da mutare le predette conclusioni. Ha quindi concluso che – in fatto – non erano occorsi cambiamenti di rilievo tali da modificare quanto precedentemente reputato dalla Corte.
Ha, poi, esaminato le modifiche intervenute in diritto con l’entrata in vigore, l’1.1.2011, del Codice di procedura penale – CPP – del 5.10.2007. Ha in particolare esaminato l’art. 221 cpv. 1 lit. c CPP per determinare significato, portata ed implicazioni dei termini “
dopo aver già commesso in precedenza reati analoghi
”.
Questa Corte, dopo avere proceduto ad interpretare la norma, facendo capo, anche, al Messaggio ed al Rapporto esplicativo alla legge, è giunta alla conclusione che – stante lo scopo di prevenzione dell’art. 221 cpv. 1 lit. c CPP – un’interpretazione logica e teleologica della disposizione appariva prevalente rispetto a quella storica e letterale: il testo della norma era quindi da interpretare nel senso che per “
reati analoghi
” si dovessero intendere uno o più reati simili a quelli che seriamente erano temuti per la sicurezza altrui (in questi era compreso anche il reato per cui era pendente il procedimento, in quanto precedente a quelli temuti).
Ha reputato, sussumendo la norma al caso concreto, che era pacifico che RE 1 avesse commesso un crimine grave, che poteva essere considerato un reato analogo perpetrato in precedenza. L’esistenza di un referto peritale, proceduralmente prova a tutti gli effetti, rappresentava certo un elemento concreto che concorreva a fondare in modo serio una prognosi a sostegno del pericolo di recidiva. L’assenza di un secondo precedente analogo, unito ad un’interpretazione rigida letterale e storica, avrebbe impedito di perseguire lo scopo di prevenzione, realizzando il rischio di commissione di un crimine grave. Di conseguenza, anche in assenza di uno specifico secondo reato analogo, si doveva ammettere, in applicazione dell’art. 221 cpv. 1 lit. c CPP, l’esistenza di un pericolo di recidiva a carico dell’imputato.
5.2.3.2.
Il Tribunale federale, con giudizio 14.3.2011, ha ritenuto – respingendo il gravame 2/4.2.2011 dell’imputato – che, con riferimento all’interpretazione dell’art. 221 cpv. 1 lit. c CPP, si era in presenza di due differenti beni giuridici da proteggere: da una parte, la libertà personale del carcerato in attesa di giudizio e, dall’altra, la sicurezza pubblica. Ha aggiunto che la sicurezza pubblica non era meno compromessa dal pericolo serio e concreto che un imputato gravemente indiziato di un crimine o di un delitto minacciasse seriamente la sicurezza altrui commettendone altri, pericolo che in concreto derivava dal comportamento e dall’accertata turba psichica del ricorrente, che quando vi era seriamente da temere che chi aveva proferito la minaccia di commettere un grave crimine lo compisse poi effettivamente, come previsto dall’art. 221 cpv. 2 CPP. Ha continuato sottolineando che dalla perizia psichiatrica, dal relativo verbale di delucidazione e dagli accertamenti operati dalla Corte cantonale risultava chiaramente che la messa in libertà di RE 1 avrebbe costituito una minaccia grave, seria e concreta per la sicurezza pubblica. Dall’interpretazione sistematica e teleologica dell’art. 221 cpv. 1 lit. c CPP in relazione al suo cpv. 2 risultava la volontà del legislatore, precisata nel Messaggio, di tutelare in casi particolarmente gravi la sicurezza altrui prevenendo pericoli seri e concreti. Ha concluso ritenendo che, ricordati la situazione personale dell’imputato ed il suo rifiuto di sottoporsi al necessario trattamento psicoterapico di lunga durata, si era in presenza di un pericolo potenziale particolarmente intenso, grave e realistico, non altrimenti evitabile, se non con la carcerazione. Si era al cospetto di un crimine grave, in relazione al quale la perizia giudiziaria concludeva in determinate condizioni per un chiaro pericolo di recidiva. Appariva manifesto, considerate le specificità del caso, che il legislatore non intendesse, in simili circostanze, esporre ad un serio pericolo la sicurezza di altre persone. Decidere in senso contrario, tenuto conto della situazione psichica di RE 1, della sua imprevedibilità o aggressività, avrebbe significato esporre ad un rischio irresponsabile le vittime potenziali di nuovi, gravi atti di violenza. Era quindi decisiva la circostanza che la sicurezza altrui non fosse meno minacciata in questo caso che in quello previsto dalla fattispecie dell’art. 221 cpv. 2 CPP (decisione 14.3.2011, p. 8 s., considerandi 4.2. ss., inc. TF _). Ha precisato che questa conclusione non significava che “
(...) l’art. 221 cpv. 1 lett. c CPP possa indiscriminatamente essere applicato anche in assenza di reati pregressi, ma lo può essere solo con grande ritegno, in presenza di gravi crimini o delitti e di un pericolo serio e concreto per le potenziali vittime. Spetterà alla giurisprudenza delimitarne, di caso in caso, con particolare circospezione la sua applicazione, tenendo conto delle specificità delle singole, differenti fattispecie
” (decisione 14.3.2011, p. 9, considerando 4.5., inc. TF _).
5.2.3.3.
Questa Corte deve – ancora oggi – ribadire l’esistenza di un pericolo di recidiva in applicazione dell’art. 221 cpv. 1 lit. c CPP, per le medesime ragioni di cui alla sua sentenza 31.1.2011, fatte proprie dal giudice dei provvedimenti coercitivi in data 8.2.2011, e confermate dall’Alta Corte il 14.3.2011 (inc. TF _).
Si può pertanto integralmente rinviare – in applicazione della giurisprudenza del Tribunale federale (considerando 3.2.) – alle motivazioni della sentenza 31.1.2011 (inc. CRP _), riassunte al considerando 5.2.3.1.; le argomentazioni del reclamante avverso la sua carcerazione non differiscono peraltro da quelle già proposte in precedenza [“
Nonostante anche il reclamo a questa Corte non potrà avere esito differente, in attesa di una decisione del TF la difesa non si può risparmiare dal ribadire le proprie contestazioni in merito al mantenimento in regime di carcerazione preventiva / di sicurezza di RE 1. Di seguito verranno dunque riassunti e ribaditi i principali motivi di contestazione
”; “
(...) vengono qui ribadite le censure già sollevate dalla difesa nell’ambito delle pregresse procedure ricorsuali, (...)
” (reclamo 21/22.2.2011, p. 4)], già compiutamente evase.
La situazione psichiatrica del reclamante – che, come detto, sostanzialmente fonda il pericolo di recidiva – non è inoltre mutata in maniera importante rispetto alla citata decisione 31.1.2011.
Dal verbale di udienza preliminare 18.3.2011 davanti al giudice Marco Villa, presidente della Corte delle assise criminali, si evince invero che “
a domanda del presidente l’avv. PR 1 precisa che, per quanto gli consta sapere, dopo il rifiuto di ammissione al PCT del consulente psichiatrico privato ai fini dell’inizio di una terapia, il suo assistito ha incontrato in due occasioni il Dr. _. Non sa indicare se per un discorso generale o per scopi terapeutici. Il presidente verificherà
” (verbale di udienza 18.3.2011, p. 2).
Ora, anche nell’ipotesi in cui RE 1 avesse iniziato un trattamento terapeutico, esso sarebbe di recentissima attuazione.
E’ quindi inidoneo a scongiurare il pericolo di recidiva: il perito – sentito nel contesto della delucidazione del rapporto – ha ribadito “
(...) la presenza di un rischio di recidiva a carico di RE 1 (qualora si ritrovasse in una situazione analoga a quella del 22.08.2009) perché ci troviamo di fronte ad un’omosessualità dissintona unita ad un disturbo di personalità narcisistica. In particolare all’interno del disturbo di personalità sussiste la problematica dell’omosessualità dissintona che RE 1 deve negare perché narcisisticamente non sopportabile. Ecco perché, se RE 1 si trovasse dinnanzi ad un’avance omosessuale, esplicita, insistente e pubblica, rischia di “esplodere”
”(verbale di interrogatorio 7.12.2010, p. 10 s., AI 140). Ha riferito che la turba psichica dura tutta la vita e che, pur inguaribile, è curabile e gestibile. Ha reputato che “
(...) per migliorare a RE 1 sarebbe necessario (non solo sufficiente) un trattamento ambulatoriale. Sottolineo comunque che il percorso è lungo e complesso. Per prendere coscienza delle dinamiche intrapsichiche, RE 1 ha necessità di un trattamento a lungo termine. Detto al contrario e in modo semplicistico, non è sufficiente qualche seduta dallo psichiatra. Inoltre è necessario che l’accusato si faccia curare da un terapeuta esperto
” (verbale di interrogatorio 7.12.2010, p. 8, AI 140).
Il fatto che in data 1.2.2011 il procuratore pubblico abbia promosso l’accusa a carico di RE 1 deferendolo davanti alla competente Corte è ininfluente per la sua pericolosità. Non si vede infatti in che modo – stante la turba psichica – la circostanza di essere prossimi al giudizio osti al ricadere nell’illecito.
E’ quindi ammesso – quale condizione cumulativa all’esistenza di seri e gravi indizi di colpevolezza – un pericolo di recidiva.
6
. 6.1.
Questa Corte, accertati seri indizi di colpevolezza e un pericolo di recidiva, deve (BSK StPO – M. HÄRRI, art. 237 CPP n. 49) esaminare se possano entrare in discussione misure sostitutive.
6.2.
L’art. 212 cpv. 2 lit. c CPP prevede – in applicazione dei principi di proporzionalità e di sussidiarietà (
Commentario CPP, E. MELI, art. 212 CPP n. 2) – che
eventuali provvedimenti coercitivi privativi della libertà devono essere revocati (d’ufficio) non appena misure sostitutive consentono di raggiungere lo stesso obiettivo.
Tale assunto – esplicitato dall’art. 197 cpv. 1 lit. c CPP [secondo cui possono essere adottati provvedimenti coercitivi soltanto se: (...) c. gli obiettivi con essi perseguiti non possono essere raggiunti mediante misure meno severe] – è concretizzato dall’art. 237 CPP. Esso disciplina che il giudice competente ordini una o più misure meno severe in luogo della carcerazione preventiva o di sicurezza, se tali misure perseguono lo stesso obiettivo della carcerazione (cpv. 1).
Sono misure sostitutive segnatamente: a. il versamento di una cauzione; b. il blocco dei documenti d’identità o di legittimazione; c. l’obbligo di dimorare e rimanere in un luogo o edificio determinato, nonché il divieto di trattenersi in un luogo o edificio determinato; d. l’obbligo di annunciarsi regolarmente a un ufficio pubblico; e. l’obbligo di svolgere un lavoro regolare; f. l’obbligo di sottoporsi a un trattamento medico o a un controllo; g. il divieto di avere contatti con determinate persone (cpv. 2).
Per sorvegliare l’esecuzione di tali misure sostitutive, il giudice può disporre l’impiego di apparecchi tecnici e la loro applicazione fissa sulla persona da sorvegliare (cpv. 3).
L’obbligo di dimorare e rimanere in un luogo o edificio determinato (art. 237 cpv. 2 lit. c CPP) concerne il cosiddetto “
Hausarrest
”, che può essere associato alla sorveglianza elettronica (“
electronic monitoring
”) [BSK StPO – M. HÄRRI, art. 237 CPP n. 11 ss. / J. WEBER, art. 237 CPP n. 34 ss.]. L’art. 237 cpv. 3 CPP è la base legale della sorveglianza elettronica (
Commentario CPP, E. MELI, art. 237 CPP n. 7; Messaggio concernente l’unificazione del diritto processuale penale del 21.12.2005, p. 1140).
6.3.
RE 1 propone la sostituzione della carcerazione con, segnatamente, l’obbligo di risiedere al proprio domicilio, con o senza sorveglianza elettronica, provvedimento previsto dal CPP.
Si tratta di esaminare se gli arresti domiciliari con la “
presence monitoring
” – ovvero il controllo della presenza al domicilio (BSK StPO – J. WEBER, art. 237 CPP n. 36) – sono atti a scongiurare l’accertato pericolo di recidiva ed a sostituire la carcerazione di sicurezza, che deve essere ordinata e mantenuta soltanto quale
ultima ratio
(
M. HUG, Kommentar zur StPO, art. 237 CPP n. 1
).
Nel giudizio 31.1.2011 (p. 18 s.) questa Corte aveva ritenuto che il pericolo di recidiva non potesse essere adeguatamente impedito o escluso da un obbligo di dimorare al proprio domicilio. Aveva reputato, tra l’altro, che: “(considerando 7.3.)
L’adozione di misure sostitutive presuppone ovviamente che le stesse permettano di raggiungere gli stessi obiettivi della carcerazione preventiva. In quest’ottica occorre anche ponderare gli interessi contrapposti, tra la libertà personale del reclamante e la necessità di tutela della sicurezza altrui.
(considerando 7.4.)
Questa Corte ritiene che l’esistenza di un rischio di recidiva, come precedentemente ammesso, non possa essere adeguatamente impedito o escluso da un obbligo, imposto al reclamante, di dimorare e rimanere presso il proprio domicilio. E ciò anche ricorrendo alla sorveglianza elettronica. I fatti a fondamento del procedimento a carico del reclamante dimostrano come siano stati sufficienti pochissimi istanti perché, in ragione anche del disturbo diagnosticato e della realizzazione di una situazione di quelle a rischio (di recidiva), egli incorresse in un comportamento violento ed omicida su una persona. In simili circostanze, appare estremamente rischioso (come nel caso di una messa in libertà provvisoria), decretare l’obbligo di “arresti domiciliari”, come richiesto dal reclamante. Una violazione dell’obbligo, facilissima da realizzare, potrebbe essere riscontrata e rilevata solo dopo un certo lasso di tempo (e ciò anche in caso di applicazione di un braccialetto elettronico), ciò che non permetterebbe di scongiurare la realizzazione di un’eventuale situazione particolare nella quale il reclamante potrebbe riavere un raptus del tipo di quello che ha generato i fatti a fondamento del procedimento penale. Neppure può essere escluso, in assenza di una sorveglianza permanente diretta, che una situazione scatenante una possibile ricaduta possa avvenire nel perimetro delle mura domestiche. Nel presente caso, l’esigenza di prevenzione appare prevalente, e non sarebbe sufficientemente tutelata dalla misura sostitutiva proposta
”.
Queste motivazioni restano pertinenti ancora adesso. Infatti, come esposto al considerando 5.2.3.3., la situazione psichiatrica di RE 1, che determina il pericolo di recidiva, non si è modificata in modo rilevante rispetto alla decisione 31.1.2011.
Il reclamante sostiene invero, come già nel precedente reclamo 13.1.2011, che al suo domicilio non avrebbe modo di incontrare persone del proprio sesso che potrebbero fargli, in pubblico, delle avances di natura sessuale. In questo senso la detenzione in ambiente carcerario sarebbe addirittura molto meno efficace nel contenere il pericolo di recidiva. Sarebbe infatti in quotidiano contatto con persone di sesso maschile; la possibilità che una di esse possa fargli avances esplicite, insistenti e pubbliche sarebbe molto superiore rispetto all’ambiente domestico (dove non rischierebbe di essere esposto a questo genere di provocazioni).
L’Alta Corte, pur non avendo esaminato il tema delle misure sostitutive [“
(...) ricordato che sono o possono essere oggetto di esame da parte delle autorità cantonali
” (decisione 14.3.2011, p. 10, considerando 5.2., inc. TF _)], ha indicato – dopo avere rimproverato a questa Corte di avere motivato la reiezione di misure sostitutive anche con il fatto che la legislazione cantonale prevedeva gli arresti domiciliari soltanto per l’esecuzione di determinate pene, circostanza che nondimeno non reggeva siccome le misure sostitutive (comportando una restrizione meno grave della libertà personale rispetto alla carcerazione) si imponevano anche in assenza di una base legale esplicita – che “
(...) il ricorrente adduce che la possibilità di essere esposto a provocazioni omosessuali esplicite, insistenti e pubbliche da parte di persone di sesso maschile sarebbe superiore in carcere rispetto al suo ambiente domestico
”. Ha ritenuto dette critiche “
(...) non del tutto prive di fondamento (...)
”, pur segnalando che “
(...) non potrebbero essere tuttavia decisive nel quadro dell’esecuzione di un’eventuale pena privativa della libertà (...)
” (decisione 14.3.2011, p. 10, considerando 5.2., inc. TF _).
Ora, il fatto che – in carcere – il reclamante avrebbe maggiore possibilità, rispetto al suo domicilio, di essere esposto ad avances esplicite, insistenti e pubbliche non è sufficiente per concludere che, quindi, sarebbe meglio una misura sostitutiva. Il carcere, infatti, è pur sempre un ambiente controllato, nel senso che – a differenza del proprio domicilio, dove uno si atteggia come crede – impone un certo comportamento. E’ dunque ragionevole ritenere che l’ambiente carcerario esorti ad un autocontrollo.
La grave problematica psichiatrica di cui soffre RE 1 – così come accertata dal perito (considerando 5.2.3.3.) – appare di conseguenza, al momento attuale, meglio controllata nel contesto carcerario, proprio per la particolarità del medesimo.
Ci si potrebbe chiedere se l’eventuale obbligo di sottoporsi ad un trattamento medico (art. 237 cpv. 2 lit. f CPP) – associato agli arresti domiciliari ed alla “
presence monitoring
” – sia provvedimento atto a raggiungere gli obiettivi della carcerazione preventiva.
La risposta deve essere negativa. Il perito, come già detto, ha infatti indicato che “
(...) per migliorare a RE 1 sarebbe necessario (non solo sufficiente) un trattamento ambulatoriale. Sottolineo comunque che il percorso è lungo e complesso. Per prendere coscienza delle dinamiche intrapsichiche, RE 1 ha necessità di un trattamento a lungo termine. Detto al contrario e in modo semplicistico, non è sufficiente qualche seduta dallo psichiatra. Inoltre è necessario che l’accusato si faccia curare da un terapeuta esperto
” (verbale di interrogatorio 7.12.2010, p. 8, AI 140).
Il reclamante, dunque, allo stato odierno, non è in grado di controllare la sua malattia, che necessita di lungo trattamento.
Altre misure sostitutive atte a vincere il pericolo di recidiva non se ne vedono. Il reclamante si limita a proporre quanto già discusso (arresti domiciliari e controllo elettronico della presenza).
La carcerazione di sicurezza ordinata a carico di RE 1 non può perciò essere rimpiazzata da una misura sostitutiva.
7
. 7.1.
7.1.1.
Il reclamante rimprovera al giudice dei provvedimenti coercitivi di non essersi espresso sulla domanda del procuratore pubblico che aveva chiesto la carcerazione di sicurezza fino al termine del dibattimento rifacendosi alla prassi dell’allora Camera dei ricorsi penali. L’art. 229 CPP rinvierebbe, per quanto riguarda gli aspetti procedurali, all’art. 227 CPP disciplinante la proroga della carcerazione preventiva, il cui cpv. 7 prevedrebbe che “
la proroga della carcerazione preventiva è di volta in volta concessa al massimo per tre mesi, in casi eccezionali al massimo per sei mesi
”. Il CPP non indicherebbe termini massimi entro i quali, dopo l’emanazione dell’atto di accusa, debba essere aggiornato il dibattimento; la fase predibattimentale apparirebbe, secondo il nuovo diritto, anche più corposa. Non sarebbe pertanto affatto garantito che i termini giusta l’art. 227 CPP siano rispettati.
7.1.2.
Al considerando 2.3., al quale si rinvia, già si è detto che la carcerazione di sicurezza non è soggetta ad una durata prestabilita e quindi a proroga; l’applicazione dell’art. 227 CPP, al quale rimanda l’art. 229 cpv. 3 lit. b CPP, è infatti limitata alla procedura relativa alla domanda di messa in carcerazione.
Ciò è da ricondurre al fatto che, essendo stata promossa l’accusa, gli elementi indizianti ed i motivi alternativi necessari per l’adozione della misura sono reputati dati e non suscettibili di controllo ad intervalli regolari (Commentario CPP, E. MELI, art. 229 CPP n. 15).
Questa situazione non implica tuttavia che, dovessero venire meno i motivi di carcerazione, l’imputato debba restare detenuto.
L’art. 212 cpv. 2 CPP impone infatti che
eventuali provvedimenti coercitivi privativi della libertà vadano revocati (d’ufficio) non appena: a. i loro presupposti non sono più adempiuti; b. la durata prevista dal presente Codice o autorizzata dal giudice è scaduta; oppure c. misure sostitutive consentono di raggiungere lo stesso obiettivo. Le competenti autorità – ovvero segnatamente il magistrato inquirente e, dopo la promozione dell’accusa, il giudice – devono quindi costantemente esaminare, a prescindere da un’esplicita domanda dell’imputato, la sussistenza dei motivi di carcerazione (
U. WEDER, Kommentar zur StPO, art. 212 CPP n. 7).
In materia di carcerazione di sicurezza l’art. 230 CPP prevede esplicitamente che, nel procedimento di primo grado (art. 328 ss. CPP), l’imputato e il pubblico ministero possano presentare domanda di scarcerazione (cpv. 1); inoltre, previo accordo del pubblico ministero, la scarcerazione può essere ordinata anche di propria iniziativa da chi dirige il procedimento (cpv. 4 prima frase).
Il fatto che la carcerazione di sicurezza non sia
soggetta ad una durata prestabilita e pertanto a proroga, con la conseguenza che essa perduri,
riservata la scarcerazione giusta gli art. 230 o 233 CPP, fino
al giudicato della sentenza oppure fino all’inizio di una sanzione privativa della libertà (art. 220 cpv. 2 CPP), è dunque compatibile con il diritto dell’imputato di restare in libertà (art. 212 cpv. 1 prima frase CPP), ossia con il diritto a che possa essere sottoposto a provvedimenti coercitivi privativi della libertà soltanto entro i limiti del CPP (art. 212 cpv. 1 seconda frase CPP).
7.1.3.
Il giudice dei provvedimenti coercitivi, accogliendo l’istanza del procuratore pubblico senza indicare una durata precisa della privazione della libertà (in analogia a quanto invece prevede l’art. 227 cpv. 7 CPP), ha – formalmente – disposto correttamente la carcerazione di sicurezza del reclamante RE 1, che si protrarrà fino al giudicato della sentenza, all’inizio di una sanzione privativa della libertà o alla liberazione (art. 220 cpv. 2 CPP).
7.2.
Rimane da valutare se la carcerazione ordinata formalmente in maniera corretta rispetti, materialmente, il principio di proporzionalità secondo cui
la durata della carcerazione non può superare quella della pena detentiva presumibile (art. 212 cpv. 3 CPP) ed il principio di celerità.
7.2.1.
Nell’ottica del principio della proporzionalità, in relazione alla durata della carcerazione, il Tribunale federale ha stabilito un limite massimo, ritenendo eccessiva ogni carcerazione preventiva la cui durata complessiva superi quella della pena privativa della libertà che presumibilmente potrebbe essere inflitta dal giudice di merito. Si considera, nell’esame della proporzionalità della durata della carcerazione, la gravità dei reati oggetto del procedimento (decisione TF 1B_9/2011 del 7.2.2011, considerando 7.1.; BSK StPO – G. ALBERTINI / T. ARMBRUSTER, art. 212 CPP n. 12 ss.).
La carcerazione può inoltre essere problematica in caso di ritardo ingiustificato nel corso della procedura penale e quindi di violazione del principio di celerità (art. 5 CPP); la valutazione si effettua con riferimento alle circostanze concrete, in particolare, alla vastità e complessità dell’inchiesta, al comportamento dell’autorità penale e, anche, al comportamento dell’arrestato (decisione TF 1B_69/2011 del 4.3.2011, considerando 4.1.; BSK StPO – G. ALBERTINI / T. ARMBRUSTER, art. 212 CPP n. 16 ss.).
7.2.2.
RE 1 è stato arrestato l’11.5.2010; da allora si trova in carcerazione, preventiva prima e di sicurezza dall’8.2.2011, per l’ipotesi di reato di omicidio intenzionale giusta l’art. 111 CP, reato punito con una pena detentiva non inferiore a cinque anni.
Dal verbale di udienza preliminare 18.3.2011 davanti al giudice Marco Villa, presidente della competente Corte, si evince che l’avv. PR 1 si è impegnato a comunicargli le date in cui i consulenti medici di parte avrebbero potuto presenziare al processo, “
(...) affinché si possa indire in quei giorni il dibattimento e questo per i mesi di maggio, giugno e luglio 2011
”
(p. 2).
Ora, in considerazione del reato di cui l’imputato è accusato e dei relativi gravi fatti ascrittigli, si può ritenere che la presumibile pena nei confronti del reclamante sarà ampiamente superiore alla carcerazione fin qui sofferta ed ancora da soffrire, e questo anche nell’ipotesi in cui il dibattimento potesse avere luogo solo in luglio (momento in cui RE 1 avrà trascorso in carcere 14 mesi).
Il procedimento penale a suo carico è – inoltre – stato condotto nel rispetto del principio di celerità (art. 5 cpv. 2 CPP).
8
. Il gravame è respinto. Tassa di giustizia e spese sono poste a carico del reclamante, soccombente.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
7be1da4b-ca08-5da1-aedd-13df657cb447
|
in fatto: A.
Con decreto di accusa del 18 ottobre 2004 il Procuratore pubblico ha dichiarato RI 1 autore colpevole di conseguimento fraudolento di falsa attestazione per avere indotto il notaio _ T_ di L_, nonostante fosse stato reso attento delle conseguenze civili e penali di una falsa affermazione (art. 253 e 306 a 309 CP) e avesse giurato dinanzi a Dio di dire la verità e solo la verità, ad attestare in un brevetto del 22 maggio 2000 di avere presenziato a un incontro avvenuto a L_ tra _ G_ e _ B_, nell'ufficio del primo in via _, e di avere visto B_ consegnare a G_ una ricevuta per un mutuo di fr. 135
000.– debitamente firmata, mentre in realtà egli non aveva mai visto una ricevuta del genere. In applicazione della pena, il Procuratore pubblico ha proposto la condanna di RI 1 a 30 giorni di detenzione sospesi condizionalmente per 2 anni. Al decreto di accusa RI 1 ha sollevato opposizione il 23 novembre 2004, giustificando il ritardo di quest'ultima con problemi fisici e mentali, a comprova dei quali avrebbe presentato “prossimamente” la documentazione medica.
B.
Con sentenza del 16 dicembre 2004 il presidente della Pretura penale ha dichiarato l'opposizione inammissibile e il decreto di accusa passato in giudicato, accertando che RI 1 aveva reagito dopo il termine di 15 giorni previsto dagli art. 208 cpv. 1 lett. e 210 CPP, cominciato a decorrere il 21 ottobre 2004, il giorno dopo l'intimazione dell'atto. A parere del presidente, l'asserita impossibilità di inoltrare una tempestiva opposizione avrebbe dovuto essere provata e formulata, se mai, nell'ambito di un'istanza di restituzione del termine. Contro tale sentenza RI 1 ha esperito il 23 dicembre 2004 un ricorso per cassazione in cui chiede l'annullamento del pronunciato e il rinvio degli atti a un nuovo giudice della Pretura penale perché statuisca sulla tempestività dell'opposizione al decreto di accusa. Nelle sue osservazioni del 12 gennaio 2005 il Procuratore pubblico propone di respingere il ricorso.
C.
Lo stesso 23 dicembre 2004 RI 1 ha introdotto al Ministero pubblico un'istanza di restituzione in intero per essere reintegrato nel termine di opposizione al decreto di accusa. Con sentenza del 18 marzo 2005 il presidente della Pretura penale, cui l'istanza è stata trasmessa per competenza, l'ha respinta. RI 1 è insorto anche contro quest'ultima sentenza con un ricorso per cassazione del 1° aprile 2005 volto a ottenere l'annullamento della sentenza impugnata e il rinvio degli atti a un altro magistrato della Pretura penale per nuovo giudizio. Nelle sue osservazioni del 13 aprile 2005 il Procuratore pubblico conclude per il rigetto del ricorso.
|
Considerando
in diritto: I. Sul ricorso del 23 dicembre 2004
1.
Il ricorrente sostiene che, rimproverandogli di non avere presentato tempestiva opposizione al decreto di accusa, il primo giudice è caduto in arbitrio. Afferma che al momento in cui il decreto gli è stato notificato egli non era in grado di difendersi per le malattie che lo affliggevano, da arterioschlerosi a diabete mellito, da affezioni epatiche a vuoti di memoria. Solo il 23 novembre 2004, dopo avere ricevuto il 19 novembre 2004 dall'Ufficio del casellario giudiziale un avviso di recidiva che faceva riferimento al decreto di accusa del 18 ottobre 2004, egli si era reso conto della situazione e si era attivato senza indugio, inoltrando l'opposizione del 23 novembre 2004 in cui spiegava come mai il suo stato fisico e psichico non gli avesse consentito di tutelare subito i suoi diritti. E con l'opposizione egli aveva manifestato non solo la volontà di impugnare il decreto di accusa, ma anche quella di ottenere la restituzione del termine (15 giorni) previsto dall'art. 208 cpv. 1 lett. e CPP. Il 13 dicembre 2004 gli è poi stato rilasciato il certificato medico annesso al ricorso, che tuttavia – egli sottolinea – non gli è stato possibile esibire al presidente della Pretura penale, avendogli questi nel frattempo intimato la sua decisione.
2.
Dagli atti risulta che con lettera del 23 novembre 2004 il ricorrente ha comunicato al Ministero pubblico di opporsi al decreto di accusa del 18 ottobre 2004, impegnandosi a giustificare il ritardo dell'opposizione con certificati attestanti i suoi problemi fisici e mentali (act. 13). Il presidente della Pretura penale, cui l'opposizione è stata trasmessa insieme con gli atti, ha accertato che il decreto di accusa era stato notificato il 20 ottobre 2004, sicché ha dichiarato l'opposizione tardiva, l'ultimo giorno utile essendo decorso il 4 novembre 2004 (art. 208 cpv. 1 lett. e CPP). Quanto alla pretesa impossibilità di inoltrare tempestiva opposizione, come detto, egli ha rilevato che ciò avrebbe dovuto essere dimostrato nel quadro di un'istanza per ottenere la restituzione del termine.
a)
Che l'accusato non abbia rispettato il termine di 15 giorni previsto dall'art. 208 cpv. 1 lett. e CPP per introdurre opposizione è indubbio. Il decreto di accusa gli è stato recapitato il 20 ottobre 2004, sicché il termine di impugnazione è cominciato a decorrere – come ha accertato il primo giudice – l'indomani ed è scaduto infruttuoso il 4 novembre 2004. Inoltrata solo il 23 novembre successivo, l'opposizione era quindi manifestamente tardiva. Ciò non abilitava tuttavia il presidente della Pretura penale a dichiarare definitivo il decreto di accusa. A ragione il ricorrente sottolinea in effetti di non essersi limitato a sollevare opposizione, ma di avere anche giustificato i motivi del ritardo con problemi fisici e mentali, impegnandosi a produrre la relativa documentazione medica. Così facendo, egli ha implicitamente chiesto che la sua opposizione fosse considerata ammissibile, non essendo egli responsabile della remora. E in simili circostanze l'atto andava considerato come istanza di restituzione in intero giusta l'art. 21 CPP, il quale stabilisce che un termine scaduto infruttuoso può essere restituito ove la parte o il suo patrocinatore provi di non aver potuto osservare la scadenza perché impedita senza colpa o per forza maggiore, segnatamente per malattia, assenza scusabile, servizio pubblico o militare o per altre ragioni importanti.
b)
È vero che nell'istanza l'accusato non rendeva verosimile né di avere patito le affezioni dichiarate né, tanto meno, di avere agito entro dieci giorni dalla cessazione dell'impedimento (art. 22 cpv. 1 CPP). Il presidente della Pretura penale non poteva tuttavia, per questo solo fatto, ignorare la richiesta e rinviare l'interessato a far valere le sue ragioni in una procedura ulteriore. Tanto meno ove si pensi che l'art. 22 cpv. 1 CPP impone – appunto – di postulare la restituzione del termine, “pena la decadenza”, entro dieci giorni dalla cessazione dell'impedimento (venuto meno, in concreto, non dopo il 23 novembre 2004). Nelle circostanze descritte il primo giudice avrebbe dovuto assegnare all'istante, sprovvisto di avvocato, un termine per rendere verosimile la fondatezza della domanda e l'introduzione della medesima nei dieci giorni successivi alla cessazione dell'impedimento. Dichiarando definitivo il decreto di accusa senza considerare i motivi (di sua competenza: art. 22 cpv. 2 CPP) fatti valere dall'opponente per giustificare il ritardo, egli è incorso in un diniego formale di giustizia che comporta l'annullamento della decisione impugnata. In accoglimento del ricorso, gli atti devono di conseguenza essere rinviati a un altro giudice della Pretura penale perché statuisca sulla restituzione in intero del termine implicitamente proposta dall'accusato al momento di sollevare opposizione.
II. Sul ricorso del 1° aprile 2005
3.
Il ricorrente impugna anche la decisione del 18 marzo 2005 con cui il presidente della Pretura penale ha respinto l'istanza di restituzione in intero da lui presentata al Ministero pubblico il 23 dicembre 2005. Egli lamenta di soffrire da tempo, tra l'altro, di vuoti di memoria, come attesta un certificato medico del 13 dicembre 2004 rilasciato dal dott. _ S_ di C_ (doc. C), che lo ha in cura dal 22 ottobre 1993 e che lo ha visitato il 22 ottobre 2003, il 14 novembre 2003, il 27 novembre 2003, l'11 dicembre 2003, il 16 gennaio 2004, il 10 dicembre 2004, il 12 gennaio e il 21 gennaio 2005 (documentazione annessa alle “contro-osservazioni” del 17 febbraio 2005 alla Pretura penale). Egli fa valere che le sue amnesie sono confermate altresì dall'estratto conto emesso dalle A_ _ di L_ (pure accluso alle “contro-osservazioni” citate), dal quale risulta come dal 1998 in poi egli abbia pagato le fatture con grandi ritardi, al punto di vedersi sospendere tre volte l'erogazione di energia elettrica. Anche il canone di locazione di fr. 200.– mensili, egli soggiunge, è stato pagato soltanto saltuariamente, a ulteriore dimostrazione del suo disordine mentale.
a)
Il presidente della Pretura penale ha respinto la restituzione del termine con l'argomento che nessuna prova suffragava uno stato di salute tanto compromesso da impedire all'istante di valutare la situazione e di opporsi tempestivamente al decreto di accusa. A suo avviso, i documenti prodotti con le “contro-osservazioni” del 17 febbraio 2005 confortano se mai la sregolatezza e l'incostanza con cui l'istante ha eseguito molti pagamenti, così come le sporadiche e irregolari visite mediche cui egli si è sottoposto, ma nulla dimostrano circa il preteso disordine mentale che lo avrebbe afflitto al momento di ricevere il decreto di accusa. Niente di anormale era poi emerso durante i suoi interrogatori in polizia e davanti al Procuratore pubblico, onde l'infondatezza della domanda.
b)
La valutazione delle prove testé riassunta potrebbe anche, di per sé, risultare sostenibile. Il problema è che essa poggia solo su una parte degli atti processuali. Il presidente della Pretura penale si è limitato infatti a menzionare il certificato medico dell'11 febbraio 2005, che riporta le visite mediche cui l'istante si è sottoposto tra il 22 ottobre 2003 e il 21 gennaio 2005, e l'estratto conto delle A_ _ di L_ con le registrazioni dal luglio del 1998, trascurando l'altro certificato medico del 13 dicembre 2004 in cui il dott. _ S_ attestava di avere in cura il paziente dal 20 ottobre 2003 e ricordava la sua diagnosi conseguente ai disturbi visivi, ai dolori addominali, ai disturbi urinari, alla stanchezza e ai vuoti di memoria accusati dal paziente: diabete mellito non insulino-dipendente, ipertensione arteriosa, steatosi epatica, dislipidemia e arterioschlerosi. Ignorando tale documento, il primo giudice ha sorvolato su un mezzo di prova che non poteva dirsi d'acchito senza rilievo nel contesto di un'istanza volta alla restituzione di un termine per impedimento ad agire dovuto a malattia. Inficiata di un diniego di giustizia formale, la decisione impugnata deve dunque essere annullata già per motivi d'ordine, indipendentemente da quella che potrebbe essere la sua fondatezza nel merito. Anche in questo caso, pertanto, in accoglimento del ricorso gli atti devono essere rinviati a un altro giudice della Pretura penale perché statuisca di nuovo sull'istanza di restituzione in intero proposta il 23 dicembre 2004. A meno, evidentemente, che il giudice accolga già la restituzione in intero del 23 novembre 2004, nel qual caso essa andrà dichiarata senza oggetto.
4.
Il ricorrente si duole anche del fatto che il primo giudice abbia respinto a torto le sue critiche per la mancata designazione di un difensore d'ufficio nella fase istruttoria del procedimento, sostenendo che ciò ha pregiudicato i suoi diritti di difesa. La censura esula dai limiti dell'attuale giudizio, il cui oggetto verte solo sull'istanza di restituzione del termine. Invero il ricorrente afferma che la mancata designazione di un difensore d'ufficio gli ha impedito di tutelare i suoi interessi anche dopo la notifica del decreto di accusa, ma la questione è priva d'oggetto, dato che – come si è visto – in cassazione egli ottiene causa vinta e davanti al nuovo giudice egli potrà addurre tutti i suoi argomenti e i mezzi di prova ritenuti idonei per essere reintegrato nel termine di opposizione.
III. Sulle spese e sulle ripetibili
5.
Dato l'esito dei ricorsi, gli oneri del giudizio odierno vanno a carico dello Stato, che rifonderà al ricorrente un'equa indennità di fr. 1500.– complessivi per ripetibili (art. 15 cpv. 2 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,005 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
7c009d4f-b247-5501-92dd-38de96a5018f
|
in fatto
a.
Con sentenza 23.02.2015 la Corte delle assise criminali di Lugano, con altri sette coimputati, ha riconosciuto RE 1 autore colpevole di ricettazione qualificata (in parte tentata), truffa, appropriazione indebita, trascuranza degli obblighi di mantenimento, ripetuta falsità in documenti e lo ha condannato alla pena detentiva di 16 mesi (a valere quale pena unica), da dedursi il carcere preventivo sofferto, a valere quale pena parzialmente aggiuntiva alla pena detentiva di 14 mesi inflittagli con sentenza 1.09.2009 della Corte delle assise correzionali (inc. TPC 72.2014.132/74/154/6).
Questo giudizio è passato in giudicato.
La Corte delle assise criminali ha altresì disposto in data 23.02.2015 il mantenimento di RE 1 in carcere di sicurezza sino al 23.05.2015.
b.
Il 7.05.2015 il giudice dei provvedimenti coercitivi, sedente in materia di applicazione della pena, ha ordinato il collocamento di RE 1 in sezione chiusa, avendo concluso per l’esistenza di un concreto pericolo di fuga (decisione di collocamento iniziale 7.05.2015, allegato 1, inc. GPC _).
c.
L’esecuzione della pena, formalmente iniziata il 23.02.2015, dedotti 147 giorni di carcerazione preventiva e di sicurezza, è giunta al primo terzo il 9.03.2015, alla metà pena il 28.05.2015 e ai due terzi il 17.08.2015. La fine pena è prevista al 28.01.2016 (decisione di collocamento iniziale 7.05.2015, allegato 1, inc. GPC _).
d.
Con scritto 12.06.2015 RE 1 ha fatto istanza per ottenere il trasferimento in sezione aperta, visti la decorrenza del termine richiesto e degli asseriti problemi di salute come pure vista la sua intenzione di riprendere un lavoro atto a sostentarlo (allegato 5, inc. GPC _).
e.
Avvicinatosi nel contempo il termine dei due terzi dell’esecuzione della pena, il giudice dei provedimenti coercitivi ha provveduto a dare avvio alla procedura per statuire sulla liberazione condizionale.
Dopo aver raccolto e preso atto dei preavvisi delle autorità interessate ed avere sentito RE 1 in udienza il 10.07.2015, il giudice dei provvedimenti coercitivi in data 22.07.2015, riassunti i fatti e ricordata la giurisprudenza applicabile, ha respinto la richiesta di trasferimento in Sezione aperta ed ha rifiutato la concessione della liberazione condizionale.
Il giudice, in buona sostanza, pur considerato il buon comportamento di RE 1 in carcere sia sul lavoro che nei confronti dei codetenuti e del personale di custodia, ha ritenuto essere in concreto dato un pericolo di fuga e un pericolo di recidiva, che ostano al trasferimento in Sezione aperta. In particolare il giudice ha valutato il pericolo di fuga tenendo conto della doppia cittadinanza (svizzera e italiana) di RE 1, della sua lunga e prevalente residenza all’estero (_e _) negli ultimi anni, del fatto che solo poche settimane prima del suo arresto egli aveva sottoscritto un contratto di locazione di un appartamento a _ (poi fatto sgomberare mentre era in carcere a seguito del mancato pagamento della relativa pigione), della residenza all’estero della sua attuale compagna e del di lei figlio con i quali egli ha contatti regolari ed ha intenzione di ri-unirsi. La disponibilità del fratello ad ospitarlo presso il suo appartamento di _, il magistrato, non lo ha considerato un elemento sufficiente a scongiurare detto pericolo di fuga. Per quanto attiene al rischio di recidiva il giudice ha concluso per una prognosi sfavorevole, stante che il qui reclamante ha ripreso a delinquere (per reati per i quali aveva già subito due condanne nel 2005 e nel 2009) nel periodo di prova della liberazione condizionale concessagli l’1.11.2012. Conclusione questa non sovvertita, secondo la valutazione del magistrato, dalla disponibilità del fratello ad ospitarlo nel proprio appartamento e nemmeno dalla dichiarazione di un’impresa edile _, presso cui lavora già il fratello, disposta ad assumerlo.
Le medesime considerazioni di cui sopra, il giudice dei provvedimenti coercitivi le ha poste alla base del suo rifiuto della liberazione condizionale dalla pena che RE 1 sta attualmente espiando. In particolare il giudice ha formulato una prognosi negativa circa il pericolo di recidiva, viste le precedenti condanne che non avrebbero funto sul reclamante da deterrente come pure vista la di lui situazione personale così che il magistrato non intravvederebbe un miglioramento tale da far ipotizzare un comportamento diverso da quello tenuto in passato. Ciò pur avendo ritenuto il buon comportamento in detenzione (tranne che per una sanzione disciplinare) e i di lui buoni intenti.
f.
Con reclamo 3/4.08.2015 RE 1 insorge contro la decisione 22.07.2015 del giudice dei provvedimenti coercitivi postulando
−
in via principale
−
di essere posto al beneficio della liberazione condizionale con effetto dal 17.08.2015, e
−
in via subordinata
− di essere trasferito in Sezione aperta con effetto immediato.
Riassunti i fatti sottolinea il lavoro svolto in modo affidabile, puntuale, responsabile e preciso dal febbraio 2015 presso il laboratorio targhe del penitenziario ed evidenzia come egli sia in grado “
di relazionarsi con tutte le figure professionali con cui viene in contatto e anche con i co-detenuti
” (reclamo 3/4.08.2015, p. 2).
Del preavviso rilasciato dall’Ufficio dell’assistenza riabilitativa rileva come sia positivo circa il trasferimento in tempi brevi in Sezione aperta, purché il lavoro all’esterno non abbia a che fare con attività legate alla compravendita di auto. Ciò che non sarebbe il caso, visto che egli avrebbe trovato un’impresa di costruzione del luganese disposta ad assumerlo. Per quanto riguarda il parere negativo espresso dall’Ufficio circa la liberazione condizionale il reclamante osserva come lo stesso sia stato dato senza aver preso atto della sentenza di condanna e senza specificare in che modo egli avrebbe abusato della fiducia in lui riposta dal giudice dei provvedimenti coercitivi.
Del preavviso negativo dato dalla Direzione delle Strutture carcerarie rileva come lo stesso si sia basato sulle motivazioni espresse dal giudice dei provvedimenti coercitivi al momento della decisione sul collocamento iniziale in carcere chiuso, senza aver tenuto conto degli “
importanti cambiamenti che sono nel frattempo subentrati (come l’aver trovato un lavoro e la possibilità di soggiornare in Ticino presso il fratello)
” (reclamo 3/4.08.2015, p. 3).
Infine pone in risalto il preavviso favorevole del Servizio medico delle Strutture carcerarie, così che “
nulla si oppone pertanto al suo rilascio neppure dal punto di vista medico
” (feclamo 3/4.08.2015, p. 3).
Contesta vi sia un concreto ed attuale pericolo di fuga, evidenziando da un lato il fatto che, pur trovandosi all’estero e conscio che poteva venire arrestato, egli, venuto a conoscenza del bisogno degli inquirenti di interrogarlo, si è spontaneamente presentato al Ministero pubblico. Dall’altro lato pone in risalto la concreta possibilità di essere assunto da una rinomata ditta ticinese attiva nell’ambito dell’edilizia che gli offrirebbe “
un lavoro serio e ben remunerato
” che gli permetterebbe “
di trovare una stabilità economica e personale
” (reclamo 3/4.08.2015, p. 7). Opportunità questa che si vedrebbe sfumare se dovesse attendere la fine pena prevista a fine gennaio 2016, così che il pericolo di recidiva sarebbe maggiore al suo rilascio definitivo anziché a questo stadio. Ribadisce la volontà di reinserirsi professionalmente e socialmente in Ticino, paese dove è cresciuto ed ha frequentato le scuole dell’obbligo, dove vivono il fratello (disposto ad ospitarlo dopo il rilascio finché RE 1 non trova una soluzione abitativa autonoma) e la madre, con i quali “
ha sempre mantenuto rapporti stabili e uno stretto legame affettivo
” (reclamo 3/4.08.2015, p. 8) e dove, già prima del suo arresto, aveva preso in locazione un appartamento a _ “
dove è andato a vivere con il figlio della compagna
(residente in ucraina, ndr)
in attesa che anche lei li raggiungesse nelle settimane seguenti
” (reclamo 3/4.08.2015).
Contesta altresì il pericolo di recidiva, sottolineando che la violazione del periodo di prova a suo tempo comminatogli “
è dovuta unicamente al fatto di non aver continuato a versare gli alimenti fissati nel lontano 2006 dalla Pretura di _
” (reclamo 3/4.08.2015, p. 9) a favore della figlia avuta dalla moglie, da cui è separato da anni. Un reato dunque che “
non ha nulla a che vedere con un comportamento criminale e non mostra in alcun modo una dedizione particolare a violare le norme
” (reclamo 3/4.08.2015, p. 9). Ad ogni modo con un’entrata fissa mensile garantitagli dalla prospettata attività lavorativa egli potrebbe, a suo avviso, pagare regolarmente anche tale contributo e “
in questo senso non vi sarebbe più recidiva per il reato di trascuranza
(degli)
obblighi alimentari
” (reclamo 3/4.08.2015, p. 9). Con riguardo agli altri reati per i quali egli si trova in espiazione di pena, osserva che gli stessi risalgono al 2008/2009, mentre i nuovi reati “
gli stessi sono legati a pasticci finanziari per la sua attività indipendente legata alla compravendita di automobili
”. L’impiego ora prospettatogli consisterebbe in un’attività lavorativa regolare a tempo pieno da dipendente in un settore totalmente differente da quello precedentemente svolto, ciò che escluderebbe il pericolo di recidiva.
Infine, vista la sua assenza dei mezzi finanziari necessari ad assumere gli oneri procedurali nonché quelli della difesa nella presente procedura e ritenuto che, a suo avviso, il reclamo solleva diverse censure giuridiche che consentirebbero di pensare ad un esito favorevole, postula di essere posto al beneficio dell’assistenza giudiziaria e del gratuito patrocinio.
g.
Con scritto 12/13.08.2015 il giudice dei provvedimenti coercitivinon formula osservazioni particolari circa le argomentazioni di merito esposte nel reclamo.
Con riguardo alla richiesta di assistenza giudiziaria e di gratuito patrocinio egli rileva soltanto che il caso in esame non presenta difficoltà giuridiche e/o fattuali tali da necessitare l’assistenza di un legale.
h.
Con osservazioni di replica 19.08.2015 RE 1, produce una copia del Piano di esecuzione della sanzione penale allestito nell’agosto 2015, e, rilevato come nello stesso sia contemplato il regime progressivo (che implica la concessione del primo congedo, il collocamento in Sezione aperta, il regime di lavoro esterno e la liberazione condizionale), chiede che venga immediatamente dato avvio allo stesso. Al proposito osserva di aver presentato il 30.07.2015 domanda di primo congedo al giudice dei provvedimenti coercitivi, attualmente in sospeso in attesa dell’esito della presente procedura.
Per quanto attiene alla sua richiesta di assistenza giudiziaria e di gratuito patrocinio ribadisce come nel presente gravame sono state poste “
diverse censure giuridiche che il detenuto non era in grado di sollevare autonomamente e che consentono di pensare ad un esito favorevole della procedura
” (replica 19.08.2015, p. 2).
|
in diritto
1
. 1.1.
Il Codice di diritto processuale penale svizzero (Codice di procedura penale, CPP), all'art. 439 cpv. 1 CPP, lascia ai Cantoni la facoltà di designare le autorità competenti per l'esecuzione delle pene e delle misure e di stabilire la relativa procedura.
L'art. 10 cpv. 1 della Legge sull'esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti del 20.4.2010 (LEPM) conferisce al giudice dell'applicazione della pena − in Ticino dall’1.01.2011 al nuovo giudice dei provvedimenti coercitivi giusta l'art. 73 LOG − la competenza, fra l'altro, di adottare le decisioni relative alla liberazione condizionale da una pena detentiva (lit. j).
Contro tali decisioni è data facoltà al condannato e al Ministero pubblico di interporre reclamo ai sensi degli art. 393 ss. CPP presso la Corte dei reclami penali (art. 12 cpv. 1 lit. b LEPM).
Con il reclamo si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l'eccesso e l'abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l'accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e l'inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
La prevalenza dei principi della verità materiale e della legalità impone alla giurisdizione di reclamo, investita di un gravame, di decidere indipendentemente dalle conclusioni o dalle motivazioni addotte dalle parti, applicando il diritto penale, che deve imporsi d’ufficio (Commentario CPP – M. MINI, art. 391 CPP n. 2; cfr., anche,
sentenze TF 6B_69/2014 del 9.10.2014 consid. 2.4.; 6B_776/2013 del 22.07.2014 consid. 1.5.; 1B_460/2013 del 22.01.2014 consid. 3.1;
1B_768/2012 del 15.01.2013 consid. 2.1.).
Il reclamo deve essere presentato entro 10 giorni per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta e all’art. 385 CPP per la motivazione. In particolare la persona o l’autorità che lo interpone deve indicare i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP).
1.2.
Inoltrato il 3/4.08.2015 alla Corte dei reclami penali contro la decisione 22.07.2015 del giudice dei provvedimenti coercitivi (inc. GPC _ e _), notificata il 23.07.2015, il gravame è tempestivo oltre che proponibile, giusta l’art. 12 cpv. 1 lit. b LEPM.
Le esigenze di forma e di motivazione sono rispettate.
RE 1 quale condannato, destinatario della decisione impugnata, è pacificamente legittimato a reclamare ex art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica del giudizio.
Il reclamo è, di conseguenza, ricevibile in ordine.
2.
2.1.
Giusta l'art. 76 CP le pene detentive sono scontate in un penitenziario chiuso o aperto (cpv. 1). Il detenuto è collocato in un penitenziario chiuso o in un reparto chiuso di un penitenziario aperto se vi è pericolo che si dia alla fuga o vi è da attendersi che commetta nuovi reati (cpv. 2).
L’art. 75a cpv. 2 CP stabilisce inoltre che “
per regime aperto si intende un’espiazione della pena tale da essere meno restrittiva della libertà, in particolare il trasferimento in un penitenziario aperto, la concessione di congedi, l’autorizzazione del lavoro o alloggio esterni e la liberazione condizionale
”.
2.2.
Interpretato
e contrario
il testo dell’art. 76 cpv. 2 CP, si ha che di regola il detenuto deve essere collocato in un penitenziario aperto (ove si intende uno stabilimento “aperto” o “semiaperto”), a meno che sussita il pericolo che egli si dia alla fuga oppure vi sia il rischio che egli commetta nuovi reati.
In altre parole, è sufficiente che sia adempiuto uno di questi due criteri (unici criteri determinanti) per ordinare il collocamento di un detenuto in un penitenziario chiuso o in un reparto chiuso di un penitenziario aperto. Il rischio di fuga e il rischio di recidiva non devono essere realizzati cumulativamente (cfr. Messaggio concernente la modifica del Codice penale svizzero del 21.09.1998, pubblicato in FF 1999 p. 1669 ss., p. 1793; BSK Strafrecht I – B.F. BRÄGGER, 3a. ed., art. 76 CP n. 8).
A livello cantonale
−
oltre l’applicazione del Concordato sull’esecuzione delle pene privative di libertà e delle misure concernenti gli adulti e i giovani adulti nei cantoni latini del 10.04.2006 (Concordato latino sulla detenzione penale degli adulti)
−
l'art. 19 del Regolamento sull'esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti del 6.03.2007 (REPM, in vigore dal 9.03.2007), relativo al regime ordinario, stabilisce che l'esecuzione della pena in uno stabilimento chiuso, ossia in uno stabilimento in cui le misure di sicurezza sono elevate, è la forma di esecuzione ordinaria quando al detenuto non possono essere concesse altre forme di esecuzione in grado di evitare in particolare la fuga o pericoli a terzi (cpv. 1).
L'esecuzione della pena avviene ininterrottamente nello stabilimento. Il trattamento, che ha come scopo finale il reinserimento sociale, è fondato su una graduale concessione di libertà tendente alla responsabilizzazione progressiva del carcerato, sulla base di un piano individuale di esecuzione della pena (cpv. 2).
Il cpv. 3 della medesima norma prevede inoltre la possibilità per il condannato di espiare la pena privativa della libertà, in maniera totale o parziale, in uno stabilimento aperto (ossia in una struttura che dispone di misure di sicurezza ridotte per quanto concerne l'organizzazione, il personale e la costruzione) se questa sua collocazione non provoca pericoli alla comunità, evita il ripetersi di azioni delittuose e non vi è rischio di fuga.
Infine l'art. 3 del Regolamento delle strutture carcerarie del Cantone Ticino del 15.12.2010, in vigore dall'1.01.2011, precisa che il carcere penale “La Stampa” è, tra l’altro, destinato all’incarcerazione di persone maggiorenni poste in esecuzione di pena o di misura o di internamento (cpv. 3 lit. a). Esso stabilisce inoltre che sono strutture chiuse “La Farera” e “La Stampa” (cpv. 4) mentre “Lo Stampino” e il “Navarazz” sono strutture aperte (cpv. 5). Queste ultime sono in particolare destinate all'incarcerazione di: a) persone in esecuzione di pene eseguite in regime di lavoro esterno; b) persone in esecuzione di pene eseguite in forma di semiprigionia; c) persone in esecuzione di pene di breve durata eseguite per giorni; d) persone in esecuzione di pena che non presentano un rischio di fuga e per le quali non vi è da attendersi che commettano nuovi reati (cpv. 6).
La persona incarcerata viene ammessa al regime ordinario qualora motivi di sicurezza non vi si oppongano (art. 40 cpv. 1 prima frase).
2.3.
Con quale intensità debba sussistere il pericolo di fuga o il rischio che il detenuto commetta nuovi reati posto dall'art. 76 cpv. 2 CP, non può essere espresso in generale e in astratto ma dipende dalle circostanze. Tali due criteri, come visto più sopra, non sono cumulativi
(Messaggio concernente la modifica del Codice penale svizzero del 21.09.1998, op. cit., p. 1793).
Per ammettere l'esistenza di un pericolo di fuga o di recidiva non occorre certamente che siano state intraprese manovre concrete in tal senso, bensì è sufficiente che sia riconoscibile l'esistenza di detti rischi (BSK Strafrecht I
−
B. F. BRÄGGER, op. cit., art. 77b CP n. 9).
2.3.1.
Conformemente alla giurisprudenza federale il rischio di fuga deve essere valutato in considerazione dell’insieme delle circostanze proprie al detenuto, quali per esempio le sue condizioni di vita (“
Lebensumstände
”), i legami familiari (“
familiäre Bindungen
”), la sua situazione professionale e finanziaria (“
berufliche und finanzielle Situation
”), nonché le sue relazioni all’estero (“
Kontakte zum Ausland
”). Infatti non si può concludere sull’esistenza di questo rischio solo sulla base di una possibilità astratta di fuga. Occorre piuttosto che vi sia una certa probabilità, fondata su concreti motivi, che il detenuto posto in libertà si sottragga all’esecuzione della pena, dandosi alla fuga (sentenze TF 6B_432/2012 del 26.10.2012, consid. 3.; 6B_254/2012 del 18.06.2012 consid. 3.; 6B_577/2011 del 12.01.2012 consid. 2.1. e 2.2.). Il
quantum
della pena che gli resta da espiare da solo non basta per ammettere il rischio di fuga. Può tuttavia essere considerato, unitamente ad altre circostanze, quale indizio di una possibile fuga (sentenza TF 6B_432/2012 del 26.10.2012 consid. 3.; DTF 125 I 60). Un rischio acuto di fuga viene ammesso in special modo dalla dottrina, quando l’interessato non intrattiene in Svizzera una rete di relazioni, ovverossia quando egli non dispone di legami con il nostro paese. Ciò che di principio viene presunto per i cosiddetti turisti del crimine (“
Kriminaltouristen
”) e per i condannati senza un valido permesso di soggiorno o di domicilio (
BSK Strafrecht I
−
B. F. BRÄGGER, op. cit., art. 76 CP n. 4).
2.3.2.
Per quanto attiene al pericolo di recidiva il testo di legge non richiede espressamente, che i reati di cui si teme la reiterazione siano di una determinata gravità. Occorre tuttavia ragionevolmente partire da tale presupposto (BSK Strafrecht I
−
B. F. BRÄGGER, op. cit., art. 77b CP n. 9). Infatti per la dottrina detti reati devono essere di una certa rilevanza, stante che nel pericolo di recidiva non entra in considerazione la (prospettata) commissione di semplici contravvenzioni (S. TRECHSEL et al., Schweizerisches StGB, Praxiskommentar, art. 76 CP nota 3).
3.
3.1.
In generale, l'art. 86 cpv. 1 CP stabilisce che quando il detenuto ha scontato i due terzi della pena, ma in ogni caso almeno tre mesi, l'autorità competente lo libera condizionalmente se il suo comportamento durante l'esecuzione della pena lo giustifica e non si debba presumere che commetterà nuovi crimini o delitti.
L'autorità competente esamina d'ufficio se il detenuto possa essere liberato condizionalmente. Chiede a tal fine una relazione alla direzione del penitenziario. Il detenuto deve essere sentito (art. 86 cpv. 2 CP). Se non concede la liberazione condizionale, l'autorità competente riesamina la questione almeno una volta all'anno (art. 86 cpv. 3 CP).
3.2.
La concessione della liberazione condizionale è dunque subordinata a tre condizioni: il detenuto deve innanzitutto aver espiato buona parte della propria pena privativa della libertà (per l'art. 86 cpv. 1 CP i due terzi della pena ed almeno tre mesi), secondariamente il suo comportamento durante l'esecuzione della pena non deve opporvisi, infine non vi dev’essere il timore che egli commetta nuovi crimini o delitti (A. BAECHTOLD,
Exécution des peines
, p. 257, n. 4).
La liberazione condizionale è una modalità d'esecuzione della pena detentiva.
Non costituisce né un diritto, né un favore, né un atto di clemenza o di grazia che il detenuto è libero di accettare o di rifiutare (DTF 101 Ib 452 consid.
1; StGB PK – S. TRECHSEL, art. 86 CP n. 2 e 12; CR CP I – A. KUHN, art. 86 CP n. 16).
Si tratta della quarta ed ultima fase del regime progressivo d'espiazione della condanna, prima della liberazione definitiva (DTF 133 IV 201 consid. 2.3; 124 IV 193 consid. 4d; 119 IV 5 consid. 2; PRA 6/2000, p. 534). Abbrevia la durata effettivamente subita della pena privativa di libertà pronunciata dal giudice ed è sottoposta a condizione risolutoria, visto che il suo perdurare dipende in principio dalla buona condotta dell’interessato durante il periodo di prova (art. 86 CP; CR CP I – A. KUHN, art. 86 CP n. 2).
L’adempimento delle condizioni per la sua concessione deve essere esaminato d’ufficio dalla competente autorità, che chiede a tal fine una relazione alla direzione del penitenziario (art. 86 cpv. 2 CP).
La concessione della liberazione condizionale costituisce la regola e il suo rifiuto l’eccezione. Alla sua funzione specifica di reinserimento sociale, si contrappone il bisogno di proteggere la popolazione dal rischio di nuove infrazioni, al quale deve essere accordato maggiore peso quanto più sono importanti i beni giuridici messi in pericolo (decisione TF 6B_842/2013 del 31.03.2014, consid. 2.; DTF 133 IV 201, consid. 2.3).
3.3.
Dal punto di vista sostanziale, l'art. 86 cpv. 1-3 CP non si differenzia molto dal precedente art. 38 vCP (rimasto in vigore sino al 31.12.2006): in tal senso si esprime il Messaggio del CF del 21.09.1998 (pubblicato in FF 1999 p. 1669 ss, p. 1800-1802).
Con l'art. 86 cpv. 1 CP, in vigore dall'1.01.2007, c'è stata tuttavia una modifica: se prima la liberazione era concessa al detenuto “
se si può presumere ch'egli terrà buona condotta in libertà
” (art. 38 cifra 1 vCP) con la nuova disposizione la liberazione va concessa se “
non si debba presumere che commetterà nuovi crimini o delitti
” (art. 86 cpv. 1 CP). Si passa in altre parole dall'esigenza di una prognosi favorevole circa il comportamento futuro del detenuto a quella di una prognosi non sfavorevole (decisioni TF 6B_1003/2014 del 13.01.2015, consid. 3.1.; 6B_745/2013 del 10.10.2013, consid. 2.1.; 6B_451/2012 del 29.10.2012, consid. 3.1.; 6B_900/2010 del 20.12.2010, consid. 1.; DTF 133 IV 201, consid. 2.2), ciò che è rilevante nei casi intermedi in cui non si arriva a formulare una prognosi certa. Per il resto la nuova normativa non si discosta nella sostanza dal diritto previgente, così che la giurisprudenza resa sotto l'imperio dell'art. 38 vCP conserva la sua validità (decisioni TF 6B_1003/2014 del 13.01.2015, consid. 3.1.; 6B_745/2013 del 10.10.2013, consid. 2.1.; 6B_428/2009 del 9.07.2009; DTF 133 IV 201, consid. 2.2.).
La prognosi sul comportamento futuro deve fondarsi su una valutazione complessiva, che deve tenere conto dei precedenti del condannato, della sua personalità, del suo comportamento da un lato in generale e dall'altro lato nel contesto della commissione dei reati che sono alla base della condanna, nonché il grado del suo eventuale ravvedimento, oltre al suo eventuale miglioramento, così come le condizioni nelle quali ci si può attendere che egli vivrà dopo la sua liberazione (decisioni TF 6B_1003/2014 del 13.01.2015, consid. 3.1.; 6B_842/2013 del 31.03.2014, consid. 2.; 6B_745/2013 del 10.10.2013, consid. 2.1.; 6B_451/2012 del 29.10.2012, consid. 3.1.; 6B_206/2011 del 5.07.2011, consid. 1.4.; 6B_714/2010 del 4.01.2011 consid. 2.4. e 6B_428/2009 del 9.07.2009 consid. 1.1.; DTF 133 IV 201 consid. 2.3.; 124 IV 193 consid. 3; BSK Strafrecht I − C. KOLLER, 3a. ed., art. 86 CP n. 6).
La natura del reato che ha portato alla condanna, anche se l'importanza del bene giuridico protetto dalla norma penale va considerata, di per sé non è determinante per la formulazione della prognosi. Possono essere di rilievo le circostanze nelle quali è stato compiuto il reato, nella misura in cui permettano di trarre conclusioni sulla personalità dell'autore e di conseguenza sul suo futuro comportamento (DTF 124 IV 193 consid. 3).
Infatti per determinare se è possibile correre il rischio di recidiva, che implica qualunque liberazione che sia condizionale o definitiva, bisogna non soltanto considerare il grado di probabilità che un nuovo reato venga commesso, bensì anche l’importanza del bene che verrebbe minacciato. Pertanto, il rischio di recidiva che si può ammettere nel caso in cui l’autore ha leso la vita o l’integrità personale delle sue vittime, è minore rispetto al caso in cui egli ha perpetrato ad esempio reati contro il patrimonio (
decisione TF 6B_1003/2014 del 13.01.2015, consid. 3.1.)
.
D
i fronte a pene privative della libertà di durata limitata, va esaminata la pericolosità dell'agente, se questa diminuirà, rimarrà invariata o aumenterà nel caso in cui la pena fosse interamente scontata e quindi se la liberazione condizionale, eventualmente accompagnata dall’assistenza riabilitativa e da regole di condotta, non sia più favorevole alla sua risocializzazione che non l'esecuzione completa della pena (decisione TF 6B_1003/2014 del 13.01.2015, consid. 3.1.; DTF 124 IV 193 consid. 4).
Per quanto riguarda la condotta tenuta durante l'esecuzione della pena, solo comportamenti che hanno gravemente ostacolato la disciplina carceraria o che denotano di per sé l'assenza di emendamento possono avere valenza autonoma per escludere la liberazione condizionale. Comportamenti meno gravi possono invece essere esaminati nel contesto della prognosi sulla futura condotta in libertà (DTF 119 IV 5 consid. 1a con rif.), stante che, nei lavori preparatori relativi alla revisione della parte generale del CP entrata in vigore l’1.01.2007, si ribadisce chiaramente che il criterio determinante per una liberazione condizionale è rappresentato dalla prognosi, formulata al momento della liberazione, circa la possibilità che il detenuto commetta altri crimini o delitti (cfr. Messaggio del CF del 21.09.1998, pubblicato in FF 1999 p. 1669 ss., p. 1801).
4.
È accertato, e nemmeno è contestato, che RE 1 in data 17.08.2015 ha raggiunto, non solo la soglia per il trasferimento in sezione aperta bensì anche quella oggettiva minima richiesta dall’art. 86 cpv. 1 CP per la liberazione condizionale.
5.
Sulla
condotta da lui tenuta durante l'esecuzione della pena, dagli atti risulta un comportamento buono, sia con il personale di custodia, sia con i codetenuti, come pure egli ha lavorato con un buon rendimento presso il laboratorio targhe. Egli è unicamente incorso in una sanzione disciplinare inflittagli il 7.04.2015 per essergli stata rinvenuta una carta SIM in un pacco a lui destinato. Sanzione questa che, incontestatamente, non è di rilevanza tale da acquisire valenza autonoma per escludere il beneficio della liberazione condizionale.
6.
6.1.
Contestato è nel caso concreto l’esistenza o meno di un pericolo di fuga e/o di recidiva.
Per quanto attiene aI postulato trasferimento in sezione aperta il giudice dei provvedimenti coercitivi lo ha rifiutato, avendo formulato una prognosi sfavorevole sia circa il pericolo di fuga (vista la doppia cittadinanza
−
svizzera e italiana
−
del reclamante, la residenza e provenienza straniera della sua attuale compagna e del di lei figlio con cui intende vivere, l’aver egli vissuto a lungo all’estero) e sia con riguardo al pericolo di recidiva (essenzialmente a fronte dei suoi precedenti penali e alla considerazione che egli non si troverebbe in una situazione migliore rispetto a quella del passato). Pericolo quest’ultimo che parimenti osterebbe alla concessione della liberazione condizionale.
Il reclamante dal canto suo evidenzia la sua ferma intenzione di stabilirsi in Ticino con la sua attuale compagna e il di lei figlio, e di volervi condurre una vita onesta, grazie ad una concreta e seria proposta lavorativa e alla disponibilità del fratello ad ospitarlo finché necessario.
6.2.
L’Ufficio dell’assistenza riabilitativa in data 17.06.2015, vista la decisione di collocamento iniziale in sezione chiusa e l’abuso della fiducia riposta dal giudice dei provvedimenti coercitivi nel reclamante in occasione della passata concessione della libertà condizionale, seppure in assenza della sentenza di condanna onde valutare il rischio di ricaduta penale, ha espresso preavviso negativo. Detto ufficio ha in particolare ritenuto “
prematura la concessione della liberazione condizionale ai 2/3 della pena
” e “
considerato il progetto di inserimento in Ticino
” ha ritenuto opportuno il collocamento del reclamante in sezione aperta “
entro breve termine al fine di consentire l’avvio del regime progressivo. Il collocamento allo Stampino rappresenta una messa alla prova al fine di consentire una valutazione adeguata della prognosi e preparazione di un progetto di vita, in vista di un eventuale riesame della liberazione condizionale
” (scritto 17.06.2015, p. 4, allegato 4, inc. GPC _).
La Direzione delle Strutture carcerarie in data 30.06.2015 ha pure formulato un preavviso negativo per quanto attiene sia al trasferimento in sezione aperta e sia alla liberazione condizionale “
in quanto, nonostante dal profilo comportamentale la Direzione potrebbe esprimere un preavviso non negativo, da anni l’interessato risiede all’esterno
(recte: all’estero, ndr)
e le motivazioni che hanno indotto il Giudice dei provvedimenti coercitivi al suo collocamento in carcere chiuso appaiono tuttora presenti
” (scritto 30.06.2015, allegato 5, inc. GPC _).
Il Servizio medico delle Strutture carcerarie per parte sua il 13.07.2015 si è limitato a preavvisare favorevolmente il trasferimento in sezione aperta (allegato 10, inc. GPC _).
6.3.
Dagli atti emerge che RE 1 (_1969) è nato da padre italiano (titolare di una ditta di pittura in Italia) e da madre svizzera (casalinga), acquisendo così la doppia cittadinanza. È cresciuto nel _, dove ha frequentato le scuole dell’obbligo. Ottenuto il diploma di meccanico d’auto, ha lavorato per diversi anni in un garage. Successivamente con il fratello ha avviato un’impresa di pittura fino al 2012. Nell’agosto 2000 è convolato a nozze con una cittadina ucraina, dalla quale già nel dicembre del medesimo anno si è separato. Dalla loro unione sarebbe nondimeno nata, nel settembre 2001, una figlia. Nel 2001 egli ha conosciuto l’attuale sua compagna, pure di cittadinanza ucraina, con la quale nel 2006/2007 ha avviato un’attività di compravendita di vestiti tra l’Italia e l’Ucraina, poi fallita nel 2012 a causa della guerra scoppiata in quest’ultimo paese. Nel seguito egli ha avviato un’attività di autonoleggio.
RE 1 ha dei precedenti penali. Il 3.01.2005 egli è stato condannato alla multa di CHF 500.-- per infrazione grave alle norme della circolazione mentre l’1.09.2009 è stato condannato dalla Corte delle assise correzionali alla pena detentiva (parzialmente complementare a quella di cui alla condanna del 3.01.2005) di 14 mesi da espiare, per truffa, falsità in documenti e trascuranza degli obblighi di mantenimento. Liberato condizionalmente in data 29.10.2012 con un periodo di prova di un anno, egli è ben presto tornato a delinquere: nel maggio-luglio 2014, avendo aiutato ad alienare delle autovetture provento di reato, ha adempiuto i reati di ricettazione qualificata (in parte tentata) e di falsità in documenti, nel periodo tra il luglio 2008 e il luglio 2014 (e dunque anche in periodo di prova della liberazione condizionale) ha continuato a realizzare il reato di trascuranza degli obblighi di mantenimento nei confronti della figlia nata nel 2001, mentre sono emersi gli ulteriori reati di truffa rispettivamente di appropriazione indebita commessi nel giugno 2008 rispettivamente nel settembre 2009. Egli è dunque stato condannato il 23.02.2015 dalla Corte delle assise criminali alla pena unica (considerato il residuo di pena di 4 mesi e 22 giorni) di 16 mesi da espiare, dedotto il carcere preventivo sofferto, a valere quale pena parzialmente aggiuntiva a quella inflittagli con sentenza dell’1.09.2009. Pena che sta attualmente espiando in carcere.
Nella sentenza del 23.02.2015 la Corte criminale ha accertato una colpa grave del reclamante, precisando che “
nonostante la condanna che ha subito e che non ha sortito grandi effetti, RE 1 non sembra volersi confrontare con le proprie responsabilità, quindi neppure si confronta con i riscontri oggettivi agli atti, insiste nel presentarsi alle Autorità quando vuole, nel voler spiccare il volo dal carcere insistendo ed impugnando la decisione di proroga del carcere preventivo alla Corte dei reclami penali e tutto ciò senza tener minimamente conto che della condanna già subita il 1. settembre 2009
alla pena di 14 mesi e quindi del fatto che ha comunque alle spalle un residuo di pena (...), ciò che (...) non gli ha impedito di delinquere nel periodo di prova della liberazione condizionale
”. Inoltre, secondo detta Corte, “RE 1
quindi dimostra di non assumersi le sue responsabilità se non in minima parte, per cui non si distanzia da quanto ha commesso e non è per nulla collaborativo con gli inquirenti. Ha agito all’evidenza per il guadagno facile, quello che non costa fatica, ciò che sicuramente non va considerato a suo favore, tenuto anche conto che non è più un ragazzino e l’età della ragione l’ha raggiunta da un pezzo
” (sentenza 23.02.2015 della Corte delle assise criminali, p. 268-269, allegato 7, inc. GPC _).
Trovandosi il reclamante nella situazione di cui all’art. 42 cpv. 2 CP, la Corte del merito ha poi valutato se fossero in concreto presenti delle circostanze particolarmente favorevoli per concedere la sospensione condizionale alla pena pronunciata. Ciò che ha negato, avendo ritenuto che il qui reclamante non dava “
sufficienti garanzie di non commettere altri reati una volta scarcerato, dal momento che
−
come rilevato
−
non si è affatto distanziato da quanto ha commesso e considerato che non riconosce le sue responsabilità se non in parte e che non ha una situazione stabile
” (sentenza 23.02.2015 della Corte delle assise criminali, p. 269, allegato 7, inc. GPC _). La Corte di prime cure non ha riconosciuto la presenza di circostanze particolarmente favorevoli ex art. 42 cpv. 2 CP “
neppure a fronte della proposta di lavoro prodotta dalla difesa e questo poiché quando RE 1 ha commesso i reati del presente procedimento
−
commessi in parte prima ed in parte dopo la precedente condanna
−, aveva già un lavoro, che non gli ha però impedito di fare quel che ha fatto, per cui l’offerta di lavoro non è certo tale da ribaltare il pronostico negativo legato alla presenza della precedente condanna; neppure la situazione logistico-abitativa offertagli dal fratello può essere considerata, a mente della Corte, una modifica determinante delle sue condizioni personali, per cui la pena che gli viene inflitta non può che essere da espiare
” (sentenza 23.02.2015 della Corte delle assise criminali, allegato 7, p. 269, inc. GPC _).
Con decisione (separata) del 23.02.2015 la Corte criminale ha pure disposto il mantenimento di RE 1 in carcere di sicurezza per la durata di 3 mesi. Essa in particolare ha valutato un pericolo di fuga, sulla base delle decisioni 2.10.2014, 24.11.2014, 16.12.2014 del giudice dei provvedimenti coercitivi (inerenti l’ordine e/o la proroga del carcere preventivo e/o di sicurezza) e 6.02.2015 di questa Corte (che ha respinto il reclamo interposto contro la decisione di proroga della carcerazione di sicurezza del 12.01.2015) come pure ha tenuto conto della doppia cittadinanza del qui reclamante e del fatto che a quel momento egli era privo di una fissa dimora in Svizzera (decisione in merito alla carcerazione di sicurezza 23.02.2015, annesso all’allegato 1, inc. GPC _).
Nell’udienza del 10.07.2015 RE 1 ha rilevato, fra l’altro, che, pur risiedendo in Ucraina con la sua compagna, si è spontaneamente presentato al Ministero pubblico e che nel giugno 2014 aveva concluso un contratto per la locazione di un appartamento a _ dove intendeva stabilirsi e riunirsi con la sua compagna e il di lei figlio, non appena possibile. Residenza questa che non sarebbe a suo avviso emersa al momento della decisione di collocamento (in sezione chiusa) del 7.05.2015 del giudice dei provvedimenti coercitivi, non avendo egli avuto il tempo necessario, prima del suo arresto (comunque intervenuto il 29.09.2014), per registrarsi al competente Ufficio del controllo abitanti.
Egli inoltre ha evidenziato il suo serio progetto, in caso di liberazione anticipata, di lavorare presso un’impresa di costruzione, attiva in un campo totalmente estraneo a quello della compravendita di auto, per la quale egli è incorso nelle sue condanne penali, e da cui egli è fermamente convinto di volersi distanziare. Infine ha sottolineato la disponibilità del fratello di ospitarlo nel suo appartamento di Lugano fintanto che non avrebbe trovato un alloggio autonomo.
6.4.
Ora, malgrado le dichiarazioni di RE 1 e i suoi buoni intenti, questa Corte, da quanto emerge dagli atti, ritiene che la sua situazione personale, familiare ed economica valutata in sede di liberazione condizionale, non diverge in modo sostanziale da quella accertata dalla Corte del merito nel febbraio 2015.
Già al dibattimento pubblico davanti ai giudici di prime cure RE 1 ha prodotto uno scritto del 5.02.2015 della _, _, “
alle cui dipendenze già lavorava il fratello _, indirizzata a RE 1 in cui gli comunicano che
«
come concordato con il suo avvocato, abbiamo l’intenzione di assumerla presso di noi al 100% in qualità di autista magazziniere al momento della sua scarcerazione
»
” (sentenza 23.02.2015 della Corte delle assise criminali, p. 79, allegato 7, inc. GPC _).
A distanza di all’incirca 5 mesi il qui reclamante ha presentato all’Ufficio del giudice dei provvedimenti coercitivi, nell’ambito della procedura sulla liberazione condizionale, un nuovo scritto datato 10.07.2015, di un’altra impresa generale, la _, in cui la stessa dichiara che “
come già discusso in precedenza con suo fratello _ siamo alla ricerca di un autista magazziniere, siamo quindi disposti visto la sua conoscenza del nostro territorio ad assumerla per questa carica a tempo indeterminato a partire dal giorno 17 agosto 1015
(recte: 2015, ndr)”.
Al di là del fatto che tale scritto è privo di firma e vi è stato semplicemente apposto il timbro della ditta, mentre che nella copia prodotta in sede di reclamo davanti a questa Corte non vi è apposto alcun timbro ma sul nome della ditta sono stati scarabocchiati dei segni a mo’ di firma
−
così da far sorgere qualche perplessità sulla genuinità di tale scritto
−
lo stesso non costituisce in alcun modo un vero e proprio contratto di lavoro, che stabilisce, fra l’altro, il grado di occupazione e la remunerazione prevista. Pertanto, per quanto lo sostenga la difesa, tale attività lavorativa, se effettivamente iniziata, non permette di determinare la situazione economica in cui si verrebbe a trovare il qui reclamante e di sostenere che egli avrà i mezzi necessari per sostentarsi, per provvedere al suo obbligo di mantenimento della figlia (al quale a tutt’oggi soggiace, stante che soltanto nel giugno 2015, ovvero a distanza di 15 anni, il reclamante ha semplicemente introdotto alla competente pretura un’istanza di modifica di misure a protezione dell’unione coniugale, non di divorzio e non di disconoscimento della paternità) e permettergli il suo reinserimento sociale nel nostro paese, escludendo o riducendo l’alto rischio di commissione di nuovi reati e/o di fuga.
Ciò ove più si pensi che, come accertato dalla Corte del merito, in passato, egli, pur avendo un attività lavorativa e malgrado pendesse su di lui una precedente condanna, non si è trattenuto dal ricadere nel crimine, dimostrando una colpa giudicata grave.
Oggi come allora, il qui reclamante nel nostro paese vanta la sola vicinanza del fratello, disposto ad ospitarlo provvisoriamente, e della madre, che per le sue condizioni di salute, si trova ricoverata in una casa anziani. Legami questi che in passato (e non troppo lontano nel tempo), non lo hanno trattenuto dal rendersi irreperibile alle nostre autorità e dal delinquere.
Ancora oggi la sua attuale compagna, di origine ucraina, e il di lei figlio, con i quali il reclamante vorrebbe riunirsi, vivono all’estero, ed è all’estero che egli ha trascorso lunghi soggiorni, senza per finire domiciliarsi nel nostro paese ancora prima del suo arresto.
Tenuto conto di ciò e delle ripetute condanne di RE 1 (che lo ha visto ricadere nell’illecito agire, in parte dopo poco più di un anno e mezzo dalla sua liberazione condizionale e in parte, per quanto attiene al reato di trascuranza degli obblighi di mantenimento, già nel periodo di prova di tale liberazione) la prognosi circa il pericolo di fuga, per quanto attiene al trasferimento in sezione aperta, e di recidiva non solo in caso di trasferimento in sezione aperta ma anche in caso di liberazione condizionale, non può non essere che sfavorevole.
Gli elementi positivi relativi al comportamento in carcere e al suo impegno lavorativo, oltre che la prospettata attività lavorativa e la disponibilità ad essere alloggiato presso il fratello, non sono tali da modificare, in una ponderazione degli elementi rilevanti e pertinenti, la prognosi negativa, già formulata dalla Corte del merito e che pesa sul reclamante in ragione del suo passato e della gravità dei reati per i quali è stato condannato.
Pertanto l’elevato rischio di recidiva e il pericolo di fuga appurato dai giudici di prime cure nel febbraio 2015 e, confermato dal giudice dei provvedimenti coercitivi nel luglio 2015, anche per questa Corte non appare eliminato o ridotto in modo sostanziale dalla situazione prospettata per il reclamante in caso di trasferimento in sezione aperta rispettivamente nel caso di liberazione condizionale.
La decisione del giudice dei provvedimenti coercitivi qui impugnata è quindi sostenibile e merita tutela. Di conseguenza il reclamo è respinto.
7.
7.1.
Il reclamante, nel proprio gravame, ha chiesto di essere messo al beneficio dell’assistenza giudiziaria e del gratuito patrocinio, in relazione alla procedura davanti a questa Corte.
7.2.
A seguito dell’entrata in vigore del CPP l’1.01.2011, si è reso necessario adattare il diritto cantonale al diritto federale.
In materia di assistenza giudiziaria è stata abrogata la legge (cantonale) del 3.06.2002 sul patrocinio d'ufficio e sull’assistenza giudiziaria (Lag), è stata modificata la LEPM (con l'abolizione del cpv. 2 dell'art. 11 che lasciava al giudice dell'applicazione della pena la competenza a decidere sull'istanza di ammissione al patrocinio d'ufficio e al gratuito patrocinio) ed è stata emanata una nuova legge sull'assistenza giudiziaria e sul patrocinio d'ufficio (LAG) del 15.03.2011 (in vigore retroattivamente all’1.01.2011), tendente a disciplinare questi due istituti nelle materie in cui i cantoni hanno mantenuto la loro competenza a legiferare.
È il caso dell'esecuzione delle pene e delle misure in base all'art. 439 cpv. 1 CPP, e in particolare delle procedure davanti al giudice dei provvedimenti coercitivi in materia di applicazione della pena (cfr. Messaggio n. 6407 del 12.10.2010 sulla LAG, p. 1).
In una recente sentenza il Tribunale federale ha infatti ricordato che la procedura della liberazione condizionale e le vie di ricorso non sono direttamente regolate dal CPP (decisione TF 6B_719/2014 del 21.4.2015, consid. 1.1.).
Giusta l'art. 10 LAG l'autorità competente a concedere l'assistenza giudiziaria e a designare il patrocinatore d'ufficio è quella del merito: da questa norma discende la competenza di questa Corte a decidere sull'istanza di assistenza giudiziaria e di gratuito patrocinio formulata in questa sede dal qui reclamante, in base alle normative in vigore dall’1.01.2011.
Il diritto all'assistenza giudiziaria e al gratuito patrocinio discendono dall’art. 2 LAG e dall'art. 29 cpv. 3 Cost., secondo cui chi non dispone dei mezzi necessari ha diritto alla gratuità della procedura, se la sua causa non sembra priva di probabilità di successo, ed al gratuito patrocinio, qualora la presenza di un legale sia necessaria per tutelare i suoi diritti.
7.3.
La procedura di liberazione condizionale è attivata non su istanza del detenuto, bensì d’ufficio, al sopraggiungere della scadenza dei 2/3 di pena e consta di vari dettagliati preavvisi prodotti dalle competenti autorità e dall’approfondito apprezzamento, tra l’altro, della condotta oggettivamente tenuta dal condannato nel corso della carcerazione.
L’istanza che tende, oltre al beneficio della gratuità della procedura, anche all’ammissione al gratuito patrocinio, deve essere adeguatamente motivata e sostanziata.
Trattandosi, nel caso della liberazione condizionale, di una procedura condotta d’ufficio, che pone delle condizioni precise nel rispetto dei diritti del detenuto, l’assistenza di un legale risulta necessaria solo in casi particolari.
Ora, nel caso concreto, considerata la situazione economica del reclamante, e ritenuto che nella procedura di merito gli è stato riconosciuto un difensore d’ufficio, si può ammettere la realizzazione della prima condizione dell’assistenza giudiziaria (ovvero l’assenza dei mezzi necessari). Problematica, risulta invece essere l’altra condizione, ovvero la probabilità di successo del gravame. Stante l’esistenza di una prognosi altamente sfavorevole a fronte del passato recidivistico e della precaria situazione personale ed economica del qui reclamante così come valutata dalla Corte del merito a 5 mesi dalla decisione del giudice dei provvedimenti coercitivi, pure sfavorevole, un esito positivo appariva d’acchito non realizzabile. Trattandosi inoltre, per quanto attiene alla liberazione condizionale, di una procedura condotta d’ufficio, l’assistenza di un legale risulta necessaria solo in casi particolari, situazione questa non realizzata nel caso concreto.
Di conseguenza in questa sede viene unicamente riconosciuta la gratuità della procedura.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,015 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
7c6ebdea-f850-5b31-b9a6-8a92d0541f3f
|
in fatto ed in diritto
1.
A seguito della querela 25/26.1.2011 sporta da IS 1 nei confronti di PI 1, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale a carico di quest’ultimo per le ipotesi di reato di abuso di impianti di telecomunicazioni, minaccia e violazione di domicilio sfociato nel decreto di non luogo a procedere 1.3.2011 (NLP _) emanato dal procuratore pubblico Andrea Pagani, avendo il querelante ritirato la sua querela (inc. MP _).
Avverso il predetto decreto non è stato presentato reclamo a questa Corte.
2.
Con la presente istanza IS 1 chiede copia degli atti di cui al surriferito procedimento penale, avendo ricevuto delle pressioni da parte del querelato ed essendo intenzionato ad agire giudizialmente contro di lui.
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.1.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
Nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (quale querelante/accusatore privato) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo
.
Come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.3.1987, ad art. 8 p. 10). Inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19).
Lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG.
5.
Nella fattispecie in esame – a prescindere dai motivi addotti dall’istante – è pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 ad ottenere copia
degli atti dell’incarto MP _ sfociato nel decreto di non luogo a procedere 1.3.2011 (NLP _),
poiché l’ha interessato personalmente in veste di parte.
Di conseguenza, gli atti dell’incarto penale
MP _ [elenco atti (1 pagina)
, decreto di non luogo a procedere 1.3.2011 (NLP _) (2 pagine), querela penale 25/26.1.2011 (6 pagine), conferimento di mandato alla Polizia 26.1.2011 (1 pagina) e rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 23.2.2011 (18 pagine)] vengono trasmessi, in copia, all’istante unitamente alla presente decisione.
6.
L’istanza è accolta ai sensi del surriferito considerando. La tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico di chi le ha occasionate.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
7d541b3d-096b-5488-a8c2-7aa28d948ec4
|
in fatto ed in diritto
1.
A seguito della denuncia 17.09.2010 sporta da IS 1 nei confronti di ignoti riguardo al furto della sua carta di credito _, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale contro _ sfociato nel decreto di accusa 13.04.2011 emanato dal procuratore pubblico Arturo Garzoni a carico di quest’ultimo (DA _).
Il predetto decreto è cresciuto in giudicato il 19.05.2011 (AI 8 – inc. MP _).
2.
Con la presente istanza –
trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza, a questa Corte
– IS 1 chiede di ottenere la trasmissione, in copia, del surriferito decreto d’accusa, avendolo smarrito e avendo bisogno dello stesso, senza indicare per quale motivo.
Come esposto in entrata, il magistrato inquirente non si oppone alla richiesta.
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
Nel presente caso, pur essendo stata l’istante parte (quale parte civile ai sensi del CPP TI rispettivamente accusatrice privata ai sensi nel nuovo CPP) nel procedimento nel frattempo terminato, essa deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo
.
Come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.3.1987, ad art. 8 p. 10). Inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19).
Lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG.
5.
Nella fattispecie in esame – nonostante abbia omesso di precisare i motivi che stanno alla base della sua richiesta – è pacifico l’interesse giuridico legittimo dell’istante ex art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere copia
del decreto di accusa 13.04.2011 (DA _)
, poiché l’ha interessata personalmente in veste di parte. Del resto il predetto decreto le era già stato intimato al momento della sua emanazione.
Di conseguenza, il decreto d’accusa
13.04.2011 (DA _) viene trasmesso,
in copia, all’istante unitamente alla presente decisione.
6.
L’istanza è accolta ai sensi del surriferito considerando. Vista la particolarità della fattispecie, non si prelevano tassa di giustizia e spese.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
7d8680a7-de6f-58f5-9053-f683e04b90cc
|
in fatto ed in diritto
1.
L’1.10.2007 il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale a carico di PI 2 (_) per il reato di pornografia sfociato nel decreto di accusa 8.2.2011 emanato dal procuratore pubblico Amos Pagnamenta (DAC _ – inc. MP _).
Il citato decreto è cresciuto in giudicato il 14.3.2011.
Con scritto 25.2.2011 il procuratore pubblico, in applicazione dell’art. 75 cpv. 3 CPP, ha segnalato alla IS 1 (di seguito CTR), che nell’ambito del surriferito procedimento penale inerente a PI 2 sono emersi fatti che coinvolgono sua figlia _ (_). Ha evidenziato che la situazione di quest’ultima e di sua sorella era tenuta sotto controllo dalla madre che però recentemente è deceduta. Ha quindi ritenuto adempiuti i presupposti per un intervento da parte della CTR allo scopo di valutare l’opportunità di adottare misure di protezione (AI 16 – inc. MP _
).
2.
Con la presente richiesta – trasmessa, per competenza, dal Ministero pubblico a questa Corte – la CTR, richiamando la surriferita segnalazione, chiede di ottenere maggiori informazioni riguardo la minorenne _.
Come esposto in entrata, il procuratore pubblico non si oppone alla richiesta. PI 2, dal canto suo, dopo aver costatato che la richiesta è stata inviata direttamente al magistrato inquirente e non a questa Corte, ritiene anzitutto che la stessa debba essere respinta in difetto di motivazione ed essendo la segnalazione del procuratore pubblico tardiva rispetto ai fatti accaduti. Afferma altresì che le figlie non avrebbero subito traumi o conseguenze in connessione con il suo agire, che dal decesso della madre i nonni materni e la nonna paterna si occuperebbero delle nipoti, che sia lui sia le figlie, sarebbero sottoposti a terapia e che
"
(...) la segnalazione alla IS 1 dopo la fine del procedimento durato tre anni, appare un eccesso di zelo inutile ed inappropriato nella fattispecie soprattutto se si considera che il Procuratore non ha neppure ipotizzato che le circostanze mutassero comunque nell’interesse (lutto escluso) delle bambine
" (osservazioni 6.6.2011, p. 2). Circa l’applicazione dell’art. 75 cpv. 3 CPP sostiene che il magistrato inquirente avrebbe soltanto ipotizzato ma non accertato la necessità di ulteriori provvedimenti. Adduce infine che "
(...) Anche oggettivamente visto il tempo trascorso dai fatti e le misure adottate sino ad oggi, appare evidente che non vi siano necessità per provvedimenti particolari a protezione delle minori che sono sufficientemente sorvegliate dal complesso famigliare
" (osservazioni 6.6.2011, p. 2).
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.1.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 vCPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
4.1.
Nella fattispecie in esame sono, di principio, realizzati i presupposti di legge, stante il chiaro e legittimo interesse della CTR istante, che con l'adozione della Legge sull'organizzazione e la procedura in materia di tutele e curatele (LTut) dell'8.3.1999, entrata in vigore l'1.1.2001, ha assunto le competenze in materia di tutela e curatela precedentemente spettanti alle Delegazioni tutorie comunali. Trattasi, infatti, dell'autorità competente, giusta gli art. 275, 312 e 315 CC e 2 LTut, ad adottare provvedimenti a tutela dei figli, segnatamente in materia di autorità e di custodia parentale, e a regolare le loro relazioni personali con i genitori.
4.2.
L’interesse giuridico legittimo dell’autorità istante prevale, di principio, anche sugli interessi della parte coinvolta (in casu PI 2, il padre della minorenne _): in effetti, da un lato occorre tutelare gli interessi della minorenne e della di lei sorella, e d’altro canto è necessario mettere a disposizione della CTR istante dati e informazioni utili e pertinenti per valutare al meglio la situazione delle bambine e il rapporto con il loro padre.
Il fatto che la CTR abbia inviato l’istanza direttamente al Ministero pubblico è ininfluente, poiché la stessa è stata trasmessa, d’ufficio, all’autorità scrivente competente giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG.
Va inoltre rilevato che la CTR nella presente istanza non ha potuto far altro che richiamare la segnalazione
25.2.2011
del procuratore pubblico e nulla di più, non essendo evidentemente a conoscenza dell’agire di PI 2 nel procedimento penale aperto a suo carico e nel frattempo archiviato. Di conseguenza – considerate anche le mansioni che sono state conferite alla CTR di cui al considerando 4.1. della presente decisione – non è stato violato l’obbligo di motivazione da parte dell’autorità istante.
La segnalazione 25.2.2011 del magistrato inquirente alla CTR, contrariamente a quanto sostiene PI 2, non può essere ritenuta tardiva: la stessa è stata invero correttamente disposta al termine del procedimento penale, dopo l’emanazione del decreto di accusa 8.2.2011 (DAC _, cresciuto in giudicato il 14.3.2011), e dopo lo scadere dei dieci giorni dalla sua intimazione ex art. 354 CPP.
Inoltre giusta l’art. 75 cpv. 3 CPP, secondo cui
"
Se nell’ambito di un procedimento inerente a un reato in cui sono coinvolti minorenni accertano che sono necessari ulteriori provvedimenti, le autorità penali ne informano senza indugio le autorità tutorie
", è sufficiente, riguardo all’obbligo di comunicazione, che un minorenne sia coinvolto nel reato penale (BSK StPO – U. SAXER, art. 75 CPP n. 9), come nella fattispecie in esame (inc. MP _).
Giova infine rilevare che non è compito di questa Corte valutare la situazione famigliare creatasi dopo il decesso della madre delle bambine. La stessa, se del caso, sarà valutata e ponderata dalla CTR istante a tutela delle bambine.
Tenuto conto di quanto sopra esposto, nella fattispecie in esame è adempiuto un interesse giuridico legittimo prevalente della CTR istante sui diritti personali di PI 2 ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG.
Di conseguenza, dopo la crescita in giudicato della presente decisione, un rappresentante della CTR istante potrà esaminare presso il Ministero pubblico l’incarto penale MP _ sfociato nel decreto di accusa 8.2.2011
(DAC _)
, cresciuto in giudicato il 14.3.2011, concordando i tempi di accesso con il procuratore pubblico Amos Pagnamenta compatibilmente con i suoi impegni. Il rappresentante è, se del caso, autorizzato a fotocopiare i documenti strettamente necessari ai fini delle sue incombenze.
5.
L’istanza è accolta ai sensi del precedente considerando. Considerata la natura della richiesta e dell’istante, non si prelevano tassa di giustizia e spese.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
7d908afc-b6e7-560d-8579-ec81af71a46d
|
in fatto: A.
Il 27 luglio 2001 alle ore 21.00 circa, su segnalazione delle Guardie di confine, una pattuglia della polizia cantonale ha effettuato un controllo in via _, dove ha constato la presenza di _ nella propria autovettura ivi parcheggiata. Ritenendo che il soggetto manifestava sintomi di abuso di bevande alcoliche, gli agenti lo hanno sottoposto in loco alla prova etanografica, dalla quale è scaturito il risultato di 1.45 g ‰ (act. 1 pag. 2). _ è quindi stato condotto all'_ per il prelievo del sangue, avvenuto alle ore 22.30, che a sua volta ha dato un risultato di un tenore medio di alcol nel sangue di 1.80 g ‰, stanti valori compresi tra 1.71 e 1.89 g ‰, rispettivamente 2.10 ‰ (v. referto del 30 luglio 2001 del Laboratorio _, in plico act. 1, punti 1 e 2).
B.
Interrogato dagli agenti di polizia, _ ha dichiarato di avere lasciato il domicilio verso le ore 12.00 e di essersi recato presso un negozio, dove ha acquistato un panino e tre birre. Salito in macchina, si è recato in via _, dove ha mangiato il panino e bevuto le tre birre. Ha poi riferito di essere ritornato più tardi in centro, raggiungendo un esercizio pubblico, dove ha sorbito altre tre birre. Ha infine soggiunto di essere risalito sull'automobile verso le ore 20.30, di essersi recato presso un distributore in _ e di avere acquistato tre bottigliette di birra. Trasferitosi in zona _ poiché quella zona era più fresca rispetto al suo domicilio, egli – a suo dire – si sarebbe appisolato fino a quando è stato svegliato dalla polizia (v. verbale del 27 luglio 2001).
C.
Con decreto di accusa del 24 settembre 2001 il Procuratore pubblico ha ritenuto _ autore colpevole di circolazione in stato di ebrietà, per avere condotto il proprio veicolo in stato di ubriachezza (alcolemia: min. 1.71–max. 2.10 grammi per mille). Egli ne ha perciò proposto la condanna a 20 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente per un periodo di prova di tre anni e al pagamento di una multa di fr. 300.–. Statuendo su opposizione, con sentenza del 20 novembre 2001 il presidente della Corte delle assise correzionali di Mendrisio ha confermato sia l'imputazione, sia la proposta di pena contenuta nel decreto di accusa.
D.
Contro la sentenza di assise _ ha inoltrato il 23 novembre 2001 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 22 dicembre successivo, egli chiede in via principale il proscioglimento dall'imputazione di circolazione in stato di ebrietà e, in via subordinata, la riduzione della pena.
E.
Con osservazioni del 7 gennaio 2002 il Procuratore pubblico ha chiesto la reiezione del ricorso.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorrente insorge anzitutto contro gli accertamenti che hanno spinto il presidente della Corte delle assise correzionali a concludere che egli fosse ebbro prima di raggiungere via _, ossia il luogo dove ha posteggiato la propria automobile e dove è stato controllato dalla polizia. Ora, la determinazione del tasso alcolico di una persona è una questione di fatto (DTF 116 IV 75 consid. 4, 105 IV 345 consid. 1, 100 IV 269 consid. 2), che la Corte di cassazione e di revisione penale è abilitata ad esaminare soltanto sotto il ristretto profilo dell'arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c CPP). L'accertamento può perciò essere censurato solo ove risulti manifestamente insostenibile o in aperto contrasto con gli atti (DTF 127 I 56 consid. 2b, 126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a). E' invece questione di diritto, che la Corte di cassazione e di revisione penale esamina con pieno potere cognitivo, stabilire se un conducente debba essere considerato ebbro sulla base dei relativi accertamenti (DTF 100 IV 270 consid. 2), come pure se le norme federali sulla constatazione dello stato di ebrietà siano state rispettate (DTF 116 IV 75; Corboz, Le principales infractions, Berna 1997, n. 18 ad art. 91 LCstr; CCRP, sentenza del 16 aprile 2002 in re C. consid. 6).
2.
La Corte di assise ha maturato il convincimento che l'accusato fosse ebbro allorché alle ore 20.30 circa del 27 luglio 2001 si era messo al volante per raggiungere il distributore _ e via _ fondandosi anzitutto sul responso dell'analisi del sangue, attestante la presenza di un tasso alcolemico compreso tra 1.71 e 1.89 g ‰ (recte: 2.10 ‰) al momento critico. Pur rilevando che il calcolo a ritroso effettuato dal Laboratorio _ considera erroneamente le ore 21.20 come momento in cui il soggetto ha cessato di bere e che andrebbero pure considerate – nell'ipotesi più favorevole al prevenuto – le tre birre ingerite tra le 20.30 e le 21.00, ossia quando questi non si trovava alla guida, il primo giudice ha nondimeno ritenuto tali circostanze ininfluenti Ha infatti stabilito che anticipare il momento in cui il ricorrente ha cessato di bere non è di giovamento, per l'evidente motivo che ciò prolunga in misura corrispondente il tasso di tempo durante il quale il suo organismo aveva già iniziato a smaltire l'alcol ingerito, con il risultato – caso mai – di dovere concludere che il tasso alcolemico al momento in cui il prevenuto ha guidato era in realtà maggiore rispetto alle risultanze di cui ai punti 4 e 5 dell'analisi di laboratorio (sentenza, pag. 4–5). Riferendosi alle tre birre che il ricorrente ha preteso di avere ingerito quando non era più alla guida, il giudice di merito ha puntualizzato che anche volendo dedurre questo quantitativo di alcol nella misura in cui dovesse ritenersi che l'organismo dell'accusato l'aveva già assorbito al momento del prelievo del sangue, occorrerebbe comunque aggiungere lo smaltimento intervenuto tra le ore 20–30 e le 22.30 dell'alcol precedentemente ingerito; partendo da un tasso elevato come quello minimo di 1.71 g ‰ riscontrato alle ore 22.30, ha soggiunto il presidente della Corte di assise, il risultato riportato alle ore 20.30 è in ogni modo compromettente, perché corrisponde, sia come sia, a un alcolemia superiore a quella consentita, nell'ordine di almeno 1.2–1.5‰, non potendosi ragionevolmente ammettere che la successiva ingestione del contenuto di tre bottigliette di birra (max 1 litro) avrebbe da sola fatto lievitare il tasso alcolico dal massimo consentito dello 0.8 ‰. D'altro canto, sempre secondo il primo giudice, tale convincimento risulta confortato anche dal test etanografico (1.45 ‰) effettuato alle 21.00, momento in cui l'organismo nemmeno aveva iniziato a smaltire in modo significante l'alcol che l'accusato ha affermato di avere sorbito proprio tra le 20.30 e le 21.00, sicché tale misurazione appare fedefacente del tenore di alcol presente nel sangue del soggetto al momento critico (sentenza, pag. 5).
3.
Il ricorrente dissente dalla conclusione di prima sede, facendo di nuovo valere che nell'allestire il proprio referto, il Laboratorio _ ha erroneamente considerato le 21.20 come ora in cui egli ha cessato di bere e pretendendo che tale dato non può essere corretto. Egli non si confronta però con le considerazioni che, come visto, hanno spinto il primo giudice a ritenere che da tale svista il soggetto non soltanto non ha patito pregiudizio, ma ha perfino tratto un vantaggio per quanto riguarda l'accertamento delle condizioni in cui si trovava al momento critico, ossia quando ancora stava circolando alla guida del suo veicolo. Formulato senza sostanziare arbitrio di sorta, il gravame sfugge a un esame di merito e va perciò dichiarato inammissibile. Assevera inoltre il ricorrente che la perizia e, quindi, anche la sentenza impugnata contengono un secondo dato errato, ossia stabiliscono che l'ora del momento critico risale alle ore 21.30 e non alle 20.30 come ritenuto dalla stessa Corte di assise. La critica non è destinata a miglior successo. Quanto sostenuto nel ricorso è vero, nel senso che, effettivamente, il referto indica le ore 21.30 come momento critico, benché il ricorrente aveva cessato di guidare alle 20.30 circa. Spettava però a questo punto all'accusato spiegare perché tale puntualizzazione renderebbe la sentenza di assise arbitraria, ossia manifestamente insostenibile, anche nel suo risultato (DTF 125 II 120 consid. 5b, 124 II 166 consid. 2a) alla luce della valutazione complessiva degli indizi raccolti e, in particolare, delle considerazioni espresse dal primo giudice sia sull'irrilevanza dell'errata indicazione dell'orario in cui l'accusato avrebbe cessato di bere (che mutatis mutandis devono valere anche per quanto riguarda la constatazione che il momento critico non era quello indicato nel referto), sia sulla rilevanza dell'esito del test etanografico, tenuto anche conto delle tre birre che il ricorrente ha preteso di avere sorbito dopo avere parcheggiato la propria automobile. Egli non si è però spinto sino a tanto. Ancora un volta l'ammissibilità del ricorso non è data.
4.
Per dimostrare il preteso arbitrio in cui la prima Corte sarebbe caduta, nel punto 4.3 del ricorso il ricorrete si propone di determinare il tasso alcolico presente nel suo sangue al momento critico. Il prolisso esposto che ne segue, con il quale il ricorrente si limita per lo più a contrapporre al primo giudice una propria versione dei fatti, una propria valutazione delle prove, proponendosi finanche di fungere da perito, è però di chiara connotazione appellatoria, ciò che non è consentito in un ricorso per cassazione fondato sul divieto dell'arbitrio. Il gravame non è perciò ammissibile nemmeno al riguardo.
5.
Il ricorrente insorge infine contro la commisurazione della pena. Riferendosi alla condanna a 20 giorni di detenzione (sospesi condizionalmente), egli rimprovera al primo giudice di avergli irrogato la medesima pena privativa della libertà proposta dal Procuratore pubblico nel decreto di accusa, nonostante che egli, per finire, abbia riscontrato un tasso alcolico (1.2–1.5 g ‰) più contenuto rispetto a quello stabilito in sede predibattimentale e riportato nello stesso decreto di accusa. L'argomento non è decisivo, poiché il giudice del merito non è vincolato alla proposta di pena formulata dal Procuratore pubblico. Incombeva perciò al ricorrente confutare le ragioni che hanno spinto il primo giudice a confermare la proposta di pena avanzata dalla pubblica accusa. Egli non ha però soddisfatto tale esigenza, ossia ha completamente sorvolato le considerazioni che secondo la prima Corte osterebbero a un giudizio più clemente: gravità dell'infrazione commessa, inconsistenza delle giustificazioni addotte al riguardo, atteggiamento volto alla totale negazione dell'errore commesso e precedenti amministrativi in materia di circolazione (sentenza, pag. 6). Carente di motivazione il ricorso è pertanto ancora una volta destinato a un giudizio di inammissibilità. Il ricorrente si duole anche dell'entità della multa inflittagli (fr. 700.–), contestando che la stessa sia adeguata alle sue modeste condizioni finanziarie. A ben vedere la decisione impugnata suscita invero qualche perplessità. Nel quantificare in fr. 700.– la multa a carico del prevenuto, il presidente della Corte di assise ha sì ricordato la non agiata condizione economica del soggetto, ma non ha fornito utili ragguagli (nemmeno a pag. 2 ) che consentono di determinarsi sulle reali condizioni economiche della persona in causa (art. 48 cpv. 2 CP). L'argomento non ha però da essere vagliato oltre, ove si consideri che al primo giudice lo stesso ricorrente aveva chiesto, ancorché in via subordinata, la condanna al pagamento di una multa anziché ad una pena privativa della libertà (sentenza, pag. 2), ciò che fa presumere che egli non versasse in condizioni finanziarie a tal punto precarie, da impedirgli di pagare la somma di fr. 700.–, ossia la multa inflittagli in aggiunta alla pena di 20 giorni di detenzione (art. 91 cpv. 1 LCstr; art. 50 cpv. 2 CP). Su questo punto il ricorso deve pertanto essere respinto, siccome infondato .
6.
Da quanto precede discende che nella misura in cui è ammissibile il ricorso è destinato all'insuccesso. Gli oneri processuali seguano la soccombenza, ovvero sono posti a carico del ricorrente (art. 15 cpv. 1 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,002 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
7daf5ee5-c16e-5f0c-bbe5-acad38f73200
|
in fatto ed in diritto
che con istanza 2/4.11.2011 – completata in data 9/11.11.2011 su richiesta 4.11.2011 di questa Corte – l’avv. PR 2, in nome e per conto del suo assistito IS 1, _, ha postulato la trasmissione, in copia e in forma anonimizzata, della sentenza
15.04.2009 (inc. CRP _) emanata dall’allora Camera dei ricorsi penali
(inc. CRP _);
che a suffragio della sua richiesta ha precisato che sarebbe stato incaricato dal IS 1 di
"
raccogliere informazioni e documenti nell’ambito dei vari procedimenti civili e penali
", essendo
asseritamente proprietario legittimo di note promissorie poste sotto sequestro dal Ministero pubblico diversi anni fa
ed essendo all’oscuro di tutte le procedure sul territorio svizzero inerenti alle stesse, adducendo di essere soltanto al corrente del fatto che la sentenza di cui all’incarto CRP _ concerne le note promissorie in questione (scritto 9/11.11.2011, doc. 3 - inc. CRP _
);
che con scritto 16.11.2011 inviato al procuratore pubblico Andrea Gianini e trasmesso, per conoscenza a questa Corte, gli avvocati PR 1 e PR 2 hanno confermato la richiesta di accesso agli atti presentata il 25.10.2011 al Ministero pubblico, con riferimento alla sentenza di cui all’incarto CRP _, confermando parimenti che in tal modo viene evasa la loro istanza 2/4.11.2011 presentata a questa Corte (doc. 4
- inc. CRP _
);
che con sentenza 18.11.2011 questa Corte ha quindi stralciato dai ruoli l’istanza
2/4.11.2011 (completata il 9/11.11.2011)
ex art. 62 cpv. 4 LOG presentata dal IS 1 (inc. CRP _);
che
con la presente istanza gli avvocati PR 1 e PR 2, sempre in nome e per conto del loro assistito IS 1, chiedono (nuovamente) la trasmissione, in copia, della sentenza
15.04.2009 (inc. CRP _) emanata dall’allora Camera dei ricorsi penali, non avendo il procuratore pubblico Andrea Gianini evaso positivamente la loro richiesta di accesso agli atti;
che a sostegno della domanda richiamano la loro precedente istanza 2/4.11.2011, il suo complemento del 9/11.11.2011 e lo scritto 16.11.2011 dell’incarto CRP _ (di cui si è detto poc’anzi), ribadendo che il IS 1
"
(...) si trova tuttora all’oscuro dei procedimenti penali attualmente in essere sul suolo svizzero e coinvolgenti note promissorie di cui la stessa reclama la proprietà
" (istanza 30.01./1.02.2012, doc. 1);
che richiamano inoltre lo scritto 25.01.2012 del procuratore pubblico Andrea Gianini (inc. MP _), in cui il magistrato inquirente, con riferimento a diverse sue lettere, ha informato l’avv. PR 2 che
"
(...), ritenuto che la proprietà dei titoli è contestata almeno quanto la loro autenticità, per tentare di chiarire alcuni aspetti emersi recentemente ritengo opportuno chiarire la posizione della sua mandante prima di prendere una decisione in merito alla richiesta di accesso agli atti. È quindi mia intenzione procedere all’audizione degli organi della IS 1 in grado di fornire spiegazioni puntuali concernenti la fattispecie in merito alla quale stiamo indagando. (...)
" (scritto 25.01.2012 annesso all’istanza 30.01./1.02.2012, doc. 1);
che con osservazioni 17.02.2012 il procuratore pubblico postula in particolare a questa Corte di ottenere delle precisazioni da parte dell’istante, ovverossia di indicare quali sono le sue richieste concrete, a quale titolo sono formulate (cfr. art. 105 cpv. 2 CPP) e in base a quali prove fonda il suo diritto di partecipare al procedimento (doc. 5);
che con replica 27/29.02.2012 i patrocinatori del qui istante precisano anzitutto che la richiesta è limitata all’ottenimento, in copia, della sentenza emessa nell’ambito del procedimento penale di cui all’incarto CRP _ (doc. 7);
che adducono inoltre che il IS 1 è un terzo estraneo al procedimento penale in applicazione dell’art. 105 cpv. 1 lit. f e cpv. 2 CPP, toccato da misure coercitive, segnatamente dai sequestri delle note promissorie di cui sarebbe proprietario (doc. 7);
che con duplica 2.03.2012 il procuratore pubblico chiede che il qui istante non venga autorizzato ad accedere all’incarto penale (ndr: inc. MP _) e alla sentenza dell’incarto CRP _ (ndr: sempre in relazione all’inc. MP _) precisando che quest’ultimo
"
(...) riconosce di non essere parte al procedimento, ma chiede di avervi ugualmente accesso in qualità di terzo aggravato da atti procedurali (art. 105 cpv. 1 lett. f CPP)
", che il medesimo "
(...) fonda la propria qualità di terzo aggravato su di una causa presentata da una società delle _ e su documentazione che attesterebbe l’autenticità dei titoli _
", che "
(...) tuttavia, il procedimento penale condotto dallo scrivente Procuratore
(ndr: inc. MP _)
prende spunto da una denuncia che si fonda sull’ipotesi che i citati titoli _ siano falsi
", che "
(...) la questione dell’autenticità dei titoli è uno degli argomenti principali della vertenza che non ha ancora potuto essere chiarito, trattandosi di documenti che sarebbero stati allestiti (in maniera lecita o illecita) oltre 30 anni fa
", che "
(...) nel contempo si precisa che è pure pendente presso la _ una causa di diritto privato concernente i medesimi titoli _ che in base alle informazioni di cui disponiamo, vengono eccepiti di falso dalla _
", che "
(...) la questione della proprietà dei titoli segnatamente il fatto che gli stessi appartengano alla richiedente non può essere ritenuta in alcun modo pacifica
", che "
(...) al momento non è possibile riconoscere che la richiedente disponga della qualità di terzo aggravato da atti processuali
", precisando infine che "
(...) è intenzione dello scrivente Procuratore procedere all’audizione della richiedente, segnatamente dei suoi organi, in veste di teste, per appurare se gli stessi possano contribuire a fare chiarezza in un contesto oltremodo oscuro e contestato
" (duplica 2.03.2012, p. 1 e 2, doc. 9 e documentazione ivi annessa alla cui lettura si rimanda per brevità);
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che la sentenza 15.04.2009 (inc. CRP _), oggetto della presente richiesta, è stata impugnata con un ricorso sussidiario in materia costituzionale al Tribunale federale, al quale è stato conferito l’effetto sospensivo con decreto 12.06.2009;
che con successivo decreto 17.09.2009 il Tribunale federale ha dichiarato privo d’oggetto il predetto ricorso stralciando la causa dai ruoli;
che dal decreto 17.09.2009 risulta in particolare che in data 31.08.2009 il procuratore pubblico ha comunicato di aver disposto la riapertura delle informazioni preliminari giusta l’art. 187 cpv. 1 CPP TI (in relazione all’incarto penale MP _), e ciò in seguito alla scoperta di nuove prove, che la riapertura del procedimento comporta in sostanza la sua ripresa allo stadio delle informazioni preliminari (art. 187 cpv. 2 in relazione agli art. 183 ss. CPP TI) e che questa circostanza rende prive le contestazioni sollevate dalla ricorrente a seguito dell’emanazione del decreto di non luogo a procedere [impugnato presso l’allora Camera dei ricorsi penali, sfociato nella decisione 15.04.2009 di quest’ultima (inc. CRP _) oggetto della presente richiesta], comportando lo stralcio dai ruoli della procedura;
che inoltre il Tribunale federale, e ciò sempre con riferimento alla decisione 15.04.2009 di cui all’incarto CRP _, ha ritenuto che l’allora Camera dei ricorsi penali ha molto verosimilmente dichiarato a torto irricevibile l’istanza di promozione dell’accusa;
che alla luce di quanto sopra esposto la decisione 15.04.2009 emanata dall’allora Camera dei ricorsi penali (inc. CRP _), di cui l’istante postula la trasmissione, non ha più alcun valore;
che di conseguenza non è adempiuto un interesse giuridico legittimo ex art. 62 cpv. 4 LOG da parte del qui istante prevalente sui diritti personali delle parti coinvolte nel procedimento penale di cui all’incarto CRP _ nel frattempo archiviato ad ottenere, in copia, la decisione _ emanata dall’allora Camera dei ricorsi penali (inc. CRP _);
che a titolo abbondanziale va ricordato che l’esame degli atti inerente a procedimenti penali pendenti è regolato dagli articoli 101 e 102 CPP (BSK StPO – M. SCHMUTZ, Basilea 2011, art. 101 CPP n. 4) e chi dirige il procedimento (cfr., al proposito, art. 61 CPP) decide in merito all’esame in applicazione dell’art. 102 cpv. 1 CPP;
che è pertanto il procuratore pubblico Andrea Gianini che deve decidere in merito all’esame degli atti dell’incarto penale MP _ tuttora pendente presso il Ministero pubblico;
che stante le precedenti considerazioni l’istanza deve essere respinta;
che l
a tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico di chi le ha occasionate.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,012 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
7dee1368-60b0-5f70-807a-08bcdfa45e59
|
in fatto ed in diritto
1.
A carico di PI 2 è stato aperto un procedimento penale (inc. MP _) sfociato nel decreto di accusa 19.11.2008 emanato dall’allora procuratore pubblico Luca Maghetti (DA _). Il predetto decreto è passato in giudicato il 22.12.2008.
2.
Con la presente istanza la IS 1 (di seguito IS 1) chiede, in applicazione dell’art. 30 della LF del 22 marzo 1974 sul diritto penale amministrativo (DPA), di poter accedere – tra gli altri – agli atti dell’incarto penale DA _ (già inc. MP _) riguardante PI 2.
A sostegno della sua richiesta precisa che presso la IS 1 è stato aperto un procedimento penale amministrativo nei confronti di diverse persone del Canton _ e _ per sospetto di infrazione alla Legge federale sui medicamenti e i dispositivi medici (Legge sugli agenti terapeutici, LATer, RS 812.21) in relazione al commercio all’ingrosso di medicamenti / alla violazione di norme GDP. Secondo le informazioni fornite dal _ cantonale diversi incarti penali, tra cui quello riguardante PI 2, potrebbero contenere informazioni utili per il procedimento penale amministrativo in questione (cfr. doc. 1.a e doc. 1.b). Il _ cantonale ticinese si occuperà dell’ispezione degli atti e di fotocopiare gli atti necessari per la IS 1.
3.
Come esposto in entrata, il procuratore pubblico si è rimesso al giudizio di questa Corte. PI 2, dal canto suo, informa in particolare di essere d’accordo che a IS 1 venga concesso di esaminare gli atti del suo incarto penale, chiedendo parimenti che venga comunicato a lui rispettivamente al suo patrocinatore se e quali atti verranno fotocopiati dall’autorità istante.
4.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
5.
5.1.
IS 1
è l'autorità centrale svizzera di sorveglianza per gli agenti terapeutici. In qualità di ente di diritto pubblico della Confederazione, con sede a _, esso è autonomo nella sua organizzazione e gestione e dispone di fondi propri. IS 1 fa parte del Dipartimento federale dell'interno ed ha iniziato la sua attività il 1°.01.2002 con l’entrata in vigore della
LATer
. A tutela della salute delle persone e degli animali, IS 1 si assicura che i medicamenti e i dispositivi medici siano efficaci e sicuri. La valutazione approfondita degli agenti terapeutici comprende il riconoscimento tempestivo di nuovi rischi e la realizzazione rapida di misure riguardanti la sicurezza. IS 1 informa puntualmente in modo mirato gli specialisti e il pubblico sui problemi e le nuove conoscenze nel settore degli agenti terapeutici.
Le competenze di IS 1 sono in particolare l'omologazione di medicamenti, le autorizzazioni di esercizio per la fabbricazione e il commercio all'ingrosso nonché le ispezioni, la sorveglianza del mercato di medicamenti e dispositivi medici, il controllo del traffico degli stupefacenti, gli esami analitici di laboratorio sulla qualità del medicamento e l'attività legislativa e la normalizzazione (cfr. _; cfr. anche la LATer).
5.2.
La LATer prevede delle disposizioni penali [cfr., al proposito, art. 86 LATer ss.; Messaggio concernente una legge federale sui medicamenti e i dispositivi medici (Legge sugli agenti terapeutici, LATer) del 1°.03.1999, 99.020, p. 3060 ss.].
Giusta l’art. 90 cpv. 1 LATer il perseguimento penale nell’ambito della competenza della Confederazione è condotto dalla IS 1 in virtù delle disposizioni della DPA.
La IS 1 può dunque condurre inchieste (che esigono conoscenze tecniche approfondite) ed emanare decreti e decisioni penali. Nella misura in cui sono dati gli estremi per infliggere una pena o per ordinare una misura privativa della libertà, il giudizio spetta al tribunale (art. 21 cpv. 1 DPA) [Messaggio concernente una legge federale sui medicamenti e i dispositivi medici (Legge sugli agenti terapeutici, LATer) del 1°.03.1999, 99.020, p. 3063].
I servizi della Confederazione e dei Cantoni competenti per l’esecuzione della LATer provvedono allo scambio di dati sempre che l’esecuzione della LATer lo esiga (art. 63 cpv. 1 LATer).
Il Consiglio federale può prevedere la comunicazione di dati a altre autorità o organizzazioni qualora l’esecuzione della LATer lo esiga (art. 63 cpv. 2 LATer).
Le autorità amministrative della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni devono prestare assistenza, nell’espletamento dei loro compiti, alle autorità incaricate del procedimento e del giudizio in materia di cause penali amministrative; esse devono segnatamente comunicare loro tutte le informazioni occorrenti e concedere loro di prendere visione degli atti ufficiali che possono avere importanza per il procedimento penale (art. 30 cpv. 1 DPA).
Giusta l’art. 30 cpv. 2 DPA l’assistenza può essere negata soltanto quando vi si oppongano importanti interessi pubblici, segnatamente la sicurezza interna o esterna della Confederazione o dei Cantoni, ovvero quando essa pregiudichi notevolmente l’autorità richiesta nell’esecuzione dei suoi compiti. I segreti confidati giusta gli articoli 171–173 CPP devono essere serbati. Del rimanente, in materia d’assistenza sono applicabili gli articoli 43–48 CPP (art. 30 cpv. 3 DPA). Gli organismi con compiti di diritto pubblico sono tenuti, nell’ambito di questi compiti, a prestare la stessa assistenza delle autorità (art. 30 cpv. 4 DPA).
Non va del resto dimenticato che le autorità cantonali comunicano tutte le sentenze, decisioni amministrative di carattere penale e dichiarazioni di non doversi procedere emanate in applicazione, tra l’altro, della LATer all’IS 1 (art. 3 cifra 15 dell’Ordinanza concernente la comunicazione di decisioni penali cantonali del 10.11.2004, RS 312.3).
Infine, l’allora Camera dei ricorsi penali – dall’1.01.2011 Corte dei reclami penali – nella decisione 16.02.2010 (inc. CRP _) aveva stabilito che IS 1, essendo un’autorità penale di perseguimento giusta l’art. 90 LATer, non doveva ricorrere alla procedura prevista dall’art. 27 CPP TI (ora art. 62 cpv. 4 LOG) in relazione alla richiesta di poter accedere agli atti di un procedimento penale pendente a carico di diverse persone per contravvenzione aggravata alla LATer [
"
(...). Nel presente caso, in base all’art. 90 della Legge federale sui medicamenti e i dispositivi medici, l’istante è l’autorità competente per il perseguimento penale delle violazioni della surriferita legge. Trattandosi di un’autorità penale di perseguimento, non deve ricorrere alla procedura prevista dall’art. 27 CPP, ma ha diritto di accedere agli atti e ricevere copia dei medesimi, in quanto necessario per l’adempimento delle sue attribuzioni penali. (...)
"
(decisione 16.02.2010, p. 2, consid. 4., inc. CRP _)].
5.3.
Alla luce di quanto sopra esposto, richiamate in particolare le competenze conferite alla IS 1 e le suddette disposizioni, questa Corte con decisione 24.05.2013 (inc. CRP _) ha ritenuto di dover emanare una decisione di principio, statuendo quanto segue:
"
La Corte
dei reclami penali riconosce, di principio, alla IS 1 – quale autorità di perseguimento penale giusta l’art. 90 cpv. 1 LATer – un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG per poter esaminare (e se, del caso, fotocopiare) gli atti di procedimenti penali conclusi utili ai fini delle sue incombenze direttamente presso le autorità penali ticinesi (ovverossia presso il Ministero pubblico, il Tribunale penale cantonale, la Pretura penale, la Corte di appello e di revisione penale e questa Corte), senza dover ricorrere di volta in volta alla procedura ex art. 62 cpv. 4 LOG, dimostrando nondimeno l’esistenza di una connessione tra i suoi obblighi di competenza (in applicazione della LATer) e i fatti oggetto del procedimento penale concluso (di cui chiede la compulsazione degli atti).
Va da sé che la compulsazione degli atti deve avvenire nel rispetto del segreto professionale (art. 61 LATer).
In caso di dubbio, la IS 1 può presentare a questa Corte un’istanza ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG rispettivamente le autorità penali ticinesi coinvolte possono trasmettere la richiesta, per competenza, a questa Corte in applicazione della predetta disposizione
"
(decisione 24.05.2013, p. 5, inc. CRP _).
6.
Per quanto interessa la fattispecie in esame, la IS 1 può dunque rivolgersi direttamente al Ministero pubblico, autorità alla quale viene ritornata, per evasione, la presente istanza.
7.
Stante la funzione dell’istante e la finalità della richiesta, non si prelevano tassa di giustizia e spese.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
7df0c840-80a2-5117-af66-5d629b4ca037
|
in fatto ed in diritto
1.
1.1.
In data 18.12.2014 il procuratore pubblico Antonio Perugini ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale _ (_), siccome ritenuto colpevole di
guida senza autorizzazione, per avere, a _, il 31.10.2014, “
condotto l’autovettura _ targata _ sebbene la licenza di condurre gli fosse stata revocata dalla competente Autorità amministrativa in data 09.09.2014, per un periodo indeterminato
”, proponendo la sua condanna alla pena pecuniaria (sospesa condizionalmente per un periodo di prova di tre anni) di 70 aliquote giornaliere da CHF 610.-- cadauna, ed alla multa di CHF 2’000.--, con l’avvertenza che, in caso di mancato pagamento, la stessa sarà sostituita con una pena detentiva di 20 giorni. Il magistrato inquirente ha altresì revocato il beneficio della sospensione condizionale concesso alla pena pecuniaria di 20 aliquote giornaliere da CHF 650.-- ciascuna, decretata nei suoi confronti il 26.2.2014 (decreto di accusa 18.12.2014, p. 1-2, DA _, AI 3, inc. MP _).
1.2.
In assenza di tempestiva opposizione, al decreto di accusa 18.12.2014 è stato apposto il timbro di crescita in giudicato il 5.2.2015 (cfr. timbro sulla prima pagina dell’atto, cfr. AI 3, inc. MP _).
1.3.
Con scritto 30.4.2015, l’avv. _, in nome e per conto di RE 1, ha inoltrato al Ministero pubblico un’istanza di restituzione in intero, sostenendo che l’istante non avrebbe ritirato la raccomandata contenente il citato DA in quanto si trovava all’estero ed in ogni caso “
non poteva immaginarsi, né tantomeno attendersi la notifica del predetto decreto di accusa essendo patrocinato dall’avv. _
” nell’ambito della parallela procedura amministrativa di revoca della licenza (istanza di restituzione in intero 30.4.2015, p. 3, doc. 1, inc. Pretura penale _). Contestualmente all’inoltro dell’istanza RE 1 ha formulato opposizione al DA _.
1.4.
Con decreto 18.6.2015 il presidente della Pretura penale ha respinto l’istanza di restituzione del termine, ritenendo non sufficienti i motivi addotti dall’istante, e di conseguenza, ha dichiarato irricevibile l’opposizione inoltrata contestualmente all’istanza e definitivo il decreto di accusa DA _ (doc. 9, inc. Pretura penale _).
1.5.
Adita con reclamo 2/3.7.2015 presentato da _, questa Corte con sentenza 14.9.2015 ha confermato il decreto 18.6.2015 del presidente della Pretura penale, respingendo il gravame [inc. CRP _].
2.
Con la presente istanza il IS 1, per il tramite del giudice delegato Stefano Bernasconi, chiede di ottenere una copia della sentenza prolata a seguito dell’istanza 30.4.2015 di restituzione in intero contro il lasso dei termini.
A sostegno della sua richiesta il giudice delegato precisa che è pendente dinanzi al IS 1 una pratica relativa alla revoca della licenza di condurre di _ (doc. CRP 1a – inc. 60.2015.269).
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha nella sostanza ripreso il testo del previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
Come ricordato dalla prassi di questa Corte, in caso di richiesta da parte di autorità giudiziarie tendente ad ottenere documenti di un incarto penale, la giurisprudenza ammette la richiesta se:
(i) si riferisce a procedimenti ancora pendenti presso l'autorità richiedente;
(ii) è compatibile con il codice di rito applicabile a quel procedimento;
(ii) è formulata dal titolare dell’autorità giudiziaria richiedente.
Inoltre deve essere dato un legame di pertinenza dell’incarto richiamato con quello richiamante.
4.
La competenza del IS 1 a statuire in materia di revoca della licenza di condurre discende dall’art. 10 cpv. 2
Legge di applicazione alla legislazione federale sulla circolazione stradale e la tassa sul traffico pesante del 24.9.1985
(LACS; RL 7.4.2.1.).
N
el caso in esame è certamente data una connessione tra il procedimento penale sfociato nel DA _ del 18.12.2014, dichiarato definitivo con sentenza 14.9.2015 di questa Corte (non ancora passata in giudicato), ed il procedimento amministrativo pendente presso il IS 1 (inc. _).
E
ntrambi i procedimenti traggono infatti le loro origini dalla medesima fattispecie, segnatamente il fermo di _ in data 31.10.2014 per infrazione alla LCStr.
La richiesta è dunque fondata su un interesse giuridico legittimo dell’autorità istante ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG.
Come esposto sopra, il giudice Stefano Bernasconi è il giudice delegato
dell’autorità giudiziaria richiedente, e i documenti quali mezzi di prova sono previsti dall’art. 28 cpv. 1 lit. a LPamm.
5.
In siffatte circostanze, dopo il passaggio in giudicato della sentenza 14.9.2015 di questa Corte (inc. CRP _), una copia verrà trasmessa all’autorità istante.
6.
L’istanza è accolta ai sensi del precedente considerando. Visti la natura e la finalità della richiesta, si prescinde dal prelievo di tassa di giustizia e spese.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,015 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
7e08b905-9ef1-59c2-8de3-5e5b6194a0c3
|
ritenuto il
“complemento della motivazione”
presentato dall’avv. PR 1 in data 27/30.5.2011;
richiamate le osservazioni 6.6.2011 del presidente della Corte delle assise criminali, giudice Marco Villa, che si rimette al giudizio di questa Corte e 7/8.6.2011 del procuratore pubblico Antonio Perugini che afferma di
“(...) condividere appieno le censure mosse dal qui reclamante relativamente alle decurtazioni effettuate (...)”
e chiede l’accoglimento del gravame;
letti ed esaminati gli atti;
considerato
in fatto
a.
RI 1 è stato arrestato il 12.1.2011, mentre entrava in _, con _, a bordo di una vettura, nella quale erano stati nascosti precedentemente 3547 grammi di cocaina (rapporto di arresto provvisorio, AI 8, inc. MP _).
Con decisione 13.1.2011 il procuratore pubblico Antonio Perugini ha nominato l’avv. PR 1 difensore d’ufficio di RI 1, con l’assistenza giudiziaria gratuita (decisione 13.1.2011, AI 9, inc. MP _).
Con atto d’accusa 17.3.2011 (procedura di rito abbreviato) il magistrato inquirente ha promosso l’accusa dinanzi alla Corte delle assise criminali di _ nei confronti, di RI 1, congiuntamente a _, siccome ritenuti colpevoli di infrazione aggravata alla LStup, e RI 1, singolarmente, di violazione della legge federale sulle armi, gli accessori di armi e le munizioni (atto d’accusa 17.3.2011, ACC _).
Con sentenza 3.5.2011 la Corte delle assise criminali ha condannato RI 1 alla pena detentiva di quattro anni poiché ritenuto autore colpevole di infrazione aggravata alla LStup in quanto
“(...) fra l’11 e il 12 _ 2011, su incarico di tale _ (di origine _) residente a _ e dietro promessa di compenso (...), preso in consegna, nascosta nel serbatoio del veicolo (...) 3547 grammi lordi (2438 netti) di cocaina confezionata in 8 ovuli avvolti in un apposito involucro, trasportandole poi da _ al Ticino dove doveva essere consegnata ad un destinatario a loro ignoto (...)”
e per avere
“(...) su incarico di tale _ residente a _ e di suo fratello ‘_(...) (entrambi di origine _), dietro compenso (...), effettuato con veicoli a motore (...), il trasporto dalla Svizzera alla _ di ingenti quantità di denaro (...) che sapeva essere in pagamento di grosse partite di droga (...)”
, e autore colpevole di violazione della legge federale sulle armi, gli accessori di armi e le munizioni per avere
“(...) il 12 gennaio 2011 in entrata dal valico di _ (...), senza diritto, intenzionalmente introdotto sul territorio svizzero la pistola Glock e relative munizioni, occultandole dietro il faro posteriore sinistro del (...) suo veicolo (...)”
(sentenza 3.5.2011, p. 17 / 2 s., inc. TPC _).
b
. La Corte delle assise criminali nella sentenza di cui sopra, relativamente alla nota d’onorario del difensore d’ufficio avv. PR 1, ha tuttavia proceduto ad una serie di decurtazioni, approvandola limitatamente a CHF 6'387.15 [di cui CHF 4’830.-- per onorari (26 ore e 50 minuti a CHF 180.-- / ora), CHF 1'084.-- per spese e CHF 473.15 per l’IVA (cfr. sentenza 3.5.2011, p. 15, inc. TPC _)], in luogo dei postulati CHF 9'384.10.
L’autorità giudicante ha defalcato gli onorari relativi al tempo di trasferta del patrocinatore per recarsi presso il carcere giudiziario la Farera (Lugano), ripettivamente a Lugano il giorno del dibattimento. La Corte delle assise criminali ha inoltre ritenuto eccessivi gli onorari esposti dal patrocinatore d’ufficio in relazione ai verbali dinanzi al procuratore pubblico e quelli esposti per il pubblico dibattimento. Ha inoltre dedotto gli onorari per
“semplici comunicazioni”
o
“semplici invii, dal testo oltremodo semplice e stringato”
.
c.
Con il presente reclamo, presentato in data 5/9.5.2011, e poi completato, dopo la ricezione delle motivazioni scritte della sentenza 3.5.2011, con il
“complemento della motivazione”
del 27/30.5.2011, il reclamante chiede che la sua nota, inerente alla difesa d’ufficio di RI 1 sia approvata per CHF 9'141.10, IVA compresa.
Egli ha affermato, in particolare (oltre a giustificare ogni prestazione da lui effettuata e dedotta, a suo dire, a torto dalla Corte delle assise criminali), che, in merito agli onorari per le trasferte,
“(...) non si giustifica assolutamente detto stralcio, poiché le ore in questione fanno parte integrante del procedimento, rispettivamente dello svolgimento del mandato affidato al difensore da parte dello Stato (...)”
(reclamo 5/9.5.2011, p. 3). Inoltre egli afferma che
“(...) le ore indicate per i verbali (...) corrispondono esattamente al tempo impiegato, tenuto conto del fatto che, dopo la chiusura dei verbali, l’intero testo verbalizzato fu riletto e contemporaneamente tradotto in spagnolo (...)”
(complemento della motivazione 27/30.5.2011, p. 3).
d
|
. Delle ulteriori motivazioni, così come delle osservazioni del presidente della Corte delle assise criminali e del procuratore pubblico, si dirà, se necessario, in diritto.
in diritto
1
. 1.1.
Giusta l’art. 135 cpv. 3 CPP, in materia di retribuzione, il difensore d’ufficio può interporre reclamo alla giurisdizione di reclamo [ovvero in Ticino, alla Corte dei reclami penali (art. 62 cpv. 2 LOG)] contro la decisione del pubblico ministero o del tribunale di primo grado (cfr. art. 393 cpv. 1 lit. b CPP).
Con il gravame si possono censurare la violazione del diritto, compreso l’eccesso e l’abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (393 cpv. 2 lit. a CPP), l’accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e l’inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta ed all’art. 385 CPP per la motivazione.
Esso deve indicare, in particolare, i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP).
1.2.
Il gravame, inoltrato il 5/9.5.2011 alla Corte dei reclami penali, competente ex art. 62 cpv. 2 LOG, contro la decisione 3.5.2011 della Corte delle assise criminali, (ed in seguito completato in data 27/30.5.2011, dopo aver ricevuto la motivazione della sentenza sopraindicata), è tempestivo
.
Le esigenze di forma e di motivazione sono rispettate
.
Esso è – di conseguenza – ricevibile in ordine
.
2.
2.1.
In Ticino la retribuzione del difensore d’ufficio, anche in ambito penale, era fissata, fino al 31.12.2010, dalla Legge sul patrocinio d’ufficio e sull’assistenza giudiziaria del 3.6.2002 (vLag). L’art. 3 cpv. 1 vLag garantiva a chi dimostrava di non avere mezzi sufficienti per far fronte agli oneri di procedura e alle spese di patrocinio il beneficio dell’assistenza giudiziaria. Il patrocinatore si vedeva rimunerare in tal caso per le prestazioni risultanti da una ragionevole conduzione del mandato, ovvero per quelle necessarie in relazione alla natura e alla complessità della causa, escluse
“quelle che avrebbe dovuto evitare”
(art. 6 cpv. 1 vLag). Non erano quindi remunerati gli interventi prescindibili o che esulavano da un ambito strettamente legale.
2.2.
Il 5.10.2007 è stato adottato il codice di diritto processuale svizzero (CPP) in vigore dall’1.1.2011. Quest’ultimo disciplina sia il patrocinio di ufficio sia l’assistenza giudiziaria. La corrispondente norma cantonale (in Ticino la vLag) è pertanto divenuta superflua in ambito penale e sostituita dalla nuova Legge sull’assistenza giudiziaria e sul patrocinio d’ufficio del 15.3.2011 (LAG), applicabile, prevalentemente, in altri ambiti giuridici.
Il nuovo codice stabilisce tuttavia che il difensore d’ufficio deve essere retribuito secondo la tariffa d’avvocatura della Confederazione o del Cantone in cui si svolge il procedimento (art. 135 cpv. 1 CPP).
2.3.
Da ciò l’applicazione, nel presente caso, del Regolamento sulla tariffa per i casi di patrocinio d’ufficio e di assistenza giudiziaria e per la fissazione delle ripetibili (Rtar), in vigore dall’1.1.2008.
2.4.
Tale Regolamento (tutt’oggi in vigore), stabilisce la tariffa per le prestazioni dell’avvocato nel caso della sua nomina a patrocinatore d’ufficio (art. 1 Rtar). Esso differenzia le prestazioni svolte da avvocati o da praticanti, tenendo anche conto delle complessità del caso.
All’avvocato vanno riconosciuti gli onorari per le prestazioni necessarie per lo svolgimento del patrocinio e il rimborso delle spese. L’onorario dell’avvocato è calcolato secondo il tempo di lavoro sulla base della tariffa di CHF 180.-- / ora (art. 4 cpv. 1 Rtar; tariffa confermata anche dalla giurisprudenza federale: sentenza TF 6B_947/2008 del 16.1.2009). Se la pratica è stata particolarmente impegnativa, per esempio avendo richiesto studio e conoscenze speciali o avendo comportato trattazioni di nuove e complesse questioni giuridiche, l’onorario può essere aumentato sino a CHF 250.-- / ora (art. 4 cpv. 2 Rtar). L’onorario del praticante legale è calcolato sulla base della tariffa di CHF 90.-- / ora (art. 4 cpv. 3 Rtar).
L’onorario dell’avvocato per la partecipazione a interrogatori al di fuori dell’orario di lavoro usuale (tra le ore 20.00 e le ore 08.00 dei giorni feriali e quello nei giorni festivi ufficiali e di sabato) è fissato a CHF 250.-- / ora; quello del praticante legale a CHF 110.-- / ora (art. 5a Rtar).
Al patrocinatore può essere inoltre riconosciuto un importo forfetario in per cento dell’onorario quale rimborso per le spese di cancelleria, come quelle di spedizione, di comunicazione, delle fotocopie e di apertura e archiviazione dell’incarto (art. 6 Rtar).
2.5.
Viste le tariffe sopraindicate l’autorità cantonale deve, nella determinazione della retribuzione dell’avvocato d’ufficio, tener conto della natura, dell’importanza, e delle difficoltà particolari, in fatto ed in diritto, della vertenza, valutando il tempo dedicato dall’avvocato allo studio dell’incarto, quello destinato ai colloqui e alle udienze presso le autorità di ogni istanza e il risultato ottenuto. La prestazione dell’avvocato deve stare in rapporto ragionevole con la prestazione fornita e con la responsabilità assunta dal libero professionista (sentenza TF 6B_810/2010 del 25.5.2011).
3
. 3.1.
Il reclamante si duole innanzitutto del fatto che non gli sarebbero stati riconosciuti gli onorari per le trasferte da lui effettuate per recarsi al carcere giudiziario la _ per i colloqui con il suo patrocinato, rispettivamente a _ il giorno del dibattimento.
Il Tribunale di merito ha infatti defalcato 12 ore relative agli onorari sopraindicati
“(...) conformemente alla prassi giurisprudenziale della precedente autorità di tassazione (...)”
(sentenza 3.5.2011, p. 14).
La Corte delle assise criminali si è tuttavia limitata ad affermare che per
“prassi”
le autorità competenti prima dell’entrata in vigore del nuovo CPP (dunque prima dell’1.1.2011) e pertanto il giudice dell’istruzione e dell’arresto e la Camera dei ricorsi penali, non riconoscevano gli onorari per le trasferte. La Corte sopraindicata non fa però riferimento ad una giurisprudenza specifica.
Questa Corte, statuendo in qualità di Camera dei ricorsi penali, in materia di istanze di indennità per accusati prosciolti (art. 317 ss. CPP TI), ha sempre riconosciuto gli onorari riferiti a tali trasferte (cfr. sentenza CRP 27.12.2010, inc. _). Dalle informazioni assunte, questo vale anche per il giudice dell’istruzione e dell’arresto. Non si vede pertanto per quale motivo questa prassi dovrebbe essere ora modificata.
All’avv. PR 1 vanno dunque riconosciuti gli onorari relativi alle trasferte sopraindicate per complessivi 720 minuti (pari a 12 ore).
3.2.
La Corte delle assise criminali ha inoltre affermato che
“(...) partendo dalle indicazioni orarie di inizio e fine dei singoli verbali dinanzi al PP e confrontandoli con il tempo espresso nella nota professionale (...) non sono state riconosciute 2 h e 15 minuti (...)”
(sentenza 3.5.2011, p. 14).
Il reclamante ha tuttavia contestato tale decurtazione,
“(...) poiché le indicazioni orarie di inizio e fine dei singoli verbali dinanzi al PP non corrispondono assolutamente al tempo effettivamente impiegato. Le ore indicate per i verbali del 12 e del 24 gennaio e per quello del 10 febbraio 2011 corrispondono esattamente al tempo impiegato, tenuto conto del fatto che, dopo la chiusura dei verbali, l’intero testo verbalizzato fu riletto e contemporaneamente tradotto in spagnolo. Di conseguenza occorrevano una volta 55 min, una volta 20 min e l’ultima volta addirittura 60 min per la rilettura del verbale con contemporanea traduzione (...)”
(complemento della motivazione 27/30.5.2011, p. 2 s.).
Anche il procuratore pubblico Antonio Perugini ha in merito dichiarato, nelle sue osservazioni al presente reclamo, di confermare che
“(...) gli orari indicati sui verbali da me stesi, come prassi in uso nel passato, non contemplano il tempo della traduzione e della rilettura come scrive il reclamante. Ciò che non è più il caso dal caso in esame in poi, sia per il sottoscritto sia per i suoi Colleghi PP, proprio per ovviare a tali problemi di diversa interpretazione sulla effettiva durata dei verbali (...)”
(osservazioni 7/8.6.2011).
Pertanto, viste le motivazioni del reclamante, confermate peraltro dal magistrato inquirente, si può riconoscere l’onorario esposto per tali interrogatori di complessivi 135 minuti (pari a 2 ore e 15 minuti).
3.3.
Il Tribunale di merito ha inoltre stralciato gli onorari del patrocinatore d’ufficio in merito
“(...) alla presa di conoscenza di semplici comunicazioni quali ad esempio, le citazioni del 20.1.2011 (...), del 2.2.2011 (...) e del 25.3.2011 (...)”
per complessivi 15 minuti (sentenza 3.5.2011, p. 15).
In merito l’avv. PR 1 ha dichiarato che, a suo dire, i 15 minuti indicati
“(...) per la presa di conoscenza di comunicazioni da parte del Magistrato (...) sono da remunerare, poiché un patrocinatore diligente, secondo la comune esperienza nella trattazione di un mandato di analoga complessità, legge dette comunicazioni, poiché sono importanti e non possono semplicemente essere messe nell’incarto, senza aver preso atto del loro contenuto (...)”
(complemento della motivazione 27/30.5.2011, p. 3).
A ragione. Le
“semplici comunicazioni”
a cui si riferisce la Corte delle assise criminali risultano effettivamente essere le citazioni per gli interrogatori di RI 1. L’avv. PR 1 doveva, quale patrocinatore diligente, leggere tali scritti per prenderne conoscenza, segnare gli appuntamenti sull’agenda e classarli nell’incarto. Il patrocinatore d’ufficio ha esposto in merito, nella sua nota d’onorario 21.4.2011, 5 minuti per ciascun scritto, ciò che risulta più che giustificato e proporzionato al contenuto degli stessi. Vanno quindi riconosciuti i 15 minuti esposti.
3.4.
La Corte delle assise criminali ha inoltre decurtato l’onorario dell’avv. PR 1 di 20 minuti in merito a due scritti:
“(...) trattandosi di semplici invii, dal testo oltremodo semplice e stringato, il complessivo indicato tempo di 30 min per la scritturazione delle due lettere del 14.3.2011 (...) e del 17.3.2011 (...) al Ministero pubblico è stato ritenuto per eccessivo e ridotto di 10 min (...)”
(sentenza 3.5.2011, p. 15).
Al contrario il reclamante ha osservato che
“(...) un patrocinatore diligente, secondo la comune esperienza nella trattazione di un mandato di analoga complessità, impiega 30 minuti per la stesura di dette lettere. Infatti, soprattutto la lettera 17 marzo 2011 è lunga, (...)”
(complemento della motivazione 27/30.5.2011, p. 3).
Tuttavia, da un’attenta lettura dell’incarto, risulta che gli scritti 14.3.2011 (AI 60) e 17.3.2011 (AI 62) siano delle semplici comunicazioni di poche righe che non necessitavano in alcun modo di un dispendio orario superiore ai 10 minuti ammessi dal Tribunale di merito. La censura sollevata dal reclamante viene, in questo caso, respinta.
3.5.
Il reclamante non ha, per contro, contestato le altre deduzioni effettuate dalla Corte delle assise criminali.
3.6.
L’IVA esposta dall’avv. PR 1 nel suo
“complemento della motivazione”
27/30.5.2011 (pari a CHF 677.10) non può inoltre essere riconosciuta, contrariamente a quanto stabilito dalla Corte delle assise criminali, essendo RI 1 domiciliato all’estero [art. 8 cpv. 1 legge federale del 12.6.2009 concernente l’imposta sul valore aggiunto (LIVA); cfr. sentenza CRP 3.9.2008, inc. _].
3.7.
Da quanto sopra esposto si ha il presente conteggio: 2’550 minuti (come esposto nella nota d’onorario dell’avv. PR 1 dopo arrotondamento per un errore di calcolo) – 970 minuti (pari a quanto stralciato dalla Corte delle assise criminali) + 870 minuti (pari a quanto riconosciuto in questa sede) = 2’450 minuti (pari a 40 ore e 50 minuti a CHF 180.-- / ora) per un onorario di CHF 7’350.--. Le spese risultano ammontare a CHF 1’084.-- per un totale complessivo di CHF 8'434.--.
4
. Il gravame è parzialmente accolto. Non si prelevano tassa di giustizia e spese. Lo Stato della Repubblica e del Cantone Ticino rifonderà al reclamante CHF 200.-- a titolo di ripetibili ridotte.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
7e409c67-d97b-5b26-94e1-f8edbd1c3ff7
|
in fatto ed in diritto
1.
1.1.
A seguito della denuncia sporta il 30.09.1996 dalla società _ ed i suoi istituti di previdenza, per il tramite del suo vicepresidente e direttore _, nei confronti – tra gli altri – di _ per le ipotesi di reato di truffa, falsità in documenti, bancarotta fraudolenta e riciclaggio di denaro (sub. ricettazione) in relazione al loro ruolo assunto nella conduzione e nel fallimento (decretato il _ dalla _) di _, _, e delle società appartenenti al gruppo, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale (inc. MP _) sfociato nel decreto di non luogo a procedere 7.07.2000 (NLP _) emanato dall’allora procuratore generale Luca Marcellini.
Con giudizio 9.04.2001 l’allora Camera dei ricorsi penali, adita con istanza di promozione dell’accusa ex art. 186 CPP TI datata 20.07.2000 da _, ha dichiarato irricevibile il gravame introdotto contro il suddetto decreto di non luogo a procedere (inc. _). Il medesimo è quindi passato in giudicato.
1.2.
L’11/12.10.2004 l’avv. _, per il tramite del suo patrocinatore, ha a sua volta sporto denuncia penale nei confronti di _ per le ipotesi di reato di truffa e denuncia mendace in relazione alla suddetta denuncia del 30.09.1996. Il Ministero pubblico ha quindi aperto un procedimento penale (inc. MP _) a carico del denunciato sfociato nel decreto di non luogo a procedere 21.09.2010 (NLP _) emanato dall’allora procuratore pubblico Manuela Minotti Perucchi per intervenuta prescrizione dell’azione penale.
Il citato decreto è quindi passato in giudicato, non essendo stato impugnato ai sensi dell’art. 186 CPP TI presso l’allora Camera dei ricorsi penali.
2.
Con scritto 18/19.02.2013 – a valere quale istanza ex art. 62 cpv. 4 LOG – la IS 1 postula la trasmissione dell’inc. MP _ (ora inc. NLP _) e dell’inc. NLP _ (già inc. MP _) nel frattempo archiviati, essendo stati richiamati con il consenso del pretore e delle parti ai fini dell’istruttoria della causa civile di cui all’incarto _ promossa con petizione 3.10.2005 dall’avv. _ (patr. dagli avv.ti _ e _, _) nei confronti di _ (agente in qualità di trustee di _, _, _, _), _, _ (tutti patr. da: avv. _, _) (istanza 18/19.02.2013 e doc. 1.a e 1.b ivi annessi).
A sostegno della sua richiesta la Pretura istante ha prodotto uno scritto datato 25.06.2012 dell’avv. _ e, in copia, uno scritto intitolato
"
Mezzi di prova di parte attrice per il merito
"
della parte attrice, in cui sono state riassunte le motivazioni che stanno alla base della presente istanza (cfr., nel dettaglio, doc. 1.a e doc. 1.b).
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha nella sostanza ripreso il testo del previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
Come ricordato dalla prassi di questa Corte, in caso di richiesta da parte di autorità giudiziarie tendente ad ottenere documenti di un incarto penale, la giurisprudenza ammette la richiesta se:
(i) si riferisce a procedimenti ancora pendenti presso l'autorità richiedente;
(ii) è compatibile con il codice di rito applicabile a quel procedimento;
(ii) è formulata dal titolare dell’autorità giudiziaria richiedente.
Inoltre deve essere dato un legame di pertinenza dell’incarto richiamato con quello richiamante.
4.
Nella fattispecie in esame – viste le motivazioni apportate dalle parti al procedimento civile (cfr., nel dettaglio, doc. 1.a e doc. 1.b annessi all’istanza 18/19.02.2013, alla cui lettura si rimanda per brevità) – appare data una connessione tra la causa civile di cui all’incarto _ pendente presso la Pretura istante e i due procedimenti penali in questione nel frattempo archiviati.
A ciò aggiungasi che nell’ambito del procedimento penale di cui all’incarto penale MP _ sfociato nel decreto di non luogo a procedere 7.07.2000 (NLP _), l’avv. _ (attore nell’ambito del procedimento civile) era denunciato, mentre la _ (tra gli altri, parte convenuta al procedimento civile) si era costituita parte civile ai sensi del CPP TI. Inoltre nell’ambito del procedimento penale di cui all’incarto MP _ sfociato nel decreto di non luogo a procedere 21.09.2010 (NLP _) l’avv. _ aveva assunto la veste di denunciante, mentre _, denunciato, era un alto funzionario della _ ed aveva sottoscritto la denuncia 30.09.1996 sporta dalla predetta società in qualità di vicepresidente e direttore (inc. NLP _). Sembra dunque che i due procedimenti penali nel frattempo archiviati e quello civile siano in stretta connessione tra di loro e traggono le loro origini dal medesimo complesso dei fatti.
In siffatte circostanze, alcuni atti dei due procedimenti penali in questione potrebbero dunque essere potenzialmente utili ai fini dell’istruttoria e del giudizio civile.
È quindi, di principio, adempiuto un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG.
Di conseguenza l’incarto penale NLP _ (un cubo) viene trasmesso, in originale, alla Pretura istante unitamente alla presente decisione, con l’obbligo di restituirlo direttamente al Ministero pubblico, al più tardi, a procedimento civile concluso.
Questa Corte autorizza inoltre la Pretura istante a richiedere al Ministero pubblico la trasmissione dell’incarto MP _ sfociato nel NLP _ rispettivamente, vista la sua voluminosità, autorizza il pretore ad esaminare presso il Ministero pubblico gli atti istruttori utili al procedimento civile, concordando i tempi di accesso con il procuratore generale compatibilmente con i suoi impegni.
In ossequio al diritto di essere sentito delle altre parti coinvolte nei due procedimenti penali in questione, va da sé che soltanto i documenti utili ai fini dell’istruttoria e del giudizio civile potranno essere acquisiti agli atti dell’incarto _ pendente presso la Pretura istante.
5.
La tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico della Pretura istante, che a sua volta le addosserà alle parti in base alle norme del CPC.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
7e810514-dd90-5f56-b1f5-66d134c0421b
|
in fatto ed in diritto
1.
Con scritto 21.3.2011 – indirizzato alla Corte delle assise correzionali di _ rispettivamente al Ministero pubblico e ricevuto, per competenza, da questa Corte il 31.3.2011 – il Dipartimento federale della difesa della protezione della popolazione e dello sport DDPS, Servizio delle attività informative della Confederazione SIC (di seguito SIC), in applicazione dell’art. 20 LMSI e dell’art. 17 cpv. 2 vOCSP, chiede informazioni sullo stato attuale delle inchieste penali pendenti o concluse riguardanti la persona di _, allegando parimenti copia dell’estratto del casellario giudiziale 14.3.2011 e copia del formulario intitolato "
Controllo di sicurezza relativo alle persone per terzi (progetto civile)
" datato 24.1.2011, da cui risulta in particolare l’autorizzazione rilasciata da quest’ultimo a compiere un controllo di sicurezza di base (cfr., nel dettaglio, doc. 1.a).
2.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.1.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
3.
3.1.
Dall’1.1.2010 la Svizzera dispone di un nuovo strumento di politica di sicurezza, il Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC); le basi legali e le sue mansioni sono sancite nella Legge federale sul servizio informazioni civile (LSIC) del 3.10.2008 e nella Legge federale sulle misure per la salvaguardia per la sicurezza interna del 21.3.1997 (LMSI) (cfr. www.vbs.admin.ch).
3.2.
G
iusta l’art. 19 cpv. 1 LMSI
il Consiglio federale può prevedere controlli di sicurezza per agenti della Confederazione, militari e terzi che collaborano a progetti classificati nell’ambito della sicurezza interna ed esterna e nell’esercizio dell’attività se hanno conoscenza, in modo regolare e approfondito, dell’attività governativa o di importanti affari di politica della sicurezza e possono avere influsso sugli stessi (lit. a), se hanno regolarmente accesso a segreti concernenti la sicurezza interna o esterna o ad informazioni che, se svelate, potrebbero minacciare l’adempimento di compiti importanti della Confederazione (lit. b), se hanno, in quanto militari, accesso a informazioni, materiali o impianti classificati (lit. c), se collaborano, in quanto partner contrattuali o impiegati di questi ultimi, a progetti classificati della Confederazione o devono essere oggetto di controllo in virtù di convenzioni sulla protezione di segreti (lit. d) e se hanno regolarmente accesso a dati personali degni di particolare protezione, la cui divulgazione potrebbe gravemente pregiudicare i diritti individuali delle persone interessate (lit. e).
Il controllo di sicurezza è effettuato prima dell’elezione alla carica o funzione o dell’attribuzione del mandato; la persona sottoposta al controllo deve essere consenziente (rimane salvo l’art. 113 cpv. 1 lit. d della legge militare del 3.2.1995); in casi speciali il Consiglio federale può prevedere la ripetizione periodica del controllo (art. 19 cpv. 3 LMSI).
Il controllo di sicurezza consiste nel raccogliere i dati rilevanti in materia di sicurezza concernenti il modo di vita della persona interessata, segnatamente le relazioni personali strette e quelle familiari, la situazione finanziaria, i rapporti con l’estero e le attività atte a minacciare in maniera illegale la sicurezza interna ed esterna; non sono raccolti dati sull’esercizio dei diritti costituzionali (art. 20 cpv. 1 LMSI).
I dati possono essere rilevati, tra l’altro, tramite il SIC, dai registri degli organi federali e cantonali preposti alla sicurezza e al perseguimento penale nonché dal casellario giudiziale (art. 20 cpv. 2 lit. a LMSI) e tramite richiesta di informazioni relative a procedure penali in corso ai competenti organi incaricati del perseguimento penale (art. 20 cpv. 2 lit. d LMSI).
3.3.
L’Ordinanza sui controlli di sicurezza relativi alle persone (OCSP) del 19.12.2001 (di seguito vOCSP) è stata abrogata e sostituita
dall’Ordinanza sui controlli relativi alle persone (OCSP) del 4.3.2011 (di seguito OCSP), entrata in vigore l’1.4.2011 (cfr. art. 31 cpv. 1 e 33 OCSP).
3.3.1.
Il previgente art. 3 vOCSP stabiliva che:
"
Il servizio specializzato per i controlli di sicurezza relativi alle persone (servizio specializzato) in seno alla Divisione della protezione delle informazioni e delle opere del DDPS esegue i controlli di sicurezza in collaborazione con gli organi di sicurezza della Confederazione e dei Cantoni conformemente alla procedura di controllo definita nella presente ordinanza
"
.
L’art. 3 cpv. 1 OCSP, in vigore dall’1.4.2011, precisa che
il servizio specializzato per i controlli di sicurezza relativi alle persone in seno al Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (servizio specializzato CSP DDPS) esegue i controlli di sicurezza secondo gli art. 10 OCSP [secondo cui il servizio specializzato CSP DDPS è competente per il controllo di sicurezza di base cui sono sottoposti, tra l’altro, gli agenti della Confederazione e gli impiegati dei Cantoni che hanno regolarmente accesso a informazioni o materiali classificati CONFIDENZIALE (art. 10 cpv. 1 e cpv. 2 lit. a OCSP)], art. 11 OCSP (secondo cui il servizio specializzato CSP DDPS è competente per il controllo di sicurezza ampliato) e art. 12 cpv. 1 OCSP [secondo cui il il servizio specializzato CSP DDPS sottopone a un controllo di sicurezza ampliato con audizione determinate persone (lit. a-lit. e)] in collaborazione con gli organi di sicurezza della Confederazione e dei Cantoni.
3.3.2.
Lo svolgimento del controllo di sicurezza nella previgente vOCSP era sancito dagli art. 13-19 vOCSP.
In particolare per la raccolta dei dati l’art. 17 cpv. 2 vOCSP prevedeva che
"
Per rilevare ulteriori dati quali non ha il diritto di accedere direttamente, il servizio specializzato può farne richiesta per il tramite degli organi di sicurezza della Confederazione oppure alle pertinenti autorità cantonali
"
.
Nella nuova ordinanza è stato (tra l’altro) precisato che lo svolgimento del controllo di sicurezza è
relativo alle persone
ed è codificato negli art. 14-20 OCSP.
La raccolta dei dati è ora prevista dall’art. 19 OCSP che, al suo cpv. 2, ha ripreso il testo del previgente art. 17 cpv. 2 vOCSP, stabilendo quanto segue:
"
Il servizio specializzato CSP DDPS
[il servizio specializzato per i controlli di sicurezza relativi alle persone in seno al Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (art. 3 cpv. 1 OCSP)]
può richiedere, per il tramite degli organi di sicurezza della Confederazione oppure alle pertinenti autorità cantonali, altri dati ai quali non ha il diritto di accedere direttamente
".
Questa norma ha dunque ripreso il testo del previgente art.
17 cpv. 2 vOCSP
4.
Questa Corte – considerati in particolare le competenze del SIC, il tenore degli art. 17 cpv. 2 vOCSP e 19 cpv. 2 OCSP, le diverse istanze ex art. 27 CPP TI (ora 62 cpv. 4 LOG) presentate all’allora Camera dei ricorsi penali nel corso del 2010 richiamando gli art.
20 LMSI e art. 17 cpv. 2 vOCSP
e la presente istanza – ritiene di dover emanare una decisione di principio.
La Corte dei reclami penali riconosce, di principio, al Dipartimento federale della difesa della protezione della popolazione e dello sport DDPS, Servizio delle attività informative della Confederazione SIC (SIC) – quale servizio specializzato CSP DDPS che esegue in particolare i controlli di sicurezza secondo gli art. 10 (controllo di sicurezza di base), art. 11 (controllo di sicurezza ampliato) e art. 12 cpv. 1 OCSP (controllo di sicurezza ampliato con audizione) in collaborazione con gli organi di sicurezza della Confederazione e dei Cantoni (art. 3 cpv. 1 OCSP) – un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere direttamente dal Ministero pubblico, dal Tribunale penale cantonale, dalla Pretura penale, dalla
Corte di appello e di revisione penale e anche, se del caso, dalla Corte dei reclami penali copia delle decisioni di procedimenti penali conclusi e non cancellati dal casellario giudiziale giusta il previgente art. 17 cpv. 2 vOCSP e l’art. 19 cpv. 2 OCSP in relazione all’art. 20 LMSI, senza dover ricorrere di volta in volta alla procedura ex art. 62 cpv. 4 LOG, allegando l’apposito formulario intitolato
"
Controllo di sicurezza relativo alle persone per terzi (progetto civile)
" sottoscritto dalla persona soggetta a controlli.
In caso di dubbio il SIC può presentare a questa Corte un’istanza ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG rispettivamente il Ministero pubblico, la Pretura penale e la
Corte di appello e di revisione penale possono trasmettere l’istanza, per competenza, a questa Corte in applicazione dell’art. 62 cpv. 4 LOG.
5.
Per quanto interessa la fattispecie in esame, l’istante può dunque rivolgersi direttamente al Tribunale penale cantonale – autorità alla quale viene trasmessa, per competenza, la presente istanza – considerato come dall’estratto del casellario giudiziale 14.3.2011 risulta che la persona sottoposta a controllo di sicurezza su incarico del Tribunale penale federale (TPF) è stata condannata il 23.12.2003 dalla Corte delle assise correzionali di _.
6.
Considerati la funzione dell’istante, la finalità della richiesta e l’emanazione di questa decisione di principio, non si prelevano tassa di giustizia e spese.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
7f0e01e5-1bf3-58ea-b583-c664aae1c347
|
in fatto ed in diritto
che con la presente istanza IS 1 chiede di
"
(...) poter visionare senza nulla escludere, tutto il contenuto del fascicolo inerente l’incarto d’istruzione abbandonato con decreto ABB _, cresciuto in giudicato
"
, precisando parimenti che la sua richiesta
"
(...) è determinata dalla necessità di verificare e conoscere anzitutto, per quale motivo è stata decretata l’apertura di un incarto d’istruzione penale su di me, ma anche dal fatto che, prendere conoscenza dei documenti che fanno parte di un incarto d’istruzione su di me condotto, in seguito abbandonato e cresciuto in giudicato, conformemente alle disposizioni di leggi vigenti, è comunque un mio diritto
"
(istanza 22/23.04.2013);
che su richiesta 23.04.2013, il Ministero pubblico ha trasmesso a questa Corte l’incarto ABB _ (una cartelletta verde);
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che l’incarto ABB _, nel frattempo archiviato, concerne unicamente uno scambio epistolare tra IS 1 e l’allora procuratore generale Bruno Balestra avvenuto nel periodo compreso tra il mese di aprile 2006 e il mese di marzo 2010 (inc. ABB _);
che da questi atti non risulta che a carico di IS 1 sia stato aperto un procedimento penale dal Ministero pubblico del Canton Ticino e tantomeno che a suo carico sia stato emanato un decreto di abbandono;
che ciò posto – visti i motivi addotti nella presente richiesta e il contenuto dell’incarto ABB _ – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG a compulsare gli atti del citato incarto nel frattempo archiviato, nonostante a suo carico non sia stato aperto alcun procedimento penale, ma un fascicolo di corrispondenza che lo concerne personalmente;
che di conseguenza IS 1 è autorizzato a visionare presso il Ministero pubblico gli atti dell’incarto ABB _, concordando i tempi di accesso con i collaboratori della cancelleria, compatibilmente con i loro impegni;
che egli è, se necessario, autorizzato a fotocopiare gli atti utili alle sue incombenze;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, considerato come l’incarto ABB _, nel frattempo archiviato, concerne il qui istante.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
7f64e0df-9a4d-524f-8ae4-a773d608723d
|
in fatto
a.
Con decreto d'accusa 1.3.2010 (passato in giudicato) del Ministero pubblico RE 1 è stato condannato alla pena pecuniaria (ferma) di 90 aliquote giornaliere da CHF 110.-- ciascuna (corrispondenti a complessivi CHF 9'900.--), con l'avvertenza che in caso di mancato pagamento la pena sarebbe stata sostituita con una pena detentiva di 90 giorni, oltre alla multa di CHF 1'500.--, che, pure in caso di mancato pagamento, sarebbe stata sostituita con una pena detentiva di 15 giorni. Ciò in quanto egli è stato ritenuto colpevole di guida senza licenza di condurre o nonostante revoca, infrazione alle norme della circolazione, elusione di provvedimenti per accertare l'incapacità alla guida e inosservanza dei doveri in caso d'infortunio (DA _).
b.
Con decreto d'accusa 7.12.2010 (passato in giudicato) del Ministero pubblico il reclamante, ritenuto colpevole di trascuranza degli obblighi di mantenimento, è stato condannato alla pena pecuniaria (ferma) di 90 aliquote giornaliere da CHF 110.-- ciascuna (per complessivi CHF 9'900.--), con l'avvertenza che, in caso di mancato pagamento, la stessa sarebbe stata sostituita con una pena detentiva di 90 giorni, oltre alla multa di CHF 1'000.--, che, pure in caso di mancato pagamento, sarebbe stata sostituita con una pena detentiva di 10 giorni (DA _).
c.
Trascorso infruttuosamente il termine di pagamento delle suddette pene pecuniarie e multe, le stesse sono state convertite in 205 giorni di pena detentiva dall'Ufficio dell'incasso e delle pene alternative, che, nel contempo, il 9.12.2011 ha incaricato la gendarmeria di _ di provvedere alla riscossione delle pene pecuniarie e multe, con l'avvertenza che in caso di mancato pagamento "
l'interessato dovrà essere accompagnato e trasferito al Penitenziario di _ per eseguire la pena
" (mandato di accompagnamento 9.12.2011).
d.
In data 14.12.2011 RE 1 ha richiesto telefonicamente all'Ufficio dell'incasso e delle pene alternative, l'espiazione delle pene mediante braccialetto elettronico.
Di conseguenza, ai fini organizzativi, egli è stato convocato una prima volta per il 20.12.2011, a cui però egli non si è presentato.
Ha fatto seguito una nuova convocazione, per il 3.1.2012, corredata da diffida secondo cui "
in caso di mancata presenza, l'esecuzione di pena tramite sorveglianza elettronica non potrà essere eseguita e verrà emesso immediatamente un mandato d'accompagnamento
" (convocazione 22.12.2011). Audizione questa che, su richiesta del reclamante, è stata successivamente posticipata al 10.1.2012.
In tale incontro l'Ufficio dell'incasso e delle pene alternative - esperite le formalità per l'espiazione dei 205 giorni di pena detentiva nella forma degli arresti domiciliari, mediante, tra l'altro, la stipulazione di un contratto - ha ammesso formalmente il reclamante al beneficio di tale forma di esecuzione, stabilendo l'inizio al 19.1.2012 e il termine all'11.8.2012 e la somma di CHF 1'370.-quale partecipazione ai costi del braccialetto a carico del reclamante.
e.
Con decisione 13.3.2012 l'Ufficio dell'incasso e delle pene alternative ha confermato l'interruzione, con effetto dal 28.2.2012, dell'esecuzione delle pene tramite sorveglianza elettronica, stabilendo per i rimanenti 165 giorni (dal 29.2.2012 all'11.8.2012) il regime ordinario. Ha pure escluso la possibilità per il reclamante di eseguire, tramite sorveglianza elettronica, un'ulteriore precedente pena detentiva di 95 giorni (corrispondente a 90 aliquote giornaliere di CHF 120.-- ciascuna oltre CHF 500.-- di multa non pagate) pronunciata il 13.5.2009 dalla Pretura penale di _ (DA _).
f.
Il reclamo presentato contro detta decisione è stato respinto da questa Corte con sentenza del 25.5.2012 (inc. CRP _).
g.
In data 4.10.2012 il reclamante ha ottenuto dall’Ufficio del giudice dei provvedimenti coercitivi la possibilità di procedere con dei pagamenti rateali, ossequiando unicamente il primo termine di pagamento.
h.
Con decisione del 3.1.2013, il giudice dei provvedimenti coercitivi ha ordinato il collocamento di RE 1 in sezione aperta e ha stabilito il termine di presentazione al penitenziario per il 5.2.2013.
i.
Non essendosi RE 1 presentato in tale data, il 7.2.2013 veniva emanato a suo carico un ordine di accompagnamento mediante la polizia.
j.
In data 30.3.2013 il reclamante veniva fermato e condotto alle Strutture carcerarie per l’espiazione.
k.
Con decisione del 4.4.2013, qui impugnata, il giudice dei provvedimenti coercitivi, sedente in materia di applicazione della pena, ha ordinato il collocamento di RE 1 in sezione chiusa, ed ha considerato interamente scontata la pena il 22.11.2013.
Per il resto ha confermato la precedente decisione di collocamento del 3.1.2013.
Il magistrato ha disposto il collocamento in sezione chiusa in ragione della sussistenza del rischio che RE 1 si sottragga nuovamente all’espiazione della pena dandosi alla fuga.
l.
Con il gravame qui esaminato il reclamante ripercorre l’iter che ha condotto alla decisione impugnata.
Eccepisce anzitutto una violazione del suo diritto di essere sentito, con riferimento all’art. 11 della Legge sull’esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti (LEPM), in riferimento alle decisioni del 3.1.2013 e del 4.4.2013.
Eccepisce poi una carente motivazione della decisione 4.4.2013, in quanto il giudice non avrebbe indicato quali elementi l’avrebbero condotto ad ammettere l’esistenza del pericolo di fuga, quando nella precedente decisione del 3.1.2013 aveva disposto il collocamento in carcere aperto “
ritenuto che l’interessato è cittadino svizzero e la brevità della pena
”.
Nel merito, il reclamante contesta che esista l’intensità necessaria per ammettere un pericolo di fuga ai sensi dell’art. 76 CP. Nel caso concreto il reclamante è cittadino svizzero, con una figlia (nata nel 2005), con un’attività lavorativa, senza gravi precedenti penali ma in una delicata situazione finanziaria, legata anche a problemi di salute.
m.
Nelle proprie osservazioni il procuratore pubblico chiede la reiezione del reclamo.
n.
Nelle proprie osservazioni il giudice dei provvedimenti coercitivi ritiene non vi sia stata violazione del diritto di essere sentito nel caso di RE 1, avendo quest’ultimo avuto più occasioni per esprimersi e per evitare la pena detentiva. In quest’ottica il magistrato fa riferimento all’invio degli scritti 3.8.2012, 8.8.2012 e 30.8.2012, a quello del reclamante del 14.9.2012, allo scritto 25.9.2012 del giudice, alla decisione di rateizzazione del 4.10.2012, alla decisione di collocamento del 3.1.2013, alla telefonata del reclamante del 23.1.2013, al fermo del 22.2.2013 e all’ulteriore rinvio richiesto dal reclamante. Infine menziona il rapporto della polizia dell’11.4.2013.
Per il magistrato, l’incarto dimostra chiaramente come RE 1 abbia esercitato più volte il proprio diritto di essere sentito (via lettera e per telefono) e che egli ha tentato di sottrarsi all’esecuzione della pena.
La modifica del collocamento iniziale (tra le decisione del 3.1.2013 e quella del 4.4.2013) si giustificherebbe per la determinazione con cui RE 1 si è sottratto e ha cercato di sottrarsi all’esecuzione della pena, ciò che attualizza il pericolo di fuga indicato nella decisione impugnata.
Pericolo di fuga esistente anche con riferimento alla possibile partenza per un periodo di oltre un anno per un paese estero (_) quale volontario, ventilata nel suo scritto 25.9.2012.
Per tutti questi motivi il magistrato chiede la conferma della decisione impugnata.
o.
Con le osservazioni di replica il reclamante contesta che non vi sia stata violazione del diritto di essere sentito, in quanto non sarebbe mai stato interpellato sulla modalità di esecuzione della pena. L’audizione del reclamante avrebbe permesso inoltre di inquadrare la sua situazione personale. La decisione impugnata sarebbe inoltre non rispettosa del principio della proporzionalità.
p.
Nello scritto di duplica il giudice dei provvedimenti coercitivi rinuncia a presentare altre osservazioni rinviando a quelle precedentemente formulate, ribadendo che il reclamante in più occasioni non ha mantenuto gli impegni presi ed ha cercato di sottrarsi all’esecuzione della pena.
Il procuratore pubblico non ha presentato osservazioni di duplica.
|
in diritto
1.
1.1.
Il Codice di diritto processuale penale svizzero (Codice di procedura penale, CPP), all'art. 439 cpv. 1 CPP, lascia ai Cantoni la facoltà di designare le autorità competenti per l'esecuzione delle pene e delle misure e di stabilire la relativa procedura.
Il Canton Ticino ha adottato il 20.4.2010 la Legge sull'esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti (LEPM), entrata in vigore l'1.1.2011, che all'art. 10 cpv. 1 lit. h conferisce al giudice dell'applicazione della pena - funzione questa attribuita in Ticino dall'1.1.2011 al nuovo giudice dei provvedimenti coercitivi giusta l'art. 73 LOG - la competenza, fra l'altro, a decidere il collocamento iniziale del condannato ex art. 76 CP.
Contro tale decisione, conformemente all'art. 12 cpv. 1 lit. b LEPM, è data facoltà al condannato e al Ministero pubblico di interporre reclamo ai sensi degli art. 393 e seguenti CPP alla Corte dei reclami penali.
1.2.
Con il reclamo ex art. 393 ss. CPP si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l'eccesso e l'abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l'accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e/o l'inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato entro 10 giorni per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all'art. 390 CPP per la forma scritta ed all'art. 385 CPP per la motivazione.
La persona o l'autorità che lo interpone deve indicare, in particolare, i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP).
1.3.
Il gravame, inoltrato l’8/9.4.2013, contro la decisione 4.4.2013 del giudice dei provvedimenti coercitivi è tempestivo.
Le esigenze di forma e motivazione del reclamo sono rispettate.
RE 1, quale condannato e destinatario della decisione impugnata, che lo tocca direttamente, personalmente e attualmente nei suoi diritti, è pacificamente legittimato a reclamare giusta l'art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all'annullamento o alla modifica del giudizio.
Il reclamo è, nelle predette circostanze, ricevibile in ordine.
2.
2.1.
Giusta l'art. 76 CP le pene detentive sono scontate in un penitenziario chiuso o aperto (cpv. 1). Il detenuto è collocato in un penitenziario chiuso o in un reparto chiuso di un penitenziario aperto se vi è pericolo che si dia alla fuga o vi è da attendersi che commetta nuovi reati (cpv. 2).
L'art. 19 del Regolamento sull'esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti del 6.3.2007 (REPM, in vigore dal 9.3.2007), relativo al regime ordinario, stabilisce che l'esecuzione della pena in uno stabilimento chiuso, nel quale le misure di sicurezza sono elevate, è la forma di esecuzione ordinaria quando al detenuto non possono essere concesse altre forme di esecuzione in grado di evitare in particolare la fuga o pericoli a terzi (cpv. 1). L'esecuzione della pena avviene ininterrottamente nello stabilimento. Il trattamento, che ha come scopo finale il reinserimento sociale, è fondato su una graduale concessione di libertà tendente alla responsabilizzazione progressiva del carcerato, sulla base di un piano individuale di esecuzione della pena (cpv. 2). Una persona condannata può scontare la pena privativa di libertà in maniera totale o parziale in uno stabilimento aperto, ossia in una struttura che dispone di misure di sicurezza ridotte per quanto concerne l'organizzazione, il personale e la costruzione, se questa sua collocazione non provoca pericoli alla comunità, evita il ripetersi di azioni delittuose e non vi è rischio di fuga (cpv. 3).
Infine, nel Regolamento delle strutture carcerarie del Cantone Ticino, adottato il 15.12.2010 e in vigore dall'1.1.2011, l'art. 3 cpv. 3 precisa che il carcere penale La Stampa è, tra l'altro, destinato all'incarcerazione di persone maggiorenni poste in esecuzione di pena o di misura o di internamento (lit. a). La persona incarcerata viene ammessa al regime ordinario qualora motivi di sicurezza non vi si oppongano (art. 40 cpv. 1 prima frase).
2.2.
Con quale intensità debba sussistere il pericolo di fuga o il rischio che il detenuto commetta nuovi reati richiesto dall'art. 76 cpv. 2 CP, non può essere espresso in generale e in astratto ma dipende dalle circostanze. Tali due criteri non sono cumulativi (cfr. Messaggio concernente la modifica del Codice penale svizzero del 21.09.1998 pubblicato in FF 1999 p. 1669 ss., p. 1793).
Per ammettere l'esistenza di un rischio di fuga o di recidiva non occorre certamente che siano state intraprese manovre concrete in tal senso, bensì è sufficiente che sia riconoscibile l'esistenza di detti rischi (BSK Strafrecht I – A. BAECHTOLD, 2a. ed., art. 77b CP n. 7).
Per quanto attiene al pericolo di recidiva il testo di legge non precisa espressamente di quale gravità i reati di cui si teme la reiterazione debbano essere. Per la dottrina gli stessi devono essere di una certa rilevanza (BSK Strafrecht I – A. BAECHTOLD, op. cit., art. 77b CP n. 7), stante che nel pericolo di recidiva non entra in considerazione la (prospettata) commissione di semplici contravvenzioni (S. TRECHSEL et al., Schweizerisches StGB, Praxiskommentar, art. 76 CP n. 3).
3.
3.1.
Nel presente caso, il reclamante censura preliminarmente una violazione del diritto di essere sentito con riferimento all’art. 11 LEPM in relazione alle decisioni del 3.1.2013 e 4.4.2013.
3.2.
La censura d’ipotetica violazione del diritto di essere sentito, in riferimento alla decisione del 3.1.2013, è manifestamente tardiva, e quindi irricevibile. Sulla medesima non si entra pertanto nel merito.
La medesima censura, riferita alla decisione del 4.4.2013, va qui esaminata.
3.3.
Il diritto di essere sentito secondo gli art. 3 cpv. 2 lit. c CPP e 29 cpv. 2 Cost. – garanzia di natura formale, la cui violazione comporta l’annullamento della decisione impugnata indipendentemente dalla fondatezza materiale del gravame, riservato il caso in cui l’autorità di ricorso goda di pieno potere d’esame e davanti ad essa la parte sia reintegrata nell’esercizio dei diritti che le erano stati negati (cfr., nondimeno, con riferimento alla giurisdizione di reclamo, decisione TF 1B_604/2011 del 7.2.2012 consid. 2.3.) – comprende, oltre tra l’altro al diritto di ottenere una decisione motivata, di fornire prove sui fatti rilevanti per il giudizio, di farsi rappresentare o assistere e di poter consultare gli atti, il diritto di esprimersi prima che una decisione sia presa.
La parte ha il diritto in particolare di essere sentita sugli elementi pertinenti prima dell’emanazione di una decisione che la tocca nella sua situazione giuridica (decisioni TF 1B_40/2013 del 26.2.2013 consid. 3.1.; 1B_696/2012 dell’11.12.2012 consid. 3.1.).
3.4.
Dopo la decisione dell’UIPA del 13.3.2012 (inc. _) e di questa Corte del 25.5.2012 (inc. CRP _ ha preso avvio la procedura in vista dell’espiazione della pena. In tale ambito, come correttamente ricordato nelle osservazioni del giudice dei provvedimenti coercitivi, il reclamante è stato interpellato diverse volte.
Una prima volta con un invio del 3.8.2012 (AI 5 inc. _), pregandolo di prendere contatto “
al fine di concordare tempi e modalità di espiazione
.”: invio non ritirato.
Il medesimo invio è poi stato nuovamente spedito per raccomandata l’8.8.2012 ad altro indirizzo, pure ritornato non ritirato (AI 8): è stato infine spedito per posta semplice il 30.8.2012 (AI 10).
Con scritto del 14.9.2012, il reclamante ha risposto all’invio dell’Ufficio dei giudici dei provvedimenti coercitivi, chiedendo una rateizzazione di CHF 200.- al mese, e anticipando l’intenzione di recarsi all’estero (in _, come volontario) per minimo un anno a partire dal 13.12.2012.
Con ulteriore scritto del 25.9.2012, l’Ufficio dei giudici dei provvedimenti coercitivi ha nuovamente invitato il reclamante a prendere contatto (AI 12).
Con decisione del 4.10.2013 (a seguito di un colloquio telefonico di medesima data) al reclamante è stato concesso il pagamento rateale delle somme dovute (AI 13).
Caduta la facoltà di pagamento rateale (in quanto non ossequiata), veniva presa la prima decisione di collocamento in data 3.1.2013 (AI 18), in sezione aperta: il reclamante avrebbe dovuto presentarsi al Carcere in data 5.2.2013.
Con telefonata del 23.1.2013, il reclamante ha sostenuto di essere a giorno con i pagamenti rateali, e ciò contrariamente a quanto risultava dagli atti (ovvero il pagamento di una unica e sola rata di quelle stabilite dal giudice).
Nelle osservazioni 17/18.4.2013 in questa sede, il giudice dei provvedimenti coercitivi ha riferito che, dopo l’emanazione dell’ordine di accompagnamento, ancora in data 22.2.2013, la Polizia cantonale di _ avrebbe chiesto per il reclamante una proroga per l’esecuzione della pena fino a dopo la morte della nonna, proroga che gli sarebbe ancora stata concessa. Circostanza questa che non risulta dall’incarto GPC _, ma che si può dare per acquisita non essendo stata per nulla contestata dal reclamante nello scambio di allegati in questa sede (in particolare nella replica).
3.5.
In simile circostanza, non si può francamente sostenere che il reclamante non abbia potuto esprimersi su “
tempi e modalità di espiazione”,
per riprendere il senso della primissima comunicazione, poi seguita da altri interventi e prese di posizioni.
La procedura che ha portato alla decisione di collocamento iniziale va vista nel suo insieme (essendo iniziata in agosto 2012 e terminata il 4.4.2013): non può essere frazionata o spezzettata a piacimento, pretendendo per ogni singolo passaggio di nuovo l’esercizio di un diritto di cui si è già usufruito.
Nella procedura, presa nel suo insieme e non in modo spezzettato, al ricorrente è stato abbondantemente concesso il diritto di essere sentito ai sensi dell’art. 11 LEPM. La censura va pertanto respinta.
4.
4.1.
Il reclamante censura la decisione impugnata per difetto di motivazione,
in quanto il giudice non avrebbe indicato quali elementi l’avrebbero condotto il 4.4.2013 ad ammettere l’esistenza del pericolo di fuga, diversamente dalla decisione di collocamento del 3.1.2013 in cui aveva disposto il collocamento in carcere aperto “
ritenuto che l’interessato è cittadino svizzero e la brevità della pena
”.
4.2.
Il diritto di essere sentito secondo gli art. 3 cpv. 2 lit. c CPP e 29 cpv. 2 Cost. comprende, come esposto al punto 3.3., anche il diritto di ottenere una decisione motivata.
L’obbligo di motivazione (art. 80 cpv. 2 prima frase CPP) impone di menzionare, almeno brevemente, i motivi che hanno spinto l’autorità a decidere in un senso piuttosto che nell’altro e di porre pertanto l’interessato nelle condizioni di rendersi conto della portata del provvedimento e delle eventuali possibilità di impugnazione presso un’istanza superiore, che deve poter esercitare il controllo sul medesimo (cfr., per es., decisioni TF 1B_711/2012 del 14.3.2013 consid. 2.1.; 6B_590/2012 del 12.3.2013 consid. 4.; G. PIQUEREZ, Traité de procédure pénale suisse, 2. ed., n. 340/1134; R. HAUSER / E. SCHWERI / K. HARTMANN,
Schweizerisches Strafprozessrecht, 6. ed.
, § 55 n. 22 ss.; N. SCHMID,
Strafprozessrecht, 4. ed.
, n. 214 s./260/576; cfr., anche
, ZK StPO – D. BRÜSCHWEILER, art. 80 CPP n. 2
).
4.3.
Nel presente caso, la decisione impugnata, seppur brevemente, è sufficientemente motivata, permettendo di capire le ragioni poste al proprio fondamento.
Nella propria decisione il giudice dei provvedimenti coercitivi ha ricordato: anzitutto la decisione d’interruzione della sorveglianza elettronica; poi la concessione del pagamento rateale (disattesa); infine la decisione di collocamento del 3.1.2013 con il termine del 5.2.2013 per presentarsi in carcere (pure disatteso), con la conseguente necessità di emettere un ordine di accompagnamento per il tramite della polizia.
Da questi tre elementi il magistrato ha dedotto il concreto rischio che RE 1 potesse sottrarsi nuovamente all’espiazione della pena dandosi alla fuga.
La motivazione, scarna nella sua formulazione, contiene degli elementi immediatamente comprensibili e pertinenti al pericolo di fuga, elemento determinante per la decisione del collocamento in sezione chiusa.
Di modo che la censura di mancata adeguata motivazione va respinta.
5.
5.1
Rimane da esaminare, nel merito, la decisione di collocamento iniziale, in quanto disponga la sezione chiusa in luogo di quella aperta, come precedentemente disposto con la decisione del 3.1.2013.
5.2.
Come già indicato in questa decisione (punto 2.2)
l’intensità del rischio di fuga non può essere espressa in generale e in astratto ma dipende dalle circostanze.
5.3.
Nel caso concreto risulta pacifico che al reclamante siano state concesse tutte le possibili agevolazioni rispetto all’espiazione delle pene inflittegli.
Malgrado ciò egli è riuscito nell’impresa di farsi dapprima revocare la sorveglianza elettronica e nel disattendere poi la possibilità di pagare ratealmente quanto dovuto.
Egli ha anche ventilato la possibilità di una sua partenza all’estero, per un periodo di almeno di un anno, quale volontario in _.
Già questi elementi assurgevano a comportamenti che facevano intravvedere una volontà di sottrarsi all’espiazione della pena.
Ciò non di meno nella prima decisione di collocamento (del 3.1.2013), al reclamante è stato concesso di espiare la pena in sezione aperta.
Malgrado questo il reclamante ha disatteso ulteriormente la decisione di collocamento, non presentandosi nel termine fissato (del 5.2.2013).
Non solo: prima di tale scadenza è intervenuto presso l’Ufficio dei giudici dei provvedimenti coercitivi sostenendo (a torto) di essere in regola con i pagamenti rateali.
Dopo il 5.2.2013 non ha giustificato in nessun modo il fatto di non essersi presentato il giorno stabilito.
Dopo l’emanazione dell’ordine di accompagnamento (7.2.2013), ancora in data 22.2.2013 (per il tramite della polizia) ha chiesto di ulteriormente posticipare l’espiazione, in ragione dello stato di salute della nonna.
Infine, è solo a seguito dell’intervento della polizia che egli ha iniziato l’espiazione della sanzione.
5.4.
I fatti precedenti il 3.1.2013, ma soprattutto quelli posteriori (dal 3.1.2013 al 4.4.2013) sono tali che consentono di concludere, come ha fatto il giudice, che “
sussiste il concreto rischio che egli si sottragga nuovamente all’espiazione della pena dandosi alla fuga”
.
La decisione del giudice dei provvedimenti coercitivi merita pertanto tutela.
6.
Il reclamo è respinto. Le tasse e le spese seguono la soccombenza.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
803526b0-443a-5fd7-bf41-b3e8e7efe417
|
in fatto:
A.
Il 18 dicembre 1997 sono stati arrestati nel Granducato del Lussemburgo _, conosciuto come _, e _. Il fermo era dovuto al sequestro di una lettera spedita da Chiasso il 27 ottobre 1997 da un certo _ "(c/o _), via _ " a _, con la quale il mittente offriva materiale pornografico raffigurante ragazze e ragazzi minorenni. Alla lettera aveva fatto seguito, nel dicembre successivo, l'invio di una videocassetta che riproduceva immagini di atti sessuali tra adulti e minorenni (act. A7/1).
Il 21 gennaio 1998 il Giudice istruttore del Granducato del Lussemburgo ha chiesto all'autorità giudiziaria ticinese di perquisire l'appartamento di Chiasso e di interrogare eventualmente _, la persona che _ aveva indicato come conduttore. In realtà l'appartamento era stato appigionato il 12 settembre 1994 dallo stesso _, che aveva firmato il contratto con il falso nome di _ esibendo una carta di identità italiana contraffatta procuratasi in Venezuela (act. 133/1). La perquisizione ha consentito di rinvenire numerosi apparecchi di videoregistrazione, videocamere e altri oggetti, in particolare 2 apparecchi TV, una tastiera per video, 2 apparecchi video Sharp, 6 telecomandi, 2 adattatori per cassette, 5 trasformatori con cavi di raccordo e prolunghe, 2 titolatrici e altri accessori. Sono pure stati trovati articoli pornografici, riviste, fotografie, ritagli di giornali, cataloghi di vendita per corrispondenza di videocassette pornografiche infantili nonché 147 videocassette, per la maggior parte di carattere pedopornografico, salvo talune riproducenti temi di famiglia o filmati diversi registrati da canali televisivi (act. 133/4, 135 e 140).
Il 30 aprile 1998 è stata notificata a _ la richiesta di estradizione presentata il 9 aprile 1998 dal Procuratore pubblico ticinese al Granducato del Lussemburgo, ove il prevenuto si trovava in detenzione preventiva dal 18 dicembre 1997. In seguito all'accoglimento della richiesta, _ è stato trasferito nel Ticino per il seguito del procedimento penale.
B.
Nel corso degli interrogatori davanti agli inquirenti del Granducato del Lussemburgo _ aveva chiamato in causa il cugino – in realtà si trattava del fratello – _, dichiarando che la videocassetta all'origine del proprio arresto era stata girata da costui in Italia, ad _. L'accusa ha comportato l'avvio da parte della Procura di Trapani di un procedimento penale contro _ per atti sessuali commessi con fanciulli (act. 136). Pur ammettendo di essere l'autore della videocassetta, come pure di altri filmini trovati in casa sua e riproducenti atti sessuali da egli medesimo compiuti con minori, oltre a scene di sesso tra adolescenti, _ ha contestato di averne fatto uso commerciale, accusando il fratello _ di avere riprodotto a sua insaputa la videocassetta sequestrata in Lussemburgo, quando soggiornava ad _ nel 1994 (act. 96). Nell'ambito della medesima inchiesta _ ha pure dichiarato di essere stato costretto dal fratello – che lo ricattava con copie di videoregistrazioni in suo possesso – a trasportare droga dal Brasile alla Svizzera. Per reati legati al traffico di stupefacenti, e in particolare per avere importato dal Brasile in Svizzera 1758.7 g di cocaina, _ (arrestato il 7 maggio 1996 all'aeroporto di Zurigo-Koten) è stato condannato il 10 ottobre 1996 dal Tribunale distrettuale di Bülach a 3 anni e 3 mesi di reclusione (act. 99). La condanna è poi stata ridotta a due anni e mezzo dal Tribunale di appello del Canton Zurigo con sentenza del 18 giugno 1997 (act. 17). _ ha scontato parte della pena nel Penitenziario cantonale della Stampa, da dove è poi stato liberato condizionalmente il 3 gennaio 1998 ed espulso verso l'Italia. Da allora _ risiede a _.
C.
Nel corso delle indagini svolte in Lussemburgo gli inquirenti hanno notato nell'agenda sequestrata a _ il nome, fra altri, del cittadino svizzero _, residente nel Canton Turgovia. Chiamati ad approfondire le indagini su rogatoria delle autorità del Lussemburgo, gli inquirenti turgoviesi hanno interrogato _ per sapere quali rapporti egli intrattenesse con _. L'inchiesta si è conclusa con un non luogo a procedere per quanto riguarda l'imputazione di reati sessuali. _ è stato condannato tuttavia il 29 marzo 1999 dal Tribunale distrettuale di Frauenfeld a 24 mesi di detenzione, sospesi a scopo di trattamento ambulatoriale giusta l'art. 44 CP, per avere riconosciuto di avere consumato stupefacenti e acquistato vari grammi di cocaina da _ tra il 1995 e il 1997 (act. 18 e 158 e 159). _ si è visto infliggere da parte sua, con sentenza 6 dicembre 1996 del Tribunale distrettuale di Unterrheintal Alstätten, 2 anni di detenzione e 8 anni di espulsione dalla Svizzera per avere, tra il maggio e l'agosto del 1995, venduto a San Gallo e a St. Margrethen 100 g complessivi di cocaina (pura) a _, suo conoscente (act. 129).
D.
Con sentenza del 14 luglio 1999 la Corte delle assise criminali in Mendrisio ha riconosciuto _ autore colpevole di:
– infrazione aggravata alla legge federale sugli stupefacenti, per avere tenuto in deposito, offerto e venduto almeno 482 g di cocaina a _ e a _, realizzando un profitto di almeno fr. 30'000.–;
– pornografia, per avere fabbricato, importato, tenuto in deposito, messo in circolazione, propagandato e offerto scritti, registrazioni visive e sonore, immagini e altri oggetti e rappresentazioni vertenti su atti sessuali con fanciulli a scopo di lucro;
– ripetuta violazione del bando, per essere ripetutamente entrato in Svizzera, soggiornandovi nonostante che nei suoi confronti fosse stata pronunciata l'espulsione per 8 anni;
– falsità in documenti, per essersi qualificato a più riprese con una carta di identità italiana a nome di _, ma recante la propria effigie;
– violazione della legge federale sul domicilio e la dimora degli stranieri, per avere indebitamente ottenuto il permesso di risiedere nel Comune di Chiasso come turista, esibendo alle autorità di polizia degli stranieri del Comune la carta di identità contraffatta intestata ad _.
La Corte ha prosciolto _ invece dall'accusa di infrazione aggravata alla legge federale sugli stupefacenti relativa al trasporto di 1'758 g di cocaina sequestratigli il 6 maggio 1996 all'aeroporto di Zurigo-Kloten.
In applicazione della pena e in considerazione della recidiva specifica _ è stato condannato a 4 anni di reclusione (computato il carcere preventivo sofferto in Svizzera e nel Lussemburgo) a valere come pena parzialmente aggiuntiva a quella di 2 anni di detenzione inflittagli con sentenza 6 dicembre 1996 dal Tribunale distrettuale di Unterrheintal Alstätten, al pagamento di una multa di fr. 3'000.– e all'espulsione a vita dal territorio svizzero. La Corte lo ha condannato inoltre a versare allo Stato la somma di fr. 15'000.– come risarcimento compensatorio dell'illecito profitto conseguito. Infine essa ha ordinato la confisca degli oggetti sequestrati, disponendo pure la conferma del sequestro conservativo sulle somme di denaro contante e sul conto n. _ presso il _ in vista dell'esecuzione del risarcimento compensatorio allo Stato.
E.
Contro la sentenza di assise _ ha presentato il 15 luglio 1999 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 10 agosto successivo, egli chiede di essere prosciolto dalle imputazioni di infrazione aggravata alla legge federale sugli stupefacenti e di pornografia per fine di lucro, riducendogli la pena a 3 mesi di detenzione e all'espulsione per 15 anni, sollecitando altresì il dissequestro degli oggetti e degli averi non attinenti ai reati per i quali è condannato.
Nelle sue osservazioni del 16 agosto 1999 il Procuratore pubblico propone di respingere il ricorso.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto, non destinato a rimettere in causa l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove (art. 288 cpv. 1 lett. a CPP). Problemi del genere sono sindacabili unicamente se il giudizio impugnato denota gli estremi dell'arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c). Arbitrario, ovvero lesivo dell'art. 4 Cost., non significa tuttavia opinabile o finanche erroneo, bensì chiaramente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo o in urto palese con il sentimento di giustizia ed equità (Rep. 1990 pag. 351 consid. 1, 360 consid. 2.2a; sulla nozione di arbitrio: DTF 124 I 208 consid. 4, 174 consid. 2g, 123 I 5 consid. 4a, 121 I 114 consid. 3a, 120 Ia 40 consid. 4b).
2.
Il ricorrente sostiene anzitutto che nell'apprezzamento dei fatti e nella commisurazione della pena la sentenza impugnata non considera adeguatamente la sua infanzia e la sua vita particolarmente travagliata. A prescindere dal fatto però che la critica appare prematura, per lo meno nella misura in cui riguarda la commisurazione della pena (tema ripreso – giustamente – alla fine del gravame), nell'esposto che segue il ricorrente evoca i suoi trascorsi dall'infanzia sino al momento in cui egli è rimasto coinvolto in un traffico di droga a San Gallo, ma non spiega perché ciò imporrebbe un giudizio diverso. Così com'è formulata, la critica si rivela pertanto inammissibile. Il ricorrente afferma poi che egli era intenzionato sin dal 1995 a cessare l'attività di guida turistica in Amazzonia e a occuparsi solo di consulenze. Proprio a tale scopo, e per migliorare i suoi contatti con l'Europa (segnatamente con l'Italia del nord), egli ha locato alla fine del 1994 l'appartamento di Chiasso. A suo parere inoltre la Corte di merito sarebbe trascesa in arbitrio lasciando intendere che l'uso della carta di identità contraffatta sia stato più frequente rispetto a quanto egli aveva ammesso. Se non che, davanti alla Corte di assise il ricorrente ha esplicitamente ammesso di avere commesso i cosiddetti reati minori illustrati nei punti 3. 4. e 5 dell'atto di accusa; egli ha pertanto anche ammesso di essersi in più occasioni qualificato con la carta di idendità contraffatta, segnatamente nelle occasioni precisate nei punti 4 e 5 dell'atto di accusa (sentenza, pag. 6 e 49). D'altro canto, egli nemmeno impugna i dispositivi n. 1.4 e 1.5 della sentenza di assise, con la quale la prima Corte lo ha ritenuto colpevole di falsità in certificati e di ripetuta infrazione alla legge federale sul domicilio e la dimora degli stranieri a dipendenza dell'illecito uso del citato documento. La censura non può pertanto essere vagliata nel merito. Il ricorrente considera inoltre faziosa la sentenza impugnata, nella misura in cui i primi giudici insinuano che la scelta dell'appartamento a Chiasso era legata al traffico di droga e di pornografia. A prescindere dal fatto però che egli nemmeno indica dove i primi giudici si sarebbero espressi in tal modo, il ricorrente non sostanzia alcun arbitrio. Ancora una volta il ricorso sfugge perciò a un esame di merito.
3.
Il ricorrente si diffonde sui suoi trascorsi penali e in particolare sulla condanna inflittagli dalla giustizia francese nel 1983 e 1984 per presunto coinvolgimento in un traffico di droga, sottolineando che il fatto di non avere più delinquito in materia di stupefacenti fino alla condanna a 2 anni di detenzione pronunciata nei suoi confronti con sentenza del 6 dicembre 1996 dal Tribunale distrettuale di Unterreheintal Alstätten (act. 129) dimostra l'efficacia educativa dell'esperienza francese. Ciò induce a presumere che una volta scontata la pena irrogatagli nel Canton San Gallo egli non ha più recidivato. Trascurando tale presunzione, la prima Corte sarebbe caduta in arbitrio. Se non che, puramente appellatorio, l'argomento è inammissibile in un ricorso per cassazione fondato sul divieto dell'arbitrio. Quanto al rimprovero che la prima Corte avrebbe senza valida ragione considerato come fattore aggravante, al momento di commisurare la pena, il carcere scontato in Francia per reati risalenti molto lontano nel tempo, la questione sarà ripresa, dandosene il caso, in appresso (consid. 17).
4.
Riferendosi ai rapporti con il fratello Claudio, il ricorrente rimprovera ai primi giudici di avere arbitrariamente sottovalutato alcuni fatti importanti al momento di stabilire la sua posizione processuale. Egli fa valere che grazie alla sua attività di allenatore e direttore sportivo di una squadra di calcio, come pure di osservatore e ricercatore di nuovi talenti, _ aveva molte occasioni per viaggiare all'estero, dove si è sempre destreggiato con le lingue, che il fratello ha beneficiato di 13 congedi dal Penitenziario cantonale durante l'espiazione degli ultimi mesi di detenzione inflittigli dal Tribunale di Bülach, congedi durante i quali egli ha potuto raggiungere Chiasso, fare spedizioni e trattare ordinazioni senza problemi. Il ricorrente assevera altresì che prima dell'intensificarsi dei contatti con il fratello (1994) non esisteva un appartamento come quello locato a Chiasso, accessibile a entrambi, che dal 1994/95 entrambi avevano deciso di ridurre e trasformare le proprie attività professionali per le quali dovevano tenere contatti con l'Italia del nord, che impronte di _ sono state rilevate appunto nell'appartamento di Chiasso, che il custode _ ha confermato di avere visto il fratello a Chiasso, che questi aveva una chiave dell'appartamento e che al riguardo la sentenza impugnata si fonda su motivazioni insufficienti, limitandosi ad affermare che il fratello risulterebbe più credibile di lui. Ciò sarebbe arbitrario, giacché _ non è stato creduto quando lo ha accusato di averlo costretto, con il ricatto, a fungere da corriere di droga dal Brasile alla Svizzera nel 1996.
Il mero richiamo alla circostanza che l'accusa rivoltagli dal fratello durante gli interrogatori in Italia non ha avuto seguito (il ricorrente è stato prosciolto dall'imputazione di avere partecipato al trasporto in Svizzera di 1'748 g di cocaina) non basta a dimostrare il preteso arbitrio. Non può dirsi infatti che i primi giudici abbiano errato manifestamente nel credere alle altre dichiarazioni di _, in particolare quando accertano che, pur avendo abusato di minori e filmato scene riproducenti atti sessuali con minori, costui non ha commercializzato videocassette in Italia o all'estero. Il proscioglimento dalla citata imputazione non è infatti stato pronunciato perché _ avrebbe mentito agli inquirenti italiani, ma perché è venuta a mancare – secondo la Corte di merito – una vera e propria chiamata in correità secondo i criteri posti dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Può invero destare qualche perplessità che da un lato la Corte ritenga credibili i ricatti di cui _ sarebbe rimasto vittima e dall'altra scagioni il ricorrente perché l'accusa – rivolta soltanto a pena espiata – non sarebbe stata sufficientemente sostanziata (sentenza, pag. 29–31). Di ciò beneficia tuttavia il ricorrente medesimo, sicché ai primi giudici non può essere rimproverato di non avere riconosciuto al ricorrente la facoltà di avvalersene ulteriormente. Per altro, il ricorrente trascura che il fratello è stato anche giudicato credibile anche per le ragioni indicate nei considerandi 1.3, 4.1.1 e 4.2.3.1 della sentenza impugnata. Con tali motivazioni egli non si confronta.
Il ricorrente soggiunge che il fratello è stato condannato in Italia con il rito del patteggiamento a una pena mite soltanto per i reati ammessi, ovvero per alcuni atti di pedofilia ripresi su videocassette per uso proprio, senza che sia stata verificata la fondatezza delle accuse che il fratello gli ha mosso. Il che sarebbe stato possibile unicamente coinvolgendolo nel procedimento, ossia garantendogli il contraddittorio. Ma ciò non è avvenuto, sicché le accuse rivoltegli in Italia non possono valere nel procedimento penale svizzero. La censura non può essere condivisa, ove soltanto si consideri che _ è stato interrogato l'8 febbraio 1999 davanti al GIP del Tribunale di Trapani in presenza anche del difensore del ricorrente, e cioè in contraddittorio (act. 136). Egli considera tale formalità del tutto platonica, dato che a suo giudizio _ non avrebbe mai mutato la versione dei fatti data ai fini del patteggiamento. Fondandosi sulle dichiarazioni di lui la Corte di merito non gli avrebbe garantito perciò un equo processo (art. 6 CEDU). Il ricorrente dimentica però di non essersi opposto, né in sede istruttoria né tantomeno al dibattimento (v. il verbale del processo) all'uso delle risultanze processuali italiane, compreso il verbale di rogatoria 8 febbraio 1999 menzionato a pag. 15 della sentenza impugnata. Non avendo sollevato il preteso vizio con tempestività, il ricorrente non può rimediarvi davanti alla Corte di cassazione e di revisione penale (art. 288 cpv. 1 lett. b CPP). Anche su questo punto il ricorso è pertanto inammissibile.
5.
Il ricorrente critica le modalità dell'inchiesta che ha condotto alla sua estradizione dal Lussemburgo, facendo valere tra l'altro valere che il mancato ricorso contro tale provvedimento è da attribuire al patrocinatore d'ufficio lussemburghese e all'impossibilità di farsi assistere da un legale di fiducia, il Giudice dell'istruzione e dell'arresto avendogli negato i mezzi per far fronte ai costi della difesa. Alla recriminazione non fa seguito però alcuna conclusione concreta, né si chiede che la sentenza delle assise sia annullata perché conseguente a una procedura di estradizione illegale. Sia come sia, non risulta che a suo tempo il ricorrente abbia impugnato la decisione del Giudice dell'istruzione e dell'arresto. Tanto meno egli spiega perché l'estradizione non sarebbe conforme al diritto. Il ricorrente contesta anche la legittimità delle risultanze processuali scaturite dall'istruttoria condotta dalle autorità del Lussemburgo e insiste nel rifiutare il contenuto dei relativi verbali, contestando persino di averli sottoscritti, ma la sua censura cade nel vuoto. A prescindere dal fatto invero che egli non si è opposto alla lettura in aula del verbale di polizia citato nel ricorso, risulta che – contrariamente a quanto egli pretende ora nel ricorso – in occasione degli interrogatori del 19 dicembre 1997 e del 1° aprile 1997 il ricorrente ha sostanzialmente confermato le dichiarazioni rilasciate al Giudice istruttore lussemburghese (sentenza, pag. 22). Il ricorrente obietta di essere stato sentito da quel magistrato soltanto per questioni procedurali. L'argomento non è serio. Come si evince dai citati verbali, e in particolare da quello del 19 dicembre 1997, gli interrogatori vertevano infatti sull'oggetto dell'inchiesta e in specie sulle dichiarazioni rilasciate dal prevenuto alla polizia il 18 dicembre 1997 (classificatore, act. 93). Il ricorrente si duole anche che i primi giudici gli hanno attribuito un comportamento reticente e di ostacolo all'accertamento dei fatti, nonostante che – ad esempio – essi lo abbiano prosciolto da uno dei capi di imputazione (infrazione aggravata della legge fedele sugli stupefacenti), e fa carico alla Corte di merito di avere violato la procedura e il diritto sostanziale punendolo per l'esercizio dei suoi legittimi diritti di accusato. Egli non dimostra tuttavia alcun arbitrio, né spiega quali norme di procedura sarebbero state concretamente violate. E inoltre, sia come sia, il suo comportamento processuale non gli ha comportato alcun aggravamento di pena (sentenza, pag. 55).
6.
Al punto 3 del gravame il ricorrente si diffonde sui principi che regolano il processo indiziario, sul precetto
in dubio pro reo
, sulla pressione che sarebbe stata esercitata sulla Corte di assise dagli organi di stampa e dall'opinione pubblica per la delicatezza del processo e per la visione di cassette nel corso del dibattimento, come pure sulle reazioni che avrebbe suscitato una sentenza di proscioglimento. In assenza di una precisa censura, l'esposto non è tuttavia proponibile e sfugge nondimeno a un esame di merito.
7.
Il ricorrente si duole della condanna per violazione aggravata della legge federale sugli stupefacenti conseguente alle rivelazioni di _ e di _, argomentando che tale giudizio si fonda sulle sole accuse dei due e, quindi, su prove insufficienti. Esso risulterebbe pertanto arbitrario.
a)
I primi giudici hanno tratto convincimento circa la colpevolezza dell'imputato in primo luogo dalle dichiarazioni che _ ha rilasciato nei primi mesi del 1998 alle autorità turgoviesi, durante gli interrogatori che hanno fatto seguito alla rogatoria delle autorità lussemburghesi, le quali intendevano approfondire il caso dopo avere trovato il nome di _ nell'agenda di _. Benché interrogato su questioni di pornografia infantile – ha spiegato la prima Corte – _ ha ammesso spontaneamente di avere consumato cocaina fino all'ottobre del 1997 e di avere conosciuto circa quattro anni prima il ricorrente in un campeggio estivo di St. Margrethen, quando costui alloggiava presso la famiglia di _. _ – ha soggiunto la Corte – ha poi indicato nel ricorrente il fornitore della droga e ha descritto in modo circostanziato i contatti e gli incontri con lui, tanto da essere condannato il 29 marzo 1999 dal Tribunale distrettuale di Frauenfeld a 2 anni di detenzione per violazione aggravata della legge federale sugli stupefacenti (act. 159). In seguito _ ha confermato le accuse anche davanti al Procuratore pubblico ticinese e al ricorrente durante un confronto del 12 aprile 1999, ammettendo di avere acquistato fra il settembre del 1995 e l'ottobre del 1997 circa 392 g di cocaina e di avere funto da intermediario nella vendita di altri 100 g di tale sostanza a _. Il ricorrente – ha rilevato la Corte di merito – ha quindi trafficato anche dopo la liberazione condizionale del 30 settembre 1997, dopo avere scontato due terzi della pena irrogatagli dal Tribunale distrettuale di Unterrheintal Alstätten il 6 dicembre 1996 (sentenza, pag. 31–37). Per quanto riguarda la vendita di 100 g di cocaina a _, i primi giudici hanno rilevato che ciò è confermato dallo stesso acquirente, il quale ha chiamato in causa in modo circostanziato e credibile il ricorrente, dicendo che costui gli aveva offerto ulteriori 100 g di cocaina, ma che la cosa non era andata in porto (sentenza, pag. 37–39).
b)
il ricorrente assume anzitutto che _ e _, benché citati dalla difesa, non si sono presentati al dibattimento, impedendo in tal modo un vero e proprio contraddittorio. Dalla sentenza impugnata risulta però che solo _ è stato citato al processo, al quale non è comparso giustificando l'assenza per motivi di salute attestati da certificato medico. Ciò premesso, le parti hanno consentito ad acquisire agli atti le dichiarazioni rese da _ al Magistrato inquirente (sentenza, pag. 39). Così facendo, tuttavia, il ricorrente si è precluso il diritto di contestare l'uso di quelle risultanze istruttorie (art. 288 cpv. 1 lett. b CPP). D'altro canto egli trascura che _ è stato sentito il 9 aprile 1999 in presenza del suo difensore, ovvero in contraddittorio (act. B1). Anche _ è stato sentito in contraddittorio il 12 aprile 1999, durante l'istruzione. Il ricorrente obietta che a quel momento egli non disponeva ancora di tutti gli elementi per difendersi efficacemente, ma trascura di non essersi opposto, al dibattimento alla lettura del verbale richiamato nella sentenza impugnata (protocollo del processo, pag. 3). La presunta limitazione dei diritti della difesa è quindi, una volta ancora, tardiva (art. 288 cpv. 1 lett. b CPP).
c)
Il ricorrente fa presente che sia _ sia _ sono stati sentiti senza delazione di giuramento, poiché perseguiti per violazione della legge federale sugli stupefacenti, e che è stata loro garantita la facoltà di non rispondere, ciò che impone di valutare le loro deposizioni con cautela. Si è già spiegato però che l'apprezzamento delle prove può essere censurato in cassazione solo per arbitrio (sopra, consid. 1). Senza alcun richiamo al divieto dell'arbitrio, l'argomento in questione è pertanto irricevibile. Asserisce il ricorrente che _ e _ sono stati tossicodipendenti almeno fino al momento dei fatti, che proprio per questo motivo _ si è visto riconoscere lo stato di scemata responsabilità (art. 11 CP) dal Tribunale turgoviese che lo ha condannato a 2 anni di detenzione per violazione della legge federale sugli stupefacenti e che verosimilmente la medesima attenuante è stata riconosciuta anche a _, sempre che sia stato condannato anch'egli per i reati in questione. Nemmeno al proposito il ricorrente dimostra però un qualsivoglia arbitrio nell'apprezzamento delle deposizioni, onde l'inconsistenza delle critiche.
d)
Secondo la sentenza impugnata, inoltre, _ è apparso al processo riabilitato fisicamente, socialmente e professionalmente, tant'è che non consuma più droga da un anno e mezzo (sentenza, pag. 32 e 36). Non si è quindi arbitrario ritenere che al momento di chiamare in causa il ricorrente egli fosse in possesso delle sue facoltà mentali. È vero che egli ha riferito di fatti risalenti all'epoca in cui le sue condizioni psicofisiche risentivano verosimilmente del consumo di cocaina, ma ciò non basta – né basta la presumibile tossicodipendenza di _ – per intravedere estremi di arbitrio nella sentenza impugnata. La Corte di merito ha del resto evocato altri elementi suscettibili di confortare le chiamate di correo, come il fatto che in quel periodo il ricorrente vendeva droga a Urs Walt, il fatto che gli inquirenti hanno accertato versamenti per fr. 23'500.– e movimenti bancari effettuati a Frauenfeld l'11-12 e il 28-29 settembre 1995 sul conto BPS/CS di Chiasso spiegabili solo con un'attività più redditizia di quella pretesa dal ricorrente, il fatto che siano state rinvenute nell'appartamento di Chiasso due bilance elettroniche recanti tracce di cocaina e sacchetti minigrip, oltre il fatto che lo stesso ricorrente aveva ammesso davanti agli inquirenti del Lussemburgo di avere dato ad _ "come amico" un po' di cocaina (sentenza, pag. 37 e 40). Senza incorrere in arbitrio, i primi giudici hanno inoltre considerato a favore dell'attendibilità della chiamata in correità la circostanza che _ ha confessato reati per i quali non era nemmeno indagato (sentenza, pag. 32 e 36) e ha saputo indicare in modo puntuale e preciso la qualità della droga venduta prima e dopo l'arresto del ricorrente (sentenza, pag. 37).
e)
Prosegue il ricorrente asseverando che sia _ sia _ hanno beneficiato di riduzioni di pena per avere collaborato immediatamente con la giustizia dando il nome del fornitore e che, sapendo di essere interrogati su rogatoria per reati legati al mondo della pedofilia, essi avevano interesse a liberarsi da tale procedimento, incolpando il ricorrente di traffico di droga. Si tratta però di argomenti del tutto appellatori, inammissibili in un ricorso per cassazione fondato sul divieto d'arbitrio. Il ricorrente fa altresì valere che la convergenza delle dichiarazioni rilasciate da _ e _ non può costituire elemento decisivo, poiché essi hanno potuto concordare le loro versioni quando si sono incontrati il 29 febbraio 1998 in un esercizio pubblico, incontro cui hanno accennato essi medesimi nell'ambito degli interrogatori relativi alla rogatoria commissionata dal Granducato del Lussemburgo (act. 18). Il richiamo a quegli interrogatori – che comunque non hanno la portata pretesa nel ricorso – non basta però a dimostrare che la Corte di assise abbia errato manifestamente nel considerare nondimeno attendibili le contestate chiamate di correo, segnatamente alla luce dei riscontri illustrati nella sentenza impugnata valutati nel loro complesso.
f)
Il ricorrente asserisce inoltre che quanto rinvenuto nell'appartamento di Chiasso (due bilance elettroniche, sacchetti minigrip, scatole di cioccolata) non prova un suo coinvolgimento nel traffico preteso da _ e da _, potendo solo indiziare l'importazione e il trasporto di droga in scatole di cioccolata, per i quali è già stato condannato a 2 anni di detenzione il 6 dicembre 1996 dal Tribunale distrettuale di Unterrheintal Alstätten. Su questo punto il ricorso sfiora la temerarietà, né durante l'istruttoria né durante il dibattimento il ricorrente avendo attribuito tali rinvenimenti all'attività delittuosa precedente, ma addirittura agli stessi inquirenti (sentenza, pag. 40). L' accusa è per certi versi da mettere in relazione al fatto che egli aveva dichiarato che la bilancia di marca Tanita (sulla quale sono state trovate tracce di cocaina) era stata acquistata poco prima del suo arresto in Lussemburgo e che i sacchetti minigrip erano stati prelevati dal carcere di Lenzburg. Tali fatti sono però successivi alla carcerazione per i fatti giudicati con sentenza del 6 dicembre 1996. Comunque che sia, il richiamo ai citati oggetti costituisce soltanto un indizio del coinvolgimento del ricorrente in affari di droga. Considerando tale circostanza accanto alle altre – in particolare alla chiamata in correità di _ e di _ – i giudici di merito non hanno affatto abusato del loro potere di apprezzamento. Secondo il ricorrente la Corte di assise avrebbe in ogni modo violato il principio
ne bis in idem
nella misura in cui ha collegato gli oggetti ritrovati nell'appartamento di Chiasso alle imputazioni figuranti ai punti 1.2.1, 1.2.2., 1.2.3 e 1.2.4 dell'atto di accusa, antecedenti la sua condanna nel Canton San Gallo. La tesi è inconsistente. Il reato per il quale il ricorrente è stato condannato con sentenza del 6 dicembre 1996 riguardava la vendita di 100 g di cocaina a _ (sentenza, pag. 13); la condanna da parte della Corte di assise si riferisce per contro alla cocaina venduta a _ e _. Di nuovo il ricorso è pertanto destinato all'insuccesso.
g)
Il ricorrente sostiene che il grado di purezza delle droga che gli si imputa di avere trafficato non può essere considerato superiore al 50%, e ciò anche nell'ipotesi in cui la droga venduta tra il 1995 e il 1996 fosse, come dice _, di buona qualità. Nella commisurazione della pena ciò andava considerato. L'argomento riguarda, appunto, la commisurazione della pena. Sarà quindi trattato più avanti (consid. 17).
h)
Al punto 6 del ricorso il ricorrente si diffonde sulle singole imputazioni, facendo valere che nel verbale di interrogatorio del 12 aprile 1999 (act. B2) _ ha ammesso di avere acquistato tra settembre del 1995 e marzo del 1996 al massimo 120 g di cocaina, cioè 20 g al mese. Fondandosi sul rapporto interno della polizia cantonale turgoviese del 2 aprile 1998 la prima corte ha arbitrariamente accertato invece acquisti per 382 g. Il ricorrente trascura però che proprio durante quell'interrogatorio _ ha confermato i quantitativi indicati nel rapporto di polizia (sentenza, pag. 35). Mal si comprende quindi perché la prima Corte sarebbe trascesa in arbitrio. Il ricorrente espone in seguito i motivi che farebbero apparire arbitrari anche gli accertamenti relativi al suo ulteriore coinvolgimento nel traffico di droga. Ancora una volta tuttavia egli si avvale di argomentazioni spiccatamente appellatorie, nel senso ch'egli si limita a contrapporre la propria versione dei fatti al giudizio impugnato, come se si trovasse davanti a un'autorità di ricorso con pieno potere cognitivo anche nella valutazione delle prove. Formulato come atto di appello, al proposito il gravame va pertanto dichiarato inammissibile.
8.
Il ricorrente insorge anche contro la condanna per pornografia infantile conseguente al materiale rinvenuto nell'appartamento di Chiasso e al sequestro della lettera e delle videocassette in occasione del suo arresto nel Lussemburgo il 18 dicembre 1997. Egli ribadisce anzitutto di avere sempre sostenuto e dichiarato di avere autorizzato il fratello _a occupare il citato appartamento; fa poi valere che il materiale illecito ritrovato è stato importato dall'Italia e dall'estero per opera del fratello, noto pedofilo, il quale si è procurato anche le apparecchiature tecniche e quant'altro. Egli avrebbe tollerato il deposito del materiale, ma sarebbe rimasto estraneo alle altre attività figuranti nell'atto di accusa. Inoltre l'impostazione dell'atto di accusa e il metodo seguito dagli inquirenti insieme con la stessa Corte di assise sarebbe stato inteso a colpevolizzarlo sotto ogni punto di vista, facendo sì che gli oggetti rinvenuti nell'appartamento apparissero d'acchito come corpo e prova di reato, indipendentemente dalla loro provenienza e dall'uso possibile. In sintesi – lamenta l'imputato – tutto l'atto di accusa è costruito attorno al sequestro della videocassetta nel Lussemburgo, unico elemento sul quale non è possibile fondare però un traffico internazionale di materiale pedopornografico. Ora, le considerazioni del ricorrente si esauriscono in generiche doglianze appellatorie, improponibili in un ricorso per cassazione fondato sul divieto dell'arbitrio. Basti rilevare che egli non indica nemmeno quale singolo accertamento contenuto nella sentenza impugnata risulterebbe insostenibile o manifestamente contrario alle risultanze istruttorie. Ciò non permette di ravvisare alcun possibile titolo di cassazione.
9.
Riferendosi all'accusa di avere importato il materiale sequestrato a Chiasso il ricorrente allega che esso non può essere interamente definito pornografico in senso giuridico. Egli non spiega però quale degli oggetti sequestrati non adempirebbe i requisiti dell'art. 197 CP. Confondendo il ricorso per cassazione con un atto di appello egli torna poi sugli elementi che coinvolgerebbero il fratello e che lo scagionerebbero dal relativo capo di accusa, ravvisato a suo dire arbitrariamente dalla Corte di assise. Il fatto è che, invece di confrontarsi partitamente con le motivazioni – e non sono poche – contenute nella sentenza impugnata (consid. 4.2.3.1) e anziché illustrare perché queste sarebbero manifestamente insostenibili se non singolarmente, quanto meno nel loro intero, egli si limita a narrare la fattispecie dal suo punto di vista, a richiamare atti istruttori e singole risultanze processuali suscettibili a suo giudizio di inquadrare la fattispecie altrimenti e di fornire un altro quadro d'insieme rispetto a quello accertato dalla Corte di assise. Ciò non basta tuttavia per inficiare quanto i primi giudici hanno constatato valutando diversamente le prove raccolte.
Esaminando il consid. 4.2.3.1 non è comunque riscontrabile arbitrio negli accertamenti ivi contenuti, fondati sulle ammissioni del ricorrente davanti alle autorità del Lussemburgo, sulle dichiarazioni del fratello _nel corso degli interrogatori in Italia (apparse alla Corte di assise credibili), sui numerosi riscontri che attestano i legami del ricorrente con la Polonia (da cui proviene parte del materiale pedopornografico), su due pacchi indirizzati a _ sequestrati presso l'ufficio postale di Chiasso, nel quale sono state trovate equivoche riviste di naturismo e disegni di bambini o bambine nudi, sulla ricevuta del corriere incaricato di una spedizione a _, Varsavia, con mittente "_ c/_", sul nastro verde di una macchina per scrivere rinvenuta a Chiasso (che reca il testo di una lettera probabilmente inviata al citato _), sull'annotazione nell'agenda sequestrata al ricorrente dell'indirizzo di un certo "_" a Varsavia e sul sequestro di una busta spedita a un signor _ dalla Germania, sulla quale figura la scritta "nuovi cataloghi 97 per x Ls e Bs (FKK e soft)". Ora, Ls sta per
Lolitas
e Bs per
Boys
(sentenza, pag 22 e 48), mentre la sigla FKK identifica – apparentemente – un'associazione di naturismo.
10.
Il ricorrente assevera che le apparecchiature ritrovate a Chiasso (televisori, videoregistratori, adattatori, titolatrici ecc), acquistate indistintamente da lui e dal fratello, non sono mezzi tecnici atti a riprodurre o fabbricare solo materiale pornografico. Ricorda inoltre che il fratello _ha eseguito copie di cassette, a dimostrazione che sa utilizzare perfettamente gli strumenti necessari alla duplicazione di filmini, e che lo stesso fratello ha ammesso di avere una propria apparecchiatura in Italia, onde la possibilità che ne potesse avere una anche a Chiasso. Sempre a parere del ricorrente, sul nastro verde della già citata macchina per scrivere si ritrova un passaggio contenente istruzioni per l'uso degli apparecchi, possibile dunque anche da parte del fratello Claudio, il quale non ha escluso di averle utilizzate. Come operatore turistico, del resto, il ricorrente sottolinea di avere senz'altro potuto adoperare i mezzi tecnici per fini leciti. Una volta di più tuttavia il ricorrente non si confronta con i motivi che hanno spinto la prima Corte a rimproverargli di avere riprodotto e fabbricato videocassette raffiguranti atti sessuali tra e con fanciulli (consid. 4.2.3.3), ma insiste nel voler rendere verosimile un scenario diverso dipartendosi da una personale valutazione delle prove. Ciò non è sufficiente per sostanziare una violazione del divieto dell'arbitrio.
11.
Per quanto riguarda l'accusa di avere tenuto in deposito materiale pedopornografico il ricorrente asserisce che anche in proposito le dichiarazioni del fratello non possono essere ritenute disinteressate né spontanee. Con la sua argomentazione appellatoria egli disconosce però che i primi giudici non si sono fondati soltanto sulle accuse di _, ma anche sul fatto che in fin dei conti il materiale incriminato si trovava nell'appartamento da egli locato, sul fatto che a tergo di un poster di carattere pedofilo trovato nell'abitazione si trova il timbro "_" e sul fatto che davanti alle autorità del Lussemburgo egli aveva ammesso la predilezione del fratello per i maschietti (mentre egli preferiva le bambine). Ora, il materiale rinvenuto nell'appartamento di Chiasso coinvolge piuttosto bambine (consid. 4.5). Inoltre, sempre secondo la Corte, la documentazione pedopornografica è in diverse lingue, tra cui il tedesco e il francese, che il fratello _non conosce (consid. 4.2.3.3). Con tali argomentazioni il ricorrente, ancora una volta, non si confronta.
12.
Il ricorrente dissente altresì dalla condanna per propaganda, offerta e messa in circolazione di materiale pornografico “duro”. Assevera che essa si fonda sulla videocassetta spedita a J.-M._ in Lussemburgo nel dicembre del 1997, sul nastro verde della macchina per scrivere trovata a Chiasso e sulla sua agenda, troppo poco per sostanziare l'accusa.
a)
Il ricorrente trascura i veri motivi che hanno spinto la Corte di assise a ritenerlo colpevole anche di tale reato. Nella sentenza impugnata si richiama anzitutto una lettera in francese spedita nell'ottobre del 1997 dal ricorrente (“_”) a _, nella quale egli comunicava l'indirizzo cui inviare materiale
sur Ls ou Bs
e scriveva che "in Brasile si può fare ancora molto, sia per Ls che per Bs", concludendo nel senso che
quand j'ai quelque chose je te l'envoie avec plaisir
. Inoltre i primi giudici hanno rilevato che il ricorrente aveva dichiarato agli inquirenti lussemburghesi di avere inviato a_ una videocassetta registrata dal fratello _con bambini di 13-14 anni e che il fratello – interrogato per rogatoria – aveva ammesso di avere conosciuto_ per telefono, precisando che costui trattava videocassette pornografiche con il fratello Italo. La Corte ha anche evocato la ricevuta del corriere EMS delle PTT relativa alla spedizione di documenti inviata a _, Varsavia, dove figura come mittente _ c/o _, Frauenfeld, con timbro postale di Lugano 1. Ha pure fatto riferimento all'agenda (contrassegnata con le iniziali IN, ossia _) sequestrata al ricorrente e ai numerosi nomi e indirizzi con accanto le sigle Ls e Bs, alla circostanza che in Lussemburgo egli aveva indicato fra i suoi potenziali clienti persone che erano più interessate ai ragazzi e alle ragazze e gli ha rimproverato di aver tentato di far credere che nell'agenda vi erano anche annotazioni del fratello (sentenza, consid. 4.2.3.5).
b)
Il ricorrente fa notare che l'autorità inquirente ha ordinato in extremis una perizia calligrafica limitatamente ad alcuni documenti, peraltro non compromettenti (act. 141), limitando il raffronto da un foglio trovato in suo possesso in Lussemburgo ad altri sei rinvenuti nell'appartamento di Chiasso. Trattasi però– egli soggiunge – di documenti riferiti a elenchi di oggetti che non dimostrano alcuna messa in circolazione, offerta o propaganda di materiale pornografico. Se non che, il considerando 4.2.3.5 della sentenza impugnata, riferito alla contesta imputazione, nemmeno menziona ciò. In realtà il ricorrente si confonde verosimilmente con la precedente imputazione riferita alla fabbricazione di ulteriori videocassette (sentenza, pag. 46).
c)
Per quel che è del testo risultante dalla lettura del nastro verde della macchina per scrivere rinvenuta a Chiasso, il ricorrente obietta che con tale macchina è stata scritta non solo la lettera spedita il 27 ottobre 1997 a _ (sentenza, pag. 47), ma anche quella inviata a _ in Polonia, alla quale si riferisce la ricevuta del corriere EMS delle PTT (sentenza, pag. 44). Con ciò egli non sostanzia però alcun arbitrio. Egli si duole bensì che l'accusa gli ha attributo tutti i testi per il semplice fatto che essi sono scritti in varie lingue, mentre il fratello _ha dichiarato di conoscere solo l'italiano, lo spagnolo e un po' il francese, circostanza tuttavia non verificata minimamente. Eppure – egli soggiunge – _ aveva un'agenda ricca di nomi di tutto il mondo, sicché doveva sapersi destreggiarsi con le lingue. Anche al riguardo il ricorrente non apporta elementi suscettibili di dimostrare arbitrio. Anzi, confondendo ancora una volta il ricorso per cassazione per un atto di appello egli si diffonde ulteriormente sulla scarsa rilevanza della prova costituita dalla lettura del nastro verde della macchina per scrivere, sulla mancanza di prove attestanti che la lettera del 27 ottobre 1997 sia stata firmata e spedita da lui da Chiasso il 27 ottobre 1997 e che la videocassetta sequestrata nel dicembre del 1997 sia stata spedita separatamente dalla citata lettera. La natura appellatoria degli argomenti sollevati è nondimeno evidente. Si volesse come che sia entrare nel merito delle censure, il ricorso si rivela sfiorare la temerarietà, ove soltanto si rammentino le compromettenti ammissioni del ricorrente di fronte agli inquirenti del Lussemburgo (sentenza, pag. 22) e gli infruttuosi tentativi di ritrattazione posti in atto dall'accusato (sentenza, consid. 2.2.2). Anche sotto questo profilo la sentenza impugnata resiste pertanto alla critica.
13.
Il ricorrente fa carico alla Corte di assise di avere violato l'art. 197 n. 3 CP per avere trascurato che il legislatore non ha inteso reprimere l'acquisto e il possesso di pornografia “dura” per consumo personale. Avendo egli tutt'al più tollerato che il materiale illecito del fratello _fosse importato e depositato, eventualmente acquistato per uso personale, la condanna per pornografia inflittagli dai primi giudici offenderebbe perciò il diritto federale. Ora, l'art. 197 n. 3 CP punisce con la detenzione o con la multa chiunque fabbrica, importa, tiene in deposito, mette in circolazione, propaganda, espone, offre, mostra, lascia o rende accessibili oggetti o rappresentazioni di carattere pornografico vertenti su atti sessuali con fanciulli, animali, escrementi umani o atti violenti. Il ricorrente non contesta – a ragione – che buona parte del materiale sequestrato a Chiasso contiene pornografia nell'accezione della citata norma. Chiede tuttavia di essere prosciolto dall'imputazione perché il materiale incriminato era destinato a uso personale del fratello. E l'acquisto o il possesso di pornografia “dura” per uso personale non ricadrebbe sotto l'art. 197 n. 3 CP (DTF 124 IV 106 consid. 3b).
L'assunto è infondato. Giovi ricordare che – contrariamente all'opinione del ricorrente – la fabbricazione e l'importazione di pornografia dura sono punibili anche se l'agente non ha agito con l'intenzione di diffonderla, ma solo per consumo personale (DTF 124 IV 106 consid. 3a). Per di più il ricorrente dimentica che – secondo gli accertamenti dei primi giudici – il materiale pornografico sequestrato era destinato alla diffusione (sentenza, pag. 52). Giustamente la prima Corte ha ravvisato, quindi, anche un deposito di pornografia “dura” nel senso dell'art. 197 n. 3 CP. Diversa sarebbe stata la fattispecie qualora il ricorrente si fosse limitato a detenere immagini pedopornografiche senza la volontà di diffonderle (DTF 124 IV 106 consid. 3c/bb; cfr. anche
Jenny
in: Kommentar zum schweizerischen Strafrecht, Besonderer Teil, vol. 4, n. 23 ad art. 197). Così come stanno le cose, la sentenza impugnata non presta il fianco alla critica.
14.
Il ricorrente chiede l'esenzione da ogni pena per pornografia, dicendo di avere avuto fondati motivi per credere che _ facesse uso proprio del materiale sequestrato e di avere mantenuto tale convinzione fino al momento dell'arresto, versando in un errore sui fatti (art. 19 CP). Già si è visto però che i primi giudici non sono caduti in arbitrio rimproverando al ricorrente – e non al fratello – di avere importato, tenuto in deposito, messo in circolazione, propagandato e offerto pornografia “dura” giusta l'art. 197 n. 3 CP. Fondato su fatti diversi da quelli accertati in modo vincolante sentenza impugnata, il gravame non può essere oggetto di ulteriore disamina.
15.
Il ricorrente si vale anche dell'errore in diritto ai sensi dell'art. 20 CP. Fa valere che la normativa italiana, come pure quella europea e internazionale che reprimono i reati connessi alla pedofilia sono di recente promulgazione e comunque posteriori all'attività per la quale è stato condannato, sicché per un profano non era affatto evidente sapere con certezza quale attività fosse vietata dalla legge e da quando, tanto più che le predette normative reprimono il reato di pornografia “dura” più severamente che, ad esempio, nel Lussemburgo, da dove era partita la commissione rogatoria. E al riguardo i primi giudici non si sono nemmeno pronunciati. Ora, dal verbale del dibattimento risulta che il difensore ha effettivamente invocato, tra l'altro, l'errore in diritto per quanto riguarda l'accusa di pornografia, e in particolare il deposito di materiale pornografico. L'argomentazione non è quindi nuova. Se non che, avesse realmente confidato sull'impunità delle azioni descritte nell'atto di accusa, non si vede perché il ricorrente avrebbe tentato di attribuire ogni responsabilità al fratello. Già a prima vista la conclamata buona fede appare quindi dubbia. Oltre a ciò, il ricorrente non dà alcun elemento che permetta di scorgere l'errore e pretende in sostanza di essere creduto sulla parola. Ciò non permette ancora di applicare l'art. 20 CP.
16.
Il ricorrente ritiene inoltre che i primi giudici siano trascesi in arbitrio dando per acquisito che egli abbia agito per lucro giusta l'art. 197 n. 4 CP, non sussistendo in realtà il benché minimo commercio di materiale pornografico dietro retribuzione. Egli trascura tuttavia che – come ha correttamente rilevato la Corte di assise – dalla diffusione di pedopornografia l'autore non deve necessariamente trarre guadagno; la sola intenzione basta (
Jenny
, op. cit. n. 17 ad art. 197 CP con rinvii di giurisprudenza). E in concreto i primi giudici hanno accertato che l'attività incriminata denota desiderio di arricchimento e sete di guadagno (sentenza, pag. 52). Certo, il ricorrente censura di arbitrio tale accertamento, ma a torto. Visto il gran numero di videocassette sequestrate, come pure gli apparecchi tecnici idonei alla duplicazione, la Corte poteva dedurre senza arbitrio che il ricorrente mirasse a fare commercio del materiale. Né altrimenti si spiegherebbe la consistente spesa profusa nelle apparecchiature. Ancora una volta il ricorso è destinato pertanto all'insuccesso.
17.
Il ricorrente si duole anche della pena irrogatagli, definendola sproporzionata, e rimprovera ai primi giudici di non avere indicato l'entità della pena aggiuntiva a quella di 2 anni inflittagli dal Tribunale distrettuale di Unterrheintal Alstätten, essendosi essi limitati a rilevare che per la violazione aggravata della legge federale sugli stupefacenti si giustificava una pena di 2 anni e 6 mesi di reclusione. Anche la pena restante (18 mesi di detenzione) per il reato di pornografia e per i reati minori – egli soggiunge – è carente di motivazione, né consente di stabilire il peso attribuito a ogni infrazione. Infine il ricorrente lamenta che la Corte di merito ha conferito soverchia importanza alla recidiva specifica in materia di stupefacenti.
a)
Il giudice commisura la pena alla colpa del reo tenendo conto dei motivi a delinquere, della vita anteriore e delle condizioni personali di lui (art. 63 CP). La gravità della colpa è il criterio fondamentale per la fissazione della pena. A tale riguardo entrano in considerazione numerosi fattori: movente e circostanze esterne, intensità del proposito (determinazione) o della negligenza, risultato ottenuto, assenza di scrupoli, modo d'esecuzione del reato, entità del pregiudizio arrecato volontariamente, durata o reiterazione dell'illecito, ruolo in seno a una banda, recidiva, difficoltà personali o psicologiche e così via. Per quanto riguarda l'autore, in particolare, occorre considerare la sua situazione familiare e professionale, l'educazione ricevuta e la formazione seguita, l'integrazione sociale, gli eventuali precedenti penali e la reputazione in genere. Anche il comportamento dopo la perpetrazione del reato entra in linea di conto, compresa la collaborazione con gli inquirenti, il pentimento e la volontà di emendamento (DTF 124 IV 47 consid. 2d con rinvio a DTF 117 IV 112 consid. 1, 116 IV 289 consid. 2a). Criteri ispirati alla parità di trattamento con casi analoghi hanno invece una portata relativa ( DTF 124 IV 47 consid. 2c), mentre esigenze di prevenzione generale svolgono solo un ruolo di second'ordine (DTF 118 IV 350 consid. 2g).
b)
Quando per uno o più atti un delinquente incorre in più pene privative delle libertà personale, il giudice lo condanna alla pena prevista per il reato più grave aumentandola in misura adeguata, ma senza oltrepassare nell'aumento la metà della pena massima comminata (art. 68 n. 1 cpv. 1 CP). A tal fine occorre dipartirsi dal reato con la pena edittale più elevata (
Trechsel
, Kurzkommentar zum StGB, 2a edizione, n. 12 ad art. 68; DTF 116 IV 304, 93 IV 10; CCRP, sentenza del 28 aprile 1998 in re P. e coimputati, consid. 22c). Se si deve giudicare di un reato punito con pena privativa della libertà personale che il colpevole ha commesso prima di essere stato condannato a una pena privativa delle libertà personale per altro fatto, inoltre, il giudice determina la pena in modo che il colpevole non sia punito più gravemente di quanto sarebbe stato se i diversi reati fossero compresi in un unico giudizio (art. 68 n. 2 CP). Nella fattispecie il reato con comminatoria più elevata è quello di violazione aggravata della legge federale sugli stupefacenti, che prevede pene fino a una massimo di 20 anni (art. 19 Lstup). Occorre dipartirsi perciò da tale fattispecie.
c)
Nella commisurazione della pena il giudice di merito fruisce di ampia autonomia. Egli deve indicare nondimeno quale peso attribuisce ai vari elementi considerati, non necessariamente in cifre o in percentuali, ma in modo che l'autorità di ricorso possa – pur rispettando la sua latitudine di apprezzamento – seguire il suo ragionamento e controllare l'applicazione della legge (
Queloz
, Commentaire de la jurisprudence du Tribunal féderal en matière di fixation et de motivation de la peine, in: RPS 116/1998 pag. 136 segg.). Sapere se la pena risponda a tali esigenze e rientri nei limiti edittali è una questione di diritto, che va quindi esaminata liberamente dalla Corte di cassazione e di revisione penale; nella commisurazione della pena, per contro, la Corte di cassazione e di revisione penale interviene solo – come il Tribunale federale – ove il giudice di merito sia stato esageratamente severo o esageratamente mite, al punto da cadere nell'eccesso o nell'abuso del potere di apprezzamento (DTF 123 IV 152 consid. 2a con richiami).
d)
Nel caso in esame la Corte di assise ha rilevato anzitutto, commisurando la pena, che l'attività delittuosa dell'imputato si è protratta a lungo, sia per quanto attiene alle vendite di cocaina (dal settembre 1995 al giugno 1996 e dal settembre al dicembre 1997) sia per quanto concerne i reati di pornografia, sia per quel che è degli illeciti minori compiuti prima e dopo la sentenza emanata il 6 dicembre 1996 dal Tribunale distrettuale di Unterrhein Alstätten. Occorre dunque pronunciare – essa ha soggiunto – una pena parzialmente aggiuntiva a quella di 2 anni di detenzione inflitta da quel tribunale. Ciò posto, i primi giudici hanno considerato di sicura e particolare gravità l'attività delittuosa. Essi hanno rilevato la non indifferente quantità di cocaina messa in circolazione, prima dell'arresto del 1° giugno 1996 e anche dopo la liberazione condizionale conseguente alla condanna del 6 dicembre 1996, concludendo nel senso che l'imputato risultava un vero trafficante animato solo da fini di lucro (sentenza, pag. 54). Sempre secondo la Corte, per l'imputato la professione di guida turistica costituiva soltanto un paravento per loschi traffici di droga e di materiale pornografico a carattere pedofilo, gestito dall'appartamento di Chiasso. Inquietante è apparso altresì che a delinquere pesantemente sia stato un uomo sessantenne, nonostante l'esperienza carceraria in Francia. Richiamata la recidiva specifica sul traffico di stupefacenti, la Corte ha inoltre considerato grave che l'accusato abbia delinquito anche in altri campi, segnatamente in quello della pornografia "dura", dimostrando bassezza, povertà di principi morale e una mentalità fuori del comune. L'accusato – ha proseguito la Corte – ha approfittato delle debolezze altrui, tossicodipendenti e persone con devianze sessuali (sentenza, pag. 54), non ha per nulla collaborato, anzi ha ritrattato senza valida giustificazione anche le poche ammissioni fatte davanti alle autorità del Lussemburgo, dimostrando mancanza di consapevolezza e di ravvedimento (sentenza, pag. 55). Al ricorrente essa non ha riconosciuto alcuna attenuante particolare.
Nella fissazione della pena la Corte di assise ha ritenuto che solo il traffico di cocaina, così come accertato e commesso da un recidivo, tenuto conto dei massimi e dei minimi edittali, potrebbe giustificare di per sé una pena di almeno due anni e mezzo di reclusione. Aggiungendo in applicazione dell'art. 68 n. 1 CP i reati di pornografia e quelli minori (peraltro ritenuti influenti), la cui pena è stata valutata attorno ai 18 mesi di reclusione, la prima Corte ha stabilito la pena complessiva in 4 anni di reclusione, a valere come sanzione parzialmente aggiuntiva a quella di 2 anni di detenzione inflitta con sentenza del 6 dicembre 1996 dal Tribunale distrettuale di Unterrheintal Alstätten (sentenza, pag. 55 e 56).
e)
Come si è accennato, il ricorrente si duole che la prima Corte non ha indicato in quale misura la pena inflitta per violazione aggravata della legge federale sugli stupefacenti (2 anni e 6 mesi di reclusione) si riferisca all'attività messa in atto prima dell'arresto del 1° giugno 1996 (che ha comportato la nota condanna a 2 anni di detenzione), rispettivamente al traffico di droga perpetrato dall'ottobre del 1997 (per il quale può entrare in considerazione la recidiva). Ora, di regola, il giudice non è tenuto a precisare in termini matematici o percentuali il peso attribuito ai vari elementi considerati nella commisurazione della pena (sopra, consid. c). In alcuni casi, però, la giurisprudenza esige che il giudice indichi in termini chiari l'incidenza conferita a un fattore rilevante. Ravvisata – per esempio – una violazione del principio di celerità, il giudice è tenuto a spiegare in che modo e in che misura egli ha tenuto conto di ciò, specificando la pena che egli avrebbe inflitto senza la citata attenuante (DTF 117 IV 129). Identico principio vale anche nel caso in cui sia stata condotta un'inchiesta mascherata (DTF 118 IV 115 consid. 2). Rigore nella commisurazione della pena si impone altresì in caso di concorso retrospettivo, ove occorre prima fissare chiaramente la pena (teorica) addizionale dipendente dal reato o dai reati commessi prima dell'originaria condanna, e poi determinare l'aumento della pena per tenere conto dei reati commessi in seguito (DTF 118 IV 121 consid. 2c). Il giudice deve procedere analogamente qualora consideri più grave il reato successivo alla prima condanna: quantificata la pena per tale illecito, egli ne determinerà l'aumento per tenere conto del reato commesso in precedenza (118 IV 121 con riferimento a DTF 116 IV 17 consid. 2b). Solo in tal modo l'autorità di ricorso potrà determinarsi sulla corretta applicazione dell'art. 68 n. 2 CP (CCRP, sentenza dell11 settembre 1996 in re A., consid. 2b/bb).
f)
In concreto la prima Corte si è limitata a fissare la durata complessiva della pena determinata in base all'art. 68 n. 1 cpv. 1 e 2 CP, senza precisare in che misura la sanzione si riferisca all'applicazione dell'art. 68 n. 2 CP e ai reati che il soggetto ha commesso prima della sentenza 6 dicembre 1996. Tanto meno essa ha stabilito se i reati più gravi siano stati commessi prima o dopo tale condanna. Nella prima ipotesi essa avrebbe dovuto stabilire anzitutto la pena (addizionale) per tali reati e aggiungere in seguito la pena per le nuove infrazioni. Nella seconda, per contro, la pena che ne scaturiva sarebbe servita come base per la determinazione della pena complessiva e avrebbe dovuto essere cumulata con quella per i reati anteriori (DTF 116 IV 17). Né la Corte ha spiegato se la pena di 2 anni e 6 mesi fissata per la violazione aggravata della legge federale sugli stupefacenti (sentenza, pag. 55 in fondo) si riferisse (solo) al quantitativo di cocaina spacciato dopo la condanna del 6 dicembre 1996, segnatamente dopo la liberazione condizionale del 30 settembre 1997 – come potrebbe sembrare dal riferimento alla recidiva (sentenza, loc. cit.) – o anche al traffico messo in atto prima della citata condanna. Ne segue che i primi giudici non hanno rispettato i requisiti di motivazione della pena in caso di concorso reale retrospettivo e simultaneo (DTF 118 IV 121 consid. 2c). Rimane da verificare se la Corte di cassazione e di revisione penale sia in grado di integrare essa medesima la motivazione o se debba rinviare la sentenza impugnata ai primi giudici perché sanino il difetto (art. 296 cpv. 2 CPP).
g)
Il reato più grave commesso dal ricorrente è quello di violazione aggravata della legge federale sugli stupefacenti, punibile con una pena fino a 20 anni di reclusione (art. 19 LStup). L'imputato è infatti stato ritenuto colpevole (oltre che di pornografia, punibile con la detenzione fino a tre anni, e di altri reati minori) di un traffico di 482 g di cocaina con un profitto illecito di almeno fr. 30'0000.–. Tale attività criminosa è durata però dal 1995 al 1997; fino al suo primo arresto, e quindi fino alla sentenza 6 dicembre 1996 del Tribunale distrettuale di Unterrheintal Alstätten, il ricorrente ha venduto, rispettivamente trattato complessivamente 270 g di cocaina (punti 1.2.1.,1.2.2, 1.2.3, 1.2.4 dell'atto di accusa); successivamente egli ha trafficato altri 212 g di tale sostanza (punti 1.2.6, 1.2.7,1.2.8 dell'atto di accusa). Se dal profilo prettamente oggettivo più gravi sembrerebbero essere le infrazioni commesse prima della citata sentenza (spaccio di un maggior quantitativo di cocaina di migliore qualità; v. sentenza, pag. 37; v. anche sentenza 6 dicembre 1996 del Tribunale distrettuale di Unterrheintal Alstätten, act. 129, pag. 43 e 44), dal profilo soggettivo la posizione del ricorrente risulta sicuramente più compromessa per la successiva attività. Pur avendo spacciato o tentato di spacciare quantità minori di droga di qualità verosimilmente inferiore (sentenza, pag. 37), egli ha delinquito come recidivo specifico (art. 67 CP) e per di più durante la liberazione condizionale conseguente alla condanna a 2 anni di detenzione per reati analoghi. Più grave appare quindi il reato compiuto in quel periodo.
Ciò posto, parrebbe doversi determinare prima la pena (base) per lo spaccio di cocaina successivo alla sentenza del 6 dicembre 1996 e fissare poi l'aumento della medesima tenendo conto di quella – teoricamente addizionale – riguardante il traffico di droga anteriore. Non bisogna dimenticare però che il ricorrente è stato ritenuto colpevole anche di pornografia, reato cominciato nel 1994 e protrattosi fino all'arresto nel Lussemburgo (dicembre 1997). La sentenza impugnata non accerta partitamente i periodi in cui l'accusato ha importato, tenuto in deposito, propagandato, offerto il materiale pornografico sequestrato. Come detto, essa si limita a constatare che tale attività ha avuto inizio dal 1994. Ora, il sequestro del materiale e delle apparecchiature destinate alla riproduzione di videocassette è avvenuto nel 1998, dopo cioè la condanna del dicembre del 1996. Certo, gli oggetti si trovavano a Chiasso da tempo, ma ciò non toglie che gli illeciti più qualificanti, destinati alla diffusione e alla messa in circolazione di pornografia "dura" siano stati commessi (anche) dopo la citata condanna. Nella prospettiva degli art. 68 n. 1 cpv. 1 e 68 n. 2 CP non è quindi fuori luogo considerare più gravi i reati di pornografia commessi dopo la sentenza del 6 dicembre 1996, o tutt'al più attribuire la medesima portata sia ai reati commessi prima, sia quelli commessi dopo. Se ne conclude che il ricorrente ha compiuto i reati più gravi (violazione aggravata delle legge federale sugli stupefacenti e pornografia) dopo la predetta condanna. Poco o nulla incidono invece, nella ponderazione, la ripetuta violazione del bando (compiuta ad ogni modo nel 1997), la falsità in certificati (compiuta a partire dal 1994) e la ripetuta infrazione alla LDDS (compiuta tra il 1994 e il 1997).
h)
Per la sola violazione aggravata della legge federale sugli stupefacenti successiva al 6 dicembre 1996 (traffico di 212 g di cocaina per scopo di lucro) il ricorrente – recidivo specifico – avrebbe senz'altro potuto aspettarsi, nell'ipotesi a lui più favorevole (ossia tenendo conto anche della qualità meno buona della droga rispetto al passato: DTF 122 IV 301 consid. 2c) una pena non inferiore ai 2 anni e 4 mesi (28 mesi) di reclusione. Basti ricordare che per avere trattato complessivamente 200 g di cocaina pura al 50%, ovvero 100 g di prodotto puro (l'imputato aveva addirittura quantificato il grado di purezza tra il 70 e l'80%) egli era stato condannato il 6 dicembre 1996 a 2 anni di detenzione (act. 129, pag. 43 e 44). Per la parte più consistente e rilevante del reato di pornografia e per i reati di ripetuta violazione del bando, come pure per falsità in certificati e ripetuta infrazione alla legge federale sul domicilio e la dimora degli stranieri, nella misura in cui essi sono stati perpetrati dopo la citata sentenza, un aumento di pena di circa 10 mesi giusta l'art. 68 cpv. 1 CP sarebbe rientrato nel legittimo potere di apprezzamento dei giudici del merito. Donde una pena di circa 38 mesi (28 mesi circa più 10 mesi circa). Per giungere alla pena complessiva stabilita dai primi giudici (4 anni di reclusione) rimangono all'incirca 10 mesi di reclusione. Considerati i reati compiuti prima del 6 dicembre 1996, in particolare la violazione aggravata della legge federale sugli stupefacenti (vendita di ulteriori 270 g di cocaina di buona qualità: sentenza, pag. 55) e – in misura minore – quelli di pornografia, falsità in certificati e infrazione alla legge federale sul domicilio e la dimora degli stranieri, compiuti per l'appunto prima del 6 dicembre 1996, una pena addizionale di 10 mesi circa a quella di 2 anni di detenzione stabilita dal Tribunale distrettuale di Unterheintal Alstätten (e pertanto a quella di 38 mesi circa di reclusione fissata ex art. 68 n. 1 cpv. 1 CP) non avrebbe sicuramente ecceduto il potere discrezionale della prima Corte. Non vi è dunque motivo perché la Corte di cassazione e di revisione penale rinvii la causa in prima sede.
18.
Il ricorrente chiede la restituzione della somma di denaro e degli averi bancari sequestrati, facendo valere che non vi è prova che tali valori costituiscano il prodotto del guadagno illecito derivante dal traffico di droga e dalla messa in circolazione di pornografico. Egli trascura però che il provvedimento in questione è stato ordinato a norma dell'art. 59 n. 2 cpv. 3 CP in garanzia del risarcimento compensatorio dovuto allo Stato per l'indebito profitto di fr. 15'000.– conseguito nel traffico di droga (sentenza, pag. 57 e 58). La sua motivazione cade dunque nel vuoto. Infine il ricorrente chiede che si prescinda dal confiscare taluni oggetti (televisori, videoregistratori, videocamere, telefonini) che non hanno attinenza con i reati commessi. Già si è visto però che le apparecchiature tecniche sequestrate sono state usate, rispettivamente erano destinate a produrre e duplicare cassette di pornografia infantile (sentenza, consid. 4.2.3.3; v. anche pag. 57). La confisca di questi oggetti va pertanto esente da critiche. Per quanto riguarda il telefonino, la sentenza impugnata si limita a rilevare che anch'esso è servito per delinquere e potrebbe essere usato ancora a tale scopo (sentenza, pag. 57). La laconicità di simile motivazione può invero destare interrogativi, ma il ricorrente non spiega perché tale accertamento sarebbe manifestamente insostenibile (con particolare riferimento ai reati di droga). Anche su questo punto la sentenza impugnata sfugge pertanto alla critica.
19.
Gli oneri processuali del giudizio odierno seguono la soccombenza (art. 9 cpv. 1 e 15 cpv. 1 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 1,999 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
80d35298-2ba8-567b-bd67-0feb59a5fd76
|
in fatto: A.
Da marzo 2004 RI 1 ha lavorato in qualità di sostituto del gerente presso il _.
Nel giugno 2005 egli, pur continuando l’attività presso il ristorante _, ha assunto la gerenza del motel _.
B.
Il 31 agosto 2006, nel corso di un’ispezione del motel, la polizia cantonale ha riscontrato la presenza di sedici donne straniere dedite alla prostituzione, ancorché sprovviste del regolare permesso di lavoro.
C.
Con decreto d’accusa 30 ottobre 2006, il sostituto procuratore pubblico ha dichiarato RI 1 autore colpevole di infrazione alla Legge federale sulla dimora e il domicilio degli stranieri per avere favorito il soggiorno di almeno 16 cittadine straniere, mettendo loro a disposizione come alloggio le camere del Motel _ previo pagamento di fr. 130.- al giorno (art. 23 cpv. 1 LDDS) e di contravvenzione alla citata legge federale per avere, sempre nella sua qualità di gerente, impiegato un imprecisato numero di cittadine straniere non autorizzate a lavorare in Svizzera, mettendo loro a disposizione un alloggio previo pagamento di fr. 130.- giornalieri (art. 24 cpv. 4 LDDS).
In applicazione della pena, il sostituto procuratore pubblico ha proposto la condanna di RI 1 a 90 giorni di detenzione sospesi condizionalmente per un periodo di prova di 2 anni e alla multa di fr. 3’000.-.
D.
Facendo seguito all’opposizione interposta dal prevenuto al decreto d’accusa, con sentenza 19 aprile 2007, il presidente della Pretura penale ha assolto RI 1 dall’imputazione di infrazione alla LDDS mentre lo ha dichiarato autore colpevole di contravvenzione a tale legge, condannandolo alla multa di fr. 3’000.-.
E.
Statuendo sui ricorsi del prevenuto e del sostituto procuratore pubblico, con sentenza 16 settembre 2008, la CCRP ha annullato i dispositivi di condanna, rispettivamente di assoluzione di RI 1, dichiarandolo autore colpevole di infrazione all’art. 23 cpv. 1 LDDS, prosciogliendolo dall’imputazione di contravvenzione all’art. 23 cpv. 4 LDDS e rinviando gli atti alla Pretura penale per un nuovo giudizio sulla commisurazione della pena e sulle spese di prima sede (cfr. CCRP inc. n. 17.2007.28/29).
F.
Il Tribunale federale, con sentenza 11 giugno 2009, ha dichiarato inammissibile il ricorso interposto da RI 1 avverso il giudizio della CCRP, ritenuto come lo stesso non rappresenti una decisione finale né una decisone parziale ed, in ogni caso, difettando i requisiti per impugnare una decisione pregiudiziale o incidentale.
G.
Con sentenza 27 luglio 2009, pertanto, la giudice supplente della Pretura penale ha proceduto ad una nuova commisurazione della pena, condannando RI 1 alla pena pecuniaria – sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni – di fr. 10'800.- (corrispondente a 90 aliquote giornaliere di
fr. 120.-), alla multa di fr. 1000.- (da sostituire, in caso di mancato pagamento, con una pena detentiva sostitutiva di 8 giorni) nonché al pagamento delle tasse e spese giudiziarie di complessivi fr. 700.-.
H.
Avverso la predetta sentenza è insorto il condannato con dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e revisione penale di data 20 aprile 2007.
RI 1, nella sua motivazione scritta, presentata il 7 settembre 2009, chiede, in via principale, di essere prosciolto dal reato ascrittogli, in via subordinata, che gli atti siano ritornati alla Pretura penale affinché provveda ad emanare un giudizio unico sulla colpevolezza e sulla pena e, in ulteriore subordine, che la pena pecuniaria inflittagli venga ridotta ad un massimo di 30 aliquote giornaliere di fr. 60.- cadauna.
Inoltre egli chiede che la tassa di giustizia di cui al punto 3. del dispositivo della sentenza impugnata sia ridotta a fr. 200.-.
I.
Con osservazioni 13 ottobre 2009, il procuratore pubblico si rimette integralmente al giudizio di questa Corte.
|
Considerato
in diritto: 1.
RI 1 lamenta, anzitutto, un vizio essenziale di procedura giusta l’art. 288 lit. b CPP.
1.1.
In particolare il ricorrente sostiene che il giudice della Pretura penale, in ragione della sentenza del Tribunale federale dell’11 giugno 2009, avrebbe dovuto emanare una
“decisione completa, ovvero un giudizio che statuisse sia sulla colpevolezza dell’accusato che sulla pena”
e non dare seguito pedissequamente alle istruzioni della CCRP
,
limitandosi a giudicare della pena da infliggere. A detta di RI 1 la situazione per cui ad ora si è in presenza di una decisione della CCRP che statuisce sulla colpevolezza, modificando la pregressa decisione pretorile, e una decisione della Pretura penale che decide in merito alla pena, vìola la giurisprudenza federale,
“in quanto ancora una volta, il giudizio sulla pena è stato dissociato dal giudizio sulla colpevolezza”
.
Il ricorrente osserva, ancora, come nell’ambito del dibattimento, la giudice supplente della Pretura penale non gli ha concesso la possibilità di presentare delle osservazioni relative al merito del reato
“in quanto a mente della medesima tale questione era già stata decisa definitivamente”
, ciò che in realtà - ritiene RI 1 -
“non è affatto il caso”
.
A detta del ricorrente, pertanto, già solo a causa dell’assenza di una decisione che statuisca contemporaneamente sulla colpevolezza e sulla pena,
“la decisione della Pretura penale deve essere annullata e l’incarto ritornato al giudice di prime cure per un nuovo giudizio”
(ricorso, pag. 5-6).
1.2.
Secondo l’art. 296 CPP, la Corte di cassazione riforma la sentenza quando ha sufficienti elementi per il giudizio. In caso contrario rinvia la causa alla competente Corte del merito. In quest’ultimo caso, l’autorità chiamata a giudicare nuovamente deve porre a fondamento della propria decisione i considerandi di diritto della sentenza di cassazione (cfr. per analogia la procedura valida per il Tribunale federale:
mutatis mutandis
art. 273
ter
vPP che mantiene la sua validità anche sotto l’egida della nuova LTF, cfr. messaggio concernente la revisione totale dell’organizzazione giudiziaria federale del 28 febbraio 2001, FF 2001 3901; cfr. anche CCRP sentenza del 19 aprile 2010, inc. 17.2010.8 consid. 1).
In concreto, la giudice supplente della Pretura penale era dunque tenuta a conformarsi a quanto stabilito da questa Corte con decisione 16 settembre 2008 in merito alla colpevolezza del ricorrente e ad emettere un nuovo giudizio unicamente sulla commisurazione della pena e sulle spese di prima sede (cfr. inc. 17.2007.28/29, dispositivo).
È dunque a torto che il ricorrente, appellandosi peraltro ad una giurisprudenza inesistente, pretende che la giudice supplente della Pretura penale dovesse statuire contemporaneamente sulla sua colpevolezza e sulla sua pena.
A prescindere dalla questione di sapere se il preteso vizio procedurale è stato eccepito
“non appena possibile”
(cfr. art. 288 lit. b CPP), il ricorso deve, qui, pertanto essere disatteso.
2.
Il ricorrente si diffonde, poi, in una lunga serie di considerazioni con le quali intende contestare il giudizio di colpevolezza operato da questa Corte nella sua decisione 16 settembre 2008 (ricorso, pag. 6-14). Sennonché egli, così argomentando, omette di considerare che, come visto al considerando precedente, la sentenza del giudice della Pretura penale impugnata verteva (e doveva vertere) unicamente sulla commisurazione della pena e sulle spese di prima sede e che, dunque, solo questi aspetti potevano essere fatti oggetto della presente procedura di ricorso.
Ne discende che le censure del ricorrente relative all’applicazione, da parte di questa Corte, dell’art. 23 cpv. 1 LDDS, devono essere dichiarate irricevibili.
Se del caso, esse potranno essere ripresentate al Tribunale federale dopo l’emanazione del presente giudizio (art. 93 cpv. 3 LTF).
3. RI 1
contesta, inoltre, il nuovo giudizio della giudice supplente della Pretura penale sulla commisurazione della pena pecuniaria.
3.1.
Commisurando la pena da infliggere a RI 1, la giudice supplente ha, dapprima, rilevato che la colpa del ricorrente “
va considerata grave, alla luce della sua posizione di garante legata alla sua attività di gerente del locale pubblico in questione
”. In questa sua attività - continua il primo giudice - “
egli ha violato gli obblighi di garantire l’igiene, l’ordine, la quiete e il buon costume dell’esercizio pubblico e delle immediate vicinanze, omettendo di notificare alle autorità il fatto che persone straniere, che lui sapeva o doveva presumere essere sprovviste della necessaria autorizzazione, vi esercitavano un’attività lucrativa (art. 53 cpv. 1 LEP e 89 RLE)
”.
Quale ulteriore fattore a sostegno del suo giudizio di grave colpa, il primo giudice ha, poi, ritenuto la violazione da parte del ricorrente della legislazione sugli esercizi pubblici, in particolare dell’art. 82 RLE secondo cui “
il gerente svolge la propria attività a tempo pieno, in un unico esercizio, in proprio o per conto del gestore
”. A detta del primo giudice, la violazione è stata commessa poiché RI 1, contemporaneamente all’attività di gerente al Motel _, esercitava la sua professione di sostituto gerente presso il Ristorante _ e, pertanto, “
non era presente sul posto di lavoro, se non un paio di ore ogni due o tre giorni”, non essendo di conseguenza in misura di ossequiare gli obblighi citati e posti a fondamento della sua posizione di garante
”.
La giudice supplente ha inoltre considerato, quali aggravanti, il fatto che il ricorrente ha agito per scopo di lucro (conseguendo, oltre al salario percepito da _, un reddito aggiuntivo di fr. 3'000.-), la circostanza per cui l’attività di gerente del motel – e dunque il reato – è stato reiterato per un lungo periodo (un anno e due mesi) e il fatto che RI 1 sapesse che la struttura era adibita a postribolo, avendo egli regolarmente notificato la presenza delle ragazze ospiti del suo locale.
Il primo giudice ha, poi, osservato che il fatto che il ricorrente abbia ottenuto il certificato di gerente negli anni ottanta non può costituire un’attenuante, “
non potendo e dovendo egli esimersi dall’aggiornarsi ed informarsi su ciò che la sua attività comportava
”.
Ciò precisato, la giudice supplente della Pretura penale, dopo aver ancora ritenuto l’incensuratezza del prevenuto, ha concluso che la pena di 90 aliquote giornaliere proposte dal procuratore pubblico “
appare adeguata e merita qui conferma, unitamente alla sospensione condizionale della stessa per il periodo di due anni
” (sentenza, consid. 6 pag. 5-6).
3.2.
Sulla commisurazione della pena, il ricorrente rileva innanzitutto che “
la giudice supplente ha commesso un errore concettuale, considerando la sua colpa più grave a causa della violazione del suo dovere di garante
”.
La violazione di un dovere di garante - spiega RI 1 - è, infatti, “
una condizione oggettiva del reato affinché sia possibile individuare una commissione per omissione (...). Considerare che l’aver realizzato una delle condizioni oggettive del reato costituisca un elemento della valutazione soggettiva della colpa è errato. La forchetta di pena prevista per il reato in questione già tiene conto della sua realizzazione oggettiva, pertanto gli elementi oggettivi del reato non vanno presi in considerazione nell’ambito della valutazione soggettiva della colpa del reo
” (ricorso, pag. 14-15 pto. 3.1-3.2).
A mente del ricorrente, poi, è a torto che il primo giudice ha ritenuto quale aggravante della colpa, la violazione da parte sua dell’art. 82 RLE che gli imponeva una presenza giornaliera nel motel. Come si evince chiaramente dalla sentenza 19 aprile 2007 - spiega RI 1 - per tale irregolarità, egli è già stato multato e, pertanto, il fatto che la stessa irregolarità contribuisca pure ad aggravare la pena per il reato in esame costituisce una “
doppia punizione
” che non può trovare giustificazione (ricorso, pag. 15 pto. 3.3).
Il ricorrente rileva, poi, che anche la considerazione della giudice supplente secondo cui egli ha agito a scopo di lucro è errata.
Al proposito, egli osserva di non aver guadagnato alcunché dall’aver fornito alloggio a persone esercitanti un’attività non autorizzata, ma di aver semplicemente percepito uno stipendio quale gerente di un esercizio pubblico, stipendio che, peraltro, avrebbe guadagnato anche se le sedicenti turiste non avessero alloggiato nel motel. “
Semmai qualcuno ha guadagnato qualche cosa
” - conclude il ricorrente - “
è al limite la società (ndr. della quale egli era dipendente) non il signor RI 1
”
(ricorso, pag. 15-16 pto. 3.4).
Il ricorrente ritiene, così, ingiustificato l’aggravio della pena stabilito dalla giudice supplente della Pretura penale e chiede che la stessa non ecceda le 30 aliquote giornaliere (ricorso, pag. 16 pto 3.6).
3.3.a.
Giusta l’art. 34 cpv. 1 CP il giudice stabilisce il numero delle aliquote giornaliere commisurandolo alla colpevolezza dell’autore.
Nella commisurazione della pena (art. 47 CP; art. 63 vCP) il giudice di merito fruisce di ampia autonomia. La Corte di cassazione e di revisione penale interviene solo - come il Tribunale federale - ove la sanzione si ponga al di fuori del quadro edittale, si fondi su criteri estranei all’art. 47 CP, disattenda elementi di valutazione prescritti da quest’ultima norma oppure appaia esageratamente severa o esageratamente mite, al punto da denotare eccesso o abuso del potere di apprezzamento (DTF 129 IV 6 consid. 6.1 pag. 21 segg. e riferimenti, 128 IV 73 consid. 3b pag. 77, 127 IV 10 consid. 2 pag. 19).
Quanto ai criteri determinanti per commisurare la pena, la gravità della colpa è, come lo era sotto l’egida del vecchio diritto (art. 63 vCP), fondamentale. L’art. 47 cpv. 1 CP stabilisce esplicitamente, del resto, che il giudice commisura la pena alla colpa dell’autore tenendo conto della vita anteriore e delle condizioni personali di lui, nonché dell’effetto che la pena avrà sulla sua vita.
Secondo l’art. 47 cpv. 2 CP la colpa è determinata secondo il grado di lesione o esposizione a pericolo del bene giuridico offeso, secondo la reprensibilità dell’offesa, i moventi e gli obiettivi perseguiti, nonché tenuto conto delle circostanze interne ed esterne, secondo la possibilità che l’autore aveva di evitare l’esposizione a pericolo o la lesione.
La norma riprende,
mutatis mutandis
, la giurisprudenza relativa all’art. 63 vCP (Stratenwerth/Wohlers, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Handkommentar, Berna 2007, ad art. 47 CP n. 4) secondo cui per valutare la gravità della colpa entrano in considerazione svariati fattori: le circostanze che hanno indotto il soggetto ad agire, il movente, l’intensità del proposito (determinazione) o la gravità della negligenza, il risultato ottenuto, l’eventuale assenza di scrupoli, il modo di esecuzione del reato, l’entità del pregiudizio arrecato volontariamente, la durata o la reiterazione dell’illecito, il ruolo avuto in seno a una banda, la recidiva, le difficoltà personali o psicologiche, il comportamento tenuto dopo il reato (collaborazione, pentimento, volontà di emendamento; DTF 129 IV 6 consid. 6.1 pag. 20, 124 IV 44 consid. 2d pag. 47 con rinvio a DTF 117 IV 112 consid. 1 pag. 113 e 116 IV 288 consid. 2 pag. 289).
Vanno inoltre considerati - sempre secondo la citata giurisprudenza - la situazione familiare e professionale dell’autore, l’educazione da lui ricevuta e la formazione seguita, l’integrazione sociale, gli eventuali precedenti penali e la reputazione in genere (DTF 124 IV 44 consid. 2d pag. 47 con rinvio a DTF 117 IV 112 consid. 1 pag. 113 e 116 IV 288 consid. 2a pag. 289).
b.
Secondo il principio del divieto della doppia presa in considerazione (
Verbot der Doppelverwertung
), le circostanze che portano all’aumento o alla diminuzione del quadro della pena, non possono essere considerate anche come attenuanti od aggravanti nell’ambito del quadro modificato della pena. In caso contrario, infatti, il ricorrente si troverebbe gravato o beneficiato due volte dalla stessa circostanza, ciò che porterebbe a un risultato insostenibile (STF del 6 giugno 2007 6S.44/2007 consid. 4.3.2; DTF 120 IV 69 consid. 2b; 118 IV 342 consid. 2b; Wiprächtiger, Basler Kommentar, Strafgesetzbuch I, 2a edizione, Basilea 2007 ad art. 47 CP n. 77; Trechsel, Schweizerisches Strafgesetzbuch, San Gallo 2008, ad art. 47 CP n. 27).
Al giudice che, ad esempio nell’ambito di un furto, ammette l’associazione dell’autore ad una banda, non è permesso, commisurando la pena, ponderare nuovamente tale circostanza a sfavore dell’imputato. Con l’aggravio del quadro della pena, infatti, l’associazione dell’autore ad una banda è già stata presa in considerazione (DTF 72 IV 114).
Lo stesso principio vale per la doppia presa in considerazione dei presupposti del reato. Al proposito, il Tribunale federale, con riferimento al diritto e alla dottrina tedesca, ha osservato che le circostanze che costituiscono degli elementi costitutivi del reato, non possono essere considerati anche per la commisurazione della pena nell’ambito del quadro modificato della stessa ritenuto che essi sono già stati utilizzati per la definizione del reato e, di conseguenza, per la definizione del nuovo quadro della pena (cfr. STF del 6 giugno 2007 6S.44/2007 consid. 4.3.2, STF non pubblicata 6S.84/1998 consid. 8a).
3.4.
Ora, come giustamente osservato dal ricorrente, il fatto che RI 1 avesse una posizione di garante costituisce un presupposto oggettivo del reato e non può, dunque, essere ritenuto quale aggravante della sua colpa, in virtù del divieto della doppia presa in considerazione. Ne discende che il primo giudice,
rilevando che la colpa di RI 1 va considerata grave
“alla luce della sua posizione di garante legata alla sua attività di gerente del locale pubblico in questione”
, ha violato l’art. 47 CP.
Questa Corte non comprende, poi, per quale motivo il primo giudice abbia ritenuto quale fattore aggravante la colpa del ricorrente il fatto che egli ha infranto l’art. 82 RLE: si tratta, infatti, di una questione di natura amministrativa che non ha nessuna attinenza con il reato per il quale il ricorrente è stato punito e che, dunque, non può, in questa sede, essere chiamata ad aggravarne la colpa.
Neppure si può seguire il primo giudice quando ritiene, quale ulteriore aggravante, il fatto che il ricorrente ha agito per scopo di lucro. In realtà la corresponsione dei fr. 3'000.- mensili rappresenta il salario fisso dovuto a RI 1 dalla società di cui egli era dipendente (cfr. AI 1, verbale d’interrogatorio RI 1 del 12 ottobre 2006, pag. 1) e non il provento di un’attività illegale, quale sarebbe stata, ad esempio, una ricompensa da parte delle prostitute o di terzi per l’omissione della loro notifica all’autorità.
Ciò posto e considerato che le ulteriori aggravanti ritenute dal primo giudice – ovvero la durata del reato (un anno e due mesi) e la circostanza per cui il ricorrente sapeva che il motel era adibito a postribolo - non permettono di considerare particolarmente grave la colpa del ricorrente, questa Corte ritiene adeguata sia alla gravità oggettiva del reato che alle circostanze personali dell’autore la pena pecuniaria di 45 aliquote giornaliere.
Non essendovi elementi che impongano la formulazione di una prognosi negativa, la pena è sospesa condizionalmente per il periodo di prova di due anni.
Su questo punto, pertanto, il ricorso merita accoglimento.
4.
Il ricorrente contesta, altresì, l’ammontare delle aliquote giornaliere fissate nella sentenza impugnata.
4.1.
Al proposito, la giudice supplente della Pretura ha osservato che l’ammontare dell’aliquota giornaliera va adeguata alla situazione economica al momento della decisione e che, dunque, in considerazione della situazione patrimoniale agli atti (in particolare della dichiarazione fiscale 2007) la stessa deve essere quantificata in fr. 120.- (sentenza, consid. 6 pag. 6).
4.2.
RI 1 sostiene di avere un’eccedenza mensile
“non superiore ai fr. 1'000.- e un salario di poco superiore ai fr. 4'000.-”,
ciò che - a suo parere - non permette certo di pronunciare delle aliquote giornaliere superiori alla media di fr. 100.- al giorno. Egli, pertanto, ritiene che il primo giudice ha abusato del suo potere di apprezzamento infliggendogli aliquote giornaliere tanto elevate e postula la riduzione delle stesse all’importo di fr. 60.- (ricorso, pag. 16).
4.3.a.
Giusta l’art. 34 cpv. 2 CP un’aliquota giornaliera ammonta al massimo a fr. 3'000.-. Il giudice ne fissa l’importo secondo la situazione personale ed economica dell’autore al momento della pronuncia della sentenza, tenendo segnatamente conto del suo reddito e della sua sostanza, del suo tenore di vita, dei suoi obblighi famigliari e assistenziali e del minimo vitale.
b.
Anche nella determinazione dell’aliquota giornaliera il giudice del merito fruisce di ampia autonomia. Anche in questo ambito, dunque, la Corte di cassazione e di revisione penale interviene solo - come il Tribunale federale - ove la fissazione dell’ammontare disattenda i criteri di valutazione prescritti dall’art. 34 CP, oppure appaia esageratamente severa o esageratamente mite, al punto da denotare eccesso o abuso del potere di apprezzamento (cfr. DTF 134 IV 7; STF 30 giugno 2009 6B_760/2008 consid. 2.2).
c.
Il Tribunale federale, in alcune sue recenti decisioni (cfr. STF 11 gennaio 2010 6B_845/2009 consid. 1, STF 13 maggio 2008 6B_541/2007 consid. 6.4, DTF 134 IV 60 consid. 6), ha precisato che l’ammontare delle aliquote giornaliere deve essere fissato partendo dal reddito dell’autore definito su scala giornaliera.
Vanno, qui, considerati tutti i redditi percepiti, indipendentemente dalla loro origine poiché determinante è la capacità economica dell’autore di fornire una prestazione.
Ai fini della commisurazione dell’aliquota giornaliera vanno, perciò, considerati, oltre ai redditi derivanti da attività lucrative dipendenti o indipendenti, in particolare anche i redditi derivanti dalla sostanza (affitti, interessi di capitali, dividendi), gli eventuali contributi di mantenimento di diritto pubblico o privato, le prestazioni sociali e i redditi in natura.
La determinazione del reddito può, di regola, essere effettuata sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione fiscale. Tuttavia, ritenuto che la nozione penale di reddito non coincide con quella del diritto fiscale, in caso di redditi oscillanti o variabili (per esempio, per le persone con attività indipendente), il giudice deve considerare una media rappresentativa degli ultimi anni, fermo restando il principio secondo cui la capacità economica dell’interessato deve, comunque, essere stabilita nel modo più preciso, rigoroso ed attuale possibile, tenendo di principio conto del momento in cui la pena pecuniaria dovrà essere pagata. Di conseguenza, gli aumenti e le diminuzioni prevedibili del reddito devono essere presi in considerazione soltanto nella misura in cui sono concreti ed imminenti (STF13.5.2008 6B_541/2007).
Qualora il reddito dell’autore sia inferiore a quello che egli potrebbe ragionevolmente realizzare o al quale egli avrebbe diritto (per esempio, in forza degli art. 164 o 165 CC), occorre considerare il reddito potenziale, cioè il reddito ragionevolmente esigibile.
Riguardo alla menzione fatta dal legislatore alla sostanza quale criterio di valutazione, il TF ha precisato che, vista la ratio della pena pecuniaria, nel caso di un autore colpevole che sovviene alle sue necessità con i suoi redditi correnti (siano essi derivanti dal lavoro, dalla sostanza o da rendite), l’aliquota giornaliera deve essere commisurata in base a tali redditi, indipendentemente dall’esistenza o meno di una sostanza. La sostanza va, dunque, considerata nella determinazione dell’aliquota giornaliera soltanto a titolo sussidiario, in particolare quando una situazione patrimoniale particolare contrasta con un reddito, al confronto, basso. In altri termini, la sostanza diventa un elemento di valutazione pertinente quando l’autore trae esclusivamente da essa la sua sussistenza quotidiana, cioè, quando l’autore vive di essa (STF 13.5.2008 6B_541/2007).
Il tenore di vita fornisce al giudice un criterio supplementare, da utilizzare quando il reddito non può essere stabilito con esattezza o quando il reddito stabilito sulla scorta delle informazioni dell’autore contrasta con il suo tenore di vita, in particolare quando questo risulta manifestamente inadeguato al reddito dichiarato.
Il TF ha, poi, precisato che dal reddito definito secondo i criteri indicati sopra devono essere dedotti - purché effettivamente corrisposti - gli importi dovuti dall’autore a titolo di contributi di mantenimento o di assistenza ritenuto come i membri della famiglia dell’autore non debbano soffrire delle conseguenze di una pena pecuniaria inflitta all’obbligato. Il messaggio del CF prevede, a questo proposito, che il giudice penale tenga conto, per il calcolo di questi importi, dei principi del diritto di famiglia (Messaggio 1998, pag. 1825). Dal canto suo, la dottrina registra una prassi secondo cui vengono praticate delle deduzioni del 25% per il coniuge che non svolge attività lucrativa e del 10-15% per ogni figlio a carico a seconda del loro numero, della loro età e della loro formazione (cfr. Basler Kommentar, Strafrecht I, 2a edizione, Basilea 2007, ad. art. 34 n. 73).
Inoltre, dal reddito va dedotto ciò di cui l’autore non fruisce economicamente, e meglio da esso vanno dedotti le imposte correnti, i contributi alle assicurazioni obbligatorie nonché le spese necessarie all’ottenimento del reddito, rispettivamente, per gli indipendenti, le spese di gestione tipiche del settore. La dottrina registra la prassi che vuole, anche in questo ambito, l’applicazione di deduzioni forfettarie del 20-30% a seconda dell’entità del reddito (Dolge, op. cit., ad. art. 34 n. 60).
Altri oneri finanziari - quali gli interessi ipotecari o le spese di alloggio - non possono di principio essere dedotti. Non possono essere considerati i debiti dell’autore (per esempio, rate per beni di consumo). Nemmeno possono essere presi in considerazione gli obblighi che sono conseguenza diretta o indiretta dei fatti per cui
l’autore è stato condannato (obbligo al risarcimento di danni morali e/o materiali, costi di patrocinio). Per contro, oneri finanziari straordinari possono essere considerati quando essi corrispondono a bisogni accresciuti derivanti da circostanze legate all’autore ma indipendenti dalla sua volontà.
Nelle sentenze citate, il TF ha, poi, precisato che, se il riferimento fatto dal legislatore al minimo vitale quale ultimo criterio di valutazione è poco chiaro, è possibile dedurre dai lavori preparatori che il minimo vitale di cui all’art. 34 cpv. 2 CP non corrisponde a quello del diritto esecutivo e che la parte impignorabile del reddito giusta l’art. 93 LEF non costituisce, qui, un limite assoluto. E questo perché - ha precisato il TF - se ci si dovesse basare sul minimo vitale definito dall’art. 93 LEF e definire l’importo dell’aliquota giornaliera soltanto su quanto eccede tale minimo vitale, allora una cerchia estesa della popolazione (persone in formazione, studenti, congiunti che si occupano dell’economia domestica, disoccupati, beneficiari dell’assistenza sociale, richiedenti d’asilo, etc.) sarebbe esclusa dalla pena pecuniaria, ciò che sarebbe contrario alla volontà del legislatore (cfr, al proposito, STF13.5.2008 6B_541/2007 consid. 5.1.).
Il reddito netto definito così come alle indicazioni di cui sopra costituisce, perciò, il punto di partenza per il calcolo dell’aliquota giornaliera anche per gli autori che vivono una precaria situazione economica anche se il riferimento al minimo vitale fatto dal legislatore permette, secondo quanto stabilito dal TF nelle sentenze già indicate, al giudice penale di apportare dei correttivi a tale principio stabilendo l’ammontare dell’aliquota giornaliera ad un livello sensibilmente inferiore in modo che, da un lato, la serietà della sanzione sia resa percettibile dalla diminuzione del tenore di vita e che, dall’altro, tale pregiudizio sia sopportabile avuto riguardo alla situazione economica e personale del condannato. Indicativamente, è adeguata, in particolare nei casi di condannati che vivono al di sotto o al limite della soglia del minimo vitale, una diminuzione del reddito indicativa di almeno il 50%.
Quando, poi, il numero delle aliquote giornaliere è considerevole - in particolare, quando supera le 90 - è indicata una diminuzione supplementare dal 10 al 30%, ritenuto che la costrizione economica del condannato cresce in proporzione della durata della pena (cfr. 6B_541/2007 consid. 6.4.7, STF del 30 giugno 2009 6B_760/2008 consid. 2 e 3).
Il TF ha, poi, avuto modo di precisare che, al di fuori dei casi in cui il condannato vive al di sotto o al limite della soglia del minimo vitale, è di principio esclusa una ponderazione verso l’alto o verso il basso dell’ammontare dell’aliquota giornaliera in considerazione dell’importo complessivo della pena pecuniaria ritenuto che il potere d’apprezzamento del giudice nella commisurazione della pena non si estende ad un controllo a posteriori di tale importo. Non è, perciò, in particolare ammissibile - poiché ciò svuoterebbe di senso il sistema scelto dal legislatore - aumentare l’importo dell’aliquota giornaliera per il motivo che l’importo complessivo della pena pecuniaria totale non appare adeguato al reato commesso (STF 13.5.2008 6B_541/2007).
d.
Giusta l’art. 50 CP, se la sentenza deve essere motivata, il giudice vi espone anche le circostanze rilevanti per la commisurazione della pena e la loro ponderazione. Questo significa che il giudice deve motivare la sentenza in modo che l'autorità di ricorso possa verificare il rispetto di tali criteri, siano essi a favore o a sfavore del condannato. Se è vero che non gli incombe di diffondersi necessariamente su ogni fattore, né di indicare in cifre o in percentuali l'importanza attribuita ai singoli elementi considerati nella commisurazione della pena, è anche e soprattutto vero che la sua motivazione deve essere tale da permettere all’autorità di ricorso di seguire il suo ragionamento
(
sentenza del Tribunale federale 6B.14/2007 del 17 aprile 2007, consid. 5.3;
Stratenwerth/Wohlers, op. cit., ad art. 50 CP n. 2).
4.4.
In concreto, il primo giudice si è limitato a rilevare che, in considerazione della situazione patrimoniale agli atti, l’ammontare dell’aliquota giornaliera deve essere quantificata in fr. 120.-.
È evidente che una tale conclusione pone dei problemi, in particolare laddove il primo giudice (aldilà della presa in considerazione dell’ultima notifica fiscale di RI 1 agli atti) non definisce in modo preciso i parametri in base ai quali ha determinato in fr. 120.- l’ammontare dell’aliquota giornaliera inflitta al ricorrente.
Ciò rilevato, si osserva che, in concreto, gli atti - e non la sentenza - permettono a questa Corte di concludere che il quantum stabilito dal primo giudice non disattende i criteri di valutazione prescritti dall’art. 34 CP, né costituisce un abuso o un eccesso di apprezzamento.
Infatti, dalla dichiarazione fiscale 2007 si evince come il reddito netto di RI 1 si attesti a fr. 5'167.- mensili e ritenuto che, così come risulta dagli atti, egli non ha obblighi di mantenimento e nemmeno beneficia di una sostanza o di un tenore di vita particolari, operate le deduzioni forfettarie indicate dal TF, non sarebbe contrario al diritto federale quantificare l’aliquota giornaliera a suo carico sino ad un importo di poco inferiore ai fr. 130.-.
Solo di transenna è il caso, poi, di osservare che anche partendo dall’importo dichiarato dallo stesso ricorrente in sede di dibattimento, ovvero
“da un reddito netto di fr. 4'600.- per tredici mensilità”
(cfr. verbale del dibattimento 27 luglio 2009, pag. 2) si giunge, operate le deduzioni forfettarie, ad un importo dell’aliquota giornaliera di ca. fr. 125.-.
Ne discende che il primo giudice, determinando l’ammontare dell’aliquota giornaliera in fr. 120.-, non ha violato il diritto federale.
Su questo punto, pertanto, il ricorso deve essere respinto.
5.
Il ricorrente, infine, contesta l’ammontare delle spese e della tassa di giustizia poste a suo carico dal primo giudice.
5.1.
Nella sentenza annullata da questa Corte, il primo giudice aveva fissato in fr 100.- le spese di giustizia e in fr 100.- la tassa di giustizia che, poi, è stata aumentata a fr. 500.- per “
l’importante lavoro e dispendio di tempo
” causato dalla motivazione scritta della sentenza (sentenza 19 aprile 2007, consid. 9, pag 7).
Nel nuovo giudizio – qui impugnato – il pretore ha mantenuto a fr 500.- la tassa di giustizia ma ha aumentato a fr. 200.- le spese a causa “
del rinvio degli atti e del nuovo odierno dibattimento”
(sentenza, consid. 7 pag. 6).
5.2.
RI 1 sostiene che la decisione del primo giudice di porre a suo carico una tassa di giustizia supplementare di fr. 400.- per la motivazione della sentenza appare assolutamente
“scioccante e immotivata”
e contrasta con gli art. 6 CEDU e 29 cpv. 2 Cost che prevedono il diritto ad essere assoggettati a decisioni motivate se del caso anche per iscritto, diritto che – spiega RI 1 –
“non può essere soggetto a tassa alcuna”.
A detta del ricorrente, poi, nemmeno l’aumento delle spese giudiziarie da fr. 100.- a fr. 200.- in ragione del maggior dispendio di tempo cagionato dal rinvio degli atti si giustifica, ritenuto come lo stesso sia dovuto alla
“pregressa errata decisione emanata dal Giudice di prime cure”
per cui - continua RI 1 -
“non si vede perché egli debba sopportare le conseguenze degli errori di giudizio di prima istanza”
.
Da quanto precede il ricorrente conclude che la sovrattassa di fr. 400.- per la motivazione scritta della sentenza deve essere annullata e che le spese giudiziarie devono, in ogni caso, essere ridotte a fr. 100.- (ricorso, pag. 16-17).
5.3.
Relativamente alla tassa aggiuntiva per la motivazione della sentenza, questa Corte, con sentenza 7 agosto 2009 (inc. 17.2008.38 consid. 4), ha già avuto modo di stabilire che, in assenza di una base legale che legittimi la riscossione di un tale emolumento, la decisione del giudice penale di aumentare la tassa di giustizia a posteriori, in funzione della necessità di motivare per iscritto la sentenza, vìola le norme di diritto cantonale.
Per quanto attiene, poi, ai costi causati dalla ripetizione del procedimento in seguito all’intervento dell’autorità di cassazione, si osserva che, di principio, gli stessi devono essere sopportati dallo Stato e non dall’accusato che non può essere ritenuto responsabile della ripetizione del processo (cfr. Hauser/Schweri/ Hartmann, Schweizerisches Strafprozessrecht, 6a edizione, Basilea 2005, § 108 n. 13; Schmid, Strafprozessrecht, 3a edizione, Zurigo 1997, § 66 n. 1204a; cfr. anche ZBJV 128 (1992) 229 secondo cui il ricorrente deve vedersi caricate le stesse spese che gli sarebbero state attribuite se il primo giudice avesse giudicato correttamente già in occasione del primo processo).
Da quanto precede discende che RI 1 deve essere liberato dalla tassa di fr. 400.- per la motivazione scritta della sentenza e dagli oneri relativi al nuovo giudizio della Pretura penale e gravato unicamente per un importo complessivo di fr. 200.-.
6.
Gli oneri del ricorso sono posti per 1/2 a carico del ricorrente e per il resto a carico dello Stato (art. 15 cpv. 1 in combinazione con l’art. 9 cpv. 1 CPP) che rifonderà a RI 1 fr. 500.- per ripetibili ridotte (art. 9 cpv. 6 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,010 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
80deee59-b9f4-5473-9593-164553b27944
|
in fatto: A.
Con decreto di accusa del 18 dicembre 2000 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autrice colpevole di aiuto al soggiorno illegale dei cittadini ucraini _ e _ compiuto nel maggio del 2000 e di falsità in certificati, realizzata mediante sostituzione della fotografia originale sul passaporto lituano di _ con una fotografia propria in una data imprecisata tra il 1999 e il 2000. Per tali reati egli l'ha condannata a 3 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente per 2 anni, e ha ordinato la confisca dei passaporti intestati a Ihor _ e _, come pure di varie fotocopie di passaporti rinvenute nel suo appartamento.
B.
Statuendo su opposizione, con sentenza del 2 ottobre 2001 il Pretore del Distretto di Lugano, sezione 4, ha dichiarato l'accusata autrice colpevole di aiuto al soggiorno illegale di _, prosciogliendola invece dalla medesima imputazione riferita a _, così come da quella di falsità in certificati. Riconoscendo nella fattispecie un caso poco grave nel senso dell'art. 23 cpv. 1 ultima frase LDDS, egli l'ha condannata a una multa di fr. 600.–. Il Pretore ha inoltre decretato la confisca del passaporto ucraino intestato a _, di quello lituano intestato ad _ e delle fotocopie varie di passaporti, oltre al sequestro per restituzione alla titolare o all'autorità estera del passaporto ucraino intestato a _.
C.
Contro il giudizio appena citato _ ha presentato il 5 ottobre 2001 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta del 6 novembre 2001 essa chiede il suo proscioglimento e la conseguente riforma della sentenza impugnata. Nelle sue osservazioni del 13 novembre 2001 il Procuratore pubblico propone di respingere il ricorso.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto, non destinato a rimettere in causa l'accertamento dei fatti o la valutazione delle prove (art. 288 cpv. 1 lett. a e 295 cpv. 1 CPP), sindacabili unicamente ove il giudizio impugnato denoti estremi di arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c CPP). Arbitrario non significa tuttavia opinabile o finanche erroneo, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo o in urto palese con il sentimento di giustizia ed equità (DTF 127 I 56 consid. 2b, 126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 124 I 316 consid. 5a, 123 I 5 consid. 4a, 121 I 114 consid. 3a, 120 Ia 40 consid. 4b). Per motivare una censura di arbitrio non basta quindi criticare la sentenza impugnata, né contrapporle una propria versione dei fatti, per quanto preferibile appaia. Occorre spiegare per quale ragione l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove siano manifestamente insostenibili, si trovino in chiaro contrasto con gli atti o contraddicano in modo urtante il sentimento di giustizia e dell'equità (DTF 125 II 10 consid. 34a, 124 IV 86 consid. 2a, 123 I 1 consid. 4a, 122 I 61 consid. 3a; nell'ambito dell'apprezzamento delle prove: DTF 127 I 41 consid. 2a).
2.
Il Pretore ha confermato l'accusa di violazione dell'art. 23 cpv. 1 LDDS, accertando che l'imputata aveva ospitato in casa propria la cittadina ucraina _– che sapeva soggiornare illegalmente – seppure per una notte e senza che quest'ultima avesse dormito presso di lei. Il primo giudice ha rilevato altresì che dell'ospite l'accusata aveva conservato il passaporto, necessario a costei per l'espatrio (consid. 5b). Dal momento che _ era rimasta presso la ricorrente solo per poco, egli ha ritenuto giustificata l'applicazione dell'art. 23 cpv. 1 ultima frase LDDS, ravvisando un caso poco grave (consid. 5c).
3.
La ricorrente sostiene di avere unicamente invitato a casa propria la cittadina straniera per alcune ore, senza metterle a disposizione un letto né offrirle un pasto, di modo che non può farsi questione di aiuto a soggiorno illegale, non essendo realizzata la fattispecie dell'art. 23 cpv. 1 LDDS. Soggiunge di avere sempre affermato di essere stata convinta che _ avesse un regolare permesso di soggiorno, pur non sapendo specificare di che genere. Argomentando in tal modo però la ricorrente si limita a riproporre la propria versione dei fatti. Il primo giudice ha accertato invece che costei è stata ospitata per una notte, beneficiando così di un'agevolazione al soggiorno illegale, anche se di durata minima, circostanza di cui il Pretore ha tenuto conto considerando il caso poco grave. E la ricorrente non sostanzia alcun arbitrio da parte del primo giudice. Per quanto concerne poi l'intenzionalità del suo agire, come ha accertato il Pretore la ricorrente medesima ha ammesso di essere stata consapevole che l'interessata non disponeva del visto (sentenza, consid. 5b e verbale 26 maggio 2000, pag. 11). Di conseguenza il ricorso, palesemente appellatorio, su questi punti si rivela irricevibile.
4.
La ricorrente afferma inoltre che il Pretore ha omesso di menzionare che, se una cittadina ucraina non può entrare in Svizzera senza visto (art. 3 e 4 lett. d OEnS), cittadini ucraini muniti di visto di Schengen rilasciato dalla Spagna, come _, possono accedere al territorio svizzero qualora essi siano provvisti di un altro permesso rilasciato dalla Spagna, segnatamente di uno di quelli elencati nella lista annessa al ricorso quale doc. B. L'istruttoria non avendo permesso di accertare se l'interessata fosse al beneficio di un simile permesso, in virtù del principio
in dubio pro reo
il primo giudice avrebbe dovuto assolverla. All'argomento non può essere dato seguito. E vero che al dibattimento l'accusata ha rilevato che non si può escludere che _ avesse un regolare permesso di soggiorno spagnolo (sentenza, pag. 2 in alto). Essa non ha però approfondito l'argomento e nemmeno ha chiesto al Pretore che un accertamento del genere fosse esperito; anzi, prima del dibattimento, ovvero con scritto del 17 agosto 2001 essa ha soltanto chiesto al Pretore di cumunicarle se presso le competenti autorità è risultato che _ era al beneficio di un'autorizzazione di soggiorno in Svizzera, ottenendo risposta negativa (v. scritto del 28 settembre 2001 della Sezione dei permessi e dell'immigrazione). D'altro canto nel proprio gravame la ricorrente non soltanto non fa valere una limitazione dei propri diritti di parte a seguito del modo con il quale è stata condotta l'istruttoria dibattimentale, ma nemmeno pretende che _ fosse realmente stata in possesso di un permesso spagnolo che le consentisse di accedere al territorio svizzero senza visto. A torto l'accusata richiama pertanto il principio
in dubio pro reo.
In effetti, il visto di Schengen rilasciato dall'ambasciata spagnola di Kiev (pag. 14 del passaporto di _) non permetteva un'entrata in Svizzera senza il necessario visto imposto dall'art. 3 OEnS.
5.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 e 6 cpv. 1 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,002 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
80e0fb6e-1012-511b-9ead-20fa981603e2
|
in fatto
a.
Con giudizio 31.03.2010 la Corte delle assise criminali ha riconosciuto RE 1 autore colpevole di ripetuti atti sessuali con fanciulli (consumati e tentati), atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere, somministrazione a fanciulli di sostanze pericolose per la salute, violazione della sfera segreta o privata mediante apparecchi di presa d'immagini, rappresentazione di atti di cruda violenza e ripetuta pornografia. Riconosciuta una scemata imputabilità di grado lieve (sulla scorta di un referto peritale giudiziario del 7.9.2009), l'ha quindi condannato alla pena detentiva di cinque anni
, a valere quale pena unica ai sensi dell’art. 46 cpv. 1 seconda frase e dell’art. 49 cpv. 2 CP.
La Corte di primo grado ha anche ordinato un trattamento ambulatoriale ex art. 63 CP, da eseguirsi già in espiazione di pena.
b.
La Corte di appello e di revisione penale, sedente quale Corte di cassazione e di revisione penale, con sentenza 17.01.2011, in parziale accoglimento del ricorso per cassazione presentato da RE 1, ha ricommisurato la pena detentiva inflitta a quest'ultimo dal giudice di prime cure riducendola a tre anni e sei mesi (inc. CCRP 17.2010.20). La sentenza è cresciuta in giudicato.
c.
Considerato il periodo di detenzione preventiva sofferto dal 18.02.2009 al 31.03.2010, il qui reclamante ha raggiunto il primo terzo dell'esecuzione della pena il 19.04.2010, la metà pena in data 18.11.2010 ed i 2/3, per la liberazione condizionale, il 18.06.2011. Il termine dell'espiazione della pena verrà a cadere il 17.08.2012.
d.
Il reclamante ha già goduto del primo congedo (in data 28.6.2011), del trasferimento in sezione aperta (dal 4.7.2011), e dal 21.11.2011 usufruisce del regime del lavoro esterno.
In data 16.6.2011, il giudice dei provvedimenti aveva rifiutato la liberazione condizionale: il successivo reclamo era stato respinto da questa Corte con sentenza del 13.7.2011 (inc. CRP _).
e.
Nella procedura che ha condotto alla decisione qui impugnata, il giudice dei provvedimenti coercitivi ha sentito il reclamante in data 21.12.2011, ed ha ricevuto i seguenti scritti: preavviso del 13.12.2011 dell’Ufficio di patronato favorevole ad un’ulteriore progressione nell’esecuzione della pena (alloggio esterno, “Electronic monitoring” o liberazione condizionale); preavviso negativo del 16.12.2011 della Direzione delle Strutture carcerarie, che valuta la liberazione condizionale prematura, non essendo ancora stata raggiunta la fase 5 del Piano di esecuzione (PES) con l’alloggio esterno o l’”Electronic monitoring”; il rapporto della psichiatra dell’11/16.1.2012.
f.
Con la decisione 10.2.2012 qui impugnata, il giudice dei provvedimenti coercitivi ha rifiutato la domanda di liberazione condizionale al reclamante.
Accertato un comportamento corretto durante l’esecuzione della pena e una buona condotta durante i congedi ed il regime di lavoro esterno, il giudice ha ritenuto che RE 1, in un contesto strutturato e con un alto controllo istituzionale (quale l’attuale) è in grado di comportarsi correttamente, a patto che sia sottoposto a trattamento terapeutico intensivo per la cura della sua cronica turba psichica. Ciò risulta anche dal rapporto 11/16.1.2012 della psichiatra, che evidenzia come RE 1 sia in grado di comportarsi in modo adeguato qualora la sua situazione sociale (affettiva, finanziaria e logistica) sia equilibrata.
Nella decisione il magistrato fa pure riferimento alla perizia psichiatrica giudiziaria del 7.9.2009, che indicava come i comportamenti antisociali (psicopatici) del peritando, che danneggiano il prossimo, sembrano emanare da un’incapacità di organizzare qualsiasi ambito della sua esistenza, tanto quello professionale quanto quello relazionale, finanziario e logistico.
Posti questi accertamenti, il magistrato ha ritenuto che il fatto, per il reclamante, di non disporre di un alloggio sia un elemento di precarietà non accettabile, in quanto non farebbe che riprodurre la situazione negativa che in passato l’ha portato a delinquere.
Il magistrato ha valutato quale precaria anche la situazione lavorativa del reclamante, così come il suo costante richiamo alla domanda AI pendente.
Questi elementi di precarietà, oltre ai precedenti e ai fatti avvenuti a _ (p. 37 perizia giudiziaria) non permettono di formulare una prognosi positiva.
In conclusione, il magistrato giudica meritevole di considerazione il preavviso della direzione delle Strutture carcerarie, che richiede prima il passaggio anche all’alloggio esterno.
g.
Nel proprio gravame, il reclamante ritiene inesatte e incomplete le considerazioni esposte al punto 7 della decisione impugnata. Riguardo all’alloggio, evidenzia che in assenza di una data della (possibile) scarcerazione, non può contrarre un contratto di locazione.
Contesta le considerazioni del magistrato sulla domanda di AI, allegando al gravame un certificato medico (che fa stato di un intervento al ginocchio sinistro nel 1980, di formicolii ad un braccio con ripercussioni professionali, di scogliosi grave con relativi dolori, di una trombosi venosa alla gamba sinistra del 2008 e una patologia di coagulazione del sangue).
Infine il reclamante fa riferimento al rapporto della psichiatra dell’11/16.1.2012, che sarebbe ripreso solo in parte nella decisione impugnata.
Conclude chiedendo che gli venga concessa la (liberazione) condizionale o, come ripiego, la possibilità di restare in sezione aperta.
|
in diritto
1.
1.1.
Il Codice di diritto processuale penale svizzero (Codice di procedura penale, CPP), in vigore dal 1°.01.2011, all'art. 439 cpv. 1 CPP lascia ai Cantoni la facoltà di designare le autorità competenti per l'esecuzione delle pene e delle misure e di stabilire la relativa procedura.
L'art. 10 cpv. 1 della Legge sull'esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti del 20.04.2010 (LEPM), entrata in vigore il 1°.01.2011, conferisce al giudice dell'applicazione della pena - funzione questa attribuita in Ticino dal 1°.01.2011 al nuovo giudice dei provvedimenti coercitivi giusta l'art. 73 LOG - la competenza, fra l'altro, di adottare le decisioni relative alla liberazione condizionale da una pena detentiva ex art. 86, 87 cpv. 1, 89 cpv. 3 e 95 cpv. 3-5 CP (lit. j).
Contro tali decisioni è data facoltà al condannato e al Ministero pubblico di interporre reclamo ai sensi degli art. 393 e seguenti CPP alla Corte dei reclami penali (art. 12 cpv. 1 lit. b LEPM).
1.2.
Con il reclamo ex art. 393 ss. CPP si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l'eccesso e l'abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l'accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e/o l'inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato entro 10 giorni (art. 396 cpv. 1 CPP) per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all'art. 390 CPP per la forma scritta ed all'art. 385 CPP per la motivazione.
La persona o l'autorità che lo interpone deve indicare, in particolare, i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP).
1.3.
Il gravame, inoltrato il 21/22.2.2012, contro la decisione 10.2.2012 del giudice dei provvedimenti coercitivi è quindi tempestivo.
Le esigenze di forma e motivazione del reclamo sono rispettate.
RE 1, quale condannato e destinatario della decisione impugnata, è pacificamente legittimato a reclamare giusta l'art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all'annullamento o alla modifica del giudizio.
Il reclamo è quindi, nelle predette circostanze, ricevibile in ordine.
2.
2.1.
L'art. 86 cpv. 1 CP stabilisce che quando il detenuto ha scontato i due terzi della pena, ma in ogni caso almeno tre mesi, l'autorità competente lo libera condizionalmente se il suo comportamento durante l'esecuzione della pena lo giustifica e non si debba presumere che commetterà nuovi crimini o delitti.
L'autorità competente esamina d'ufficio se il detenuto possa essere liberato condizionalmente. Chiede a tal fine una relazione alla direzione del penitenziario. Il detenuto deve essere sentito (art. 86 cpv. 2 CP). Se non concede la liberazione condizionale, l'autorità competente riesamina la questione almeno una volta all'anno (art. 86 cpv. 3 CP).
2.2.
La liberazione condizionale non costituisce né un diritto, né un favore, né un atto di clemenza o di grazia che il detenuto è libero di accettare o di rifiutare (DTF 101 Ib 452 cons. 1); esaminata d'ufficio, può, se del caso, essere disposta contro la volontà del detenuto, non presupponendo l'accordo di quest'ultimo (S. TRECHSEL, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Praxiskommentar, art. 86 n. 12; CR CP I - A. KUHN, art. 86 n. 16).
Si tratta di una modalità d'esecuzione della pena detentiva, ossia della quarta ed ultima fase del regime progressivo d'espiazione della condanna, precedente la liberazione definitiva. Come tale essa costituisce la regola da cui conviene scostarsi solo se sussistono valide ragioni per ritenere che essa non sarà efficace. Ove l'autorità vi si discosti, è tenuta ad indicare i motivi che giustificano la sua decisione (DTF 133 IV 201 cons. 2.3; 124 IV 193 cons. 4d; 119 IV 5 cons. 2; PRA 6/2000, p. 534).
2.3.
Dal punto di vista sostanziale, l'art. 86 cpv. 1-3 CP non si differenzia molto dal precedente art. 38 vCP (rimasto in vigore sino al 31.12.2006): in tal senso si esprime il Messaggio del CF del 21.9.1998 (pubblicato in FF 1999 p. 1669 ss, p. 1800-1802).
Con il nuovo art. 86 cpv. 1 CP ci sono state tuttavia due modifiche.
Anzitutto se l’art. 38 cpv. 1 vCP era potestativo, l’art. 86 cpv. 1 CP prevede che se le condizioni sono date, l’autorità penale competente “
lo libera
”.
Inoltre, se in precedenza la liberazione era concessa al detenuto
"se si può presumere ch'egli terrà buona condotta in libertà"
(art. 38 cifra 1 vCP), con la nuova disposizione la liberazione va concessa se
"non si debba presumere che commetterà nuovi crimini o delitti"
(art. 86 cpv. 1 CP). Si passa in altre parole dall'esigenza di una prognosi favorevole circa il comportamento futuro del detenuto a quella di una prognosi non sfavorevole (decisione TF 6B_900/2010 del 20.12.2010; DTF 133 IV 201 cons. 2.2), ciò che è rilevante nei casi intermedi in cui non si arriva a formulare una prognosi certa.
Per il resto la nuova normativa non si discosta nella sostanza dal diritto previgente, così che la giurisprudenza resa sotto l'imperio dell'art. 38 vCP conserva la sua validità (decisione TF 6B_428/2009 del 9.07.2009; DTF 133 IV 201).
2.4.
La prognosi sul comportamento futuro deve fondarsi su una valutazione complessiva, che deve tenere conto dei precedenti del condannato, della sua personalità, del suo comportamento da un lato in generale e dall'altro lato nel contesto della commissione dei reati che sono alla base della condanna, e, soprattutto, il grado del suo eventuale ravvedimento così come le condizioni nelle quali ci si può attendere che egli vivrà dopo la sua liberazione (decisione 6B_714/2010 del 4.01.2011 cons. 2.4. e 6B_428/2009 del 9.07.2009 cons. 1.1.; DTF 133 IV 201 cons. 2.3.; 124 IV 193 cons. 3). Al riguardo, di fronte a pene privative della libertà di durata limitata, vanno esaminate la pericolosità dell'agente, se questa diminuirà, rimarrà invariata o aumenterà nel caso in cui la pena fosse interamente scontata e quindi se la liberazione condizionale, eventualmente accompagnata da regole di condotta e da un patronato, non sia più favorevole alla sua risocializzazione che non l'esecuzione completa della pena (DTF 124 IV 193 cons. 4).
La natura del reato che ha portato alla condanna, anche se l'importanza del bene giuridico protetto dalla norma penale va considerata, di per sé non è determinante per la formulazione della prognosi. Possono essere di rilievo le circostanze nelle quali è stato compiuto il reato, nella misura in cui permettano di trarre conclusioni sulla personalità dell'autore e di conseguenza sul suo futuro comportamento (DTF 124 IV 193 cons. 3).
Per quanto riguarda la condotta tenuta durante l'esecuzione della pena, solo comportamenti che hanno gravemente ostacolato la disciplina carceraria o che denotano di per sé l'assenza di emendamento possono avere valenza autonoma per escludere la liberazione condizionale. Comportamenti meno gravi possono invece essere esaminati nel contesto della prognosi sulla futura condotta in libertà (DTF 119 IV 5 cons. 1a con rif.), stante che, nei lavori preparatori relativi alla revisione della parte generale del CP entrata in vigore l'1.01.2007, si ribadisce chiaramente che il criterio determinante per una liberazione condizionale è rappresentato dalla prognosi, formulata al momento della liberazione, circa la possibilità che il detenuto commetta altri crimini o delitti (cfr. Messaggio del CF del 21.09.1998, pubblicato in FF 1999 p. 1669 ss, p. 1801).
3.
3.1.
Nel presente caso, la decisione impugnata contiene una contraddizione su di un punto essenziale.
Dopo aver posto le corrette premesse giuridiche al punto 6, indicando che la prognosi da operare in base alla legge deve essere “non sfavorevole”, specialmente nei casi intermedi in cui non si arriva a formulare una prognosi certa, alla fine del punto 7 della decisione impugnata il giudice conclude che “
Questi elementi, correlati con i precedenti dell’imputato, con particolare riferimento a quanto avvenuto a _ e ripreso in perizia (p.37) non permettono di formulare una prognosi “positiva” in relazione alla sua liberazione condizionale
.
3.2.
Nel presente giudizio (punto 2.3) si è indicato come il cambiamento legislativo intervenuto abbia proprio riguardato questo punto, passando da
una liberazione concessa al detenuto
"se si può presumere ch'egli terrà buona condotta in libertà"
(art. 38 cifra 1 vCP) ad una liberazione concessa se
"non si debba presumere che commetterà nuovi crimini o delitti"
(art. 86 cpv. 1 CP).
Dall'esigenza di una prognosi favorevole circa il comportamento futuro del detenuto si è passato a quella di una prognosi non sfavorevole (decisione TF 6B_900/2010 del 20.12.2010; DTF 133 IV 201 cons. 2.2), ciò che è rilevante nei casi intermedi in cui non si arriva a formulare una prognosi certa, come parrebbe nel presente caso.
3.3.
Non potendosi questa Corte sostituirsi al giudizio del magistrato senza sopprimere un grado di giudizio,
il reclamo va accolto e l’incarto è conseguentemente ritornato al giudice dei provvedimenti coercitivi, affinché decida nuovamente, non senza auspicare che nel frattempo venga ulteriormente portata avanti l’esecuzione del PES.
4.
Il reclamo è accolto. Non si prelevano tassa di giustizia e spese.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,012 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
811dbd36-0802-5fb0-8340-b837cc2b974f
|
in fatto: A.
Con decreto d'accusa del 19 ottobre 1999 (DAP 2337/1999) il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di diffamazione e ripetuta ingiuria, proponendone la condanna a una multa di fr. 1'000.– e al pagamento delle spese. Con decreto d'accusa del 28 luglio 2000 (DAP 1660/2000) il Procuratore pubblico ha nuovamente riconosciuto _ autore colpevole di diffamazione e ingiuria, proponendone la condanna a una multa di fr. 500.– e al pagamento delle spese. Con decreto d'accusa del 19 settembre 2001 (DAP 1957/2001) il Procuratore pubblico ha ulteriormente riconosciuto _ autore colpevole di ripetuta diffamazione, proponendone la condanna a una multa di fr. 1'000.– e al pagamento delle spese. _ ha presentato opposizione a tutti e tre i decreti di accusa.
B.
Con sentenza del 30 luglio 2002 (DT 2002.2), emessa in contumacia, il Pretore del Distretto di Lugano, sezione 5, ha confermato il primo decreto di accusa, ponendo le spese a carico dell'opponente. Con sentenze del 6 agosto 2002 (DT 2000.251) e dell'8 agosto 2002 (DT 2001.48), emanate anch'esse in contumacia, il medesimo Pretore ha confermato pure il secondo decreto e il terzo decreto di accusa, addebitando ancora le spese all'opponente. Il 27 gennaio 2003 _ ha chiesto il rifacimento dei tre processi nelle forme ordinarie. Aperto il dibattimento del 16 giugno 2003, il presidente della Pretura penale ha preso atto di una richiesta giunta il giorno stesso con cui l'accusato chiedeva, sulla base di un certificato medico firmato dal dott. _, il rinvio dei processi. Con ordinanza redatta a verbale seduta stante egli ha respinto l'istanza e ha confermato le sentenze emanate dal Pretore del Distretto di Lugano, sezione 5.
C.
Il 14 luglio 2003 _ ha introdotto un “ricorso” alla Corte di cassazione e di revisione penale per ottenere l'annullamento della decisione con cui il presidente della Pretura penale aveva respinto il 16 giugno 2003 la sua istanza di rinvio, dichiarando definitive le tre condanne in contumacia. Egli ha poi integrato le argomentazioni con uno scritto del 28 luglio successivo. Statuendo il 30 luglio 2003, questa Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile (inc. 17.2003.40). Un ricorso di diritto pubblico introdotto il 29 agosto 2003 da _ contro tale sentenza è stato dichiarato anch'esso inammissibile dal Tribunale federale il 10 settembre 2003 (sentenza 1P.503/2003).
D.
Con istanza del 29 agosto 2003 _ ha nuovamente chiesto alla Pretura penale il rifacimento dei tre processi. L'istanza è stata dichiarata irricevibile dal presidente della Pretura penale il 2 settembre 2003. Contro tale decisione _ è insorto con ricorso per cassazione del 23 settembre 2003, chiedendo a questa Corte di annullarla. Nelle sue osservazioni del 7 ottobre 2003 gli eredi fu _, parti civili, hanno proposto di respingere il ricorso. _, anch'egli parte civile, è rimasto silente. Il Procuratore pubblico ha comunicato l'8 ottobre 2003 di rimettersi al giudizio di questa Corte.
|
Considerando
In diritto: 1.
Di norma un ricorso per cassazione va preceduto da un dichiarazione di ricorso, da inoltrare al giudice che ha emesso la sentenza nei 5 giorni seguenti la comunicazione orale dei dispositivi (art. 289 cpv. 1 CPP, cui rinvia l'art. 278 cpv. 2). Nel caso specifico tuttavia non è avvenuta alcuna “comunicazione orale dei dispositivi”, già per il fatto che il presidente della Pretura penale ha statuito senza dibattimento. Esigere una dichiarazione di ricorso nelle circostanze descritte non avrebbe quindi senso.
2.
Nella sentenza del 30 luglio 2003 la Corte di cassazione e di revisione penale aveva rilevato che, non prevedendo la legge ticinese sanzioni nel caso in cui un accusato rimanga contumace al nuovo processo – contrariamente a quanto prevedono, per esempio, gli art. 157 cpv. 2 lett. b PPM (RS 321.0) e 400 cpv. 3 dell'avamprogetto di CPP svizzero unificato (www.ofj.admin.ch/i/index/html/legislazione) – il presidente della Pretura penale, accertata il 16 giugno 2003 l'assenza ingiustificata dell'accusato, avrebbe dovuto pronunciare una nuova sentenza in contumacia e non dichiarare definitive le tre sentenze emesse dal Pretore del Distretto di Lugano. Nella decisione impugnata il primo giudice non disconosce tale principio, ma obietta che determinante non è quanto egli avrebbe dovuto fare il 16 giugno 2003, bensì quanto effettivamente ha fatto. Ed egli ha dichiarato definitive le tre sentenze in contumacia. Tale decisione essendo passata in giudicato, la celebrazione di un nuovo processo non poteva più entrare in linea di conto.
3.
L'opinione del primo giudice non è fondata. Che con la sentenza del 30 luglio 2003 questa Corte abbia dichiarato inammissibile (per mancata dichiarazione previa giusta l'art. 276 cpv. 2 CPP) il ricorso per cassazione proposto dall'accusato ancora non significa, in effetti, che le tre sentenze in contumacia siano divenute definitive. Il primo giudice trascura che, come questa Corte ha ricordato nella sentenza predetta, anche la decisione che ha fatto seguito alla seconda istanza di purgazione, del 29 agosto 2003, è di natura contumaciale. E siccome quel 16 giugno 2003 l'accusato era di nuovo assente ingiustificato, solo la dichiarazione di contumacia avrebbe potuto essere impugnata con ricorso per cassazione. Definitivo in seguito al giudizio di inammissibilità emanato da questa Corte il 30 luglio 2003 è divenuto unicamente, in altri termini, il rigetto dell'istanza di rinvio. Le tre condanne pronunciate a suo tempo dal Pretore del Distretto di Lugano potevano ancora formare oggetto di istanza di revoca a norma dell'art. 277 cpv. 3 CPP. Certo, secondo l'art. 277 cpv. 5 CPP il giudizio contumaciale diventa definitivo dopo sei mesi, a condizione che l'accusato abbia avuto conoscenza della citazione per il dibattimento. Nemmeno tale norma impedisce però all'accusato di far di capo nuovamente all'istituto della revoca giusta l'art. 277 cpv. 3 CPP in caso di un giudizio contumaciale dovuto a un'ulteriore sua assenza ingiustificata al dibattimento. A torto il primo giudice non è quindi entrato nel merito della richiesta presentata dall'accusato il 29 agosto 2003.
4.
La mancanza di una base legale che consenta al giudice di dichiarare definitiva una sentenza contumaciale in caso di nuova contumacia pone invero seri problemi. All'accusato in malafede sarebbe infatti possibile evitare una condanna definitiva continuando a chiedere revoche senza presentarsi poi al dibattimento (art. 277 cpv. 3 CPP; si veda anche l'art. 316 CPP). Ciò non è ammissibile, la revoca di una sentenza contumaciale essendo destinata a garantire al condannato rimasto assente ingiustificato al dibattimento la possibilità di essere rigiudicato presentandosi in aula. Un abuso di tale istituto non può trovare protezione. Se non che, nel caso in esame non soccorrono elementi sufficienti per concludere che, non presentandosi in aula il 16 giugno 2003 e chiedendo il 29 agosto 2003 una nuova revoca del giudizio contumaciale, l'imputato abbia commesso abuso. Tutt'al più potrà statuire in tal senso, ravvisandone gli estremi, il giudice della Pretura penale cui vanno ritornati gli atti per nuovo giudizio sull'istanza di revoca. Dovesse tale giudice riscontrare abuso di diritto (quantunque il giudizio del 16 giugno 2003 sia consecutivo soltanto a una seconda richiesta di purgazione), respingerà l'istanza. In caso contrario egli citerà le parti al dibattimento, come prevede l'art. 277 cpv. 4 CPP. Reiterasse ancora l'accusato nel rimanere assente ingiustificato, egli emetterà un giudizio contumaciale. La questione dell'abuso si porrà, in tale evenienza, qualora il condannato riproponesse una nuova domanda di revoca della sentenza contumaciale.
5.
Se ne conclude che, in accoglimento del ricorso, la decisione impugnata va annullata e gli atti rinviati a un altro giudice della Pretura penale (art. 296 cpv. 2 CPP) perché statuisca di nuovo sull'istanza dell'accusato intesa alla revoca della sentenza contumaciale nel senso dei considerandi. Quanto agli oneri del giudizio odierno, essi vanno addebitati allo Stato (art. 15 cpv. 2 CPP), che rifonderà al ricorrente, patrocinato da un legale, un'equa indennità per ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,003 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
817d9158-c895-5c19-9e3b-fa385c40ec8a
|
in fatto: A.
Il 12 settembre 1995 la polizia cantonale e i pompieri di _ hanno constatato un inquinamento da liquido oleoso nel torrente _, presso la ditta _. Dagli accertamenti è poi risultato che il liquido proveniva da quell'industria, aveva invaso il terreno circostante e aveva raggiunto l'argine del torrente attraverso un foro nel muro di recinzione. L'11 aprile 1996, dalle ore 9.20, la sonda che misura il grado di pH delle acque in afflusso all'impianto di depurazione di _ ha registrato un valore superiore a 9–9.5. Ciò ha provocato la chiusura automatica delle saracinesche e il convogliamento dei liquami, dopo il trattamento primario, direttamente nel fiume _. Durante la chiusura delle saracinesche, tra le ore 10.00 e le 13.15, nel fiume sono confluiti così 2457 m3 di liquidi depurati solo meccanicamente, che hanno causato una rilevante moria di pesci. In esito a un sopralluogo compiuto nella tarda mattinata di quel giorno dal dott. _, della Sezione cantonale protezione aria e acqua (SPAA), è stato constatato che da un serbatoio verticale della _ cominciava a tracimare liquido che, giunto al suolo, defluiva verso un pozzetto di scarico delle acque già pretrattate. Dopo un paio di minuti la fuoriuscita di liquido era cessata e _, responsabile della produzione della _, era andato a chiamare _, operaio addetto al controllo e alla manutenzione della struttura di depurazione interna della ditta, che in quel momento era occupato presso il depuratore della vicina ditta _. In seguito a un'altra fuoriuscita di liquido dal serbatoio verticale, il dott. _ ha eseguito un prelievo dal pozzetto di controllo alla base del serbatoio, in cui confluivano – come detto – le acque pretrattate e quelle provenienti dal serbatoio verticale, rilevando un pH di grado 10.
B.
Con decreto di accusa del 2 agosto 1999 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ e _ autori colpevoli di infrazione (rispettivamente di ripetuta infrazione) alla legge federale sulla protezione delle acque. Per quanto riguarda i fatti più recenti, dell'aprile 1996, il Procuratore pubblico ha imputato ai due soggetti di avere con varie azioni o omissioni, in concorso tra di loro, concorso a introdurre nella canalizzazione diretta al depuratore di _ sostanze atte a inquinare le acque, che sono poi confluite nel _, ove hanno provocato una moria della fauna ittica. In applicazione della pena _ è stato condannato a 5 giorni di detenzione (sospesi condizionalmente per 2 anni) e a una multa di fr. 5'000.–, mentre _ si è visto infliggere 3 giorni di detenzione (sospesi condizionalmente per 2 anni) e una multa di fr. 1'000.–. Statuendo su opposizione, con sentenza del 29 novembre 1999 il Pretore della giurisdizione di _ ha confermato le imputazioni e le pene.
C.
Contro il giudizio del Pretore gli accusati hanno inoltrato il 3 dicembre 1999 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta del 5 gennaio 2000 _ chiede di limitare la condanna per i soli fatti del 12 settembre 1995 e ridurre la pena a una multa più lieve rispetto a quella irrogatagli; in via subordinata egli postula, comunque sia, la riduzione della condanna alla sola multa, ridotta rispetto a quella pronunciata. _ chiede di essere assolto o quanto meno, in subordine, di essere condannato a una multa ridotta rispetto a quella del giudizio pretorile. Entrambi instano inoltre per una riduzione della tassa di giustizia e delle spese. Nelle loro osservazioni del 27 gennaio, del 4 e del 7 febbraio 2000 il Procuratore pubblico, la SPAA e il Consorzio Depurazione Acque _ propongono di respingere i ricorsi. Analoga conclusione formula la Federazione ticinese per l'acquicultura e la pesca con scritto del 15 febbraio 2000, mentre il Comune di _ si è rimesso il 17 febbraio 2000 al giudizio di questa Corte.
|
Considerando
i
n diritto: 1.
L'art. 70 cpv. 1 LPAc reprime con la detenzione o con la multa chiunque intenzionalmente, illecitamente, direttamente o indirettamente, introduce nelle acque, lascia infiltrare oppure deposita o spande fuori dalle acque sostanze atte a inquinarle e con ciò provoca un pericolo d'inquinamento (lett. a). La norma punisce inoltre chiunque, come detentore di impianti contenenti liquidi inquinanti, omette di prendere le misure di natura edile e di predisporre le apparecchiature necessarie o non provvede alla loro manutenzione e con ciò inquina le acque o fa insorgere un pericolo d'inquinamento (lett. b). Chi agisce per negligenza è sanzionato con la detenzione fino a sei mesi o con la multa (art. 70 cpv. 2 LPAc). Scopo della legge è – come precisa lo stesso art. 1 – non solo quello di proteggere le acque contro l'inquinamento, ma anche contro ogni effetto dannoso in senso lato (FF 1987 II 932). Punibile è ogni comportamento suscettibile di lordare le acque o suscettibile di pregiudicare l'equilibrio idrico sotterraneo o superficiale. La messa in pericolo delle acque, ovvero la minaccia di inquinamento basta. Secondo giurisprudenza – i cui principi fondamentali sviluppati sotto il previgente art. 37 LCIA sono rimasti invariati poiché le disposizioni penali non hanno subito modifiche di rilievo – la punibilità è data già in presenza di un atto o di un'omissione consistente nell'illecita immissione, diretta o indiretta, nelle acque di sostanze atte a inquinarle o nella dispersione nel sottosuolo di sostanze atte a creare un pericolo di inquinamento. Tra l'atto o l'omissione dell'autore e il pericolo di inquinamento deve evidentemente sussistere un nesso di causalità. Non occorre invece un inquinamento effettivo.
2.
In concreto il Pretore ha accertato che quell'11 aprile 1996 _ aveva spento l'impianto di allarme acustico che segnala anomalie all'impianto di depurazione della _, pur avendo avuto modo di constatare che in quei giorni il serbatoio verticale era pieno. Ciò nondimeno, egli si era allontanato per una mezz'ora circa. L'imputato sapeva pure che il flussimetro del circuito dei risciacqui era difettoso e già si era bloccato in altre occasioni, ma né lui né altri dipendenti della ditta si erano curati di farlo riparare. Il primo giudice ha accertato altresì che il serbatoio verticale era stato omologato dalla autorità per l'accumulo di acque già pretrattate, destinate a un eventuale riciclo come acque di lavaggio, mentre in realtà esso veniva usato come serbatoio di emergenza per raccogliere acque di lavaggio che non potevano essere convogliate al pretrattamento. _ ha ammesso del resto al dibattimento che il serbatoio era impiegato per uno scopo diverso da quello autorizzato, senza che fosse mai stata inoltrata alcuna richiesta in tal senso all'autorità (sentenza, pag. 8 e 9 in alto). Nella commisurazione della pena il Pretore ha tenuto conto del fatto, in ogni modo, che le risultanze tecniche erano controverse e non permettevano di appurare con assoluta certezza un nesso di causalità fra il comportamento degli imputati e la chiusura delle saracinesche dell'impianto di depurazione che ha provocato l'inquinamento del _ (sentenza, pag. 9 in fine e 10 in alto).
3.
I ricorrenti sostengono che quest'ultimo accertamento del Pretore fa decadere gran parte dei capi di accusa, venendo a mancare la prova ch'essi abbiano introdotto nelle acque sostanze atte a inquinarle. A loro avviso poi le acque luride che confluiscono mediante apposite canalizzazioni a un impianto di depurazione non costituiscono “acque” a norma di legge. Se l'impianto di depurazione fosse funzionato correttamente, in specie con riferimento alla taratura delle sonde, e se non vi fosse stato un illecito agire di ignoti, le poche centinaia di litri di sostanze inquinanti lasciate defluire per negligenza verso le ore 11.45 nella canalizzazione mai sarebbero finite nei 2457 m3 di liquidi depurati solo meccanicamente riversati nel _ tra le ore 10.00 e le 13.15. I due fatti menzionati – sottolineano i ricorrenti – sono stati di intensità tale da interrompere il nesso di causalità tra il loro agire e l'introduzione di sostanze inquinanti nelle acque ai sensi dell'art. 70 LPAc.
4.
In realtà i ricorrenti disconoscono che il Pretore non li ha condannati per avere introdotto nelle acque sostanze atte ad inquinarle, bensì per avere lasciato, in concorso tra loro, mediante varie azioni o omissioni (l'uso non conforme di un serbatoio da 10'000 l e la trascuranza di un flussimetro difettoso da parte di _; l'uso non conforme del serbatoio da 10'000 l, la trascuranza del flussimetro difettoso, la disattivazione dell'allarme acustico e il mancato rilevamento delle tracimazioni dal serbatoio da parte di _), che nelle condotte dirette all'impianto di depurazione penetrassero sostanze inquinanti (cfr. dispositivi n. 1.1 e 1.2). Ai ricorrenti il primo giudice ha imputato, in altri termini, una serie di comportamenti atti a creare una situazione di pericolo per le acque. Per quanto riguarda il nesso causale, il Pretore medesimo ha ritenuto che non vi erano elementi sufficienti per individuare nelle azioni e omissioni degli imputati la sola causa della chiusura delle saracinesche dell'impianto di depurazione. Si è limitato pertanto a ritenere gli imputati colpevoli di avere concorso a introdurre nella canalizzazione sostanze atte a inquinare le acque. E che per negligenza sostanze inquinanti siano finite nella condotta è finanche ammesso dai ricorrenti (pag. 3). Che, poi, le azioni o omissioni predette fossero atte non solo a favorire, ma anche a provocare la tracimazione dal serbatoio di 10'000 l e il conseguente deflusso inquinante nei tubi diretti all'impianto non è contestato. Ciò posto, ritenendo i ricorrenti colpevoli di violazione dell'art. 70 cpv. 1 lett. a e b LPAc, il Pretore ha giudicato correttamente.
5.
I ricorrenti ritengono ingiustificate le pene inflitte poiché i fatti loro imputati sono molto meno gravi, se non irrilevanti, ove si consideri che nell'aprile del 1996 essi non hanno introdotto sostanze inquinanti nelle acque. Ora, nella commisurazione della pena la Corte di cassazione e di revisione penale interviene solo – come il Tribunale federale – ove il giudice del merito sia stato esageratamente severo o mite, al punto di cadere nell'eccesso o nell'abuso del potere di apprezzamento (DTF 123 IV 152 consid. 2a con richiami). Nel caso specifico le condanne inflitte ai ricorrenti si situano ai limiti inferiori della pena prevista dagli art. 70 cpv. 2 LPAc, 36 e 48 n. 1 CP. Per di più il Pretore ha giudicato il comportamento dei ricorrenti contraddistinto da estrema leggerezza, avendo costoro lasciato sussistere una situazione manifestamente suscettibile di creare un serio pericolo di inquinamento. Né va dimenticato che _ è stato condannato sia per i fatti avvenuti nel settembre 1995 sia per quelli dell'aprile 1996, onde un concorso di reati a norma dell'art. 68 CP. In definitiva, irrogando a _ 5 giorni di detenzione (sospesi condizionalmente per 2 anni) oltre una multa di fr. 5'000.–, e a _ 3 giorni di detenzione (sospesi condizionalmente per 2 anni) e una multa di fr. 1'000.–, il Pretore non ha né ecceduto né abusato del proprio potere di apprezzamento.
6.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 e 9 cpv. 1 CPP). Al Consorzio di Depurazione Acque _, che per presentare le osservazioni ai gravami – come parte civile – si è valso del patrocinio di un legale, i ricorrenti verseranno un'equa indennità per ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,000 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
821a79cc-88fc-5c04-a88e-469d3aae64fd
|
in fatto
a.
A seguito di varie denunce/querele e in base alle informazioni raccolte, il 27.05.2011 il Ministero pubblico ha decretato l’apertura dell’istruzione penale nei confronti di RE 1, che in quel periodo esercitava la sua attività lavorativa in qualità di infermiera presso l’Ospedale Regionale di _, in relazione all’invio di numerosi scritti anonimi trasmessi a diverse persone e a rappresentanti di enti pubblici, per ripetuta diffamazione (art. 173 CP), ripetuta ingiuria (art. 177 CP), ripetuta minaccia (art. 180 CP) e ripetute molestie sessuali (art. 198 CP) (inc. MP _).
Il procedimento penale è dapprima sfociato nel decreto di accusa 12.09.2011 (DA _) (AI 18) avverso il quale il 23/26.09.2011 l’imputata e due accusatori privati hanno inoltrato opposizione (AI 19, AI 20 e AI 21).
b.
Il 5.10.2011 l’Ufficio di sanità del Dipartimento della sanità e della socialità (di seguito Ufficio di sanità), richiamando gli art. 23, 53, 59 LSan e 101 cpv. 2 CPP, ha chiesto al Ministero pubblico di poter accedere all’intero incarto penale riguardante RE 1 (AI 22).
Con scritto 7.10.2011 il procuratore pubblico Antonio Perugini ha autorizzato il predetto ufficio a consultare gli atti dell’incarto penale DA _, con la facoltà di estrarne le fotocopie, precisando nondimeno che
"
(...) è pendente l’opposizione interposta dall’imputata per il tramite del suo difensore che ci legge in copia
(avv. PR 1)
e che attendo nei prossimi giorni dei documenti supplementari. Valuti lei se è il caso o meno di attendere che l’incarto sia stato ulteriormente completato
"
(AI 23).
Il 28.10.2011 il patrocinatore di RE 1 ha comunicato al procuratore pubblico che la sua assistita rinuncia all’interrogatorio del 10.11.2011 per il quale è stata citata, poiché
"
(...) accetterà tutti i suoi decreti
"
(AI 26 e AI 27). Ha inoltre allegato uno scritto datato 19.10.2011 da cui emerge che l’Ospedale Regionale di _ ha in particolare confermato che il rapporto di lavoro con RE 1 terminerà il 31.10.2011, chiedendo parimenti di revocare l’autorizzazione ai funzionari dell’Ufficio di sanità di consultare l’incarto penale poiché sprovvisti di legittimazione (AI 27).
c.
Il 4.11.2011, preso atto delle opposizioni interposte il 23/26.09.2011 dall’imputata e da due accusatori privati e richiamando l’art. 355 cpv. 3 lit. c CPP, il procuratore pubblico ha annullato il decreto di accusa DA _ ed ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale RE 1 siccome ritenuta colpevole di ripetuta diffamazione, ripetuta ingiuria, ripetuta minaccia e ripetute molestie sessuali (DA _) (AI 28).
Avverso il predetto decreto l’11/13.11.2011 è stata inoltrata opposizione da due accusatori privati (AI 31 e AI 32).
L’incarto penale è quindi stato trasmesso alla Pretura penale presso la quale è ancora pendente in attesa di giudizio (inc. _).
d.
Con scritto 30/31.10.2012 l’Ufficio di sanità, per il tramite del suo capoufficio, ha informato la Pretura penale che il 7.10.2011 il magistrato inquirente le aveva concesso l’accesso agli atti all’incarto penale riguardante RE 1 e di aver preso atto che al decreto di accusa è stata interposta opposizione. Richiamando gli art. 23, 53, 59 LSan e 101 cpv. 2 CPP, ha domandato di poter accedere all’intero incarto penale allo scopo di valutare compiutamente la fattispecie (doc. 4.a annesso alle osservazioni 11/13.12.2012 della Pretura penale).
e.
Il 27.11.2012 il presidente della Pretura penale ha accolto ai sensi dei considerandi l’istanza 30/31.10.2012 dell’Ufficio di sanità, considerato in particolare che
"
(...) i fatti imputati a RE 1 sarebbero stati commessi mediante l’invio di innumerevoli scritti anonimi inviati a più persone e a rappresentanti di enti pubblici approfittando in gran parte dei dati personali e del recapito privato di pazienti all’_, dati ai quali aveva accesso nella sua veste di infermiera – appare pacifico il nesso fra i fatti a fondamento del surriferito procedimento penale e la richiesta dell’autorità istante. È quindi dato un interesse giuridico legittimo e non vi si oppongono interessi pubblici o privati preponderanti
"
(decreto 27.11.2012, p. 2, inc. _).
f.
Con il presente reclamo RE 1 chiede di annullare la surriferita decisione e di respingere conseguentemente la richiesta dell’Ufficio di sanità di esaminare gli atti del procedimento penale a suo carico.
La reclamante sostiene anzitutto che la decisione impugnata sarebbe in contrasto con quanto deciso dal procuratore pubblico al momento dell’emanazione del decreto di accusa, affermando che egli aveva respinto la richiesta di accedere agli atti poiché lei non eserciterebbe più la professione di infermiera. Pertanto non sussisteva più alcun interesse nella divulgazione degli atti in questione. Evidenzia inoltre di aver rescisso da oltre un anno e di comune accordo il contratto di lavoro concluso trent’anni fa con l’ente ospedaliero. Non esisterebbe dunque più alcun interesse per l’Ufficio di sanità di esaminare l’incarto penale che la riguarda personalmente. Afferma infine che
"
(...) Questo mancato interesse è persino abusivo se si pensa che le ipotesi di accusa saranno contestate. Per ragioni di autorità la reclamante non ha fatto opposizione, vista la pena tutto sommato lieve, al decreto d’accusa. L’opposizione di due parti civili
(recte: accusatori privati)
le permette tuttavia di contestare in toto la sua responsabilità
" (reclamo
6/10.12.2012, p. 2).
g.
Come esposto in entrata, il presidente della Pretura penale e il procuratore pubblico si rimettono al prudente giudizio di questa Corte.
h.
Con scritto 28.01.2013 questa Corte ha informato l’Ufficio di sanità che il 6/10.12.2012 RE 1 (per il tramite del suo patrocinatore avv. _) ha inoltrato reclamo presso questa Corte contro il decreto emanato il 27.11.2012 dal presidente della Pretura penale (mediante il quale, come visto, è stata accolta, ai sensi dei considerandi, la richiesta del predetto ufficio di poter esaminare gli atti dell’incarto penale riguardante la qui reclamante in applicazione dell’art. 101 cpv. 2 CPP, inc. _), chiedendo nel dettaglio i motivi che stanno alla base della sua richiesta, considerato come RE 1 non risulta più essere iscritta all’albo degli operatori sanitari (_).
i.
Con scritto 7/11.02.2013 l’Ufficio di sanità ha in particolare informato questa Corte che RE 1
"
(...), ora sospesa dal suo incarico a causa del procedimento penale in corso, è stata assunta e ha lavorato come infermiera alle dipendenze dell’Ospedale _ di _. Secondo il decreto d’accusa (...), che per altro l’imputata non ha impugnato, essa si è resa responsabile di reiterati reati contro l’onore, di ripetuta minaccia e di ripetute molestie sessuali. La gran parte dei reati ascritti alla ricorrente sono stati commessi a danno di persone, enti pubblici e pazienti registrati nella banca dati dell’Ospedale _. Si tratta di dati sensibili a cui la stessa aveva accesso nella sua veste di infermiera e dunque nello svolgimento della sua professione
"
(scritto 7/11.02.2013, p. 1, doc. 6).
Evidenzia poi che giusta l’art. 54 lit. b LSan gli infermieri sono considerati operatori sanitari senza formazione universitaria, che il Dipartimento è l’autorità competente a concedere l’autorizzazione all’esercizio dipendente/indipendente delle professioni previste dall’art. 54 LSan e che
"
(...) È tuttavia riservato il cpv. 2 il quale specifica che per l’esercizio dipendente delle professioni previste dalla lett. b dell’art. 54 LSan sono applicabili le disposizioni dell’art. 58 LSan. L’art. 58 cpv. 1 e 2 LSan stabilisce che l’autorizzazione all’esercizio di una professione sanitaria prevista dalla lett. b dell’art. 54 è presunta quando la direzione di un servizio o una struttura sanitaria, prima di assumere un operatore in forma dipendente, ha proceduto alla verifica delle condizioni e dei requisiti conformemente alle disposizioni dell’art. 56 cpv. 1 e 4 e dell’art. 59. Ciò significa che l’autorizzazione viene delegata al datore di lavoro per gli operatori sanitari con il libero esercizio e senza formazione universitaria se questi decidono di esercitare un’attività lucrativa in qualità di dipendenti (...)
"
(scritto 7/11.02.2013, p. 1 e 2, doc. 6).
Ritiene dunque che RE 1 sia un operatore sanitario ai sensi della LSan. Avendo quest’ultima violato i suoi obblighi professionali e le regole deontologiche, il DSS quale autorità di vigilanza, ha dunque pieno diritto e dovere di accedere a ogni informazione necessaria per intraprendere gli eventuali e necessari provvedimenti in merito.
|
in diritto
1.
1.1.
Giusta l’art. 393 cpv. 1 lit. b CPP il reclamo può essere interposto contro i decreti e le ordinanze, nonché gli atti procedurali dei tribunali di primo grado; sono eccettuate le decisioni ordinatorie.
1.2.
Secondo SCHMID è possibile presentare reclamo giusta gli art. 393 ss. CPP contro decisioni emanate da chi dirige il procedimento nell’ambito di una richiesta di esame degli atti, perlomeno contro quelle emanate dal pubblico ministero.
Per quanto concerne, per contro, le decisioni emanate da un tribunale di primo grado a sua mente occorre considerare l’art. 65 CPP, in particolare il suo cpv. 2 (secondo cui le disposizioni ordinatorie prese prima del dibattimento da chi dirige il procedimento in un’autorità giudicante collegiale possono, d’ufficio o su domanda, essere modificate o annullate dal collegio), così come l’art. 393 cpv. 1 lit. b CPP, disposizioni che sembrano escludere un reclamo indipendente (N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 102 CPP n. 5; N. SCHMID, Handbuch des schweizerischen Strafprozessrechts, nota a piè di pagina 509).
A giudizio di S
CHMUTZ,
GOLDSCHMID
,
MAURER
e
SOLLBERGER
la decisione riguardante
una richiesta di esame degli atti è, di principio, impugnabile mediante reclamo ai sensi degli art. 393 ss. CPP nella misura in cui la decisione non è stata presa da chi dirige il procedimento di una giurisdizione di ricorso oppure dall’Ufficio dei provvedimenti coercitivi.
Nel caso in cui la decisione sia stata emanata da un tribunale di primo grado si è alla presenza di una decisione ordinatoria (
verfahrensleitender Entscheid
) non impugnabile ai sensi dell’art. 393 cpv. 1 lit. b CPP laddove concerne una
parte
oppure
altri partecipanti al procedimento
.
Per contro, se
terzi
dovessero domandare di ispezionare gli atti in applicazione dell’art. 101 cpv. 3 CPP la decisione è impugnabile, non essendo alla presenza di una decisione ordinatoria, bensì – nell’ottica del terzo – di una decisione che conclude il procedimento (
verfahrenserledigender Entscheid
) [cfr. BSK StPO – M. SCHMUTZ, art. 102 CPP n. 6; P. GOLDSCHMID / T. MAURER / J. SOLLBERGER, Kommentierte Textausgabe zur StPO, art. 102 CPP, p. 79].
I citati autori non si esprimono sulla richiesta di ispezione degli atti da parte di
altre autorità
– in casu l’Ufficio di sanità – giusta l’art. 101 cpv. 2 CPP.
1.3.
Nella fattispecie in esame la Pretura penale del Canton Ticino quale tribunale di primo grado ha emanato una decisione inerente ad una richiesta indipendente di consultazione degli atti da parte dell’Ufficio di sanità di un incarto penale pendente riguardante un operatore sanitario (infermiera). La predetta autorità non partecipa al procedimento penale in questione ma – come si vedrà di seguito – è un’
altra autorità
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
82a1f095-1426-52b6-a318-aef975a70385
|
in fatto
a
. PI 1 è stato fermato a _ il 10.1.2012, ore 22.00, siccome sospettato del furto di due telefoni cellulari.
b
. E’ stato interrogato, dalle ore 01.12 alle ore 03.18 dell’11.1.2012, alla presenza dell’avv. RE 1, suo patrocinatore.
Nei suoi confronti è stato disposto l’arresto provvisorio.
Il procuratore pubblico Amos Pagnamenta ha ordinato la scarcerazione dell’imputato a partire dalle ore 18.00 dell’11.1.2012.
Il 18.1.2012 il magistrato inquirente ha posto PI 1 in stato di accusa davanti alla Pretura penale siccome ritenuto colpevole di furto e di danneggiamento, reati da ricondurre ai suddetti fatti di data 10.1.2012 e ad ulteriori fatti di data 17.1.2012. Ha proposto la sua condanna alla pena pecuniaria di CHF 1'200.--, pari a 40 aliquote a CHF 30.--/aliquota, dedotto il carcere preventivo sofferto, pena sospesa condizionalmente per due anni. Il citato decreto è cresciuto in giudicato (DA _).
c
. Con decreto 12.1.2012 il procuratore pubblico, dopo esame degli atti, in applicazione degli art. 132 s. CPP, ha nominato l’avv. RE 1 difensore d’ufficio di PI 1 limitatamente al verbale di interrogatorio di polizia dell’11.1.2012.
d
. Il 16/17.1.2012 l’avv. RE 1 ha trasmesso al magistrato inquirente la sua nota professionale inerente alla predetta difesa d’ufficio, che esponeva un totale di CHF 1'188.-- [di cui CHF 1'000.-- di onorario (quattro ore a CHF 250.--/ora), CHF 100.-- di spese e CHF 88.-- di IVA]. Ha indicato che a verbale era stato menzionato che l’interrogatorio era terminato alle ore 03.18. Gli inquirenti avevano tuttavia, a lui ed all’imputato, ancora sottoposto diversi documenti da firmare; erano inoltre state effettuate alcune correzioni. Aveva lasciato gli uffici di polizia alle ore 03.45.
e
. Con decisione 24.1.2012 il procuratore pubblico ha approvato la nota professionale per CHF 891.-- [di cui CHF 750.-- di onorario (tre ore a CHF 250.--/ora), CHF 75.-- di spese e CHF 66.-- di IVA], ritenuto eccessivo il tempo esposto per il verbale di polizia.
f
. Con gravame 6/7.2.2012 l’avv. RE 1 postula che, in accoglimento dell’impugnativa, la predetta decisione sia annullata e riformata nel senso che la nota sia approvata come presentata.
Il reclamante, ricordato che la settimana dal 6.1.2012 al 13.1.2012 era di picchetto quale difensore “
della prima ora
”, ha affermato che alle ore 00.10 dell’11.1.2012 sarebbe stato interpellato dalla polizia per una difesa e che sarebbe giunto in polizia – presso gli uffici di Camorino – alle ore 00.35-00.40. Durante i primi quindici minuti la polizia gli avrebbe spiegato a grandi linee la situazione. Avrebbe poi parlato, liberamente, con l’imputato per quindici minuti. Ci sarebbero voluti altri dieci minuti perché si iniziasse il verbale di interrogatorio (ore 01.12), che sarebbe terminato alle ore 03.18. Gli inquirenti avrebbero di seguito sottoposto a lui ed all’imputato alcuni documenti di presa di conoscenza, mostrato una borsa, ecc. Avrebbe lasciato gli uffici della polizia alle ore 03.45, rientrando al domicilio alle ore 04.00.
Contesta la conclusione del procuratore pubblico, che non avrebbe tenuto conto delle circostanze sopra menzionate.
Delle ulteriori argomentazioni e della replica, così come delle osservazioni del magistrato inquirente, si dirà, semmai, in seguito.
|
in diritto
1
. Il difensore d’ufficio, in applicazione dell’art. 135 cpv. 3 lit. a CPP, può presentare reclamo in materia di retribuzione contro la decisione del pubblico ministero o del tribunale di primo grado.
Con il gravame, da introdurre davanti alla giurisdizione di reclamo (art. 20 cpv. 1 lit. b CPP), ovvero – in Ticino – alla Corte dei reclami penali (art. 62 cpv. 2 LOG), si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l’eccesso e l’abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l’accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e l’inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta ed all’art. 385 CPP per la motivazione.
Esso deve indicare – in particolare – i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP).
2
. Il gravame – inoltrato il 6/7.2.2012 – contro la decisione 24.1.2012
del procuratore pubblico, con cui ha tassato la nota professionale dell’avv. RE 1, è tempestivo e proponibile.
Le esigenze di forma e motivazione del reclamo sono rispettate.
L’avv. RE 1, designato difensore d’ufficio di PI 1, è pacificamente legittimato a reclamare giusta l’art. 135 cpv. 3 CPP.
Il gravame è quindi nelle predette circostanze ricevibile in ordine.
3
. 3.1.
Il reclamante contesta la decurtazione di un’ora di onorario operata dal magistrato inquirente alla nota professionale 16.1.2012.
Nel gravame il legale rileva di comprendere l’esigenza e la preoccupazione di contenere gli oneri a carico dello Stato; ritiene nondimeno che tali costi potrebbero essere ridotti se si evitasse di chiamare avvocati in piena notte per situazioni che, in realtà, non giustificherebbero un loro intervento, come nel suo caso.
Il procuratore pubblico, da parte sua, nelle osservazioni 16.2.2012, asserisce di condividere le citate affermazioni sull’inutilità di chiamare un avvocato per questa fattispecie.
Si impone anzitutto di comprendere cosa è avvenuto in concreto.
3.2.
Agli atti, allegato al verbale di interrogatorio 11.1.2012 di PI 1, ore 01.12 [verbale peraltro inutilizzabile siccome reso in violazione dell’art. 158 cpv. 1 lit. a CPP (cfr., sul tema,
decisioni di questa Corte 24.3.2011 in re P., inc. 60.2011.30; 27.7.2011 in re B., inc. 60.2011.197; 24.1.2012 in re L., inc. 60.2011.417;
5.7.2012 in re G., inc. 60.2012.28)], c’è il “
verbale presa atto dei diritti e obblighi dell’imputato
”, che – a p. 3 – contiene una parte relativa al patrocinio che distingue il caso bagatella, la difesa di fiducia / d’ufficio e la difesa obbligatoria.
Dal formulario, sottoscritto dall’imputato, risulta poi che nel caso di specie si sarebbe trattato di una difesa obbligatoria e che “
lette queste spiegazioni
(presumibilmente il contenuto dell’art. 130 CPP, esposto a p. 2 del “
verbale presa atto dei diritti e obblighi dell’imputato
”)
,
vuole avvalersi dell’assistenza di un suo difensore di fiducia (a sue spese)? Si, nella persona di avv. RE 1
”
.
Si può pertanto dedurre, sulla base di questi atti, che, al momento dell’audizione 11.1.2012, il legale avrebbe assistito PI 1 – in condizione di difesa obbligatoria – quale difensore di fiducia.
3.3.
Con decreto del giorno seguente 12.1.2012 il magistrato inquirente [autorità di nomina del difensore d’ufficio giusta i combinati art. 133 cpv. 1 e 61 lit. a CPP, a differenza della polizia, che non è annoverata tra le autorità che dirigono il procedimento a’ sensi dell’art. 61 CPP (BSK StPO – A. JENT, art. 61 CPP n. 3/6)] ha nondimeno designato l’avv. RE 1 difensore d’ufficio di PI 1 limitatamente al verbale di interrogatorio 11.1.2012.
Ha indicato, a giustificazione della nomina: “
Dopo esame degli atti, in applicazione dell’art. 132 CPP in combinazione con l’art. 133 CPP; Considerato che: Una difesa s’impone per tutelare gli interessi dell’imputato, segnatamente se non si tratta di un caso bagatella e il caso penale presenta in fatto o in diritto difficoltà cui l’imputato non potrebbe far fronte da solo. Non si tratta comunque di un caso bagatella se si prospetta una pena detentiva superiore a 4 mesi, una pena pecuniaria superiore a 120 aliquote giornaliere o un lavoro di pubblica utilità superiore a 480 ore (art. 132 cpv. 2 e 3 CPP). Nel caso in specie trattasi di furto
”.
Il procuratore pubblico ha dunque nominato il legale in applicazione dell’art. 132 cpv. 1 lit. b CPP, secondo cui chi dirige il procedimento dispone una difesa d’ufficio se l’imputato è sprovvisto dei mezzi necessari e una sua difesa s’impone per tutelare i suoi interessi (art. 132 cpv. 2/3 CPP). Ciò che ha ritenuto essere il caso trattandosi, a carico dell’imputato, del reato di furto.
3.4.
La decisione del procuratore pubblico è anzitutto carente nella motivazione [che deve menzionare, in ossequio al diritto di essere sentito secondo gli art. 3 cpv. 2 lit. c CPP e 29 cpv. 2 Cost., almeno brevemente, i motivi che hanno spinto l’autorità a decidere in un senso piuttosto che nell’altro e di porre pertanto l’interessato nelle condizioni di rendersi conto della portata del provvedimento e delle eventuali possibilità di impugnazione presso un’istanza superiore, che deve poter esercitare il controllo sullo stesso (cfr., per es., decisione TF 6B_124/2012 del 22.6.2012 consid. 2.2.; G. PIQUEREZ, Traité de procédure pénale suisse, 2. ed., n. 340/1134; R. HAUSER / E. SCHWERI / K. HARTMANN,
Schweizerisches Strafprozessrecht, 6. ed.
, § 55 n. 22 ss.; N. SCHMID,
Strafprozessrecht, 4. ed.
, n. 214 s./260/576; cfr. anche
, ZK StPO – D. BRÜSCHWEILER, art. 80 CPP n. 2
)]: il fatto che si ipotizzasse il reato di furto non implica necessariamente, di per sé, che si imponesse la difesa d’ufficio dell’imputato.
Nella decisione non si fa poi alcun accenno alla difesa obbligatoria giusta l’art. 130 CPP [
secondo cui l’imputato deve essere difeso se: a. la carcerazione preventiva, compreso un arresto provvisorio, è durata più di dieci giorni; b. rischia di subire una pena detentiva superiore a un anno oppure una misura privativa della libertà; c. a causa del suo stato fisico o mentale o per altri motivi non è in grado di tutelare sufficientemente i suoi interessi processuali e il rappresentante legale non è in grado di farlo in sua vece; d. il pubblico ministero interviene personalmente dinanzi al tribunale di primo grado o al tribunale d’appello; e. si procede con rito abbreviato (art. 358-362)
],
indicata al momento dell’audizione di data 11.1.2012.
Si fa riferimento alla difesa a’ sensi dell’art. 132 cpv. 1 lit. b CPP, i cui presupposti – sopra ricordati – divergono da quelli della difesa obbligatoria. In caso di difesa obbligatoria il difensore d’ufficio è peraltro nominato soltanto se, nonostante ingiunzione, l’imputato non designa un difensore di fiducia (art. 132 cpv. 1 lit. a cifra 1 CPP) o se il mandato è revocato al difensore di fiducia oppure questi lo rimette e l’imputato non designa un nuovo difensore nel termine impartito (art. 132 cpv. 1 lit. a cifra 2 CPP).
Nella fattispecie, dunque, una difesa obbligatoria con legale di fiducia, la notte dell’audizione, si è tramutata, il giorno dopo l’interrogatorio 11.1.2012, in una difesa d’ufficio siccome, secondo la pronuncia 12.1.2012, PI 1 era privo dei mezzi necessari e una difesa si imponeva per tutelare i suoi interessi.
3.5.
Tema del gravame è in ogni caso la tassazione della nota dell’avv. RE 1, non la correttezza della sua nomina rispettivamente non la questione a sapere se erano dati i presupposti secondo l’art. 130 CPP oppure l’art. 132 cpv. 1 lit. b CPP.
L’esposto modo di procedere desta comunque perplessità.
4
. 4.1.
Giusta l’art. 135 cpv. 1 CPP il difensore d’ufficio è retribuito secondo la tariffa d’avvocatura della Confederazione o del Cantone in cui si svolge il procedimento penale a carico del patrocinato.
Al caso concreto è pertanto applicabile il regolamento sulla tariffa per i casi di patrocinio d’ufficio e di assistenza giudiziaria e per la fissazione delle ripetibili (Rtar), in vigore dall’1.1.2008.
4.2.
Il predetto regolamento stabilisce la tariffa per le prestazioni dell’avvocato nel caso della sua nomina a patrocinatore d’ufficio, nel caso di concessione del beneficio dell’assistenza giudiziaria e per la fissazione delle ripetibili (art. 1 cpv. 1 Rtar).
All’avvocato è riconosciuto l’onorario per le prestazioni necessarie per lo svolgimento del patrocinio, calcolato secondo i principi e le disposizioni del regolamento (art. 2 cpv. 1 Rtar). La retribuzione della difesa d’ufficio copre dunque il dispendio di tempo essenziale ad un’efficace difesa nel procedimento penale (BSK StPO – N. RUCKSTUHL, art. 135 CPP n. 3; ZK StPO – V. LIEBER, art. 135 CPP n. 3/6; N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 135 CPP n. 3; Commentario CPP – M. GALLIANI / L. MARCELLINI, art. 135 CPP n. 4): deve essere indennizzato l’onorario proporzionale e necessario, che è in nesso causale con la tutela dei diritti del difeso (BSK StPO – N. RUCKSTUHL, art. 135 CPP n. 3; ZK StPO – V. LIEBER, art. 135 CPP n. 6).
L’onorario dell’avvocato è calcolato secondo il tempo di lavoro sulla base della tariffa di CHF 180.--/ora (art. 4 cpv. 1 Rtar; tariffa confermata anche dall’Alta Corte, decisione TF 6B_810/2010 del 25.5.2011 consid. 2.4.). Se la pratica è stata particolarmente impegnativa, per esempio avendo richiesto studio e conoscenze speciali o avendo comportato trattazioni di nuove e complesse questioni giuridiche, l’onorario può essere aumentato sino a CHF 250.--/ora (art. 4 cpv. 2 Rtar). L’onorario dell’avvocato per la partecipazione a interrogatori fuori dall’orario di lavoro usuale (tra le ore 20.00 e le ore 08.00 dei giorni feriali, nei giorni festivi ufficiali e di sabato) è fissato a CHF 250.--/ora (art. 5a Rtar).
Per la determinazione dell’onorario a favore del difensore d’ufficio, tenute presenti le citate tariffe orarie, fanno stato i principi dell’art. 15a cpv. 2 della legge sull’avvocatura (art. 1 cpv. 2 Rtar), secondo i quali l’avvocato ha riguardo alla complessità ed all’importanza del caso, al valore ed all’estensione della pratica, alla sua competenza professionale ed alla sua responsabilità, al tempo ed alla diligenza impiegati, alla situazione personale e patrimoniale delle parti, all’esito conseguito ed alla sua prevedibilità (decisione TF 6B_810/2010 del 25.5.2011 consid. 2.).
Ha inoltre diritto al rimborso delle spese necessarie allo svolgimento del patrocinio, riservato l’art. 6 Rtar (art. 2 cpv. 2 Rtar). Quest’ultima norma prevede che possa essere riconosciuto un importo forfetario in per cento dell’onorario quale rimborso per le spese di cancelleria, di spedizione, di comunicazione, di fotocopie e di apertura e archiviazione dell’incarto (art. 6 cpv. 1 Rtar).
4.3.
4.3.1.
Con decisione 24.1.2012 il magistrato inquirente ha approvato la nota professionale di CHF 1'188.-- [di cui CHF 1'000.-- di onorario (quattro ore a CHF 250.--/ora), CHF 100.-- di spese e CHF 88.-- di IVA] per CHF 891.-- [di cui CHF 750.-- di onorario (tre ore a CHF 250.--/ora), CHF 75.-- di spese e CHF 66.-- di IVA], ritenuto eccessivo il tempo esposto per il verbale di polizia.
Il reclamante contesta la predetta conclusione, che non avrebbe tenuto conto del fatto che sarebbe arrivato a Camorino alle ore 00.35, che avrebbe discusso con gli agenti, che avrebbe avuto un colloquio con il cliente e che avrebbe dovuto attendere che gli inquirenti fossero a loro volta pronti per procedere con il verbale.
4.3.2.
Dagli atti si evince che il verbale di interrogatorio di PI 1 ha avuto inizio alle ore 01.12 dell’11.1.2012 ed è terminato alle ore 03.18. Ha perciò avuto una durata di due ore circa.
E’ nondimeno evidente che debba essere remunerato non soltanto il tempo strettamente necessario per la verbalizzazione, ma anche – oltre alle trasferte – il tempo indispensabile per colloquiare con l’imputato e quindi per poterlo conoscere ed adeguatamente assistere. E’ poi ragionevole reputare che il legale abbia discusso anche con gli agenti interroganti, prima dell’audizione per capire i fatti imputati al patrocinato e dopo la stessa per comprendere ed eventualmente organizzare il prosieguo della vicenda penale, a maggior ragione ritenuto che a carico di PI 1 era stato disposto l’arresto provvisorio.
Le spiegazioni rese dall’avv. RE 1 in capo al dispendio di tempo – alle ore 00.10 dell’11.1.2012 sarebbe stato interpellato dalla polizia per una difesa; sarebbe giunto in polizia alle ore 00.35-00.40; durante i primi quindici minuti la polizia gli avrebbe spiegato a grandi linee la situazione; avrebbe poi parlato, liberamente, con l’imputato per quindici minuti; ci sarebbero voluti altri dieci minuti perché si iniziasse il verbale di interrogatorio (ore 01.12), che sarebbe terminato alle ore 03.18; gli inquirenti avrebbero sottoposto a lui ed all’imputato documenti di presa di conoscenza, mostrato una borsa, ecc.; avrebbe lasciato gli uffici della polizia alle ore 03.45, rientrando al domicilio alle ore 04.00 – sono dunque sostenibili, pur ammettendo la semplicità dei fatti.
Qualora l’intervento del legale fosse stato compiutamente riportato a verbale di interrogatorio, con indicazione segnatamente dell’ora di arrivo e di partenza negli / dagli uffici di polizia, la tassazione della nota sarebbe invero risultata più agevole e corretta.
Il reclamo deve comunque essere accolto, con contestuale riforma del punto 1 della decisione 24.1.2012 del procuratore pubblico, per i motivi indicati. La nota professionale è approvata come esposta: all’avv. RE 1 sono rifusi CHF 1'188.--.
5
. Il gravame è accolto. Non si prelevano tassa di giustizia e spese. Lo Stato della Repubblica e del Cantone Ticino rifonderà al reclamante, anche se di formazione giuridica, in considerazione della natura della vertenza (art. 135 CPP), adeguate ripetibili.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,012 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
82e5ce96-a1fa-57d8-9fde-8b6b890cedb8
|
in fatto: A.
La sera del 7 novembre 2000, dopo le ore 20, alcuni detenuti del Penitenziario cantonale si intrattenevano nella cucina della sezione B: _ (cittadino albanese), che giocava a “table” con _ (giovane cittadino rumeno), e _ (cittadino albanese), che stava osservando _ e _ (entrambi cittadini kossovari di etnia albanese) mentre giocavano a carte. Era presente anche _ (cittadino albanese), che lavava i piatti in un acquaio posto sulla destra rispetto alla porta d'ingresso. A un certo punto _ ha visto entrare _ (cittadino kossovaro di etnia albanese), che si dirigeva verso un frigorifero posto in fondo al locale. Ha quindi notato _ alterarsi, alzarsi, dirigersi a sua volta verso il frigo ed estrarre con la mano destra un coltello che teneva celato in una tasca interna sinistra della giacca. Si trattava, secondo _, di un coltello da cucina con lama seghettata, lunga cm 10 circa. _ si è intimorito e, temendo per la propria incolumità, si è alzato subito per riparare nell'adiacente corridoio. Prima di uscire dalla cucina, però, si è girato e ha visto i due che si azzuffavano vicino al frigorifero. Non ha più notato invece il coltello nelle mani di _.
B.
Verso le ore 20.30 l'agente di custodia _, accortosi di quanto stava accadendo, ha chiesto l'intervento dei colleghi al primo piano della sezione. Gli agenti hanno trovato _ che sanguinava alla mano destra e _ ferito alla testa e al petto. Hanno quindi ordinato a tutti i detenuti di rientrare nelle celle, hanno avvertito il loro superiore e hanno chiamato un infermiere. Alle 23.05, risultando irreperibile il medico di servizio, il personale di custodia si è rivolto alla polizia cantonale perché conducesse _ all'ospedale, ciò che è avvenuto alle 23.22. Circa quaranta minuti più tardi anche _ è stato accompagnato all'ospedale, dove gli è stata riscontrata una lesione superficiale da taglio lunga di 2 cm alla base del primo metacarpo, senza interessamento neurontentineo. Gli sono stati praticati quindi due semplici punti di sutura. _ ha riportato invece un graffio al collo sinistro e una ferita da punta al petto sinistro laterale, profonda 4 cm, che fortunatamente non ha leso il polmone.
C.
Interrogato dalla polizia, _ ha raccontato di essere stato colpito alle spalle mentre era chino davanti al frigorifero per prendere un limone. Voltatosi dopo l'aggressione, si è accorto di perdere sangue dal lato sinistro della nuca e si è trovato davanti _ con un coltello in mano, che lo ha nuovamente colpito al collo, al lato sinistro, e poi anche alla parte sinistra del costato, poco sotto la clavicola. Egli ha dichiarato di avere reagito, sferrando un pugno al volto dell'aggressore. Quanto a _, egli ha detto di non avergli mai parlato e pertanto di non avere nemmeno avuto problemi con lui. Sentito dal Procuratore pubblico e in presenza di _, _ ha confermato le proprie affermazioni. _, da parte sua, ha negato di avere accoltellato _, limitandosi ad ammettere l'avvenuta colluttazione e prospettando finanche l'ipotesi che _ si fosse ferito da sé. Invitato a giustificare la ferita alla propria mano, egli ha dichiarato di non potersela spiegare e di essersela procurata – forse – morsicandosi. Confrontato a _, egli ha di nuovo negato ogni responsabilità, ripetendo che probabilmente _ si era tagliato da solo. Il coltello che ha ferito _ non è stato ritrovato, benché gli agenti di custodia abbiano perquisito il locale della cucina e le celle.
D.
Con sentenza del 4 dicembre 2002 la presidente della Corte delle assise correzionali di Lugano ha ritenuto _ autore colpevole di lesioni semplici qualificate per avere accoltellato _, provocandogli quel 7 novembre 2000 una ferita al petto e un graffio al collo. In applicazione della pena, essa lo ha condannato a 12 mesi di detenzione da espiare, data la recidiva. Contro tale sentenza _ ha introdotto il 6 dicembre 2002 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta, presentata il 14 gennaio 2002, egli chiede di essere prosciolto dall'accusa e che il giudizio impugnato sia riformato di conseguenza. Il ricorso non ha formato oggetto di intimazione.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288 cpv. 1 lett. a e b CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono sindacabili unicamente qualora la sentenza impugnata denoti estremi di arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche erroneo, bensì apertamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 127 I 54 consid. 2b pag. 56, 126 I 168 consid. 3a pag. 170, 125 I 166 consid. 2a pag. 168, 125 II 10 consid. 3a pag. 15, 125 I 166 consid. 2a pag. 168) o fondato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di arbitrio. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 125 II 129 consid. 5b pag. 134, 125 I 166 consid. 2a pag. 168, 124 I 208 consid. 4a pag. 211).
2.
In concreto la presidente della Corte ha creduto a _, accertando che l'imputato lo aveva aggredito da tergo mentre stava togliendo qualcosa dal frigo. E lo aveva poi colpito con il coltello che, stante la chiara deposizione di _, teneva celato nella giacca e che altri due detenuti (_e _) gli avevano visto in mano (almeno per quanto riguarda la lama) quando erano intervenuti a separarli (sentenza, pag. 10). Che le cose siano andate così risulta anche dal fatto – ha soggiunto la prima giudice – che _ e _ hanno singolarmente e univocamente affermato nei loro verbali di essersi accorti della colluttazione dopo avere udito _ esclamare in albanese una frase del tipo “Io non ti ho fatto niente”, rispettivamente “Che cosa ti ha fatto?”, frasi che la prima giudice ha ritenuto compatibili con la di lui sorpresa per l'improvvisa aggressione (sentenza, loc. cit.). Inoltre la versione dei fatti riferita da _, ossia di essere stato colpito prima alla testa, poi al lato sinistro del collo e infine alla parte sinistra del costato, trova riscontro nel certificato medico rilasciato alla polizia il 7 novembre 2002. Quel documento fa stato in effetti di un ematoma parietale occipitale sinistro, di un graffio al collo sinistro, oltre che di un ferita “da punta” al petto, alla parte laterale sinistra (sentenza, loc. cit.).
Ciò posto, la presidente della Corte ha ritenuto che l'ipotesi adombrata dall'accusato, stando al quale _ si sarebbe infilzato da sé un coltello nel costato per 4 cm è assurda, mentre quanto ha riferito _ è compatibile con la ferita superficiale riportata dall'imputato alla mano, avvenuta durante la colluttazione o anche dopo, l'imputato non avendo mai dato una spiegazione univoca o in qualche modo affidabile al riguardo (sentenza, pag. 9 e 10). Per di più, la versione di _ si concilia con le deposizioni di altri due detenuti (_e _), i quali pur non avendo notato il coltello in mano all'imputato quando sono intervenuti per separare i contendenti, si erano nondimeno accorti della colluttazione per avere sentito “un rumore” alle loro spalle, come di gente muoversi _. Simili dichiarazioni – ha epilogato la presidente della Corte – trovano riscontro in quelle della vittima, che ha riferito di un'aggressione inopinata da tergo, mentre non suffragano la tesi del ricorrente, volta a far credere che la colluttazione fosse avvenuta sulla soglia della cucina, dopo che _ gli avrebbe rivolto parole sgradite (sentenza, pag. 11). Infine la presidente della Corte ha ricordato che l'imputato aveva negato ogni responsabilità anche in un precedente processo a suo carico, tenutosi a Losanna, al termine del quale si era visto infliggere 10 anni di reclusione e 15 anni di espulsione dalla Svizzera per mancato assassinio e lesioni intenzionali gravi in esito a due accoltellamenti con gravi conseguenze, avvenuti proprio a Losanna l'8 e il 30 ottobre 1998 (sentenza, pag. 11).
3.
Il ricorrente persiste nel proclamare la propria innocenza, rimproverando alla prima Corte – in estrema sintesi – di averlo condannato in mancanza di prove certe, interpretando con unilateralità semplici apparenze e senza conferire il giusto peso ai fatti comprovati e egli indizi a lui favorevoli. A suo parere nel valutare la credibilità delle parti la Corte sarebbe caduta ripetutamente in arbitrio e in reiterate violazioni della presunzione di innocenza. Per finire essa avrebbe creduto a _ non perché tale convincimento fosse sorretto da indizi concludenti, ma perché egli sarebbe risultato inattendibile per principio a causa delle sue numerose contestazioni e precisazioni sullo svolgimento dei fatti e, soprattutto, a causa del suo precedente penale per un caso analogo, conclusosi con la sua condanna benché egli si proclamasse innocente anche allora. Se non che, in 25 pagine di motivazione il ricorrente non dimostra lontanamente perché la conclusione cui è giunta la presidente della Corte valutando la prove acquisite sarebbe, quanto meno nel risultato, arbitraria. Egli incentra le sue critiche su singoli particolari, facendo insistentemente valere che nessuna arma bianca è stata rinvenuta dagli agenti di custodia a dispetto delle perquisizioni e che nessuno dei detenuti (nemmeno _, _ e _) lo ha visto accoltellare _. A suo avviso inoltre _ non è credibile, avendo situato l'accaduto attorno alle ore 22.30 anziché alle 20.30, avendo dichiarato falsamente di avere riportato una ferita da taglio al lato sinistro del collo e non avendo subìto alcuna lesione alla mano (come lui), benché asserisse di avere preso il coltello per la lama.
In realtà le argomentazioni testé riassunte non minano in alcun modo la conclusione cui è giunta la prima Corte. A prescindere dalla circostanza che il ricorso si esaurisce largamente in censure appellatorie, come tali inammissibili in un ricorso per cassazione fondato sul divieto dell'arbitrio (giacché questa Corte non è munita di pieno potere cognitivo nell'accertamento dei fatti: sopra, consid. 1), l'imputato perde di vista l'essenziale. Esclusa la congettura che _ si sia procurato deliberatamente una ferita da taglio profonda 4 cm al torace – ciò che la prima Corte poteva dare per certo senza cadere in arbitrio (sentenza, pag. 9), mal comprendendosi finanche perché _ avrebbe dovuto lesionarsi – e scartata l'ipotesi che _ si sia munito di coltello e abbia aggredito il ricorrente – ciò che nemmeno quest'ultimo ha mai preteso – rimane da spiegare l'origine della ferita riscontrata dai sanitari. Ora, senza trascendere in arbitrio la prima Corte poteva individuarne la causa nella colluttazione (non contestata) tra i due e nell'uso di un coltello o di un oggetto tagliente durante la zuffa. E se appena si pensa che ben tre detenuti avevano notato, in un modo o nell'altro, che l'imputato era in possesso di un coltello, ancorché poco prima della baruffa, il quadro dell'accaduto risulta di una verosimiglianza che sfiora l'assoluta certezza. Invocare arbitrio in una situazione del genere configura una doglianza già a prima vista infruttuosa e il ricorso si rivela d'acchito senza alcuna seria possibilità di successo.
4.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza del ricorrente (art. 15 cpv. 1 e 9 cpv. 1 CPP). Il presente giudizio rende inoltre caduca la richiesta di svolgimento del pubblico dibattimento (art. 291 cpv. 1 e 292 cpv. 1 CPP) contenuta nel memoriale.
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,003 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
82ede609-b39f-5165-ae50-a2c89fd7e0e4
|
in fatto: A.
Il 21 agosto 2000 la Corte delle assise criminali in Lugano ha giudicato _ e _ per violazione aggravata della legge federale sugli stupefacenti, conseguimento fraudolento di falsa attestazione, entrata illegale e furto di poca entità. La Corte ha riconosciuto:
– _ autore colpevole di infrazione aggravata alla legge federale sugli stupefacenti per avere partecipato alla vendita, previo acquisto e trasporto, di complessivi 1'075 g di eroina e per avere fatto preparativi per un ulteriore traffico di 300 g di eroina;
– _, inoltre, autore colpevole di conseguimento fraudolento di falsa attestazione per avere ottenuto un permesso di richiedente l'asilo sotto falsa identità e autore colpevole di entrata illegale per avere passato il confine sprovvisto dei necessari documenti e del visto di entrata;
– _ autore colpevole di infrazione aggravata alla legge federale sugli stupefacenti per avere partecipato alla vendita, previo acquisto e trasporto, di 825 g di eroina e per avere fatto preparativi per un ulteriore analogo traffico di 300 g di eroina;
– _, inoltre, autore di furto di lieve entità per avere sottratto un training del valore di fr. 169.– e di entrata illegale per essere entrato in Svizzera fuori dal valico di confine.
B.
In applicazione della pena la Corte di assise ha condannato _ a 4 anni e 6 mesi di reclusione e _ a 4 anni di reclusione, computato a entrambi il carcere preventivo sofferto. Inoltre essa ha inflitto agli imputati la pena accessoria dell'espulsione (effettiva) dal territorio svizzero per 10 anni e ha disposto la confisca di fr. 9'332.–, di un telefono cellulare e di 6 carte Swisscom sequestrati a _, come pure di fr. 5'470.80, di un telefono cellulare e di 2 carte di credito sequestrati ad _.
C.
Contro la sentenza di assise _ ha inoltrato il 24 agosto 2000 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 2 ottobre successivo, egli chiede una ricommisurazione della pena inflittagli. Non sono state richieste osservazioni al ricorso.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorrente si duole che nella commisurazione della pena la prima Corte abbia ignorato le effettive quantità di eroina vendute e il grado di purezza dello stupefacente trattato. Rimprovera ai primi giudici inoltre di avergli irrogato una pena sproporzionata non solo per rapporto a quella inflitta a _, ma anche rispetto ai criteri stabiliti dal Tribunale federale, e di non avere nemmeno considerato appieno la collaborazione prestata.
a)
Il giudice commisura la pena alla colpa del reo tenendo conto dei motivi a delinquere, della vita anteriore e delle condizioni personali di lui (art. 63 CP). La gravità della colpa è il criterio fondamentale per la fissazione della pena. A tale riguardo entrano in considerazione numerosi fattori: movente e circostanze esterne, intensità del proposito (determinazione) o della negligenza, risultato ottenuto, assenza di scrupoli, modo di esecuzione del reato, entità del pregiudizio arrecato volontariamente, durata o reiterazione dell'illecito, ruolo in seno a una banda, recidiva, difficoltà personali o psicologiche e così via. Per quanto riguarda l'autore, in particolare, occorre considerare la sua situazione familiare e professionale, l'educazione ricevuta e la formazione seguita, l'integrazione sociale, gli eventuali precedenti penali e la reputazione in genere. Anche il comportamento dopo la perpetrazione del reato entra in linea di conto, compresa la collaborazione con gli inquirenti, il pentimento e la volontà di emendamento (DTF 124 IV 47 consid. 2d con rinvio a DTF 117 IV 112 consid. 1 e 116 IV 289 consid. 2a). Criteri ispirati alla parità di trattamento con casi analoghi hanno invece portata relativa (DTF 124 IV 47 consid. 2c), mentre esigenze di prevenzione generale svolgono solo un ruolo di second'ordine (DTF 118 IV 350 consid. 2g).
b)
Nella commisurazione della pena il giudice di merito fruisce di ampia autonomia quando valuta l'importanza di ogni singolo fattore. Egli deve indicare perciò quale peso attribuisce ai vari elementi considerati, non necessariamente in cifre o in percentuali, ma in modo che l'autorità di ricorso possa – pur rispettando la sua latitudine di apprezzamento – seguire il suo ragionamento e controllare l'applicazione delle legge. (
Queloz
, Commentaire de la jurisprudence du Tribunal fédéral en matière de fixation de la peine, in: RPS 116/1998 pag. 138 segg.). Sapere se la pena risponda a tali esigenze e rientri nei limiti edittali è una questione di diritto, che va quindi esaminata liberamente dalla Corte di cassazione e di revisione penale; nella commisurazione della pena, per contro, la Corte di cassazione e di revisione penale interviene solo – come il Tribunale federale – ove il giudice di merito sia stato esageratamente severo o esageratamente mite, al punto da cadere nell'abuso o nell'eccesso del potere di apprezzamento (DTF 123 IV 152 consid. 2a con richiami).
2.
Con riferimento alla quantità di droga trasportata (825 g di eroina) e agli atti preparatori compiuti per ulteriori 300 g di eroina, il ricorrente fa valere anzitutto di avere confessato addirittura più di quanto è risultato dalle intercettazioni telefoniche e dagli interrogatori di _ e _, i quali riferivano di quantità non superiori ai 600 g di eroina. Egli trascura però che la Corte di assise ha considerato, come circostanza attuante e quindi come motivo di riduzione della pena, proprio la collaborazione da egli prestata, definendola apprezzabile (sentenza, pag. 3). L'argomentazione cade dunque nel vuoto.
3.
Premesso che la quantità di eroina venduta è stata accertata in 825 g, il ricorrente sostiene che in realtà, eccettuati 125 g di tale sostanza, direttamente egli non ha venduto nulla, essendosi limitato al trasporto da Basilea nel Ticino. Soggiunge di avere smerciato i citati 125 g di eroina seguendo le istruzioni del correo _ e di avere, per finire, agito solo come trasportatore. Ancora una volta però egli disconosce gli accertamenti della sentenza impugnata, che vincolano la Corte di cassazione e di revisione penale (tranne ove risultino arbitrari, ciò che però non è preteso nella fattispecie: art. 288 cpv. 1 lett. c CPP). Ora, stando alla prima Corte egli non ha agito come semplice corriere, ma si è associato a giovani correi per gestire un traffico comune, sulla base di un ruolo preciso e con equa divisione dei profitti. Secondo la Corte di assise, dipoi, egli non si è occupato solo del trasporto della droga, ma anche dell'acquisto e persino del trasporto del denaro incassato con le vendite per pagare le forniture (sentenza, pag. 20). Di fronte a tali constatazioni del genere, poco importa sapere chi abbia venduto più droga al dettaglio, se egli medesimo,_ o _. Quand'anche egli avesse lasciato lo smercio maggiore agli altri due, in effetti, il suo ruolo di trafficante non ne uscirebbe apprezzabilmente ridimensionato.
4.
Il ricorrente invoca lo scarso grado di purezza dell'eroina trafficata (10%), affermando che per finire egli non ha venduto più di 80 g di prodotto puro. Ora, la Corte di assise non ha accertato il grado di purezza del prodotto, limitandosi a rilevare che gli imputati hanno violato in modo grave la legge federale sugli stupefacenti (art. 19 n. 2 lett. a LStup) anche considerando un grado di purezza non superiore al 10% (sentenza, pag. 17 in fondo). Tale conclusione è corretta. Dal contenuto grado di purezza dell'eroina, in effetti, il ricorrente non può trarre serio beneficio. Il Tribunale federale ha avuto modo di rilevare che la quantità di droga trattata non è un fattore determinante, poiché serve solo per apprezzare la gravità oggettiva del reato, mentre decisivo nel diritto penale è l'aspetto soggettivo (DTF 121 IV 193). Dal profilo soggettivo il grado di purezza (ossia la quantità di stupefacente trafficato) è un fattore di rilievo solo ove l'imputato intendesse trattare droga particolarmente diluita (DTF121 IV 193, confermata in DTF 122 IV 301 consid. 2c: CCRP, sentenza del 17 agosto 1999 in re G. e coimputati, consid. 2 e11c). Nella fattispecie il ricorrente, il cui ruolo nel traffico risulta tutt'altro che secondario (ove appena si consideri che egli trasportava anche il denaro incassato per pagare le forniture), non pretende ciò. Anche in proposito la sentenza impugnata resiste pertanto alla critica.
5.
Il ricorrente si duole della pena irrogatagli se paragonata a quella inflitta dalla prima Corte al correo _ e alla giurisprudenza del Tribunale federale. Se non che, il principio della parità di trattamento nella commisurazione della pena può essere invocato sole nelle rare ipotesi in cui pene determinate in modo di per sé conforme all'art. 63 CP diano luogo a un'obiettiva disuguaglianza; il confronto tra imputati o con un processi analoghi suole invece essere infruttuoso, ogni caso dovendo essere giudicato in base alle sue individualità oggettive e soggettive, ciò che comporta implicitamente una certa disuguaglianza (DTF 123 IV 150;
Corboz
, La motivation de la peine, in: ZBJV 131/1995 pag. 12 seg.; cfr. anche DTF 124 IV 47 consid. 2c). Ne segue che in materia di parità di trattamento la Corte di cassazione e di revisione penale interviene solo – come il Tribunale federale – quando il giudice del merito abbia ecceduto o abusato del proprio potere di apprezzamento, dando luogo a disparità flagranti (DTF inedita del 6 marzo 1998 in re M., consid. 4b in fine).
a)
In concreto la prima Corte ha rimproverato a _ la sfrontatezza dimostrata nel succedere a un certo _, il suo coinvolgimento in un traffico maggiore rispetto a quello attuato dal ricorrente e la poca collaborazione fornita durante l'inchiesta, ancorché parzialmente rimediata al dibattimento, quando si è scusato con il Procuratore pubblico (sentenza, pag. 19 e 20). Essa ha rilevato nondimeno che al momento dei reati minori (come tali poco influenti sulla commisurazione della pena) costui non aveva ancora compiuto 18 anni (onde l'applicazione dell'art. 95 n. 1 CP), mentre quando ha commesso le infrazioni più gravi, pur diciottenne, egli non aveva ancora vent'anni (da qui l'applicazione dell'attenuante prevista dall'art. 64 n. 9 CP). Irrogandogli una pena di soli 6 mesi superiore a quella inflitta al ricorrente, la Corte di assise non ha quindi creato disparità flagranti. Benché coinvolto in modo più grave e per più reati, _ ha infatti beneficiato di circostanze attenuanti suscettibili di influire in modo apprezzabile sulla pena a suo carico.
b)
Al ricorrente non giova nemmeno il richiamo alla sentenza pubblicata in RStrS/RJP 2000 pag. 14-15, in cui il Tribunale cantonale di Friburgo ha confermato il 12 gennaio 1998 la condanna a 8 anni di reclusione inflitta in primo grado a un prevenuto ventenne al momento dei fatti e coinvolto in un traffico di eroina di 14 kg. Certo, in quella sentenza l'autorità ha ricordato che il Tribunale federale considera ancora sostenibili pene fra i 12 e i 13 anni di reclusione in casi simili e che, come si evince da uno studio comparativo, traffici di eroina di circa 8 kg sono sanzionati, in assenza di circostanze attenuanti, con pene di circa 9 anni di reclusione. Ciò non basta tuttavia per rimproverare ai primi giudici, in concreto, un eccesso o un abuso del potere di apprezzamento. D'altro canto il ricorrente dimentica che la Corte di assise ha fissato le singole pene tenendo conto anche della giurisprudenza delle Corti ticinesi in materia di infrazione alla legge federale sugli stupefacenti (sentenza, pag. 19). Nel ricorso egli nemmeno si confronta con tale argomento.
6.
Il ricorrente asserisce di non avere tratto alcun beneficio economico dal traffico, salvo il modesto importo di circa fr. 5'000.– a lui sequestrato. A parte il fatto però che un utile di fr. 5'000.– non può affatto definirsi modesto, egli trascura che – come ha sottolineato la prima Corte – gli autori coinvolti nel traffico si dividevano equamente i profitti (sentenza, pag.20). Su tale accertamento egli sorvola. Considerando il fine di lucro nella commisurazione pena, la prima Corte ha quindi statuito correttamente.
7.
Il ricorrente ricorda i motivi che lo hanno indotto a raggiungere la Svizzera (espatrio per sfuggire alle persecuzioni politiche), come pure le corrette modalità messe in atto per entrare in Svizzera, ossia consegnando il passaporto e dichiarando esatte generalità, a differenza di quanto capitato con altre persone coinvolte nella medesima inchiesta (_). Egli evoca altresì l'incensuratezza e gli oneri familiari a suo carico. Tali puntualizzazioni non sono tuttavia sufficienti per dimostrare un abuso o un eccesso dei primi giudici nell'esercizio del loro potere d'apprezzamento. Tanto meno se si pensa che essi hanno considerato suo favore del ricorrente sia i trascorsi nella legalità prima di cominciare a delinquere, sia le difficoltà personali e finanziarie in Albania (sentenza, pag. 20).
8.
Il ricorrente si sofferma sulla collaborazione prestata agli inquirenti, che avrebbe consentito di inquadrare l'organizzazione criminosa e le persone coinvolte, dolendosi che di tale comportamento la prima Corte abbia tenuto conto solo nel quadro dell'art. 63 CP (sentenza, pag. 20). Ora, per certi versi si può capire che la condanna a 4 anni di reclusione appaia severa, visto il comportamento processuale del soggetto, apprezzato anche dai primi giudici. La Corte di assise non ha quindi dato prova di grande generosità a tale riguardo. Una volta ancora, nondimeno, ciò non basta per ravvisare eccesso o abuso del potere di apprezzamento. Il ricorrente, in effetti, ha pur sempre delinquito con un certa intensità – seppur minore rispetto al correo – e ha svolto ruoli che non possono essere relativizzati, come quello del trasporto del denaro incassato, Si è inoltre associato a due giovani connazionali, di cui uno (_, atto di accusa, punto 1.1) minorenne (sentenza, pag. 20), continuando a delinquere anche dopo l'arresto di quest'ultimo (sentenza, pag. 19 in fondo). Egli non poteva aspettarsi perciò particolare benevolenza.
9.
Il ricorrente contesta infine la condanna per il furto di poca entità (art. 139 n. 1 in combinazione con l'art. 172
ter
CPP), asseverando che essa è in contrasto con la giurisprudenza del Tribunale federale, la quale “attesta il valore minimo a fr. 200.–”. La critica è infondata. Applicando alla fattispecie l'art. 172
ter
CP sulla base della confessione dl prevenuto (sentenza, pag. 18), la Corte di merito ha considerato proprio il fatto che il valore dell'articolo sottratto presso il grande magazzino Innovazione (un training da uomo) era inferiore a fr. 300.–, ossia alla soglia che consente di derubricare il reato di furto (art. 139 n. 1 CP) in reato di poca entità (DTF 121 IV 261 consid. 2d, 112 IV 156 consid. 2a). Anche su quest'ultimo punto il ricorso è destinato perciò all'insuccesso.
10.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 e 9 cpv. 1 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,000 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8352d790-8b98-5e6b-94a3-08e274f31c1a
|
in fatto:
che con sentenza del 25 settembre 2000 il Pretore del Distretto di Leventina ha dichiarato _ autore colpevole di vie di fatto e di contravvenzione alla legge federale sugli stupefacenti, condannandolo alla pena di 3 giorni di arresto sospesi condizionalmente per un periodo di prova di 2 anni;
che con decreto di accusa del 2 ottobre 2000, inoltre, il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di danneggiamento e ingiuria, proponendone la condanna a 3 giorni di arresto quale “pena aggiuntiva a quella del 25 settembre 2000 del Pretore del Distretto di Leventina”;
che _ non ha sollevato opposizione al citato decreto di accusa entro il termine assegnatogli di 15 giorni;
che il 9 novembre 2000 la Sezione dell'esecuzione delle pene e delle misure ha ordinato al condannato di presenziarsi il 7 dicembre successivo al Penitenziario cantonale per l'espiazione dei 3 giorni di arresto irrogatigli con il decreto di accusa;
che _ ha comunicato il 14 novembre 2000 alla Sezione predetta che l'ordine doveva essere frutto di una svista, la pena in questione essendo aggiuntiva a quella inflittagli dal Pretore di Leventina con sentenza del 25 settembre 2000 e dovendosi quindi ritenere sospesa condizionalmente;
che il 15 novembre 2000 la Sezione dell'esecuzione delle pena e delle misure ha risposto al condannato che, da informazioni assunte, i tre giorni di arresto erano da espiare;
che con istanza del 20 novembre 2000 _ ha chiesto al Ministero pubblico di reintegrarlo nel termine di 15 giorni per formulare opposizione al decreto di accusa, inviando copia dello scritto al Pretore della giurisdizione di Locarno Città e alla Corte di cassazione e di revisione penale;
che con sentenza del 4 dicembre 2000 il Pretore della giurisdizione di Locarno Città, cui il Ministero pubblico ha trasmesso gli atti per competenza, ha respinto l'istanza;
che contro tale sentenza _ è insorto a questa Corte con ricorso per cassazione, postulando la riforma del giudizio impugnato nel senso di accogliere la sua istanza e di restituirgli il termine per opporsi al decreto di accusa;
che non sono state chieste osservazioni al ricorso;
e considerando
|
in diritto:
che secondo l'art. 287 cpv. 1 CPP Il Procuratore pubblico, l'accusato e il suo difensore possano interporre ricorso per cassazione contro tutte le sentenze
di merito
emanate dalle Corti penali;
che quindi, a un primo esame, in concreto la legittimazione a ricorrere del condannato potrebbe apparire dubbia, il rimedio in esame essendo diretto non contro una sentenza di merito, bensì contro la mancata restituzione del termine per introdurre opposizione a un decreto di accusa;
che, nondimeno, questa Corte ha già avuto modo di ritenere ammissibile un ricorso per cassazione proposto da un condannato contro una decisione con cui un Pretore dichiarava irricevibile per tardività l'opposizione di un condannato a un decreto di accusa, e ciò per il fatto che una simile decisione – pur non essendo di merito – pone fine al procedimento penale di prima sede (CCRP, sentenza del 16 agosto 2000 in re W.);
che non v'è motivo di scostarsi da tale orientamento nella fattispecie, ove con la decisione impugnata il Pretore – pur nell'ambito di una restituzione dei termini (art. 21 e 22 CPP) – ha statuito per finire sulla ricevibilità dell'opposizione al decreto di accusa, ossia su un presupposto processuale che, se negato (come nel caso in esame), pone fine al procedimento penale di prima sede;
che a norma dell'art. 21 CPP la restituzione di un termine può essere concessa se la parte o il suo patrocinatore prova di non aver potuto rispettare la scadenza “perché impedita senza sua colpa, o per forza maggiore, segnatamente per malattia, assenza scusabile, servizio pubblico o militare o per altre ragioni importanti”;
che l'istanza va presentata, sotto pena di decadenza, entro dieci giorni dalla cessazione dell'impedimento (art. 22 cpv. 1 CPP);
che in concreto il ricorrente non pretende di essere stato impedito a proporre tempestiva opposizione per forza maggiore o per una delle ragioni enunciate dall'art. 21 CPP, ma per avere ritenuto erroneamente che la pena aggiuntiva inflittagli con il decreto di accusa fosse sospesa condizionalmente, alla stessa stregua di quella pronunciata dal Pretore di Leventina con sentenza del 25 settembre 2000;
che tuttavia, come ha rilevato il Pretore, l'errore invocato dal ricorrente è imputabile a negligenza e non può giustificare una restituzione del termine;
che difatti, in una lettera dell'11 novembre 2000 inviata al proprio patrocinatore, il ricorrente ammetteva di essersi domandato se la condanna irrogatagli dal Procuratore pubblico fosse da espiare, ma di avere poi sciolto il dubbio egli stesso dopo avere “visto che era una pena aggiuntiva alla condanna del Pretore di Leventina” (doc. C);
che nelle condizioni descritte, come ha ritenuto il Pretore di Locarno Città (sentenza impugnata, pag. 3 in fondo), il ricorrente – non giurista – ha agito con negligenza risolvendo l'interrogativo da sé medesimo, tanto più che per ottenere una risposta chiara e affidabile gli sarebbe bastato rivolgersi al Ministero pubblico o interpellare il legale che lo aveva difeso pochi giorni prima davanti al Pretore del Distretto di Leventina;
che tale leggerezza denota un mero errore di valutazione e osta al riconoscimento di un caso di forza maggiore o di “altre ragioni importanti” nel senso dell'art. 21 CPP;
che, ciò posto, il ricorso si dimostra manifestamente infondato e può essere deciso con la procedura dell'art. 291 cpv. 1 CPP;
che gli oneri del giudizio odierno seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 CPP);
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,000 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8359df75-1af5-502b-a95a-a23c58e29940
|
in fatto ed in diritto
che a seguito di una discussione avvenuta il 26.08.2011 durante la notte con il marito, PI 1 si è rivolta alla polizia, ove il medesimo giorno sono stati sentiti entrambi i coniugi;
che l’1.09.2011 il procuratore pubblico Amos Pagnamenta ha decretato il non luogo a procedere nei confronti di IS 1 per le ipotesi di reato di lesioni semplici (art. 123 cifra 1 CP) e vie di fatto (art. 126 cpv. 1 CP) (NLP _);
che avverso il suddetto decreto non è stato presentato reclamo a questa Corte giusta i combinati art. 310 cpv. 2 e 322 cpv. 2 CPP;
che con la presente istanza – trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza, a questa Corte – l’avv. PR 1, in nome e per conto del suo assistito IS 1, chiede di ottenere la trasmissione, in copia, del decreto di non luogo a procedere emanato a carico di quest’ultimo negli scorsi anni, allegando parimenti la relativa procura (doc. 1.a);
che dalla procura datata 2.07.2012 emerge che il legale patrocina IS 1 nell’ambito di un procedimento di separazione/divorzio con la moglie PI 1 (doc. 1.a);
che, come esposto in entrata, il procuratore pubblico non ha presentato osservazioni;
che
questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare PI 1, accusatrice privata nel procedimento penale sfociato nel NLP _ (regolarmente passato in giudicato), essendo il qui istante stato parte (in qualità di imputato) del citato procedimento nel frattempo archiviato;
che l’
art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di imputato) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo
;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame è pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 in applicazione dell’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere copia del decreto di non luogo a procedere 1.09.2011 (NLP _), poiché l’ha interessato personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che egli necessita verosimilmente di questo documento in sede civile nell’ambito del procedimento di separazione/divorzio;
che di conseguenza il decreto di non luogo a procedere richiesto viene trasmesso, in copia, al patrocinatore del qui istante unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stato parte al procedimento penale MP _ nel frattempo archiviato.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,012 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
840ec43e-a34e-55df-84bf-261ff609027c
|
in fatto ed in diritto
che a seguito di alcune denunce sporte a carico di PI 2
, il Ministero pubblico ha aperto diversi procedimenti penali a suo carico (inc. MP _, _, _, _ e _) sfociati nel decreto di accusa 1.09.2010 mediante il quale il procuratore pubblico Fiorenza Bergomi lo ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale siccome ritenuto colpevole di truffa, distrazione di valori patrimoniali sottoposti a procedimento giudiziale ripetuta e falsità in documenti ripetuta ed ha in particolare proposto la sua condanna alla pena pecuniaria di 90 aliquote da CHF 70.-- cadauna, corrispondenti a complessivi CHF 6'300.--, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, alla multa di CHF 500.--, al pagamento della tassa di giustizia e delle spese, rinviando la parte civile (ai sensi del CPP TI) IS 1 al competente foro civile per far valere le sue pretese, e meglio come descritto nel DA _;
che il suddetto decreto è passato in giudicato il 4.10.2010;
che con la presente istanza l’avv. PR 1 chiede, in nome e per conto della sua assistita IS 1, di poter accedere agli atti del surriferito procedimento penale e in particolare, di ottenere la trasmissione in copia del citato DA, essendo intenzionati ad utilizzarlo nell’ambito del procedimento civile di cui è prevista un’udienza il 12.11.2013 (doc. CRP 1);
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare PI 2, imputato nel surriferito procedimento penale nel frattempo archiviato, essendo la qui istante stata parte (in qualità di parte civile ai sensi del CPP TI) al medesimo;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stata l’istante parte (in qualità di parte civile ai sensi del CPP TI) nel procedimento nel frattempo terminato, essa deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che, come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, del decreto di accusa 1.09.2010 (DA _) emanato dal procuratore pubblico Fiorenza Bergomi (passato in giudicato), poiché il procedimento penale nel frattempo archiviato l’ha interessata personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che il procuratore pubblico nel summenzionato DA ha rinviato la qui istante al competente foro per far valere le sue pretese di natura civile: essa necessita dunque del citato documento nell’ambito del procedimento civile;
che di conseguenza il DA richiesto viene trasmesso, in copia, al patrocinatore di IS 1 unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stata parte al procedimento penale sfociato nel DA _ nel frattempo archiviato.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
8419fe38-01ba-570e-92c1-44cd19b1adb9
|
in fatto ed in diritto
1.
L’_, alle ore _, in territorio di _, è stato rinvenuto il corpo esanime di
┼_ (_), cittadino _.
Il Ministero pubblico ha quindi aperto d’ufficio un procedimento penale (inc. MP _) nell’ambito del quale
il procuratore pubblico Margherita Lanzillo ha ordinato l’autopsia e l’esame tossicologico sulla salma della vittima (AI 1). Il relativo rapporto è stato allestito il 4.06.2013 e completato il 9.08.2013 (AI 5 e AI 7). Il perito è giunto alla conclusione secondo la quale andava sicuramente privilegiata l’ipotesi suicida quale causa del suo decesso (AI 7, p. 3). L’incarto penale è stato archiviato il 23.09.2013 (NLP _).
2.
In data 15.05.2014 questa Corte ha accolto ai sensi dei considerandi l’istanza 10/14.03.2014 (emendata su richiesta il 18.04.2014) presentata giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG da IS 1, mediante la quale ha postulato la trasmissione, in copia, del verbale dell’autorità giudiziaria che ha stabilito il decesso di _. L’istante ha ottenuto la trasmissione, in copia, della pagina 1 e della pagina 3 della relazione medico legale sugli accertamenti autoptici eseguiti sulla salma di _
allestita dalla dr.ssa _ il 9.08.2013 (AI 7 – inc. NLP _), da cui emerge il motivo del suo decesso
(cfr., nel dettaglio, decisione 15.05.2014, inc. CRP _, alla cui lettura si rimanda per brevità).
3.
Con la presente istanza IS 1 – richiamando la decisione 15.05.2014 di questa Corte (inc. CRP _) – evidenzia che
"
(...). Per un difetto di forma si pensava bastasse la relazione medico legale sugli accertamenti autoptici ma, come si evince dalla ulteriore richiesta dell’Assicurazione _ (vedi allegato) in data 21 agosto 2014,
(quest’ultima)
necessita anche il verbale dell’autorità di Polizia
"
(istanza 28.08.2014, doc. CRP 1).
Dal suindicato scritto emerge in effetti che, a completazione della sua pratica, la _ necessiterebbe del "
verbale delle autorità intervenute nel luogo del decesso in caso di morte violenta
" (scritto 21.08.2014, p. 2, inc. CRP 1.a).
4.
Stante che la presente fattispecie corrisponde a quella di cui alla decisione 15.05.2014 (inc. CRP _), questa Corte ha rinunciato ad interpellare il procuratore pubblico per presentare eventuali osservazioni.
5.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
6.
Nel caso di specie appare dato un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG della qui istante ad ottenere il
"
verbale delle autorità intervenute nel luogo del decesso in caso di morte violenta
", poiché la presente istanza corrisponde a quella presentata il 10/14.03.2014 (emendata il 18.04.2014) sfociata nella decisione 15.05.2014 di questa Corte, il cui contenuto viene richiamato integralmente in questa sede (inc. CRP _).
Di conseguenza il rapporto di ispezione legale (AI 3), l’attestato di morte datato 1.06.2013 (AI 6 – doc. 1) e la notifica di morte datata 1.06.2013 (AI 6 – doc. 5) vengono trasmessi, in copia, al qui istante unitamente alla presente decisione.
Va da sé che (anche) la summenzionata documentazione potrà essere usata unicamente nell’ambito della richiesta presentata dalla
società di assicurazione _.
7.
L’istanza è accolta ai sensi del surriferito considerando. Si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo già state accollate all’istante nella precedente decisione che concerne la medesima fattispecie (inc. CRP _).
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,014 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
8465742b-dadc-5fb8-961e-43eb0c3fa745
|
in fatto ed in diritto
che in base al rapporto di contravvenzione alla LStup allestito dalla Polizia il 18.08.2014 riguardante IS 1, in data 25.08.2014 il procuratore pubblico Marisa Alfier ha emanato un decreto di non luogo a procedere nei confronti di quest’ultima, ammonendola formalmente (consumo saltuario di cocaina), e meglio come ivi descritto (NLP _);
che il suddetto decreto è regolarmente passato in giudicato, non essendo stato impugnato presso questa Corte;
che con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Ministero pubblico a questa Corte – l’avv. PR 1 chiede, in nome e per conto della sua assistita IS 1, la trasmissione di tutti gli atti del summenzionato procedimento penale, in particolare dei verbali d’interrogatorio 29.07.2014 e 12.08.2014 (doc. CRP 1.a e 1.b), senza tuttavia precisare i motivi che stanno alla base della sua richiesta;
che, come esposto in entrata, il procuratore pubblico non ha formulato osservazioni in merito all’istanza;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stata l’istante parte (in qualità di imputata) nel procedimento nel frattempo terminato, essa deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994, p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – nonostante abbia omesso di precisare i motivi che stanno alla base della presente richiesta – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 (rispettivamente del suo patrocinatore) giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, degli atti istruttori dell’incarto NLP _ (già incarto MP _), segnatamente del rapporto di contravvenzione alla LStup 18.08.2014 (contenente i verbali d’interrogatorio richiesti), poiché il procedimento penale nel frattempo archiviato l’ha interessata personalmente in veste di parte;
che di conseguenza il rapporto di contravvenzione alla LStup 18.08.2014 viene trasmesso, in copia, al patrocinatore della qui istante unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo la qui istante già stata parte al procedimento penale nel frattempo archiviato.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,015 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
84afeaf8-3719-525a-8e36-0ad1dfee2892
|
in fatto ed in diritto
che il 30.06.2009 l’allora procuratore pubblico Clarissa Torricelli ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale IS 1 siccome ritenuto colpevole di furto, di danneggiamento e di violazione di domicilio (in relazione ai fatti accaduti ad _ il 5.01.2009), nonché di contravvenzione alla LStup, e preso atto del consenso espresso il 28.03.2009, ha proposto la sua condanna al lavoro di pubblica utilità di centoventi ore e al pagamento della tassa di giustizia e delle spese giudiziarie, rinviando la parte civile al competente foro per le sue pretese, e meglio come descritto nel DA _ (inc. MP _ e MP _);
che il suddetto decreto è passato in giudicato il 3.08.2009;
che con la presente istanza – trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza, a questa Corte – il patrocinatore di IS 1 evidenzia che nell’ambito della domanda di naturalizzazione agevolata presentata dal suo assistito è emerso che egli, il 30.06.2009, è stato condannato per alcuni reati; di conseguenza chiede di poter esaminare l’incarto penale sfociato nel decreto di accusa 30.06.2009, in particolare la predetta decisione (doc. 1.a e procura ivi annessa);
che, come esposto in entrata, il procuratore pubblico non si oppone alla richiesta;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (quale accusato ai sensi del CPP TI) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta – è pacifico l’interesse giuridico legittimo ex art. 62 cpv. 4 LOG dell’istante ad ottenere copia del decreto di accusa 30.06.2009 (DA _) emanato a suo carico (passato in giudicato il 3.08.2009), poiché l’ha interessato personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che egli necessita di tale documento per la sua domanda di naturalizzazione;
che di conseguenza il decreto di accusa 30.06.2009 (DA _) viene trasmesso, in copia, al patrocinatore del qui istante unitamente alla presente decisione;
che questa Corte autorizza inoltre IS 1, rispettivamente i collaboratori dello PR 1, _, ad esaminare presso il Ministero pubblico tutti gli atti degli incarti penali MP _ e MP _ e, se del caso, a fotocopiare i documenti utili alle loro incombenze, concordando i tempi di accesso con il procuratore pubblico Andrea Pagani;
che l’istanza è accolta ai sensi delle precedenti considerazioni;
che non si prelevano tassa di giustizia e spese, essendo stato l’istante già parte ai procedimenti penali MP _ e MP _ (sfociati nel DA _) nel frattempo archiviati;
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,012 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
84b096a8-1e01-59c4-a665-9ec89081960f
|
in fatto e in diritto:
1.
Con decreto di accusa 28 settembre 2009 il procuratore pubblico ha riconosciuto PI 1 autrice colpevole dei reati di minaccia, danneggiamento di lieve entità e ingiuria, per avere, ad _ il 23 ottobre 2007, incusso giustificato timore a RI 1 minacciandola con le parole “
ti tiro
” mentre impugnava un bastone, danneggiato il veicolo di proprietà di quest’ultima e offeso il suo onore tacciandola di “
disgraziata, bastarda
”.
Il procuratore pubblico ha, pertanto, proposto la condanna di PI 1 alla pena pecuniaria di 12 aliquote giornaliere da fr. 30.- (corrispondenti a complessivi fr. 360.-) sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, oltre alla multa di fr. 300.- e al pagamento di tasse e spese.
La parte civile RI 1 è stata rinviata al competente foro per le pretese di natura civile.
2.
Contro il suddetto decreto d’accusa PI 1 ha interposto tempestiva opposizione.
Con scritto del 30 agosto 2010 al Ministero pubblico, trasmesso poi alla Pretura penale, la parte civile ha postulato la conferma del decreto d’accusa, comunicando tuttavia che “
purtroppo per impegni non potrò presenziare all’udienza
”.
Con sentenza 8 settembre 2010, il giudice della Pretura penale ha prosciolto PI 1 dalle imputazioni contenute nel decreto d’accusa. Il dispositivo della sentenza è stato trasmesso alle parti il 20 settembre successivo.
3.
In data 22 settembre 2010, la parte civile RI 1 ha inoltrato dichiarazione di ricorso contro la sentenza del primo giudice, chiedendo inoltre la trasmissione delle relative motivazioni.
4.
Con decisione 23 settembre 2010, il giudice della Pretura penale, richiamato l’art. 276 cpv. 2 CPP TI, ha considerato irricevibile la dichiarazione di ricorso presentata dalla parte civile considerato che il termine per ricorrere o chiedere la motivazione era scaduto infruttuosamente il 13 settembre precedente.
5.
Con lettera 22 ottobre 2010 RI 1 ha impugnato la suddetta pronuncia, di cui domanda l’annullamento. La parte civile afferma, infatti, di avere comunicato la sua assenza al dibattimento dopo aver “
chiesto informazioni al segretario, che si era limitato a dirmi di non essere obbligata a presenziare, senza però informarmi sulle conseguenze ed in particolare sui termini di eventuali ricorsi
”. A suo avviso, le “
si doveva inviare subito la decisione”
così da permetterle“
di ricorrere entro i termini previsti dall’art. 276 CPP
”.
RI 1 chiede, pertanto, che la sua dichiarazione di ricorso del 22 settembre 2010 venga considerata tempestiva.
Il ricorso non è stato oggetto di intimazione.
6.
Ai sensi dell’art. 276 cpv. 1 CPP TI, conclusa la discussione, il giudice emana la sentenza che è immediatamente comunicata verbalmente nei dispositivi con l'esposizione dei motivi essenziali all'accusato, alla parte civile e al procuratore pubblico. Il giudice avverte, altresì, le parti del diritto di presentare - per il suo tramite - dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale entro cinque giorni e di chiedere, pure entro cinque giorni, la motivazione della sentenza (art. 276 cpv. 2 CPP TI).
Per costante giurisprudenza di questa Corte, l'ammissibilità di un ricorso per cassazione contro sentenze pretorili è subordinata alla preventiva dichiarazione di ricorso dell'interessato, che la norma summenzionata impone sia presentata entro cinque giorni da quello in cui il giudice ha comunicato oralmente la propria decisione. Ciò vale per tutte le parti, compreso il procuratore pubblico e la parte civile, indipendentemente dalla loro presenza o assenza al dibattimento (CCRP, sentenza del 15 luglio 2003 inc. 17.2003.29, consid. 2 e 3 con richiami; sentenza del 15 novembre 2006 inc. 17.2006.54, consid. 2). La Corte di cassazione e di revisione penale ha infatti già avuto modo di stabilire che la parte che non compare al pubblico dibattimento non può pretendere poi di vedersi prorogare il termine di cinque giorni per introdurre la dichiarazione di ricorso, tale termine cominciando a decorrere per tutte le parti dalla comunicazione verbale dei dispositivi. Né incombe al giudice della Pretura penale rendere edotte separatamente le parti assenti del contenuto dei dispositivi pronunciati: tocca semmai a quest’ultime informarsi tempestivamente circa l'esito del processo (CCRP, sentenza del 15 luglio 2003 inc. 17.2003.29, consid. 2).
7.
Nella fattispecie è pacifico che RI 1 ha presentato una dichiarazione di ricorso ben oltre il termine di cinque giorni dal dibattimento.
La ricorrente, ricevuta la comunicazione del rinvio del dibattimento, ha preannunciato di non potervi partecipare, senza peraltro chiedere un aggiornamento dell’udienza. RI 1
era, dunque, a conoscenza del giorno e dell’ora in cui il dibattimento avrebbe avuto luogo e doveva sapere che, anche in caso di sua assenza, il processo si sarebbe tenuto e che il giudice della Pretura penale avrebbe statuito, ciò che del resto era espressamente indicato nella citazione: “
La parte civile e la parte lesa, se non separatamente citate come testimoni, non hanno invece l’obbligo di comparsa: il dibattimento avrà luogo anche in loro assenza. La sentenza verrà emanata al termine del dibattimento e comunicata verbalmente ai presenti (art. 276 CPP)
”.
Il termine di cinque giorni per la
dichiarazione di ricorso è, come ricordato,
fissato dalla legge e deve essere ottemperato a prescindere dal fatto che la parte fosse presente o meno al momento della lettura del dispositivo: la sua assenza al dibattimento non le conferisce il diritto di formulare dichiarazione di ricorso a partire dalla ricezione della sentenza per via postale. Per contro, spettava a lei interessarsi con solerzia, almeno telefonicamente, circa l'esito del processo, alfine di presentare la sua dichiarazione di ricorso nel rispetto dei termini.
La decisione di inammissibilità della dichiarazione di ricorso resa dal primo giudice è pertanto ineccepibile.
Il ricorso 22 ottobre 2010 va, quindi, respinto.
8.
Tasse né spese di giustizia seguono la soccombenza.
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
|
84beecf2-9d8a-5ad0-8611-d669ade1a07e
|
in fatto: A.
Con decreto di accusa del 9 maggio 2005 il Procuratore pubblico ha dichiarato RI 1 autore colpevole di ricettazione per avere, l'11 febbraio 2005, acquistato da sconosciuti a L_ due camere digitali, un'Olympus “Camedia C-370 Zoom” (del valore di fr. 248.–) e una Sony “DSC-P100” (del valore di fr. 699.–), pagandole fr. 200.– complessivi, sapendo o dovendo supporre che provenivano da reati contro il patrimonio. Rubate a L_ quello stesso 11 febbraio 2005, le due camere erano poi state restituite al negozio Manor Sud SA. In applicazione della pena, il Procuratore pubblico ha proposto la condanna dell'accusato a 8 giorni di detenzione sospesi condizionalmente per 2 anni. La parte civile Manor Sud SA è stata rinviata a far valere le sue pretese davanti al foro competente. Al decreto di accusa RI 1 ha sollevato opposizione. Statuendo sull'opposizione, con sentenza dell'11 novembre 2005 il presidente della Pretura penale ha confermato il decreto di accusa.
B.
Contro la sentenza appena citata RI 1 ha introdotto il 15 novembre 2005 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta, presentata il 19 dicembre successivo, egli chiede la sua assoluzione e la riforma in tal senso del giudizio impugnato. Il ricorso non ha formato oggetto di intimazione.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288
lett. a e b CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono sindacabili unicamente qualora la sentenza impugnata denoti estremi di arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì apertamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare anche impugnata né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 173 consid. 3.1 pag. 178, 128 I 273 consid. 2.1 pag. 275).
2.
Il presidente della Pretura penale ha accertato che, fermato dalla polizia il 12 novembre 2005 perché trovato in possesso di due camere digitali rubate il giorno prima all'emporio Manor di L_, il prevenuto ha dichiarato che la Sony “DSC-P 100” gli era stata offerta da una ragazza il giorno prima davanti al bar “_” ed egli l'aveva comperata per fr. 80.–, spuntandola su due altri interessati, mentre l'Olympus “Camedia C-370 Zoom” gli era stata venduta quello stesso giorno da un ragazzo per fr. 120.–. Egli ha sostenuto di non avere avuto dubbi sulla provenienza della merce. Invitato a precisare se conoscesse i due altri interessati all'acquisto della prima fotocamera, egli ha risposto affermativamente, pur soggiungendo di non ricordarne il nome (sentenza, pag. 2 seg. con riferimento al verbale di interrogatorio del 12 febbraio 2005).
Al dibattimento – ha continuato il presidente della Pretura penale – l'accusato ha asserito invece di avere incontrato davanti al bar “Isolino” due suoi amici, i quali stavano parlando con un ragazzo e una ragazza intenzionati a vendere una macchina fotografica. Interpellato dagli amici, egli aveva comperato così dal ragazzo l'Olympus “Camedia C-370 Zoom” per fr. 120.–. Il ragazzo gli aveva poi mostrato la Sony “DSC-P 100”, che egli aveva comperato per fr. 80.–, dietro promessa di vedersi consegnare il foglio di garanzia e il tagliando d'acquisto. Sempre al dibattimento l'accusato ha affermato di avere comperato gli apparecchi non per necessità, ma cedendo all'insistenza del ragazzo, che diceva di avere bisogno di soldi per sfamarsi. Contestatagli la diversa versione fornita alla polizia, egli ha obiettato di avere fatto notare subito all'interrogante che il verbale non era corretto, ma di essere stato rassicurato nel senso che quell'atto era solo provvisorio (sentenza, pag. 3). Il 12 febbraio 2005 l'accusato si era poi recato alla Manor per procurarsi le batterie destinate alle fotocamere, salvo essere fermato dal commesso che aveva riconosciuto i due apparecchi rubati il giorno prima e aveva chiamato la polizia. Alla restituzione delle fotocamere RI 1 non si era opposto. Alla domanda di sapere se non fosse contrariato per avere perduto fr. 200.–, egli non aveva risposto, dando l'impressione che la cosa poco gli importasse (sentenza, pag. 3 seg.).
In aula è stato sentito davanti al presidente della Pretura penale anche un testimone, il quale ha dichiarato di avere raggiunto il 12 febbraio 2005 in tarda mattinata (e non nel pomeriggio, come pretendeva l'accusato) il bar “_”, di avere visto RI 1 sul marciapiede di fronte al bar parlare con due giovani e di averlo salutato all'atto di lasciare l'esercizio pubblico. Egli aveva notato così che un ragazzo cercava di vendere due apparecchi fotografici, ma che l'accusato esigeva la consegna della garanzia e dello scontino di acquisto. Il ragazzo aveva rassicurato allora l'interlocutore che vi avrebbe provveduto e l'accusato gli aveva detto che se non avesse ricevuto quei giustificativi avrebbe portato le fotocamere in polizia. Il testimone non ha sentito parlare di prezzo, essendosene andato prima che i due avessero finito di contrattare. Ha confermato però che, come asseverava l'accusato, nella zona del bar “_” operano spesso persone che propongono l'acquisto di merce varia (sentenza, pag. 4).
3.
Premesso che l'art. 160 n. 1 CP punisce con la reclusione fino a cinque anni o con la detenzione chiunque acquista, riceve in dono o in pegno, occulta o aiuta ad alienare una cosa mobile che sa o deve presumere ottenuta da una terzo mediante un reato contro il patrimonio, il presidente della Pretura penale ha rilevato che dal profilo soggettivo l'autore deve conoscere l'origine illecita del bene, ma che il dolo eventuale basta, essendo sufficiente che l'autore si accomodi della possibile origine furtiva (sentenza, pag. 5). Nella fattispecie – egli ha ritenuto – concorrevano a formare il convincimento che l'accusato dovesse dubitare fortemente della provenienza della merce non solo il luogo della vendita, in cui si svolgono traffici poco chiari e ci si può aspettare di tutto, ma anche la circostanza che i due apparecchi fossero detenuti da un soggetto singolarmente affamato, il quale però aveva mostrato la seconda macchina fotografica solo dopo avere venduto la prima (sentenza, pag. 5). Che del resto l'accusato si fosse insospettito risultava dall'insistenza con cui egli aveva chiesto al ragazzo gli scontrini e le garanzie, minacciando di rivolgersi alla polizia se non gli fossero stati consegnati.
Per di più – ha soggiunto il primo giudice – la credibilità dell'accusato mal si conciliava con le contrastanti versioni dei fatti da egli fornite, diverse anche rispetto a quanto aveva dichiarato il testimone al dibattimento. Non aveva trovato conferma, in particolare, la presenza di amici intenti a parlare con i due ragazzi al suo arrivo, la circostanza che quegli amici lo avessero interpellato per proporgli l'acquisto, l'interesse di loro per gli apparecchi fotografici, l'offerta della seconda macchina solo dopo l'acquisto della prima, il fatto di avere spuntato il primo acquisto vincendo la concorrenza di terzi e la sostanziale indifferenza per la perdita della somma versata invano, nella quasi consapevolezza che l'affare potesse tradursi in un cattivo investimento. Tenuto conto di tutto ciò, l'accusato doveva avere per lo meno presunto che il venditore non era il proprietario della merce, accettando il rischio di comperare apparecchi di provenienza illecita (sentenza, pag. 5 seg.).
4.
Il ricorrente nega di avere accettato l'idea di comperare beni di origine furtiva. Ora, quanto l'autore sa, vuole o accetta è una questione di fatto (DTF 128 I 177 consid. 2.2 pag. 183, 128 IV 53 consid. 3 pag. 63, 125 IV 242 consid. 2 pag. 252). Al riguardo la Corte di cassazione e di revisione penale è vincolata pertanto – come il Tribunale federale – agli accertamenti non arbitrari del giudice di merito (DTF 123 IV 155 consid. 1 pag. 156, 121 IV 18 consid. 2b/bb pag. 23 con rinvii). Sapere invece se i fatti
accertati configurino dolo eventuale è una questione di diritto, che la Corte
di cassazione e di revisione penale esamina –come il Tribunale federale– con pieno potere cognitivo (sentenza del Tribunale federale 6S.110/2005 del 1° settembre 2005, consid. 5.2). Commette ricettazione per dolo eventuale chi accetta l'eventualità che la cosa provenga da un reato contro il patrimonio. Ciò deve risultare da un'analisi complessiva degli elementi concreti del caso specifico, i quali devono far apparire più verosimile tale ipotesi rispetto a quella contraria (DTF 119 IV 242 consid.
2b pag. 247;
Corboz
, Les infractions en droit suisse, vol. I, Berna 2002, n. 48 ad art. 160 CP).
5.
A parere del ricorrente il luogo in cui egli ha comperato le fotocamere non è un angolo malfamato, come reputa il presidente della Pretura penale. È solo un posto frequentato da etnie diverse dedite a commerci vari. Quanto al bar “Isolino”, esso è il ritrovo di persone che, come lui, fanno parte di una società di calcio. Ed egli ha sempre sostenuto di avere incontrato casualmente i venditori mentre era alla ricerca del suo gatto, fuggito di casa (verbale del 12 febbraio 2005). Egli si trovava perciò in un luogo abituale, che il primo giudice ha enfatizzato, descrivendolo come un quartiere losco. La doglianza cade nel vuoto, poiché nella sentenza impugnata il presidente della Pretura penale non ha descritto i paraggi del bar come il ricorrente adduce. Si è limitato ad accertare che “la zona del bar ‘_’, per stessa ammissione dell'accusato, è un luogo frequentato da etnie diverse, dove vengono svolti traffici vari (la gerente del bar, a detta del testimone, ha dovuto istaurare un divieto generale all'interno dell'esercizio pubblico per evitare problemi)”. Tale accertamento non è censurato di arbitrio e nemmeno si vede perché dovrebbe essere arbitrario, il ricorrente ripetendo con altre parole le stesse cose. Quanto alla deduzione che il primo giudice ne ha tratto, ovvero che in un luogo del genere “ci si può e ci si deve aspettare di tutto, soprattutto con persone sconosciute e in presenza di altri indizi”, mal si comprende perché essa dovrebbe essere insostenibile o anche solo erronea. Chi acquista merce da un passante che asserisce di doversi sfamare (“altri indizi”) in un luogo dove si tengono commerci poco trasparenti non può poi ragionevolmente dirsi sorpreso nello scoprire che il bene è di provenienza furtiva. Tanto meno se acquista apparecchi praticamente nuovi a un prezzo irrisorio. Nella prospettiva del dolo eventuale, quindi, la sentenza impugnata sfugge senz'altro alla critica.
6.
Obietta il ricorrente che non solo la località dell'acquisto, ma anche la ragazza che gli ha venduto la prima fotocamera era a lui conosciuta, onde la sua buona fede. Così argomentando, in realtà, egli sorvola sul fatto che per sua stessa ammissione uno dei venditori (il ragazzo) gli era del tutto estraneo, tanto da non averlo mai visto prima, mentre la ragazza gli era nota solo di vista. In simili condizioni non si può certo rimproverare il primo giudice per avere considerato i due giovani alla stregua di semplici passanti, nei quali il ricorrente non aveva motivo di nutrire particolare fiducia. Del tutto inconcludente, su questo punto il ricorso è di nuovo destinato all'insuccesso.
7.
Il ricorrente sottolinea la propria diligenza nell'esigere dal venditore la consegna della garanzia e dello scontrino d'acquisto, ciò che il ragazzo gli aveva promesso di rimettergli la sera stessa o l'indomani, avendo egli minacciato di rivolgersi altrimenti alla polizia. Tale comportamento sarebbe una prova di assoluta buona fede. La tesi potrebbe anche essere di rilievo, se non risultasse inficiata dal contegno dell'accusato medesimo. Intanto giova ricordare che la promessa del ragazzo non è stata udita dal testimone, sicché nulla rende verosimile che il ricorrente avrebbe dovuto ricevere i citati giustificativi entro sera. In ogni modo, anche a prescindere da ciò, fosse stato realmente l'accusato nell'attesa di vedersi consegnare i documenti così insistentemente richiesti, mal si intravede come mai egli si sia procurato con tanta solerzia le batterie per le fotocamere. Non avesse ricevuto nulla entro sera, infatti, egli avrebbe consegnato il tutto alla polizia. Che poi
egli si sia recato per comperare gli accumulatori proprio all'emporio Manor (dov'era stato perpetrato il furto) non è una dimostrazione di buona fede, il primo giudice non avendo accertato ch'egli sapesse o dovesse sapere provenire la merce dal quel negozio. Una volta ancora, dunque, sotto il profilo del dolo eventuale non è dato di scorgere alcun ragionamento arbitrario o anche solo erroneo da parte del presidente della Pretura penale.
8.
Infine il ricorrente contesta di non essere credibile per avere fornito contrastanti versioni dell'accaduto. Nella motivazione egli perde completamente di vista, però, il limitato potere cognitivo di questa Corte nel vagliare l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove. Il ricorso si connota come un atto d'appello nell'ambito del quale l'interessato si limita a esporre il proprio punto di vista, privo del benché minimo accenno ad eventuali arbitrii in cui sarebbe caduto il primo giudice. Inadeguatamente motivato, al riguardo l'esposto risulta finanche irricevibile.
9.
Se ne conclude che, nella misura in cui è ammissibile, il ricorso risulta privo di fondamento. Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 combinato con l'art. 9 cpv. 1 CPP). Non si pone invece problema di ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP), il ricorso non avendo formato oggetto di intimazione.
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,006 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8506d21b-f4c7-567f-9f19-f1538d5c90af
|
in fatto ed in diritto
1.
A seguito della denuncia 9/10.11.2009 sporta da IS 1 nei confronti, tra l’altro, di _ (curatore di sua madre) e di PI 2 (sua sorella) per l’ipotesi di reato di coazione giusta l’art. 181 CP, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale sfociato nel decreto di non luogo a procedere 4.6.2010 (NLP _) emanato dal procuratore pubblico Andrea Pagani. Avverso il citato decreto non è stata presentata un’istanza di promozione dell’accusa ex art. 186 CPP TI.
2.
Con la presente istanza –
completata con scritto 16/18.5.2011 su richiesta di questa Corte
– IS 1 chiede di ottenere copia del verbale d’interrogatorio di PI 2 sentita in qualità di teste (recte: denunciata) nell’ambito del surriferito procedimento penale, poiché gli necessita nella causa civile di cui all’incarto _ (recte: _) promossa dal curatore _ _ presso la Pretura di _.
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.1.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
Nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (quale denunciante) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo
.
Come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.3.1987, ad art. 8 p. 10). Inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19).
Lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG.
5.
Dalla lettura dell’incarto penale emerge una situazione familiare complicata e dei rapporti personali non proprio tranquilli.
Dal punto di vista dell’interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG e della giurisprudenza di questa Corte, non si può negare a priori un interesse dell’istante, poiché è stato parte del procedimento penale di cui all’incarto MP _ nel frattempo archiviato.
Ciononostante, considerato che la richiesta del verbale d’interrogatorio è fatta in relazione alla procedura civile pendente presso la Pretura di _, è in quell’ambito che dovrà essere operato il richiamo dell’incarto penale MP _.
6.
Alla luce di quanto sopra esposto, l’istanza è respinta. Non si prelevano tassa di giustizia e spese vista la particolarità della fattispecie.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
8533f1d1-8360-58f4-88a7-cf6a4ab5251a
|
in fatto ed in diritto
1.
A seguito della querela sporta il 25/27.08.2012 da _ a carico di sua moglie PI 1 e del suo compagno _ per varie ipotesi di reato in relazione ai presunti fatti avvenuti a _ il _, l’allora procuratore pubblico Amos Pagnamenta ha decretato l’apertura dell’istruzione (inc. MP 2012.7962) nei confronti di PI 1 per le ipotesi di reato di lesioni semplici, diffamazione, calunnia, ingiuria e minaccia, e nei confronti di _ per le ipotesi di reato di diffamazione, calunnia, ingiuria e minaccia. Il procedimento penale è sfociato nel decreto di non luogo a procedere 28.11.2012 per recesso di querela (NLP _).
2.
Con la presente istanza la IS 1, richiamando l’art. 62 cpv. 4 LOG e la giurisprudenza dell’allora Camera dei ricorsi penali, postula la trasmissione degli incarti penali MP _, _ e _, essendo stati richiamati con il consenso del pretore e delle parti con ordinanza sulle prove 7.11.2014 ai fini dell’istruttoria della causa di cui all’incarto _ promossa in data 3.02.2014 da PI 1 (patr. da: avv. PR 1, _), contro PI 2, _ (patr. da: avv. PR 2, _), tendente ad ottenere l’accertamento dell’inesistenza del debito di CHF 5'645.20, oltre interessi e spese.
3.
Da informazioni assunte da questa Corte è emerso che l’incarto MP _ è stato archiviato (NLP 4195/2012), mentre gli incarti MP _ e _ sono tuttora pendenti presso il Ministero pubblico (doc. CRP 3). Di conseguenza gli incarti MP _ e _ sono stati restituiti, unitamente ad una copia della presente istanza, al Ministero pubblico per competenza e per evasione in applicazione dell’art. 101 cpv. 2 CPP (
secondo cui altre autorità possono esaminare gli atti se necessario per la trattazione di procedimenti civili, penali, amministrativi pendenti se non vi si oppongono interessi pubblici o privati preponderanti; cfr., ad esempio, decisione TF
1B_530/2012 del 12.11.2012, consid. 4; decisione TF 1B_545/2010 del 12.11.2012, consid. 4).
Per quanto concerne, per contro, l’incarto MP _ è data la competenza di questa Corte giusta l’art. 62 cpv. 2 LOG, poiché il procedimento penale è sfociato in un NLP ed è quindi concluso.
Su richiesta 19.11.2014 di questa Corte (sollecitata il 9.12.2014), la IS 1 ha trasmesso la motivazione alla base del richiamo dell’incarto MP _ sfociato nel NLP _, mediante lo scritto 13.01.2015 dell’avv. PR 1. Il citato legale osserva che i tre incarti richiamati conterrebbero della documentazione falsificata e le dichiarazioni degli imputati da cui sarebbe possibile chiarire come sia avvenuta la falsificazione della firma della sua assistita ai fini dell’istruttoria della vertenza (doc. CRP 7.a).
4.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha nella sostanza ripreso il testo del previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
Come ricordato dalla prassi di questa Corte, in caso di richiesta da parte di autorità giudiziarie tendente ad ottenere documenti di un incarto penale, la giurisprudenza ammette la richiesta se:
(i) si riferisce a procedimenti ancora pendenti presso l'autorità richiedente;
(ii) è compatibile con il codice di rito applicabile a quel procedimento;
(ii) è formulata dal titolare dell’autorità giudiziaria richiedente.
Inoltre deve essere dato un legame di pertinenza dell’incarto richiamato con quello richiamante.
5.
Nella fattispecie in esame – stante il contenuto dell’incarto penale MP _
qui richiamato,
l’oggetto della vertenza civile e le motivazioni apportate dall’avv. PR 1 mediante il suo scritto 13.01.2015 – non è data alcuna connessione tra il procedimento penale nel frattempo archiviato e la causa civile di cui all’incarto _ pendente presso la Pretura istante.
In effetti, la fattispecie del procedimento penale
sfociato nel NLP _ non riguarda l’oggetto del contendere civile, in particolare non contiene alcuna documentazione falsificata e non concerne alcuna falsificazione della firma.
Di conseguenza l’istanza deve essere respinta.
6.
L’istanza è respinta. Stante la particolarità della fattispecie, si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,015 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
855e4ba6-952a-55ab-a12d-6cb581840579
|
in fatto e in diritto:
1.
Con decreto n. 5101 del 16 febbraio 2007, cresciuto in giudicato, l’Ufficio giuridico della circolazione ha emesso una multa di fr. 40.- a carico di RI 1. Falliti tutti i tentavi di incassare la multa, con decreto 18 novembre 2009 il GIAP ha commutato tale multa in un giorno di detenzione.
2.
Contro la predetta decisione è insorto RI 1, asserendo di non aver mai ricevuto lo scritto del 4 agosto 2009 con il quale il GIAP gli ha impartito un termine per presentare osservazioni o per decidersi in merito ad un eventuale lavoro di utilità pubblica.
3.
Con osservazioni 22 dicembre 2009, il GIAP chiede la reiezione del gravame rilevando come esso sia arbitrario ritenuto che in data 14 settembre 2009 era stata concessa a RI 1, su sua richiesta telefonica di pari data, una proroga del termine per osservazioni sino al 30 settembre 2009.
4.
Giusta il nuovo art. 341 cpv. 1 lit. a CPP, in vigore dal 1° gennaio 2007, la Corte di cassazione e revisione penale è competente per i ricorsi contro le decisione del GIAP nei casi dell’art. 339 cpv. 1 lit. a, b e k CPP. In particolare, è competente a verificare le decisioni del GIAP nella misura in cui questi esercita tutte le altre attribuzioni che il diritto federale riserva al giudice dopo la crescita in giudicato della sentenza penale, esclusi i casi in cui il diritto federale assegna espressamente la competenza al Tribunale che ha pronunciato la sentenza o che deve giudicare la nuova infrazione (art. 339 cpv. 1 lit. k CPP). La commutazione di una multa in una pena detentiva sostitutiva (art. 36 CP su rinvio dell’art. 106 cpv. 5 CP) rientra tra le decisioni di competenza del GIAP giusta l’art. 339 cpv. 1 lit. k CPP e come tale, di principio, può essere oggetto di ricorso alla CCRP.
La competenza della CCRP per i ricorsi contro le decisioni di commutazione della multa era già stata confermata dal Tribunale federale prima dell’entrata in vigore dei disposti del CPP concernenti l’allora nuova figura del GIAP (art. 339 segg. CPP). L’Alta Corte aveva allora avuto modo di osservare che la competenza della CCRP a statuire sui ricorsi contro decisioni di commutazione di multa si giustificava ritenuto la valenza di sentenza e gli effetti materiali delle stesse, nonché la migliore tutela giuridica del ricorrente, vista la grave restrizione della libertà personale ch'essa comporta (STF del 2 ottobre 2006, inc. 1P.348/2004).
5.
Secondo l'art. 7 CPP l'intimazione delle sentenze e degli atti del processo penale avviene per invio postale o per mezzo di usciere o della polizia (cpv. 1), in applicazione analogica delle disposizioni del Codice di procedura civile (cpv. 2).
Di regola, una notificazione avviene dunque per invio raccomandato, con o senza ricevuta di ritorno, in conformità con i regolamenti postali (art. 124 cpv. 1 CPC). Alle persone domiciliate nel Cantone la notifica avviene mediante consegna dell'atto al destinatario, nel luogo in cui questi dimora o svolge la sua attività, oppure al suo rappresentante. In caso di assenza, il plico è rimesso ad una persona adulta della sua famiglia o ad un suo impiegato (art. 120 CPC).
L'onere della prova circa l'atto e il momento della notifica di una decisione incombe, di principio, all'autorità che intende trarne conseguenze giuridiche (sentenza CCRP del 7 gennaio 2010, inc. 17.2009.55, consid. 2.2).
6.
Nel caso concreto, dalla documentazione prodotta con il ricorso non emergono prove in relazione alla notifica della lettera 4 agosto 2009 del GIAP, che non risulta essere avvenuta con invio raccomandato, né della successiva concessione di una proroga del termine per formulare osservazioni, concessa in base ad una telefonata che il ricorrente nega di aver compiuto.
A fronte delle contestazioni del ricorrente e in considerazione dell’onere probatorio che incombe all’autorità – le affermazioni del GIAP in questa sede non essendo sufficienti a comprovare l’accaduto – il ricorso di RI 1 deve trovare accoglimento. Si giustifica pertanto di annullare il decreto 18 novembre 2009 e rinviare gli atti al GIAP affinché provveda ad una regolare notifica a mezzo raccomandata del termine per pronunciarsi sull’istanza 7 aprile 2009 dell’Ufficio esazione e condoni, previa analisi dell’eventuale intervento della prescrizione della pena.
7.
Gli oneri del giudizio odierno sono posti a carico dello Stato. Non si attribuiscono ripetibili al ricorrente, di formazione giuridica, che ha formulato brevi osservazioni.
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,010 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
|
857828c5-9962-5d66-a901-b5fb0ef76523
|
in fatto ed in diritto
che
IS 1, studentessa di economia politica,
chiede di poter visionare gli atti di procedimenti penali riguardanti reati finanziari inerenti agli anni 2001-2011 e di estrapolare i relativi dati anonimizzati dal sistema informatico AGITI per effettuare un’analisi statistica ed econometrica, ovverossia per redigere un rapporto statistico-descrittivo sull’evoluzione del criminale finanziario "
tipo
" presso la Sezione Reati economico-finanziari della Polizia cantonale (ove farà uno stage dal 25.06.2012) sotto la supervisione di _ e per la sua tesi di Master presso l’Università di _ (cfr., nel dettaglio, istanza 22/25.05.2012 e documentazione ivi annessa);
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nella fattispecie in esame – ritenuti i motivi addotti da IS 1 nella sua richiesta e la finalità perseguita – si deve senz’altro ammettere l’esistenza di un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG, essendo alla presenza di un interesse sia scientifico sia pubblico prevalente sui diritti personali delle persone coinvolte nei procedimenti penali finanziari riguardanti il periodo 2001-2011 e nel frattempo archiviati;
che considerato come il trattamento dei dati sia anonimo, non si pongono problemi inerente al diritto all’oblio e non è necessario ottenere il consenso di tutti gli interessati;
che in siffatte circostanze IS 1 è autorizzata da questa Corte ad accedere agli atti dei procedimenti penali finanziari nel frattempo archiviati inerenti agli anni 2001-2011 mediante il sistema informatico AGITI in uso al Ministero pubblico e, se del caso, in uso al Tribunale penale cantonale, e ad estrapolare i dati necessari per la sua ricerca, e ciò in forma anonimizzata;
che nell’ipotesi in cui alcuni documenti non dovessero essere disponibili nel sistema informatico AGITI, per i procedimenti penali finanziari inerenti agli anni 2001-2011 sfociati in un processo, l’accesso agli atti da parte di IS 1 potrà avvenire presso il Tribunale penale cantonale, compatibilmente con gli impegni dei collaboratori della sua cancelleria;
che per i procedimenti penali finanziari inerenti agli anni 2001-2011 non sfociati in un atto d’accusa, l’accesso agli atti da parte di IS 1 potrà avvenire presso il Ministero pubblico, compatibilmente con gli impegni dei collaboratori della sua cancelleria/dei procuratori pubblici;
che l’eventuale accesso agli atti – limitato al rilievo dei dati utili ai fini della ricerca – potrà avvenire unicamente presso uffici messi a disposizione dal Tribunale penale cantonale, dal Ministero pubblico o presso il Palazzo di giustizia di Lugano;
che IS 1 non potrà estrarre fotocopie, così come non potrà asportare atti/documenti dalla sede dell’esame degli atti;
che la trattazione dei dati dovrà essere anonima;
che IS 1, prima di iniziare il suo lavoro di ricerca, dovrà sottoscrivere una dichiarazione con la quale s’impegna a rispettare il segreto d’ufficio;
che l’istanza è accolta ai sensi delle precedenti considerazioni;
che stante lo scopo della presente richiesta, si rinuncia al prelievo della tassa di giustizia e delle spese.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,012 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
858505fd-0bc4-5294-82fa-ac351fed9cf9
|
in fatto ed in diritto
1.
In data 9.09.2002 la Corte delle assise correzionali di _, presieduta dall’allora giudice Agnese Balestra-Bianchi, ha emanato una sentenza di condanna a carico – tra le altre persone – di PI 3 (inc. TPC _).
In quell’occasione è stata in particolare ordinata la confisca del credito di CHF 300'000.-- di PI 2 nei confronti di PI 3 (sentenza 9.09.2002, dispositivo no. 13, p. 105, inc. TPC _).
Adita da PI 3, il 27.02.2003 la (allora) Corte di cassazione e di revisione penale ha respinto, nella misura in cui era ammissibile, il suo ricorso per cassazione del 15.10.2002 (inc. CCRP _).
Il surriferito giudizio non è stato impugnato davanti al Tribunale federale.
Non è dato a sapere se il credito confiscato sia stato posto in esecuzione o meno.
2.
Con la presente istanza la IS 1, per il tramite del suo direttore e del Servizio giuridico, richiamando gli art. 62 cpv. 4 LOG, 185 LT e 112 LIFD e la giurisprudenza, chiede la trasmissione della sentenza del 2.09.2002 (recte 9.09.2002) e di ottenere informazioni inerenti alla pretesa dello Stato nei confronti di PI 3 ivi connessa.
A sostegno della sua richiesta precisa che PI 3
"
(...) ha esposto dal periodo fiscale 2003 B un debito di fr. 300'000.-- nei confronti della Repubblica e Cantone Ticino a seguito della sentenza del 2 settembre 2002
(recte 9.09.2003)
. Il patrocinatore del contribuente ha segnalato, in data 24 maggio 2013, al contribuente stesso che sarebbe corretto non indicare nella dichiarazione d’imposta il debito privato di fr. 303’00
(recte 303'000.--)
, ritenuto che la pretesa va considerata estinta e non perseguibile da parte del creditore. Riteniamo quindi necessario accertare i fatti, segnatamente se negli anni passati era corretto inserire il debito e se questi è in realtà oggi estinto, per una corretta imposizione del contribuente
"
(istanza 19/20.11.2013, p. 2, doc. CRP 1 e scritto 24.05.2013 dell’avv. PR 2 ivi annesso, doc. CRP 1.a).
3.
Come esposto in entrata, PI 3 comunica che, limitatamente al tema in questione, non vi è ragione d’impedire l’accesso all’autorità istante.
4.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
5.
L’allora Camera dei ricorsi penali (dall’1.01.2011 Corte dei reclami penali), in base al previgente art. 27 CPP TI e alla giurisprudenza del Tribunale federale, aveva stabilito quanto segue:
"
Non essendo di regola l’autorità fiscale parte ad un procedimento penale (tranne che nei casi di frode fiscale), ma sostanzialmente terzo, la decisione relativa ad una sua richiesta di informazioni riguardo ad un incarto penale compete a questa Camera in virtù dell’art. 27 cpv. 1 CPP (decisione CRP 4.7.2006, inc. 60.2006.99; decisione TF 2C_443/2007 del 28.7.2008).
Questa Camera non solo decide l’ammissibilità o meno della richiesta, ma è competente pure per fissare le modalità di ispezione degli atti (art. 27 cpv. 2 CPP), applicando a titolo analogetico il criterio dell’utilità potenziale (in base al quale la cooperazione va rifiutata unicamente se gli atti richiesti non appaiono in alcun modo in rapporto con l’infrazione perseguita e sono manifestamente inadeguati a far procedere l’inchiesta), sviluppato nell’ambito di applicazione della AIMP. In questo senso si è espresso il TF (decisione 2C_443/2007 del 28.7.2008, cons. 6):
"
D'altronde l'autorità rogata e le relative istanze di ricorso devono certo
esaminare la necessità, per l'applicazione della legge, dell'informazione e dei documenti sollecitati. La valutazione dell'effettiva rilevanza di
tali dati per l'imposizione fiscale delle persone coinvolte è però eviden
temente di competenza dell'autorità di tassazione, esperiti tutti i ne
cessari accertamenti in quest'ottica (cfr., per analogia, DTF 129 II 484
consid. 4.1; 128 II 407 consid. 5.2.1; 127 II 142 consid. 5a).
Come già in passato, l'autorità fiscale può utilizzare le informazioni ap
prese nella consultazione di un incarto penale anche contro terze per
sone non coinvolte nel procedimento e sulla cui situazione fiscale ini
zialmente non vi era alcuna necessità di approfondimento. Essa può
inoltre aver accesso anche a documentazione coperta dal segreto
bancario, nella misura in cui la stessa è stata ottenuta o sequestrata in
modo legittimo nell'ambito del procedimento penale (DTF 124 II 58
consid. 3; sentenza
2A.28/1997
del 20 novembre 1998, in: StE 1999 B
92.13 n. 5, consid. 2a).
La giurisprudenza pone comunque dei Iimiti
al diritto di esame da par
te dell'autorità fiscale. In particolare, è escluso che quest'ultima possa
domandare di aver accesso agli atti di un procedimento allo scopo di
condurre un'azione di ricerca generale, senza aver motivo di supporre
che la legge non sia stata applicata correttamente. L'obbligo di colla
borazione non permette infatti al fisco di consultare indistintamente e
senza obiettivo concreto tutti i documenti di un'altra autorità (DTF 124
II 58 consid. 3d e 3e; sentenza
2A.406/1995
del 14 marzo 1996, in:
ASA 65 pag. 649, consid. 5b)
".
Gli stessi principi valgono oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG.
6.
Come visto, nel dispositivo no. 13 della sentenza 9.09.2002 emanata dalla Corte delle assise correzionali di _ è stata ordinata la confisca del credito pari a CHF 300'000.-- di PI 2 nei confronti di PI 3.
Dalla lettura della predetta sentenza emerge al proposito che PI 2, nell’autunno del 1994, ha in sostanza concesso a PI 3 un prestito di CHF 300'000.-- senza interessi, senza formalità, lasciando intendere che mai ne avrebbe preteso il rimborso, e ciò in cambio di diversi favori [sentenza 9.09.2002, p. 59 (in fondo) ss., inc. TPC _].
A giudizio di questa Corte queste informazioni appaiono sufficienti per valutare se PI 3 abbia correttamente inserito il debito in questione nel formulario della dichiarazione d’imposta riguardante il periodo fiscale 2003B (cfr., al proposito, doc. CRP 1.a).
È dunque, di principio, adempiuto un interesse giuridico legittimo da parte dell’IS 1 istante giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG che prevale sugli interessi personali di PI 3.
In siffatte circostanze – dopo il passaggio in giudicato della presente decisione – questa Corte trasmetterà, in copia, all’IS 1 la pagina 1 (limitatamente a PI 3), la pagina 9, la pagina 10, da pagina 59 (ultime due righe) fino a pagina 73 (primo paragrafo), la pagina 105 (limitatamente al dispositivo no. 13) della sentenza 9.09.2002 (inc. TPC _) riguardanti il
credito di CHF 300'000.-- di PI 2 nei confronti di PI 3, e ciò
a tutela degli interessi privati e della sfera personale delle altre parti coinvolte nel procedimento penale e in ossequio al diritto di essere sentito.
Va da sé che i collaboratori dell’IS 1 sono tenuti al segreto d’ufficio/fiscale.
7.
L’istanza è accolta ai sensi del surriferito considerando. Visti gli art. 112 LIFD e 185 LT, si prescinde dal prelievo di tassa di giustizia e spese.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,014 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
8585bf10-6718-5207-9387-1f78dc7963ea
|
in fatto
a
. Con decisione 22.12.2010 la Corte delle assise criminali ha ritenuto, tra l’altro, RE 1 (_) autore colpevole di ripetuta truffa aggravata, di ripetuta falsità in documenti, di distrazione di valori patrimoniali sottoposti a procedimento giudiziale, di sottrazione di cose requisite o sequestrate, di infrazione alla legge federale sull’assicurazione contro la disoccupazione e di importazione, acquisto e deposito di monete false.
La predetta Corte l’ha condannato, constatata la violazione del principio di celerità e tenuto parzialmente conto del lungo tempo trascorso dai fatti, alla pena detentiva di trenta mesi, da dedursi il carcere preventivo sofferto (decisione 22.12.2010, p. 166 ss., inc. TPC _), pari, secondo l’indicazione del giudice dei provvedimenti coercitivi, a sessantanove giorni.
Il 9.6.2011 la Corte di appello e di revisione penale, sedente quale Corte di cassazione e di revisione penale, ha respinto, nella misura in cui era ammissibile, il ricorso 11.2.2011 di RE 1 contro il citato giudizio (inc. CARP _).
Il Tribunale federale, con sentenza 22.12.2011, ha infine respinto l’impugnativa presentata dall’imputato (inc. TF _).
b
. L’Ufficio del giudice dei provvedimenti coercitivi, il 3.1.2012, ha invitato RE 1 a contattarlo entro il 17.1.2012 allo scopo di concordare tempi e modalità di espiazione della pena detentiva di trenta mesi, dedotto il carcere preventivo.
Di seguito, il 18.1.2012, preso atto che il condannato aveva chiesto di essere sentito, ha fissato un’udienza per il 6.2.2012.
c
. Il 6.2.2012 ha avuto luogo l’udienza, presenti Krizia Genini, segretaria giudiziaria dell’Ufficio del giudice dei provvedimenti coercitivi, RE 1 ed il suo legale, per discutere il collocamento iniziale (art. 76 CP) per l’espiazione della pena.
Il condannato, beneficiario di AVS, ha dichiarato di svolgere qualche lavoretto su chiamata, di essere sempre domiciliato a _ e di convivere con _ (parimenti condannata con giudizio 22.12.2010 dalla Corte delle assise criminali).
L’avv. PR 1, suo legale, ha evidenziato un problema di salute di RE 1, con riferimento al certificato 6.2.2012 del dr. med. _, FMH psichiatria e psicoterapia, _, che riportava di un forte stato di angoscia, con pericolo di gesti estremi legato alla prospettiva di rientrare in carcere, e concludeva per la non carcerabilità del condannato.
Il legale ha domandato, vista anche l’età avanzata di RE 1, di vagliare la possibilità di alternative per espiare la pena, per esempio tramite braccialetto elettronico.
E’ infine stata richiesta l’ammissione al gratuito patrocinio.
d
. Con decisione 12.3.2012 il giudice dei provvedimenti coercitivi, sedente in materia di applicazione della pena, ha fissato per il 16.4.2012, ore 10.00, l’inizio dell’esecuzione della pena detentiva di trenta mesi inflitta ad RE 1, ritenuto che il regime di esecuzione sarebbe stato stabilito dal servizio psichiatrico dopo la visita di entrata da effettuare lo stesso giorno.
Il giudice, riassunti i reati oggetto della condanna, il tema dell’udienza 6.2.2012 ed il tenore del certificato medico 6.2.2012 redatto dal dr. med. _, ha valutato – sulla base della giurisprudenza del Tribunale federale, esposta nella decisione – se il condannato potesse iniziare l’esecuzione della pena comminatagli presso il penitenziario “
La Stampa
”, se la stessa dovesse essere rinviata o se si dovesse fare capo ad una delle deroghe alle forme di esecuzione in applicazione dell’art. 80 CP.
Ha rilevato che il carcere penale “
La Stampa
” era annoverato tra gli stabilimenti (chiusi) in grado di garantire l’esecuzione di misure stazionarie ed ambulatoriali. Le strutture carcerarie ticinesi disponevano di un servizio psichiatrico che permetteva la presa a carico terapeutica specializzata per l’esecuzione dei trattamenti ambulatoriali e stazionari. Era dunque in grado di effettuare un trattamento antidepressivo idoneo ad arginare un eventuale rischio di suicidio, abbastanza frequente nella realtà carceraria.
Nulla ostava a che lo stesso dr. med. _ continuasse il trattamento psichiatrico in corso con sedute presso lo stabilimento di esecuzione. RE 1 avrebbe pertanto potuto usufruire, durante l’esecuzione della pena, della medesima cura specialistica che seguiva da qualche settimana. Ha aggiunto che il condannato, in passato, aveva già espiato diverse pene, senza che mai fossero emersi problemi maggiori di carattere medico o si fossero verificati atti di autolesionismo.
Ha indicato che il medico aveva visto il condannato in una sola occasione, pochi giorni prima della convocazione all’udienza davanti all’Ufficio del giudice dei provvedimenti coercitivi. Il certificato medico si esprimeva in maniera non concludente in relazione al reale rischio di un passaggio all’atto, ovvero al suicidio.
Il giudice ha sottolineato che, se davvero la precedente detenzione (conclusasi con la liberazione condizionale di data 10.6.1993) l’aveva fortemente segnato come riportato nel certificato medico, mal si comprendeva come in seguito fosse ritornato ripetutamente a delinquere. Si poteva dedurre che la carcerazione subita non avesse avuto su di lui alcun effetto deterrente.
La semplice possibilità che si verificasse un’azione autolesiva non permetteva di rinviare
sine die
l’inizio dell’esecuzione della pena detentiva, anche perché il condannato poteva essere adeguatamente assistito e curato in carcere. Non c’era dunque incompatibilità fra l’esecuzione della pena detentiva di trenta mesi ed il trattamento terapeutico cui era sottoposto il condannato.
Il giudice ha sancito che il regime di esecuzione sarebbe stato stabilito sulla base delle indicazioni del servizio di psichiatria delle strutture carcerarie. Ha menzionato che, se nel tempo sorgevano eventuali problemi maggiori di salute, rimaneva aperta l’alternativa di procedere ad una deroga della forma di esecuzione.
Ha respinto la postulata ammissione al gratuito patrocinio.
e
. Con gravame 23/26.3.2012 RE 1 domanda che sia annullata la citata decisione e che – in via principale – l’incarto sia ritornato al giudice per ripronunciarsi una volta esperiti i necessari accertamenti sul suo stato di salute, che – in via subordinata – la sua incarcerazione sia rinviata a data da stabilire, non appena le sue condizioni saranno migliorate, e che – in via ulteriormente subordinata – sia ordinata l’esecuzione della pena come arresto domiciliare con sorveglianza elettronica.
Il reclamante rileva che, dopo la citazione dell’Ufficio del giudice dei provvedimenti coercitivi intesa alla discussione di tempistiche e modalità dell’esecuzione della pena, avrebbe cominciato a soffrire di attacchi di ansia e sarebbe caduto in uno stato depressivo in seguito alla grave angoscia scaturente dalla prospettiva di dover rientrare in carcere per espiare la pena detentiva inflittagli. Si sarebbe rivolto al suo medico curante, che l’avrebbe inviato al dr. med. _. Quest’ultimo, che l’avrebbe visto l’1.2.2012, avrebbe constatato come soffrisse di un importante stato ansioso depressivo, di un grave stato di angoscia e di tendenze suicidarie, valutate come credibili. Avrebbe cominciato un trattamento psicoterapeutico con assunzione di antidepressivi e ipnosi. Il medico, che non avrebbe escluso la possibilità di procedere con un trattamento stazionario in una struttura psichiatrica, avrebbe concluso per la sua non carcerabilità ed avrebbe chiesto che le autorità decidessero un metodo alternativo di esecuzione.
Sostiene che il Codice penale contemplerebbe espressamente, all’art. 80, la possibilità di derogare al principio dell’esecuzione della pena detentiva in uno stabilimento chiuso qualora per motivi di salute il detenuto non sia carcerabile in una simile struttura.
La valutazione dello stato di salute di un detenuto esulerebbe manifestamente dalle competenze di un giurista. Il giudice potrebbe (e dovrebbe) dunque avvalersi del parere di un esperto per valutare se una persona sia o non sia carcerabile. Non sarebbe plausibile che, quando agli atti esista il parere di uno psichiatra che ha ritenuto la sua non carcerabilità, non si proceda quantomeno all’esecuzione di una valutazione psichiatrica completa da parte di un esperto nominato dal giudice medesimo.
Il dr. med. _ avrebbe redatto un nuovo rapporto, nel quale avrebbe dato atto di una situazione rimasta invariata.
Il giudice, senza sottoporre il caso ad uno psichiatra terzo e neutrale, non avrebbe avuto gli elementi sufficienti per sostenere la di lui carcerabilità e per sconfessare il parere di uno psichiatra esperto che si era espresso in senso opposto. Non si potrebbe stabilire il principio della carcerabilità rinviando eventuali accertamenti alla visita di controllo al momento della carcerazione.
La prassi giudiziaria evocata dal giudice non sarebbe perfettamente applicabile al suo caso, dove non si sarebbe unicamente confrontati con tendenze suicidali comuni ad ogni esperienza di carcerazione. Queste sarebbero infatti accompagnate da un importante substrato di turbe psichiche ansioso depressive che non potrebbero essere ignorate e che aggraverebbero il già elevato rischio di suicidalità. Non potrebbe dunque, senza prima eseguire un’adeguata psicoterapia sostenuta da assunzione di farmaci, essere giudicato carcerabile in una struttura come “
La Stampa
”.
Delle ulteriori argomentazioni e delle osservazioni del giudice si dirà, per quanto necessario, in seguito in corso di motivazione.
|
in diritto
1
. Con decreto 26.3.2012 il presidente della Corte dei reclami penali ha conferito al gravame il postulato effetto sospensivo.
2
. 2.1.
La Confederazione e i Cantoni – in applicazione dell’art. 439 cpv. 1 CPP – designano le autorità competenti per l’esecuzione delle pene e delle misure e stabiliscono la relativa procedura.
Giusta l’art. 10 cpv. 1 della legge sull’esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti (LEPM) il giudice dell’applicazione della pena – funzione esercitata dal giudice dei provvedimenti coercitivi (art. 73 cpv. 1 LOG) – è competente, tra l’altro, a decidere il collocamento iniziale del condannato (lit. h) e le deroghe alle forme di esecuzione a’ sensi dell’art. 80 CP (lit. h) e ad emanare nei confronti del condannato l’ordine di esecuzione (lit. k).
Contro le decisioni del giudice dell’applicazione della pena il condannato e il Ministero pubblico possono interporre reclamo ex art. 393 ss. CPP a questa Corte nei casi dell’art. 10 cpv. 1 lit. c)-k) LEPM (art. 12 cpv. 1 lit. b LEPM), autorità che statuisce sui ricorsi contro le decisioni in materia di esecuzione delle pene e delle misure quando lo prevede la legge (art. 62 cpv. 3 LOG).
2.2.
Con il gravame si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l’eccesso e l’abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l’accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e, ancora, l’inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta ed all’art. 385 CPP per la motivazione.
Esso deve indicare – in particolare – i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP).
2.3.
Il gravame – inoltrato il 23/26.3.2012 a questa Corte – contro la
decisione 12.3.2012 del giudice dei provvedimenti coercitivi in materia di esecuzione è tempestivo e, parimenti, proponibile.
Le esigenze di forma e motivazione del reclamo sono rispettate.
RE 1, quale condannato e persona contro la quale è diretto l’ordine di esecuzione, è pacificamente legittimato a reclamare ex art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica del giudizio.
Il reclamo è quindi nelle predette circostanze ricevibile in ordine.
3
. 3.1.
Con decisione 12.3.2012 il giudice dei provvedimenti coercitivi, sedente in materia di applicazione della pena, ha preso atto delle conclusioni di cui al certificato medico del dr. med. _, ritenendo che il pericolo suicidale esposto potesse nondimeno essere arginato con il trattamento antidepressivo in atto, da effettuarsi per il tramite del servizio psichiatrico delle strutture carcerarie o del medico curante stesso del condannato. Ha quindi fissato per il 16.4.2012, ore 10.00, l’inizio dell’esecuzione della pena, ritenuto che il regime di esecuzione sarebbe stato stabilito dal servizio psichiatrico dopo la visita di entrata da fare quel giorno.
Il condannato contesta questa conclusione: il giudice, preso atto del certificato medico inviatogli attestante la sua non carcerabilità, avrebbe dovuto ordinare una perizia sul suo stato di salute, differire a tempo indeterminato l’inizio dell’esecuzione o ordinare l’esecuzione come arresto domiciliare con sorveglianza elettronica.
3.2.
Il CP, per quanto concerne l’esecuzione delle pene detentive, prevede all’art. 76 che esse siano scontate in un penitenziario chiuso o aperto; il detenuto è collocato in un penitenziario chiuso o in reparto chiuso di un penitenziario aperto se vi è il pericolo che si dia alla fuga o vi è da attendersi che commetta nuovi reati.
Alle norme in materia di esecuzione, tra cui il predetto art. 76 CP, può essere derogato, secondo l’art. 80 cpv. 1 lit. a CP, a favore del detenuto: a. qualora il suo stato di salute lo richieda.
3.3.
Il Tribunale federale – sul tema dell’esecuzione di una pena detentiva – ritiene, nella sua giurisprudenza (cfr., per es., decisione 6B_377/2010 del 25.5.2010 consid. 2.1.; anche DTF 108 Ia 69), che l’interesse pubblico all’esecuzione di condanne cresciute in giudicato ed il principio dell’uguaglianza limitino notevolmente il margine di apprezzamento delle autorità di esecuzione in merito al differimento a data indeterminata dell’esecuzione di una pena.
La mera possibilità che la vita o la salute del condannato possano essere messe in pericolo non è manifestamente sufficiente per il differimento dell’esecuzione della pena (esecuzione che è sempre un male per l’interessato) a tempo indeterminato, rinvio che può essere concesso soltanto eccezionalmente. E’ necessario che sia altamente probabile che l’esecuzione della pena metta in pericolo la vita o la salute del condannato. Anche in questo caso si deve procedere ad una ponderazione degli interessi, considerando, oltre alle indicazioni mediche, la natura e la gravità del reato commesso e la durata della sanzione. Più gravi sono il fatto e la sanzione inflitta, più importante è, rispetto al pericolo per la vita o per la salute, la pretesa punitiva dello Stato.
Le predette considerazioni valgono, di principio, anche nel caso di un pericolo suicidale. Le difficoltà probatorie connesse a tale rischio impongono tuttavia maggiore cautela nella valutazione, e nell’ammissione, di un simile pericolo. Il rischio suicidale non deve infatti divenire un ultimo mezzo di difesa invocato dal condannato (per esempio quando una domanda di grazia non ha possibilità di successo). Un rinvio dell’esecuzione non entra in considerazione fintanto che il pericolo di suicidio possa essere notevolmente ridotto, nel corso dell’esecuzione, con misure appropriate ed idonee. Il fatto che sussista un pericolo suicidale non ha di conseguenza, in generale, un peso assoluto e determinante, che prevale di per sé sullo scopo della carcerazione stessa.
L’Alta Corte, nella decisione 6B_599/2010 del 26.8.2010 in re Bernard Rappaz (consid. 5.1.), pubblicata in DTF 136 IV 97, ribadisce la sua giurisprudenza sul pericolo suicidale nel corso dell’esecuzione della pena. Ricorda che le tendenze suicide del condannato non possono motivare l’interruzione dell’esecuzione della pena, in ogni caso fintanto che si riesca a fortemente ridurre il pericolo di suicidio, proprio ad ogni regime carcerario, limitando efficacemente l’accesso, da parte del condannato, ai mezzi che gli permetterebbero di togliersi la vita. Aggiunge che i motivi medici invocati a giustificazione dell’interruzione dell’esecuzione sono sempre gravi se la continuazione dell’esecuzione mette concretamente in pericolo la vita del condannato. I motivi medici possono essere reputati gravi se la continuazione dell’esecuzione, senza minacciare direttamente la vita del condannato, fanno nondimeno correre un serio pericolo per la sua salute. Il requisito della gravità dello stato medico del condannato non deve essere valutato in maniera astratta, ma alla luce della situazione concreta di quest’ultimo e dell’aiuto offerto dalle strutture mediche all’interno del sistema carcerario.
Il Tribunale federale reputa, in poche parole, che – se un trattamento medico idoneo a trattare la patologia (fisica o psichica) del condannato è compatibile con la carcerazione – non c’è motivo di interrompere oppure di differire l’esecuzione di una pena detentiva (decisione TF 6B_249/2009 del 26.5.2009 consid. 2.1.).
3.4.
3.4.1.
Si è detto che il differimento dell’esecuzione di una pena a tempo indeterminato è ammesso soltanto eccezionalmente: è necessario che sia altamente probabile che l’esecuzione della pena metterà in pericolo la vita o la salute del condannato. Anche in questo caso si deve procedere ad una ponderazione degli interessi, considerando, oltre alle indicazioni mediche, la natura e la gravità del reato commesso e la durata della sanzione. Più gravi sono il fatto e la sanzione inflitta, più importante è, rispetto al pericolo per la vita o per la salute, la pretesa punitiva dello Stato.
3.4.2.
3.4.2.1.
Il dr. med. _, nello scritto 6.2.2012 all’avv. PR 1, ha indicato “
(...) di aver visitato in data 01.02.2012 inviatomi dal medico curante (...) per accertamento e cura di un importante stato ansioso depressivo. Il paziente lamenta un grave stato di angoscia legato alla prospettiva di dover rientrare in carcere per espiare una pena detentiva in seguito ad una condanna per truffa. Il paziente quasi 67 enne ha subito circa 30 anni fa una condanna per l’omicidio della moglie, di cui a tutt’oggi si professa innocente, per cui ha scontato più di otto anni di carcere. Il paziente durante il nostro lungo primo incontro mi ha comunicato di aver subito la privazione della libertà con grande angoscia e fatica arrivando in determinati momenti a pensare al suicidio. La prospettiva della nuova carcerazione ha risvegliato quegli antichi ricordi angosciosi, comunicandomi che oggi sta di nuovo valutando la possibilità di un gesto insano. Il paziente che si è aperto liberamente con il sottoscritto appare credibile sulla possibilità di realizzare un gesto autolesivo. Abbiamo iniziato un trattamento antidepressivo ed ipnotico di cui valuteremo l’efficacia nel decorso terapeutico non escludendo in caso di mancata risposta un trattamento stazionario in una struttura psichiatrica. Ritengo pertanto il signor RE 1 non carcerabile e le chiedo se non sarebbe possibile attivarsi per concordare con le autorità penali la possibilità di scontare la condanna in un modo alternativo
”.
Il medico, nel successivo scritto 23.3.2012 al legale, ha comunicato di aver seguito RE 1 nel corso di sei sedute ed ha ribadito che a suo giudizio non era carcerabile, chiedendosi ancora una volta se non fosse possibile un’alternativa per scontare la pena. Ha ritenuto utile far valutare la sua carcerabilità da un collega neutrale, che non fosse il medico curante.
3.4.2.2.
Si deve anzitutto ricordare che un certificato medico è da reputare, secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, quale allegazione di parte, e dunque parziale, siccome l’estensore del medesimo è scelto dall’interessato, che lo paga, secondo propri criteri ed è legato a quest’ultimo da un rapporto di contratto e di fedeltà (decisione TF 6B_377/2010 del 25.5.2010 consid. 2.6.).
Un certificato medico deve quindi essere valutato con cautela.
3.4.2.3.
Il dr. med. _ ha ritenuto credibile un pericolo suicidale, sulla base di quanto raccontatogli da RE 1.
Il rischio suicidale, come indicato dalla giurisprudenza del Tribunale federale sopra riportata, non è nondimeno – in quanto tale – ragione sufficiente per rinviare l’esecuzione di una pena detentiva (decisione 6B_377/2010 del 25.5.2010 consid. 2.1.). Il fatto che ci sia la probabilità di un passaggio all’atto non basta dunque, di per sé, per differire l’esecuzione, se un trattamento medico appropriato, da effettuare nel corso della carcerazione, permette di sufficientemente contenere la realizzazione del pericolo (decisione TF 6B_249/2009 del 26.5.2009 consid. 2.1. s.).
L’esecuzione della pena – peraltro esatta dall’ordine pubblico e dalla pretesa punitiva dello Stato – deve perciò avere luogo fintanto che il rischio che RE 1 si tolga la vita possa essere notevolmente ridotto con misure appropriate.
Ora, è lo stesso medico curante del condannato a sostenere che la terapia idonea ed adeguata, siccome concretamente adottata, a curare il predetto è un trattamento antidepressivo ed ipnotico.
Non ci sono ragioni perché questa terapia, così come indicata, non possa essere continuata nel corso dell’esecuzione della pena detentiva, per il tramite del servizio psichiatrico delle strutture carcerarie o, se del caso, dello stesso dr. med. _. Quest’ultimo, nei suoi scritti al legale del condannato, non ha infatti asserito che il trattamento in atto non potesse essere continuato in stato di carcerazione; si è limitato a chiedere di verificare una possibile alternativa per scontare la pena comminata.
Non si può tacere, pur senza volere sminuire la problematica, ossia l’asserito pericolo suicidale, che il dr. med. _ ha incontrato RE 1, nel periodo 1.2.2012 – 23.3.2012, soltanto in sei occasioni, ovvero meno di una volta alla settimana. Fatto che comprova come lo stato di salute del condannato non palesi una gravità acuta e preoccupante.
Inoltre, oggi, il medico curante non ha disposto un trattamento stazionario in una struttura psichiatrica, a dimostrazione – ancora una volta – della relativa gravità del disturbo del condannato.
Il fatto, poi, che RE 1, a dire del dr. med. _, si sia “
aperto liberamente
” con lui pare attestare che il condannato ha preso coscienza della sua problematica, ciò che indubbiamente agevolerà non poco la cura medica, allontanando ulteriormente la ventilata prospettiva di un trattamento stazionario (che del resto non necessariamente osterebbe all’esecuzione della pena detentiva, il condannato, durante il trattamento stazionario, potendo infatti essere mantenuto in carcerazione).
In conclusione, quindi, l’invocato pericolo suicidale può concretamente essere diminuito e controllato con la terapia già in atto da continuare, ed eventualmente incrementare, durante l’esecuzione della pena detentiva presso “
La Stampa
” e, cumulativamente, con l’allontanamento dal condannato di ogni mezzo che potrebbe facilitarlo nel compiere il temuto insano gesto.
Il rischio suicidale indicato dal medico non esclude dunque, come a ragione ritenuto dal giudice dei provvedimenti coercitivi, l’incarcerazione di RE 1. Le predette misure sono infatti senz’altro atte ed idonee a contenere il citato pericolo, per cui – oggi – non si può asserire che sia altamente probabile che l’esecuzione della pena metterà in pericolo la sua vita.
3.4.2.4.
Non si imponeva manifestamente, in queste circostanze, di ordinare l’allestimento di una perizia giudiziaria: l’eventuale conclusione del perito giudiziario su un pericolo suicidale del condannato, come sostenuto dal medico curante di quest’ultimo, non poteva infatti mutare l’esito della decisione del giudice. E questo in considerazione della citata giurisprudenza del Tribunale federale, secondo cui il rischio di suicidio non osta, di per sé, all’esecuzione di una pena detentiva, fintanto che il pericolo possa essere notevolmente ridotto con misure appropriate (consid. 3.3.). Come è il caso nella fattispecie concreta sopra descritta.
La censura invocata da RE 1 è infondata (cfr., peraltro, decisione TF 6B_377/2010 del 25.5.2010 consid. 2.6. concernente una vicenda simile con una critica analoga).
3.4.2.5.
Un differimento dell’esecuzione della pena di trenta mesi non può entrare in considerazione anche per le seguenti ragioni.
RE 1, come già più sopra menzionato, è stato ritenuto autore colpevole, con decisione 22.12.2010 della Corte delle assise criminali (inc. TPC _), dei reati di ripetuta truffa aggravata, di ripetuta falsità in documenti, di distrazione di valori patrimoniali sottoposti a procedimento giudiziale, di sottrazione di cose requisite o sequestrate, di infrazione alla legge federale sull’assicurazione contro la disoccupazione e, ancora, di importazione, acquisto e deposito di monete false.
Si tratta di reati, anche se non contro la vita e l’integrità della persona, senz’altro da reputare gravi, in considerazione, segnatamente, come evidenziato dalla Corte di merito, del considerevole numero di persone ingannate, delle ingenti somme oggetto di reato, della professionalità, alla stregua di un’organizzazione criminale, con cui ha agito (unitamente alla correa), del lungo periodo in cui sono avvenuti i reati, del fatto che – dopo essere stato posto in libertà provvisoria – ha nuovamente delinquito nello stesso modo, agendo con estremo egoismo per garantirsi un tenore di vita non accessibile (p. 154, decisione 22.12.2010).
E’ stato condannato, constatata la violazione del principio di celerità e tenuto parzialmente conto del lungo tempo trascorso dai fatti, alla pena detentiva di trenta mesi, da dedursi il carcere preventivo sofferto (sessantanove giorni). Ad una sanzione, quindi, che si può ritenere importante, in particolare se si considera che ad RE 1 non è stata concessa la sospensione (parziale) della pena. E questo in ragione dei suoi trascorsi.
Dalla scarcerazione del 1993, come risulta dalla citata sentenza, ad intervalli più o meno regolari è stato ripetutamente condannato a pene da espiare (p. 36 / p. 156, decisione 22.12.2010).
La Corte delle assise criminali ha addotto che “
i suoi precedenti sono innumerevoli e dimostrano come, nell’esecuzione delle pene, egli non si sia mai lasciato impressionare tanto che, come visto, ad intervalli piuttosto regolari, si è rimesso a delinquere. Lo ha fatto già in espiazione della lunga condanna per l’omicidio volontario della moglie, lo ha fatto durante il periodo di libertà condizionata a seguito della citata condanna e lo ha fatto in seguito anche da uomo libero. (...) Insomma, RE 1 è un irriducibile che non sa stare alle regole, che da anni non esercita onestamente un’attività lucrativa duratura e che non si lascia certo impressionare dall’espiazione delle pene. Irriducibilità che si appalesa anche nel costante atteggiamento volto a sottrarsi alle proprie responsabilità tentando non solo di intralciare ma anche di influenzare a suo favore, in maniera illecita, gli accertamenti degli inquirenti: (...)
” (p. 159 s., decisione 22.12.2010).
Ora, stante la natura e la gravità dei reati e la sanzione inflitta, come sopra descritto, procedendo alla ponderazione dei contrapposti interessi in gioco, è manifesto che la pretesa punitiva dello Stato, che osta al differimento dell’esecuzione della pena detentiva di trenta mesi, prevalga, in modo chiaro e netto, sul pericolo per la vita o per la salute di RE 1, rischio peraltro controllato con la terapia in atto, da continuare.
E questo pur tenendo in considerazione l’età di quest’ultimo, nato il _, età che di per sé non deroga alla carcerazione: il CP non prevede alcun limite d’età riguardo all’esclusione dell’esecuzione della pena (decisione 13.10.2008 dell’allora Camera dei ricorsi penali in re F.M., inc. 60.2008.229 consid. 4.4., confermata dal Tribunale federale con sentenza TF 6B_891/2008 del 20.1.2009, in particolare consid. 2.4.). Età che del resto non sostiene procurargli particolari problemi di salute.
Occorre poi ricordare, come si dirà, che all’inizio dell’esecuzione della pena verrà sottoposto ad una visita medica di entrata.
Visto il suo passato di “
(...) irriducibile (...) che non si lascia certo impressionare dall’espiazione delle pene
” (p. 160, decisione 22.12.2010), non si può evidentemente ammettere facilmente il differimento dell’esecuzione della pena, tanto meno a tempo indeterminato come postulato dal condannato, sulla base di una problematica [attacchi di ansia e stato depressivo in seguito alla grave angoscia scaturente dalla prospettiva di dover rientrare in carcere per espiare la pena detentiva inflittagli (reclamo 23/26.3.2012, p. 3)] che sarebbe insorta solo nel gennaio 2012, dopo la citazione dell’Ufficio del giudice dei provvedimenti coercitivi intesa alla discussione di tempistiche e modalità dell’esecuzione della pena stessa (reclamo 23/26.3.2012, p. 3).
La decisione adottata dal giudice dei provvedimenti coercitivi è dunque anche del tutto rispettosa del principio di proporzionalità.
3.4.2.6.
RE 1 chiede, infine, che – in applicazione dell’art. 80 CP – sia ordinata l’esecuzione della pena detentiva inflittagli come arresto domiciliare con sorveglianza elettronica.
Ora, come detto ai considerandi precedenti, non ci sono ragioni – oggi – per rinviare l’inizio dell’esecuzione ordinaria, in un istituto carcerario, della pena detentiva di trenta mesi: essa può infatti essere scontata tenendo conto dell’invocato stato di salute.
La predetta richiesta appare dunque senz’altro infondata.
3.4.2.7.
Il giudice ha fissato per il giorno 16.4.2012, ore 10.00, l’inizio dell’esecuzione della pena detentiva di trenta mesi inflittagli.
L’inoltro dell’impugnativa, alla quale il presidente di questa Corte ha concesso il postulato effetto sospensivo, ha reso inattuabile l’inizio dell’esecuzione della pena per il 16.4.2012, ore 10.00.
Il giudice è quindi chiamato a fissare una nuova data (giorno e ora) di inizio.
Nella decisione qui impugnata ha indicato che il
regime di esecuzione sarebbe stato determinato dal servizio psichiatrico a seguito della visita di entrata da effettuare il medesimo giorno dell’inizio dell’esecuzione.
Ora, non è chiaro cosa intenda per “
regime di esecuzione
” definibile dal servizio psichiatrico del carcere. E’ infatti evidente che, giusta l’art. 10 cpv. 1 lit. h LEPM, è il giudice dell’applicazione della pena l’autorità competente a decidere, tra l’altro, il collocamento iniziale del condannato secondo l’art. 76 CP.
Nella nuova decisione il giudice dovrà chiarire questo concetto.
In ogni caso, RE 1, il giorno in cui si presenterà al penitenziario “
La Stampa
” per scontare la pena comminatagli, verrà sottoposto ad una visita medica di entrata, le cui risultanze – se del caso – saranno da immediatamente trasmettere al giudice qualora fossero idonee ad influire sulla sua carcerabilità.
4
. Il gravame è respinto. La tassa di giustizia e le spese sono poste a carico del reclamante, soccombente.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,012 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
85caace2-3344-5a71-8123-780f13f36e1e
|
in fatto A. RI 1
è amministratore unico con firma individuale della _ società con sede a _ al tempo dei fatti sottoposti a giudizio, ora in _, avente per scopo svariate attività nell’ambito della sicurezza, segnatamente “
l’assistenza, la consulenza, l’intermediazione, il noleggio, la rappresentanza, la gestione di prodotti e servizi di sicurezza, come la
sorveglianza, la protezione, l’investigazione, la videosorveglianza, la custodia, l'accompagnamento di oggetti e persone sia in Svizzera che all'estero
"
(cfr. estratto Registro di commercio annesso al rapporto di polizia giudiziaria del 4 ottobre 2005). Il campo d'azione della _ si estende dal trasporto di valori al controllo dei veicoli in stazionamento, con relativa comminazione di multe, passando per ogni aspetto inerente alla sicurezza di manifestazioni di varia natura, di locali notturni e di tutto ciò che richiede un simile servizio.
In data 2 febbraio 2005 il Municipio del Comune _ ha conferito alla _ l'incarico di controllare i veicoli in stazionamento nella propria giurisdizione per il periodo dal 15 marzo 2005 al 31 ottobre 2005. Il mandato prevedeva l'impiego di un agente in tenuta distintiva con auto di servizio, due ronde giornaliere di un'ora e mezza ciascuna. La mercede era pattuita oraria per persona, importo di fr. 42.--, oltre IVA ed indennità di trasferta (cfr. allegati al rapporto di polizia del 4 ottobre 2005).
Questo tipo d’attività non costituiva una novità per la ditta di
RI 1
, poiché essa – o altra società di cui RI 1 era gerente responsabile, la _, già in _ – già svolgeva controlli con ausiliari di polizia per altri tre comuni, _, _ (cfr. scritti di conferimento dell'incarico 27 febbraio 2003, rispettivamente 22 dicembre 2003 e 9 giugno 2005 allegati al rapporto di polizia) e _ (cfr. verbale d’interrogatorio 23 settembre 2005 del teste _, pagg. 1-2).
Il Dipartimento delle Istituzioni, con risoluzione no. 29 dell’8 agosto 2003, aveva autorizzato la _ ad apporre, per il tramite del suo personale in uniforme, avvisi di contravvenzione ed a trasmettere le relative denunce all'Ufficio giuridico della Sezione della circolazione a Camorino; questo per le infrazioni rilevate nel caso di veicoli in stazionamento previste al capitolo 2 dell'allegato 1 e alla cifra 622 dell'OMD (Ordinanza del 4 marzo 1996 concernente le multe disciplinari, RS 741.031).
L'autorità cantonale ha esplicitamente imposto alla SA di far pervenire all’Ufficio giuridico della Circolazione sia copia dei mandati a lei conferiti dai municipi sia i nomi dei collaboratori con debita formazione, quindi abilitati ad infliggere le multe, avvertendola nel contempo che la risoluzione sarebbe entrata in vigore solo per i collaboratori che avevano già svolto il relativo corso di formazione (cfr. dispositivo no. 2 della citata decisione ,elenco atti doc. 13, documenti richiamati dalla Divisione degli interni e annessi al verbale di dibattimento).
B.
Al momento dei fatti, la _ aveva due collaboratori abilitati a svolgere le mansioni d’ausiliario di polizia: il dipendente _ ed il fratello dell'amministratore unico, _. Ad occuparsi del servizio era principalmente il primo. In data 9 maggio 2005, _ ha annunciato a RI 1 che non si sarebbe presentato sul posto di lavoro per problemi di salute. Confrontato con quest’assenza e quella del fratello _, in servizio militare, il ricorrente si è trovato in difficoltà per quanto concerneva l'attività di controllo del traffico stazionario. Per far fronte agli impegni della ditta, egli ha deciso di incaricare il neo-assunto dipendente _ , di procedere al pattugliamento in sostituzione del _ . Con questo disegno, il 9 maggio 2005 RI 1 ha fornito a _ - che non aveva mai adempiuto compiti d’ausiliario di polizia - il blocchetto delle multe e l'OMD. Inoltre, prima di mandarlo in missione, gli ha indicato le zone da controllare e gli ha chiesto di copiare le multe, quanto alla forma, così come compilate da _, precisandogli che avrebbe dovuto inserire lo stesso numero d’identificazione (no. 81) e, nel riquadro della firma, avrebbe dovuto apporre l’identica sigla del fratello.
Il giorno successivo – e, da lì in poi, per lo meno sino al 13 maggio 2005 -_ si è quindi recato, come da disposizioni ricevute, nei comuni di _ e _ ed ha redatto quotidianamente una decina di multe in relazione ad altrettante infrazioni della LCStr da lui constatate.
Ogni avviso di contravvenzione è stato compilato da _ copiando pedissequamente nei moduli la firma di _ ed inserendo il codice no. 81 (numero di riferimento quale ausiliario di polizia di quest'ultimo , cfr. doc. "Elenco degli agenti POLCOM e ausiliari" allegato al rapporto di polizia).
Questi fatti, posti a fondamento della sentenza impugnata, non sono contestati dal ricorrente.
C.
Con decreto di accusa 8 febbraio 2006, il procuratore pubblico ha riconosciuto RI 1 autore colpevole di istigazione e complicità in usurpazione di funzioni e di istigazione e complicità in falsità in documenti per avere, nelle circostanze di tempo e di luogo riferite, nella sua veste di amministratore unico della _, dunque di responsabile della condotta dei propri uomini, intenzionalmente determinato il proprio dipendente _ ad arrogarsi, a scopo illecito, l'esercizio di una pubblica funzione, nella fattispecie di ausiliario di polizia, così da elevare delle contravvenzioni ufficiali del traffico stazionario sapendo o dovendo sapere che, per esercitare simile funzione, occorreva preventivamente seguire un corso di formazione obbligatorio per ausiliari di polizia ai sensi dell'art. 52 cpv. 3 del regolamento sulla legge sulla polizia; inoltre per avere, al fine di nuocere ad altrui diritti, indotto il proprio dipendente _ - privo della necessaria abilitazione - ad abusare dell'altrui firma e/o segno a mano autentico, per attestare un fatto di importanza giuridica, nella fattispecie a formare - a mano di blocchetto ufficiale per l'elevazione delle contravvenzioni del traffico stazionario - almeno quattro avvisi di contravvenzione apponendo il numero di riferimento "81", corrispondente all'agente _ (suo fratello) e falsificando la firma e/o segno a mano di quest'ultimo.
Con decreto d’accusa d’uguale data, _ è stato riconosciuto colpevole di ripetuta falsità in documenti.
In applicazione della pena, il Procuratore pubblico ha proposto la condanna di RI 1 a sei giorni di detenzione e di _ a tre giorni di detenzione, l'una e l'altra sospese condizionalmente per un periodo di due anni, caricando ad entrambi tasse e spese.
Al decreto d’accusa _ e _ hanno sollevato opposizione.
D.
Statuendo sulle opposizioni, il giudice della Pretura penale - riuniti i procedimenti con decreto 6 luglio 2006 ed estesa in sede dibattimentale l’accusa a carico di _ al reato d’usurpazione di funzioni a tenore dell’art. 287 CP - con sentenza del 7 novembre 2006 ha confermato i capi d’imputazione a carico di RI 1, sostituendo la pena detentiva con una multa di fr. 1'000.-- , oltre tasse e spese.
Il giudice ha invece prosciolto _ dalle due imputazioni, non riscontrando nel suo agire il presupposto soggettivo del dolo.
E.
Contro la sentenza appena citata, RI 1 ha tempestivamente depositato, il 13 novembre 2006, una dichiarazione di ricorso.
Nella motivazione scritta del gravame, presentata il 12 dicembre 2006, è chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.
Con osservazioni 8 gennaio 2007 il Procuratore pubblico propone di respingere il ricorso.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorrente fa valere anzitutto violazioni di diritto sostanziale ravvisate nella qualifica giuridica dell’attività partecipativa, segnatamente nella duplice condanna per complicità in usurpazione di funzioni e falsità in documenti, oltre che per istigazione ai medesimi reati. La figura della complicità sarebbe già inclusa nel reato d’istigazione, quindi, per così dire, assorbita o consumata da questa forma partecipativa. Il giudice penale avrebbe, così, ammesso a torto i presupposti soggettivi dei due reati.
Secondo il ricorrente, la condanna per istigazione alla falsità in documenti e all'usurpazione di funzioni conterrebbe quella per complicità, ravvisabile nell'aiuto prestato a _ . Tra le due figure partecipative sussisterebbe concorso imperfetto, il che sarebbe avvalorato, sempre a mente del ricorrente, dalla citata decisione del Tribunale federale DTF 100 IV 1 e da un riferimento dottrinale (KILLIAS M., Précis de droit pénal, Berna 1998, p. 88).
Con riferimento alla falsità in documenti, i fatti posti a fondamento della sentenza non permetterebbero di dedurre che RI 1 ha agito a scopo d’inganno, né con l’intento di nuocere al patrimonio o ad altri diritti di una persona e nemmeno per procacciare a se o ad altri un indebito profitto.
Non sussisterebbe, inoltre, istigazione all’usurpazione di funzioni, non avendo il ricorrente operato a fine illecito.
Gli argomenti costituiscono evidentemente censure di diritto sostanziale, come tali ricevibili ai sensi dell’art. 229 n.1 CP.
Infine, muovendo dalla constatazione che entrambi gli accusati, sia il ricorrente sia _ , conoscevano l’esigenza di assolvere preventivamente il corso d’abilitazione per ausiliari di polizia per poter svolgere il servizio di pattugliamento, RI 1 censura d’arbitrio la conclusione del Giudice penale di ravvisare intenzionalità nel comportamento del primo, solo negligenza nella condotta del secondo.
2. a)
Per quanto concerne la compartecipazione di persone nel reato, il codice penale svizzero - oltre prevedere reati speciali di partecipazione, come il favoreggiamento (art. 305 ss. CP) - distingue formalmente tra correità, istigazione (art. 24 CP) e complicità (art. 25 CP).
E’ istigatore chi intenzionalmente determina altri a commettere un crimine o un delitto (art. 24 cpv. 1 CP).
L’istigazione consiste nel suscitare in una persona o cerchia di persone definite la decisione di compiere un atto determinato. La decisione di agire dell’istigato deve derivare dall’incitamento dell’istigatore: è, pertanto, richiesto un nesso di motivazione causale tra questi due elementi. Non è però necessario che l’istigatore abbia dovuto vincere la resistenza dell’istigato poiché la volontà d’agire può essere indotta anche in chi è già predisposto all’atto, perfino in chi si offre per compiere un reato, e questo fintantoché l’autore non si sia ancora risolto a passare concretamente all’azione. Non vi è invece istigazione se l’autore dell’atto aveva già deliberato di compierlo. L’istigazione implica un influsso di natura psichica o intellettuale rivolta alla formazione dell’altrui volontà, ritenuto che ogni comportamento idoneo a provocare la determinazione ad agire - un invito, una proposta, una suggestione, eventualmente anche una semplice richiesta - possono costituire mezzi d’istigazione. Dal profilo soggettivo, perché si abbia istigazione, ci vuole intenzionalità, ancorché basti dolo eventuale. Occorre quindi che l’istigatore abbia saputo e voluto, perlomeno previsto e accettato, che l’intervento da lui scelto era idoneo a determinare l’istigato a commettere il reato (cfr. DTF 128 IV 11-18, consid.
2.a; 116 IV 1-2, consid. c.; Basler Kommentar, BSK,Strafrecht I, 2003, Forster M., art. 24 N 3 ss.).
La dottrina precisa che l’istigato deve essere stato indotto a commettere dolosamente e illecitamente un reato: qualora l’autore principale non agisca dolosamente, si dovrebbe invero esaminare se l’istigatore non integri gli estremi della commissione per agire mediato (“mittelbare Tatherrschaft” BSK, StGB I 2003, Forster, M.,art. 24 N 3, 6 ss.).
Dato che l’istigazione è una forma di partecipazione ad un determinato reato, gli elementi costitutivi oggettivi coincidono con quelli del crimine o delitto provocato. L’istigazione è perfezionata allorquando, determinata la volontà dell’istigato a delinquere, questi ha perlomeno intrapreso il tentativo del reato principale
(BSK, Strafrecht I, 2003, Forster, M.,art. 24 N 20). La legge commina all’istigatore la stessa pena applicabile all’autore del reato principale (art. 24 cpv. 1 CP).
b)
Mentre l’autore di un reato è colui che riunisce in sé tutti gli elementi oggettivi e soggettivi dell’illecito, è complice, conformemente all’art. 25 CP, chi aiuta intenzionalmente altri a commettere un crimine o un delitto. La volontà del complice non è direttamente proiettata verso la commissione del reato, ma si esaurisce nell’assecondare la volontà dell’autore principale (CCRP 7 maggio 1991 in Rep. 1992, p. 320 ss, p. 327). Il complice è quindi un partecipante secondario, subordinato all’autore principale. La complicità presuppone, quindi, l’attività criminosa di un autore principale (CCRP 27 luglio 1994 in Rep. 1994, p. 447 con rinvio a DTF 113 IV 44). L’ aiuto prestato dal complice può essere sia di natura fisica, intendendosi un appoggio tangibile, concreto di carattere tecnico o materiale, sia d’ordine psichico o intellettuale e quindi consistere in consigli, informazioni, istruzioni, come pure costituire un sostegno di natura affettiva, emozionale (CCRP 16 gennaio 1979 in Rep. 1980, 358-367 a pag. 362 s; BSK, Strafrecht
I 2003, Forster M.,
art. 25 N 21-28). Fra l’azione (fisica o intellettuale) del complice e il crimine o il delitto commesso dall’autore principale deve intercorrere un nesso di causalità. Non occorre che l’aiuto prestato dal complice sia adeguato a produrre risultato (CCRP . 16 gennaio 1979 in Rep. 1980, p. 362 e rinvii). Secondo dottrina e giurisprudenza, la facoltà di influire significativamente sullo svolgimento dell’attività criminale (“Tatherrschaft”) è uno dei tratti caratteristici della correità, mentre il complice si limita a coadiuvare detta attività, senza averne il controllo (CCRP 7 maggio 1991 in Rep. 1992, p. 328). La pena comminata per il complice deve essere obbligatoriamente attenuata - a tenore dell’art. 25 CP in vigore dal 1. gennaio 2007 - riguardo alla pena applicabile all’autore principale.
c)
Se con un'azione vengono infrante due o più norme penali, nessuna delle quali esclude l'altra (o le altre), si parla di concorso ideale e l'autore è punito per tutte come all'art. 49 cpv. 1 CP . Se però l'applicazione di una norma esclude quella delle altre si parla di concorso imperfetto e l'autore è punito solo per la prima (CCRP 26 luglio 1984 in Rep 1985 p. 189-192, a p. 190, con riferimento al previgente art. 68 cpv. 1 CP).
d)
Per la dottrina più aggiornata il quesito a sapere se possa ammettersi concorso ideale tra il reato d’istigazione e la complicità è invero controverso (
Basler Kommentar, BSK, Strafrecht I 2007, Forster M.,vor Art. 24 N 63 che cita: Schultz, Rehberg, favorevoli; Riklin, Strathenwerth, Trechsel/Noll, contrari). Secondo questo commentatore, mentre la giurisprudenza dell'Alta corte e la dottrina dominante hanno nel frattempo ravvisato concorso imperfetto tra l’agire imputabile ad un autore individuale o agente in correità, da un lato, con atti d'istigazione o di complicità del medesimo soggetto, dall'altro (DTF 115 IV 230, 232 consid. 2.b.; 101 IV 47,50s.; 100 IV 5 consid 5.e), il Tribunale federale non si è ancora espresso univocamente in merito alla natura del concorso, se ideale o imperfetto, sussistente tra i reati di istigazione e di complicità (BSK, Strafrecht I, 2007, Forster, M.,
vor
Art. 24 N 63). Forster, l’autore citato, non prende, a sua volta, una posizione di principio, ma si limita a svolgere le seguenti considerazioni pragmatiche: chi non si limita a provocare nell'altro la risoluzione a delinquere, ma altresì gli dà tangibilmente man forte in modo causale a realizzare l’intento, può apparire maggiormente sanzionabile. In ogni caso si dovrà tener conto in sede di commisurazione della pena della maggiore riprovazione dell’istigatore-complice, riguardo al solo complice, o istigatore (Stratenwerth G., Schweizerisches Strafrecht, AT I, Berna 2005, §13 N162, p. 404). Chi integra, nel contempo, gli estremi della complicità e dell’istigazione non deve, tuttavia, essere punito più severamente dello stesso autore principale; siccome la legge prevede la stessa pena per l’istigatore come per l’autore (art. 24 cpv. 1 CP), non torna applicabile l'art. 49 cpv. 1 CP. Indubbiamente, conclude Forster, di fronte a all’agire di chi, oltre ad istigare si rende anche complice, merita di essere vagliata la qualifica di correo (BSK, Strafrecht I, 2007, Forster, M.,
vor
Art. 24 N 63 in fine). Al riguardo Trechsel/Noll precisano che, verificandosi istigazione e complicità in uno, la partecipazione assume un’intensità tale da doversi generalmente ritenere correità (Trechsel, S./Noll, P., Schweizerisches Strafrecht, AT I, Zurigo 1994, § 31,G).
La DTF 100 IV 1-5 invocata dal ricorrente è invero incentrata sulla punibilità del coautore ed istigatore, rapporto qualificato di concorso imperfetto, di modo che il correo che ha istigato un'altra persona a commettere un reato è punibile solo per correità, non anche per istigazione (consid. 5). La motivazione principale consiste nell'assunto che ogni forma partecipativa, istigazione o complicità, per quanto rilevante, appare assorbita qualora il reo sia invero qualificabile come autore individuale, sia coautore sia autore mediato (DTF 100 IV 4 consid 5.c). Solo di passata l'Alta corte accenna alla consunzione della complicità nell’istigazione, con rinvio, come detto, alla dottrina dominante.
Martin Killias, il commentatore invocato dal ricorrente, si limita ad enunciare, senza ulteriore motivazione, che la qualità d’autore assorbe quella di partecipante e la qualità d’istigatore quella di complice, con rimando alla citata DTF 100 IV 1 (Killias M., Précis de droit pénal, Berna 2001, p. 90 N 624).
e)
Qualora si rimanesse ancorati alla logica dell’argomentazione ricorsuale, sarebbe doverosa la premessa secondo cui la soluzione del quesito - se concorso ideale o imperfetto - non si ripercuoterebbe, nel caso di specie, sulla commisurazione della pena. Chi, come il ricorrente, non si è limitato a determinare il dipendente _ a commettere ripetute falsità in documenti usurpando una pubblica funzione, ma altresì gli ha fornito il necessario materiale e gli indispensabili e precisi ragguagli su come agire in modo illecito denota maggiore propensione a delinquere di chi si limita all’una o all’altra parte. Questo doppio ruolo va in ogni caso considerato - e il giudice penale ne ha correttamente tenuto conto – nella commisurazione della pena a tenore dell’art. 47 CP, indipendentemente dalla qualifica giuridica del concorso.
Indipendentemente da questa prima considerazione, va però ammesso l’interesse giuridico, autonomo e degno di protezione del ricorrente a postulare l’annullamento della condanna per complicità, ancorché un eventuale accoglimento non comporterebbe riduzione di pena(DTF 96 IV 64-72 consid. 1).
f)
Ciò posto, nel caso in esame, il quesito di sapere se sia dato concorso ideale o imperfetto può rimanere indeciso.
Una sussunzione legale corretta dei fatti posti a giudizio imputabili a RI 1 avrebbe dovuto riconoscere il suo ruolo d’autore principale, coautore o autore mediato (che vince l’incerta volontà del dipendente, in parte inducendolo in errore sulla reale portata delle falsificazioni chieste, in parte in forza della facoltà di dargli istruzioni), non quindi d’istigatore e complice, dovendosi ben attribuire al ricorrente la paternità dell’ideazione, della pianificazione, della messa in atto dell’intera attività delittuale, per non dire dell’esclusivo interesse ivi sotteso, circostanze tali da ammettere un suo
animus auctoris
vero e proprio. In particolare, è definito autore mediato (
mittelbarer Täter
,
Hintermann
) chi si serve di una persona sprovvista di volontà, o perlomeno, di persona che non agisce colpevolmente, per fargli compiere un reato
. L’autore mediato è punibile come se avesse commesso personalmente le azioni perpetrate dall’autore diretto, il cui ruolo appare meramente strumentale
(
DTF 120 IV 22s. consid.
2d e rinvii). Può essere che l’autore mediato sfrutti dei deficit intellettuali o psichici dell’autore diretto (errore sui fatti, carenze della capacità di discernimento, inattitudine per sostanze stupefacenti, conflitto d’interessi discolpante, ecc.), oppure lo costringa tout-court a perpetrare il reato (BSK, Strafrecht I, 2007, Forster M.,
vor
Art. 24 N 28). Secondo il Tribunale federale, le nozioni di autore mediato e di correo mostrano che un soggetto può essere considerato autore di un reato benché non ne sia l’artefice diretto, ossia - come nel caso di specie - non abbia personalmente compiuto tutti gli elementi oggettivi costitutivi della fattispecie legale (
DTF 120 IV 23s. consid.
2d e rinvii).
3. a
) In relazione ai requisiti del reato di falsità in documenti (art. 251 CP), il giudice penale ha ravvisato il fine illecito nella duplice circostanza secondo cui RI 1 ha “
chiaramente agito con l'intento di garantire alla propria ditta la mercede per i servizi prestati ai comuni di _, alla quale egli sapeva non avrebbe avuto altrimenti più diritto. Nel contempo l'imputato in questione era pure consapevole del fatto che avrebbe causato un danno indebito agli utenti della strada vittime dei reati, che si sarebbero visti costretti a pagare delle ammende attribuite indebitamente, da persona non legittimata
” (sentenza 7 novembre 2006 consid. 11 e 7 in fine; p. 10 e 7 ).
Il ricorrente contesta l'ammissione giudiziale dell’intenzione di aver voluto procacciare alla propria ditta un indebito profitto e di arrecare danno a terzi. Lo escluderebbe la natura del compenso pattuito con i mandanti, segnatamente una retribuzione oraria per le ronde svolte, svincolata dalle contravvenzioni concretamente elevate, di modo che la mercede stata esigibile ancorché non fosse stata distribuita alcuna multa. A conferma, il ricorrente adduce la circostanza “
ritenuta perlomeno verosimile dal Giudice di prima istanza
” inerente alla decisione della _, antecedente la denuncia, di non fatturare le prestazioni relative al controllo effettuato da _ nel periodo indicato dal decreto d'accusa ed di aver tenuto in sospeso le relative multe, comunicandolo alla polizia comunale di Locarno.
Infine, il giudice avrebbe omesso di riscontrare il requisito soggettivo dell'intenzione di ingannare.
b)
E’ fuor di dubbio che, RI 1 abbia agito in veste di organo con l'intento di procacciare alla sua ditta un indebito profitto e conseguente accettazione di nuocere al patrimonio e diritti altrui. Si fossero svolti i fatti come concepito dal ricorrente - ovvero senza l'intervento dell'ex dipendente _, che verosimilmente lo mise in stato d’allarme (cfr. verbale interrogatorio _ 23 settembre 2005, p. 4) - la sua ditta avrebbe incassato la mercede per pattugliamenti eseguiti da un dipendente non legittimato. Il vantaggio è perfino di duplice natura, patrimoniale e d'immagine. Patrimoniale, poiché il ricorrente, incaricando un dipendente sprovvisto della dovuta autorizzazione, ha conseguito il risparmio corrispondente alla mancata assunzione di personale interinale supplementare e per di più debitamente qualificato, conseguentemente più oneroso. Penalmente rilevante è pure il guadagno d'immagine, poiché la nozione di profitto dell’art. 251 CP abbraccia anche vantaggi inerenti alla posizione di mercato (
BSK, Strafrecht II 2003, BOOG, M., art. 251 N 94;
DTF 96 IV 150, 152, consid. 1
)
: non notificando ai mandanti la propria momentanea difficoltà, o incapacità, di assolvere il mandato, RI 1 ha avvalorato presso questi enti la percezione della propria ditta come impresa organizzata ed efficiente, non da ultimo operando anche a detrimento della concorrenza. Il profitto è poi indebito sia in ragione del conseguimento illecito (
in primis
: violazione delle prescrizioni di diritto pubblico sui requisiti legali per elevare contravvenzioni) sia perché sprovvisto di pretesa giuridicamente tutelabile (
BSK, Strafrecht II 2003, BOOG, M., art. 251 N 95
). L’intenzione d’ingannare del ricorrente risulta già dalla sua partecipazione all’effettiva messa in circolazione, giuridicamente rilevante, di avvisi di multa falsificati (DTF 113 IV 77 consid. 4 p. 82;
BSK, Strafrecht II 2003, BOOG, M., art. 251 N 87
), di cui ignari automobilisti erano i primi destinatari. Va però oltre, estendendosi all’intento di trarne profitto, includendo pure il raggiro a danno dei mandanti. Se RI 1 non avesse inteso agire per garantire alla propria ditta la mercede per servizi prestati ai due comuni, avrebbe loro immediatamente segnalato la temporanea impossibilità di adempiere il contratto. Così non è stato. Del tutto irrilevanti, pertanto, le altre confutazioni inerenti alla volontà o no di nuocere a terzi o cosa il ricorrente avrebbe predisposto successivamente, elevate le contravvenzioni: la falsità in documenti è anche reato di messa in pericolo astratta ; tutela la buona fede nei rapporti giuridici indipendentemente da pregiudizi concreti individuali, ed è già realizzata con la messa in circolazione del documento falso (DTF 119 IA 342- 347, consid.
2b p. 246; BSK, Strafrecht II 2003, BOOG, M., art. 251 N 1). Dal profilo oggettivo va rilevato che l’art. 251 CP reprime altresì l’agire di chi, con gli intenti indicati, fa attestare in un documento, contrariamente alla verità, un fatto di importanza giuridica, o fa uso, scopo d’inganno, di un tale documento. Questa variante normativa evidenzia che l’autore del reato non s’identifica necessariamente con l’estensore del documento falso. La formazione di un documento falso, l’alterazione di un documento vero, l’abuso dell’altrui firma per formare un documento suppositizio o la falsità ideologica possono essere attuati per interposta persona (Corboz B., Les infractions en droit suisse, vol. II, Berna 2002, art. 251 N 81-88 , p. 200).
c
. A tenore dell'art. 287 CP è punito con una pena detentiva sino tre anni o con una pena pecuniaria chiunque per un fine illecito si arroga l'esercizio di una pubblica funzione od il potere di dare ordini militari. Per l'esercizio di una pubblica funzione ai sensi di questa norma devono essere intesi tutti quei compiti affidati a dei funzionari ai sensi dell'articolo 110 cf. 3 CP. A titolo eccezionale, rientrano in questa definizione pure le funzioni esercitate da privati su delega e in rappresentanza dello Stato,
quali, ad esempio, il notaio (BSK, Strafrecht II 2003, Heimgartner S., art.
287 N 1) e l'ausiliario di polizia. Il comportamento punibile consiste nell’esercizio di un potere, nell’appropriarsi indebitamente di una carica, facendo credere di esserne autorizzati, mentre così non è (Trechsel S., Kurz-kommentar, 1997, art. 287 no. 2). Il reato è perfezionato dal momento che l’autore inizia ad esercitare il potere usurpato, vale a dire, compie un atto ufficiale attinente ai pubblici poteri (
Corboz B., Les infractions en droit suisse, vol. II, Berna 2002, art. 287 N 7 , p. 431s.)
L'elemento costitutivo soggettivo del fine illecito è adempiuto, quando l'autore persegue uno scopo già illecito in sé. Pure illecito è il perseguimento d’obiettivi di per sé leciti, ma con mezzi impropri, qualora siano lesi in maniera inammissibile i diritti individuali di un terzo (DTF 128 IV 164 consid c.bb;
BSK, Strafrecht II 2003, Heimgartner S., art. 287 N 11)
. Analogamente al reato di falsità in documenti, costituisce fine illecito l’intenzione di procacciarsi un indebito profitto o di nuocere a
diritti altrui (BSK, Strafrecht II 2003, Heimgartner S., art. 287 N 11; Corboz B., Les infractions en droit suisse, vol. II, Berna 2002, art. 287 N 9 in fine, p. 432).
d)
Nel caso di specie, sono decisive le circostanze secondo cui l’autorizzazione ad apporre avvisi di contravvenzione – e pertanto d’esercitare un eminente compito pubblico attinente alla polizia della circolazione stradale – fu conferita alla
_,
società di cui RI 1, amministratore unico, è organo direttamente responsabile. La società incaricata avrebbe dovuto operare esclusivamente per il tramite di personale formato, condizione di validità dell’autorizzazione. Fornendo al dipendente _
il blocchetto delle multe e l'OMD, indicandogli le zone da controllare, chiedendogli di copiare le multe, in particolare di inserire lo stesso numero d’identificazione assegnato al fratello _ (no. 81) e, nel riquadro della firma, di apporre l’identica sigla del fratello, RI 1 ha realizzato, come autore, gli elementi oggettivi di entrambi i reati. Ininfluente la circostanza che gli avvisi di contravvenzione siano poi stati compilati e apposti dal _ .
Pure il presupposto soggettivo del fine illecito, già esposto e ammesso nel precedente considerando, è senz'altro da confermare anche per l'usurpazione di funzioni.
4.
La censura d’arbitrio sembra vertere sul diverso trattamento riservato dal giudice penale ai due imputati in merito alla natura delle relative colpe, nonostante entrambi siano stati a conoscenza della necessità di avere assolto il corso di formazione per poter esercitare come ausiliario di polizia: mentre per _ il giudice penale ha ammesso l’agire in buona fede “
commettendo una leggerezza che può al massimo essere caratterizzata come negligenza
” (sentenza consid. 9, p. 8), al qui ricorrente è stata imputata mala fede, a significare intenzionalità.
Va, anzitutto, osservata la dubbia ricevibilità in ordine della censura, poiché il ricorrente omette di indicare perché il primo Giudice sarebbe necessariamente dovuto giungere ad un differente convincimento qualora avesse preso in considerazione le circostanze da lui allegate (sent. 3 ottobre 1980 CCRP, in Rep. 1982 p. 156, consid. 5.2.5 e rinvii). Ancora va ricordato che
arbitrario accertamento dei fatti e valutazione delle prove non significa manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì apertamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30; 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 173 consid. 3.1 pag. 178, 128 I 273 consid. 2.1 pag. 275).
Sotto questo specifico aspetto la conclusione del primo Giudice di ritenere dati per RI 1 – manifestamente a conoscenza delle tassative condizioni per impiegare il personale come ausiliario di polizia per essere stato il destinatario della decisione dipartimentale – i presupposti del reato di usurpazione di funzioni e falsità in documenti, non è censurabile
Per il resto, quand’anche si dovesse condividere l’opinione del ricorrente secondo cui desta perplessità l’assoluzione di _ , incentrata sulla valutazione giudiziale di ammetterne la buona fede, conseguentemente di qualificare di negligenza il suo agire, in particolare se si consideri che l’impiegato ha pur sempre, per propria ammissione, consapevolmente falsificato la firma su alcune decine di avvisi di contravvenzioni , va detto, da un lato, che la sentenza d’assoluzione sfugge al giudizio di questa Corte, poiché cresciuta incontestata in giudicato e, d’altro lato, che la sottesa critica di disparità di trattamento (peraltro non esplicitata) non giova al ricorrente.
Da un lato, e prima di tutto, non giova perché un’eventuale responsabilità di terzi non libera un autore dalla sua responsabilità
poiché, in materia penale, ciascuno risponde delle proprie azioni o omissioni (CCRP 11 settembre 1985 in Rep. 1986 p. 329 in fondo con rinvii).
E, d’altro lato, non giova nemmeno poiché va considerata la diversità di ruoli, funzioni e responsabilità tra i due coimputati.
RI 1
è amministratore unico con firma individuale di una ditta attiva tra l’altro, per scopo dichiarato, nell’ambito della
consulenza
di prodotti e servizi di sicurezza, risulta firmatario della richiesta 18 giugno 2003 al Dipartimento per l’ottenimento dell’autorizzazione e destinatario della relativa decisione di delega indicante le condizioni di validità (cfr. allegati al verbale di dibattimento). Egli era pure iscritto ( unitamente a _ ) al corso di formazione ausiliari di polizia previsto dal 6 al 10 giugno 2005 e di cui aveva ricevuto la convocazione – come rilevato dal Giudice di prime cure, sentenza consid. 11, p. 9 – prima dello svolgimento dei fatti incriminati (cfr. l’elenco dei partecipanti annesso alle direttive del 4 maggio 2005, allegata al Rapporto d’inchiesta, ACT 2). Infine, e soprattutto, il ricorrente era legittimato, in veste di organo della datrice di lavoro, ad impartire ordini e istruzioni al dipendente _ , fino ad autorevolmente
minimizzare la contestazione del primo circa la sostituzione della firma, designandola “
sigla di poca importanza
” (cfr. verbale di interrogatorio 27 settembre 2005 di _ ). Il ricorrente non può avvalersi in un’eventuale colpa di _ ,
5.
Stabilito che il decreto d'accusa considera solo le forme partecipa
tive dell’istigazione e della complicità in usurpazione di funzioni (art. 24 cpv. 1, 25 e 287 cpv. 1 CP), nonché dell’istigazione e complicità in falsità in documenti ( art. 24 cpv.1, 25 e 251 CP) e non il ruolo di autore principale di questi due reati (art. 287 e 251 CP), la questione non può ovviamente essere vagliata oltre.
Per ragioni d’economia processuale e in conformità della giurisprudenza di questa Corte, gli atti vanno trasmessi alla Pretura penale perché riprenda il processo secondo l'art. 250 cpv. 1 e 4 CPP (applicabili per analogia anche ai procedimenti che sfociano in un decreto di accusa) dovendosi valutare la posizione dell’accusato alla luce dei reati ex art. 252 e 287 CP, contemplati nel decreto di accusa nella sola forma della partecipazione. Basterà nel caso di specie che il nuovo giudice (art 296 CPP) contesti all’accusato qui ricorrente la nuova imputazione.
Prima di riprendere il processo, nondimeno, egli dovrà assicurare all’accusato il diritto di essere sentito – e quindi anche di proporre prove a discarico – sgorgante dall'art. 9 Cost. (cfr. DTF 119 Ia 139 consid. 2e con richiami di dottrina e giurisprudenza; CCRP 21 ottobre 1999 in re B., consid. 2c).
6
. Da quanto precede discende che il dispositivo 1 della sentenza impugnata deve essere annullato. Gli atti sono rinviati alla Pretura penale per un nuovo giudizio nel senso dei precedenti considerandi sui reati di usurpazione di funzioni e di falsità in documenti (art. 251 e 287 CP) e, dandosene il caso, per ricommisurazione della pena e per nuovo giudizio sulle spese giudiziarie e sulla tassa di giustizia.
7
. La tassa di giustizia e le spese del giudizio odierno seguono il principio per cui "se fu pronunciata la cassazione, lo Stato sopporta le spese posteriori all'atto che l'ha determinata" (art. 15 cpv. 2 CPP). In esito all'attuale sentenza si giustifica perciò di caricare gli oneri processuali allo Stato. Non vengono per contro riconosciute ripetibili a
RI 1
(art. 9 cpv. 6 CPP), siccome la cassazione avviene per motivi del tutto estranei alla censure ricorsuali. Sugli oneri di prima sede giudicherà nuovamente la Pretura penale in sede di rinvio.
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,008 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8656b967-a00d-5526-b87c-946d4c59e162
|
in fatto: A.
Il 23 febbraio 2000 la polizia cantonale ha sequestrato nel negozio _, per ordine del Procuratore pubblico, numerosi sacchetti odorosi denominati “bagno-relax” a base di canapa. Dalle analisi è risultato che questi contenevano complessivamente 1'050 g di marijuana con un tenore THC variante tra l'11.3 e il 17.2%. Il giorno stesso gli inquirenti hanno controllato anche il cliente del negozio _, che aveva appena acquistato per fr. 100.– tre sacchetti “bagno-relax” nell'intento di fumarne poi il contenuto. Durante l'inchiesta _, commesso nel negozio (appartenente a sua sorella _), ha dichiarato che il 90% delle vendite giornaliere riguardava i sacchetti in questione. Egli andava a ritirare tali confezioni ogni mattina dal cognato, cui passava le ordinazioni nel corso del pomeriggio precedente. Il costo del sacchetto variava da fr. 20.– a fr. 100.– e il giro d'affari del negozio era compreso tra i fr. 300.– e i fr. 1'000.– giornalieri.
B.
Con decreto di accusa del 23 ottobre 2000 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di violazione della legge federale sugli stupefacenti per avere, in qualità di commesso di negozio, ripetutamente venduto senza autorizzazione a un numero indeterminato di persone, alcune delle quali minorenni, un quantitativo considerevole di marijuana, conseguendo un guadagno lordo di circa fr. 2'200.– mensili. Egli ne ha proposto perciò la condanna a 30 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente con un periodo di prova di due anni. Statuendo il 16 maggio 2001 su opposizione, il presidente ella Corte delle assise correzionali di Bellinzona ha confermato tanto l'imputazione quanto la proposta di pena.
C.
Contro la sentenza di assise
_
ha introdotto il
18 maggio 2001 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 26 giugno 2001, egli chiede di riformare il giudizio impugnato nel senso di pronunciare la sua assoluzione. il Procuratore pubblico ha comunicato il 3 luglio 2001 di non avere particolari osservazioni da formulare, limitandosi a proporre di respingere il ricorso.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorrente si duole di una violazione dell'art. 20 CP. Ora, l'art. 20 CP abilita il giudice ad attenuare la pena secondo il suo libero apprezzamento (art. 66 CP) o prescindere da ogni pena se l'agente ha avuto ragioni sufficienti per credere che l'atto fosse lecito. L'errore (in diritto) può essere invocato, secondo giurisprudenza, da chi ha avuto ragionevole motivo di ritenere che non stesse compiendo alcun illecito e non soltanto un'azione non punibile dal profilo penale (DTF 104 IV 217 consid. 2, 98 IV 293 consid. 4a). “Ragioni sufficienti” sussistono, in altri termini, solo quando l'autore va esente da ogni rimprovero, essendosi fondato su motivi che avrebbero indotto in errore anche una persona coscienziosa (DTF 104 IV 217 consid. 3a, 98 IV 303). Poiché è compito della persona confrontata con situazioni poco chiare – ha precisato il Tribunale federale – assumere informazioni affidabili, dandosene il caso con l'ausilio di un legale (DTF 98 IV 293 consid. 4a). Non vi è spazio per l'errore, ad esempio, quando l'autore ha dubitato o avrebbe dovuto dubitare della liceità del suo comportamento (DTF 121 IV 105 consid. 5, 120 IV 208 consid. 5a, 104 IV 217 consid. 3a) o quando egli sa dell'esistenza di una norma di legge, ma non si cerziora sul suo contenuto e sulla sua portata (DTF 120 IV 208 consid. 5a).
2.
Quel che l'autore di un reato o non sa, quello che vuole o l'eventualità delittuosa cui egli consente è un problema legato all'accertamento dei fatti (DTF 121 IV 92 consid. 2b con rinvii). Il ricorso per cassazione è invece un rimedio di mero diritto (art. 288 cpv. 1 lett. a e 295 cpv. 1 CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove possono essere rimessi in discussione solo se il giudizio impugnato denota gli estremi dell'arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c CPP). Arbitrario non significa tuttavia opinabile o finanche erroneo, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo o in urto palese con il sentimento di giustizia ed equità (DTF 126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4a).
3.
Il presidente della Corte d'assise ha rilevato anzitutto che la vendita di fiori di canapa è punibile a norma dell'art. 19 n. 1 LStup se lo scopo è quello di estrarre stupefacenti, condizione data quando l'agente sa che la canapa sarà usata come stupefacente e, ciò nonostante la vende, accettando che sia utilizzata a tale scopo (DTF 126 IV 60). Il primo giudice ha escluso subito l'errore di diritto invocato dall'imputato, già per il fatto che sui sacchetti a base di canapa figurava l'invito a non usare il contenuto come stupefacente e l'imputato sapeva che nella maggior parte dei casi tale raccomandazione cadeva nel vuoto. Visto poi che nel negozio si vendevano anche cartine per sigarette e apparecchi per la confezione meccanica di sigarette, l'agire del commesso risultava finanche intenzionale (sentenza, pag. 4 e 5). Che la citata sentenza del Tribunale federale sia apparsa dopo i fatti contemplati nel decreto di accusa – ha continuato il primo giudice – poco importa. Già prima della pubblicazione divampava infatti nei media la discussione intorno alla liceità delle droghe leggere. Trattandosi di una situazione poco chiara, una persona coscienziosa non poteva avere la certezza di mettere legalmente in commercio sacchetti a base di canapa, rinunciando ad assumere precise informazioni prima di agire (sentenza, pag. 5).
4.
Il ricorrente rimprovera alla prima Corte di avere liquidato il problema in modo sommario e semplicistico, senza esaminare compiutamente i motivi che potevano indurlo a ritenere lecito il suo comportamento. Egli ricorda che al momento dei fatti vi erano 50 “canapai” attivi in Ticino, di cui l'autorità non si interessava, e che il precedente gestore del negozio in cui egli lavorava era stato indagato non per la vendita di sacchetti a base di canapa, ma per commercio di hashish. In realtà l'argomentazione non ha consistenza. Il ricorrente non poteva infatti dare per scontata la liceità del proprio comportamento solo perché altri “canapai” non venivano perseguiti. L'art. 20 CP non tutela la parità di trattamento nell'illegalità. Del resto, come il ricorrente medesimo ha ammesso di sapere, su ogni sacchetto figurava l'avvertenza che aprendo la confezione “si incorre alla LF sugli stupefacenti“ (act. 3.3 pag. 3), ma la maggior parte dei clienti comperava i sacchetti per fumarne contenuto (sentenza, pag. 4 e 5; act. 3.3, pag. 3 e act. 4, pag. 2). In circostanze del genere era suo dovere agire con cautela, eventualmente chiedendo consiglio a uno specialista, non fidarsi di opinioni generiche o dell'impunità riservata – a suo dire – ad altri “canapai” e al precedente gestore del negozio (act. 4, pag. 4). Come si è spiegato, l'errore è escluso quando l'interessato abbia sufficienti ragioni per ritenere di compiere un illecito; confidare soltanto sulla non punibilità dell'azione non basta (DTF 98 IV 303, 120 IV 215). Nella fattispecie l'imputato ha agito avventatamente, senza approfondire alcunché. A torto egli insiste pertanto sull'attenuante prevista dall'art. 20 CP.
5.
A parere del ricorrente le autorità hanno profittato dei “canapai”, che permettevano da un lato di fermare il mercato nero e dall'altro di impedire ai giovanissimi di entrare in contatto con spacciatori di droghe anche pesanti. Di conseguenza gli inquirenti hanno visitato svariati “canapai”, uscendo dai negozi senza dare l'impressione di avere ravvisato nulla di illegale. Trattasi di un atteggiamento – sostiene il ricorrente – che può solo confortare l'errore in cui egli è incorso. Fondata su congetture, ossia su illazioni e non su fatti accertati (o per lo meno con qualche riscontro agli atti), la tesi va dichiarata inammissibile. Certo, il ricorrente invoca anche la prassi di altri Cantoni e assoluzioni pronunciate da tribunali confederati in situazioni definite analoghe. Se non che, raffronti del genere avrebbero richiesto una disamina dei motivi idonea a dimostrare che, comportandosi in maniera diversa nel caso specifico, le autorità ticinesi sono cadute in una palese disparità di trattamento. Così com'è motivato, al proposito il ricorso è una volta ancora inammissibile.
6.
Sostiene il ricorrente che una parte della dottrina, facente capo all'opinione del prof. Peter
Albrecht
, reputa legale la vendita di derivati della canapa come avviene presso i “canapai” ticinesi e che persino il consulente giuridico del Consiglio di Stato, interpellato dall'esecutivo cantonale al riguardo, ha ritenuto legale l'attività dei “canapai” nella misura in cui questi vendono piante di canapa o prodotti di canapa essiccata sotto forma di sacchetti profumati, confezioni per tisane, imbottiture per cuscini o altro. Avesse egli assunto informazioni, avrebbe quindi ottenuto risposte sbagliate. Il ricorrente tenta però di equivocare sui termini, giacché egli non è perseguito per avere venduto canapa in quanto tale, ma per avere venduto sacchetti a base di canapa ben sapendo che il contenuto della maggior parte delle confezioni veniva usato dai compratori come stupefacente. Nessun esperto degno di fede gli avrebbe mai assicurato la liceità di un comportamento siffatto. Anche su questo punto il ricorso è destinato perciò all'insuccesso. Il ricorrente soggiunge che la società per cui lavorava era regolarmente iscritta a registro di commercio, nonostante il suo scopo fosse la compravendita di prodotti a base di canapa. Avesse riscontrato un impedimento qualsiasi, l'ufficiale avrebbe senz'altro rifiutato l'iscrizione. Anche tale asserzione è inconsistente, repressa dall'art. 19 n. 1 LStup non essendo l'attività di “canapai” in sé, ma la vendita di canapa destinata a essere usata come stupefacente (DTF 126 IV 60).
7.
Il ricorrente assevera che il suo grado di diligenza non può essere valutato senza tenere conto della stima e della venerazione che egli nutriva per la sorella, della quale si fidava ciecamente, come non si può sorvolare sulle sua limitata formazione scolastica, che non gli ha consentito di comportarsi in modo più scrupoloso. Ricorda inoltre il suo modesto stipendio e il ruolo di semplice commesso, senza potere decisionale. Se non che, tutto ciò non gli ha impedito di rendersi conto che gran parte degli acquirenti usava il contenuto dei sacchetti odorosi come stupefacente. Quanto all'errore sui fatti (art. 19 CP) che egli invoca sostenendo di non essere stato a conoscenza dell'esatto tenore di THC presente nei sacchetti venduti, né del limite ammesso dello 0.3%, la pretestuosità dell'obiezione è evidente. Né durante l'istruttoria né al dibattimento egli ha mai sostenuto, per vero, di avere confidato sul limitato tenore di THC. Anzi, in un primo momento egli ha dichiarato agli inquirenti che la questione non lo interessava (art. 3.3., pag. 4), salvo riconoscere poi che il tasso massimo di THC consentito dalla legge è dello 0.3% (act. 4, pag. 4), e ciò dopo avere dato atto di essersi reso conto che la maggior parte degli acquirenti usava il contenuto dei sacchetti come stupefacente. Le caratteristiche della sostanza venduta gli erano quindi indifferenti.
8.
Secondo il ricorrente il presidente della Corte è in ogni modo caduto in arbitrio ritenendo che egli abbia venduto marijuana anche a minorenni, come gli ha imputato il Procuratore pubblico nell'atto di accusa, richiamato nel dispositivo n. 1 di condanna. La critica è infondata, ove si consideri che al Procuratore pubblico il ricorrente ha riferito di non poter escludere di avere venduto sacchetti anche a minorenni, seppure inconsapevolmente (act. 4, pag. 4). E il presidente della Corte non gli ha rimproverato di essersi reso conto che tra gli acquirenti v'erano anche minorenni. Fosse vero il contrario, la commisurazione della pena ne avrebbe risentito del resto in misura sensibile. Se ne conclude che il ricorso è destinato all'insuccesso anche su quest'ultimo punto.
9.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,001 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
86a770c8-cada-5d7c-916b-af9d64049b84
|
in fatto: A.
Con decreto cautelare del 6 novembre 2000, emesso senza contraddittorio su istanza di _ e _, il Segretario assessore del Distretto di Bellinzona ha ordinato a _, in luogo e vece del Pretore, di liberare immediatamente la superficie della particella n. _ RFD di _ adibita a passo in favore delle particelle confinanti e di non ostacolare in alcun modo l'esercizio di tale diritto, sotto comminatoria dell'art. 292 CP. _ non avendo ottemperato all'ingiunzione, _ e _ hanno sporto querela insieme con _ per disobbedienza a decisioni dell'autorità, allegando il decreto cautelare del 6 novembre 2000, varie fotografie, il verbale di un sopralluogo redatto il 21 settembre 2000 nell'ambito della procedura cautelare e un rapporto di constatazione firmato il 7 dicembre 2000 del tecnico del Comune di _. _ e _ hanno precisato di agire come istanti nella procedura cautelare e come ex proprietari e usufruttuari dell'abitazione che sorge sulla particella n. _, beneficiaria del passo, mentre _ ha spiegato di agire come nuovo proprietario del fondo, trapassato a suo nome alla fine di aprile del 2000.
B.
Con decreto di accusa del 13 agosto 2001 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di disobbedienza a decisioni dell'autorità per avere intenzionalmente disatteso il decreto del 6 novembre 2000 con cui il Segretario assessore gli ordinava di liberare immediatamente la nota superficie della particella n. _, in particolare asportando i vasi da fiori da lui posati sul fondo. In applicazione della pena, egli ne ha proposto la condanna a una multa di fr. 500.– e al pagamento di fr. 300.– per ripetibili alle parti civili _, _ e _, rinviando queste ultime al foro competente per far valere i pretesi danni di fr. 4'785.90. Al decreto di accusa _ ha sollevato opposizione. Statuendo sull'opposizione, con sentenza del 3 dicembre 2001 il Pretore del Distretto di Bellinzona ha assolto l'imputato, addebitando i costi della procedura (non cifrati) allo Stato.
C.
Contro tale decisione _, _ e _ hanno introdotto il 7 dicembre 2001 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 28 dicembre successivo, essi chiedono che la sentenza impugnata sia annullata e che l'accusato sia riconosciuto colpevole dell'imputazione contenuta nel decreto di accusa, con obbligo di rifondere loro fr. 4'785.90 in risarcimento dei danni. Nelle sue osservazioni del 28 gennaio 2002 _ propone di respingere il ricorso. Il Procuratore pubblico ha comunicato il 18 gennaio 2002 di rimettersi al giudizio della Corte.
|
Considerando
in diritto: 1.
Chiunque non ottempera, sotto comminatoria di pena, a una decisione a lui intimata da un'autorità competente o da un funzionario competente è punito con l'arresto o con la multa (art. 292 CP). Il reato è perseguito d'ufficio. In concreto il Pretore ha ricordato anzitutto che al dibattimento l'imputato pretendeva di avere spostato i vasi da fiori che invadevano il passaggio, se non subito, almeno dopo la metà di novembre del 2000, ma che ciò contrastava con l'accertamento compiuto dal tecnico comunale il 7 dicembre successivo. Dal profilo oggettivo – ha rilevato il Pretore – l'ordine giudiziario era stato perciò trasgredito. Rimaneva nondimeno l'obiezione dell'imputato, il quale sosteneva la nullità del decreto cautelare poiché privo dell'assegnazione di un termine agli istanti per promuovere l'azione di merito (art. 381 CPC). Al riguardo il Pretore ha rammentato che il destinatario di un'ingiunzione giudiziaria può essere punito in virtù dell'art. 292 CP solo “se l'ordine da lui disatteso è contenuto in una decisione valida secondo il diritto processuale che la governa”. Nel caso in esame il decreto cautelare del 6 novembre 2000 era stato emanato prima che fosse introdotta l'azione di merito. Esso doveva prevedere quindi l'assegnazione agli istanti di un termine entro cui promuovere tale azione, con l'avvertimento che l'ordine sarebbe decaduto nel caso in cui l'azione non fosse stata proposta (art. 381 CPC). Se non che – ha continuato il Pretore – agli atti non figurava il fascicolo del procedimento civile nell'ambito del quale il decreto era stato emesso, sicché non era possibile accertare se il vizio consistente nella mancata assegnazione del termine fosse “stato successivamente sanato”. In difetto di tale prova, egli ha ritenuto di assolvere l'imputato sulla base del principio
in dubio pro reo
.
2.
I ricorrenti insorgono contro la conclusione del Pretore, affermando che nel quadro di un procedimento penale per violazione dell'art. 292 CP non è lecito esaminare pregiudizialmente la legittimità della decisione contenente l'ingiunzione del giudice
civile
. Comunque sia, essi sottolineano che nella fattispecie il decreto cautelare ossequia tutti i requisiti degli art. 376 segg. CPC, in particolare l'urgenza, dato che la necessità di rimuovere i noti vasi da fiori era impellente. Inoltre, a parere dei ricorrenti, anche i decreti cautelari emanati inaudita parte sono immediatamente esecutivi, riservata la facoltà di chiederne entro dieci giorni la revoca previo contraddittorio (art. 379 cpv. 2 CPC). A torto il Pretore reputava dunque che il Segretario assessore dovesse assegnar loro, nell'ambito del procedimento cautelare, un termine per avviare l'azione di merito, pena la decadenza del provvedimento d'urgenza. Con un ragionamento del genere – essi soggiungono – ogni misura supercautelare rimarrebbe illusoria.
a)
In DTF 121 IV 29 consid. 2a pag. 31 il Tribunale federale ha stabilito che, nell'ambito di un procedimento penale per disobbedienza a decisione dell'autorità, il giudice penale può riesaminare liberamente la legittimità di una decisione
amministrativa
se contro di essa non era dato ricorso a un tribunale. Se il ricorso era possibile, ma l'interessato non l'ha esperito (oppure il ricorso è ancora pendente), il giudice penale non può scostarsi dalla decisione amministrativa, salvo in caso di manifesta violazione della legge o di abuso del potere di apprezzamento. Il giudice penale non può scostarsi nemmeno dal sindacato di un tribunale amministrativo. La questione di sapere, per contro, se il giudice penale sia legittimato a rivedere l'ingiunzione impartita da un giudice
civile
è stata lasciata indecisa (cfr. anche DTF 124 IV 297 consid. II/4a pag. 307).
b)
La dottrina ha già avuto modo di rilevare, da parte sua, che di principio un giudice penale non è abilitato a riesaminare la legittimità di una decisione presa da un tribunale civile. Non è suo compito, in effetti, sostituirsi all'autorità di ricorso, cui l'interessato avrebbe potuto rivolgersi secondo le norme di procedura applicabili (
Corboz
, Les principales infractions en droit suisse, Berna 2002, vol. II, n. 16 ad art. 292 CP). La regola secondo cui, nel quadro dell'art. 292 CP, il giudice penale è vincolato alla decisione civile in cui figura la comminatoria non è tuttavia senza limiti. Il giudice penale può scostarsi da una simile decisione, ad esempio, ove quest'ultima sia affetta da vizi tanto gravi da comportarne la nullità, come nell'ipotesi in cui l'autorità che ha pronunciato l'ingiunzione non fosse competente per farlo (cfr. DTF 122 IV 340 consid. 2 pag. 342). Il giudice penale non è vincolato a una decisione giudiziaria civile nemmeno qualora il destinatario del provvedimento non abbia avuto la possibilità di esprimersi, come nel caso di misure provvisionali emanate senza contraddittorio (
Corboz
, loc. cit.).
c)
La Corte di cassazione e di revisione penale ha già avuto occasione di stabilire, nel solco di quanto precede, che il giudice penale può considerare inefficace un decreto esecutivo civile (art. 497 cpv. 1 CPC) nell'ambito del quale il convenuto non abbia potuto difendersi per non essersi mai visto notificare alcun precetto esecutivo. Il decreto esecutivo è emanato difatti senza contraddittorio e senza nemmeno che alla controparte sia notificata l'istanza di emissione (
Cocchi/ Trezzini
, CPC massimato e commento, Lugano 2000, n. 1 ad art. 497). Per di più, esso è immediatamente eseguibile e contro di esso non è dato alcun rimedio di diritto (art. 497 cpv. 2 CPC). Di norma, la mancata opposizione a un precetto esecutivo civile preclude la possibilità di esaminare la validità e il contenuto dell'obbligazione (
Cocchi/Trezzini
, op. cit., n. 2 ad art. 497 CPC). Se il convenuto però non è stato posto nelle condizioni di sollevare opposizione proprio perché non ha mai ricevuto il precetto, come nella fattispecie appena citata, il giudice penale può considerare inefficace la comminatoria dell'art. 292 CP contenuta nel decreto esecutivo (CCRP, sentenza del 21 gennaio 2002 in re B., consid. 2b e 2c).
d)
Nel caso specifico il decreto all'origine del procedimento penale è stato emanato dal Segretario assessore il 6 novembre 2000, dopo che il 4 maggio 2000 si era tenuta la discussione in Pretura (e dopo che il 21 settembre successivo si era eseguito un sopralluogo), ma prima che fosse indetto il “contraddittorio” nel senso dell'art. 382 cpv. 1 CPC, cioè la discussione cautelare finale (Rep. 1983 pag. 280 consid. 1). Il che era perfettamente lecito, l'art. 371 CPC abilitando il giudice a decretare provvedimenti cautelari “in qualsiasi momento”. La questione è di sapere se il giudice penale fosse vincolato a un tale decreto. Ora, i decreti cautelari emessi dopo la discussione dell'art. 379 cpv. 2 CPC, ma prima della discussione
finale
dell'art. 382 cpv. 1 CPC – come quello in esame, che taluni definiscono emanati “nelle more istruttorie” (
Cocchi/Trezzini
, op. cit., pag. 846 nota 907) – possono formare oggetto di una domanda di revoca al giudice che li ha presi; in tal caso il giudice indice una discussione, “a seguito della quale la decisione in esame sarà convalidata, modificata o revocata” (
Cocchi/Trezzini
, loc. cit.). Quest'ultima decisione non è appellabile, ma è pur sempre emessa nel rispetto del diritto di essere sentito. Già a prima vista non sembra perciò che in concreto il giudice penale potesse riesaminare il decreto del Segretario assessore, al quale il convenuto avrebbe potuto rivolgersi con una domanda di revoca. Sotto questo profilo la sentenza impugnata, in cui il Pretore ha riesaminato la legittimità del decreto cautelare, non resiste alla critica.
e)
Il Pretore sembra dipartirsi invero dall'assunto che, a prescindere dall'eventuale possibilità di contraddittorio, il decreto in questione fosse viziato di nullità – da rilevare d'ufficio – perché sprovvisto dell'assegnazione di termine entro cui gli istanti avrebbero dovuto inoltrare la causa di merito (art. 381 CPC). A parte il fatto però che v'è da seriamente domandarsi se una tale mancanza fosse motivo di nullità, su questo punto il Pretore è incorso in una svista. Il “termine per proporre l'azione” dell'art. 381 CPC può riguardare in effetti – con ogni evidenza – solo i decreti che pongono fine al procedimento cautelare, quelli cioè emessi dopo la discussione finale (“contraddittorio”) dell'art. 382 cpv. 1 CPC. Lo scopo della norma è manifestamente quello di impedire che decreti cautelari, emanati sulla base di un giudizio sommario e di mera verosimiglianza, possano rimanere in vigore senza essere mai convalidati da un pronunciato di merito. Il decreto in questione, emesso nelle cosiddette “more istruttorie”, non poneva fine tuttavia al procedimento e non soggiaceva all'esigenza dell'art. 381 CPC. In nessun caso quindi esso poteva essere nullo, ammesso e non concesso – si ripete – che l'inosservanza dell'art. 381 CPC possa costituire un titolo di nullità.
3.
Tutto ciò premesso, rimane da esaminare se l'accusato abbia effettivamente trasgredito l'ordine impartitogli dal Segretario assessore sotto comminatoria dell'art. 292 CP. Secondo il Pretore, ciò è il caso “al di là di ogni ragionevole dubbio”, poiché l'affermazione dell'interessato, il quale pretendeva di avere spostato i vasi da fiori per lo meno nella seconda metà di novembre del 2000, risultava smentita dal rapporto 7 dicembre 2000 del tecnico comunale, cui era acclusa una planimetria con l'effettiva posizione dei vasi. L'imputato censura tale accertamento di arbitrio, asserendo ch'esso non tiene conto delle fotografie da lui prodotte al dibattimento. In realtà mal si comprende in quale arbitrio sia caduto il Pretore, ove appena si consideri che le fotografie citate sono state riprese nel gennaio e nell'agosto del 2001, dopo cioè le constatazioni del tecnico comunale. L'accusato sembra adombrare l'ipotesi che qualcuno possa avere deliberatamente spostato i vasi al momento in cui il tecnico comunale ha esperito l'ispezione, alla quale egli non era presente. L'argomentazione, oltre che appellatoria (e come tale inammissibile in un ricorso per cassazione: art. 288 lett. c CPP), sfiora tuttavia il pretesto, egli medesimo avendo ammesso dinanzi agli inquirenti di non avere ossequiato l'ordine del Segretario assessore poiché – tra l'altro – non gli era stato fissato alcun termine di esecuzione (rapporto di polizia, pag. 2). E del resto anche tale giustificazione rasentava la temerarietà, il tenore dell'ingiunzione contenuta nel decreto cautelare essendo univoca e perentoria: andava quindi eseguita senza indugio. Nelle condizioni illustrate la fattispecie dell'art. 292 CP risulta pertanto adempiuta.
4.
Se ne conclude che, in accoglimento del ricorso, _ dev'essere riconosciuto autore colpevole di disobbedienza a decisione dell'autorità, avendo egli deliberatamente rifiutato di rispettare – nonostante la comminatoria penale – quanto gli ingiungeva il decreto cautelare del 6 novembre 2000. Per quanto riguarda la commisurazione della pena (art. 63 e 48 n. 2 CP), tenuto conto che l'infrazione è flagrante, ma non grave, e che l'imputato – di professione autista – non appare di condizioni abbienti, una multa di fr. 300.– si rivela sufficiente per sanzionare adeguatamente l'illecito. I ricorrenti chiedono che l'imputato sia condannato altresì a rifondere loro fr. 4'785.90 in risarcimento dei danni che il mancato spostamento dei vasi ha loro occasionato. Dimenticano però che già il Procuratore pubblico li aveva rinviati, nel decreto d'accusa, a far valere la pretesa davanti al foro civile, riconoscendo loro solo un'indennità di fr. 300.– per ripetibili. Al decreto d'accusa essi non hanno fatto opposizione, nemmeno per quel che era del rinvio. Al proposito il decreto di accusa è così passato in giudicato (art. 208 cpv. 1 lett. e CPP) e non può essere ridiscusso in questa sede.
5.
Gli oneri processuali del pronunciato odierno seguono la soccombenza (art. 15 CPP). Sono posti di conseguenza, visto l'esito del giudizio, per tre quarti a carico dell'imputato e per il resto (improponibilità della richiesta di risarcimento) a carico dei querelanti, cui l'imputato rifonderà fr. 1'000.– per ripetibili ridotte. I costi del decreto d'accusa, di complessivi fr. 200.–, vanno a carico di _. La causa dev'essere rinviata al Pretore, invece, per la definizione delle spese – non cifrate – e delle ripetibili a carico dell'imputato relativamente al processo di prima sede (art. 9 cpv. 1 e 6 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,002 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
86afa405-6ad9-58f7-8992-2c07c2043ddf
|
in fatto ed in diritto
che il 7.06.1994 l’allora procuratore pubblico Edy Meli – in applicazione degli art. 167 cpv. 2 e 168 del Codice di procedura penale del 10.07.1941 – ha ritenuto IS 1, nato a _ il _, cittadino _ (in detenzione dal 15.08.1993 al 20.08.1993 e dal 19.01.1994 al 20.01.1994) prevenuto colpevole di ripetuto furto, consumato e tentato, ripetuto danneggiamento, ricettazione e ripetuta contravvenzione alla LStup ed ha proposto la sua condanna alla pena di sessanta giorni di detenzione (da dedurre il carcere preventivo sofferto), sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, al pagamento della tassa di giustizia e delle spese, decretando
parimenti la confisca di diversi oggetti, con deferimento dell’accusato alla Corte delle assise correzionali di _, e meglio come descritto nel DAC _;
che il citato decreto è passato in giudicato il 24.06.1994;
che con la presente richiesta IS 1 chiede la trasmissione, in copia, del decreto di accusa emanato a suo carico il 7.06.1994;
che a sostegno della sua richiesta precisa di necessitarne una copia nell’ambito della procedura di naturalizzazione che lo concerne personalmente;
che, su richiesta 7.04.2014, il Ministero pubblico ha comunicato a questa Corte che a carico di IS 1, qui istante, non è stato emesso alcun decreto nel corso dell’anno 1994, precisando parimenti che il 7.06.1994 è stato emanato un decreto di accusa (DAC _) a carico di _, le cui generalità corrispondono a quelle di IS 1 (scritto 16.04.2014, doc. CRP 3);
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare le altre parti dei procedimenti penali _ e _ sfociati nel DAC _ (passato in giudicato), essendo il qui istante stato parte (in qualità di accusato) ai medesimi;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di accusato) nei procedimenti nel frattempo terminati, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, del DAC _ (le cui generalità corrispondono a _, come rettamente rilevato dal Ministero pubblico), poiché lo ha interessato personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che egli necessita del decreto in questione nell’ambito della procedura di naturalizzazione che lo concerne personalmente;
che di conseguenza il DAC _ richiesto viene trasmesso, in copia, all’istante unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stato parte ai due procedimenti penali sfociati nel DAC _, passato in giudicato.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,014 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
86bb89fa-11c6-52a2-9418-af2f86c87371
|
in fatto ed in diritto
che il 3.07.2006 l’allora Camera dei ricorsi penali ha dichiarato irricevibile l’istanza di promozione dell’accusa ex art. 186 CPP TI presentata il 29/30.12.2005 da IS 1 in relazione al decreto di non luogo a procedere 19.12.2005 emanato dall’allora procuratore pubblico Giuseppe Muschietti nell’ambito del procedimento penale dipendente da sua denuncia/querela 8/15.12.2005 nei confronti di _ e di _ per varie ipotesi di reato (decisione 3.07.2006, inc. CRP _);
che l’incarto CRP _ è stato archiviato;
che con la presente istanza l’avv. PR 1 chiede, in nome e per conto della sua assistita IS 1, la trasmissione della surriferita decisione, poiché la sua cliente non riesce più a reperirla, precisando parimenti di rappresentarla nell’ambito di varie procedure penali nei confronti di _ e _, allegando copia della relativa procura;
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare le altre parti al procedimento penale di cui all’incarto CRP _ nel frattempo archiviato, essendo la qui istante stata parte (in qualità di istante) al medesimo;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stata l’istante parte (in qualità di istante) nel procedimento nel frattempo terminato, essa deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, della decisione 3.07.2006 (inc. CRP _) emanata dall’allora Camera dei ricorsi penali, considerato che il procedimento penale nel frattempo archiviato l’ha interessata personalmente in veste di parte e ritenuto inoltre che il suo patrocinatore la rappresenta in varie procedure penali contro _ e _ (denunciati/querelati nell’ambito del procedimento penale di cui all’incarto CRP _);
che di conseguenza la sentenza richiesta viene trasmessa, in copia, al patrocinatore di IS 1 unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stata parte al procedimento penale di cui all’incarto CRP _, nel frattempo archiviato.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
86cb6f99-b6e3-5c6e-9613-e705d594db31
|
in fatto ed in diritto
che il 28/30.01.2008 _ ha sporto denuncia/querela nei confronti di IS 1, il quale è stato suo compagno nel periodo compreso tra il 2004 e la fine del 2007, per titolo di appropriazione indebita, furto, danneggiamento, truffa, diffamazione e calunnia in relazione ai fatti occorsi tra l’11.11.2007 ed il 16.01.2008 quando la denunciante/querelante si trovava all’estero (inc. MP _);
che il 6.05.2009 il procuratore pubblico Fiorenza Bergomi ha decretato il non luogo a procedere in capo alla suddetta denuncia/querela (NLP _);
che adita dalla denunciante/querelante, in data 2.11.2009 l’allora Camera dei ricorsi penali ha parzialmente accolto la sua istanza di promozione dell’accusa ex art. 186 CPP TI, annullando parzialmente il surriferito decreto di non luogo a procedere ai sensi dei considerandi, ordinando parimenti al magistrato inquirente la completazione delle informazioni preliminari (inc. CRP _);
che esperita la completazione delle informazioni preliminari, in data 3.05.2010 il procuratore pubblico ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale IS 1 siccome ritenuto colpevole di danneggiamento giusta l’art. 144 cpv. 1 CP ed ha proposto la sua condanna alla pena pecuniaria di CHF 400.-- (corrispondente a 5 aliquote da CHF 80.-- cadauna), sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, alla multa di CHF 300.--, al pagamento della tassa di giustizia e delle spese giudiziarie, e meglio come descritto nel DA _;
che il suddetto decreto è passato in giudicato il 7.06.2010;
che con la presente istanza manoscritta IS 1 chiede in sintesi la trasmissione, in copia, delle citate decisioni che egli dovrà poi consegnare, previa traduzione, al suo avvocato in _ (cfr., nel dettaglio istanza manoscritta del 20/21.09.2012, doc. 1);
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare _, denunciante/querelante ai sensi del CPP TI nel procedimento penale in questione, essendo il qui istante stato parte (in qualità di accusato) al medesimo;
che l’
art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di accusato) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo
;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, della sentenza 2.11.2009 (inc. CRP _) e del decreto di accusa 3.05.2010 (DA _), poiché entrambe le decisioni l’hanno interessato personalmente in veste di parte e gli sono già a suo tempo state intimate per il tramite del suo allora patrocinatore;
che a ciò aggiungasi che egli ha affermato di aver bisogno di queste decisioni per poterle trasmettere al suo avvocato in _;
che di conseguenza la sentenza 2.11.2009 (inc. CRP _) e il decreto di accusa 3.05.2010 (_) vengono trasmessi, in copia, all’istante unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stato parte al procedimento penale nel frattempo archiviato.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,012 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
8701b09d-38fc-5a15-b592-3451f5e3d29d
|
in fatto: A.
In data 25 aprile 2008 è apparso sul periodico “_ ” un articolo intitolato “
Il licenziamento è in tavola
” a firma di RI 1. Nell’articolo veniva riferito di due esercizi pubblici (bar e ristorante) ubicati all’interno della sede della Televisione svizzera a _ , la cui gestione da fine estate 2007 era stata affidata alla PC 1.
L’articolo descriveva le ripercussioni negative sul personale impiegato derivanti dal cambio di gestione: veniva segnalato l’alto numero di dipendenti sostituiti nell’arco di alcuni mesi di attività, la scarsa considerazione dei dipendenti da parte della nuova società gerente nonché le pressioni psicologiche esercitate da quest’ultima nei loro confronti.
Nell’articolo veniva, in particolare, riferito quanto segue:
“
24 dipendenti sostituiti nell’arco di 9 mesi di attività. Probabilmente è un record quello stabilito dalla nuova gerenza del ristorante e del bar interno alla sede della Televisione della Svizzera italiana (TSI) a _ . Di certo è indice di un problema, grave, di gestione del personale. Un tale avvicendamento di personale sarebbe già difficilmente comprensibile se si trattasse dell’ente televisivo che conta circa un migliaio e mezzo di dipendenti. Ma nel caso di un bar e un ristorante che impiega complessivamente una decina di persone, gerenti compresi, diventa incredibile. E se ad andarci di mezzo sono persone che soffrono, la situazione diventa insopportabile.”
“
Più il tempo passa, più gli impiegati si sentono sotto pressione psicologica da parte dei nuovi gerenti. Una pressione che cresce giorno per giorno fino a diventare insopportabile. Uno di loro si ammala, cadendo in uno stato di depressione importante, attestato dal medico curante. Il suo stato di salute peggiora col passare del tempo “grazie” anche ad una lettera di licenziamento consegnatagli mentre era in malattia e ad un salario che non arriva da mesi.”
“
Le denunce raccolte dal sindacato _ sono numerose: mancata consegna delle buste paga, piani di lavoro dei collaboratori inesistenti, mobbing, salari non versati a dipendenti in malattia per mesi, licenziamenti del personale quando è in infortunio o malattia, copertura assicurativa per infortuni e malattia assente, obbligo di consumazione dei pasti dedotti che siano consumati o no”.
In data 2 maggio 2009, la PC 1 e la sua amministratrice unica PC 2 hanno sporto querela e denuncia penale con costituzione di parte civile nei confronti di RI 1, di _ (funzionario sindacale _ che aveva seguito la vertenza ed era intervistato nell’articolo) e di _ (redattore responsabile del periodico) per titolo di diffamazione, calunnia, mancata opposizione ad una pubblicazione punibile e eventualmente denuncia mendace.
B.
Con due decreti del 29 gennaio 2009 il sostituto procuratore pubblico ha pronunciato il non luogo a procedere nei confronti di _ e di _ .
Con decreto di accusa di pari data ha, invece, riconosciuto RI 1 autore colpevole di diffamazione, per avere, mediante la pubblicazione di un articolo sul periodico “_ ”, reso sospetta la società PC 1 e la sua amministratrice unica PC 2 di condotta disonorevole, nocendo così alla loro reputazione. In particolare - secondo il sostituto procuratore pubblico - RI 1 ha reso sospette le parti civili di non avere stipulato coperture assicurative per infortuni e malattia in favore dei loro dipendenti, commettendo così un reato penale.
Il sostituto procuratore pubblico ha, pertanto, proposto la condanna di RI 1 alla pena pecuniaria di dieci aliquote giornaliere da fr. 110.- ciascuna, corrispondenti a complessivi fr. 1'100.-, sospesa condizionalmente, oltre alla multa di fr. 200.- e al pagamento di tasse e spese.
C.
Statuendo sull’opposizione interposta da RI 1 l’11 febbraio 2009, in data 11 settembre 2009 il giudice della Pretura penale ha confermato il capo d’imputazione contenuto nel decreto d’accusa, dichiarando il giornalista autore colpevole di diffamazione per i fatti descritti nel decreto d’accusa.
In applicazione della pena, il giornalista è stato condannato alla pena pecuniaria di otto aliquote giornaliere di fr. 110.- ciascuna, corrispondenti a complessivi fr. 880.-, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di un anno, oltre alla multa di fr. 200.- e al pagamento di tasse e spese di giustizia. Per le ulteriori pretese ha rinviato le parti al foro civile.
D.
In data 15 settembre 2009 RI 1 ha inoltrato dichiarazione di ricorso contro la sentenza del primo giudice. Nei motivi del gravame, presentato il 28 ottobre seguente, il ricorrente non contesta l’accertamento dei fatti posti alla base della sentenza ma sostiene che il giudice della pretura penale abbia applicato in modo errato l’art. 173 CP. Egli chiede, di conseguenza, il suo proscioglimento dal reato di diffamazione.
E.
Con scritto 10 novembre 2009, il sostituto procuratore pubblico ha postulato la reiezione del ricorso e la conferma della pronuncia del primo giudice.
Le parti civili PC 1 e PC 2 non hanno, per contro, formulato osservazioni al gravame.
|
Considerando
in diritto: 1.
Giusta l’art. 288 CPP il ricorso per cassazione può essere presentato per errata applicazione del diritto sostanziale ai fatti posti a base della sentenza (lett. a), per vizi essenziali di procedura (purché il ricorrente abbia eccepito l’irregolarità non appena possibile) (lett. b) e per arbitrio nell’accertamento dei fatti (lett. c).
L’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP), mentre nell’esame dell’applicazione del diritto la Corte di cassazione e di revisione penale fruisce di libero esame (art. 288 lett. a CPP).
2.
Censurata nel caso concreto è unicamente l’applicazione dell’art. 173 CP da parte del giudice della pretura penale.
2.1.
Il primo giudice ha considerato il ricorrente colpevole di diffamazione per aver travalicato i limiti del suo diritto di cronaca: “
scrivere su un periodico diffuso in tutto il Cantone Ticino che un preciso esercente non provvede al pagamento degli oneri assicurativi obbligatori costituisce senz’altro una violazione della normativa valida a tutela dell’onore
” (sentenza impugnata, consid. 5, pag. 7). Nell’articolo incriminato - ha continuato il primo giudice - la parte civile è presentata come “
un datore di lavoro spregiudicato, che priva i propri dipendenti dei loro legittimi diritti in caso d’incapacità lavorativa (malattia e infortunio) e che sottrae agli stessi del denaro dedotto dal salario e destinato al pagamento delle coperture assicurative, commettendo così il reato penale d’appropriazione indebita
” ex art. 138 CP, siccome gli importi di trattenuta di salario sono considerati beni affidati al datore di lavoro (sentenza impugnata, consid. 7, pag. 5). Di conseguenza, in esito a queste considerazioni, il primo giudice ha ritenuto lesive dell’onore della parte civile le affermazioni di RI 1.
Ma non solo. Il giudice di prime cure ha ritenuto che il testo pubblicato contiene
“ulteriori affermazioni gravi, tali da far nascere la sensazione che le parti civili sfruttano in maniera disumana la manodopera impiegata, licenziando persone in malattia, mettendo in atto pressioni intollerabili (mobbing) e privandole dei più fondamentali diritti garantiti dalla legge e dal contratto collettivo e imponendo loro il costo dei pasti, siano essi consumati o meno”
(sentenza impugnata, consid. 8, pag. 6). Pertanto - ha proseguito il primo giudice - le affermazioni del giornalista sono da ritenere offensive nel loro complesso,
“indipendentemente dal fatto che l’agire dell’imputato alle parti civili abbia anche valenza penale”
poiché
“non sono pochi coloro che sono in grado di dedurre che non pagare gli oneri assicurativi, non allestire i piani di lavoro, non consegnare le buste paga, licenziare il personale in malattia costituisce un comportamento non solo scorretto ma anche disonesto”
(sentenza impugnata, consid. 9, pag. 6).
Inoltre - ha concluso il pretore - l’accostamento all’articolo di un’intervista ad un dirigente della TSI “
al quale era stato fatto presente quanto riportato nell’articolo incriminato
” contribuisce a creare un accresciuto “
effetto mediatico
” della questione, facendo apparire la problematica come “
vera e ufficializzata
” (sentenza impugnata, consid. 9, pag. 6-7).
2.2.
Le conclusioni cui giunge il primo giudice in applicazione dell’art. 173 CP sono contestate dal ricorrente, secondo il quale non sussiste alcuna lesione dell’onore delle parti civili.
Il ricorrente ritiene, infatti, errato considerare - come nel decreto d’accusa e nella sentenza impugnata - che l’assenza di copertura assicurativa per infortunio e malattia in favore dei propri dipendenti costituisca un reato penale: un simile comportamento è tutt’al più costitutivo di una violazione del contratto collettivo di lavoro e comporta semmai conseguenze civili o amministrative, non penali (ricorso, pag. 5 e 7). Del resto - continua il resistente - nell’articolo non si fa minimamente cenno ad eventuali detrazioni per oneri assicurativi dalla busta paga né si riferisce “
che la parte civile non ha stipulato le necessarie assicurazioni e malgrado ciò ha dedotto le quote relative ai premi dalla busta paga dei dipendenti
” e soltanto in quest’ipotesi - di cui non vi è cenno nell’articolo - sarebbe data un’eventuale appropriazione indebita (ricorso, pag. 7). Secondo il ricorrente, da un articolo di giornale in cui si riferisce che una società non ha stipulato la copertura assicurativa per infortuni e malattia per i suoi dipendenti il lettore medio non può dedurre che il datore di lavoro abbia commesso un reato penale, considerato che anzitutto “
non si tratta di per sé di un reato penale
”, e secondariamente “
non disponendo dell’informazione riguardo alle deduzioni delle quote relative ai premi dallo stipendio dei dipendenti, il lettore non è in grado di collegare mentalmente i due fatti e quindi pensare ad eventuali sottrazioni indebite
” (ricorso, pag. 7).
RI 1 considera, inoltre, errato ritenere lesive dell’onore le altre affermazioni del giornalista, prese nel loro complesso. A tale scopo fa riferimento al decreto di non luogo a procedere emanato nei confronti di _ , nel quale il procuratore pubblico afferma che “
l’articolo si limita, eccettuato per un passaggio di cui si dirà nel prosieguo, a descrivere comportamenti che dal profilo oggettivo non sono tali da nuocere alla reputazione dei denuncianti e ciò tanto più se si considera che in ambito socio-professionale la protezione penale risulta essere ristretta
” e che “
unicamente l’indicazione secondo cui la PC 1 non avrebbe stipulato coperture assicurative per infortuni e malattia costituisce una lesione dell’onore penalmente protetto ai sensi dei principi qui sopra evocati e ciò in ragione del fatto che è tale da rendere sospetta la società - e di riflesso chi l’amministra - di commettere una infrazione sanzionata penalmente
” (ricorso, pag. 5). Questa valutazione si trova, secondo il giornalista, “
in netto contrasto
” con le conclusioni della sentenza impugnata, nella quale si rileva che le affermazioni contenute nell’articolo sono lesive dell’onore nel loro complesso, indipendentemente dal fatto che la parte civile abbia commesso o meno un reato penale in relazione alla copertura assicurativa (ricorso, pag. 5 e pag. 8). Il ricorrente è dell’avviso che le affermazioni contenute nell’articolo si riferiscano unicamente alla reputazione professionale della società, avendole rimproverato solo “
delle mancanze relative all’attività professionale, in particolare inerenti alla gestione del personale
”: per lui devono, dunque, valere le stesse considerazioni per cui è stato emanato un non luogo a procedere nei confronti di _ (ricorso, pag. 8).
2.3.
Giusta l’art. 173 cifra 1 CP, è punito per diffamazione chi, comunicando con un terzo, incolpa o rende sospetta una persona di condotta disonorevole o di altri fatti che possano nuocere alla reputazione di lei così come chiunque divulga una tale incolpazione o un tale sospetto. L’art. 176 CP parifica alla diffamazione verbale la diffamazione commessa mediante scritti, immagini, gesti o qualunque altro mezzo.
La determinazione del contenuto di un’espressione o di una dichiarazione è una questione di fatto. Per contro, determinare il senso di un’affermazione e sapere se l'autore ha avuto motivo sufficiente per proferire o divulgare una determinata affermazione è una questione di diritto, come tale esaminabile nell'ambito di un ricorso per cassazione (DTF 131 IV 160, consid. 3.3.3; STF 10 giugno 1996, inc. 6S.234/1996, consid. 2a; sentenza CCRP 8 febbraio 2002, inc. 17.2001.25, consid. 4).
Gli art. 173 segg. CP proteggono l’onore personale, la reputazione e il sentimento di essere un uomo d’onore, ossia di comportarsi secondo le regole e gli usi riconosciuti. In altre parole, l’onore protetto è il diritto di ognuno di non essere considerato una persona da disprezzare
(DTF 132 IV 112, consid. 2.1; 128 IV 53 consid. 1a;
Riklin
,
Basler Kommentar, StGB II, edizione 2007
, ad art. 173 segg. CP n. 5 segg.)
. L’art. 173 CP tutela l'onore, che è uno dei diritti della personalità, da esternazioni di terzi suscettibili di provocare disprezzo - ossia pregiudizio alla considerazione sociale - per comportamenti o particolarità individuali moralmente riprovevoli (Corboz, Les infractions en droit suisse, vol. I, Berna 2002, ad art. 173 CP n. 2-8 con numerosi richiami di giurisprudenza). Sfuggono a tale protezione, per contro, quelle espressioni che, senza farla apparire spregevole, offuscano la reputazione di cui una persona gode nel proprio ambito professionale o politico o l’opinione che essa ha di sé stessa (DTF 119 IV 44 consid. 2a; 117 IV 27 consid.
2c; STF 22 febbraio 2008, inc. 6B_600/2007; Donatsch, Strafrecht III, Delikte gegen den Einzelnen, 9a ed., Zurigo/Basilea/Ginevra 2008, pag. 354).
Anche una persona giuridica in quanto tale può essere vittima di un reato contro l'onore (DTF 126 IV 266, consid.
2a; 114 IV
15, consid. 2a; Riklin, op. cit., n. 29 ss. ad art. 173 ss. CP; Rehberg/ Schmid/Donatsch, Strafrecht III, 9. ed.
Zurigo 2008, p. 320-321; Corboz, op. cit., n. 20 ss. e 26 ss. ad art. 173 CP; Trechsel, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Praxiskommentar, ad art. 173 ss. CP, n. 13, 15 e 16).
La tutela dell'onore è, quindi, meno ampia nei casi in cui l'offesa verte su mere qualità socio-professionali o su comportamenti messi in atto in tale ambito. Chi mette in dubbio la preparazione altrui in un determinato campo, la capacità politica, la disposizione artistica o l'abilità sportiva commette diffamazione solo se, oltre a ledere la reputazione del soggetto o la fiducia del soggetto in sé stesso, fa apparire quest'ultimo come una persona spregevole (Rehberg/Schmid/Donatsch, op. cit., p. 356). Riguardo alle qualità socio-professionali di una persona, non è sufficiente negarle delle qualità, imputargli dei difetti, o abbassarla per rapporto a dei concorrenti. E’, invece, data una lesione all’onore quando si evoca un’infrazione penale o un comportamento chiaramente disapprovato dalle concezioni morali generalmente ammesse (Corboz, op. cit., ad art. 173 n. 6 e 11; Riklin, op. cit., ad art. 173 segg. CP, n. 18). Il Tribunale federale ha, per esempio, già avuto modo di stabilire che l’accusa di essere uno speculatore o di aver venduto dei prodotti all’ente pubblico ad un prezzo esagerato concerne solo la reputazione professionale e non integra, pertanto, gli estremi della diffamazione (DTF 105 IV 113 consid. 3; 103 IV 159 consid. 3).
Perché vi sia diffamazione, occorre un’allegazione di fatto, e non semplicemente un giudizio di valore (DTF 117 IV 27 consid. 2c). Se l’allegazione sia tale da nuocere alla reputazione di una persona è una questione da decidere non secondo il senso che possono averle dato quelli che l’hanno sentita, ma secondo il senso che essa ha in base ad un’interpretazione oggettiva, ovvero secondo il senso che, nelle circostanze concrete, le attribuisce l’uditore o il lettore non prevenuto (DTF 131 IV 160 consid.
3.3.3.; 128 IV 53 consid. 1a; 119 IV 44 consid. 2a; STF 11 agosto 2008, inc. 6B_356/2008, consid. 4.1; Rep. 1995, pag. 9; Riklin, op. cit., ad art. 173 segg. CP n. 23 segg.; Corboz, op. cit., ad art. 173 CP n. 42).
Trattandosi di uno scritto, l’allegazione deve essere analizzata non solo in funzione delle espressioni utilizzate, prese separatamente, ma anche secondo il senso generale che emerge dal testo nel suo insieme. Le espressioni non devono, dunque, essere valutate asetticamente, ma in funzione del contesto comunicativo in cui esse si inseriscono (DTF 128 IV 53, consid. 1e; 124 IV 162 consid. 3b/bb; 117 IV 27 consid. 2c).
L’autore del reato deve incolpare, rendere sospetto oppure divulgare una tale incolpazione o un tale sospetto (art. 173 cifra 1 CP). Non occorre, dunque, che il fatto riprovevole sia direttamente imputato al terzo ma é sufficiente che il terzo sia reso sospetto di tale fatto, oppure che il sospetto sia affermato o propagato: l’autore non può giustificarsi emettendo delle riserve o citando la propria fonte (DTF 118 IV 160 consid.
4a; 82 IV 79 consid. 3; Corboz, op. cit., ad art. 173 CP n. 38).
Secondo la giurisprudenza, il giornalista non beneficia di alcun privilegio in caso di lesione dell'onore perpetrata per mezzo della stampa (DTF 131 IV 160, consid. 3.3.2.). Il giudice può tenere conto delle particolari condizioni di lavoro dei giornalisti, segnatamente dei ritmi di lavoro serrati con i quali essi sono sovente chiamati ad operare, nonché della loro missione specifica soltanto nelle questioni in cui la legge gli concede latitudine di apprezzamento (come, nell’ambito dell’art. 173 cifra 3 CP, relativamente all’interesse pubblico alla divulgazione, al motivo sufficiente e al dovere di verifica delle informazioni). Invece, l'interpretazione in quanto tale degli elementi costitutivi dell'infrazione di cui all'art. 173 CP deve essere la stessa per tutti, a prescindere dal fatto che l’accusato abbia agito o meno per mezzo della stampa (DTF 131 IV 160 consid. 3.3.2.; 117 IV 27 consid. 2c; 104 IV 11 consid. 1c).
2.4.
Nel suo gravame il ricorrente sostiene di non aver commesso alcuna diffamazione ai danni delle parti civili.
2.4.1. RI 1
ritiene di non avere affatto imputato alle parti civili la commissione di un reato penale, in primo luogo perché la mancata stipulazione di una copertura assicurativa per infortunio e malattia in favore dei dipendenti non costituisce, di per sé, un reato penale.
Se ciò è vero per la stipulazione di una copertura assicurativa non obbligatoria contro le conseguenze economiche d’un impedimento al lavoro, la tesi deve invece essere smentita per quel che riguarda l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali. L’art. 112 cpv. 1 della legge federale sull’assicurazione contro gli infortuni (LAINF) prevede, infatti, in particolare, che chiunque si sottrae in tutto o in parte all’obbligo assicurativo, mediante indicazioni false o incomplete oppure altrimenti, è punito con la detenzione fino a sei mesi o con la multa, per quanto non si tratti di un crimine o di un delitto punibile con una pena più grave secondo il Codice penale svizzero. Come è noto, tale legge prevede che sono obbligatoriamente assicurati tutti i lavoratori dipendenti occupati in Svizzera (art. 1a cpv. 1 LAINF).
Indipendentemente dalla questione della trattenuta dei relativi contributi dal salario del dipendente e del loro riversamento all’assicuratore sociale - questione cui l’articolo non fa cenno - e dunque, a prescindere dall’eventuale accusa di appropriazione indebita, si deve concludere, alla luce dell’art. 112 LAINF, che accusare un datore di lavoro di non avere stipulato una copertura assicurativa per infortuni per i propri dipendenti equivale a renderlo sospetto di un comportamento penalmente rilevante ai sensi della normativa propria alle assicurazioni sociali, ciò che evidentemente rappresenta una lesione dell’onore. Pur fondata su motivazioni che non sono corrette, la conclusione cui giunge il primo giudice deve essere mantenuta.
2.4.2.
Per quel che concerne le ulteriori affermazioni contenute nell’articolo, giudicate “gravi” dal primo giudice, va osservato quanto segue. Nella sentenza impugnata esse sono state esaminate unicamente in applicazione della giurisprudenza che impone di esaminare le frasi incriminate di un articolo non solo alla luce delle espressioni utilizzate, considerate separatamente, ma pure secondo il senso generale che discende dall'intero testo scritto nel suo insieme (cfr. STF 21 agosto 2007, inc. 6S.58/2007 e 6S.59/2007, consid. 5.4.; DTF 124 IV 167 consid. 3b/bb). Il giudice di prime cure ha infatti ritenuto che “
si deve a maggior ragione giungere a questa conclusione se si analizza l’intero testo pubblicato, il quale, in altri passaggi, si dilunga in una numerosa serie di ulteriori affermazioni gravi, tali da far nascere la sensazione che le parti civili sfruttano in maniera disumana la manodopera impiegata, licenziando persone in malattia, mettendo in atto pressioni intollerabili (mobbing) e privandole dei più fondamentali diritti garantiti dalla legge e dal contratto collettivo e imponendo loro il costo dei pasti, siano essi consumati o meno
” (sentenza impugnata, consid. 8, pag. 6). Sia esaminata separatamente, sia interpretata alla luce della altre affermazioni contenute nell’articolo, l’accusa di mancata copertura assicurativa per infortunio va senz’altro considerata lesiva dell’onore delle parti civili. E ciò a prescindere dal fatto che altre affermazioni contenute nell’articolo possano o meno essere a loro volta considerate, in sé, costitutive di una lesione all’onore. Anche da questo profilo, l’analisi del primo giudice resiste dunque alle critiche.
2.4.3.
A titolo abbondanziale, si rileva che non può essere condivisa la tesi del giornalista secondo cui le ulteriori affermazioni contenute nell’articolo non sono lesive dell’onore in quanto riferite unicamente alla reputazione professionale delle parti civili. Se è vero che, in base alla giurisprudenza del Tribunale federale, la tutela dell'onore in tale ambito è meno ampia, ciò ancora non significa che non vi sia, in questo ambito, tutela alcuna; a questo riguardo, si rinvia ad una recente sentenza resa da questa Corte in relazione all’accusa di
mobbing
(cfr. sentenza CCRP 21 ottobre 2009, inc. 17.2008.73, consid. 9).
In via ancor più abbondanziale, si osserva che non può essere oggetto di censura l’esistenza di una contraddizione fra quanto stabilito nel decreto di non luogo a procedere emanato nei confronti di _ e quanto concluso dal giudice di prime cure. Nell’applicazione del diritto il giudice penale fruisce infatti di piena cognizione, nel rispetto dei limiti imposti dal principio accusatorio, e non può certo essere vincolato dalle considerazioni giuridiche espresse dall’autorità inquirente, peraltro in un decreto di non luogo a procedere (sprovvisto di forza di cosa giudicata, contrariamente al decreto di abbandono, cfr. art. 184-187, 220 CPP e sentenza CCRP 22 novembre 2004, inc. 17.2004.56, consid. 1) emanato nei confronti di un altro denunciato.
Il fatto che il sostituto procuratore pubblico, nel pronunciare il non luogo a procedere nei confronti di _ , abbia considerato che solo l’affermazione relativa alla mancata copertura assicurativa poteva essere considerata lesiva dell’onore, e non le ulteriori affermazioni contenute nell’articolo, non vincola dunque il giudice penale nel giudicare RI 1. Ciò che per contro vincola l’autorità giudicante è il rispetto del principio accusatorio: il decreto di accusa (come l’atto d’accusa) circoscrive da un lato l'oggetto del processo e del giudizio, e dall'altro garantisce i diritti della difesa, in modo che l'imputato possa adeguatamente far valere le sue ragioni (DTF 126 I 19 consid. 2a con rif.; 120 IV 348 consid. 2b; 116 Ia 455 consid. cc; 103 Ia 6 consid.
1b; Hauser/Schweri, Schweizerisches Strafprozessrecht, 3. ediz., p. 162 n. 6 ss. e p. 165 n. 16).
Nel caso concreto, nel decreto di accusa nei confronti di RI 1 il sostituto procuratore pubblico ha ritenuto il giornalista colpevole di diffamazione per aver reso sospette le parti civili di condotta disonorevole, nocendo alla loro reputazione, “
in particolare per avere reso sospetta la predetta società e l’amministratrice unica di non aver stipulato coperture assicurative per infortuni e malattia in favore dei propri dipendenti commettendo così un reato penale
” (cfr. DA 29 gennaio 2009). E’ dunque in virtù del principio accusatorio - e non per un obbligo di conformarsi alle considerazioni espresse dal sostituto procuratore pubblico in un decreto di non luogo a procedere concernente un altro denunciato - che il giudice di prime cure non avrebbe in ogni caso potuto condannare RI 1 per diffamazione per le altre affermazioni contenute nell’articolo.
3.
Il ricorrente rimprovera, inoltre, al primo giudice di non aver considerato riuscita la prova liberatoria della buona fede.
3.1.
Oltre ad avere considerato grave l’agire del giornalista poiché “
il testo da lui redatto si è in seguito rivelato non corrispondere a verità
” (è infatti emerso che gli oneri sociali erano regolarmente corrisposti dalla società, cfr. sentenza impugnata, consid. 7, pag. 5), il giudice di prime cure ha ritenuto che “
indipendentemente dal fatto che, come dichiarato, l’accusato si è limitato a riportare quanto riferitogli da _ , a RI 1 non può assolutamente essere riconosciuto il beneficio della «buona fede», né di ulteriori circostanze d’impunità legate alla libertà di stampa e d’informazione
” (sentenza impugnata, consid. 8, pag. 6). Al proposito, il primo giudice ha, in particolare, considerato che il giornalista non ha effettuato le necessarie verifiche ed ha pubblicato l’articolo senza avere la certezza che le informazioni riportate fossero fondate: l’articolo è stato scritto “
sulla base di semplici sospetti
” e “
in assenza di una qualsivoglia prova concreta attestante la mancata copertura assicurativa
”, senza contattare la parte civile e fondandosi solo su affermazioni di due ex collaboratori, che “
non hanno neppure avvalorato la tesi sostenuta
” (sentenza impugnata, consid. 8, pag. 6).
3.2.
Nel suo ricorso RI 1 ricorda che alla base del non luogo a procedere nei confronti di _ vi è il fatto che quest’ultimo, nell’ambito dell’inchiesta, ha riferito di “
non aver illustrato la situazione relativa alle coperture assicurative nei termini poi utilizzati dall’autore dell’articolo
” (ricorso, pag. 4). Tali affermazioni sono, tuttavia, state ritrattate dallo stesso sindacalista, sia mediante una dichiarazione scritta datata 10 marzo 2009 (“
non si tratta dunque di un’errata interpretazione di RI 1, ma di una serie di dubbi emersi dai colloqui avuti con gli stessi lavoratori, i quali hanno chiesto al sindacato di intervenire in ragione del fatto che da mesi non percepivano indennità
”), sia nel corso della sua audizione come teste al dibattimento. Questo dimostra - secondo RI 1 - la sua buona fede nel proferire le affermazioni contenute nell’articolo incriminato (ricorso, pag. 4).
3.3.
Giusta l’art. 173 cifra 2 CP, il colpevole non incorre in alcuna pena se prova di avere detto o divulgato cose vere oppure prova di avere avuto seri motivi di considerarle vere in buona fede. La valutazione della buona fede comporta un apprezzamento, da parte del giudice del merito, su quanto poteva o doveva sapere l'accusato al momento in cui ha proferito l'affermazione incriminata ritenuto che mezzi di prova scoperti successivamente o fatti avvenuti posteriormente non entrano in considerazione (DTF 124 IV 152 consid. 3b; 107 IV 35 consid. 5a; 102 IV 182 consid. 1c). Incombe all'accusato spiegare e provare gli elementi di cui egli disponeva in quel momento (questione di fatto). Il giudice deve poi stabilire, con libero esame, in diritto, se tali elementi erano sufficienti per credere alla veridicità dell'asserzione (DTF 124 IV 152 consid. 3b in fine; Corboz, La diffamation, in: SJ 114/1992 pag. 659). Questo apprezzamento può, a sua volta, essere vagliato con pieno potere cognitivo dall'autorità di cassazione (DTF 124 IV 152 consid. 3b in fine; Corboz, op. cit. pag. 659; sentenza CCRP 13 aprile 1999 in re B., consid. 2).
Il successo della prova liberatoria presuppone che l'affermazione non sia stata proferita con leggerezza: l'accusato deve dimostrare di averne creduto la veridicità dopo avere intrapreso coscienziosamente quanto ci si doveva attendere da lui, secondo le circostanze concrete e la sua situazione personale, per controllare la veridicità delle sue allegazioni e per convincersi della loro esattezza (DTF 124 IV 151 consid. 3b; 116 IV 207 consid. 3; 105 IV 118 consid. 2a; 104 IV 16 consid. b).
Il contenuto e l’estensione del dovere di verifica è valutato esaminando i motivi per cui l’accusato si è espresso in modo diffamatorio: se questi motivi sono inconsistenti, le esigenze di verifica sono più severe. Per contro, queste esigenze sono minori se l’accusato ha un interesse degno di protezione come, ad esempio, nel caso di colui che indirizza all’autorità penale una lamentela o una denuncia o che si esprime in qualità di parte in una procedura giudiziaria (DTF 116 IV 208 consid. b). Cautela particolare si impone in ogni caso da parte di chi divulga le proprie asserzioni in un'ampia cerchia tramite un mezzo di diffusione (DTF 124 IV 151 consid. 3b; 116 IV 208 consid. 3b; 105 IV 118 consid. 2a). In questi casi, l'accusato non può confidare ciecamente nelle dichiarazioni di terzi (DTF 124 IV 151 consid. 3b;
Rehberg/Schmid/Donatsch, op. cit., p. 331
; sentenza CCRP 16 agosto 2000, inc. 17.2000.1, consid. 4; sentenza CCRP 10 febbraio 2000, inc. 17.1999.59, consid. 2). Il fatto che sia difficile per l’accusato verificare un’informazione o ottenere delle prove non è circostanza da diminuire il suo dovere di prudenza: se non sussistono basi sufficienti su cui fondare un’affermazione o un sospetto, ci si deve astenere da qualsiasi esternazione (DTF 105 IV 114 consid. 2b; 92 IV 98 consid. 4; Corboz, op. cit., ad art. 173 CPS n. 86).
3.4.
Nel suo gravame, il giornalista sostiene che la sua buona fede deve essere riconosciuta in quanto l’articolo è stato scritto sulle base delle dichiarazioni di _ , così come ammesso da quest’ultimo nella dichiarazione 10 marzo 2009 e in sede di dibattimento.
Con questa tesi, il ricorrente dimostra di non avere compreso la motivazione del primo giudice, che non gli ha negato il beneficio della prova liberatoria fondandosi sulle prime dichiarazioni di _ , in seguito ritrattate, ma perché ha ritenuto - giustamente - che egli ha omesso di esperire le verifiche che ci si poteva attendere da lui per appurare, prima della pubblicazione dell’articolo, l’esattezza delle informazioni ricevute.
Come visto, la giurisprudenza ha chiaramente stabilito che, in particolare quando il messaggio venga diffuso a mezzo stampa - e dunque ad un'ampia cerchia di persone - l’autore deve imporsi particolare prudenza, non potendo confidare ciecamente nelle dichiarazioni di un terzo ma mettendo in atto delle verifiche per appurare l’esattezza dell’informazione ricevuta. Nel caso concreto, le dichiarazioni di _ non sono state oggetto di particolare controllo. L’unica verifica messa in atto dal giornalista è consistita nell’incontro con due ex dipendenti dell’esercizio pubblico, i quali tuttavia - in base agli accertamenti del primo giudice - non hanno nemmeno avvalorato la tesi del giornalista, limitandosi “
a dire di avere avuto dei «sospetti» (_ ) o di avere semplicemente «fatto fatica ad ottenere il formulario assicurativo dopo l’infortunio» (_ )
” (sentenza impugnata, consid. 8, pag. 6). Nonostante ciò e senza nemmeno tentare di prendere contatto con la società datrice di lavoro (sentenza impugnata, consid. 8, pag. 6), il giornalista ha affermato, con certezza, che PC 1 non aveva una copertura assicurativa infortuni e malattia per i dipendenti ed ha divulgato tale informazione a un’ampia cerchia di persone attraverso un articolo pubblicato dal settimanale “_ ”.
Alla luce di questi accertamenti di fatto, vincolanti per l’autorità di cassazione, non si può sostenere che RI 1 abbia esperito con coscienza e spirito critico le necessarie verifiche - cioè, quelle che ci si deve attendere da un giornalista coscienzioso - per stabilire la correttezza delle informazioni che si apprestava a divulgare.
La pronuncia del primo giudice che ha accertato il fallimento della prova della buona fede deve, dunque, essere confermata.
4.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 CPP combinato con l’art. 9 cpv. 1 CPP) e di conseguenza, devono essere posti a carico del ricorrente.
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,010 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
877ab55c-1639-5712-8c01-7dcbd8215c57
|
in fatto ed in diritto
1.
A seguito della domanda di assistenza internazionale in materia penale del 20/22.10.2009 presentata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di _ nel procedimento contro IS 2 (il quale dall’estratto del registro di commercio risulta essere presidente senza diritto di firma della IS 1, con sede a _), e altre persone per i titoli di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro e all’emissione di documenti e fatture false (art. 416 e 684bis Codice penale italiano) avente quale oggetto la perquisizione degli uffici della IS 1 (ora in liquidazione) allo scopo di procedere al sequestro di documenti, files e computer, il procuratore pubblico Arturo Garzoni, in accoglimento della predetta domanda [decisione di entrata in materia e esecuzione (art. 80a LAIMP)], in data
2.11.2009 ha evaso la richiesta mediante un’esecuzione semplificata in applicazione dell’art. 80c LAIMP (osservazioni PP 16/17.05.2011 di cui all’inc. CRP _; AI 18 – inc. _).
2.
Con la presente istanza l’avv. PR 1 chiede, in nome e per conto dei suoi assistiti IS 2 e IS 1, l’autorizzazione a poter compulsare il surriferito incarto di assistenza internazionale in materia penale, essendo i suoi clienti stati direttamente toccati dalla rogatoria. Evidenzia inoltre che, sempre riguardo all’incarto rogatoriale in questione, in data 6/17.05.2011 è stata presentata a questa Corte un’istanza ex art. 62 cpv. 4 LOG da parte della _ (inc. CRP _), rilevando parimenti l’interesse giuridico legittimo da parte loro
"
(...) di poter conoscere nel dettaglio quanto acquisito al momento dell’esecuzione della rogatoria, tenuto conto che del materiale raccolto dall’autorità di esecuzione non è stata tenuta copia
"
(istanza
23/25.05.2011, p. 2).
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.1.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
Nel presente caso, pur essendo stati gli istanti parte (poiché direttamente toccati dalla procedura rogatoriale di cui all’inc. _) nel procedimento nel frattempo terminato, essi devono seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo
.
Come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.3.1987, ad art. 8 p. 10). Inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19).
Lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG.
5.
Nella fattispecie in esame è pacifico l’interesse giuridico legittimo degli istanti, rispettivamente del loro patrocinatore, ad ottenere l’autorizzazione a compulsare l’incarto
_
, essendo stati direttamente toccati dalla domanda rogatoriale. A ciò aggiungasi che nell’ambito del procedimento ex art. 62 cpv. 4 LOG di cui all’incarto CRP _ ancora pendente presso questa Corte (in cui la _ ha chiesto, a sua volta, di poter compulsare l’incarto _) hanno domandato che sia concessa loro la possibilità di esprimersi nuovamente in merito alla predetta istanza, dopo aver visto gli atti dell’inc. _ (osservazioni 30.05/1.06.2011, doc. 3 – inc. CRP _).
Questa Corte autorizza pertanto IS 2 rispettivamente il suo patrocinatore a compulsare e a fotocopiare presso questa Corte l’incarto _, concordando i tempi di accesso con i collaboratori della cancelleria.
6.
L’istanza è accolta ai sensi del surriferito considerando. La tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico di chi le ha occasionate.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
87d33f09-018b-5f6b-8797-f9dc8cdbcbe7
|
in fatto ed in diritto
1.
In data _ i coniugi _ e _, per il tramite del loro patrocinatore avv. _, hanno presentato un esposto penale al Ministero pubblico riguardo ai fatti accaduti il _ presso l’_ in occasione del parto del loro secondogenito _, per le ipotesi di reato di lesioni colpose gravi (art. 125 cpv. 2 CP) ai danni di quest’ultimo (soffrendo in particolare di una g
rave encefalopatia ipossica-ischemica con gravi danni cerebrali permanenti)
e di lesioni colpose (art. 125 cpv. 1 CP) ai danni di _ (avendo in particolare subito la rottura dell’utero), sfociata nel decreto di abbandono 19.12.2014 emanato dal procuratore pubblico Pamela Pedretti (subentrato nell’inchiesta in sostituzione dell’allora procuratore pubblico Amos Pagnamenta) a favore del dr. med. PI 2 (ABB _).
Il summenzionato decreto è regolarmente passato in giudicato, non essendo stato impugnato presso questa Corte.
2.
Con la presente istanza –
trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza ex art. 62 cpv. 4 LOG, a questa Corte (essendo l’incarto penale in questione nel frattempo stato archiviato)
– il sostituto capoufficio dell’Ufficio di sanità, in nome e per conto della IS 1, richiamando gli
art. 41 LPMed, 23, 53 e 59 LSan (relativi alla sua competenza per istruire delle denunce trasmessele direttamente dai pazienti e dei casi affidatele dal DSS) e l’art. 101 cpv. 2 CPP (relativo all’esame degli atti di un procedimento penale pendente da parte di altre autorità per la trattazione di procedimenti civili, penali o amministrativi pendenti e se non vi oppongono interessi pubblici o privati preponderanti), domanda di poter accedere al summenzionato incarto penale e di poter ottenere la trasmissione, in copia, del medesimo rispettivamente (qualora l’incarto fosse voluminoso) di poterlo esaminare presso gli uffici del Ministero pubblico (per il tramite dei funzionari dell’Ufficio di sanità che fungono da segretariato per la stessa IS 1), per valutare compiutamente la fattispecie. Precisa al proposito di essere
stato informato da _
e _ di aver sporto denuncia/querela penale (per il tramite del loro legale) nei confronti del dr. med. PI 2 per l’ipotesi di reato di lesioni colpose gravi e che il procedimento penale sarebbe tuttora pendente.
3.
Come esposto in entrata, il procuratore pubblico non si è opposto alla richiesta. Il dr. med. PI 2, dal canto suo, interpellato da questa Corte (per il tramite del suo patrocinatore) non ha presentato osservazioni in merito alla richiesta.
4.
L
’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.1.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
5.
5.1.
Ogni Cantone designa un’autorità incaricata di vigilare sulle persone che esercitano liberamente una professione medica universitaria sul territorio cantonale; tale autorità di vigilanza prende le misure necessarie a fare osservare gli obblighi professionali (art. 41 cpv. 1 e cpv. 2 LPMed).
Il paziente interessato, il suo rappresentante legale oppure ogni persona prossima possono presentare una denuncia alla Commissione di vigilanza ai sensi dell’art. 21 LSan per violazione dei diritti del paziente (art. 4 del Regolamento della Commissione di vigilanza sanitaria del 27.10.1992, RL 6.1.1.1.2.; cfr. anche www.ti.ch/ufficiosanita - cosa facciamo - Commissione di vigilanza sanitaria).
La Commissione di vigilanza accerta la fondatezza delle denunce previste dall’art. 21 LSan e può proporre al CdS l’ammonimento, l’applicazione delle sanzioni previste dagli art. 95 ss. LSan e la revoca dell’autorizzazione al libero esercizio della professione ai sensi dell’art. 59 LSan (art. 24 cpv. 1 e cpv. 2 lit. a – lit. c LSan).
L’esercizio nel Cantone di un’attività sanitaria è sottoposto a vigilanza (art. 53 cpv. 1 LSan).
Il medico è un operatore sanitario con formazione universitaria giusta l’art. 54 cpv. 1 lit. a LSan: il suo esercizio è subordinato ad autorizzazione (art. 54 cpv. 2 LSan).
Il DSS è l’autorità competente a concedere l’autorizzazione all’esercizio indipendente o dipendente delle professioni previste dall’art. 54 LSan (art. 55 cpv. 1 LSan).
L’art. 56 LSan subordina l’autorizzazione al libero esercizio a determinate condizioni. Se queste condizioni non sono soddisfatte, l’autorizzazione è rifiutata (art. 59 cpv. 1 LSan); se le stesse vengono meno, è invece revocata per tempo determinato o indeterminato (art. 59 cpv. 2 lit. a LSan).
L’autorizzazione può inoltre essere revocata in caso di grave negligenza, di azioni immorali o di rilascio di certificati falsi, di comportamenti lesivi dell’etica professionale, di ripetuta inosservanza delle regole dell’arte e di gravi violazioni delle disposizioni di legge, segnatamente quelle previste dal Titolo II (art. 5 – 21 LSan) [art. 59 cpv. 2 lit. b LSan], e in caso di violazione delle norme deontologiche, segnalata dagli Ordini professionali, dopo verifica del CdS; nei casi di lieve entità può essere pronunciato l’ammonimento (art. 59 cpv. 2 lit. c LSan).
L’ammonimento e la revoca sono pronunciati dal CdS, sentito l’avviso della Commissione di vigilanza giusta l’art. 24 LSan (art. 59 cpv. 3 LSan). Ove le circostanze lo esigono il CdS può sospendere immediatamente, a titolo cautelativo, l’autorizzazione (art. 59 cpv. 4 LSan).
5.2.
Nel caso in disamina – tenuto conto di tutto quanto sopra esposto e considerati in particolare le competenze della IS 1 ai sensi della LSan e il contenuto del procedimento penale sfociato nell’ABB _ a favore del medico – appare dato un interesse
giuridico legittimo ex art. 62 cpv. 4 LOG della IS 1 che prevale sui diritti personali del dr. med. PI 2 (_).
Gli atti istruttori dell’incarto penale in questione potrebbero essere, in effetti, potenzialmente utili alla IS 1 qui istante a valutare un’eventuale violazione dei diritti dei pazienti _ e _ ai sensi della LSan a proposito dei fatti accaduti il _.
In siffatte circostanze – dopo il passaggio in giudicato della presente decisione – questa Corte autorizza un funzionario dell’Ufficio di sanità, in nome e per conto della IS 1, ad esaminare presso il Ministero pubblico gli atti istruttori dell’incarto MP _ sfociato nell’ABB _, concordando i tempi e le modalità di accesso con il procuratore pubblico Pamela Pedretti, compatibilmente con i suoi impegni.
Il funzionario è, se del caso, autorizzato a fotocopiare gli atti utili per le sue incombenze. Va da sé che il medesimo è legato al segreto professionale.
6.
L’istanza è accolta ai sensi del precedente considerando.
Stante la natura e la finalità della richiesta, non si prelevano tassa di giustizia e spese.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,015 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
8861f059-2f44-5243-be26-1fcc1dcfaeab
|
in fatto
a
. Con decreto d’accusa del 22.11.2010 (DA _) il Ministero pubblico ha proposto la condanna di RE 1 per grave infrazione alle norme della circolazione, in riferimento a fatti avvenuti il 26.8.2010 a _.
b
. A seguito di tempestiva opposizione, l’incarto è stato trasmesso alla Pretura penale (inc. _).
Con citazione del 20.4.2012, il dibattimento è stato fissato per il 24.5.2012. Allo stesso non si è presentato RE 1 (mentre che il procuratore pubblico aveva rinunciato ad intervenire): il pretore ha proceduto ad emanare la sentenza nelle forme contumaciali, dichiarando RE 1 colpevole, ed avvertendolo che poteva, nei sei mesi, chiedere un nuovo giudizio, con riferimento alle norme procedurali del CPP TI.
c
. A seguito di scritto 4.6.2012 di opposizione alla sentenza, la Pretura penale apriva un nuovo incarto (inc. _), e RE 1 veniva citato nuovamente il 6.6.2012 per una nuova udienza fissata al 22.6.2012.
Anche in quella data il reclamante non compariva, di modo che, con sentenza 22.6.2012 ed in applicazione dell’art. 277 cpv. 5 CPP TI, il pretore ha dichiarato definitiva la sentenza contumaciale del 24.5.2012.
d
. Con scritto 2.6.2012 (recte: 2.7.2012), imbucato il 3.7.2012 e ricevuto dalla Pretura penale il giorno successivo, RE 1 ha nuovamente fatto opposizione.
A fondamento della medesima, invoca un argomento di merito (la segnalazione della zona 50 km/h sarebbe illegale).
e
. In ragione dell’esito del gravame, non è stato ordinato uno scambio di allegati.
|
in diritto
1
. 1.1.
Preliminarmente occorre stabilire il diritto processuale applicabile alla fattispecie.
1.2.
La prima sentenza del 24.5.2012 è stata resa in applicazione del vecchio diritto processuale cantonale, poiché il decreto d’accusa (cui era stata fatta opposizione) è stato emanato prima dell’entrata in vigore del CPP.
Anche il secondo giudizio del 22.6.2012 è stato reso in applicazione del vecchio diritto processuale cantonale.
1.3.
In ottica intertemporale, l’art. 455 CPP rende applicabile alle opposizioni ai decreti d’accusa l’art. 453 CPP.
Quest’ultima norma stabilisce che i ricorsi contro le decisioni emanate prima dell’entrata in vigore del CPP sono giudicati secondo il diritto anteriore dalle autorità competenti in virtù di tale diritto.
1.4.
Pertanto correttamente il primo giudizio del 24.5.2012 è stato reso in applicazione degli art. 273 ss. CPP TI.
La decisione contiene anche l’indicazione della possibilità di presentare, entro sei mesi dall’emanazione della sentenza contumaciale, istanza di nuovo giudizio, conformemente all’art. 277 cpv. 3 CPP TI. Tale è stato ritenuto lo scritto 4.6.2012 del qui reclamante.
1.5.
Per il nuovo giudizio, sempre nell’ottica del diritto intertemporale, occorre far riferimento all’art. 452 CPP.
Il cpv. 2 stabilisce che le istanze di nuovo giudizio presentate dopo l’entrata in vigore del CPP per una sentenza contumaciale emanata secondo il diritto anteriore sono giudicate secondo il diritto più favorevole.
Il vecchio diritto cantonale permetteva al condannato in contumacia di presentare, entro sei mesi dalla sentenza, istanza di nuovo giudizio. L’art. 277 cpv. 3 CPP TI non poneva condizioni di motivazioni o altre restrizioni.
Il CPP stabilisce che il condannato in contumacia può, entro dieci giorni, presentare per iscritto o oralmente istanza di nuovo giudizio, motivando succintamente il fatto di non aver potuto partecipare al dibattimento (art. 368 cpv. 1 e 2 CPP).
Il diritto più favorevole è certamente il precedente, sia per il termine più lungo, sia per l’assenza di esigenze di motivazione. Correttamente pertanto la Pretura penale, in applicazione del vecchio diritto processuale cantonale, ha fissato un nuovo dibattimento.
1.6.
Il nuovo dibattimento, giusta l’art. 452 cpv. 3 CPP, è retto dal nuovo diritto.
Nel caso di specie il pretore ha al contrario applicato il vecchio diritto, poiché nella sentenza del 22.6.2012 fa espresso riferimento all’art. 277 cpv. 5 CPP TI, secondo il quale se l’accusato non si presenta, il giudice non entra nel merito dell’istanza di nuovo giudizio e dichiara definitivamente valida la sentenza contumaciale.
Poco male, in quanto, con analoga soluzione, l’art. 369 cpv. 4 CPP stabilisce che, se il condannato ingiustificatamente non compare nemmeno al nuovo dibattimento, la condanna in contumacia permane.
1.7.
Certo è che, sia con il vecchio diritto processuale cantonale, sia con il nuovo federale, la successiva sentenza che dichiara definitivo il giudizio contumaciale (art. 277 cpv. 5 CPP TI) o fa permanere la precedente sentenza contumaciale (art. 369 cpv. 4 CPP) non può essere impugnata con argomenti di merito, come fa il qui reclamante nel presente caso.
In quanto non contesti la citazione, la regolarità della medesima, o non invochi motivi che rendano giustificata la mancata comparizione al nuovo giudizio o una violazione delle norme sul nuovo giudizio, il reclamo è manifestamente irricevibile.
2
. La tassa di giustizia e le spese sono caricate al reclamante.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,012 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
886272c7-247e-58be-ac43-06517b1a6e3b
|
in fatto: A.
Con sentenza 12 novembre 2010, il presidente della Corte delle assise correzionali di _ha dichiarato RI 1 autore colpevole di:
- appropriazione indebita, per essersi appropriato indebitamente, il 22 novembre 2008 a _, allo scopo di procacciare a sé e ad altri un indebito profitto, cedendola a terzi, della vettura Nissan Murano 3.5 V6 targata del valore di fr. 55'492.85 di proprietà della PC 2 che ne aveva finanziato l’acquisto mediante un contratto di leasing conseguendo un indebito profitto sconosciuto;
- falsità in documenti, per avere, nel marzo 2009 a _, al fine di procacciare a sé un indebito profitto, allestito, ovvero fatto allestire, una falsa dichiarazione a nome di TE1 datata 24 marzo 2009, facendone uso a scopo di inganno;
- sviamento della giustizia, per avere, il 23 e 24 novembre 2008 a _, fatto all’autorità una falsa denuncia per un atto punibile, ch’egli sapeva non commesso.
RI 1 è, invece, stato prosciolto dall’accusa di truffa tentata e di tentato danno patrimoniale procurato con astuzia.
In applicazione della pena, il primo giudice ha condannato RI 1 alla pena pecuniaria di fr. 14'800.-, pari a 185 aliquote giornaliere da fr. 80.- l’una, e al pagamento di tassa di giustizia e spese processuali.
L’esecuzione della pena pecuniaria è stata sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni.
Il primo giudice ha, infine, confiscato quanto in sequestro ed ha rinviato le parti civili al competente foro.
B.
Per quanto qui interessa, i fatti posti alla base del giudizio del presidente della Corte delle assise correzionali sono, in sintesi, i seguenti.
Il nome di RI 1 è venuto a conoscenza delle autorità penali nell’ambito di una vasta inchiesta relativa ad un traffico di automobili rubate ed esportate in _, in particolare in una procedura rogatoriale aperta dalle autorità svizzere a seguito di una domanda di assistenza internazionale delle autorità albanesi in relazione ad un procedimento contro TE2, indagato per traffico di veicoli.
E’, quindi, emerso che, alle 00.39 del 23 novembre 2008, RI 1 aveva denunciato ai Carabinieri di _ il furto del veicolo Nissan Murano, da lui acquistato in leasing alcuni mesi prima e assicurato presso la PC 1. Il giorno seguente, RI 1 ha denunciato il furto anche alla Polizia cantonale di _ e, il 12 dicembre 2008, ha chiesto il relativo indennizzo all’assicurazione che, però, con scritto 31 marzo 2009, gli ha comunicato che, in assenza di prove del danno subito, non avrebbe concesso alcun risarcimento.
Il 31 luglio 2009, RI 1 è stato arrestato dopo essere stato interrogato dal procuratore pubblico. Egli è stato scarcerato il 4 agosto seguente.
C.
Contro la sentenza del presidente della Corte delle assise correzionali, il condannato ha inoltrato dichiarazione di ricorso.
Nei motivi del gravame, presentato il 23 dicembre 2010, il ricorrente, invocando un accertamento arbitrario dei fatti e un’errata applicazione del diritto sostanziale ai fatti posti alla base della sentenza, domanda il suo proscioglimento anche dai reati di appropriazione indebita e di sviamento della giustizia e una nuova commisurazione della pena.
D.
Con osservazioni 31 gennaio 2011, il procuratore pubblico chiede la reiezione del gravame sostenendo che il ricorso è di natura appellatoria e che, in ogni caso, la sentenza di prime cure non è viziata da arbitrio di sorta.
Con osservazioni 31 gennaio 2011, la parte civile PC 2, ha postulato la conferma della sentenza di prime cure.
|
Considerando
in diritto: 1.
Giusta l’art. 288 CPP TI - applicabile in forza dell’art. 453 CPP fed. - il ricorso per cassazione è essenzialmente un rimedio di diritto (lett. a e b), ritenuto che l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP) e che arbitrario non significa manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 135 V 2 consid. 1.3 pag. 4, 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia consid. 3 pag. 371).
2.
In primo luogo, il ricorrente rimprovera al primo giudice di non avere creduto a quanto da lui dichiarato in relazione a quel che accadde la sera del 22 novembre 2008, in particolare alle modalità di accesso allo stadio di _.
2.1.
Nella sentenza impugnata, il primo giudice, dopo avere esaminato la versione di RI 1 relativa alla sua presenza allo stadio, ha ritenuto inverosimile che egli fosse entrato a _ quella sera.
Rilevato che, quando è partito da casa, RI 1 non disponeva ancora del biglietto per la partita di quella sera, per la quale lo stadio era tutto esaurito, il primo giudice ha sottolineato come, sull’argomento, RI 1 abbia cambiato versione dichiarando, in corso d’inchiesta, di avere ricevuto gratis il biglietto da un amico a _ e, poi, al dibattimento, affermando di averlo acquistato da un “bagarino” per 20/30 Euro (sentenza impugnata, consid. 3.1, pag. 14). Il primo giudice ha, poi, indicato che RI 1, richiesto di spiegare come fosse entrato allo stadio, ha detto di avere mostrato il biglietto, senza controlli di identità, e di essersi seduto tra i “distinti” (vecchia denominazione del settore dello stadio con posti in parte seduti e in parte in piedi, in disuso da un ventennio), passando soltanto un controllo ma senza sapere indicare quale (sentenza impugnata, consid. 3.1, pag. 14).
Il primo giudice ha, poi, indicato che RI 1 ha ribadito la propria versione nonostante si sia detto al corrente del fatto che dal 2007 i controlli per l’accesso allo stadio si sono inaspriti, “
nel senso che ve n’è uno del biglietto ed un secondo dell’identità della persona che figura sul tagliando
” che, sulla base della legislazione italiana, deve essere emesso al portatore (sentenza impugnata, consid. 3.1, pag. 14).
Il giudice di prime cura ha, poi, aggiunto che RI 1
“non ha saputo indicare il percorso che ha fatto per raggiungere lo stadio, non ha conservato il biglietto e si è contraddetto in modo manifesto in punto alle circostanze di acquisto del tagliando che, come detto, non poteva più, già a quell’epoca, avvenire in forma anonima”
e che, in ogni caso, l’imputato non ha fornito un racconto lineare
“proprio sulle circostanze dell’acquisto”
e
“non ha saputo spiegare come ha fatto ad entrare nell’impianto sportivo nonostante i vigenti controlli in particolare sull’identità”
(sentenza impugnata, consid. 3.1, pag. 15).
Le incongruenze del racconto di RI 1 sono state ritenute uno fra gli indizi che, valutati nel loro complesso,
“conducono tutti ad una sola e univoca conclusione ed hanno indotto questo giudice all’intimo convincimento che non vi è stato alcun furto della Nissan e che la vettura è stata fatta sparire”
(sentenza impugnata, consid. 3.8, pag. 28).
2.2.
Il ricorrente ritiene arbitraria la conclusione del primo giudice, secondo cui la sua versione dei fatti - ovvero che il 22 novembre 2008 egli si era recato allo stadio di _ per assistere ad una partita - non può essere ritenuta credibile (ricorso, pag. 5). Secondo RI 1, nulla agli atti permette di concludere che quanto da lui affermato non corrisponda al vero: il fatto che dal 2007 i biglietti per le partite di calcio sono nominativi non è provato (“
è fatto notorio infatti che in Italia è facile comprare dei biglietti anche all’ultimo minuto a prescindere dal nominativo e che è facile accedere agli stadi senza essere controllati
”) e, in ogni caso, non comprova alcunché (ricorso, pag. 6).
Il primo giudice - conclude RI 1 - ha dunque accertato in modo arbitrario i fatti, “
in particolare le modalità di acquisto del biglietto di ingresso e l’accesso del medesimo allo stadio
” (ricorso, pag. 6).
2.3.
Nell’accertamento dei fatti e nella valutazione delle prove, il giudice dispone di un ampio potere di apprezzamento (DTF 129 I 8 consid. 2.1; 118 Ia 28 consid. 1b; STF 30 marzo 2007, inc. 6P.218/2006, consid. 3.4.1) così che, per motivare l’arbitrio, non è sufficiente criticare la decisione impugnata né è sufficiente contrapporvi una diversa versione dei fatti, per quanto sostenibile o addirittura preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato (DTF 133 I 149 consid. 3.1 con rinvii). E’ infatti necessario dimostrare il motivo per cui la valutazione delle prove fatta dal primo giudice è manifestamente insostenibile, destituita di fondamento serio e oggettivo, si trova in chiaro contrasto con gli atti, si fonda su una svista manifesta o contraddice in modo urtante il sentimento di equità e di giustizia (DTF 135 V 2 consid. 1.3; 133 I 149 consid. 3.1; 132 I 13 consid. 5.1; 131 I 217 consid. 2.1; 129 I 173 consid. 3.1 con richiami) o si basa unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b; 112 Ia consid. 3).
In particolare, il Tribunale federale ha avuto modo di stabilire che un accertamento dei fatti può dirsi arbitrario se il primo giudice ha manifestamente disatteso il senso e la rilevanza di un mezzo di prova oppure ha omesso, senza fondati motivi, di tener conto di una prova idonea ad influire sulla decisione presa oppure, ancora, quando il giudice ha tratto dal materiale probatorio disponibile deduzioni insostenibili (DTF 129 I 8 consid. 2.1).
Secondo la giurisprudenza, per essere annullata una sentenza deve essere inoltre arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 135 V 2 consid. 1.3; DTF 133 I 149 consid. 3.1, 132 I 13 consid. 5.1, 131 I 217 consid. 2.1, 129 I 8 consid. 2.1, 173 consid. 3.1).
2.4.
La critica del ricorrente è di matrice appellatoria e, in ogni caso, infondata.
Anzitutto, il primo giudice ha fondato la sua argomentazione - secondo cui negli stadi italiani dal 2007 i biglietti per le partite di calcio sono nominativi - sulla base di un decreto ministeriale del 6 giugno 2005. Non è, pertanto, corretto affermare che l’argomento “
non risulta minimamente provato
”.
Non basta, poi, per sostanziare l’arbitrarietà di tale accertamento, limitarsi ad affermare come sia notorio che in Italia si entri ancora attualmente negli stadi senza biglietti nominativi e senza particolari controlli.
Ma soprattutto, sbaglia il ricorrente nel ritenere che il fatto che RI 1 abbia assistito o meno alla partita non prova nulla. Se è vero che da tale circostanza non può essere direttamente inferto nulla in relazione agli elementi costitutivi delle infrazioni rimproverategli, è altrettanto vero che l’accertamento in questione assume invece rilievo - in un apprezzamento globale delle circostanze - nella valutazione della credibilità dell’accusato. E’ proprio in quest’ottica che il primo giudice ha sottolineato le incongruenze della versione resa da RI 1 in relazione all’entrata allo stadio.
Non va infatti dimenticato che, in relazione alla partita, RI 1 si è smentito in relazione alla provenienza del biglietto (dapprima un regalo di un amico, poi acquistato da un “bagarino”), ha dichiarato di essersi seduto in un settore dello stadio la cui denominazione oggi non esiste più (fra i “distinti”, mentre oggi lo stadio di _ è suddiviso in anelli e colori), non ha saputo dire in che settore è entrato, né che tragitto ha fatto per raggiungere lo stadio, e non ha conservato il biglietto.
Sulla scorta di quanto sopra, concludere che le dichiarazioni di RI 1 siano scarsamente credibili non è certamente frutto di un apprezzamento arbitrario delle prove.
3.
Il ricorrente contesta, pure, il peso eccessivo che il primo giudice ha attribuito alla sua menzogna relativa all’identità della persona da lui contattata la sera del furto.
3.1.
Nella sentenza impugnata viene riferito che RI 1, nella denuncia sporta il 24 novembre 2008 alla polizia cantonale di _, ha indicato che dopo il furto “
non sapendo come rientrare al domicilio, chiamavo col cellulare il mio amico TE1 (del quale non conosco il cognome). Allo stadio non ci siamo visti ma sapevo che sarebbe andato a vedere la partita. L’ho chiamato verso le 22.45. Lui mi ha raggiunto dopo circa 15 minuti. Mi sono fatto accompagnare alla stazione dei Carabinieri (_) dove ho sporto denuncia
(...)
Subito dopo aver sporto denuncia mi sono fatto accompagnare a casa, erano circa le 01.15, siamo arrivati a _ verso le 02.00. Dove abiti TE1 non lo so di preciso ma credo sia in zona _
” (sentenza impugnata, consid. 3.2, pag. 16).
In seguito, il primo giudice ha riportato che RI 1 ha dichiarato alla polizia di avere chiamato, dopo il furto, un amico di _, TE1, che era stato pure lui allo stadio e che lo ha raggiunto
“sul posto, cioè vicino a dove avevo posteggiato l’auto, precisamente ad una rotonda vicino alla via dove mi hanno rubato l’auto
” e che, poi, dopo la denuncia, lo ha accompagnato a casa (sentenza impugnata, consid. 3.3, pag. 16-17).
Il primo giudice ha, poi, anche riferito che RI 1 aveva indicato all’assicurazione che la sua versione dei fatti poteva essere confermata da tale TE1 (di cui fornì il numero di telefono). Rilevato come dal promemoria della telefonata eseguita da un funzionario dell’assicurazione emergesse che la persona chiamata aveva confermato il dire dell’imputato, il primo giudice ha precisato che, in realtà, il funzionario assicurativo non aveva parlato con TE1 ma con TE3, cittadino rumeno residente in Italia, cui apparteneva l’utenza telefonica indicata da RI 1 (sentenza impugnata, consid. 3.3, pag. 17).
Il primo giudice ha, poi, riferito che, in seguito, TE1 ha dichiarato di non essere andato a _ quella sera e di non avere mai riaccompagnato a casa l’accusato ed ha precisato “
che, qualche giorno prima di essere interrogato (...) ha incontrato per caso il RI 1 il quale gli avrebbe detto di averlo indicato come persona che lo ha riaccompagnato a casa la sera del furto, informandolo di avere fatto il suo nome anche alla PC 1
”
. Inoltre - ha aggiunto il primo giudice - TE1 ha disconosciuto la firma apposta sulla dichiarazione 24 marzo 2009 che RI 1 aveva presentato alla PC 1 per corroborare la sua versione (sentenza impugnata, consid. 3.3-3.4, pag. 18-19).
Soltanto davanti al procuratore pubblico - continua il primo giudice - RI 1
“ha precisato che la persona che in realtà l’ha riaccompagnato a casa la sera del furto sarebbe TE3 e non TE1, poiché, a suo dire, un teste rumeno sarebbe risultato poco convincente e credibile, a differenza di un italiano”
, confessando poi la falsità della dichiarazione attribuita a TE1 e, invece, da lui confezionata (sentenza impugnata, consid. 3.4, pag. 19).
3.2.
Il ricorrente lamenta l’importanza conferita dal primo giudice al fatto che egli abbia mentito in relazione all’identità della persona da lui contattata la sera del furto, poiché “
questa circostanza da sola non prova alcunché e soprattutto non prova
(...)
che il furto non sarebbe avvenuto
”: il primo giudice è, dunque, a suo parere, caduto in arbitrio deducendo da tale circostanza che egli era responsabile dei reati imputatigli (ricorso, pag. 6).
In realtà - sottolinea il ricorrente - egli ha, sì, mentito sull’identità della persona che lo ha accompagnato, ma lo ha fatto “
solamente perché credeva che un testimone rumeno sarebbe stato poco credibile
”. Riconoscendo di avere commesso una stupidaggine, il ricorrente afferma di avere solo creduto “
che indicando una persona rumena le autorità avrebbero nutrito dei dubbi sulle sue dichiarazioni
”. In questo, egli deve essere creduto - continua - in quanto “
bisogna purtroppo ammettere che la nostra società ha spesso pregiudizi nei confronti di certe etnie, tra cui quella rumena in particolare quando vi sono in discussione reati patrimoniali
” (ricorso, pag. 6).
3.3.
Il ricorrente si limita ad affermare che è arbitrario dedurre dalla sua menzogna relativa alla persona realmente contattata quella sera che il furto dell’automobile non sia mai avvenuto. Così argomentando, egli perde di vista le esigenze di motivazione del ricorso per cassazione, e omette di confrontarsi con tutte le altre circostanze che hanno spinto il primo giudice a ritenere RI 1 non credibile e, infine, a concludere che il furto non era mai avvenuto.
Nel merito, la censura si rivela poi essere al limite del temerario. Risulta, infatti, in modo chiaro dalla lettura della pronuncia impugnata che il primo giudice non ha ritenuto la menzogna di RI 1 come una prova diretta del fatto che il furto non fosse avvenuto. La menzogna sull’esistenza di un amico soccorritore - incontestata - è, invece, stata presa in considerazione, assieme ad altri elementi, per concludere che RI 1 ha mentito nel riferire gli avvenimenti di quella sera.
E, sulla base di tale conclusione, è senza arbitrio di sorta, nella misura in cui le circostanze su cui l’imputato ha mentito servivano a contestualizzare il furto, che il primo giudice ha concluso che RI 1 ha mentito anche riferendo della sottrazione dell’autovettura.
Non mette, peraltro, conto di soffermarsi qui sulle motivazioni - del tutto inverosimili - addotte a giustificazione dell’accertata menzogna.
4.
In seguito, il ricorrente censura la valutazione delle versioni di TE1 e TE3.
4.1.
Nella sentenza impugnata il primo giudice ha affermato che “
a non averne
dubbi
” le versioni dei fatti fornite da RI 1, TE1 e TE3 sono “
versioni precostituite, che differiscono proprio in quei dettagli che non sono stati accuratamente preconfezionati, e meglio chi ha chiamato chi, quando, dove uno ha incontrato e accompagnato l’altro e perché si sarebbe rivolto proprio a lui
” (sentenza impugnata, consid. 3.5, pag. 21). Secondo il giudice di prime cure, si tratta di “
versioni che, solo una volta saputo dell’inchiesta, i protagonisti hanno poi cercato di modificare per renderle compatibili fra loro
” e che, “
in realtà TE3 e RI 1 paiono essere stati d’accordo sin dall’inizio di coinvolgere il TE1 che, almeno della dichiarazione falsa, non era stato avvisato
” evidentemente “
al solo scopo di inscenare un furto mai avvenuto
” (sentenza impugnata, consid. 3.5, pag. 21).
Il primo giudice ha concluso che
“da una lettura spassionata di tutte le dichiarazioni fatte da RI 1, TE3 e TE1 si capisce come i tre, al corrente sino all’inizio della sparizione del veicolo (...) modifichino le loro versioni nel tentativo di farle collimare”
(sentenza impugnata, consid. 3.5, pag. 22).
4.2.
Il ricorrente sostiene che non è dato di sapere come il giudice di prime cure abbia potuto giungere alla conclusione secondo cui le tre versioni dei fatti siano state “
accuratamente preconfezionate
” (ricorso, pag. 6). In realtà - sostiene - le versioni dei tre si sono rivelate del tutto discordanti: se avesse voluto simulare il furto con l’aiuto di TE3 e di TE1, egli non avrebbe certo agito in questo modo ma, al contrario, tutti insieme “
avrebbero quantomeno preparato una versione dei fatti lineare e senza divergenze
” (ricorso, pag. 7).
4.3.
La critica ricorsuale è pretestuosa e non può trovare accoglimento.
Il ricorrente dimostra di non avere compreso l’argomentazione del primo giudice che ha riconosciuto che i tre hanno rilasciato delle dichiarazioni univoche solo nelle parti “precostituite”/“preconfezionate” del loro racconto (che corrispondono sostanzialmente al fatto che RI 1 abbia scoperto il furto della sua automobile dopo essersi recato ad una partita di calcio a _) mentre, quando sono stati interrogati sui dettagli più precisi dell’accaduto, i tre hanno fornito versioni del tutto divergente, poi modificate nel tentativo di farle collimare con quelle degli altri. Ad esempio, con riferimento al rientro dopo la denuncia presso la caserma dei carabinieri, TE3 ha riferito agli inquirenti di avere accompagnato a casa RI 1, mentre al funzionario dell’assicurazione aveva detto di averlo lasciato a _, dove la madre gestisce un ristorante mentre RI 1, nella denuncia, ha riferito di essersi fatto portare a casa a Ligornetto per poi, in seguito, dichiarare invece di essere stato lasciato alla dogana e di essere rientrato facendo autostop.
Infine, sostenere che, se avesse voluto simulare il furto con l’aiuto dei due amici, il ricorrente avrebbe concordato con loro una versione dei fatti lineare e priva di divergenze significa proporre argomentazioni più consone ad un atto d’appello (se non ad un’arringa difensiva) che ad un ricorso per cassazione.
Nemmeno a tale riguardo, dunque, il ricorso merita accoglimento.
5.
Il ricorrente continua il suo esposto censurando la valutazione del primo giudice sull’esito della perizia.
5.1.
Nella sentenza di prime cure il giudice ha indicato che
“dalla perizia fatta allestire dalla PC 1 presso la
_
è emerso che da una delle chiavi sono state ricavate almeno due ulteriori copie”
(consid. 3.6, pag. 22). Per quel che concerne la parte elettronica
“è stato accertato che, con una chiave originale o duplicata, si può procedere ad una sua codifica da parte di chi possiede un’apparecchiatura elettronica apposita”
e, pertanto, è sufficiente
“una chiave per poter procedere ad una codifica piratata”
(sentenza impugnata, consid. 3.6, pag. 22).
Dopo avere dato atto che
“senza il veicolo, non ha potuto essere accertato se vi è stata anche una codifica non ufficiale di una chiave doppiata”
, il primo giudice ha accertato che
“con il doppio di una chiave la codifica è possibile”
e che, dunque,
“chi si impossessa illecitamente del veicolo è senz’altro in grado di (far) codificare la chiave”
(sentenza impugnata, consid. 3.6, pag. 22).
Il primo giudice ha, poi, interpretato il fatto che RI 1 abbia fatto fare due duplicati ma che poi abbia sempre negato la circostanza come un ulteriore elemento che depone per l’assoluta inattendibilità dell’accusato e come una circostanza che si inserisce perfettamente “
nel disegno di far sparire l’auto per immetterla nel mercato nero”
(sentenza impugnata, consid. 3.6, pag. 22).
5.2.
Secondo il ricorrente è arbitrario, partendo dalle risultanze della perizia fatta allestire dall’assicurazione PC 1 in base alla quale le chiavi del veicolo sono state duplicate, giungere alla conclusione che autore di tale duplicazione sia stato RI 1, poiché “
qualunque addetto del garage avrebbe potuto duplicare le chiavi
” (ricorso, pag. 7).
Il ricorrente lamenta che a riguardo non sia stata eseguita alcuna verifica e che il primo giudice si sia adagiato sulla semplice - ma arbitraria - sussunzione secondo cui, siccome il veicolo è dell’accusato e le chiavi sono state duplicate, “
è stato per forza RI 1 a duplicarle allo scopo di commettere i reati per i quali è stato condannato
” (ricorso, pag. 7).
Visto come lui abbia ammesso le sue responsabilità in relazione all’indicazione di un falso testimone, non vi è motivo - sostiene il ricorrente - per non credere a quanto lui dice sulla duplicazione delle chiavi (ricorso, pag. 7).
Infine - conclude il ricorrente - non vi è alcuna prova che la duplicazione delle chiavi abbia permesso di mettere in moto il veicolo, visto che “
oltre alla riproduzione della parte meccanica della chiave è necessaria anche la riproduzione della parte elettronica
” (ricorso, pag. 7).
5.3.
Nemmeno queste censure possono essere accolte.
RI 1 si limita, infatti, a contrapporre alla versione dei fatti accertata dal primo giudice - che ha ritenuto che egli ha fatto duplicare le chiavi per far sparire il veicolo ed immetterlo nel mercato nero - una versione alternativa, ipotizzando che chiunque, e non solo lui, avrebbe potuto procedere alla duplicazione delle chiavi.
Criticando singoli accertamenti e contrapponendo loro una versione dei fatti a lui più gradita, il ricorrente non fa che dilungarsi in argomentazioni inammissibili davanti a questa Corte.
Visto quanto già evocato in relazione alla credibilità dell’accusato, e alla luce dell’insieme di indizi convergenti sulla tesi accusatoria, non si può considerare arbitrario - rispettivamente, contrario al principio
in dubio pro reo
- l’aver considerato non credibile la dichiarazione dell’accusato, secondo cui non era stato lui ad effettuare le copie delle chiavi.
Del tutto pretestuosa è poi la tesi secondo cui non vi sono prove del fatto che la duplicazione delle chiavi avrebbe permesso di mettere in moto il veicolo.
Infine, il ricorrente si limita a ribadire l’apodittica tesi sostenuta già in prima istanza, secondo cui, oltre alla parte meccanica, “
è necessaria anche la riproduzione della parte elettronica
”, ma non si confronta con la motivazione esposta nella sentenza impugnata, secondo cui dalla riproduzione della parte meccanica della chiave è possibile procedere ad una codifica.
Nemmeno a tale riguardo, dunque, le argomentazioni ricorsuali meritano tutela.
6.
Il ricorrente contesta, poi, l’interpretazione data dal primo giudice al suo comportamento con TE2.
6.1.
Il primo giudice ha ritenuto come un ulteriore indizio di colpevolezza di RI 1 il fatto che TE2, buon conoscente di RI 1, ha dichiarato alla polizia che questi, “
di fronte all’ipotesi di un furto mai avvenuto, ha avuto una reazione di sostanziale neutralità
” e che, richiesto di precisare “
se era tutta una truffa”
, egli
“non mi ha detto né sì, né no
”. Fosse stato innocente - ha argomentato il primo giudice - così come “
qualsiasi persona onesta, di fronte ad un’accusa del genere”
egli avrebbe reagito “
con indignazione o almeno protestando la sua estraneità non foss’altro che per il fatto che l’interlocutore non traesse, in una fase peraltro in cui la pratica assicurativa non era ancora del tutto chiarita, una tanto errata quanto spiacevole impressione
” (sentenza impugnata, consid. 3.7, pag. 22 e 23).
6.2.
Per il ricorrente l’argomentazione del primo giudice è assurda. Una “non risposta” - precisa - non può essere ritenuta un indizio di colpevolezza, a maggior ragione se si considera che RI 1 aveva detto a TE2 di avere subito un furto, per cui se avesse voluto “
informare il TE2 di aver escogitato una truffa non gli avrebbe di certo detto che il veicolo è stato rubato
” (ricorso, pag. 8).
E’ pertanto, del tutto insostenibile - conclude il ricorrente - considerare che il suo silenzio rappresenti una prova della sua colpevolezza (ricorso, pag. 8).
6.3.
Anche a tale riguardo il ricorrente si diffonde in una motivazione inammissibile. Quando la Corte di prime cure fonda il suo convincimento sulla scorta di un insieme di indizi convergenti, non è sufficiente che l’uno o l’altro di questi elementi sia da solo insufficiente a fondare la condanna; l’apprezzamento delle prove deve infatti essere esaminato nel suo insieme, e non vi è arbitrio se la fattispecie ritenuta in prima sede poteva essere dedotta, in maniera sostenibile, dal raffronto di diversi indizi.
Pertanto, il ricorso deve essere considerato irricevibile anche in relazione a questa censura.
7.
Infine, il ricorrente lamenta la presa in considerazione, quale indizio a suo carico, della sua conoscenza di diversi personaggi coinvolti in traffici di automobili rubate.
7.1.
Nella sentenza impugnata il giudice di prime cure ha rilevato che
“i numerosi contatti, attestati dai relativi numeri di telefonici nella rubrica del cellulare di RI 1, con personaggi coinvolti in traffici di auto rubate, sono ulteriore indizio di conferma della tesi accusatoria”
(consid. 3.8, pag. 23). Dopo aver elencato le sei persone in questione (fra cui i già citati TE2, TE1 e TE3), il primo giudice ha osservato che
“RI 1 conosce, in parte sin dai tempi che gestiva l’Osteria
_
dove si incontravano, quasi tutte le persone di cui sopra, in gran parte sentite dalla Polizia in merito al traffico di auto rubate portate in
_
”
(sentenza impugnata, consid. 3.8, pag. 23). Inoltre - ha continuato il primo giudice - l’accusato ha detto di non conoscere personalmente solo una delle sei persone elencate, ma di sapere, comunque,
“del suo coinvolgimento nelle operazioni di trasporto delle automobili”
che, peraltro, gli ha fruttato un soggiorno in carcere in _ (sentenza impugnata, consid. 3.8, pag. 23-24).
7.2.
Il ricorrente sostiene che, citando le sei persone in questione, il primo giudice ha omesso di precisare che “
nessuno di loro ha dichiarato di aver avuto a che fare con il RI 1 per questioni legate al traffico di auto rubate
”, cioè ha omesso di precisare una circostanza che dimostra che la cosa non può, senza cadere nell’arbitrio, essere considerata un elemento a suo carico (ricorso, pag. 8).
7.3.
Anche tale censura deve essere disattesa poiché di carattere appellatorio: anche su questa questione, il gravame non ossequia le esigenze di motivazione per un ricorso per cassazione. Non è, infatti, sufficiente sostenere che nessuna delle persone citate in sentenza come coinvolte in traffici di automobili rubate abbia accennato ad una partecipazione di RI 1 in tali traffici per rendere arbitrario la conclusione secondo cui la frequentazione di simili personaggi rappresenta un indizio che può, insieme ad altri, andare a conforto dell’impianto accusatorio.
A titolo abbondanziale, si sottolinea, comunque, che la non arbitrarietà dell’utilizzo di questa circostanza come indizio a carico - da sola certamente non sufficiente ma utilizzabile insieme ad altri - è dimostrata dalle dichiarazioni fatte dallo stesso ricorrente sulle proposte di occuparsi di portare auto rubate dall’_ all’_ fattegli da un non meglio identificato TE4 (cfr. sentenza impugnata, consid. 3.8, pag. 26).
Anche questa censura è, dunque, irricevibile.
8.
Gli oneri processuali del giudizio odierno seguono la soccombenza e vanno, pertanto, posti a carico del ricorrente che rifonderà fr 700.- alla parte civile PC 2.
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
88b41130-e7b1-5945-9e07-c5ccc51f5a02
|
in fatto: A.
Con sentenza 23 gennaio 2008 la Corte delle assise criminali ha condannato RI 1 per titolo di complicità in amministrazione infedele qualificata, per avere intenzionalmente aiutato A., autore colpevole di amministrazione infedele qualificata ai danni della B.,
-
contribuendo nell’autunno 1998 e nel 2002 alle trattative rispettivamente con il _ e con la _ sfociate negli accordi in base ai quali A. ha operato sul mercato dei cambi e delle divise con il sistema della maggiorazione/riduzione dei tassi di cambio;
-
facendo creare e mettendo a disposizione di A., prima, la società _ e, poi, la società _ per l’incasso delle somme generate con la suddetta maggiorazione/riduzione dei tassi di cambio;
-
prelevando rispettivamente facendo prelevare, a scadenza mensile, in contanti dai conti bancari aperti ed intestati alle predette società e consegnando o facendo consegnare a A. ca. il 90% delle somme incassate e per avere trattenuto il 10%, di cui almeno fr. 1'286'338.— per sé.
RI 1 è stato, inoltre, condannato per titolo di ripetuto riciclaggio di denaro per avere ordinato la chiusura del conto intestato alla _ presso il _ ed avere trasferito il saldo, rappresentato dal rimanente 10% delle somme incassate, prima a favore di un conto presso _ intestato alla _ , di cui egli era indicato quale avente diritto economico, e in seguito, nel gennaio 2006, a favore di un conto presso _ intestato alla società _ , di cui egli era indicato quale avente diritto economico.
In applicazione della pena, la Corte delle assise ha condannato
RI 1, alla pena detentiva di 2 anni, sospesa per un periodo di prova di due anni.
B.
RI 1 è insorto contro la citata sentenza il 13 febbraio 2008 con dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e revisione penale. Nella motivazione scritta presentata il 3 aprile successivo, egli ha chiesto, in via principale, l’annullamento di tutti i dispositivi della sentenza impugnata ed il rinvio degli atti ad una nuova Corte delle assise criminali per un nuovo giudizio, riservato il suo proscioglimento dall’imputazione di complicità in amministrazione aggravata e di ripetuto riciclaggio di denaro. In via subordinata ha chiesto, la riforma dei dispositivi 2.1.-2.2 con il suo proscioglimento dall’imputazione di complicità in amministrazione aggravata in relazione all’operatività forex con il _ . Il ricorso è tuttora pendente presso la scrivente Corte.
C.
Con istanza 11 dicembre 2008, completata con scritto 23 novembre 2009, RI 1 chiede, previo interrogatorio a confronto di C. e di A. da parte di un giudice delegato della CCRP (art. 301 cpv. 3 CPP), la revisione della sentenza di condanna prolata dalla Corte delle Assise criminali il 12 febbraio 2008 (con conseguente rinvio degli atti ad una nuova Corte per un nuovo giudizio) e la concessione dell’effetto sospensivo all’esecuzione della sentenza di condanna (art. 301 cpv. 5 CPP).
L’istanza non ha fatto oggetto di intimazione.
|
Considerando
in diritto: 1.
Con la sua istanza di revisione – fondata sull’art. 299 cpv. 1 lett. c CPP – l’avv. RI 1 porta a conoscenza di questa Corte dei fatti che non erano noti alla prima Corte, evidenziandone la rilevanza per il giudizio di condanna.
I fatti nuovi emergono – secondo l’istante – dalla dichiarazione rilasciata il 27 ottobre 2008 da C. secondo cui egli, quando era direttore della _ , ha conosciuto – e si era alla fine degli anni 80/inizio anni 90 – A. che, già tesoriere della B. (oggi B.), fece diverse operazioni sul mercato dei cambi simili a quelle messe in atto in _ .
A mente dell’istante, la testimonianza di C. costituisce un mezzo di prova particolarmente rilevante in quanto dimostra che A. ha mentito descrivendo la nascita dell’idea criminosa. Fosse stata loro nota questa mancanza di sincerità e trasparenza – continua l’istante – i primi giudici non avrebbe giudicato credibile il chiamante in correità e, quindi, egli non sarebbe stato condannato.
Con lo scritto di sollecito 23.11.2009, l’istante sostiene che l’art. 300 cpv. 1 CPP, stabilendo che “
la domanda di revisione può essere presentata in ogni tempo, durante o dopo l’espiazione della condanna
”, non inibisce la revisione di una sentenza non ancora esecutiva ma si limita a sottolineare la caratteristica principale dell’istituto della revisione penale e, cioè che
“neppure la crescita in giudicato della sentenza di merito impedisce una sua impugnazione possibile in ogni tempo”
aggiungendo che, comunque,
“l’espiazione della pena pronunciata contro RI 1 è sospesa condizionalmente e che quindi non vi sarà per lui né un prima né un dopo espiazione”
.
Più in generale, dal profilo dell’economia processuale, l’istante sostiene che è
“assurdo risolvere in primo luogo le censure sollevate in cassazione, nell’eventualità che queste divengano prive d’oggetto in seguito all’accertamento di un fatto nuovo (e al conseguente annullamento del giudizio di primo grado)”
.
2.
A torto l’istante sostiene che l’art. 300 cpv. 1 CPP non osta alla presentazione di una domanda di revisione di una sentenza di condanna non ancora cresciuta in giudicato.
a)
L’impedimento sussiste, invero, proprio in ragione della caratteristica principale dell’istituto della revisione penale che è un mezzo di impugnazione che tutela una fondamentale garanzia procedurale (Hauser/Schweri/Hartmann, Schweizerisches Strafprozessrecht, 6. ed, 2005. § 102, Nota 1) che vuole che una sentenza resa in un procedimento penale materialmente e formalmente cresciuta in giudicato – che non può più, dunque, fare oggetto di un rimedio ordinario – possa, dandosene i presupposti, essere corretta (Hauser/Schweri/ Hartmann, op. cit. § 102, Nota 1; DTF 127 I 133).
La revisione è un mezzo di impugnazione straordinario.
Il primo e fondamentale connotato dell’eccezionalità di un mezzo straordinario d’impugnazione è proprio quello di essere proponibile contro sentenze già passate in giudicato e di essere, per il loro carattere straordinario, svincolato da qualsiasi termine (Gian Domenico Pisapia, Compendio di procedura penale, Cedam 1982, 3° edizione, pag. 478; ed ancora Hauser/Schweri/Hartmann, op. cit., § 102, Nota 2:
“die Revision ermöglicht, die starren Grenzen der Rechtskraft im Interesse der materiellen Gerechtigkeit zu durchbrechen und ein abgeschlossenes Strafverfahren nochmals durchzuführen”
e Nota 4:
“die Revision bedarf eines Antrages, der zugunsten des Verurteilten zeitlich und beschränkt zulässig und weder durch die Verjährung noch durch die Strafverbussung oder gar den Tod des Verurteiten ausgeschlossen wird.”
).
Una domanda di revisione può, quindi, essere sempre diretta contro una sentenza cresciuta in giudicato (Hauser/Schweri/ Hartmann, op. cit., § 102, Nota 1 e segg.; Piquerez, Traité de procèdure penale suisse, 2° ed, 2006, N. 1266).
b)
Gli art. 299 e segg CPP, ed in particolare l’art. 300 cpv. 1 CPP, vanno interpretati alla luce della natura e dello scopo della procedura di revisione. Pertanto, anche se i lavori parlamentari ad essi relativi sono su questo punto silenti, non si può che concludere che, in forza dei combinati disposti degli art. 299 e 300 CPP, può essere chiesta la revisione soltanto di una sentenza di condanna cresciuta in giudicato.
Una diversa interpretazione è manifestamente improponibile così come è insostenibile ritenere che lo svincolo da qualsiasi termine caratteristico di un mezzo di impugnazione straordinario permetta di proporre una domanda di revisione di una sentenza che non sia ancora definitiva.
L’allocuzione
“in ogni tempo”
di cui all’art. 300 cpv. 1 CPP non è certo intesa – così come suggerisce l’istante – a sovvertire la natura stessa della procedura di revisione anteponendo la via di ricorso straordinaria a quelle ordinarie.
Così come la successiva allocuzione
“durante o dopo l’espiazione della condanna”
non è altrettanto intesa a restringere la legittimazione per la presentazione di una domanda di revisione solo a chi è stato condannato ad una pena da espiare escludendo i condannati ad una pena sospesa condizionalmente, infatti, anche nei casi in cui il giudice sospende condizionalmente l’esecuzione della pena oppure la sostituisce con delle misure di sicurezza previste, il giudizio mantiene carattere punitivo e chi lo subisce è, a giusta ragione, da considerare condannato (cfr. Crespi, Revisione a favore del condannato secondo l’art. 397 CP, in RPS 77 1961, pag. 291 e riferimenti) ed è, quindi, posto al beneficio della garanzia procedurale di vedere corretta, dandosene le condizioni, la sua condanna.
In realtà, la locuzione
“durante o dopo l’espiazione della condanna”
di cui all’art. 300 cpv. 1 CPP, va intesa come una precisazione, di per sé superflua, ma in ogni caso aggiuntiva al momento in cui può essere presentata una domanda di revisione di una sentenza di condanna definitiva, ovvero
“in ogni tempo”
.
Una diversa interpretazione, strettamente ed esclusivamente letterale dell’art. 300 cpv. 1 CPP, così come proposta dall’istante, sarebbe in aperto contrasto con la
ratio
della procedura di revisione e, di conseguenza, con quella dell’articolo preso in esame.
In conclusione, la lettera dell’art. 300 cpv. 1 CPP va interpretata, per le ragioni sopra esposte, nei seguenti termini: la domanda di revisione
di una sentenza di condanna passata in giudicato
può essere presentata in ogni tempo,
anche
durante o dopo l’espiazione della condanna, dal procuratore pubblico o dal condannato.
Pertanto, contrariamente alla tesi dell’istante, il citato disposto di legge osta all’esame di una domanda di revisione di una sentenza che non è ancora cresciuta in giudicato.
c)
La sentenza di condanna di RI 1 emessa il 12 febbraio 2008 dalla Corte delle assise criminali non è ancora cresciuta in giudicato. La scrivente Corte non può, per le ragioni esposte al considerando che precede, entrare nel merito della domanda di revisione inoltrata in pendenza di un ricorso in cassazione ed affrontare oggi il tema di una revisione, nemmeno se il caso in esame fosse sussumibile sotto uno dei titoli previsti dall'art. 299 CPP, segnatamente la lett. c) e nemmeno per le ragioni di economia processuale evocate dall’istante.
Così come, per costante giurisprudenza di questa Corte (CCRP, sentenza del 23.10.2000, inc. 17.2000.29, in re C.M. consid. 3 ee; sentenza dell’8.11.2001, inc. 17.2001.31, in re S.P., consid. 4 d) una domanda di revisione non può essere frammista ad un ricorso per cassazione, allo stesso modo, non può essere esaminata una domanda di revisione di una sentenza di condanna quando è ancora pendente un ricorso per cassazione contro la stessa sentenza di condanna.
3.
Ne consegue che la domanda di revisione è prematura e va, pertanto, dichiarata irricevibile.
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,009 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
88d370fb-6e12-5ad1-afd8-24a01e64076c
|
in fatto ed in diritto
1.
Il _, a _, è stato richiesto l’intervento dell’ambulanza, poiché una persona è stata colta da un malore. La persona – identificata in _ (_) – è poi deceduta.
A seguito di ciò, l’allora sostituto procuratore pubblico Clarissa Torricelli ha ordinato l’autopsia sulla salma della vittima e ogni altro esame specialistico necessario allo scopo di verificare l’esatta causa del decesso (inc. MP _).
Il 18.12.2006 rispettivamente il 7.05.2007 il Ministero pubblico ha ricevuto i relativi rapporti (AI 7 e AI 17 dell’inc. MP _).
L’incarto penale è stato archiviato il 10.05.2007 (inc. NLP _).
2.
Con la presente istanza – trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza, a questa Corte – IS 1 (_), figlio di
†_
, chiede copia
della cartella clinica riguardante suo padre, poiché vorrebbe conoscere la causa del suo decesso (cfr., nel dettaglio, istanza datata 24.09.2015 con la documentazione ivi annessa, doc. CRP 1.a).
3.
Come esposto in entrata, il procuratore pubblico Paolo Bordoli non ha formulato osservazioni in merito.
4.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
5.
Nel caso qui in esame – visti i (dettagliati) motivi addotti nella presente richiesta – a giudizio di questa Corte appare dato un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG da parte di IS 1 a conoscere l’esatta causa del decesso di suo padre.
Di conseguenza i due referti autoptici riguardanti
†_
e allestiti nell’ambito del procedimento penale di cui all’inc. NLP _ (AI 7 e AI 17) vengono trasmessi, in copia, all’istante unitamente alla presente decisione.
6.
L’istanza è accolta ai sensi del precedente considerando. Stante la particolarità della fattispecie, si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,015 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
8a12890a-8d7f-524f-88dd-08058e9ff34d
|
in fatto: A.
Con sentenza del 30 aprile 2008 la Corte delle assise criminali di Mendrisio sedente in Lugano ha riconosciuto RI 1 autore colpevole di ripetuti atti sessuali con fanciulli per avere:
– tra l’autunno 2005 e il 3 giugno 2006 commesso ai danni di PC 1 (3 giugno 1990) almeno 20 masturbazioni, per averlo baciato con la lingua in un’occasione e in un’altra occasione per avere sfregato il proprio pene contro il corpo del ragazzo;
– tra il settembre 2005 e il 21 agosto 2006 commesso ai danni di PC 2 (21 agosto 1990) almeno 50 masturbazioni (in un’occasione in contemporanea con PC 3);
– tra la fine del 2005 e il 3 settembre 2006 commesso ai danni di PC 3 (3 settembre 1990) almeno 36 masturbazioni (in un’occasione in contemporanea con PC 2).
La Corte delle assise criminali ha inoltre condannato RI 1 per ripetuta pornografia (per avere, in più occasioni, tra il settembre 2005 ed il settembre 2006, mostrato a _, a quel tempo minori di anni 16, film pornografici). Egli è stato inoltre condannato per somministrazione a fanciulli di sostanze pericolose per la salute (per avere, tra il febbraio ed il marzo 2006, determinato PC 1, a quel tempo minore di anni 16, a fumare uno spinello di marijuana), per contravvenzione alla LStup ripetuta (per avere, senza essere autorizzato, tra il maggio 2005 e l’aprile 2007 fumato in più circostanze spinelli di marijuana).
RI 1 é stato per contro prosciolto dalle accuse di:
– ripetuta coazione sessuale di cui ai punti 1, 1.1, 1.2 e 1.3 dell’atto di accusa;
– atti sessuali con fanciulli consumati e tentati ai danni di PC 4 e PC 5 di cui ai punti 2.2 e 2.3 dell’atto di accusa;
– atti sessuali con fanciulli ai danni di PC 2 per quanto attiene ai rapporti orali e ai toccamenti all’ano, ai danni di PC 1 per quanto attiene ai rapporti orali e ai danni di PC 3 per quanto attiene ai rapporti orali, ai baci sulla bocca e ai toccamenti al sedere (punto 2.1 dell'atto di accusa);
– ripetuti atti sessuali con persone dipendenti di cui ai punti 3, 3.1, 3.2 e 3.3 dell’atto di accusa;
– sfruttamento dello stato di bisogno di cui al punto 4 dell’atto di accusa;
– somministrazione a fanciulli di sostanze pericolose per la salute di cui al punto 6.2 dell’atto di accusa;
– contravvenzione alla LStup per il periodo marzo 2005–aprile 2005.
Riconosciuta all’accusato una scemata imputabilità di grado leggero, la Corte lo ha condannato a 2 anni e 9 mesi di detenzione, computato il carcere preventivo sofferto, e a rifondere a ciascuna delle parti civili (_) un’indennità per torto morale pari fr. 5
000.– (oltre interessi del 5% dal 25 maggio 2007) e un’indennità per spese di patrocinio, dedotte le ripetibili assegnate e ricevute in corso di inchiesta, di fr. 11
534.70 (oltre interessi del 5% dal 21 aprile 2008). La Corte ha ordinato inoltre
la confisca di quanto in sequestro, ad eccezione degli album e dei classificatori con le fotografie. Ha ordinato inoltre
un trattamento psichiatrico da eseguirsi già durante la carcerazione, la cui natura e durata dovrà essere definita dal medico incaricato.
La tassa di giustizia di fr. 5
500
.–
e le spese processuali sono state addebitate per 2/3 a carico del condannato e per 1/3 a carico dello Stato. La Corte non ha per contro assegnato alcunché a titolo di risarcimento a PC 4, PC 5,
_
.
B.
Contro la sentenza appena citata il Procuratore pubblico e RI 1 hanno introdotto il 30 aprile 2008, rispettivamente il 2 maggio 2008 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 13 giugno successivo, il magistrato d’accusa lamenta arbitrio nell’accertamento dei fatti e violazioni del diritto sostanziale, postulando l’annullamento della sentenza impugnata e il rinvio degli atti ad un’altra Corte delle assise criminali per un nuovo giudizio. Nella sua motivazione scritta del 23 giugno 2008, RI 1 chiede di essere condannato a una pena non superiore a due anni, che la confisca comprenda solo il materiale pornografico “ad esclusione di ogni altro” e che le spese processuali vengano ripartite nella misura di un 1⁄4 a suo carico e di 3⁄4 a carico dello Stato, il quale deve assumersi pure “la parte del condannato al beneficio del gratuito patrocinio”. l ricorsi non hanno fatto oggetto d’intimazione.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288 lett. a e b CPP). L’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata, né contrapporle una propria versione dell’accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev’essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 173 consid. 3.1 pag. 178).
I. Sul ricorso del Procuratore pubblico.
2.
In ingresso del ricorso (punto 1) il Procuratore pubblico sostiene che le censure ricorsuali, sia quelle relative all’arbitrario accertamento dei fatti e all’apprezzamento delle prove che quelle relative all’errata applicazione del diritto sostanziale ai fatti posti a base della sentenza, sono riferite al proscioglimento dell’impu- tato dall’accusa di atti sessuali con persone dipendenti (art. 188 CP). Il ricorrente rimprovera in definitiva alla prima Corte di non essersi confrontata con “il complesso degli elementi probatori agli atti” e di avere “sistematicamente omesso di illustrare i verbali” nei quali l’imputato avrebbe ammesso “i fatti contemplati nell’atto di accusa”. Spezzettare i comportamenti delle vittime a dipendenza del compimento del sedicesimo anno d’età sarebbe, spiega il ricorrente, “manifestamente insostenibile”. Quanto l’ac-cusato ha invece abilmente “seminato” prima del compimento del sedicesimo anno d’età delle vittime, sarebbe costitutivo del reato di cui all’art. 188 CP per i fatti successivi il compimento del sedicesimo anno. Reiterando i medesimi comportamenti senza distinguere se le vittime avessero compiuto 16 anni o meno, spiega il procuratore pubblico, l’accusato avrebbe quindi sfruttato la dipendenza che queste avevano già prima del compimento del sedicesimo anno di età. La Corte invece avrebbe frammentato “in modo eccessivamente chirurgico” il comportamento dell’accu-sato e delle sue vittime, perdendo così di vista lo sviluppo della vicenda e “in particolare” l’effetto “che il comportamento manipolatorio” del prevenuto, ben orchestrato e collaudato, avrebbe avuto sulle vittime. Nemmeno “il denunciante” (_), seppure abbia subìto “solo tre masturbazioni”, sarebbe stato ritenuto vittima del reato; a causa di una “valutazione arbitrariamente selettiva degli atti”, la Corte non ha così condannato l’imputato, benché egli stesso avesse “chiaramente ammesso di avere soggiogato anche _” (ricorso, pag. 3-4).
Le anticipate censure ricorsuali, così come esposte, d’acchito denotano la loro chiara indole appellatoria, e perciò la loro inammissibilità, come peraltro meglio si vedrà nel prosieguo della trattazione del gravame. Prive di ogni riferimento concreto infatti, le doglianze si esauriscono già a questo stadio in critiche di ordine generale e non sono quindi ricevibili in un ricorso per cassazione, ove occorre indicare concretamente quali prove la Corte di merito avrebbe negletto e quali altre avrebbe valutato con arbitrio. Su questo punto il ricorso sfugge a ulteriore disamina.
3.
Quanto riferito dal dr. _ (perito di parte) e ritenuto dalla prima Corte in punto all’inizio della vita omosessuale dell’imputato, è considerato dal Procuratore pubblico non attendibile. Avendo il perito ammesso al dibattimento di non avere avuto tutta la documentazione a disposizione, ed avendo egli impiegato 11 mesi per svolgere il proprio compito, “con prevedibili inquinamenti e rivisitazioni in ottica difensiva”, il ricorrente ricorda di avere espresso “pesanti riserve sull’attendibilità” del suo lavoro. In particolare sull’episodio della conoscenza di “tale _”, che la Corte situa all’età di 18 anni facendo riferimento a quanto riferito dall’accusato – mentendo – al dr. _, mentre in realtà, come lo stesso imputato avrebbe dichiarato, di anni ne aveva 25. Il perito di parte avrebbe quindi riportato nel suo rapporto informazioni “senza filtrarle”. Questo particolare della conoscenza di “_” avrebbe avuto una certa importanza nel racconto del suo vissuto fallimentare con le donne (ricorso, pag. 4-5).
Nel contestare alcuni passaggi del considerando 3 della sentenza impugnata riferita allo specifico tema, il magistrato d’accusa costella però il suo esposto con considerazioni di carattere prettamente appellatorio, peraltro non sempre di immeditata comprensione, specie laddove egli passa da una situazione all’altra senza rigore metodologico e senza spiegare a che cosa le sue rimostranze per finire mirerebbero. Si rimprovera in buona sostanza alla Corte di merito di avere ritenuto alcune errate considerazioni peritali, senza tuttavia sostanziare gli aspetti che avrebbero concretamente alterato la valutazione finale della prima Corte. Si pretende altresì che l’accusato abbia avuto il primo contatto con una donna all’età di 25 anni (mentre al perito di parte avrebbe detto, mentendo, che accadde quando ne aveva 18), di nuovo senza spiegare quale rilevanza abbia avuto questa circostanza, lasciando a questa Corte il compito di interpretare tra le righe il pensiero dell’insorgente. Non spetta però evidentemente a quest’ultima farlo, specie di fronte ad argomentazioni che sembrano più mirate a contestare, per scelta strategica, ogni passaggio della sentenza, piuttosto che singoli aspetti del procedimento, analogamente a quanto avviene nel processo civile per gli allegati di causa. Impostato in questo modo, il gravame non consente un’analisi puntale e proficua. Che alcune situazioni marginali siano state riprese in modo erroneo anche in sentenza, che alcune possibili vittime non siano state sentite, che la situazione di uno dei denuncianti non abbia avuto l’epilogo auspicato dall’accusa, non significa ancora che nel suo complesso la decisione non regga, e ad ogni modo il contenuto del ricorso non sembra nemmeno pretenderlo; del resto le motivazioni addotte sono all’evidenza insufficienti. Non può che discenderne quindi l’inammissibilità del rimedio.
4.
Il ricorrente rimprovera alla prima Corte di avere arbitrariamente riservato alle dichiarazioni/ammissioni dell’imputato “un ruolo insignificante nella comprensione di quanto avvenuto”. E lo fa indicando le situazioni che la Corte avrebbe sorvolato, che delineerebbero invece un “
modus operandi
” volto a tessere una “ragnatela attorno alle vittime” con l’unico obiettivo di avere dei “contatti sessuali con le sue prede” (masturbazioni e rapporti orali). L’accusato, spiega il Procuratore pubblico, avrebbe fatto “uso sistematico e massiccio di video pornografici per eccitare le vittime”, anche mostrando il video di uno dei ragazzi (PC 1) nudo in doccia “con il pene in erezione”. Il Procuratore pubblico sottolinea inoltre l’influsso che hanno avuto le lettere che l’imputato ha scritto alle vittime, rivelatrici della “sua vera natura di predatore e manipolatore estremamente raffinato”; le vittime, soggiunge il ricorrente, credevano che il contenuto delle lettere fosse vero (ad esempio in merito ai benefici delle pratiche sessuali sulla salute, ma anche alle eventuali “conseguenze spiacevoli in caso di interruzione delle sedute”). Le vittime dipendevano vieppiù dall’imputato, che abilmente scorgeva i loro punti deboli e se ne giovava per “sfruttarle sessualmente”. La Corte, persevera il ricorrente, avrebbe arbitrariamente omesso di citare in sentenza i verbali dell’imputato in cui chiaramente emergeva il suo intento di sedurre mentalmente le giovani vittime, in una sorta di “manipolazione intellettuale”, sfruttando – come avvenuto con PC 1 – i loro limiti intellettivi. Il ricorrente rimprovera inoltre alla Corte di merito di avere apprezzato in modo “eccessivamente riduttivo” l’evocazione dell’effetto “gruppale”. Anche i rapporti che l’imputato coltivava con le famiglie delle vittime sarebbero stati arbitrariamente ignorati dalla prima Corte. Nel giudizio, inoltre, sarebbero stati omessi alcuni importanti episodi: la negazione della propria omosessualità, la “minaccia latente o esplicita di rivelare la condotta omosessuale adottata dalle vittime”, l’aver indotto le vittime ai sensi di colpa, l’aver sfruttato la fiducia e l’amicizia in modo pretestuoso e, per finire, il fatto che l’imputato trascorresse le vacanze con le vittime (ricorso, pag. 5-14).
Per quali ragioni la Corte sarebbe caduta in arbitrio dando scarsa rilevanza o sorvolando su alcune dichiarazioni dell’imputato sulla base di queste diffuse considerazioni il ricorrente – come visto – non spiega, reiterando nell’argomentare liberamente, come se adisse un’autorità provvista di piena cognizione anche nel dirimere questioni di fatto e di valutazione delle prove. Più che un ricorso per cassazione fondato sul divieto dell’arbitrio, il gravame denota i contenuti di una requisitoria di prima sede, con cui l’accusa perora il suo convincimento. La sua ammissibilità non è perciò data, ove si consideri anche che nel rimedio non sono nemmeno individuabili – a causa della sommarietà dell’esposto – riscontri per una disamina, a prescindere dal formale rigore richiesto a un ricorso del genere. Certo, gli aspetti (teorici) sollevati non sono di per sé fuori luogo (specie la ripetuta questione dell’ascendente che l’imputato avrebbe esercitato sulle vittime, e su cui – dandosene il caso – si ritornerà in seguito). Ma di fronte alla diversa e circostanziata opinione dei primi giudici sul tema, occorreva fondare il ricorso su ben altre e più solide argomentazioni, riferite a singoli e particolari avvenimenti, suscettibili di approfondimenti (sempre che ciò bastasse), e non su una sorta di premessa generale, secondo la quale tutto quanto stabilito dalla Corte sull’argomento (art. 188 CP) sarebbe arbitrario. Il rimedio, sfugge a un esame di merito e va perciò di nuovo dichiarato inammissibile.
5.
Il Procuratore pubblico taccia d’arbitrario tutta una serie di considerazioni della prima Corte. A RI 1, spiega il ricorrente, piacciono gli adolescenti e non, come sostenuto dalla Corte, gli “uomini che avevano un’apparenza giovane e prestante”; lo dimostrerebbe l’interesse dimostrato per PC 5, prova questa ch’egli sarebbe sempre “alla ricerca di nuove prede”. Sconcerta il Procuratore pubblico il fatto che la Corte non abbia dato “sufficiente peso alle numerose ed importanti contraddizioni e menzogne dell’accusato”, che risalterebbero la sua “abilità manipolatoria” e lo screditerebbero nel confronto con le accuse delle vittime. La Corte inoltre, non confrontandosi con tutta una serie di “menzogne manipolatorie” (ad esempio sul piacere sessuale provato o meno durante le masturbazioni e sulle circostanze che concernono _), sarebbe incorsa nell’arbitrio. La Corte avrebbe inoltre omesso di valutare tutta una serie di considerazioni sugli adolescenti che egli avrebbe esposto nella sua requisitoria. E ne fa elenco nel suo memoriale (memoriale pag. 17-19). RI 1 avrebbe sfruttato lo “stress adolescenziale in ognuna delle sue vittime” (con PC 1 facendo perno sul suo narcisismo e la sua virilità, con PC 2 sfruttando la sua voglia irrefrenabile di vedere film pornografici, con PC 3 facendo leva sulle sue incertezze, ecc). La Corte avrebbe inoltre arbitrariamente tralasciato di considerare la capacità dell’imputato di adattare il linguaggio con gli adolescenti e di intessere relazioni di amicizia con alcuni familiari. La Corte avrebbe inoltre omesso, sempre arbitrariamente, di menzionare l’esistenza di alcune foto che ritraggono “ragazzi completamente nudi, in atteggiamenti chiaramente erotici”. Alle pagine 20-21 del memoriale il Procuratore pubblico insiste ancora sulla “strategia predatoria” dell’accusato, che avrebbe sfruttato la fiducia che gli adolescenti riponevano in lui; indica alcune situazioni (“rituali”) che i giudici della Corte avrebbero invece arbitrariamente valutato come espedienti “per coprire una reale volontà delle vittime”. RI 1, ribadisce il magistrato d’accusa, avrebbe ammesso di avere infarcito le lettere di menzogne e di avere ingannato i ragazzi; la Corte invece avrebbe arbitrariamente propeso verso una tacita accondiscendenza dei giovani, usando il pretesto delle lettere come una “schermatura al loro desiderio di sottoporsi ai lunghi e ripetitivi rituali per giungere a delle masturbazioni o a delle fellatio”. Il Procuratore pubblico di seguito (memoriale, pag. 21-22) evoca altre situazioni dove l’imputato avrebbe dimostrato di avere tratto vantaggio dalla fiducia che i giovani riponevano in lui, sfruttando l’influenza psicologica che avrebbe avuto sulle vittime, anche facendo loro dono di oggetti o denaro, facendo apparire normale le masturbazioni di gruppo, ecc (ricorso, pag. 14-22).
Su tutti questi temi il carattere appellatorio del ricorso è manifesto e a nulla sussidiano i termini “arbitrio” e “arbitrariamente” inseriti ripetutamente nel discorso. Bastasse ciò per motivare un ricorso a questa Corte, nessuna differenza sussisterebbe tra un accertamento arbitrario e un accertamento manchevole, discutibile o finanche erroneo, talché il ricorso per cassazione si identificherebbe né più né meno con un ricorso in appello. Arbitrio non si ravvisa per il solo fatto che una Corte di assise abbia identificato le persone oggetto del desiderio dell’imputato in “uomini che avevano un’apparenza giovane e prestante” (sentenza, pag. 17 a metà consid. 4) piuttosto che in “adolescenti” (definizione, lo si conviene, più esatta, e comunque subito corretta dalla Corte nelle righe che seguono individuando le vittime in “giovani”, “ragazzi giovani”, “ragazzi”; cfr. sentenza, pag. 17 e segg. consid. 5), oppure abbia dato scarso rilievo alle contraddizioni o menzogne dell’imputato. L’arbitrio consiste in uno sbaglio qualificato, insostenibile e indifendibile. Che poi i giudici della Corte abbiano sorvolato su alcuni temi esposti nella sua requisitoria (ad esempio quale quello sull’adolescenza, con riferimento al pensiero del prof. _) non ha peso alcuno. In un processo di primo grado, soprattutto davanti a una Corte di assise, di temi se ne sollevano molti. Tocca al Procuratore pubblico (prima e durante i dibattimenti) esporre tutte le opportune variabili accusatorie; spetta invece ai giudici, evidentemente, soppesarle e calcare la traccia che ritengono maggiormente realistica e liquida. Per contro, il processo per cassazione non è la continuazione del processo di assise. Non basta quindi invocare verbali istruttori, per quanto numerosi, e dolersi di arbitrio – per di più per partito preso – pretendendo che la Corte di merito li abbia ignorati o non li abbia debitamente considerati, soprattutto, come nella specie, quando il magistrato d’accusa nemmeno si confronta puntualmente con la decisione impugnata. A volte frammentario, a volte nebuloso, oltre che generico e narrativo, il ricorso non adempie ai requisiti minimi per una seria analisi delle conclusioni della prima Corte. Denunciare qua e là piccole inesattezze, soprattutto nella prima parte della sentenza dove si cerca di esporre i fatti, non è lo scopo del ricorso per cassazione, soprattutto se nemmeno si tenta di dimostrare che le pretese inesattezze avrebbero stravolto un’ipotetica giusta sussunzione giuridica. Così com’è motivato quindi, il ricorso – ove, come visto, tutto viene considerato arbitrario – è inammissibile.
6.
Nel seguito, il Procuratore pubblico reitera nell’esporre le proprie doglianze con la stessa impostazione fin qui scelta. Cita particolari dei verbali, non riportati in sentenza, che dimostrerebbero il proposito dell’imputato di manipolare anche gli inquirenti. Rimprovera alla Corte di non avere evidenziato alcuni dettagli delle registrazioni video di PC 1 – la cui importanza non sarebbe stata sufficientemente sottolineata – che dimostrerebbero quanto questi sia stato soggiogato dall’imputato, il quale, aveva “in pugno” anche PC 3 (ricorso, pag. 23-26). Il Procuratore pubblico definisce “urtante con il senso di giustizia” associare la parola “corteggiamento” con l’impiego della teoria della negatività; al proposito la Corte non avrebbe fatto cenno alcuno, cadendo quindi nell’arbitrio, alle numerose lettere che riferivano sulle conseguenze negative nell’eventualità in cui le vittime avessero deciso di interrompere le “sedute”. La Corte avrebbe invece arbitrariamente relativizzato il contenuto minaccioso di queste lettere, che confermavano invece che quello era un rituale necessario per “indurre le vittime a sottoporsi agli atti sessuali da parte di RI 1”. Nemmeno si sarebbe tenuto conto in sentenza della personalità di PC 3, del tema dell’amicizia portato avanti dall’accusato per soggiogarlo, del suo difetto fisico che l’impacciava con le ragazze e dei consigli che l’imputato gli propinava per incoraggiarlo con l’altro sesso. Il tutto avrebbe dovuto invece indurre la Corte a ritenere che PC 3 “non era d’accordo con le pratiche sessuali” dell’accusato, “e ciò anche dopo i 16 anni” (ricorso pag. 26-31). Anche con _
, spiega il ricorrente, l’imputato ha portato avanti la sua tecnica di avvicinamento, simile a quella usata con gli altri giovani (usando la pornografia, l’amicizia, ecc.), anche se questi è comunque riuscito “ad opporsi alle sedute” dopo essersi reso conto di essere stato abusato, “malgrado l’evidenza dell’orgasmo meccanicamente raggiunto”. Affermare, come ha fatto la Corte, che _ è rimasto in quell’occasione presso l’imputato perché ci stava e perché non se la sentiva di rientrare a casa a piedi sarebbe, sottolinea il ricorrente, arbitrario. Egli, immaturo e dipendente da RI 1, meriterebbe la protezione che gli conferisce l’art. 188 CP. Nel seguito il Procuratore pubblico riporta altre situazioni ignorate o sottointese dalla prima Corte, ribadisce che le lettere avrebbero avuto dei toni “ipnotici” con quello “stile da setta religiosa”, e sottolinea che le vittime credevano agli effetti benefici delle sedute, ecc.. Egli conclude infine adducendo che la sentenza non avrebbe descritto in modo sufficientemente dettagliato la strategia dell’accusato (ricorso, pag. 31-37).
Come visto, il Procuratore pubblico ribadisce la propria interpretazione dei fatti lamentando arbitrio. Ma per sostanziare una simile censura non basta contrapporre una diversa spiegazione degli eventi, ancorché più attendibile. Nell’apprezzamento delle prove una Corte di merito gode di propria autonomia e latitudine. Cade nell’arbitrio solo ove dimentichi o fraintenda determinati atti processuali (di peso), oppure ne dia una valutazione talmente errata da risultare manifestamente insostenibile. Perché estremi del genere sarebbero ravvisabili nei passaggi della sentenza menzionati nel ricorso, il ricorrente non spiega. Al riguardo l’inammissibilità del ricorso è perciò manifesta.
7.
In diritto il Procuratore pubblico esordisce illustrando alcune sentenze del Tribunale federale sull’art. 188 CP, dove l’Alta Corte ha ammesso un rapporto di dipendenza tra la vittima e un maestro di solfeggio, uno di musica, uno psicoterapeuta e un terapeuta. Non sarebbe invece pertinente il riferimento fatto dai giudici della prima Corte alla sentenza DTF 125 IV 129, dove il Tribunale federale, spiega il ricorrente, a ragione non avrebbe ammesso tale rapporto. Nel caso in esame invece, spiega il Procuratore pubblico, l’imputato (di oltre 30 anni più vecchio delle vittime) per diversi anni avrebbe impartito lezioni di recupero settimanali ai ragazzi, divenendo il loro confidente, al quale essi avrebbero confidato aspetti intimi delle loro esistenze, parlando con lui di sesso e di molti altri argomenti. RI 1 per loro era diventato “un adulto di riferimento”. Ai ragazzi faceva regali, metteva a disposizione la sua abitazione affinché potessero “divertirsi con gli amici”. Conquistando “a poco a poco” la loro fiducia i ragazzi sono stati messi da RI 1 in una situazione in cui essi “hanno abbassato il livello di guardia e messo da parte i meccanismi di difesa tipici e normali in un rapporto tra maestro e allievo”. L’imputato, nella sua duplice posizione di maestro e confidente, aveva sui ragazzi un ascendente intellettuale ed affettivo, oltre che economico. Ai loro occhi, soggiunge il magistrato d’accusa, il “maestro” RI 1 è diventato un amico e un confidente che era a loro completa disposizione, che li ha plasmati secondo il suo volere. Secondo il Procuratore pubblico sarebbe irrilevante dal profilo giuridico che i ragazzi avrebbero potuto rinunciare all’insegnamento, che le vittime non lo chiamavano così spesso come sperava e che alcune non abbiano fatto resistenza o solo poca. Non sapersi sottrarre al volere del prevenuto è, sottolinea il ricorrente, un chiaro segno di dipendenza da lui, che ha avuto inizio prima del compimento del sedicesimo anno di età per poi proseguire anche dopo. Il Procuratore pubblico cita in seguito, per ogni vittima, le “vulnerabilità psicologiche” che hanno contraddistinto la loro situazione di dipendenza. Egli conclude quindi che se la prima Corte avesse valutato correttamente e complessivamente i fatti accertati avrebbe dovuto pronunciare la condanna di RI 1 per atti sessuali con persone dipendenti (ricorso, pag. 37-44)
7.1.
Le motivazioni del ricorrente, in gran parte già esposte nelle pagine precedenti del ricorso, poggiano in buona sostanza su accertamenti fattuali la cui arbitrarietà non è stata dimostrata nel gravame. Sia come sia, il giudizio di prima sede non viola il diritto federale. La Corte delle assise criminali si è posta il quesito a sapere se i ragazzi si fossero trovati in un rapporto di dipendenza nei confronti di RI 1. E lo ha fatto analizzando la posizione del prevenuto nelle vesti di insegnante di matematica, maestro di vita e mentore. Nel primo caso i giudici della Corte hanno accertato che, in realtà, l’imputato dava delle ripetizioni esercitando i ragazzi, i quali gli anticipavano i temi sui quali volevano essere preparati. RI 1, ha precisato la Corte, non era un vero e proprio insegnante, ossia una figura istituzionalmente delegata “alla trasmissione del sapere”, investita “di un dovere d’educazione che fa di lui un modello anche sul piano morale o, perlomeno, comportamentale”, ma era “semplicemente un supporto” per i ragazzi, al quale essi avrebbero potuto in ogni momento rinunciare. Nemmeno si può ammettere, ha soggiunto la Corte, che RI 1 sia stato per i ragazzi un maestro di vita, sebbene lui “avrebbe voluto esserlo”. Lo dimostrerebbe l’inutilità degli sforzi da lui profusi per cercare di convincere i ragazzi a concedergli attenzioni ed affetto (ad esempio con lettere dove spiegava il significato dell’amicizia), poiché i ragazzi continuavano con il loro atteggiamento di sempre. Fosse stato davvero un maestro di vita, ha spiegato la Corte, ed avesse davvero avuto sui ragazzi quell’influenza che la pubblica accusa pretende, RI 1 non avrebbe avuto difficoltà ad ottenere da loro le dimostrazioni di affetto che chiedeva. Dagli atti risulterebbe evidente, ha ribadito la Corte, che i ragazzi frequentavano con regolarità la casa di RI 1 semplicemente perché a loro faceva comodo avere “un posto dove andare a fare quel che volevano liberamente” ed “avere un adulto a disposizione per ogni esigenza”. Ciò che non fa di RI 1, ha sottolineato la prima Corte, un maestro di vita. Nemmeno la “tanto decantata superiorità intellettuale” dell’imputato ha creato dipendenza o fatto di lui un maestro di vita, non essendo questa che “la normale maggiore conoscenza che ogni adulto ha”. E non basta, ha soggiunto al Corte, far assurgere al ruolo di mentore qualcuno solo perché con lui si poteva discutere della propria situazione professionale o perché questi elargiva qualche consiglio sul futuro lavorativo dei giovani (come successo con _). Dopo avere analizzato caso per caso la situazione dei ragazzi, la Corte è arrivata alla conclusione che nessuno di loro (PC 1, PC 2, PC 3, PC 4 e _), ha dipeso – secondo i dettami dell’art. 188 CP – da RI 1 (sentenza, pag. 154-169).
7.2.
Ora, ci si potrebbe domandare se le censure della pubblica accusa siano sufficientemente motivate e quindi ammissibili; sia come sia, anche in diritto il ricorso non può essere accolto. I diversi elementi che hanno delineato il rapporto dell’imputato con le vittime trattano dell’apprezzamento dei fatti, e come tali sono censurabili solo per violazione dell’arbitrio. Come visto, il reiterato tentativo in tale senso del Procuratore pubblico di contrapporsi alla Corte non ha avuto buon esito. Dire invece se questi elementi (ritenuti dalla Corte senza arbitrio) siano sufficienti per ritenere una relazione di dipendenza è questione di diritto, che questa Corte può esaminare liberamente.
7.3.
Per ammettere il reato di atti sessuali con persone dipendenti è necessario che l’autore profitti di un rapporto di educazione, di fiducia, di lavoro o comunque di dipendenza, per compiere un atto sessuale con un minorenne di età superiore ai sedici anni, o che l’autore profitti della dipendenza in cui si trova tale persona per indurlo ad un atto sessuale (art. 188 n. 1 CP). Oltre ai citati tipi di rapporti che potrebbero intercorrere tra la vittima e l’autore, il legislatore ha previsto una sorta di “clausola generale” volta a proteggere i giovani che si dovessero trovare in uno stato di dipendenza d’ogni genere (DTF 125 IV 129 consid. 2b pag. 132 e riferimenti al FF 1985 II pag. 1085). Il Tribunale federale cita alcuni esempi di rapporti di questo genere, come quello tra uno psicoterapeuta e il suo paziente, quelli che emergono nelle comunità religiose
o nelle sette oppure ancora il rapporto che si crea fra un minore e il suo mentore, sia esso di carattere generale o in relazione ad attività sportive, culturali, per finire in tutte quelle attività del tempo libero. Seppure è l’esame puntuale e concreto della fattispecie che traccia il rapporto, non va dimenticato che questo deve comunque avere avuto una certa durata
(DTF 125 IV 129 consid. 2b pag. 132 e riferimenti).
7.4.
Riassumendo, la Corte ha accertato che RI 1 non era un vero e proprio insegnante, ossia una figura istituzionale investita del dovere di educazione, ma era per i ragazzi un semplice “supporto”, qualcuno con cui fare degli esercizi. Essi, ha spiegato la Corte,
avrebbero potuto in ogni momento rinunciare a questi incontri; quindi, ha desunto la prima Corte, quel ruolo “puramente strumentale” non conferiva all’imputato nessuna posizione predominante, nessuna autorità particolare su cui poggiare un conseguente rapporto di dipendenza (sentenza, pag. 157-158 consid. 115.1). I ragazzi, hanno precisato i giudici, frequentavano con regolarità la casa del prevenuto semplicemente perché a loro faceva comodo avere un posto dove andare a fare quel che volevano liberamente, senza dover rendere conto a nessuno e senza rispettare le regole che vengono imposte in famiglia e a scuola (sentenza, pag. 157-159 consid. 115.3). Inoltre, ha spiegato la Corte, il fatto che ch’egli abbia profuso qualche consiglio professionale ai ragazzi non fa di RI 1 un mentore (sentenza, pag. 157-158 consid. 115.3).
7.5.
Orbene, l
e situazioni di dipendenza descritte nelle sentenze federali (ricorso, pag. 37-39) hanno tutte quale denominatore comune quello di avere impedito al giovane non ancora maggiorenne, ma di età superiore a 16 anni, di poter decidere autonomamente e di non più essere stato in grado di difendersi dalle sollecitazioni sessuali non gradite. Qui i proponimenti di carattere sessuale erano per finire accettati dai ragazzi, i quali si sottraevano alle attenzioni dell’imputato come e quando volevano. Stando agli accertamenti della prima Corte, nessuno si è trovato nella situazione di veramente non potersi opporre agli approcci dell’imputato o alle sue insistenti esortazioni a chiamarlo e visitarlo. Anzi, spesse volte erano loro che andavano da lui (come ad esempio ha riferito PC 2) per “evadere” e fare “una di queste.. sedute” (sentenza, pag.160-161). Per PC 3 RI 1 era “un adulto permissivo”, da cui, ha accertato la Corte, egli non dipendeva in nessun modo, anzi il giovane ha saputo opporsi alle incalzanti richieste di baciarlo e ha saputo resistere “ai toccamenti al sedere” (sentenza, pag. 162). Nemmeno nei confronti di PC 1 (che non ha mai ricevuto lezioni di matematica) la Corte ha ravvisato nessuna dipendenza derivante da un preteso ascendente culturale o da una superiorità intellettuale di confidente. Con l’imputato il giovane si trovava bene, a lui RI 1 non negava nulla, lo aiutava anche economicamente; ma da questo, come rettamente accertato dalla Corte, non si evince dipendenza derivante da un “ricatto affettivo”. Anzi, egli sembra paradossalmente avere una certa influenza sull’imputato, a tal punto da poter tranquillizzare _ dicendogli che avrebbe parlato con RI 1 affinché non insistesse a volerlo masturbare (sentenza, pag. 163–165). E così anche per tutti gli altri giovani (PC 4 e _; sentenza, pag. 165-169).
Che RI 1 abbia escogitato tutta una serie di espedienti per attirare i ragazzi a casa sua e convincerli a ritornarci ogni qualvolta lo desideravano, è stato ammesso anche dallo stesso imputato, ma questo non configura ancora dipendenza nei confronti di giovani quasi maggiorenni, altrimenti a questi ultimi verrebbe annichilita in modo troppo importante la libertà di determinarsi autonomamente, anche e soprattutto in ambito sessuale. È stato invece accertato che i ragazzi si recavano da RI 1 ogni qualvolta lo desideravano. Questi infatti si risentiva quando i ragazzi non si facevano sentire regolarmente. Dagli atti non emerge che i ragazzi abbiamo temuto che un loro rifiuto abbia potuto avere gravi conseguenze, e che quindi non abbiano provato ad opporsi a causa della posizione dominate dell’imputato. I giudici della prima Corte non hanno avuto la convinzione che i ragazzi si siano trovati in un rapporto d’inferiorità che abbia impedito loro di formare liberamente la propria libertà. Per il vero, gli atti dell’incarto mostrano sì alcuni aspetti deplorevoli relativi soprattutto allo scopo ultimo dell’imputato, ossia quello di avere o fare con i ragazzi degli atti sessuali, ma non si può relativizzare l’aspetto, comunque preoccupante, per certi versi giocoso dei ragazzi. Alcuni di loro hanno delle chiare tendenze omosessuali, che RI 1 ha tentato – riuscendoci spesse volte – di risvegliare traendo anch’egli godimento personale. Gli approcci dell’imputato sono sempre stati, per così dire, “soft”, e non sono mai stati precipitosi né tanto meno violenti. Egli, chissà come, ha intravisto nei ragazzi che incontrava, a volte per caso a volte no, la possibilità ch’essi potessero avere le sue stesse tendenze sessuali. Certo, ha sviluppato una tecnica che nel suo insieme lascia disgustati, ma non ha mai usato pressioni che gli adolescenti non avrebbero potuto respingere. E nessuno, stando agli accertamenti, si è trovato nella posizione di non osare ribellarsi a causa della posizione dominante dell’imputato. Erano liberi di fare quello che volevano, e lo hanno confermato essi stessi. Certo, RI 1 è stato abile nell’individuare per ciascuno di loro gli interessi che li avrebbero attratti (sebbene a tutti, sembra, piaceva guardare film pornografici, bere, fumare, ecc.). Ad alcuni dava ripetizioni di matematica, ad altri offriva la propria amicizia, i propri soldi o il suo sapere (il preteso ascendente culturale o fascino intellettuale). Ma gli espedienti intrapresi da RI 1 per arrivare al dunque (avere un rapporto sessuale con i ragazzi) non erano talmente abbacinanti da non permettere agli adolescenti di determinarsi autonomamente. Il ricorso quindi, comunque di dubbia ammissibilità, va decisamente respinto.
II. Sul ricorso di RI 1
8.
Il ricorrente esordisce contestando la commisurazione della pena. A suo avviso i giudici della prima Corte non avrebbero considerato il “consenso dei ragazzi” a subire l’atto sessuale. Uniche attenuanti ritenute dalla Corte sono la scemata responsabilità e l’incensuratezza. È nell’ambito della commisurazione della pena che la prima Corte avrebbe dovuto considerare il consenso delle vittime (seppure indotto con cosciente abilità dall’imputato), e non, come erroneamente avrebbero fatto i primi giudici, nella determinazione del reato. Per questo motivo, il ricorrente chiede che la pena venga fissata ad un massimo di due anni da espiare (ricorso, pag. 4-5).
a)
Nella commisurazione della pena (art. 47 CP; art. 63 vCP) il giudice di merito fruisce di ampia autonomia. La Corte di cassazione e di revisione penale interviene solo – come il Tribunale federale – ove la sanzione si ponga al di fuori del quadro edittale, si fondi su criteri estranei all’art. 47 CP (art. 63 vCP), disattenda elementi di valutazione prescritti da quest’ultima norma oppure appaia esageratamente severa o esageratamente mite, al punto di denotare eccesso o abuso del potere di apprezzamento (DTF 129 IV 6 consid. 6.1 pag. 21 segg. e riferimenti, 128 IV 73 consid. 3b pag. 77, 127 IV 10 consid. 2 pag. 19).
Quanto ai criteri determinanti per commisurare la pena, la gravità della colpa è, come lo era sotto l’egida del vecchio diritto (art. 63 vCP), fondamentale. L’art. 47 cpv. 1 CP – in vigore dal 1° gennaio 2007– stabilisce esplicitamente, del resto, che il giudice commisura la pena alla colpa dell’autore tenendo conto della vita anteriore e delle condizioni personali di lui, nonché dell’effetto che la pena avrà sulla sua vita. Secondo l’art. 47 cpv. 2 CP la colpa è determinata secondo il grado di lesione o esposizione a pericolo del bene giuridico offeso, secondo la reprensibilità dell’offesa, i moventi e gli obiettivi perseguiti, nonché tenuto conto delle circostanze interne ed esterne, secondo la possibilità che l’autore aveva di evitare l’esposizione a pericolo o la lesione. La norma riprende,
mutatis mutandis
, la giurisprudenza relativa all’art. 63 vCP (
Stratenwerth/Wohlers
, Strafgesetzbuch, op. cit., n. 4 ad art. 47 CP) a mente della quale per valutare la gravità della colpa entrano in considerazione svariati fattori: le circostanze che hanno indotto il soggetto ad agire, il movente, l’intensità del proposito (determinazione) o la gravità della negligenza, il risultato ottenuto, l’eventuale assenza di scrupoli, il modo di esecuzione del reato, l’entità del pregiudizio arrecato volontariamente, la durata o la reiterazione dell’illecito, il ruolo avuto in seno a una banda, la recidiva, le difficoltà personali o psicologiche, il comportamento tenuto dopo il reato (collaborazione, pentimento, volontà di emendamento; DTF 129 IV 6 consid. 6.1 pag. 20, 124 IV 44 consid. 2d pag. 47 con rinvio a DTF 117 IV 112 consid. 1 pag. 113 e 116 IV 288 consid. 2 pag. 289). Vanno inoltre considerati – sempre secondo la citata giurisprudenza – la situazione familiare professionale dell’autore, l’educazione da lui ricevuta e la formazione seguita, l’integrazione sociale, gli eventuali precedenti penali e la reputazione in genere (DTF 124 IV 44 consid. 2d pag. 47 con rinvio a DTF 117 IV 112 consid. 1 pag. 113 e 116 IV 288 consid. 2a pag. 289).
b)
Benché RI 1 non abbia “chiesto nulla per sé ai ragazzi” e vista la comunque “relativa” gravità dei gesti, la Corte ha considerato che la colpa di RI 1 non è stata “di poco conto”. Questi, ha spiegato la Corte, ha ripetutamente masturbato ininterrottamente un centinaio di volte tre ragazzi per almeno un anno. Per soddisfare le sue “esigenze”, l’imputato ha coscientemente e abilmente creato le condizioni in cui far nascere il consenso dei ragazzi. A favore del condannato, la Corte ha considerato l’incensuratezza e il fatto che egli
può vantare una vita anteriore ineccepibile. Vista la lieve scemata
imputabilità
dell’accusato, la Corte ha ridotto la pena di
3 anni e 6 mesi che avrebbe dovuto infliggergli se fosse stato ritenuto pienamente responsabile a 2 anni e 9 mesi da espiare. Accanto alla pena, la Corte ha ordinato un trattamento psichiatrico ambulatoriale.
c)
Scarsamente motivata la censura potrebbe finanche essere dichiarata inammissibile. Sia come sia, la Corte non ha violato il diritto non considerando nella commisurazione della pena il consenso delle vittime. Basta ricordare al ricorrente che se le vittime non avessero acconsentito, egli sarebbe confrontato con ben altra imputazione (coazione sessuale, art. 189 CP); di converso, il consenso delle vittime non è stato ritenuto dalla Corte come il risultato dello sfruttamento di uno stato di bisogno (limitato al caso di _, art. 193 CP) o come lo sfruttamento di un rapporto di dipendenza (art. 188 CP). Ridurre di nuovo la pena perché vi sarebbe stato consenso delle vittime (di età inferiore a 16 anni quando hanno subìto l’atto sessuale) sarebbe insensato, ritenuto che l’avere consentito o meno alle masturbazioni è per finire irrilevante (
sentenza del Tribunale federale 6B_820/2007 del 14 marzo 2008
, consid. 3.1), l’art. 187 CP essendo per definizione un’infrazione di messa in pericolo astratto, che non esige, tra l’altro, che la vittima sia stata effettivamente perturbata nel suo sviluppo sessuale o solo esposta a tale pericolo (
Rehberg/Schmid/Donatsch,
Strafrecht III, Delikte gegen den Einzelnen, 8a edizione, Zurigo 2003, pag. 404;
Corboz
, Les infractions en droit suisse, Basilea 2002, vol.
I, n. 4 ad art. 187 CP).
Il ricorso non merita perciò ulteriore disamina, e va quindi decisamente respinto.
9.
Secondo il ricorrente, la Corte sarebbe caduta “in errore manifesto” ordinando la confisca di tutto il materiale sequestrato (ad eccezione degli album e dei classificatori con le fotografie). Oggetto di confisca avrebbero dovute essere solo gli “
instrumenta sceleri
” (ricorso, pag. 5).
Ora, se da una parte è vero che l’imputato si è opposto alla confisca di tutto il materiale sequestrato ad eccezione delle lettere e del materiale pornografico (verbale del dibattimento, pag. 37, il cui testo fa fede del suo contenuto; v. art. 256 CPP), dall’altra la Corte potrebbe, per così dire, avere “frainteso” – venendogli incontro – dissequestrando gli album e i classificatori con le fotografie, quindi due oggetti per la cui confisca egli si era opposto (sentenza, pag. 181 consid. 128). Certo, quel “così come richiesto dalla difesa in aula” formulato dalla Corte a pag. 181 (consid. 128), può avere indotto il ricorrente a sperare di ottenere (in cassazione) di più. Ma così non può essere. La chiara formulazione della prima parte della frase (“è ordinata la confisca di quanto in sequestro, ad eccezione...”) indica che tutti i beni sequestrati devono essere confiscati, salvo gli album e i classificatori delle foto, che – come detto – costituisce, per quanto emerga dal verbale del dibattimento, una sorta di “
ultra petita
”. Inoltre, il ricorrente non ha specificato con precisione cosa vorrebbe che gli venisse restituito e per quale ragione. Troppo generica, la richiesta non può essere validamente esaminata da questa Corte, che dovrebbe, seguendo le richieste del ricorrente, liberare tutto (indiscriminatamente), il che, al pari della censura, è inammissibile.
10.
Il ricorrente contesta pure la ripartizione delle spese giudiziarie, che, visto il parziale proscioglimento, dovrebbero essere stabilite a suo carico in misura di solo 1⁄4 (ricorso, pag. 5-6).
Ora, che il Procuratore pubblico abbia chiesto la condanna a 7 anni e tre mesi di detenzione, non è indicativo per la definizione delle tasse e spese di giustizia; capita spesso infatti che le pene proposte dai Procuratori vengano ridimensionate dai giudici nel commisurare la pena del reo, e ciò anche quando i capi d’imput-zione vengano tutti confermati. Nel caso di specie invece, i giudici della Corte hanno sensibilmente ridotto la pena proposta dal Procuratore pubblico proprio perché alcuni capi d’imputazione non hanno trovato accoglimento. La ripartizione percentuale o frazionale delle spese e tasse di giustizia non segue tuttavia necessariamente la proporzione tra condanna e proscioglimento. In questa sede non si ravvisa comunque un’assegnazione spropositata; il prevenuto è stato sì prosciolto dal reato di coazione sessuale (reato più grave), e parzialmente o totalmente da altri reati (atti sessuali con fanciulli consumati e tentati, ripetuti atti sessuali con persone dipendenti, sfruttamento dello stato di bisogno, somministrazione a fanciulli di sostanze pericolose e contravvenzione alla LStup), ma è stato comunque condannato per quello di atti sessuali con fanciulli relativi alla maggior parte dei fatti riferiti agli incontri con _, e per ripetuta pornografia, somministrazione a fanciulli di sostanze pericolose per la salute e per ripetuta contravvenzione alla LStup. L’arbitrio, rispettivamente l’abuso del potere di apprezzamento, non è stato né sostanziato né tanto meno sufficientemente motivato, mentre nemmeno in diritto si ravvisa violazione alcuna. Il ricorso va pertanto disatteso anche su questo punto.
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,008 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8a1df1a8-b4f3-5e0f-8ae5-028d992d4a3f
|
in fatto: A.
Con sentenza 10 aprile 1992 la Corte delle assise criminali di _ ha ritenuto RI 1 autore colpevole di:
- ripetuta e continuata truffa, consumata e tentata, commessa nella sua qualità di direttore della filiale Banca _, nel periodo dal maggio all’ottobre 1989, per avere, al fine di procacciare a sé e a A. dei profitti, ingannato con astuzia i responsabili (o alcuni di essi) del Comitato di Direzione nonché i membri del Consiglio di amministrazione della banca inoltrando agli stessi appositi formulari per la richiesta di crediti da lui stesso compilati, con indicazioni false e inveritiere, inducendo con ciò rispettivamente tentando di indurre la Banca _ ad atti pregiudizievoli del proprio patrimonio, segnatamente all’erogazione a A. e a società anonime a lui facenti capo, nell’ambito delle operazioni denominate _, di un finanziamento complessivo di fr. 13'700'000.- causando un danno di almeno fr. 5'000'000.- (consid. 1.1);
- ripetuta e continuata amministrazione infedele, siccome commessa per fine di lucro, per avere, nel periodo dal 18 ottobre 1989 al 31 gennaio 1990, a _, agendo nella sua qualità di direttore della filiale _ ed essendo obbligato per legge e per contratto a curarne il patrimonio, ripetutamente danneggiato la stessa compilando le richieste di credito per delle operazioni immobiliari in modo incompleto ed autorizzando A. a prelevare i fondi relativi ai finanziamenti richiesti prima dell’autorizzazione da parte del Consiglio d’amministrazione della banca, peraltro mai avvenuta, sapendo che parte dei finanziamenti non erano destinati al pagamento del prezzo di acquisto dell’immobile, bensì a scopi estranei all’operazione immobiliare, ricevendo quale compenso da A. un importo di fr. 800'000.- e cagionando un danno alla banca di non meno di fr. 28'000'000.- e segnatamente nelle operazioni denominate _ (consid. 1.2);
- conseguimento fraudolento di una falsa attestazione, commessa in correità con terzi a _, il 26 rispettivamente il 28 settembre 1990, per avere, quale promotore e fondatore della _, agendo attraverso il futuro amministratore unico della società nonché attraverso un organo di una fiduciaria terza, indotto con inganno il notaio ad attestare, contrariamente al vero, nel suo rogito n. 1416, che il capitale della costituenda società, interamente sottoscritto, ammontava a fr. 100'000.- sottacendogli che detto capitale veniva invece solo fittiziamente liberato, i fondatori-promotori avendo preventivamente convenuto di rientrarne immediatamente in possesso, come in effetti ne rientrarono il 3 ottobre 1990 (consid. 1.3).
La Corte
delle assise criminali ha ritenuto il coimputato B. colpevole di ripetuta e continuata bancarotta fraudolenta, di ripetuta appropriazione indebita e di conseguimento fraudolento di una falsa attestazione.
In applicazione della pena RI 1 è stato condannato a quattro anni e sei mesi di reclusione, al pagamento di una multa di fr. 100'000.- nonché al versamento alla parte civile Banca _ di fr. 2'000'000.- quale risarcimento danni. La Corte ha, altresì, ordinato la confisca di determinati beni sequestrati e la loro assegnazione alle parti lese.
B.
Con decisione 10 novembre 1992 la Corte di cassazione e di revisione penale ha respinto il ricorso interposto da RI 1 contro la sentenza di prime cure.
Infine, con decreto 30 dicembre 1992, il Tribunale federale ha stralciato dai ruoli il ricorso presentato da RI 1 contro il giudizio della CCRP, ritenuto che lo stesso non era stato motivato nel termine stabilito dalla legge.
C.
Con istanza di revisione 25 novembre 2009 RI 1 chiede l’annullamento delle sentenze della Corte delle assise criminali di _ e della Corte di cassazione e revisione penale, concludendo che il processo abbia a rifarsi. Egli, in particolare, sostiene di avere rintracciato dei documenti – in parte nuovi e in parte già agli atti, ma non valutati dalla Corte giudicante – che contrastano in modo
“assolutamente evidente”
con le conclusioni dei giudici di prima e di seconda istanza.
D.
Con osservazioni 19 gennaio 2010 il procuratore pubblico chiede la reiezione integrale dell’istanza di revisione.
E.
Con scritto 29 gennaio 2010 A. comunica che non intende prendere posizione sulla domanda di revisione, confidando comunque nel fatto che l’autorità penale tenga debitamente conto a suo favore di un eventuale esito favorevole della stessa.
Con osservazioni di data 10 febbraio 2010 l’_ (che nel 1998 ha ripreso gli attivi e i passivi della _ dopo che quest’ultima, nel 1994, li aveva a sua volta ripresi dalla Banca _) e la Massa fallimentare A. chiedono la reiezione dell’istanza.
|
Considerando
in diritto: 1.
Giusta l'art. 299 lett. b CPP la revisione del processo ha luogo, in caso di condanna, quando dopo la sentenza ne sia stata pronunciata un'altra, inconciliabile con essa.
Con il termine di “sentenza” va intesa ogni decisione presa da un’autorità cantonale, giudiziaria o non, competente per pronunciare una condanna in applicazione di leggi penali federali (Salvioni, Codice di procedura penale, Locarno 1999, ad art. 299 CPP pag. 473).
L'art. 299 lett. b CPP trova applicazione nei casi in cui due sentenze inerenti a due persone aventi commesso il medesimo reato risultino a tal punto in contrasto fra loro sull'accertamento dei fatti che la sola contraddizione basta – già di per sé – a rendere verosimile l’erroneità di una delle pronunce (Piquerez, Procédure pénale suisse, Zurigo 2000, pag. 758 n. 3538 con numerosi rinvii; Hauser/Schweri/Hartmann, Schweizerisches Strafprozessrecht, 6a edizione, Basilea 2005, § 102 n. 28). Rispetto alla clausola generale dell'art. 385 CP (art. 299 lett. c CPP), per ammettere la revisione non occorre in simile ipotesi un preventivo apprezzamento circa la rilevanza di fatti o mezzi di prova nuovi: basta l'incompatibilità evidente delle due sentenze successive, sicché uno dei due giudizi appaia erroneo (Piquerez, op. cit., pag. 758 n. 3539-3541 con richiami).
Si aggiunga che l'abrogato art. 243 n. 2 vCPP contemplava testualmente la stessa disposizione. Già la giurisprudenza correlata a tale norma riteneva data l'inconciliabilità di due sentenze susseguenti riferite al medesimo reato quando i due giudizi denotavano palese contrapposizione tra i fatti accertati nell'uno e nell'altro (CCRP, sentenza dell'8 ottobre 1979 in re R., consid. 2). Si precisa, qui, che il rimedio straordinario della revisione è destinato a correggere errori di fatto, non di diritto (Piquerez, op. cit., pag. 752 n. 3503). Inoltre, secondo la menzionata giurisprudenza, doveva trattarsi degli stessi fatti: due giudizi inerenti a reati identici, commessi però in tempi diversi, non sono idonei, per ciò soltanto, a confortare un giudizio di inconciliabilità (sentenza CCRP n. 17.2001.48 consid. 2).
2.
L'art. 299 lett. c CPP prevede, poi, la revisione, in caso di condanna, quando esistono fatti o mezzi di prova rilevanti che non erano noti al giudice penale nel primo processo (
revisio propter nova
). Tale norma ha la stessa portata dell'art. 385 CP e adempie dunque i requisiti minimi posti dal diritto federale in materia di revisione (Rep. 1989 pag. 265 consid. 1 con rinvii riferito all'art. 243 n. 3 vCPP). Ciò significa che i fatti o i mezzi di prova invocati devono essere nuovi e rilevanti, fermo restando che semplici opinioni, valutazioni o considerazioni giuridiche non sono né fatti né mezzi di prova e non permettono, pertanto, di sostanziare una revisione (Hauser/Schweri/Hartmann, op. cit., 6a edizione, Basilea 2005, § 102 n. 19).
Un fatto o mezzo di prova è nuovo quando era ignoto al giudice al momento della sentenza, ossia quando non gli era stato per nulla sottoposto (DTF 122 IV 66 consid. 2a, 120 IV 246 consid. 2a, 117 IV 40 consid. 2a, 116 IV 353 consid. 3a; Piquerez, op. cit., pag. 756 n. 3524). Un fatto o un mezzo di prova non è nuovo, invece, quando il giudice l'ha esaminato, ma non ne ha valutato correttamente la portata (DTF 122 IV 66 consid. 2b; Piquerez, op. cit., pag. 756 n. 3525 e seg.). Anche fatti o mezzi di prova che risultano dagli atti o dai dibattimenti possono, eccezionalmente, essere considerati nuovi se sono rimasti sconosciuti al giudice: questo principio è, tuttavia, sottoposto alla duplice condizione che il giudice, qualora ne avesse avuto conoscenza, avrebbe deciso diversamente e che la sua decisione si fondi sulla mancata conoscenza e non sull'arbitrio. Per ammettere che un fatto o un mezzo di prova agli atti rimasto sconosciuto al giudice possa fondare una revisione occorre, in particolare, che lo stesso sia talmente probante su una questione decisiva da non potersi immaginare che il giudice avrebbe statuito nel senso del giudizio impugnato se ne avesse preso conoscenza, ritenuto, comunque, che nel dubbio occorre partire dal presupposto che il giudice ha preso conoscenza di tutti gli atti e di tutti i mezzi di prova discussi in occasione del dibattimento (DTF 122 IV 6 consid. 2b).
I fatti o i mezzi di prova nuovi sono rilevanti ove siano suscettibili di inficiare gli accertamenti alla base della prima sentenza in modo da far presagire, sulla scorta del nuovo stato di fatto, un giudizio sensibilmente più favorevole al condannato (DTF 122 IV 66 consid. 2a con richiami, STF del 6 agosto 2009 6B_242/2009 consid.
2; Piquerez, op. cit., pag. 757 n. 3531; Hauser/Schweri/Hartmann, op. cit., § 102 n. 24).
Qualora siano addotti più fatti nuovi, essi devono essere valutati globalmente (DTF 116 IV 353 consid. 5b; Gass, Basler Kommentar, Strafrecht II, 2a edizione, Basilea 2007, ad art. 385 n. 95).
3.
Preliminarmente si osserva che, nel suo esposto, RI 1 si appella sostanzialmente al motivo di revisione di cui all’art. 385 CP (art. 299 lett. c CPP) producendo a fondamento della propria istanza 77 documenti a suo dire non facenti parte degli atti del processo o comunque rimasti sconosciuti ai primi giudici e contestando sulla scorta degli stessi le varie condanne contenute nel dispositivo della sentenza d’assise (istanza, pto. B.1.1).
Solo al pto. B.12 dell’istanza, RI 1 solleva l’esistenza di una decisione di abbandono – che ritiene inconciliabile con la sua condanna per il reato di conseguimento fraudolento di una falsa attestazione – appellandosi pertanto al motivo di cassazione di cui all’art. 299 lett. b CPP (cfr. consid. 16).
4.
Nel capitolo “Annotazioni preliminari” RI 1 si diffonde in una serie di considerazioni di ordine generale con le quali egli, sulla scorta di vari documenti, contesta alcuni accertamenti operati dalla Corte delle assise criminali (istanza, pto. B.1).
4.1.
L’istante rileva, innanzitutto, che dal rapporto di revisione in atti denominato “_”, emerge che la Banca _ ha scaricato su di lui le responsabilità per il “buco” causato da A., malgrado esse sarebbero in verità da ricercare in seno alla Direzione generale dello stesso istituto di credito.
RI 1
osserva anche che dalle annotazioni dei membri della Direzione generale chiamati ad esprimersi sul suddetto rapporto (doc. 4) risulta come gli stessi non abbiano espresso nessuna critica al suo operato, ciò che – a detta dell’istante – appare particolarmente strano, ritenuto come pochi mesi dopo gli è stata attribuita la colpa della voragine causata da A. e dalle sue società (istanza, pto. B.1.2).
L’istante sostiene, poi, che i doc. 12, 21, 38 e 41 prodotti con l’istanza smentiscono l’accertamento secondo cui egli non avrebbe informato la Direzione generale e il Consiglio d’amministrazione della banca del fatto che le società indicate nell’atto d’accusa appartenevano a A. (istanza, pto. B.1.3).
A mente dell’istante, inoltre, le dichiarazioni dei membri della Direzione generale della Banca _ – riprese nella sentenza d’assise – per cui egli non avrebbe rispettato il regolamento e la prassi applicata dalla banca in ambito di concessione di crediti contrastano con quanto emerge dalle due liste di sorpasso al 30 novembre 1989 (doc. 5) e al 31 dicembre 1989 (doc. 6). Da tali documenti – spiega l’istante – in particolare dalla mancanza di annotazioni alla posizione “Massnahmen” e dalle firme in calce, risulta infatti che la Direzione aveva ratificato le operazioni senza rimproverare nulla ad RI 1 e senza fornirgli indicazioni su come effettuare tali richieste (istanza, pto. B.1.4).
Sempre nel suo capitolo introduttivo, l’istante sostiene, infine, che il rimprovero mossogli dalla Corte delle assise di non avere annotato le comunicazioni telefoniche con la Direzione generale della banca è contraddetto dai doc. 7 e 8 prodotti con l’istanza che riportano tali annotazioni e che confermano che la gran parte delle comunicazioni e degli ordini della Direzione avvenivano per telefono e non per iscritto come previsto dal regolamento. Ritenuta la prassi che si era instaurata – conclude RI 1 – non si può desumere un suo comportamento illecito dal fatto che gli ordini avvenivano per telefono (pto. B.1.5).
4.2.
Per quanto concerne, innanzitutto, il rapporto di revisione denominato “_” si osserva che il documento – come peraltro puntualmente rilevato dal procuratore pubblico (osservazioni, pag. 2) – era noto alla Corte delle assise criminali che lo ha in sentenza più volte citato (cfr. ad esempio sentenza d’assise, consid. 3.1 pag. 80, consid. 3.1.3 pag. 85, consid. 3.1.4.3 pag. 97, consid. 3.1.5 pag. 98, consid. 3.3 pag. 105). Esso, pertanto, non può essere considerato un mezzo di prova “nuovo” e non rappresenta, perciò, un valido motivo di revisione ai sensi dell’art. 385 CP e dell’art. 299 lett. c CPP.
Quanto agli altri documenti menzionati da RI 1 nel suo capitolo introduttivo, si rileva che, quand’anche non fossero già stati presi in considerazione dalla Corte delle assise o dalla CCRP, essi son ben lungi dall’adempiere il presupposto della rilevanza e dall’inficiare, dunque, gli accertamenti alla base del giudizio impugnato.
Le annotazioni sul doc. 4 – che, peraltro, si appalesa come un estratto di un rapporto più ampio qui non integralmente prodotto – non sono certamente suscettibili di provare che l’operato di RI 1 è stato esente da responsabilità penali, ritenuto come le stesse, per sua ammissione (cfr. istanza, pto. B.1.2 pag. 4-5), sono state formulate dalla Direzione generale prima che l’inchiesta penale facesse emergere i particolari sul suo operato e in un momento, dunque, in cui il suo operato non era ancora interamente noto.
In merito ai doc. 12, 21, 38 e 41, poi, questa Corte non comprende come possa giovare all’istante dimostrare l’inconsistenza del rimprovero secondo cui egli non avrebbe informato la Direzione che le società indicate nell’atto d’accusa appartenevano a A., ritenuto come la sua condanna per truffa ed amministrazione infedele non si fonda su tale assunto, ma su altri elementi sottaciuti agli organi della banca (il fatto che le conferme di consolidamento da parte delle assicurazioni non erano presenti, il fatto che il deposito fiduciario di fr. 10'000'000.- non apparteneva a A. e non poteva dunque essere considerato una garanzia o un pegno, la circostanza per cui le cartelle ipotecarie a garanzia dei crediti non erano ancora state rogate o non avevano il valore indicato; l’esistenza di ipoteche legali in primo rango, il reale valore dei prezzi d’acquisto degli immobili, cfr. sentenza d’assise, consid. 3.1.4 e consid. 3.3).
Nemmeno le liste di sorpasso di cui ai doc. 5 e 6 permettono di sostanziare i presupposti necessari alla revisione del giudizio impugnato. Come ben evidenziato da procuratore pubblico (osservazioni, pag. 2), infatti, tali documenti si riferiscono temporalmente ai fatti che configurano il reato di amministrazione infedele e, in particolare, a finanziamenti per i quali RI 1 aveva fornito informazioni che lasciavano presagire la conformità degli stessi con la politica di credito della Banca _ (sentenza d’assise, consid. 3.3 pag. 105). Se l’istituto di credito non ha rimproverato nulla ad RI 1 – ciò che l’istante sostiene risultare dai suddetti documenti – è semplicemente perché questi gli aveva dato informazioni tranquillizzanti, come del resto risulta anche dal doc. 5 che riporta l’annotazione secondo cui
“die Sicherheiten sind gemäss RI 1 vorhanden”
.
Per quanto attiene, infine, ai doc. 7 e 8, si osserva come l’accertamento della Corte delle assise per cui la Direzione della Banca _ non ha mai concesso ad RI 1 autorizzazioni telefoniche per i finanziamenti si fonda sulle convergenti deposizioni dei testi
_
nonché della segretaria dello stesso istante,
_
, (cfr. sentenza d’assise, consid. 3.1.3 pag. 87-88, consid. 3.3.1 pag. 106-107, consid. 3.3.2 pag. 108, consid. 3.3.4 pag. 110) e non può dunque essere inficiato dai due documenti prodotti con l’istanza, la cui connessione con le operazioni per cui RI 1 è stato condannato non è stata esplicitata dall’istante, e che appaiono pure in sé poco significativi a motivo della vaghezza delle annotazioni in essi contenute così che, quand’anche si volesse prescindere da quanto appena detto, essi non possono essere considerati tali da imporre ad una Corte un diverso accertamento sulla questione qui evocata.
5.
Continuando nel suo esposto, RI 1 sostiene che gli accertamenti alla base del dispositivo n. 1.1.3 della sentenza d’assise, relativi al reato di truffa nell’ambito dei crediti erogati dalla Banca _ in favore della _, sono integralmente smentiti dai doc. 9-23 (istanza, pto. B.2).
5.1.
Al proposito, la Corte delle assise ha accertato che RI 1, il 12 ottobre 1989, presentò alla Direzione centrale della banca una proposta di credito ipotecario di fr. 3'000'000.- per l’acquisto della proprietà _ e per un credito di costruzione di fr. 7'000'000.-. La prima Corte ha rilevato che i verbali di credito inviati a _ da RI 1 erano incompleti e nulla potevano riferire di importante per l’autorizzazione. In particolare – spiegano i primi giudici – la Direzione ignorava l’ipoteca legale di fr. 1'000'000.- già esistente in primo rango come pure l’inesistenza della garanzia delle cartelle ipotecarie che neppure esistevano nella forma delle conferme notarili in vista di una loro futura emissione e neppure c’erano conferme di consolidamento della compagnia d’assicurazione _.
La prima Corte ha così concluso che fu sulla base di queste errate informazioni fornite da RI 1 che la Direzione generale preavvisò favorevolmente i crediti in data 12 ottobre 1989 in vista del successivo Consiglio d’amministrazione (cfr. sentenza d’assise, consid. 3.1.4.3 pag. 96-97; sentenza CCRP inc. 47-51/92, consid. 7c pag. 31-33).
5.2.
L’istante sostiene, innanzitutto, che i documenti da lui prodotti smentiscono la conclusione della Corte delle assise per cui
“la sede principale di _ ignorava l’ipoteca legale di fr. 1'000'000.- già esistente in primo rango”
. Su questo aspetto RI 1 rileva, in particolare, che dalle due lettere di concessione di credito in favore della _ (doc. 9 e 10 prodotti con l’istanza), inviate in copia alla Direzione generale, risulta chiaramente che la stessa era al corrente dell’esistenza dell’ipoteca legale.
L’esistenza della precedenza di 1'000'000.- fr. – continua l’istante – è, altresì, confermata dalle note della _ (doc. 11 prodotto con l’istanza) da cui si deduce pure l’esistenza di cartelle in secondo e terzo rango emesse dal notaio.
A detta di RI 1, poi, anche dallo specchietto riassuntivo dei crediti erogati a A. ed alle sue società, redatto presso la Direzione centrale della Banca _ in data 20 dicembre 1989 (doc. 13 prodotto con l’istanza), emerge chiaramente, per quanto riguarda la _, come l’ipoteca legale di fr. 1'000'000.- fosse menzionata e, dunque, conosciuta ai vertici della banca, ritenuto oltretutto che il documento è stato vistato dal direttore.
In queste condizioni – spiega l’istante – risulta molto difficile
“capire come la sentenza di condanna possa affermare che la Direzione di _ ignorasse tutto della _”.
D’altra parte – conclude – nemmeno si può considerare che la Direzione di _ fosse venuta a conoscenza dell’esistenza dell’ipoteca legale dopo l’erogazione del credito, visto che altrimenti avrebbe reagito bloccando l’operazione e non certo ratificando il suo operato come ha sempre fatto (istanza, pto. B.2.3).
Più oltre nell’istanza, ma sempre con riferimento agli accertamenti della prima corte in merito all’esistenza dell’ipoteca in primo rango, l’istante osserva ancora come pure dalla lista di sorpasso del 31 dicembre 1989 (doc. 22 prodotto con l’istanza) – che menziona una cauzione di 1'000'000.- fr. – risulta che la sede centrale sapeva perfettamente dell’esistenza della precedenza (istanza, pto. B.2.6 pag. 9).
5.3.
Anche volendo prescindere dal fatto che, difettando indicazioni in questo senso su di essi, nulla prova che gli scritti di cui ai doc. 9 e 10 – indirizzati alla _ e non alla sede centrale della banca – siano stati inviati in copia alla Direzione generale della Banca _, quel che qui conta è che essi, contenuti nella perizia giudiziaria “Gruppo A.” in atti (cfr. AI 52 G-Banche 23), sono stati esaminati dalla Corte delle assise (cfr. sentenza d’assise, consid. 3.1.4.3 pag. 96-97) e non possono, dunque, essere ritenuti documenti nuovi.
Per quanto attiene poi al doc. 11, si osserva che lo stesso si rivela vago e privo di significatività, nella misura in cui l’istante ha omesso di specificarne il contesto, la provenienza e la funzione. Oltretutto la nota manoscritta a cui si appella l’istante reca la data del 16 gennaio 1990 ciò che non permette di trarre conclusioni in punto alla consapevolezza da parte della Direzione della presenza dell’ipoteca legale al momento della concessione del credito che risale ad ottobre del 1989.
Anche la tabella riassuntiva di cui al doc. 13 e la lista di sorpasso di cui al doc. 22 si dimostrano prive di rilevanza ai fini della revisione del giudizio. Il bollo presente sulla prima, infatti, risale al 20 dicembre 1989, mentre la seconda risale addirittura al 31 dicembre 1990. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto da RI 1, gli organi della Banca _ non hanno continuato a ratificare il suo operato, ritenuto come i finanziamenti da lui concessi a A. dopo il 18 ottobre 1989 non vennero più autorizzati (sentenza d’assise, consid. 3.1 pag. 80).
Ne discende che i documenti prodotti dall’istante non consentono di concludere che la Direzione generale, al momento dell’autorizzazione del credito, fosse a conoscenza dell’esistenza della precedenza di fr. 1'000'000.-.
5.4. RI 1
assevera, poi, che dal summenzionato doc. 13 nonché dallo specchietto dei crediti erogati a A. (doc. 14) ben si comprende come la Direzione di _ era in “cronico ritardo” nell’evadere le richieste di _. Tanto che – osserva l’istante con riferimento ai verbali di credito e alla lista di sorpasso di cui ai doc. 15, 16 e 17 – tra la richiesta di credito e l’approvazione formale dello stesso passava regolarmente quasi un anno, ciò che – rileva – spiega il motivo per cui si era instaurata la prassi delle autorizzazioni telefoniche.
A mente di RI 1, pertanto, le mancate approvazioni dei crediti da parte della Direzione centrale erano dovute a ritardi della sede centrale e non al fatto che le sue operazioni fossero sospette (istanza, pto. B.2.4).
5.5.
Questa Corte non comprende il motivo per cui l’istante sostiene che le mancate approvazioni dei crediti da parte della Direzione generale non sarebbe da ricondurre al suo operato, ritenuto che, in realtà, la sentenza d’assise accerta che gli organi della banca hanno ratificato, in data 18 ottobre 1989, i finanziamenti a favore della _ (cfr. sentenza d’assise, consid. 3.1.5, pag. 98 e dispositivo 1.1.3) e che, l’assunto, dunque, è del tutto ininfluente ai fini della sua condanna.
5.6.
Continuando nel suo esposto, l’istante contesta l’accertamento della Corte delle assise per cui la Direzione generale ignorava che le cartelle ipotecarie di primo e secondo rango, per un importo totale di fr. 3'000'000.-,
“neppure esistevano nella forma delle conferme notarili”
. A tal proposito, egli produce un formulario di data 23 ottobre 1989 (doc. 18). A detta dell’istante il documento – e meglio il post-it applicato sullo stesso con note riconducibili alla sua ex segretaria – attesta ciò che egli ha sempre affermato, ovvero che già il 24 ottobre 1989 le cartelle ipotecarie venivano inviate alla sede di _.
Anche l’estratto conto di cui al doc. 19 e le valutazioni di deposito di cui al doc. 20 – continua – confermano che le cartelle ipotecarie erano in possesso della Direzione.
Su questo aspetto l’istante rileva ancora che la sentenza della Corte delle assise è contraddittoria, nella misura in cui, alla pag. 60, la stessa afferma che il mutuo ipotecario di fr. 3'000'000.- concesso alla _ era
“garantito da cartelle ipotecarie di medesimo importo (...) dopo precedenza di fr. 1'000'000.-”
, mentre che a pag. 96-97 attesta che
“la sede di _ ignorava l’ipoteca legale di fr. 1'000'000.- già esistente in primo rango come pure l’inesistenza della garanzia delle cartelle ipotecarie, che neppure esistevano nella forma delle conferme notarili in vista della futura emissione delle stesse”
(istanza, pto. B.2.5).
5.7.
Contrariamente a quanto sostenuto dall’istante, il doc. 18 non è suscettibile d’inficiare l’accertamento della Corte delle assise per cui le cartelle ipotecarie indicate sul verbale di credito del 20 ottobre 1989, in realtà, non esistevano.
Innanzitutto – come correttamente rilevato dal procuratore pubblico (osservazioni, pag. 3) – si osserva che RI 1 ha omesso di considerare che l’imputazione riferita ai finanziamenti erogati alla _ non si riferisce solo al credito di fr. 3'000'000.- concesso alla società per l’acquisto della proprietà _, ma anche ad un credito di costruzione di fr. 7'000'000.- che pure doveva essere garantito da una cartella ipotecaria di pari importo, in realtà non emessa (cfr. sentenza, consid. 3.1.4.3 pag. 96 e doc. 10 prodotto dall’istante).
A fronte, poi, della circostanza evidenziata dalla prima Corte secondo cui le cartelle ipotecarie
“neppure esistevano nella forma delle conferme notarili in vista della futura emissione delle stesse”
(cfr. sentenza, consid. 3.1.4.3 pag. 96-97) non giova al ricorrente produrre la fotocopia di un formulario (difficilmente leggibile) e vistato con una sigla incomprensibile (secondo l’istante, sigla dell’allora sua segretaria) per dimostrare l’esistenza delle cartelle ipotecarie e il loro invio alla sede di _.
Tantomeno inficiano l’accertamento della Corte delle assise – nel senso che ne imporrebbero la revisione – i doc. 19 e 20 che si riferiscono alla situazione di fatto nel giugno del 1990 e che nulla dunque possono riferire in merito alla effettiva esistenza delle cartelle ipotecarie al momento della concessione del credito risalente ad ottobre del 1989.
Il ricorrente, infine, evidenziando asserite contraddizioni riscontrate nella sentenza impugnata, perde di vista i limiti della revisione ai sensi dell’art. 385 CP e dell’art. 299 lit. c CPP. Tale rimedio giuridico straordinario, infatti, non permette di diffondersi in considerazioni relative all’arbitrario accertamento dei fatti operato dalla prima corte sulla scorta degli atti, ma unicamente di evidenziare documenti nuovi e suscettibili di far presagire un giudizio più favorevole al condannato.
Solo di transenna è, dunque, il caso di osservare che la contraddizione comunque non esiste, se solo si considera che a pag. 60 della sua sentenza la prima Corte ha descritto ciò che indicava il verbale di credito – inveritiero – inviato da RI 1 alla Direzione, ovvero la presenza delle due cartelle ipotecarie, mentre che a pag. 96-97 essa ha rilevato come le stesse, in realtà, non esistevano.
5.8.
Sempre nel suo capitolo dedicato ai finanziamenti erogati a favore della _, RI 1 sostiene che l’accertamento della Corte delle assise secondo cui egli ha sottaciuto informazioni alla Direzione contrasta con i doc. 21 e 23 prodotti con l’istanza dai quale emerge come egli, il 30 novembre e il 20 dicembre 1989, abbia sollecitato la ratifica formale e scritta da parte della Direzione generale e del Consiglio d’amministrazione del credito di fr. 3'000'000.- a favore della suddetta società, ciò che – osserva – costituisce un comportamento perlomeno singolare da parte di una persona che, come sostenuto dalla Corte delle assise, nascondeva dati essenziali al suo datore di lavoro.
RI 1 rileva, infine, che la circostanza per cui la posizione _ era perfettamente conosciuta a _, risulta anche dal rapporto sull’esposizione del Gruppo A. (doc. 43) nonché dal rapporto _ (istanza, pto. B.2.6 e B.2.7).
5.9.
Ancora una volta i documenti prodotti dall’istante non permettono di invalidare le conclusioni contenute nella sentenza d’assise e confermate dalla CCRP.
In particolare questa Corte non comprende come possano giovargli i doc. 21 e 23, considerato come il fatto che egli abbia più volte richiesto la ratifica formale dei crediti erogati a favore della _ non contrasta con l’accertamento della Corte delle assise per cui egli ha fornito alla Direzione generale della banca informazioni errate ed incomplete.
È del tutto inconferente, infine, l’osservazione di RI 1 secondo cui emergerebbe dal rapporto sull’esposizione del Gruppo A. nonché dal rapporto _ che la posizione _ era perfettamente conosciuta alla Direzione generale. Al di là del fatto che il rapporto _ (cfr. consid. 4.2) e il doc. 43 (citato nella sentenza d’assise quale doc. 27 prodotto dalla Difesa, cfr. consid. 3.4 pag. 113) non sono documenti nuovi, si osserva, infatti, come sia comunque pacifico che gli organi della banca conoscevano la posizione _, ovvero il credito erogato a suo favore. Essi ignoravano, invece, che i verbali di credito presentati da RI 1 contenevano informazioni errate ed incomplete (cfr. consid. 5.1).
5.10.
Da quanto precede discende che, contrariamente a quanto asserito da RI 1, i doc. 9-23 non permettono di inficiare gli accertamenti della Corte delle assise secondo cui egli ha inoltrato agli organi della Banca _ richieste di credito in favore della _ con indicazioni incomplete ed errate, sottacendo in particolare l’esistenza di un’ipoteca legale di Fr. 1'000'000.- in primo rango e l’inesistenza delle cartelle ipotecarie in secondo e terzo rango.
A titolo abbondanziale si osserva, comunque, che la prima Corte ha fondato il proprio convincimento anche sul fatto che alla direzione centrale di _ è stato sottaciuto un altro elemento determinante, ovvero l’inesistenza della conferma di consolidamento della compagnia d’assicurazione _ (cfr. consid. 5.1), elemento questo nemmeno contestato dall’istante.
6.
Nel capitolo “_” (istanza, pag. 10-13), RI 1 contesta poi gli accertamenti alla base dei dispositivi n. 1.1.1, 1.2.5 e 1.2.6 della sentenza d’assise, relativi ai crediti erogati dalla Banca _ a A. nell’ambito delle suddette operazioni.
6.1.
L’istante sostiene, innanzitutto, che l’accertamento della Corte delle assise secondo cui egli, nell’ambito delle suddette operazioni, ha indotto la Direzione e il Consiglio d’amministrazione della banca a credere, contrariamente al vero, che A. disponesse di un deposito fiduciario di fr. 10'000'000.- a garanzia dei propri debiti contrasta con il verbale di credito del 18 agosto 1989 (doc. 25) che indica l’esistenza del deposito fiduciario e dal quale risulta dunque che la Direzione era a conoscenza dello stesso. A detta dell’istante, poi, che l’importo era effettivamente disponibile presso la banca è confermato pure dall’ordine di bonifico del 26 luglio 1989 di cui ai doc. 26 e 27. RI 1 osserva, inoltre, che dai verbali di credito da lui inviati alla Direzione centrale (doc. 28 e 29) – che non indicano l’esistenza del deposito fiduciario – e dalle risposte della Direzione (doc. 30 e 31) – che per contro lo menzionano – emerge come fu la sede di _, e non lui, ad inserire il deposito fiduciario quale garanzia interna (istanza, pto. B.3.2).
Va, qui, prima di tutto rilevato che i doc. 25, 30 e 31 sono allegati alla perizia giudiziaria “Gruppo A.” in atti (AI 52 G – Banche 20, 21, 24), più volte citata nella sentenza d’assise (cfr. ad esempio consid. 3.1.4 pag. 91, consid. 3.1.4.1 pag. 93, consid. 3.1.4.2 pag. 95) e dunque nota alla prima corte. Ne discende che gli stessi non possono rappresentare un valido motivo di revisione ai sensi dell’ dell’art. 385 CP e dell’art. 299 lett. c CPP.
Ad ogni buon conto l’istante, affermando che i documenti da lui prodotti dimostrano come la Direzione generale sapesse del deposito fiduciario e che l’importo era effettivamente disponibile presso la banca, non inficia l’accertamento della Corte delle assise per cui la stessa Direzione, al contrario dell’istante, ignorava che l’importo del deposito fiduciario non era in realtà proprietà di A., ma della Banca _, alla quale doveva essere restituito entro il 31 dicembre 1989, e che, dunque, non poteva essere considerato una sua garanzia presso la banca (cfr. sentenza d’assise, consid. 3.1.4 pag. 90-92, sentenza CCRP inc. 47-51/92, consid. 6g pag. 24).
6.2.
Per quanto attiene all’investimento denominato “_”, RI 1 assevera, sulla scorta dei doc. 30-35 prodotti con l’istanza, che l’operazione fu perfettamente regolare (istanza, pto. B.3.3).
Sennonché su questo punto l’istanza di revisione si rivela d’acchito inammissibile, nella misura in cui l’investimento in questione non è nemmeno menzionato nel dispositivo della sentenza d’assise e non costituisce oggetto di condanna.
6.3.
Passando all’esame dei crediti erogati dalla Banca _ a A. nell’ambito dell’operazione denominata “_”, l’istante sostiene che i summenzionati doc. 28, 29 e 31 – vistati dal condirettore e dal responsabile del segretariato crediti di _ – attestano come egli fosse autorizzato ad effettuare i pagamenti in favore della Immobiliare _.
Egli rileva, poi, che da uno scritto inviato dalla Banca _ all’allora giudice istruttore (doc. 36) – che aveva chiesto chiarimenti in merito alla suddetta operazione – risulta come la stessa banca abbia negato che esistesse una conferma di credito, affermando che il conto era tenuto su base creditrice, ciò che, a detta di RI 1, dimostra come la banca ha fornito informazioni errate al fine di scaricare su di lui le responsabilità.
Inoltre, per quanto attiene alle cartelle ipotecarie a garanzia dei crediti erogati a favore della società immobiliare – cartelle che la Corte delle assise ha accertato non ancora esistenti all’epoca dei finanziamenti (cfr. sentenza d’assise, consid. 3.1.4.1 pag. 93-94) – RI 1 sostiene che le note della _ (doc. 11) indicano come le stesse erano invece regolarmente depositate (istanza, pto. B.3.4).
I documenti prodotti dall’istante, ancora una volta, non sono suscettibili di scuotere la sentenza d’assise.
Che i doc. 28, 29 e 31 attestino l’autorizzazione di RI 1 ad erogare i crediti è infatti assunto del tutto irrilevante, nella misura in cui la condanna dell’istante non si fonda sulla mancanza dell’autorizzazione da parte degli organi della banca, ma sull’accertamento per cui egli ha presentato agli stessi dei verbali di credito con informazioni incomplete ed inveritiere (cfr. sentenza d’assise, consid. 3.1.4.1 pag. 93, sentenza CCRP consid. 7a pag. 26).
Lo scritto della Banca _ di cui al doc. 36, poi, si rileva totalmente privo di significatività, ritenuto come l’istante ne ha prodotto la sola prima pagina, sicché risulta impossibile capire a chi siano effettivamente riconducibili le informazioni in esso contenute.
Quanto al doc. 11 si rinvia alle considerazioni di cui al consid. 5.3. Del resto anche l’annotazione relativa alla _ cui allude l’istante risale al 9 febbraio del 1990 e non permette, dunque, di trarre conclusioni in merito all’esistenza delle cartelle ipotecarie all’epoca della concessione del credito nell’ottobre del 1989.
6.4.
Per quanto attiene alle operazioni “_” e “_” l’istante, fondandosi sui doc. 31, 37, 38 nonché sul rapporto _, sostiene che gli organi della banca avevano approvato i relativi crediti e che le cartelle ipotecarie a garanzia degli stessi erano presenti presso Banca _.
Ora, aldilà della scarna motivazione proposta dall’istante che palesemente non dimostra la rilevanza dei documenti prodotti, si osserva che il rapporto _ e il doc. 31 (dei quali già si è detto al consid. 6.1) erano noti alla Corte delle assise e non rappresentano, pertanto, documenti nuovi atti a sostanziare una revisione.
Quanto ai doc. 37 e 38, peraltro presenti nell’AI 52 G-Banche 22 e dunque pure non nuovi, si osserva che gli stessi risalgono al 6 e al 9 ottobre 1989, cioè ad un momento in cui RI 1 già aveva proceduto ad erogare i crediti relativi all’operazione “_” (cfr. sentenza d’assise consid. 3.1.4.4 pag. 98 secondo cui RI 1 erogò il credito il 5 ottobre 1989 senza attendere nessun preavviso e nessuna autorizzazione).
7.
Continuando nel suo esposto e concentrandosi sugli accertamenti della Corte delle assise relativi al reato d’amministrazione infedele aggravata (sentenza d’assise, consid. 3.3 e dispositivo 1.2), RI 1 contesta, poi, le conclusioni della corte relative all’operazione “_” (istanza, B.4).
7.1.
Secondo la sentenza d’assise RI 1 trasmise a _ il verbale di credito (ancora una volta assolutamente insufficiente ed incompleto) destinato all’acquisto di beni immobili situati in _. Egli, ritenendo scontata l’approvazione del finanziamento richiesto con l’accettazione del consolidamento da parte dell’assicurazione _ in realtà inesistente, confermò un credito in conto corrente di fr. 7'160'000.- nonché l’emissione di una garanzia di pagamento di fr. 3'000'000.- a favore del venditore. Sempre secondo la Corte delle assise, l’affermazione di RI 1 di aver ad un certo momento ricevuto l’autorizzazione telefonica dal direttore di procedere in questo modo non ha trovato conferma nelle tavole processuali. La sentenza ha accertato altresì che RI 1 ricevette da A. dopo la concessione del finanziamento un compenso di fr. 200'000.-, circostanza riconosciuta dallo stesso interessato (sentenza d’assise, consid. 3.3.1 pag. 106-107; sentenza CCRP inc. 47-51/92, consid. 6f pag. 37).
7.2.
L’istante sostiene che dallo scritto della _ di cui al doc. 41 risulta, contrariamente a quanto rimproveratogli nella sentenza d’assise, come egli si era premunito di chiedere alla stessa compagnia d’assicurazione il consolidamento del credito.
Inoltre, a detta dell’istante, la lista di sorpasso di cui al doc. 42 – che riporta le annotazioni manoscritte del direttore – nonché il verbale di credito di cui al doc. 39 e l’estratto conto di cui al doc. 40 indicano che egli aveva compiutamente informato la Direzione di _ del credito a favore della _ (istanza, pto. B.4.2).
Nemmeno in questo caso i documenti prodotti dall’istante sono suscettibili d’inficiare quanto accertato dalla Corte delle assise.
Il doc. 41, infatti, dimostra unicamente che RI 1 aveva preso contatti con la _ per il consolidamento del credito, ma non che lo stesso fosse stato effettivamente confermato.
Quanto ai doc. 39, 40 e 42, gli stessi risultano poco significativi, ritenuto che il fatto che la Direzione centrale sapesse della posizione “_” ancora non significa che la stessa fosse informata anche dell’inesistenza delle garanzie.
7.3.
Solo di transenna si osserva, poi, che il rapporto sull’esposizione del Gruppo A. (doc. 43) – dal quale, a detta di RI 1, risulta come la posizione “_” fosse perfettamente conosciuta a _ (istanza, pto. B.4.3) – non merita di essere esaminato oltre, ritenuto come lo stesso non è un documento nuovo (cfr. consid. 5.9).
Lo stesso vale, come visto, per il rapporto della _, pure invocato dall’istante.
8.
Nel capitolo denominato “_”, l’istante contesta quanto accertato dalla Corte delle assise in relazione ai finanziamenti erogati alla suddetta società (istanza, pto. B.5)
8.1.
Con riferimento a tale operazione, la prima Corte ha accertato che, anche in questo caso, il verbale di credito trasmesso in data 14 dicembre 1989 da RI 1 al segretariato crediti di _ era ampiamente incompleto ed insufficiente oltre che inveritiero nella sua descrizione relativa al prezzo d’acquisto e alle garanzie esistenti. Essa ha poi accertato che RI 1 erogò un finanziamento totale di fr. 22'700'000.- senza autorizzazione alcuna e malgrado sapesse che parte dei finanziamenti erano destinati a scopi estranei all’operazione immobiliare e che, così come ammesso dallo stesso istante, al momento della richiesta di finanziamento e soprattutto nell’atto di erogazione del credito non vi erano garanzie, segnatamente non c’erano le cartelle ipotecarie e il 20% di mezzi propri richiesto (cfr. sentenza d’assise, consid. 2.1.3 pag. 51, consid. 3.3.2 pag. 107-109, consid. 3.4 pag. 112).
Su quest’ultimo aspetto, la CCRP ha avuto modo di precisare che al momento del pagamento del credito non erano ancora state consegnate le azioni _ – a garanzia del 20% dell’operazione – che A. aveva promesso. La CCRP ha altresì rilevato che le azioni, per stessa ammissione di RI 1, vennero consegnate solo molto tempo dopo (sentenza CCRP consid. 7g pag. 39-40).
8.2.
In relazione all’operazione _ l’istante sostiene che l’accertamento della prima Corte secondo cui lui avrebbe indicato un prezzo non veritiero per quanto riguarda l’acquisto dell’immobile _ contrasta con le indicazioni contenute nei doc. 44, 45 e 46 dalle quali risulta un valore dell’immobile di ca. fr. 19'500'000.-. A mente dell’istante, dunque, egli ben poteva ritenere che il prezzo di fr. 19,5 Mio, corrispondente al prestito erogato a A., fosse congruo (istanza, pto B.5.1)
RI 1 invoca, poi, i doc. 47-51 e 54 prodotti con l’istanza, dai quali – sostiene – risulta come l’operazione in questione fosse passata al vaglio della Direzione di _ e come i relativi finanziamenti siano stati erogati il 14 dicembre 1989.
Addirittura egli osserva come il doc. 13 indichi che tali finanziamenti erano stati approvati da _ per iscritto.
Per quanto attiene, poi, alle cartelle ipotecarie, egli produce uno scritto dell’avv. _ (doc. 52) che – sostiene – dimostra come le stesse siano state consegnate alla Banca _ quale finanziatrice.
Anche per quanto concerne la garanzia costituita dal 20% di mezzi propri, l’istante rileva che tale quota era in realtà presente sottoforma di azioni della _, azioni alle quali – conclude RI 1 – la perizia di cui al doc. 53 attribuiva un valore di ca. fr. 5'000'000.- (istanza, pto. B.5.2).
8.3.
L’argomentazione secondo cui l’istante poteva legittimamente ritenere che, conformemente al contenuto dei doc. 44, 45 e 46, il valore dell’immobile _ fosse di fr. 19'500'000.- non è pertinente, nella misura in cui la sentenza di cui è postulata la revisione ha accertato che RI 1 ha erogato a A. fr. 22'700'000.- e che egli, dunque, ben sapeva che parte del finanziamento era destinato a scopi estranei all’operazione immobiliare.
A prescindere, poi, dal fatto che i doc. 47, 48 e 54 non sono nuovi (ma contenuti nell’AI 52 G-Banche 26 citato al consid. 3.3.2 pag. 107-108 della sentenza d’assise), questa Corte nemmeno comprende come gli stessi possano scuotere la sentenza impugnata, ritenuto che il fatto che le operazioni fossero passate al vaglio della Direzione ancora non significa che quest’ultima fosse compiutamente informata della mancanza di garanzie e soprattutto che essa abbia dato la sua autorizzazione.
D’altra parte, l’autorizzazione non è deducibile nemmeno dal doc. 13, se solo si considera che la nota a cui fa riferimento RI 1 – che appare peraltro aggiunta in una fase successiva – è poco attendibile nella misura in cui reca la data dell’8 dicembre 1989 e risalirebbe, pertanto, ad un momento precedente l’invio del verbale di credito di RI 1, avvenuto il 14 dicembre 1989.
Per quanto attiene all’esistenza delle cartelle ipotecarie, si osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dall’istante, il doc. 52 non dimostra che le stesse sono state consegnate alla Banca _ quale finanziatrice. Piuttosto lo scritto indica che
“le cartelle ipotecarie ancora non esistevano, né erano stati firmati atti che ne assicurassero l’emissione”
(doc. 52, pag. 4) a conferma di quanto sostenuto nella sentenza d’assise e della CCRP.
Riguardo la garanzia costituita dal 20% di mezzi propri, RI 1 dimentica infine che, come rilevato dalla CCRP, egli stesso ha ammesso che le azioni _, al momento dell’erogazione del credito, non erano ancora state consegnate (cfr. consid. 8.1), assunto questo che evidentemente non può essere smentito dalla perizia del _, dalla quale – peraltro – nulla si evince in merito alla trasmissione delle suddette azioni alla Banca _.
Da quanto precede discende che, nemmeno in relazione all’operazione “_”, i documenti prodotti da RI 1 sono atti a sostanziare il buon fondamento dell’istanza di revisione.
9.
Continuando nel suo esposto l’istante contesta gli accertamenti della Corte delle assise in relazione ai finanziamenti erogati a favore della _ (sentenza d’assise, consid. 3.3.3 e dispositivo 1.2.3.).
Questa Corte può, tuttavia, esimersi dall’esaminare la rilevanza dei doc. 55, 56, 57 e 58 prodotti da RI 1 (istanza, pto. B.6) nella misura in cui gli stessi non possono essere considerati nuovi ritenuto che sono contenuti nell’AI 52 G-Banche 27, cui la Corte delle assise ha fatto esplicito riferimento (cfr. sentenza d’assise consid. 3.3.3 dove si cita l’AI 52 pag. 57 che rinvia all’allegato G-Banche 27).
10.
Nel capitolo denominato “_” RI 1 contesta pure gli accertamenti posti a fondamento del dispositivo n. 1.2.4 della sentenza d’assise (istanza, pto. B.7).
10.1.
La Corte
delle assise ha accertato che RI 1, in data 28 dicembre 1989, nell’ambito dell’operazione _, trasmise un verbale di credito per fr. 9'000'000.- incompleto e lacunoso, comunque contenente informazioni inveritiere circa la presenza delle cartelle ipotecarie di un valore di fr. 16'700'000.-. La Corte delle assise ha, altresì, accertato che in realtà le cartelle depositate presso la sede di _ avevano un valore di fr. 555'000.- (ciò che non garantiva il credito in rassegna), che lo stesso RI 1 ha ammesso di avere corrisposto il finanziamento sul conto privato di A. senza che vi fossero garanzie sufficienti e che, anche in questo caso, la Direzione di _ non aveva concesso nessuna autorizzazione al finanziamento (sentenza d’assise, consid. 3.3.4 pag. 110-111; sentenza CCRP consid. 7i pag. 41-42).
10.2. RI 1
sostiene, dapprima, che l’estratto di deposito al 31 dicembre 1989 (doc. 59) smentisce l’accertamento secondo cui le cartelle ipotecarie avevano un valore di soli fr. 555'000.- (istanza, pto. B.7.2).
A detta dell’istante, poi, le liste di sorpasso di cui ai doc. 61, 62 e la conferma di concessione del credito di cui al doc. 63 indicano per l’ennesima volta che la Direzione generale di _ era perfettamente al corrente dei crediti erogati a A. (istanza, pto. B.7.2. e B.7.3).
10.3.
L’istante, ancora una volta, argomenta a torto.
Il doc. 59, infatti, riporta semplicemente il valore nominale delle cartelle ipotecarie depositate presso la sede di _, senza nulla riferire in merito al reale valore delle stesse che – come accertato dalla Corte delle assise e confermato dalla CCRP – si attestava a fr. 555'000.-, ovvero ad un importo ampiamente insufficiente per rapporto alla consistenza dei finanziamenti erogati a A.. D’altra parte, la Corte d’assise ha spiegato come lo stesso RI 1 abbia ammesso di avere erogato a A. il credito di fr. 8,8 Mio senza che vi fossero garanzie sufficienti (cfr. consid. 10.1).
Per quanto attiene all’asserita consapevolezza della Direzione generale in punto al credito erogato a A., si osserva che – anche volendo prescindere dal fatto che il doc. 63, contenuto nell’AI 52 (pag. 61 con rinvio al G-Banche 28) citato dal primo giudice (cfr. sentenza d’assise, consid. 3.3.3. pag. 111) non è nuovo – l’assunto non può giovare al ricorrente nella misura in cui esso non è suscettibile d’invalidare gli accertamenti della Corte del merito per cui le informazioni fornite da RI 1 alla Direzione erano lacunose ed inveritiere e per cui la stessa Direzione mai autorizzò l’erogazione del credito alla
_
.
11.
Nel capitolo denominato “_” l’istante produce, dapprima, i doc. 62, 64, 65 e 66, dai quali, sostiene, emerge come _ abbia ratificato l’erogazione di un credito di AUD 5'000'000.- a A. e come, dunque, egli, in quell’ambito, si sia comportato in maniera del tutto corretta e professionale (istanza, pto. B.8.1).
Rilevato che gli AUD 5'000'000.- a cui fa riferimento l’istante sono parte integrante del credito erogato a A. nell’ambito dell’operazione “_” (cfr. AI 46, perizia giudiziaria Gruppo A., capitolo _, pag. 15 e seg.), si osserva che nemmeno i summenzionati documenti sono atti ad inficiare gli accertamenti operati in merito dalla Corte delle assise (cfr. consid. 10.1). In particolare le due lettere inviate all’attenzione della _ (doc. 65 e 66) sono delle semplici richieste di garanzie che nulla dicono sull’effettiva esistenza delle stesse. Quanto alla lista di sorpasso di cui al doc. 62, dalla stessa, contrariamente a quanto sostenuto dall’istante, non risulta che _ ratificò l’erogazione di AUD 5'000'000.- (fr. 5'766'000.-) a favore di A., ma semplicemente che la richiesta di credito ancora si trovava a _ per “
la concessione”
(peraltro, mai verificatasi).
12.
Sempre nel capitolo “_” e tornando all’esame del reato di truffa, RI 1 contesta gli accertamenti posti a fondamento del dispositivo n. 1.1.2 della sentenza d’assise relativi ai finanziamenti erogati a A. per affari che egli avrebbe dovuto intraprendere in _.
12.1.
Al proposito, la Corte delle assise ha rilevato che RI 1, in data 11 agosto 1989, ha presentato una richiesta preventiva di credito per fr. 25'000'000.- a favore di A.. Tale richiesta venne successivamente completata dal segretariato crediti di _ sulla base di informazioni inveritiere fornite da RI 1. Si trattava, in particolare, del deposito fiduciario di 10 mio. quale garanzia, in realtà inesistente, dell’indicazione di una copertura del credito richiesto da parte di una primaria assicurazione elvetica, pure inesistente, e dell’affermazione che trattavasi di un finanziamento privo di rischi. Inoltre, la Corte del merito ha accertato che nel relativo verbale di credito era indicato che A. era una persona abile nella conduzione dei propri affari e competente nel settore immobiliare, mentre in realtà non disponeva di mezzi propri (sentenza d’assise, consid. 3.1.4.2 pag. 95-96; sentenza CCRP consid. 7b pag. 29-30).
12.2.
Nel suo gravame RI 1 sostiene che se lui ha presentato A. alla Banca _ come abile uomo d’affari è semplicemente perché così gli era stato dipinto da chi già intratteneva rapporti d’affari con lui, come – rileva – si evince dalla dichiarazione 5 luglio 1988 della banca _ (doc. 67).
A sostegno della sua tesi, l’istante produce lo scritto 16 agosto 1991 dell’allora giudice istruttore con il quale lo stesso magistrato chiedeva alla procuratrice pubblica l’acquisizione delle lettere di presentazione di A. rilasciate da altre banche (doc. 68). A detta dell’istante, tale richiesta, per motivi non noti, fu ignorata dalla procuratrice pubblica (istanza, pto. B.8.1).
RI 1 osserva ancora che dal verbale di cui al doc. 69 risulta che il Consiglio d’amministrazione della banca _ ratificò il credito di fr. 25'000'000.- per le operazioni in _ già il 22 agosto 1989. A detta dell’istante, inoltre, la lettera di concessione del credito (doc. 70) e il già citato doc. 62 indicano che la sede di _ aveva provveduto a comunicare a _ i parametri di erogazione del credito (istanza, pto. B.8.2).
12.3.
In relazione all’operazione Australia si osserva che la dichiarazione di cui al doc. 67 non permette certo di invalidare l’accertamento della Corte delle assise, confermato dalla CCRP, secondo cui RI 1 sapeva che A. non disponeva di mezzi propri, ritenuto come il direttore di una filiale di una banca non può certo fondarsi sulle dichiarazioni di un altro istituto di credito per convincersi dell’affidabilità di un cliente.
Questa Corte non comprende, poi, per quale motivo l’istante abbia prodotto il doc. 68. Lo stesso prova unicamente che l’allora giudice istruttore aveva chiesto all’allora procuratrice pubblica l’acquisizione di altre lettere di presentazione di A., senza però nulla riferire in merito all’effettiva esistenza e al contenuto delle stesse.
Per quanto attiene ai doc. 62, 69 e 70 ci si ripete osservando che gli stessi provano al massimo che i crediti erogati nell’ambito dell’operazione _ erano noti alla Direzione generale. I documenti, per contro, non sono assolutamente suscettibili d’inficiare gli accertamenti effettuati dalla Corte delle assise e confermati dalla CCRP, secondo cui le garanzie presentate erano inesistenti o comunque largamente insufficienti e per cui le informazioni fornite da RI 1 alla Direzione di _ erano inveritiere (cfr. consid. 12.1).
13.
Nel capitolo denominato “A. personale” l’istante, in modo invero disordinato, propone una serie di considerazioni volte a sostenere la sua tesi per cui la Direzione della Banca _ ha avallato i crediti erogati a A. e alle sue società
con piena cognizione di causa (istanza, pto. B.9).
13.1.
A tal fine RI 1 produce la conferma di cessione di credito di cui al doc. 71 e il verbale di credito di cui al doc. 72 dai quali – sostiene – emerge che la Direzione generale ed il Consiglio d’amministrazione, già prima della ratifica dei crediti avvenuta il 18 ottobre 1989, erano al corrente del credito di fr. 25'000'000.- erogato a favore di A..
Produce, altresì, un altro verbale di credito (doc. 73) che – a suo parere – prova che gli organi della banca sapevano quando le garanzie erano a disposizione o venivano ordinate, come da lui sempre sostenuto (istanza, pto. B.9.1 e B.9.2).
Sennonché il doc. 71, in sé, nulla prova e i doc. 72 e 73 – presenti nell’AI 52 G-Banche 21 citato nella sentenza d’assise (cfr. consid. 3.1.4.2 pag. 95) – erano noti alla Corte delle assise e non rappresentano, pertanto, documenti nuovi atti a sostanziare una revisione.
13.2.
L’istante produce inoltre il doc. 74 – che egli già aveva prodotto quale doc. 37 – sostenendo come dallo stesso risulti che la Direzione generale sapeva esattamente quello che succedeva a _.
Egli, infine, sostiene che il certificato di prelievo di cui al doc. 75 – relativo ad un importo di fr. 8'800'000.- prelevato da A. – non porta la sua sigla, ciò che, a suo dire, la Corte delle assise avrebbe ignorato (istanza, pto. B.9.3 e B.9.4).
Dell’inconsistenza del doc. 74 (ovvero del doc. 37) già si è detto al consid. 6.4 al quale si rinvia.
Come puntualmente osservato dal procuratore pubblico (osservazioni, pag. 6), si rileva, poi, che il doc. 75 rappresenta semplicemente il giustificativo di un prelievo da un conto intestato alla _, società facente capo a A..
Ciò che fonda il reato di cui al dispositivo n. 1.2.4 non è però il fatto che A. abbia potuto prelevare dal conto indicato nel doc. 75 l’importo summenzionato, quanto piuttosto la circostanza per cui l’importo è stato erogato dall’istante sul conto della _ senza che vi fossero le garanzie sufficienti (cfr. sentenza d’assise, consid. 3.3.4 pag. 110).
Ne discende che nemmeno il doc. 75 è rilevante ai sensi dell’art. 385 CP e dell’art. 299 lett. c CPP.
14.
Proseguendo nel suo esposto, nel capitolo “_”, RI 1 ripropone il doc. 43 che esamina il rischio globale per il Gruppo A. sulla base dell’art. 21 dell’Ordinanza sulle banche, il cosiddetto _. A detta dell’istante, da questo documento – e meglio dall’indicazione manoscritta in esso riportata – emerge come la Direzione generale non solo conosceva e ratificava l’operato della sede di _, ma anche che tale operato era stato sottoposto al Consiglio d’amministrazione al più tardi il 7 dicembre 1989 (istanza, pto. B.10).
Ora, a prescindere dal fatto che il doc. 43 già era noto alla Corte delle assise (cfr. consid. 7.3), anche se in una versione che non riporta la nota manoscritta cui fa riferimento l’istante, si osserva che lo stesso documento non è atto ad invalidare gli accertamenti posti dalla Corte delle assise a fondamento della condanna di RI 1.
Il doc. 43, infatti, consiste semplicemente in una lista dei crediti erogati a favore di A. e delle sue società. Esso, per contro, nulla dice in merito alle modalità con cui sono avvenute le richieste di credito e le relative erogazioni.
15.
Nel capitolo denominato “_” l’istante sostiene ancora che la Corte delle assise ha omesso di considerare che il Consiglio d’amministrazione della Banca _ stava per concedere a A. un credito globale di fr. 55'000'000.- che inglobava tutti i finanziamenti erogati a lui personalmente ed alle società a lui facenti capo, il cosiddetto “_”. A mente dell’istante, ciò non poteva che significare che il Consiglio d’amministrazione fosse al corrente di tutti i crediti erogati a A. e che intendeva ratificarli (istanza, pto. B.11).
A sostegno di questa tesi, l’istante produce il già citato doc. 68 con cui l’allora giudice istruttore chiedeva alla procuratrice pubblica l’acquisizione del protocollo di credito del dicembre 1989 per fr. 55'000'000.- (doc. 68 pag. 2).
Sennonché il doc. 68 rappresenta una semplice richiesta di acquisizione di documenti che nulla dice sull’esistenza e sulla rilevanza degli stessi e che, dunque, non è assolutamente suscettibile di scuotere il giudizio impugnato.
16.
Nel capitolo denominato “_”, infine, l’istante contesta la sua condanna per il reato di conseguimento fraudolento di una falsa attestazione (sentenza d’assise, consid. 4.1 pag. 117-119 e dispositivo 1.3).
16.1.
In particolare l’istante sostiene di essere l’unica persona condannata per il summenzionato reato e che gli atri soci coinvolti nella costituzione della _ – pure indagati all’epoca dei fatti – non hanno più avuto notizie del procedimento penale a loro carico. A detta dell’istante, il fatto che la procuratrice pubblica di allora lasciò cadere in prescrizione il procedimento a carico dei coimputati equivale ad una decisione di abbandono inconciliabile con la sua condanna ai sensi dell’art. 299 lett. b CPP (istanza, pto. B.12).
16.2.
In allegato alle sue osservazioni sull’istanza di revisione, il procuratore pubblico ha prodotto un decreto d’abbandono interno con annessa nota dell’allora procuratore pubblico. Dallo stesso si evince che il procedimento a carico degli altri indagati è stato abbandonato il 28 gennaio 1998 per motivi di opportunità, segnatamente in considerazione del lungo tempo trascorso e della relativa gravità del reato.
Al riguardo, nelle sue osservazioni, il procuratore pubblico ha rilevato che nel 1998 il ministero pubblico versava in gravi difficoltà a causa di un notevole accumulo di incarti e che l’abbattimento dei ritardi si realizzò anche ricorrendo a decisioni sommarie e discutibili dal profilo strettamente giuridico come quella in esame (osservazioni, pag. 7 e allegati).
16.3.
Il decreto d’abbandono 28 gennaio 1998 non può essere considerato una decisione inconciliabile con la condanna di RI 1 di cui al dispositivo n. 1.3 della sentenza d’assise. Come rilevato dal procuratore pubblico, infatti, l’abbandono non è stato motivato con l’assenza dei presupposti fattuali
del reato di cui all’art. 253 CP, ma semplicemente da ragioni di opportunità. Ritenuto, dunque, come non si possa in concreto ritenere che nei due giudizi vi siano accertamenti degli stessi fatti fra loro in palese contrapposizione, anche su questo punto l’istanza di revisione deve essere disattesa.
17.
Al pto B.13 del suo gravame RI 1 chiede l’assunzione di alcune prove. In particolare, egli chiede di acquisire dalla _ i protocolli di credito (“Kreditanträge”) della sede centrale della Banca _, la cui esistenza – a detta dell’istante – è dimostrata dalla domanda d’informazioni 22 maggio 1990 della _ al direttore (doc. 77). L’istante rileva che gli scritti possono dimostrare che egli ha sempre compiutamente informato la Direzione generale ed ha erogato i crediti a A. solo dopo aver ottenuto l’accordo di _ (istanza, pto. B.13.1).
Egli chiede, poi, di sentire i testimoni menzionati nella lista di cui al doc. 79, rilevando che l’audizione degli stessi era già stata richiesta all’epoca del processo, ma che alla richiesta “per vari motivi” mai venne dato seguito (istanza, pto. B.13.2).
Per i motivi esposti nei considerandi precedenti la revisione risulta destinata all’insuccesso, onde l’inutilità di procedere ad ulteriori atti istruttori.
D’altra parte i “Kreditanträge” cui fa riferimento il doc. 77 non possono che consistere nei “verbali di credito” allestiti da RI 1 all’attenzione della Direzione e presenti in gran numero negli atti (cfr. ad esempio l’AI 52), ritenuto che la procedura per ottenere un finanziamento, illustrata al consid. 3.1.3 pag. 84-85 della sentenza d’assise, non prevede l’allestimento di altri documenti da parte dell’organo preposto all’autorizzazione del credito.
Da tali documenti, come visto, non è assolutamente possibile dedurre che l’istante ha sempre compiutamente informato la Direzione, ritenuto come la Corte delle assise ha avuto modo di accertare che gli stessi contenevano indicazioni incomplete ed inveritiere.
Quanto ai testimoni elencati al doc. 79 si rileva che, per ammissione dello stesso RI 1, la loro audizione fu richiesta già all’epoca del processo di prima istanza e rifiutata “per vari motivi”. Ne discende che la rilevanza delle loro testimonianze fu valutata dalla Corte delle assise e che, pertanto, le loro audizioni non possono essere considerate nuovi mezzi di prova ai sensi dell’art. 385 CP e dell’art. 299 lett. c CPP.
In ogni caso si osserva che i fatti che, a detta dell’istante, i testimoni potrebbero riferire concernono elementi marginali o comunque già sconfessati dagli atti (gli ottimi rapporti che esistevano tra RI 1 e la Direzione centrale, l’esistenza della prassi delle conferme telefoniche, l’avvenuta approvazione dei crediti da parte della Direzione, cfr. doc. 79) e che, pertanto, non permettono di invalidare gli accertamenti operati della Corte delle assise e confermati dalla CCRP.
18.
Nel suo capitolo conclusivo, infine, l’istante produce una dichiarazione di una persona che seguì il processo dinanzi le assise criminali di _ a riprova del modo in cui si svolse il dibattimento e degli asseriti ambigui atteggiamenti dell’allora procuratrice pubblica e del perito giudiziario (doc. 80).
Egli chiede, poi, ancora l’assunzione di un decreto di non luogo a procedere emanato nel maggio 1990 dall’allora procuratore pubblico che – spiega l’istante – aprì all’epoca un’inchiesta sugli stessi fatti oggetto della sentenza impugnata.
Infine l’istante produce un rapporto, da lui stesso allestito su richiesta della Direzione generale e ad essa consegnato in data 8 maggio 1990 (doc. 81), dal quale – osserva – si evince come egli chiese per tutte le operazioni riguardanti A. e le sue società l’autorizzazione di _. A detta di RI 1 le sue dichiarazioni non sono mai state contraddette dalla Direzione, la quale – spiega – se avesse ritenuto che non fossero veritiere, si sarebbe tutelata contestandole (istanza, pto. B.14).
Ora, già solo per il motivo che il doc. 80 contiene una semplice opinione di una persona che seguì il processo a carico di RI 1, lo stesso non può essere considerato un mezzo di prova (Hauser/Schweri/Hartmann, op. cit., 6a edizione, Basilea 2005, § 102 n. 19) e non è, pertanto, atto a sostanziare una revisione.
Nemmeno il doc. 81 è atto ad intaccare il giudizio della Corte delle assise. Le annotazioni di RI 1 in esso contenute, infatti, per ammissione dello stesso istante, risalgono ad un periodo precedente l’inchiesta penale, quando ancora i particolari sul suo operato non erano noti e quando, dunque, la Direzione della Banca _ ancora non sapeva di quanto effettivamente successo.
Per quanto concerne, infine, il decreto di non luogo a procedere asseritamente emanato dall’ex procuratore pubblico _ si osserva che, anche in questo caso, non si giustifica di procedere ad ulteriori atti istruttori. Anche prescindendo, infatti, dall’osservazione del procuratore pubblico, secondo cui il decreto in questione nemmeno esiste (osservazioni, pag. 8), lo stesso si rivelerebbe in ogni caso poco significativo, ritenuto che sarebbe comunque stato emesso prima che i fatti alla base della condanna di RI 1 potessero essere debitamente accertati.
Da quanto precede discende che l’istanza di revisione deve essere disattesa, siccome manifestamente infondata.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza e sono posti a carico dell’istante (art. 15 cpv. 1 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,010 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8a48f8dc-c5a0-5fb3-8572-e2e50404ee3b
|
in fatto: A.
Con decreto d’accusa 10.11.2008, il sost. procuratore pubblico ha dichiarato RI 2 autore colpevole di lesioni semplici per avere, il 16.9.2007, presso il _ – del cui staff di sicurezza faceva parte – colpito RI 1 con dei pugni al volto causandogli escoriazioni multiple e la frattura dell’osso nasale e ne ha proposto la condanna alla pena pecuniaria di 15 aliquote giornaliere da fr. 120.- cadauna – pena sospesa condizionalmente con un periodo di prova di 2 anni – e alla multa di fr. 500.-.
B.
Statuendo sull’opposizione presentata dal prevenuto, il pretore, con sentenza 13 maggio 2009, lo ha prosciolto dall’imputazione che gli era stata rivolta.
C. RI 1
, costituitosi parte civile, ha tempestivamente impugnato tale sentenza. Sostenendo arbitrio nell’accertamento dei fatti e errata applicazione del diritto ai fatti (in particolare, un’errata applicazione degli art. 123 cifra 1, 15 e 16 CP), egli chiede, con l’annullamento della sentenza impugnata, che RI 2 venga dichiarato autore colpevole di lesioni semplici e venga condannato così come proposto con il DA.
D.
Con scritto 20 luglio 2009, il sost. PP, senza formulare particolari osservazioni, ha dichiarato di ritenere corrette le argomentazioni giuridiche sviluppate dal ricorrente e, pertanto, di associarsi ad esse ed a quanto da questi postulato.
E.
RI 2, con osservazioni 10 agosto 2009, ha chiesto la reiezione del gravame.
|
Considerando
in diritto: 1.
Giusta l’art. 288 CPP, il ricorso per cassazione può essere presentato per errata applicazione del diritto sostanziale ai fatti posti a base della sentenza (lett. a), per vizi essenziali di procedura, purché il ricorrente abbia eccepito l’irregolarità non appena possibile (lett. b) e per arbitrio nell’accertamento dei fatti (lett. c).
L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP) ritenuto che arbitrario non significa manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata, né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 173 consid. 3.1 pag. 178, 128 I 273 consid. 2.1 pag. 278).
2.
Nel suo allegato, il ricorrente rimprovera al primo giudice di essere caduto in arbitrio nell’accertamento di diversi fatti. Tuttavia, per la maggior parte delle censure che il ricorrente definisce di arbitrio nell’accertamento dei fatti si tratta, in realtà, di contestazioni relative all’applicazione del diritto. Di natura fattuale è soltanto la contestazione secondo cui il giudice ha arbitrariamente accertato che lui si trovava senza diritto sulla balconata del casinò.
2.1.
Il primo giudice ha accertato, sulla scorta della documentazione in atti (in particolare, AI1 e allegati), che RI 1 ha avuto, in passato, seri problemi in relazione al gioco d’azzardo per cui egli è, dapprima, stato diffidato dal frequentare il _ e, poi, per non avere aderito ad una procedura di sensibilizzazione, in data 6 novembre 2006, è stata emanata nei suoi confronti una decisione d’esclusione valida per tutti i casinò svizzeri e di durata indeterminata (sentenza impugnata, consid. 1 pag. 3).
Riguardo il _, il primo giudice ha precisato che, ancorché il check-in degli avventori avvenga unicamente all’ingresso della sala da gioco, “
il divieto d’entrata previsto dalle diffide concerne tutti gli spazi esistenti nel casinò e quindi anche il ballatoio
”, intendendo con ciò che tale divieto riguarda pure la balconata che viene utilizzata anche dai clienti intenzionati ad accedere unicamente al ristorante. A questa terrazza interna – ha precisato il primo giudice – si può accedere liberamente ed essa non è munita né di vetri né di altri ripari analoghi, “
in modo che dalla stessa si può comunicare e interagire con chi si trova negli spazi sottostanti a giocare”
(sentenza impugnata, consid. 2 pag. 3).
Dopo avere rilevato che il divieto d’entrata era in vigore anche al momento dei fatti e che, perciò, RI 1, quella sera, “
non avrebbe potuto entrare in nessuna casa da gioco sita sul territorio della Confederazione
”, il primo giudice ha accertato che questi, invece, si trovava sulla balconata di cui s’è detto sopra e “
tramite gesti e parole istruiva un complice che era impegnato al tavolo da gioco della roulette nel locale sottostante, orientandolo sui numeri e sui colori sui quali puntare
” (sentenza impugnata, consid. 3 pag. 4).
2.2.
Nel suo allegato, dopo avere sottolineato che l’art. 24 della legge federale sul gioco d’azzardo e sulle case da gioco prevede che la casa da gioco deve accertarsi dell’identità dei giocatori prima di autorizzarli ad entrare, il ricorrente sostiene che “
se la balconata in cui si trovava RI 1 faceva già parte della casa da gioco, significa che la _ (...) è in evidente violazione della LF
”. Pertanto – conclude, dopo una serie di digressioni, il ricorrente – lui “
era assolutamente legittimato a pensare che lo spazio fuori dal check-in (postazione di controllo dei documenti) non appartenesse al _”
(ricorso pag. 8-10).
2.3.
L’argomentazione relativa ad una pretesa violazione della LF sulle case da gioco da parte del _ è assolutamente inconferente: quand’anche essa fosse fondata, la cosa non gioverebbe al ricorrente.
Quel che conta ai fini della valutazione delle responsabilità di RI 2 è l’accertamento del primo giudice secondo cui, oggettivamente, in forza del divieto d’entrata, RI 1 non aveva più il diritto di entrare in una casa da gioco svizzera, che la balconata fa parte della casa da gioco e che RI 1, perfettamente consapevole del divieto d’entrata nelle case da gioco, vi si trovava.
Questo accertamento è rimasto incontestato.
Le argomentazioni ricorsuali cadono nel vuoto anche se – per ipotesi – con esse il ricorrente intendeva far valere un errore sui fatti ai sensi dell’art. 13 CP (non espressamente invocato). E’, infatti, evidente che egli non era sulla balconata come un cliente interessato ad accedere al ristorante oppure interessato soltanto a curiosare ma era lì per giocare: pertanto, di fatto e coscientemente, egli usava la balconata come una propaggine della casa da gioco. In queste condizioni, egli non può dignitosamente pretendere di essere stato convinto di poter accedere alla balconata.
3.
Passando, al di là della terminologia usata, alle censure di diritto, il ricorrente contesta, dapprima, le considerazioni del primo giudice sulla questione a sapere se le lesioni da lui subite vanno, o meno, qualificate quali lesioni ai sensi dell’art. 123 cifra CP.
3.1.
Rilevato che
“i certificati medici (...) attestano solo delle escoriazioni e una frattura composta dell’osso nasale, (...) il tutto curabile senza particolari terapie e con normali analgesici non curativi (Dafalgan) e del ghiaccio”
, il primo giudice ha osservato che le fotografie in atti mostrano
“unicamente dei graffi, delle ferite sul viso”
che ha ritenuto essere delle
“tipiche contusioni, inizialmente di colore violastro e che con i giorni, in via di guarigione mutano la colorazione in giallo”
. Pertanto, considerato ancora che RI 1
“si è recato all’ospedale ma dal nosocomio è stato subito dimesso”
senza che si rendessero necessarie
“particolari cure mediche essendo curabile con del semplice ghiaccio e con un medicamento per calmare il dolore”
e che nemmeno
“è stata comprovata (nonostante un’espressa richiesta in tal senso al dibattimento) un’incapacità lavorativa”
, il pretore ha concluso che
“l’intensità
(ndr: delle lesioni subite)
non può essere considerata sufficientemente grave per concludere che i presupposti oggettivi dell’art. 123 CP siano adempiuti”
(sentenza impugnata, consid. 7, pag. 6).
3.2.
Nel suo allegato, il ricorrente sostiene che il primo giudice, in questa sua conclusione, ha misconosciuto la giurisprudenza da lui stesso citata e, in particolare, la DTF 119 IV 25 consid. 2 in cui il TF ha, fra l’altro, precisato che sussistono lesioni semplici quando vengono inflitti danni o ferite, sia esterne che interne, quali ad esempio, fratture d’ossa senza complicazioni e che guariscono completamente. Sbagliata é, dunque, in diritto la conclusione secondo cui la frattura dell’osso del naso da lui patita non realizza gli estremi oggettivi dell’art. 123 CP (ricorso pag. 3-6).
3.3.
Non è necessario dilungarsi per spiegare come la tesi ricorsuale sia su questo punto fondata. In effetti, in forza di una consolidata giurisprudenza del TF (cfr, per tutte,
DTF 134 IV 189; 127 IV 59;
119 IV 25), una frattura dell’osso nasale guaribile senza complicazioni deve essere considerata una lesione semplice ai sensi dell’art. 123 cifra 1 CP. Irrilevante è, in un caso come quello in esame, che la vittima non abbia dovuto essere ospedalizzata e che non abbia comprovato un’incapacità lavorativa.
4.
Continuando nel suo esposto, il ricorrente contesta le valutazioni del primo giudice relative al nesso causale adeguato fra il pugno con cui RI 2 lo ha colpito e le lesioni da lui patite.
4.1.
Il primo giudice ha ritenuto che, in concreto,
“difetta un ulteriore elemento oggettivo del reato di lesioni semplici, ovvero il rapporto di causalità che deve intercorrere fra il comportamento dell’autore e le lesioni corporali semplici subite dalla vittima”
poiché l’istruttoria ha permesso di chiarire che RI 1
“è stato tutt’altro che inerte nella lite, siccome è stato proprio lui a provocare la reazione della guardia di sicurezza, sferrandole un pugno senza particolare giustificazione”
. Questa circostanza – continua il pretore –
“costituisce il tipico fattore interruttivo del rapporto di causalità adeguata, per colpa grave della vittima”
(sentenza impugnata, consid. 8 pag. 6 e 7).
4.2.
Il ricorrente, rilevando come secondo l’andamento normale delle cose e l’esperienza generale della vita, colpire ripetutamente una persona al viso è un atto proprio a produrre un danno come quello da lui subito, afferma come non si possa assolutamente comprendere “
cosa c’entri, nel rapporto di causalità, il comportamento della vittima così come sviluppato nella sentenza impugnata
” (ricorso pag. 6 e 7).
4.3.
Si ha un nesso di causalità adeguata fra il comportamento dell’agente e l’evento
quando il primo, non soltanto concorre causalmente a produrre il secondo, ma è anche idoneo, secondo il
corso normale delle cose e l'esperienza generale, a produrre o
perlomeno a favorire un effetto di quel tipo (DTF 130 IV 7 consid. 3.2 pag. 10, 127 IV 62 consid. 2d pag. 65, 126 IV 13 consid. 7a/bb pag. 17; sentenze del Tribunale federale 6S.297/2003 del 14 ottobre 2003, consid. 4 pag. 8 e 6S.54/2002 del 27 giugno 2002, consid. 4.2 pag. 4; DTF 129 V 181 consid. 3.2 e 405 consid. 2.2, 125 V 461 consid. 5a, DTF 117 V 361 consid. 5a e 382 consid. 4a e sentenze ivi citate).
Perché un comportamento possa, dunque, essere considerato responsabile di un determinato evento ne va accertata l’idoneità causale generale (e non solo in relazione al caso concreto), tenendo conto che l’idoneità generale può essere data anche in relazione a conseguenze eccezionali: una causa non è, infatti, da ritenersi generalmente adeguata soltanto quando provoca spesso o addirittura regolarmente il tipo d’evento considerato poiché se un comportamento è in sé atto a produrre un simile risultato, l’eccezionalità di quest’ultimo non influisce sull’adeguatezza del nesso causale. Si deve, cioè, ammettere l’adeguatezza del nesso causale nonostante la singolarità dell’effetto se questa singolarità è soltanto quantitativa, cioè se un simile effetto ricorre con rara frequenza. Non si può, invece, prescindere dall’idoneità qualitativa (DTF 113 V 307).
In sintesi, si può ammettere che un atto o un comportamento che costituisce la
conditio sine qua
non di un evento ne è pure la causa adeguata – vale a dire che è generalmente idoneo a provocarne o favorirne la realizzazione – quando un osservatore neutrale, vedendo l’autore agire, può prevedere che il suo comportamento avrà verosimilmente le conseguenze che si sono, effettivamente, realizzate (Graven, L’infraction pénale punissable, II.
ed, Berna 1995, pag. 91; Hurtado Pozo, Droit pénal, Partie générale, Zürich-Bâle 2008, pag. 170 n. 505).
Altrimenti detto, il nesso causale adeguato manca quando la conseguenza della causa naturale non trova spazio nella comune esperienza di vita, così da risultare imprevedibile (Basler Kommentar, ad art. 12 n. 74; Hurtado-Pozo, op. cit., pag. 170 e s.). Determinare se il comportamento dell'autore era idoneo a provocare o a favorire l'evento significa, dunque, stabilire se un osservatore imparziale, vedendo l'autore agire nelle circostanze del caso, avrebbe potuto dedurre che tale comportamento avrebbe avuto le conseguenze che si sono effettivamente realizzate, anche senza prevedere il susseguirsi di tutti gli elementi della catena causale (DTF 91 IV 117 consid. 3 pag. 120, 86 IV 153 consid. 1 pag. 155).
L’adeguatezza viene meno, e il concatenamento dei fatti perde la sua rilevanza giuridica, quando un'altra causa concomitante, come ad esempio la colpa di un terzo o della vittima, sopravvengono senza poter essere previste. Il carattere imprevedibile della concausa o della concolpa non è in sé sufficiente per interrompere il nesso di causalità: la concausa o la concolpa deve avere un peso tale da risultare l'origine più probabile e immediata dell'evento considerato e relegare in secondo ordine tutti gli altri fattori, in particolare, il comportamento dell'autore (DTF 130 IV 7 consid. 3.2 pag. 10, 127 IV 62 consid. 2d pag. 65, 126 IV 13 consid. 7a/bb pag. 17, 122 IV 17 consid. 2c/bb pag. 23, 121 IV 27 consid. 2a pag. 213; sentenze del Tribunale federale 6S.297/2003 del 14 ottobre 2003, consid. 4 pag. 8 e 6S.54/2002 del 27 giugno 2002, consid. 4.2 pag. 4 e 5).
La causalità adeguata è un tema di diritto che questa Corte – come il Tribunale federale – esamina con pieno potere cognitivo (DTF 121 IV 207 consid. 2a e rinvii pag. 213).
4.4.
Anche su questo punto la tesi ricorsuale è palesemente fondata.
Come indicato al considerando precedente, un comportamento è atto a provocare un determinato evento e, quindi, va ammessa l’adeguatezza del nesso causale fra il primo e il secondo quando un osservatore neutrale, vedendo l’autore agire, può prevedere che il suo comportamento avrà le conseguenze che si sono, effettivamente, realizzate.
In concreto, l’adeguatezza del nesso causale fra il comportamento dell’accusato e le lesioni patite dalla vittima non fa dubbio: non ha da essere dimostrato – poiché è praticamente lapalissiano – che colpire una persona al volto con più pugni (così come lo stesso RI 2 ha ammesso di avere fatto, cfr. interrogatorio 20.9.2007 pag. 2) è un comportamento in sé atto a provocare le lesioni che RI 1 ha patito (che erano, quindi, prevedibili per qualsiasi osservatore esterno).
Il fatto che – come ritenuto dal primo giudice – RI 2 abbia colpito perché provocato dalla vittima è questione totalmente irrilevante nel contesto della valutazione dell’adeguatezza del nesso causale. Ammettere che il pugno dato da RI 1 ha interrotto il nesso causale significa ammettere che questo suo pugno ha avuto un peso tale nella catena causale da togliere completamente (o quasi) valenza causale ai pugni con cui RI 2 ha colpito il volto (e, in particolare, il naso) di RI 1. Cioè, significa arrivare a concludere – in un assunto degno del teatro dell’assurdo – che la causa più probabile e immediata della frattura del naso di RI 1 è stato il pugno che quest’ultimo ha assestato a RI 2.
In realtà, il pugno sferrato da RI 1 é da considerare e valutare per l’ammissione di un eventuale stato di legittima difesa o, più in là, nella valutazione della colpa e, quindi, nella commisurazione della pena.
5.
Infine, il ricorrente sostiene che il giudice di prime cure ha sbagliato ammettendo che RI 2 ha colpito RI 1 in stato di legittima difesa.
5.1.
Il pretore ha considerato che RI 2 ha agito per legittima difesa poiché
“è intervenuto nei confronti di una persona, che non solo non era legittimata a rimanere nel casinò, ma che (...) si è anche rifiutata di collaborare con gli addetti di sicurezza, proferendo contro di loro e per almeno un’ora pesanti insulti assolutamente fuori luogo e ingiustificati”
. Così – ha ritenuto il primo giudice – è evidente che è stato RI 1 (che, dopo gli insulti, ha sferrato un pugno
“contro chi quella stessa sera aveva lo scopo di garantire la sicurezza”
) a mettere l’accusato
“nella necessità di dovere reagire ad un attacco e ad un’aggressione illeciti in corso contro di lui, contro i colleghi e contro il datore di lavoro”
(sentenza impugnata, consid. 9 pag. 8).
Il pretore ha, poi, considerato che nella sua reazione RI 2 ha rispettato il principio di proporzionalità poiché tale reazione “
pur non essendo certo stata esemplare, è comunque da ritenere adeguata al suo stato d’animo, alle circostanze e, ciò che conta, unicamente finalizzata a respingere la reiterata ed ingiusta aggressione messa in atto dal RI 1, che non aveva nessun motivo di attaccare l’accusato, ma che aveva invece il dovere di obbedire a ciò che gli addetti della sicurezza gli richiedevano di fare
” (sentenza impugnata, consid. 10 pag. 8).
5.2.
Il ricorrente contesta le citate valutazioni rilevando, in particolare, che risulta dalla deposizione di _, collega di RI 2, che RI 1, dopo avere dato il pugno che ha colpito RI 2 solo di striscio, ha iniziato a scappare e che RI 2 lo ha inseguito e, soltanto in seguito, lo ha colpito
.
E’
“perlomeno paradossale
– afferma il ricorrente – “
che chi si sente minacciato rincorra il suo aggressore
”. Inoltre – continua il ricorrente – la reazione di RI 2 è stata sproporzionata poiché ad un pugno che lo ha colpito solo di striscio ha risposto con ripetuti colpi al viso che hanno causato la rottura composta dell’osso nasale ed escoriazioni multiple (ricorso pag. 7-10).
5.3.
In forza dell’art. 15 CP (v. pure art. 33 cpv. 1 vCP), ognuno ha il diritto di respingere in modo adeguato alle circostanze un’aggressione ingiusta o la minaccia ingiusta di un’aggressione imminente fatta a sé o ad altri (legittima difesa esimente).
La situazione di legittima difesa presuppone un attacco incombente o già in corso, ma non concluso (DTF 106 IV 12 consid. 2a pag. 14). Questa
condizione non è realizzata se l’attacco è cessato o se non sono dati ancora i presupposti perché si realizzi
. C’è minaccia imminente di un’aggressione quando segni concreti di pericolo incitano alla difesa. La sola prospettiva che una contesa verbale possa finire in vie di fatto non basta. Colui che si pretende minacciato deve provare l’esistenza di circostanze proprie a fargli credere che si trovava in uno stato di legittima difesa. È il caso quando l’aggressore adotta un comportamento minaccioso, si prepara allo scontro
o gesticola in modo da far pensare che egli passerà all’atto, metterà, cioè, in pratica la sua minaccia (DTF 93 IV 81 consid. a pag. 83-84
).
Per verificare se la difesa è stata proporzionata, occorre valutare l’insieme delle circostanze del caso concreto. In particolare, va valutata la gravità dell’attacco, il bene giuridico protetto o minacciato, i mezzi di difesa utilizzati e il modo in cui questi mezzi sono stati utilizzati (DTF 107 IV 12 consid. 3a). La difesa è da considerarsi eccessiva quando è diretta, non tanto o non solamente a proteggere il bene giuridico minacciato o attaccato, quanto piuttosto a punire l’autore dell’attacco (DTF 109 IV 5 consid. 3).
Se chi respinge un’aggressione eccede i limiti della legittima difesa secondo l’articolo 15, il giudice attenua la pena (legittima difesa discolpante, art. 16 cpv. 1 CP; art. 33 cpv. 2 prima frase vCP).
Chi eccede i limiti della legittima difesa per scusabile eccitazione o sbigottimento non agisce in modo colpevole (
art. 16 cpv. 2 CP).
L’autore dell’eccesso va dichiarato non colpevole (cfr. 16 cpv. 2 CP; in precedenza andava esente da pena) solo se l’aggressione di cui è vittima costituisce l’unica causa o, almeno, la causa preponderante dell’eccitazione o dello sbigottimento che le modalità e le circostanze dell’aggressione fanno apparire scusabile. Come nel caso di omicidio passionale, è lo stato di eccitazione o di sbigottimento che deve essere scusabile, non l’atto con cui l’aggressione è respinta. La legge non precisa oltre l’intensità dello stato in cui si deve trovare l’autore. Non è necessario che raggiunga quella della violenta commozione dell’animo richiesta dall’art. 113 CP, ma deve nondimeno assumere una certa importanza. Spetta al giudice valutare di caso in caso se l’eccitazione o lo sbigottimento erano tali da giustificare l’esenzione da pena nonché determinare se le modalità e le circostanze dell’aggressione facevano apparire scusabile lo stato in cui si trovava l’autore. Il giudice dovrà mostrarsi tanto più severo quanto più dannoso o pericoloso appaia l’atto difensivo. Non è, comunque, necessario che la reazione difensiva non sia imputabile a colpa: è sufficiente che una pena non si imponga. Malgrado la formulazione assoluta della legge, il giudice fruisce di un certo potere d’apprezzamento (
DTF 102 IV 1
consid. 3d pag. 7; sentenza del Tribunale federale del 14 aprile 1987 pubblicata in SJ 1988 pag. 121 consid. 4).
5.4.
In concreto, gli accertamenti fatti dal primo giudice sono insufficienti per stabilire se, effettivamente, RI 2 fosse in una situazione di legittima difesa e, se sì, se egli abbia o meno ecceduto in tale suo diritto.
In effetti, il giudice di prime cure si è limitato ad accertare che
“ad un certo punto, (..) RI 1 è passato dalle parole ai fatti (...) e mentre sembrava che se ne voleva andare...ha tirato un pugno sul viso all’accusato”
e che, poi,
“è nata una colluttazione non di certo riconducibile al comportamento delle guardie di sicurezza”
(sentenza impugnata, consid. 5 pag. 5) e, quindi, dopo avere più volte ribadito che il responsabile di tutto è stato RI 1, si è ancora una volta limitato ad affermare genericamente che
“gli addetti alla sicurezza hanno fino alla fine improntato il loro intervento nel rispetto del principio della proporzionalità”
(sentenza impugnata, consid. 10 pag. 8).
Ciò che andava, invece, fatto era l’accertamento puntuale di quanto effettivamente è successo dopo che RI 1 colpì con un pugno di striscio RI 2.
Cioè, andava accertato se i fatti si svolsero come indicato da RI 1 e, cioè, che lui, dopo avere insultato un addetto alla sicurezza, si diede alla fuga ma venne inseguito, buttato a terra e picchiato (verbale 16.9.2007 pag. 2). Oppure se, invece, si svolsero come indicato da RI 2 e, cioè, che lui, dopo essere stato colpito di striscio da RI 1, reagì “
colpendolo ripetutamente al viso
” (verbale RI 2 20.9.2007 pag. 2). O, infine, se invece le cose sono andate come dichiarato alla polizia dal collega dell’imputato, e meglio che RI 1, dopo avere colpito RI 2, “
ha cominciato a scappare
” e che RI 2 “
lo ha inseguito e sono caduti a terra
” dove c’è stata una “
colluttazione
” (verbale _ 20.9.2007 pag. 2; nel verbale relativo al suo interrogatorio in aula, su questo punto, non risulta nulla di preciso e, perciò, nulla di concludente: “
ha tirato un pugno e il mio collega ha avuto una reazione immediata e d’istinto
”).
In queste condizioni, gli atti vanno rinviati ad un nuovo giudice affinché accerti con la dovuta accuratezza come sono andate le cose dopo che – unica cosa che per ora è stata chiaramente accertata – RI 1 ha sferrato il pugno che ha colpito di striscio RI 2.
Non ha da essere spiegato, infatti, che la valutazione giuridica circa la sussistenza di uno stato di legittima difesa è diversa a seconda che RI 2 abbia colpito subito dopo essere stato colpito con – per ipotesi – un RI 1 pronto a colpire ancora oppure che abbia colpito soltanto dopo avere inseguito e raggiunto RI 1 che era scappato dopo avergli sferrato il pugno.
Occorrerà, poi, procedere ad una rigorosa valutazione delle circostanze di fatto accertate onde stabilire se, al momento in cui ha colpito “
ripetutamente al viso
” RI 1 (verbale RI 2 20.9.2007 pag. 2), RI 2 stava subendo un attacco ai sensi dell’art. 15 CP o se invece l’attacco era già terminato. Dovesse essere concluso che l’attacco era ancora in atto o era imminente, si dovrà determinare se la sua reazione di difesa – e cioè, se l’avere colpito “
ripetutamente al viso
” - è stata una reazione adeguata e proporzionata alle circostanze.
6.
Visto l’esito del ricorso, gli oneri processuali vanno caricati allo Stato (art. 15 cpv. 2 CPP), che verserà fr. 1'000.- a RI 1 per ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,009 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8aab9f76-d22e-53d7-8f9b-ab6d7ddbb4c8
|
in fatto: A.
Il 19 febbraio e il 3 marzo 1997 la ditta di spedizioni _ ha dichiarato all'ufficio doganale di _, per ordine di _, direttore della divisione esportazioni presso la ditta _, società cooperativa a garanzia limitata con sede a _, due partite di formaggio Provolone “P X 6 Dolce”, designandolo come “conforme al GATT” alla voce tariffaria “0406.9039/esente”. In seguito a esami su due campioni di tale formaggio per analisi e verifica della classificazione, l'ufficio doganale di importazione ha rilevato un tenore di acqua del 60.1% per la prima partita e del 58.6% per la seconda, superiore al limite del 54% ammesso per i formaggi a pasta dura. Esso ha proceduto perciò allo sdoganamento definitivo delle due partire di Provolone quale “altro formaggio a pasta semidura” gusta la voce tariffaria 0406.9091.
B.
Il 2 aprile 1997 la Direzione delle dogane di Lugano ha redatto un processo verbale finale nei confronti di _, ritenendolo autore colpevole di contravvenzione all'art. 74 n. 6 LD e infrazione ai divieti contenuti nell'art. 76 n. 1 LD (RS 631.0) per avere erroneamente munito di certificato di conformità GATT le due note partite di Provolone. La differenza fra il tasso applicabile secondo la voce di tariffa dichiarata (0406.9039) e quella accertata (0406.9091) dava un supplemento di dazio pari a fr. 5'060.95 e un'imposta sul valore aggiunto di fr. 101.20. Con scritto del 2 aprile 1997 _ ha contestato l'infrazione, sostenendo che secondo le norme GATT/ OMC occorre distinguere due tipi di Provolone, l'uno a pasta morbida e l'altro a pasta dura, sicché il Provolone a pasta morbida dev'essere classificato tra i formaggi a pasta semidura, il cui tenore di acqua non supera il 62%. Egli ha anche sollecitato un complemento di inchiesta.
C.
In applicazione dell'art. 124 dell'ordinamento della legge sulle dogane (OLD: RS 631.01), il 22 maggio 1997 la Direzione del
IV circondario delle dogane ha emanato una decisione di accertamento secondo cui, per essere classificato alla voce tariffaria pretesa da _ (0406.9039), il Provolone oggetto dei due invii avrebbe dovuto presentare le caratteristiche di un formaggio a pasta dura, come richiede la convenzione internazionale del 1°giugno/18 luglio 1951 sull'uso delle designazioni d'origine e delle denominazioni dei formaggi (Convenzione di Stresa: RU 0.817.142.1), elenco B. Non rientrando tra i formaggi a pasta dura (fino al 54% di tenore di acqua nel formaggio sgrassato), il prodotto in questione avrebbe dovuto essere classificato alla voce tariffaria 0406.9091 come “altro formaggio a pasta semidura”, assoggettato al dazio di fr. 298.60 ogni 100 kg di peso lordo, per un importo complessivo di fr. 5'050.96.
D.
Contro la decisione appena citata _ è insorto con ricorso del 18 giugno 1997 alla Direzione generale delle dogane, ribadendo che il Provolone è un formaggio a pasta semplice semidura esente da dazi doganali. La Direzione generale delle dogane ha respinto il ricorso con decisione del 24 settembre 1998, rilevando che il Provolone è un formaggio a pasta dura e che le due partite sdoganate, presentando un tenore di acqua nel formaggio sgrassato superiore al 54%, dovevano essere classificate alla voce tariffaria 0406.9091 (“altri formaggi a pasta semidura”). Adita da _ con ricorso del 23 ottobre 1998, il 27 gennaio 2000 la Commissione federale di ricorso in materia doganale ha confermato la decisione impugnata. Tale pronuncia è passata in giudicato.
E.
Con decreto penale del 17 dicembre 2000 la Direzione generale delle dogane ha ritenuto _ autore colpevole per negligenza di contravvenzione all'art. 74 n. 6 LD e di infrazione ai divieti contenuti all'art. 76 n. 1 LD, condannandolo a una multa di fr. 1'700.–, poi ridotta a fr. 1'000.– con decisione del 23 ottobre 2002 in seguito a opposizione dell'accusato. Questi ha nondimeno chiesto che il suo caso fosse giudicato da un tribunale.
F.
Con sentenza del 1° luglio 2003 il giudice della Pretura penale ha confermato sia l'imputazione sia la proposta di pena (ridotta) figuranti nel decreto penale. Contro tale sentenza _ è insorto con ricorso del 24 luglio 2003 alla Corte di cassazione e di revisione penale, postulando la sua assoluzione. Il ricorso non ha formato oggetto di intimazione.
|
Considerando
in diritto: 1.
Giusta l'art. 80 cpv. 1 della legge federale sul diritto penale amministrativo del 22 marzo 1994 (DAP), applicabile alla fattispecie (art. 80 cpv. 1 LD), i rimedi giuridici previsti dal diritto cantonale sono ammissibili anche nelle cause penali deferite al giudizio di un tribunale cantonale secondo l'art. 73. A norma dell'art. 80
cpv. 2 DAP, anche il Procuratore generale e l'amministrazione interessata possono, ciascuno a titolo indipendente, avvalersi di tali rimedi giuridici. Essi devono presentare l'impugnazione entro 20 giorni dalla notifica dei considerandi scritti, davanti all'autorità cantonale competente nella forma prevista dal diritto di procedura cantonale.
2.
Nella fattispecie il ricorrente ha presentato il ricorso entro 20 giorni dalla notifica della sentenza motivata, come indicatogli dal primo giudice sia al momento di comunicare oralmente i dispositivi della propria decisione (si veda il verbale del dibattimento), sia al momento di notificare la sentenza scritta. Se non che, tale possibilità compete unicamente al Procuratore generale della Confederazione e all'amministrazione interessata, non all'accusato, il quale rimane soggetto al diritto cantonale (art. 80 cpv. 1 DAP). E secondo il Codice di procedura penale ticinese la sentenza della Pretura penale può essere impugnata con ricorso per cassazione, a condizione che l'imputato dichiari per scritto di voler ricorrere entro cinque giorni dalla comunicazione orale dei dispositivi (art. 276 cpv. 2 CPP e art. 289 cpv. 1 CPP, cui rinvia l'art. 278 cpv. 2 CPP) e presenti la motivazione scritta del ricorso entro 20 giorni dalla notifica della sentenza motivata (art. 289 cpv. 2 CPP, cui rinvia l'art. 278 cpv. 2 CPP). Il ricorrente ha ottemperato soltanto al secondo requisito, mentre ha omesso la dichiarazione di ricorso nei cinque giorni susseguenti la comunicazione orale dei dispositivi della sentenza. È vero che egli si è attenuto all'indicazione dei rimedi giuridici data dal primo giudice. Ci si deve domandare perciò se egli debba essere protetto nella sua buona fede, pur essendo dottore in legge. Nel dubbio, tenuto conto anche del fatto che la differenza tra rimedi giuridici riservati all'imputato (art. 80 cpv. 2 DAP) – da un lato – e rimedi giuridici offerti al Procuratore generale della Confederazione e all'amministrazione interessata – dall'altro – non appare ovvia, ci si deve attenere alla soluzione più favorevole all'accusato. Il gravame va quindi esaminato nel merito.
3.
Il ricorrente contesta anzitutto la sentenza impugnata nella misura in cui gli imputa l'infrazione doganale, affermando che in base allo statuto della società la rappresentanza legale in giudizio spetta anche al presidente della cooperativa indagata e che tutti i ricorsi introdotti e le decisioni adottate dalle autorità doganali riguardano la ditta. Egli spiega che le sue funzioni erano quelle di export manager, impegnato a vendere all'estero i formaggi dell'azienda, mentre non era suo compito controllare fisicamente la spedizione all'estero dei prodotti. L'argomentazione è di poco rilievo. A prescindere dal fatto che i procedimenti che hanno preceduto l'emanazione del decreto penale riguardano il ricorrente in persona, quest'ultimo trascura che, secondo i vincolanti accertamenti del giudice della Pretura penale (art. 288 cpv. 1 lett. c e 295 cpv. 1 CPP), egli ha infranto la legge nella sua veste di direttore delle esportazioni, responsabile come tale delle dichiarazioni inveritiere circa la natura del prodotto (sentenza, pag. 6). A tale conclusione il primo giudice è giunto fondandosi sull'interrogatorio del 2 aprile 1997, nel corso del quale l'accusato ha dichiarato espressamente di essere il direttore d'esportazione della ditta Casearia _, di essere il responsabile del settore amministrativo per quanto riguarda l'esportazione verso la Svizzera, di essere a conoscenza delle disposizioni relative al tenore di acqua ammesso nei formaggi a pasta dura e di sapere che la dogana elvetica sdogana il formaggio sulla base della fattura emessa dal venditore. Sostenere la propria estraneità ai fatti in circostanze del genere non è serio.
4.
Il ricorrente rimprovera poi al giudice della Pretura penale di non avere avuto corretta nozione della Convenzione di Stresa, e in particolare di avere frettolosamente affermato che per essere esente da dazio il Provolone oggetto delle due spedizioni avrebbe dovuto presentare le caratteristiche di un formaggio a pasta dura. A suo parere invece simile convenzione non fa riferimento al tipo di pasta del Provolone, le cui caratteristiche sono chiaramente stabilite dalla decisione n. 7 della Convenzione stessa, adottata il 5 novembre 1956. Tale equivoco sarebbe da mettere in relazione al fatto che, per motivi di opportunità, dal 1986 le autorità doganali svizzere interpreterebbero a modo loro la portata della Convenzione, designando il Provolone con umidità superiore al 54% come formaggio a pasta dura nel chiaro intento di assoggettarlo al gravoso dazio di fr. 298.50 per 100 kg e renderlo economicamente svantaggioso. Ciò contrasta, per quanto riguarda le caratteristiche del Provolone, con quanto prevede la citata decisione n. 7 della Convenzione, il cui testo si riporta integralmente a quello della legge italiana n. 125 del 1954, in ottemperanza all'art. 4 della Convenzione, il quale precisa che le caratteristiche dei formaggi sono fissate dai paesi d'origine. Confrontando i due testi – assevera il ricorrente – si rilevano contraddizioni, omissioni e aggiunte finalizzate a designare il Provolone come formaggio a pasta dura per ostacolare l'importazione di un formaggio a pasta tipicamente semidura. In altre parole, le autorità svizzere avrebbero sottoposto il Provolone oggetto delle spedizioni a un dazio doganale attribuendo a esso caratteristiche non confortate dal diritto internazionale.
a)
Stabilito che in concreto il ricorrente non ha agito con intenzione, ma per negligenza, il primo giudice ha rilevato che non era più possibile entrare nel merito delle contestazioni dell'accusato. A suo modo di vedere, in effetti, non era più possibile ridiscutere né la classificazione del formaggio secondo la Convenzione di Stresa, né l'interpretazione data dalle autorità doganali svizzere alla decisione n. 7 con cui il Consiglio permanente per l'applicazione di tale accordo aveva deciso di includere nell'elenco B la denominazione protetta di “Provolone”. Non era più possibile rivedere nemmeno l'inserimento del prodotto sotto la categoria tariffaria 0406.9091 invece che sotto la categoria 0406.9030, né l'imposizione del dazio di fr. 298.60 per kg di peso lordo, poiché tutti gli aspetti giuridici legati al caso in esame erano stati definitivamente decisi con sentenza del 27 gennaio 2000 dalla Commissione federale di ricorso in materia doganale, passata in giudicato.
b)
La conclusione del primo giudice è corretta. La decisione (definitiva) adottata dalla Commissione federale di ricorso in materia doganale contro la decisione di accertamento (art. 124 OLD) presa dalla Direzione del IV circondario delle dogane e dalla Direzione generale delle dogane emana infatti da un tribunale amministrativo speciale (
Kölz/Häner
,
Verwaltungsverfahren und Verwaltungsrechtspflege des Bundes,
2a edizione, n. 788 con riferimento a DTF 119 Ib 451), non da una semplice autorità amministrativa. Essa vincola perciò l'autorità penale, analogamente a quanto avviene nel caso in cui il giudice penale sia pregiudizialmente chiamato a esaminare la legalità di decisioni amministrative – segnatamente nel campo dell'art. 292 CP (disobbedienza a decisioni dell'autorità) – che stanno alla base dell'infrazione. Anche in quei frangenti, di fronte al giudizio di un tribunale amministrativo che ha statuito nel merito, il giudice penale non ha più facoltà di rivedere la legalità (DTF 121 IV 29 consid. 2a pag. 31; sentenza 6S.489/2002 del Tribunale federale del 5 giugno 2003, consid. 2.1). Si ricordi che contro la decisione emanata dalla Commissione federale di ricorso in materia doganale sarebbe stato possibile insorgere con ricorso di diritto amministrativo al Tribunale federale (ciò figurava anche nell'indicazione dei rimedi giuridici: decisione, pag. 11). La ditta, rappresentata dal ricorrente, aveva fatto capo a tale mezzo d'impugnazione, ma poi l'aveva ritirato (act. 6). Le censure sollevate nel ricorso odierno andavano sollevate in quella sede. Allegate nel ricorso per cassazione, esse si rivelano semplicemente irricevibili.
5.
Se ne conclude che, nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è destinato all'insuccesso. Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 9 cpv. 1 e 15 cpv. 1 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,003 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8aac4ff6-3d4c-56e6-a60e-bd5e653e6fcf
|
in fatto:
che con decreto di accusa del 28 novembre 2001 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di lesioni semplici per avere, il 28 agosto 2001, su un'ex strada consortile a _, sferrato un pugno allo zigomo sinistro di _, provocandole un ematoma infraorbitale e una forte dolenzia alla palpazione (certificato medico rilasciato quello stesso giorno dal dott. _);
che per tale reato il Procuratore pubblico ha proposto la condanna di _ a una multa di fr. 300.–, rinviando la parte civile a far valere le sue pretese davanti al foro competente;
che, statuendo su opposizione, con sentenza del 28 gennaio 2002 il Pretore del Distretto di Bellinzona ha assolto l'accusato;
che contro tale giudizio _ ha inoltrato una dichiarazione di ricorso il 1° febbraio 2002 alla Corte di cassazione e di revisione penale;
che nella motivazione scritta del 26 febbraio 2002 essa chiede la conferma del decreto di accusa, fr. 1'644.95 a titolo di risarcimento dei danni e fr. 150.– per la riparazione del torto morale;
che il ricorso non è stato oggetto di intimazione;
e considerando
|
in diritto:
che il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto, non destinato a rimettere in causa l'accertamento dei fatti né la valutazione delle prove (art. 288 cpv. 1 lett. a e 295 cpv. 1 CPP);
che problemi del genere sono sindacabili unicamente qualora il giudizio impugnato denoti gli estremi dell'arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c CPP);
che arbitrario non significa tuttavia opinabile o finanche erroneo, bensì chiaramente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo o in urto palese con il sentimento di giustizia ed equità (DTF 126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 124 I 316 consid. 5a, 123 I 5 consid. 4a, 121 I 114 consid. 3a; nell'ambito dell'apprezzamento delle prove: 127 I 41 consid. 2a).;
che il potere cognitivo della Corte di cassazione e di revisione penale è limitato all'arbitrio anche nell'applicazione del principio
in dubio pro reo
come norma sulla valutazione delle prove (DTF 124 IV 88 consid. 2a);
che il Pretore, riferendosi al rapporto di polizia del 27 ottobre 2001, ha accertato che l'imputato aveva riconosciuto di avere tagliato la strada con il proprio veicolo alla controparte, e, dal momento che questa aveva ripetutamente azionato gli avvisatori ottici e acustici del proprio mezzo, di avere accostato per controllare se il portellone della sua automobile fosse aperto, avvicinandosi poi alla vettura di lei (consid. 2);
che ne era seguita una discussione animata, con scambio di parole grosse (consid. 2);
che, nondimeno, l'accusato aveva negato di avere colpito la denunciante con un pugno (consid. 2);
che ai fini del giudizio – come ha rilevato il Pretore – occorreva pertanto stabilire se l'imputato avesse effettivamente inferto un pugno alla denunciante, come questa sosteneva, procurandole le lesioni descritte nel certificato medico (consid
. 5 cpv. 1);
che al riguardo il primo giudice ha constatato come il medico si fosse limitato a riprendere le affermazioni della paziente, senza pronunciarsi sulle possibili cause dell'affezione (consid. 5 cpv. 2);
che, pertanto, secondo il Pretore, né il certificato medico né la fotografia agli atti risultavano idonei a dimostrare che l'accusato avesse davvero sferrato un pugno alla denunciante (consid. 5 cpv. 3);
che, in conclusione, di fronte alle antitetiche versioni delle parti, il Pretore ha prosciolto l'imputato per insufficienza di prove (consid. 5 in fine);
che la ricorrente si duole di arbitrio nell'accertamento dei fatti, affermando che il certificato medico e la fotografia sono chiari, attestando essi un ematoma che solo un forte pugno poteva avere provocato e, date le circostanze, solamente il denunciato poteva avere sferrato;
che gli argomenti della ricorrente, seppure plausibili, non bastano a sostanziare l'ipotesi che, di fronte a versioni contrastanti, il Pretore sia incorso in arbitrio concludendo che nessuna delle due si impone sull'altra al punto da poter essere considerata quella più vicina alla realtà (consid. 5 cpv. 4), tanto più che il certificato riferisce di percosse, e non di un pugno, e che la fotografia, peraltro datata a mano, è atta tutt'al
più a confermare quanto diagnosticato dal medico, ma null'altro;
che, pertanto, il ricorso deve essere respinto;
che gli oneri processuali, ridotti al minimo per tenere conto della particolarità del caso, seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 CPP);
in applicazione dell'art. 291 cpv. 1 CPP
e visto sulle spese l'art. 39 lett. d LTG,
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,002 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8be0bfe4-7c97-5046-a64d-69609eef4eb7
|
in fatto ed in diritto
1.
1.1.
In data 26.06.2012 _ ha presentato al Ministero pubblico una denuncia/querela penale nei confronti dei membri del Municipio di _ (in carica e nella passata legislatura) per varie ipotesi di reato in relazione, tra l’altro, all’insediamento presso la struttura della protezione civile a _ (confinante con la proprietà di _) di un centro d’accoglienza per richiedenti l’asilo, sfociata nel decreto di non luogo a procedere 16.08.2012 emanata dal procuratore generale John Noseda (NLP _).
Contro il summenzionato decreto _ ha presentato reclamo a questa Corte, la quale con sentenza 24.09.2013 lo ha dichiarato irricevibile in quanto introdotto in maniera tardiva (inc. CRP _).
Con decisione _ del 30.10.2012, il Tribunale federale ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da _ avverso la predetta decisione.
1.2.
A seguito di un’altra denuncia/querela sporta l’11/12.06.2013 da _ a carico della _ per le ipotesi di reato di lesioni semplici, lesioni colpose, minaccia, coazione e violazione di domicilio [poiché, a suo dire, la società denunciata/querelata avrebbe in sintesi omesso
"
(...) di impedire l’esposizione a pericolo, del Querelante ed i di lui congiunti, ledendo i loro beni giuridici protetti dalla legislazione penale
"
, e ciò in quanto si sarebbe preoccupata di garantire l’ordine e la sicurezza unicamente all’interno del centro Pci, senza preoccuparsi del comportamento dei richiedenti l’asilo al momento in cui si allontanavano dal centro (denuncia/querela penale 11/12.06.2013, p. 3-4, AI 1)] è stato aperto un procedimento penale (inc. MP _) sfociato nel decreto di non luogo a procedere 28.06.2013 emanato dall’allora procuratore pubblico Amos Pagnamenta (NLP _).
Con sentenza 24.10.2013 questa Corte ha dichiarato irricevibile i
l reclamo 5/8.07.2013, emendato su richiesta della stessa Corte in data 16/17.07.2013, presentato da _ (inc. CRP _). La predetta decisione è regolarmente passata in giudicato, non essendo stata impugnata al Tribunale federale.
2.
Con scritto 7/10.04.2014 – (indirizzato erroneamente alla CARP) a valere quale istanza ex art. 62 cpv. 4 LOG – la IS 1 postula la trasmissione dell’incarto CRP _ e dell’incarto NLP _, entrambi nel frattempo archiviati, essendo stati richiamati con il consenso del pretore ai fini dell’istruttoria della causa civile di cui all’incarto _ promossa con petizione 10.05.2013 da _, _ (patr. da: avv. _, _) contro _ avente quale oggetto l’accertamento dell’inesistenza del credito vantato dal convenuto nei confronti della parte attrice, così come
"
(...) la cancellazione del precetto esecutivo no. _ del 14.02.2012 del _ di _
"
(istanza 7/10.04.2014, p. 1, doc. CRP 1).
A sostegno della sua richiesta il pretore, richiamando l’ordinanza sulle prove 27.03.2014 e rimettendosi al giudizio di questa Corte riguardo ai tempi e alle modalità di trasmissione degli atti, ritiene che in casu siano dati i presupposti del previgente art. 27 CPP TI e della giurisprudenza della (allora) Camera dei ricorsi penali riguardante la richiesta di accesso agli atti di incarti penali da parte di autorità giuidiziarie.
Dal verbale di udienza 27.03.2014 risulta (soltanto) che sono stati, tra l’altro, richiamati l’incarto CRP _ (
"
reclamo del convenuto contro il decreto di non luogo a procedere a seguito della sua denuncia penale contro _
"
) e l’incarto NLP _ (
"
denuncia contro i membri del Municipio di _ per i medesimi fatti
"
) (documento annesso al verbale di udienza 27.03.2014, doc. CRP 1.a).
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha nella sostanza ripreso il testo del previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
Come ricordato dalla prassi di questa Corte, in caso di richiesta da parte di autorità giudiziarie tendente ad ottenere documenti di un incarto penale, la giurisprudenza ammette la richiesta se:
(i) si riferisce a procedimenti ancora pendenti presso l'autorità richiedente;
(ii) è compatibile con il codice di rito applicabile a quel procedimento;
(ii) è formulata dal titolare dell’autorità giudiziaria richiedente.
Inoltre deve essere dato un legame di pertinenza dell’incarto richiamato con quello richiamante.
4.
4.1.
Ora, appare anzitutto data una connessione tra la causa civile di cui all’incarto _ pendente presso la Pretura istante e il procedimento penale sfociato dapprima nel NLP _ del 28.06.2013 emanato dall’allora procuratore pubblico Amos Pagnamenta e poi nella decisione 24.10.2013 di questa Corte (inc. CRP _, passata in giudicato).
Le parti coinvolte in entrambi i procedimenti sono le stesse: _,
parte attrice nell’ambito del procedimento civile, era denunciata/querelata in quello penale, mentre _, convenuto nell’ambito del procedimento civile, aveva assunto la veste di denunciante/querelante nel procedimento penale.
Inoltre sembra che entrambi i procedimenti traggono le loro origini dal medesimo complessi dei fatti, ovverossia dall’agire della _ (o meglio dei suoi dipendenti) riguardante la sua attività di sorveglianza
presso il Centro di accoglienza per richiedenti l’asilo e nelle sue immediate vicinanze, sul sedime del Comune di _, confinante con il fondo di proprietà di _, che, a dire di quest’ultimo, gli avrebbe arrecato nocumento (cfr., al proposito, decisione 24.10.2013, inc. CRP _).
Ciò posto, alcuni atti del procedimento penale sfociato dapprima nel NLP _ e poi nella decisione
24.10.2013 (inc. CRP _)
potrebbero, in effetti, essere potenzialmente utili ai fini dell’istruttoria e del giudizio civile.
È quindi adempiuto un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG.
Di conseguenza l’incarto CRP _ viene trasmesso, in originale, alla Pretura istante unitamente alla presente decisione, con l’obbligo di restituirlo a questa Corte, al più tardi, a procedimento civile concluso.
La IS 1 è inoltre autorizzata a chiedere direttamente al Ministero pubblico la trasmissione dell’incarto NLP _, con l’obbligo di restituirlo direttamente alla predetta autorità, al più tardi, a procedimento civile concluso.
4.2.
Per quanto concerne, per contro, il richiamo dell’incarto penale NLP _ va rilevato che soltanto alcune fattispecie contenute in esso potrebbero avere una rilevanza nell’ambito del procedimento civile pendente presso la Pretura istante (cfr., al proposito, considerando 7., p. 3, NLP _).
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,014 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
8c2d5b17-eb05-5b77-b0c6-6a4fc5c7faa6
|
in fatto: A.
In data 6 agosto 2008, verso le 02.30 del mattino, RI 1, autista professionista, percorreva, alla guida di una Mercedes C 270 C (), la strada consortile che da _ porta a _ (denominata “_ ”) diretto al suo posto di lavoro.
Ad un certo punto, egli si è addormentato e ha perso la padronanza del proprio veicolo. Dopo aver divelto due guidovie e una recinzione metallica, ha terminato la sua corsa in una scarpata posta sul lato sinistro della strada rispetto alla sua direzione di marcia.
Rimasto fortunatamente illeso, RI 1 ha smontato le targhe dalla vettura dopodiché, abbandonando l’auto danneggiata nella scarpata, si è recato al lavoro, senza avvisare la polizia dell’accaduto.
B.
Con decreto d’accusa 23 febbraio 2009, il procuratore pubblico ha dichiarato RI 1 colpevole di guida in stato di inattitudine (segnatamente in stato di spossatezza), d’infrazione alle norme della circolazione e d’inosservanza dei doveri in caso d’infortunio, proponendone la condanna alla pena pecuniaria - sospesa condizionalmente per un periodo di prova di tre anni - di fr. 4’950.- (corrispondente a 45 aliquote di fr. 110.- ciascuna) e alla multa di fr. 1’000.-. Egli ha, altresì, proposto la revoca del beneficio della sospensione condizionale concesso alla pena detentiva di 30 giorni decretata dal Ministero pubblico in data 10 ottobre 2005 a carico dello stesso RI 1.
Contro il decreto di accusa il prevenuto ha sollevato tempestiva opposizione.
C.
Dopo il dibattimento, con sentenza 11 settembre 2009, il giudice della Pretura penale - statuendo sull’opposizione - ha confermato l’imputazione figurante nel decreto d’accusa. In applicazione della pena, egli ha condannato RI 1 alla pena pecuniaria - sospesa condizionalmente per un periodo di prova di tre anni - di fr. 4’950.- (corrispondente a 45 aliquote di fr. 110.- ciascuna), alla multa di fr. 1’000.- (da sostituirsi in caso di mancato pagamento con una pena detentiva di dieci giorni) e al pagamento delle tasse e spese di giustizia di fr. 700.-.
Per quanto attiene alla pena detentiva di 30 giorni, il primo giudice ha rinunciato alla revoca del beneficio della sospensione condizionale, limitandosi a prolungarne di un anno il periodo di prova.
D.
Avverso la predetta sentenza è insorto il condannato con dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e revisione penale di data 16 settembre 2009.
Nella motivazione scritta, presentata il 20 ottobre 2009, egli chiede, in via principale, che la sentenza impugnata venga annullata e che, in sua riforma, egli sia condannato ad una multa di fr. 300.- e al pagamento delle tasse e spese di giustizia in ragione di fr. 200.-. In via subordinata, egli postula l’annullamento della sentenza impugnata e il rinvio dell’incarto alla Pretura penale per un nuovo giudizio.
E.
Senza formulare particolari osservazioni, con scritto 27 ottobre 2009, il procuratore pubblico chiede la reiezione del ricorso.
|
Considerando
in diritto:
1.
Il ricorso per cassazione è essenzialmente un rimedio di diritto (art. 288 lett. a e b CPP) nella misura in cui l’accertamento dei fatti è censurabile unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP), ritenuto inoltre che arbitrario non significa manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 135 V 2 consid. 1.3 pag. 5, 134 I 153 consid. 3.4 pag. 156133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia consid. 3 pag. 371).
2.
Il ricorrente, innanzitutto, solleva una censura giusta l’art. 288 lett. c CPP, sostenendo che il primo giudice ha arbitrariamente accertato che egli si è addormentato perché era molto stanco.
2.1.
Su questo aspetto, il giudice della Pretura penale ha, dapprima, rilevato che il prevenuto ha fornito due versioni sulle cause dell’incidente. Davanti alla polizia, egli ha prima affermato di essersi addormentato perché
“ero molto stanco, non ho dormito molto, faceva troppo caldo ieri sera”
. Durante il dibattimento, egli ha, invece, dichiarato che la causa dell’incidente non è da ricondurre alla spossatezza ma piuttosto ad un inspiegabile colpo di sonno:
“è la prima volta che mi succede, comunque quella sera non ero stanco in quanto avevo dormito il necessario”
(sentenza impugnata, consid. 1 pag. 3).
Dopo aver spiegato che, in presenza di due versioni dei fatti, si deve propendere per la più verosimile, il primo giudice ha rilevato che
“non potendo partire dal presupposto che addormentarsi improvvisamente, senza spiegazione, nonostante il ricorrente dichiari che abbia riposato a sufficienza e sia in buona salute, sia circostanza ordinaria ed usuale” -
non ritenendo, dunque, questa tesi credibile - “
deve essere presa per vera la sua prima affermazione, fatta in Polizia, secondo cui egli si è addormentato al volante a causa di un colpo di sonno dovuto a stanchezza”
(sentenza impugnata, consid. 5 pag. 4).
2.2. RI 1
sostiene che la tesi del primo giudice, secondo cui la versione più verosimile è quella da lui fornita in sede di verbale di polizia, è arbitraria. Per giungere a questa conclusione - rileva il ricorrente - il primo giudice si è, infatti, limitato a sostenere, senza motivare la sua affermazione, che la tesi da lui resa al dibattimento non è sostenibile perché inusuale.
Invece - osserva RI 1 - le dichiarazioni da lui rese al dibattimento
“sono più che sostenibili”.
Nonostante avesse dormito - spiega - egli
è stato vittima di un colpo di sonno
“non perché spossato, ma perché si era appena svegliato ed a causa dell’orario particolare (in cui normalmente il corpo umano è a riposo)”
. Il ricorrente precisa, poi, che quando ha preso il volante stava bene e non si sentiva stanco e che
“il tutto è avvenuto improvvisamente, senza che ne avesse alcuna avvisaglia”
(ricorso, pag. 3).
Quanto alle deposizioni da lui rese alla polizia in occasione del primo interrogatorio, il ricorrente sostiene di averle rilasciate solo perché non sapeva spiegarsi l’accaduto e di avere, dunque,
“cercato, sbagliando, di dare una spiegazione”
. Del resto - osserva ancora RI 1 - se egli dopo l’incidente si è messo di nuovo subito alla guida, è proprio per il fatto che non era spossato o stanco (ricorso, pag. 2-3).
Ciò posto, il ricorrente ritiene che, in virtù del principio
in dubio pro reo
, il primo giudice avrebbe dovuto considerare che egli aveva dormito a sufficienza e non scartare tale ipotesi solo perché inusuale (ricorso, pag. 3).
2.3.
Nell’accertamento dei fatti e nella valutazione delle prove, il giudice dispone di un ampio potere di apprezzamento (DTF 129 I 8 consid. 2.1.; 118 Ia 28 consid. 1b; STF 30.03.2007 6P.218/2006) così che, per motivare l’arbitrio, non è sufficiente criticare la decisione impugnata né è sufficiente contrapporvi una diversa versione dei fatti, per quanto sostenibile o addirittura preferibile. E’, invece, necessario dimostrare il motivo per cui la valutazione delle prove fatta dal primo giudice è manifestamente insostenibile, si trova in chiaro contrasto con gli atti, si fonda su una svista manifesta o contraddice in modo urtante il sentimento di equità e di giustizia. In particolare, il Tribunale federale ha avuto modo di stabilire che un accertamento dei fatti può dirsi arbitrario se il primo giudice ha manifestamente disatteso il senso e la rilevanza di un mezzo di prova oppure ha omesso, senza fondati motivi, di tener conto di una prova idonea ad influire sulla decisione presa oppure, ancora, quando il giudice ha tratto dal materiale probatorio disponibile deduzioni insostenibili (DTF 129 I 8 consid. 2.1.).
Il precetto
in
dubio pro reo
è un corollario della presunzione di innocenza garantita dagli art. 32 cpv. 1 Cost., 6 par. 2 CEDU e 14 cpv. 2 patto ONU II. Esso disciplina sia la valutazione delle prove sia il riparto dell'onere probatorio. Per quanto attiene alla valutazione della prove - cui, nel caso di specie, il ricorrente in sostanza si richiama - il principio
in dubio
pro reo
significa che il giudice penale non può dichiararsi convinto di una fattispecie più sfavorevole all'imputato quando, secondo una valutazione non arbitraria del materiale probatorio, sussistano dubbi sul modo con cui si è verificata la fattispecie medesima. Il precetto non impone che l'assunzione delle prove conduca a un assoluto convincimento. Semplici dubbi astratti e teorici non sono sufficienti, poiché sono sempre possibili. Il principio è disatteso quando il giudice penale, che dispone di un ampio potere di apprezzamento, avrebbe dovuto nutrire, dopo un'analisi globale e oggettiva delle prove, rilevanti e insopprimibili dubbi sulla colpevolezza dell'imputato (DTF non pubblicata 13 maggio 2008 [6B.230/2008], consid. 2.1., DTF non pubblicata 19 aprile 2002 [1P.20/2002] consid. 3.2; DTF 127 I 38 consid. 2a pag. 41, 124 IV 86 consid. 2a pag. 88, 120 Ia 31 consid. 4b pag. 40). Sotto questo profilo il precetto
in dubio pro reo
ha la stessa portata del divieto dell'arbitrio (DTF 133 I 149, DTF 120 Ia 31 consid. 4b pag. 40).
2.4.
Ora, innanzitutto, si osserva che RI 1, sostenendo, da una parte, che quanto da lui dichiarato durante il dibattimento - ovvero, che aveva dormito e che il colpo di sonno non era dovuto alla spossatezza - è
“più che sostenibile”
e, dall’altra, che le deposizioni da lui rilasciate alla polizia sono erronee, si diffonde in considerazioni di stampo appellatorio, inammissibili in un ricorso per cassazione.
Laddove, poi, il ricorrente tenta di sostanziare l’arbitrio del primo giudice, sostenendo che questi non ha spiegato i motivi per cui ha deciso di preferire alla versione resa al dibattimento quella riferita alla polizia, il suo ricorso deve essere respinto.
Il primo giudice, infatti, osservando di non poter partire dal presupposto che il fatto di addormentarsi improvvisamente, senza spiegazione, nonostante si sia riposati ed in buona salute, sia circostanza
“ordinaria ed usuale”
, ha illustrato in modo sì conciso, ma del tutto sostenibile, le ragioni per cui egli ha deciso di preferire a questa versione quella riferita dal ricorrente alla polizia subito dopo l’incidente.
Il ricorrente non può, certo, pretendere di dimostrare l’arbitrio nell’accertamento del primo giudice con la fantasiosa - per non dire, temeraria - tesi secondo cui egli è stato vittima di un colpo di sonno non perché stanco, ma perché si era appena svegliato in un orario in cui normalmente il corpo umano è a riposo. Da un lato, non si vede come un colpo di sonno, specialmente in una persona sana (quale il ricorrente si definisce, cfr. verbale del dibattimento, pag. 3), possa dissociarsi da uno stato di spossatezza. D’altro lato, anche se si volesse, per assurdo, seguire il ricorrente nelle sue fantasiose ricostruzioni dei fatti, la cosa non gli sarebbe di giovamento poiché suggerire un’altra lettura del materiale processuale non è sufficiente a sostanziare l’arbitrio.
Ritenuto, dunque, come il primo giudice abbia senza arbitrio accertato che RI 1 si è addormentato perché molto stanco, è a torto che il ricorrente invoca una violazione del principio
in dubio pro reo
.
Su questo punto, pertanto, il ricorso, nella misura in cui è ammissibile, deve essere respinto.
3.
Il ricorrente sostiene, poi, che quando si è messo al volante stava bene, si sentiva idoneo alla guida e, pertanto
, “non aveva alcuna avvisaglia che sarebbe subentrato un colpo di sonno”.
A detta di RI 1
“manca quindi, in ogni caso, l’aspetto soggettivo onde ammettere il reato ex art. 91 cpv. 2 LCStr”
(ricorso, pag. 3).
3.1.
Il presupposto soggettivo del reato di guida in stato di inattitudine è dato quando l’autore, nonostante sia consapevole del suo stato d’incapacità o ne prenda in considerazione l’eventualità (dolo eventuale), s’immette nel traffico alla guida di un veicolo.
Quando un conducente avverte i primi sintomi di spossatezza - cioè, si trova in uno stato in cui le sue facoltà sono sensibilmente diminuite - ed è, così, consapevole del rischio di addormentarsi, deve arrestarsi immediatamente.
E’ di comune conoscenza che alcune situazioni - come una notte “in bianco” o la guida prolungata senza pause - espongono il conducente ad un rischio elevato di spossatezza: pertanto, in situazioni di questo genere, il conducente deve essere particolarmente attento ai segnali di spossatezza.
Deve, perciò, essere ammessa anche la realizzazione del presupposto soggettivo del reato nei casi in cui l’autore ha coscienza di queste situazioni e dei sintomi di pericolo ma, ciò nonostante, si mette la volante o non interrompe la guida (Jeanneret, Les disposition pénales de la Loi sur la circulation routière (LCR), Berna 2007, ad art. 91 n. 83 e 87).
Soltanto nei casi in cui l’autore non poteva avvertire i segnali di pericolo né prevedere il colpo di sonno (cioè, non aveva né avrebbe dovuto avere consapevolezza dei fattori che inficiavano la sua capacità di guida), il reato non è realizzato (Jeanneret, op. cit., ad art. 91 n. 87; JdT 1992, pag. 706 n. 33).
3.2.
In concreto, già solo per il fatto che RI 1 ha riconosciuto, nel suo interrogatorio davanti alla polizia, di essersi addormentato al volante
“perché ero molto stanco, non ho dormito molto (...) ieri sera”
(ciò che, come visto, è stato accertato senza arbitrio dal primo giudice, cfr. consid. 2.4), si deve concludere che egli fosse consapevole della sua spossatezza e che egli, dunque, sapesse (o perlomeno dovesse prendere in considerazione) di trovarsi in una situazione in cui il rischio di addormentarsi era elevato.
Essendosi RI 1, ciò nonostante, messo alla guida della sua Mercedes, se ne conclude che egli ha intenzionalmente commesso il reato di cui all’art. 91 cpv. 2 LCStr.
Anche su questo punto, pertanto, il ricorso è votato all’insuccesso.
4.
Pertanto, considerato come RI 1 - che non contesta l’aspetto oggettivo del reato - si sia, dunque, reso colpevole di guida in stato di inattitudine giusta l’art. 91 cpv. 2 LCStr, la sua richiesta di essere condannato unicamente per il reato di inosservanza dei doveri in caso d’infortunio ad una multa di fr. 300.- (ricorso, pag. 3), non merita di essere vagliata oltre.
5.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza e sono posti a carico del ricorrente (art. 15 cpv. 1 in combinazione con l’art. 9 cpv. 1 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,010 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8c62af11-4cf2-5cfc-b974-15b1571fde6e
|
in fatto ed in diritto
1.
In data 12.10.1998 l’allora procuratore pubblico Maria Galliani, in applicazione dell’art. 184 cpv. 2 CPP TI, ha decretato il non luogo a procedere nei confronti di RE 1 e della sua convivente _ per le ipotesi di reato di truffa (art. 146 CP) e di ricettazione (art. 160 CP) in relazione al procedimento penale avviato a loro carico a seguito di una domanda di assistenza giudiziaria presentata dalla Staatsanwaltschaft di _ a proposito dell’incasso di alcuni assegni bancari risultati rubati in _ (_). L’allora magistrato inquirente, unitamente al predetto decreto, aveva nondimeno deciso di mantenere il sequestro del conto intestato ad _ presso _, _, limitatamente all’importo di CHF 20'000.-- (decreto di non luogo a procedere 12.10.1998, p. 4, _).
Contro la predetta decisione non è stata presentata all’allora Camera dei ricorsi penali un’istanza di promozione dell’accusa ex art. 186 cpv. 1 CPP TI.
Giova inoltre rilevare che in data 10.04.2003 l’allora procuratore pubblico Giuseppe Muschietti, subentrato nell’inchiesta, ha comunicato alla _, _, che l’ordine di perquisizione e di sequestro del 3.05.1995 emanato dall’allora procuratore pubblico Luca Marazzi avente quale oggetto il conto intestato ad _ presso il loro istituto bancario è decaduto
ex lege
, poiché il 7.09.1998 la Staatsanwaltschaft di _
aveva chiesto di revocare detto ordine (domandato in via rogatoriale) e che il 5.10.1998 l’allora procuratore pubblico Maria Galliani aveva decretato il non luogo a procedere nei confronti di quest’ultima e del qui istante (scritto PP 10.04.2003 – inc. _).
2.
Con la presente istanza RE 1 chiede l’autorizzazione a questa Corte di poter ispezionare gli atti (con la facoltà di estrarne delle copie) del suddetto procedimento penale che
"
(...) POTREBBERO ESSERMI D’AIUTO PRIMA DI SCRIVERE ALLA BANCA IN QUESTIONE
" (istanza 31.08./01.09.2011).
A suffragio della sua richiesta ha prodotto, in copia, lo scambio epistolare avuto con il Ministero pubblico in merito alla sua richiesta. Dallo stesso emerge in particolare che il 2.08.2011 il qui istante ha domandato ragguagli al Ministero pubblico, e ciò con riferimento ad uno scritto del 20.10.2003 [(inc. MP _), in cui l’allora procuratore pubblico Giuseppe Muschietti aveva in particolare comunicato al qui istante che il procedimento penale nell’ambito del quale si era proceduto al sequestro dei fondi depositati sul conto intestato ad _ presso _ era ancora pendente e che pertanto la destinazione dei fondi bloccati sarebbe stata stabilita al momento della decisione di merito (scritto PP 20.10.2003, doc. 1.c], sulla relazione bancaria in questione, siccome
"
(...). L’11 DI APRILE (GIORNO DELLA NASCITA DI MIO FIGLIO) _ IL CONTO ESISTEVA A NOME DI _ CON PROCURA A MIA MADRE E QUALCHE MESE FA IL CONTO SI È VOLATILIZZATO (...)
" (copia scritto 2.08.2011 di RE 1, p. 3, doc. 1.d).
Con risposta 22.08.2011 il procuratore pubblico Andrea Gianini ha, tra l’altro, evidenziato che "
(...). A proposito della relazione bancaria cui lei accenna nel suo scritto, immagino che la Banca non le abbia dato alcuna informazione poiché lei non ha mai avuto alcun diritto in merito alla stessa. Nel contesto della procedura penale già accennata, posso aggiungere che non sussiste alcuna misura di sequestro, trattandosi invece degli averi in conto, qualsiasi richiesta di informazione come pure sue eventuali pretese andrebbero semmai rivolte al titolare del conto. (...)
" (scritto PP 22.08.2011, doc. 1.a).
Questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare ulteriormente il procuratore pubblico e _, titolare del conto _ in questione, essendo stato RE 1 parte al procedimento penale di cui all’incarto MP _.
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
Nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (quale denunciato) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo
.
Come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.3.1987, ad art. 8 p. 10). Inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19).
Lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG.
5.
Nella fattispecie in esame è, di principio, adempiuto un interesse giuridico legittimo dell’istante giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG a compulsare gli atti di cui all’incarto MP _ nel frattempo archiviato, poiché l’ha interessato personalmente in veste di parte.
Considerato nondimeno che la presente domanda è volta, in sostanza, a sapere il destino del conto bancario (oggetto di sequestro domandato, in via rogatoriale, dalla Procura _) intestato ad _ (anch’essa denunciata, unitamente al qui istante, in quell’ambito), questa Corte ritiene che il contenuto del decreto di non luogo a procedere
12.10.1998 (_) e il contenuto dello scritto 10.04.2003 (inc. _) redatto dall’allora procuratore pubblico Giuseppe Muschietti siano sufficienti riguardo a quanto da lui richiesto, poiché dagli stessi emerge in particolare che il conto in questione è stato dissequestrato. Per il resto, non essendo titolare o avente diritto economico del conto, non ha un interesse giuridico legittimo ad esaminare gli altri atti. Non è quindi ammessa la consultazione degli atti inerenti alla relazione bancaria in questione.
Di conseguenza, il decreto di non luogo a procedere
12.10.1998 (_, 4 pagine) e lo scritto 10.04.2003 (inc. _, 2 pagine)
, vengono trasmessi, in copia, all’istante unitamente alla presente decisione.
6.
L’istanza è accolta ai sensi del surriferito considerando. Non si prelevano tassa di giustizia e spese, ritenuto che l’istante è già stato parte al procedimento penale nel frattempo archiviato.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
8c91bce3-6d91-5fb4-83dc-9bf85a682ae7
|
in fatto ed in diritto
1.
In data 18.3.2005 l’allora procuratore pubblico Giuseppe Muschietti ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale _ siccome ritenuto colpevole di ripetuta appropriazione indebita e ripetuta falsità in documenti, commessi anche in relazione ad un’autovettura presa in leasing dall’istante e finanziata dalla già _ (punto 1.1. e punto 2.2. del DA _), ed ha proposto la sua condanna (tra l’altro) alla pena di tre mesi di detenzione sospesa condizionalmente per un periodo di prova di tre anni, e meglio come descritto nel DA _.
Il surriferito decreto di accusa è cresciuto in giudicato il 20.4.2005.
2.
Con la presente istanza il patrocinatore di IS 1, avv. PR 1, chiede la trasmissione, in copia, del suddetto decreto di accusa, poiché il suo assistito "
(...) non è più in possesso del decreto originale che gli era stato notificato e ne ha bisogno per tutelarsi in un eventuale causa civile che _ _ _ potrebbe promuovere nei suoi confronti
" (istanza 3/4.3.2011).
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.1.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
Nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (quale parte civile) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo.
Come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava anche alle richieste di ispezione degli atti delle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.3.1987, ad art. 8 p. 10).
In base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19).
Lo stesso principio vale oggi per l'art. 62 cpv. 4 LOG.
5.
Nella fattispecie in esame – a prescindere dalla finalità della richiesta – è pacifico l’interesse giuridico legittimo dell’istante ad ottenere copia del decreto di accusa 18.3.2005 (DA _), poiché l’ha interessato personalmente in veste di parte civile, come emerge dallo stesso decreto (p. 4 del DA _).
Di conseguenza copia del decreto di accusa 18.3.2005 (DA _) viene trasmessa all’istante unitamente alla presente decisione.
6.
L’istanza è accolta ai sensi del surriferito considerando. La tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico di chi le ha occasionate.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
8c982e9c-e45d-5bac-b247-a98ccc456faa
|
in fatto: A.
Con sentenza 31 marzo 2010, la Corte delle assise criminali ha ritenuto RI 1 (nato il 10 febbraio 1964) autore colpevole di:
1.
ripetuti atti sessuali con fanciulli consumati e tentati per avere:
- nel periodo 2008/inizio febbraio 2009, nella camera da letto della cugina (nata il 17.2.1993), in un numero imprecisato di volte, compiuto e tentato di compiere atti sessuali con lei, e meglio:
1.1.
a partire dal 2008 e fino al mese di febbraio 2009, dopo averle massaggiato la schiena, l’addome e i piedi, a suo dire con l’intento di rilassarla e farla addormentare, ripetutamente tentato di palpeggiarle i seni, senza riuscirci perché la ragazza glielo impediva spostandosi;
1.2.
la notte del 18/19 dicembre 2008, tra le ore 23.55 e le ore 00.18 e quindi per almeno 23 minuti, mentre dormiva e non si accorgeva di nulla, l’accusato la spogliava, le toccava e palpeggiava i seni e la vulva, allargandole poi con le dita della mano le labbra della vagina, palpandogliela, compiendo anche altri atti sessuali su di lei, come attestato dalle 9 fotografie da lui effettuate utilizzando il suo cellulare marca HTC Touch;
- nel periodo settembre 2006-28 dicembre 2006, in un numero imprecisato di occasioni, durante lunghe e assidue conversazioni in rete con lei, per posta elettronica ma soprattutto in tempo reale via Messenger - utilizzando l’indirizzo _ e la falsa identità di _ - dopo essere riuscito a carpire la sua totale fiducia e condiscendenza, segnatamente con parole, complimenti, lusinghe, espressioni d’amore, ma anche con l’invio di false fotografie e il recapito di un mazzo di rose, indotto e tentato di indurre (nata il 30.5.1991) a compiere atti sessuali su sé stessa, nonché coinvolto e tentato di coinvolgerla in atti sessuali, e meglio:
1.3.
sin dalle prime conversazioni iniziate a settembre 2006, sollecitato la ragazza con ripetute considerazioni sul suo corpo e poi in quelle successive, in un crescendo di provocazioni, fatto espliciti riferimenti agli organi sessuali femminili ed ai suoi desideri e alle sue fantasie sessuali, in particolare dicendole di volerla abbracciare e baciare su tutto il corpo, accarezzarle i seni, leccarle la vulva, il clitoride e penetrarla con le dita, per farle provare piacere sessuale, proponendole pure rapporti sessuali vaginali e anali, orgasmi multipli e piacere “fino allo spasimo”, riuscendo in questo modo e in più occasioni ad eccitarla;
1.4.
descrivendole nei dettagli le proprie reazioni fisiche, dicendole di provare piacere sessuale, di eccitarsi, di avere continue erezioni e di essersi pure masturbato;
1.5.
chiedendole ripetutamente e con insistenza di inviargli sue fotografie e/o filmini oppure di collegare la webcam, così da poterla vedere ed ammirare, riuscendo così a ottenere, in più occasioni, delle fotografie sexy dove era ritratta vestita, parzialmente vestita, in biancheria intima o nuda, spiegandole che la visione di queste immagini gli procurava piacere sessuale;
1.6.
convincendola così a compiere anche atti sessuali su se stessa, cosa che lei fece almeno in un’occasione toccandosi e palpeggiandosi i seni e la vulva con le mani, inviandogli poi come da lui richiesto anche le fotografie di questi atti;
1.7.
inducendola, in particolare durante la conversazione in rete del 22 ottobre 2006, seguendo sue precise istruzioni, ad accarezzarsi il corpo, i seni, i capezzoli e la vulva, nonché a masturbarsi, chiedendole anche in questo caso di fotografarsi con le dita nella vagina e di inviargli queste immagini o almeno quella della “
patatina tutta bagnata”
, fotografie che la ragazza si rifiutò di fare;
2.
atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere per avere, la notte del 18/19 dicembre 2008, tra le ore 23.55 e le 00.18 e quindi per almeno 23 minuti, mentre la ragazza dormiva e non si accorgeva di nulla, conoscendone e sfruttandone lo stato, spogliato e toccato , palpeggiandole i seni e la vulva, allargandole poi con le dita della mano le labbra della vagina, palpandogliela, compiendo anche altri atti sessuali su di lei, come attestato dalle 9 fotografie da lui effettuate utilizzando il suo cellulare marca HTC Touch;
3.
somministrazione a fanciulli di sostanze pericolose per la salute per avere, a _, in date imprecisate nel corso dell’anno 2008 e fino all’inizio di febbraio 2009, in un numero imprecisato di occasioni, somministrato e messo a disposizione per il consumo a sua cugina (minore di 16 anni) un numero imprecisato di pastiglie di Dalmadorm, in quantità pericolose per la salute;
4.
violazione della sfera segreta o privata mediante apparecchi di presa d’immagini per avere, a _, in date imprecisate nel corso dell’estate 2006, mediante il suo telefono cellulare, fotografato almeno 6 volte sotto la gonna . (nata il 20.4.1994);
5.
rappresentazione di atti di cruda violenza per avere, a _ e in altre località, nel periodo 6 agosto 2003 - 14 gennaio 2009, salvato e posseduto su diversi supporti informatici almeno 46 registrazioni sonore e visive di immagini di cruda violenza verso uomini, donne, bambini e animali, in particolare uccisioni, decapitazioni e torture, registrazioni che si era procurato per via elettronica o in altro modo;
6.
ripetuta pornografia per avere, a _ e in altre imprecisate località, nel periodo inizio anno 2003 - 27 ottobre 2008, in un numero imprecisato di occasioni, inserendo in particolare i termini di ricerca “
pedo, phtc, lolita, zoofilia e snuff
”, ripetutamente scaricato (down-load) da internet, con il programma peer to peer, almeno 30.000 files proibiti (almeno 28.000 immagini e almeno 2.000 filmati), vertenti su atti sessuali con fanciulli, animali, escrementi umani e atti violenti, archiviandoli in seguito su supporti informatici di vario tipo (in particolare, CD, DVD e HD).
Per questi reati, la Corte di primo grado ha condannato RI 1 - cui ha riconosciuto di avere agito in stato di scemata imputabilità di grado lieve - alla pena detentiva di 5 anni (a valere quale pena unica ai sensi dell’art. 46 cpv. 1 seconda frase, rispettivamente dell’art. 49 cpv. 2 CP).
A questa pena ha associato un trattamento ambulatoriale ai sensi dell’art. 63 CP, da eseguirsi già durante l’espiazione della pena.
RI 1 è stato, inoltre, condannato a versare alla parte civile un’indennità di fr. 40.000.- a titolo di riparazione morale e di fr. 3.000.- a titolo di ripetibili parziali, mentre per le spese future, stabilito il principio del loro risarcimento, la Corte di prime cure ha rinviato la parte civile al foro civile.
B.
Contro detta pronuncia, RI 1 ha interposto ricorso per cassazione. Sostenendo un’errata applicazione del diritto, segnatamente dell’art. 47 CP, e un arbitrario accertamento dei fatti, egli chiede di essere condannato alla pena detentiva di 3 anni.
C.
Con scritto 1 giugno 2010, senza svolgere particolari osservazioni, il procuratore pubblico dichiara di rimettersi al giudizio di questa Corte pur chiedendo la conferma integrale della sentenza impugnata.
|
Considerando
in diritto: 1.
Giusta l’art. 288 CPP TI - applicabile in forza dell’art. 453 CPP (fed) - il ricorso per cassazione è essenzialmente un rimedio di diritto (lett. a e b), ritenuto che l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP) e che arbitrario non significa manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 135 V 2 consid. 1.3 pag. 4, 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia consid. 3 pag. 371).
2.
Nel suo allegato, il ricorrente sostiene che la prima Corte non ha correttamente applicato tutti i criteri stabiliti dall’art. 47 CP e lo ha, così, condannato ad una pena eccessivamente severa.
2.1.
Nella commisurazione della pena il giudice di merito fruisce di ampia autonomia. Come il Tribunale federale, la Corte di cassazione e di revisione penale interviene solo laddove la sanzione si ponga al di fuori del quadro edittale, si fondi su criteri estranei all’art. 47 CP, disattenda elementi di valutazione prescritti da quest’ultima norma oppure appaia esageratamente severa o esageratamente mite, al punto da denotare eccesso o abuso del potere di apprezzamento (DTF 135 IV 191 consid. 3.1; 134 IV 17 consid. 2.1; 129 IV 6 consid. 6.1 pag. 21 segg. e riferimenti, 128 IV 73 consid. 3b pag. 77, 127 IV 10 consid. 2 pag. 19; STF del 14 ottobre 2008, inc. 6B_78/2008, 6B_81/2008, 6B_90/2008, consid. 3.3.; STF del 12 marzo 2008, inc. 6B_370/2007, consid. 2.3).
Ai sensi dell’art. 47 CP, il giudice commisura la pena alla colpa dell'autore, tenendo conto della vita anteriore e delle condizioni personali dell'autore, nonché dell'effetto che la pena avrà sulla sua vita (cpv. 1). La colpa va determinata secondo il grado di lesione o esposizione a pericolo del bene giuridico offeso, secondo la riprensibilità dell'offesa, i moventi e gli obiettivi perseguiti, nonché, tenuto conto delle circostanze interne ed esterne, secondo la possibilità che l'autore aveva di evitare l'esposizione a pericolo o la lesione (cpv. 2).
Come nel vecchio diritto (art. 63 vCP), il giudice, dunque, commisura la pena essenzialmente in funzione della colpevolezza del reo. Il legislatore ha ripreso, al cpv. 1, i criteri della vita anteriore e della condizione personale e aggiunto la necessità di tener conto dell'effetto che la pena avrà sulla vita dell'autore. Con riguardo a quest'ultimo criterio, il messaggio precisa che la misura della pena delimitata dalla colpevolezza non deve essere sfruttata necessariamente per intero se una pena più tenue potrà presumibilmente trattenere l'autore dal compiere altri reati (messaggio del 21 settembre 1998 concernente la modifica del codice penale svizzero e del codice penale militare nonché una legge federale sul diritto penale minorile, FF 1999 1744). La legge codifica, così, la giurisprudenza secondo cui occorre evitare di pronunciare sanzioni che ostacolino il reinserimento del condannato (DTF 128 IV 73 consid. 4c pag. 79; 127 IV 97 consid. 3 pag. 101). Questo criterio di prevenzione speciale permette tuttavia soltanto di effettuare correzioni marginali, la pena dovendo in ogni caso essere proporzionata alla colpa (STF del 14 ottobre 2008, inc. 6B_78/2008, 6B_81/2008, 6B_90/2008, consid. 3.2.; STF del 12 marzo 2008, inc. 6B_370/2007, consid. 2.2; STF del 17 aprile 2007, inc. 6B_14/2007, consid. 5.2 e riferimenti).
Codificando la giurisprudenza, l'art. 47 cpv. 2 CP fornisce un elenco esemplificativo di criteri che permettono di determinare la gravità della colpa dell'autore. Il giudice dovrà prendere in considerazione il grado di lesione o esposizione a pericolo del bene giuridico offeso nonché la riprensibilità dell'offesa, elementi che la giurisprudenza designava con l'espressione “
risultato dell'attività illecita
” rispettivamente “
modo di esecuzione”
(DTF 129 IV 6 consid. 6.1 pag. 20). Sotto il profilo soggettivo, la norma rinvia ai moventi e agli obiettivi perseguiti che corrispondono ai motivi a delinquere del vecchio diritto (art. 63 vCP), nonché alla possibilità che l'autore aveva di evitare l'esposizione a pericolo o la lesione riferendosi, in quest'ultimo caso, alla libertà dell'autore di decidersi a favore della legalità e contro l'illegalità (v. DTF 127 IV 101 consid. 2a pag. 103). In relazione a quest'ultimo criterio, il legislatore impone al giudice di tener conto della situazione personale dell'autore e delle circostanze esterne. La situazione personale può, senza che vi sia un reperto patologico ai sensi dell'art. 19 CP, turbare la capacità di valutare il carattere illecito dell'atto. Le circostanze esterne si riferiscono, per esempio, a situazioni di emergenza o di tentazione che non siano così pronunciate da giustificare un'attenuazione della pena (FF 1999 1745; STF del 12 marzo 2008, inc. 6B_370/2007, consid. 2.2)
Analogamente all'art. 63 vCP, l'art. 47 CP non elenca in modo dettagliato ed esauriente gli elementi pertinenti per la commisurazione della pena (STF dell'11 aprile 2008, inc. 6B_738/2007, consid. 3.1).
2.2.
Per la commisurazione della pena, la prima Corte ha considerato una serie di elementi che ha elencato al consid. IX. della sentenza impugnata e sulla cui scorta ha concluso che la colpa di RI 1 è “
molto grave”
(consid. IX.2, pag. 108) o che essa è “
di una gravità inaudita”
(consid. IX.5, pag. 110).
a)
gravità dei reati e concorso di reati
Iniziando la loro disamina, i primi giudici hanno osservato che “
già dal punto di vista oggettivo il reato di atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere è di per sé ignobile poiché espressione di un totale disprezzo dell’autore per la vittima alla quale non riconosce dignità di persona
” ed hanno aggiunto che si tratta di un reato “gravissimo” poiché è proprio la “
consapevolezza di essere stati degradati da persona ad oggetto
” a procurare alla vittima “
grandi sofferenze e difficoltà a vivere in modo equilibrato i rapporti umani e sociali
” ed hanno concluso, poi, che il comportamento dell’autore “
è ancor più ignobile
” quando la vittima non ha ancora raggiunto i 16 anni (sentenza impugnata, consid. IX.2., pag. 108). In seguito, la prima Corte ha considerato che la colpa di RI 1 è ancora più pesante poiché egli, agendo per puro egoismo e senza scrupolo alcuno, “
se l’è presa con una ragazza (_) particolarmente debole e vulnerabile, di cui conosceva le difficoltà familiari e quotidiane e che in lui riponeva grande fiducia
” al punto da considerarlo, “
se non proprio un padre, almeno l’adulto maschile di riferimento
” (sentenza impugnata, consid. IX.3., pag. 108-109). Passando, quindi, ad esaminare quanto commesso da RI 1 ai danni di _, la prima Corte ha sottolineato come il condannato abbia agito con l’inganno per convincere la ragazza ad accettare le sue proposte e come egli non si sia fatto alcuno scrupolo, una volta scoperto che la ragazza si era innamorata di un altro, a colpevolizzarla millantando un suicidio dell’amante virtuale così da potersi presentare a lei “
come lo zio del diciassettenne morto d’amore per lei, raccontandole del funerale e dell’amore che questi nutriva per lei, fino ad offrirsi come confidente per poi chiederle di incontrarla, non senza ricordarle che lui aveva visto le foto, suscitando il comprensibile imbarazzo della giovane e la sua preoccupazione che potessero essere viste da altre persone
” (sentenza impugnata, consid. IX.4., pag. 109). La prima Corte ha, poi, sottolineato come RI 1 abbia agito ancora una volta con l’inganno anche in relazione ai fatti costitutivi del reato di pornografia, “
sfruttando la linea di un terzo del tutto ignaro, che lui stesso gli aveva installato, tanto che questi si è poi visto piombare, di mattina presto, gli inquirenti in casa con un’accusa infamante, a cui era del tutto estraneo
” (sentenza impugnata, consid. IX.4, pag. 109).
Continuando nella valutazione della colpa di RI 1, i primi giudici hanno sottolineato che il concorso di reati di cui egli si è reso autore colpevole non può essere banalizzato e che, inoltre, non può essere sottaciuto che “
l’impressionante quantità di materiale pedopornografico scaricato e conservato, più di ogni altra considerazione, spiega l’interesse sessuale dell’imputato per i bambini
”. Proseguendo sull’argomento, i primi giudici hanno sottolineato come il reato di pornografia non vada “
bagatellizzato poiché all’origine delle immagini raccolte ci sono sempre dei crimini contro l’integrità sessuale dei bambini”.
Infine, in relazione agli elementi qualificanti la sua colpa, i primi giudici hanno osservato che RI 1 “
ha leso più beni protetti
” e meglio, la sfera sessuale, lo sviluppo sessuale delle giovani, la salute e l’integrità fisica di _ con la somministrazione “
di sonniferi fino al doppio della dose prescritta per gli adulti e per almeno una decina di volte
”, la sfera intima e privata
“con comportamenti che hanno suscitato disgusto, come la presa e la conservazione di immagini intime ai danni di una ragazzina seduta tranquillamente, con le sue coetanee, al bar del tennis
” (sentenza impugnata, consid. IX.5., pag. 109 - 110). Infine, la prima Corte ha osservato che, approfittando del sonno profondo di _ per abusare sessualmente di lei, RI 1 ha messo in atto “
comportamenti tanto subdoli che non hanno da essere ulteriormente commentati, bastando la descrizione oggettiva degli stessi per affermare che la colpa dell’autore è di una gravità inaudita
” (sentenza impugnata, consid. IX.5., pag. 110).
b)
comportamento processuale e assunzione di responsabilità
Passando all’esame delle potenziali circostanze attenuanti, la prima Corte ha, dapprima, precisato che dal comportamento processuale di RI 1 non può essere dedotto alcunché di positivo: precisando di non averlo punito più severamente a tale motivo, la Corte delle assise ha rilevato che RI 1 “
non si è mai assunto la responsabilità dei suoi atti”,
che “
sin dai primi albori dell’inchiesta penale ha tentato di trafugare le prove”
e che, in seguito “
ha reso versioni del tutto inveritiere, attribuendo le foto di _ ad una prostituta di _ o dicendo che non tutte le foto le avrebbe scattate lui e ancora portando avanti l’interminabile querelle sulla durata della sua permanenza in camera la notte sul 19 dicembre 2008
”
(sentenza impugnata, consid. IX.6., pag. 110). Sulla questione della collaborazione di RI 1, la prima Corte ha ancora sottolineato che le dichiarazioni da lui rese in aula - e meglio, quelle con cui ha dato atto che la versione di _ era quella vera - sono state “
dichiarazioni del tutto opportunistiche
”, rese perché egli era perfettamente cosciente “
del fatto che, su quanto effettivamente accaduto, nemmeno la ragazza ha potuto riferire in quanto dormiva, tanto che a tutt’oggi non ha spiegato cosa ha realmente fatto in quei 23 minuti, nonostante gli sia stato spiegato quanto fosse importante per la vittima saperlo”
. Pertanto - ha continuato sulla questione la prima Corte - “
le ultime dichiarazioni di rincrescimento per avere guastato il suo rapporto con _ altro non sono che un patetico tentativo di imbonirsi la Corte e mal celano il rammarico per il fatto che, a causa di questo procedimento, il suo rapporto con la ragazza si è guastato e non potrà più approfittarne in futuro”
(sentenza impugnata, consid. IX.6., pag. 111).
Proseguendo, la prima Corte ha ancora voluto sottolineare che, oltre ad avere dimostrato “
egoismo e totale assenza di sensibilità per le sofferenze delle vittime
”, RI 1 “
non ha mai fatto una dichiarazione spontanea di assunzione di responsabilità
” annotando che “
quando ha ammesso alcuni fatti, ha cercato di sminuire la sua colpa
” e che “
tutte le sue ammissioni sono avvenute solo una volta che è stato messo al corrente dagli inquirenti del contenuto delle prove raccolte
” (sentenza impugnata, consid. IX.6., pag. 111).
Inoltre, i primi giudici hanno ritenuto che il carcere preventivo sofferto (oltre un anno) “
non lo ha spostato di un centimetro nell’elaborazione delle sue colpe
” visto che egli continua ancora oggi a “
sostenere di non sapere perché ha fatto quello che ha fatto, di non essere ancora giunto a capire se in lui vi è un interesse sessuale per i bambini
” (sentenza impugnata, consid. IX.7., pag. 111 e 112). Ribadendo che RI 1, non solo non ha collaborato con gli inquirenti, ma “
ha pure dimostrato di non avere affatto elaborato, checché ne dica la psichiatra che lo ha in cura in carcere, i reati commessi
”, i primi giudici hanno, sì, rilevato che egli “
ha accettato di sottoporsi ad un trattamento già in corso di espiazione
”, ma hanno sottolineato che lo stesso perito giudiziario che ha consigliato la misura ha precisato che “
la strada verso la risocializzazione è ancora molto lunga
” ed hanno ricordato che, “
anche in passato, una volta liberato, ha interrotto motu proprio il trattamento cui doveva sottoporsi
” (sentenza impugnata, consid. IX.7., pag. 112). Sulla questione, i primi giudici hanno, così concluso che “
nulla è cambiato dalle considerazioni espresse dal tribunale _ e dal GIAP nella sentenza 7 febbraio 2007, nel senso che non vi è stata alcuna concreta elaborazione dei reati commessi
” e che “
dall’esecuzione della pena, anche in regime chiuso, in realtà RI 1 non si lascia impressionare
” (sentenza impugnata, consid. IX.7., pag. 112).
c)
storia personale
Al riguardo, la prima Corte ha ricordato che RI 1 non è incensurato ed ha precisato che le precedenti condanne espiate “
non hanno sortito alcun effetto risocializzatore”
visto che egli “
ha continuato a vivere nel precariato, nel disordine ed a commettere atti illeciti”
senza impegnarsi per trovare un lavoro e senza cercare, nonostante l’aiuto di una curatela, di mettere ordine nella sua vita. La prima Corte ha, poi, rilevato che, se la storia di RI 1 ha conosciuto “
qualche disavventura
” riferendosi, in particolare, al divorzio, “
la sua reazione è stata quella di una persona totalmente deresponsabilizzata, nella misura in cui non si è più interessato dei figli e non ha più provveduto al loro sostentamento
”. Inoltre, ha sottolineato che neppure sul piano professionale RI 1 ha mostrato un qualsivoglia impegno, tanto che “
oggi un suo reinserimento appare possibile solo in ambito non profit
” (sentenza impugnata, consid. IX.9., pag. 113).
d)
scemata imputabilità e determinazione della pena
La prima Corte ha rilevato come, sulla scorta della perizia psichiatrica allestita, “
accusa e difesa concordino nel riconoscere a RI 1 una scemata imputabilità lieve, situandone il grado attorno ad un quarto
”.
Pertanto, precisato come per i reati commessi in tale stato - e meglio, per i reati commessi ai danni di _ e _ (cfr. sentenza impugnata, consid. IX.8., pag. 112) - si giustificherebbe una “
pena detentiva piena di almeno 5 anni
”, i primi giudici l’hanno ridotta del 25% ed al “
risultato è stata aggiunta la pena per il concorso con i reati per i quali la responsabilità di RI 1 è stata piena
” così che, dopo il computo della pena inflittagli con DA 25.4.2005 (che era stata posta al beneficio della sospensione condizionale), gli ha inflitto, quale pena unica ai sensi degli art. 46 e 49 CP, la pena detentiva complessiva di 5 anni (sentenza impugnata, consid. IX.9., pag. 113; cfr., pure, IX.8 pag. 112).
2.3.
Alla fine del suo allegato ricorsuale - ma la censura viene trattata prima delle altre per ragioni strutturali - il ricorrente rimprovera alla prima Corte di avere violato il principio della parità di trattamento. Pur dichiarandosi consapevole che, nell’ambito della commisurazione della pena, tale principio assume rilievo soltanto in casi eccezionali, il ricorrente sostiene che la pena di 5 anni per i reati commessi in stato di scemata imputabilità (cioè, quelli ai danni di e ) appare manifestamente sproporzionata per rapporto ad una serie di altre pene - che enumera - erogate dalle nostre Corti ad autori colpevoli di reati sessuali perpetrati a danno di minori.
Egli sottolinea - al proposito - che il confronto fra la pena ritenuta dalla prima Corte dovuta ai reati da lui commessi in stato di scemata imputabilità e quella inflitta negli altri casi va fatto tenendo conto che “
comunque per _ non v’è stato nessun contatto fisico, come meglio precisato in sentenza”
e che per _ “
si è trattato di un unico episodio il 18/19 dicembre 2008 e di tentati toccamenti ai seni
” (ricorso pag. 13).
2.4.
Nell’ambito della commisurazione della pena, il principio della parità di trattamento può essere invocato solo nelle rare ipotesi in cui pene determinate in modo di per sé conforme alle norme applicabili diano luogo ad un'obiettiva disuguaglianza. Il confronto con processi analoghi suole, invece, essere infruttuoso, ogni caso dovendo essere giudicato in base alle sue particolarità oggettive e soggettive (DTF 123 IV 150 consid. 2a pag. 163; Corboz, La motivation de la peine, in: ZBJV 131/1995 pag. 12 seg.; cfr. anche DTF 124 IV 44 consid. 2c pag. 47;
STF 15.11.2010, inc. 6B_716/2010
). La giurisprudenza ha, del resto, sottolineato il primato del principio della legalità su quello della parità di trattamento (DTF 124 IV 44 consid. 2c), per cui non è sufficiente che il ricorrente citi l’uno o l’altro caso in cui una pena particolarmente mite è stata fissata per poter pretendere lo stesso trattamento (STF 19 ottobre 2005, inc. 6 345/2005, consid. 1.1.; DTF 120 IV 136 consid. 3a), ritenuto che una certa disuguaglianza nell'ambito della commisurazione della pena si spiega normalmente con il principio dell'individualizzazione, voluto dal legislatore (DTF 135 IV 191, consid. 3.1.; 124 IV 44 consid. 2c;
STF 15.11.2010 6B_716/2010
)
.
Ne segue che in materia di parità di trattamento la Corte di cassazione e di revisione penale interviene solo - come il Tribunale federale (DTF 135 IV 191, consid. 3.1)
- quando il giudice del merito abbia ecceduto o abusato del suo potere di apprezzamento, dando luogo ad una disparità flagrante (sentenza CCRP del 28 marzo 2003, inc. 17.2003.7, consid. 4; sentenza CCRP del 15 marzo 2001, inc. 17.2000.49, consid. 6d/aa; sentenza CCRP del 23 ottobre 2001, inc. 17.2001.34, consid. 7).
2.5.
L’analisi della censura riguardante la violazione del principio della parità di trattamento presuppone - poiché il dispositivo delle sentenza impugnata non è preciso al riguardo, in particolare non lo è in relazione agli atti sessuali ritenuti commessi ai danni di
- che venga, dapprima, chiarito quali sono gli atti sessuali commessi in stato di scemata imputabilità da RI 1 per cui la prima Corte ha ritenuto adeguata una pena detentiva “
piena
” di almeno 5 anni (sentenza impugnata, consid. IX.9, pag. 113).
a)
atti sessuali ai danni di (30.5.1991)
RI 1 è stato, dapprima, ritenuto autore colpevole di atti sessuali con fanciulli (consumati e tentati) per avere, in un numero imprecisato di conversazioni in rete (per posta elettronica ma soprattutto in Messenger) tenutesi nel periodo che va dal settembre al 28 dicembre 2006, indotto e tentato di indurre a compiere atti sessuali su se stessa nonché per averla coinvolta o tentato di coinvolgerla in atti sessuali.
Riassumendo gli accertamenti della prima Corte, RI 1, spacciandosi per un diciassettenne di bell’aspetto, ha avviato con la quindicenne una relazione virtuale in cui - dopo un primo periodo di “
conversazioni, per così dire, del tutto convenienti”
(cfr. sentenza impugnata, consid. VI.1. pag. 41) - a dialoghi di tipo romantico-affettivo (con contenuti tipici delle relazioni adolescenziali) si sono mescolate conversazioni di valenza esplicitamente sessuale miranti all’eccitamento sessuale finalizzato all’esecuzione di atti di autoerotismo (si rinvia, per i dettagli, al consid. VI, pag. 41 - 76 della sentenza impugnata).
Secondo il dispositivo della sentenza impugnata, le conversazioni incriminate si sono svolte sull’arco di circa 4 mesi.
Va, però, precisato che le conversazioni fra i due - iniziate in una data imprecisata del settembre 2006 - vennero forzatamente interrotte il 26 ottobre 2006 quando RI 1 entrò in carcere (per l’espiazione di condanne precedenti). Da tale data e sino a fine dicembre 2006, i contatti fra i due si limitarono alle e-mail riprodotte a pag. 67 e 68 della sentenza impugnata: in esse, dapprima l’uomo - che spiegava la sua latitanza con una sua ospedalizzazione dovuta ad un infortunio - continua a dichiarare il suo amore per la ragazza e, poi, il 13 dicembre 2006, saputo che lei si era innamorata di un altro, le scrive di
“non avere più una vita poiché lei era la sua vita
” per infine, il 28 dicembre (passato in regime di carcere aperto), preannunciarle il suo suicidio (via e-mail:“
Mi dispiace non riesco a stare senza la mia anima. La mia anima se ne è andata con te. Perdonami
”).
A partire dal 30 dicembre 2006, RI 1 ha avviato con la ragazza un nuovo carteggio virtuale in Messenger. Questa volta, però, egli non ha usato il suo vero nome ma si è spacciato per lo zio dell’immaginario innamorato suicida. Questo “carteggio” - durato sino all’estate del 2007 - non ha avuto né l’intensità (per numero di conversazioni) né la natura sentimental/sessuale del rapporto virtuale precedente.
Come accertato dai primi giudici, RI 1 non ha mai incontrato che ha saputo di essere stata ingannata sull’identità del suo interlocutore soltanto dagli inquirenti.
Per contro, sempre come accertato dai primi giudici, RI 1 ha saputo che la sua interlocutrice aveva 15 anni “
al più tardi il 5
(recte: 4)
ottobre 2006
”
, giorno in cui la ragazza glielo scrisse (sentenza impugnata, consid. VI.3.a, pag. 44; consid. VI.6. pag. 75).
Va detto - poiché è rilevante ai fini della valutazione del danno causato - che, sempre secondo gli accertamenti della prima Corte, la ragazza, prima di questo rapporto virtuale, aveva già avuto esperienze sessuali con coetanei e che, nella vicenda che qui interessa, ha avuto
“una partecipazione attiva nelle conversazioni di tipo erotico”
(sentenza impugnata, consid. IX.4, pag. 109) arrivando - poiché “
convinta di parlare con un diciassettenne di bell’aspetto
” - a “
rilanciare”
e, in ogni caso, a “
mostrare curiosità”
(sentenza impugnata, consid. VI.3, pag. 43).
La prima Corte non ha accertato quante volte i due ebbero conversazioni di tipo “erotico”, in questi mesi. Al proposito va comunque precisato che l’indicazione temporale “
nel periodo settembre 2006-dicembre 2006
”
di cui al dispositivo 1.1.2 della sentenza impugnata induce in errore: in effetti, per accertare la durata del reato (importante per la valutazione della colpa), da tale periodo vanno, in ogni caso, tolti i primi tempi in cui i due ebbero “
conversazioni, per così dire, del tutto convenienti”
(cfr. sentenza impugnata, consid. VI.1. pag. 41) e quelli successivi al 26 ottobre 2006, cioè al giorno dell’entrata in carcere di RI 1 che passò al regime di carcere aperto il 18 dicembre 2006, quando già la ragazza gli aveva comunicato di averlo lasciato per un altro.
Il dispositivo 1.1.2. della sentenza impugnata parla, poi, di un
“numero imprecisato di occasioni”
. Nei considerandi, dopo avere rilevato che RI 1 ha detto di avere avuto
“una decina di contatti con _”,
i primi giudici hanno parlato di “
una sequela interminabile di conversazioni via mail”
precisando come agli atti vi siano
“paginate e paginate di registrazioni”
e rinviando, per quando riguarda le conversazioni non riprodotte in sentenza, “
al testo stesso del materiale rinvenuto dalla polizia e raccolto nel classeur 3”
(sentenza impugnata, consid. VI.3 pag. 43).
In sentenza, sono state riprodotte 13 conversazioni via internet a contenuto sessuale intercorse dal 4 ottobre sino al 22 ottobre 2006 (dagli atti emerge che in questo stesso lasso temporale hanno avuto luogo fra i due altre conversazioni in Messenger, ma senza particolare contenuto erotico). Oltre a queste, negli atti vi è il testo di altre conversazioni in Messenger avvenute nelle seguenti date:
-
il 23 ottobre dalle 20.13 alle 21.42 (che non ebbe un contenuto erotico),
-
il 24 (dalle 10.27 sino alle 10.45, poi dalle 12.24 sino alle 13.04, poi ancora dalle 14.52 sino alle 15.04, e, infine, dalle 20.26 sino alle 21.56) e
-
il 25 (dalle 11.33 alle 11.37, poi dalle 14.55 alle 14.57; poi dalle 18.04 alle 19.15, poi ancora dalle 19.42 alle 20.04 e infine, dopo un paio di abboccamenti puntuali -“
amore dimmi quando torni
”, “
arrivo due min”
- una conversazione iniziata alle 20.27 e terminata alle 22.04).
Di tutte queste, solo la conversazione avvenuta il 24.10.2006 nella fascia oraria che va dalle 20.26 alle 21.56 ha avuto un contenuto erotico. Le altre sono, in sostanza, una ripetizione di frasi tenere e di insulsaggini diverse.
Secondo quanto risulta dall’atto istruttorio cui la prima Corte ha rinviato, dopo la conversazione del 25.10.2006 terminata alle 22.04 vi è in Messenger un lungo silenzio, rotto soltanto dopo più di due mesi, alle 21.45 del 28.12.2006, dal messaggio d’addio inviato da RI 1/_ diciassettenne (“
addio amore mio, me ne vado, è stato bello averti conosciuta, ma ora mi manchi troppo. nn posso + colmare il vuoto che mi hai lasciato. Sei veramente unica, ti AMO e continuerò a farlo anche se nn sarò + qui
”). Questo messaggio - secondo quanto risulta dall’atto istruttorio - è rimasto senza risposta.
Si, può, dunque, tradurre l’espressione “
nel periodo che va dal settembre al 28 dicembre 2006, in un numero imprecisato di occasioni, durante lunghe e assidue conversazioni in rete con lei (per posta elettronica ma soprattutto in Messenger)
” utilizzata dai primi giudici nel dispositivo 1.1.2 in quella più precisa “
nel periodo dal 4 al 24 ottobre 2006, in 14 occasioni, durante lunghe e assidue conversazioni in rete ...
”.
b)
atti sessuali ai danni di (17.2.1993)
a.a.
Ai danni di , RI 1 è stato ritenuto autore colpevole di tentati atti sessuali con fanciulli per avere, nel periodo che va dal 2008 sino al febbraio 2009, mentre le praticava dei massaggi “rilassanti” su schiena, addome e piedi, ripetutamente tentato d palpeggiare i seni della ragazza, senza mai riuscirvi poiché questa si spostava.
La prima Corte non ha quantificato (nemmeno approssimativamente) il numero dei tentati toccamenti del seno.
Al riguardo, nel considerando VII.4.e. pag. 98 della sentenza impugnata viene citata la dichiarazione resa il 5.3.2009 da in cui, fra l’altro, dopo avere detto che, quando guardavano insieme la televisione, RI 1 le “
massaggiava la schiena, la pancia e i piedi
”, la ragazza ha dichiarato di ricordare che, in quei frangenti, “
ogni tanto, si avvicinava troppo con le sue mani al mio seno ed io mi giravo a pancia in giù perché non mi piaceva
” ( 5.3.2009 in sentenza impugnata). Al successivo considerando VIII.3.c., dopo avere precisato che RI 1 non ha negato i massaggi ricordati dalla ragazza pur precisando di non avere avuto, in quei momenti, alcuna intenzione sessuale, i primi giudici hanno dichiarato di non credere all’accusato rilevando come sia “
del tutto fuori luogo che, per rilassare una persona, si vada fino a lambirne i seni e, ove ciò capitasse casualmente, non può avvenire così spesso come raccontato dalla ragazza
” (ibidem, pag. 104).
Null’altro.
Al di là, dunque, dell’ “
ogni tanto
” detto dalla ragazza - trasformato dalla Corte in “
così spesso come raccontato dalla ragazza
” - non vi sono altri accertamenti sul numero dei gesti compiuti da RI 1 e considerati atti sessuali ai sensi dell’art. 187 CP dalla prima Corte.
Non resta, dunque, che considerare che la prima Corte - che ha ritenuto credibile la ragazza e sulle sue dichiarazioni ha fondato i suoi accertamenti - si è limitata ad accertare che, nel periodo compreso fra il 2008 e il febbraio 2009, RI 1 ha, ogni tanto, tentato di toccare i seni di
a.b.
Sempre ai danni di , RI 1 è stato ritenuto autore colpevole di atti sessuali con persona inetta a resistere - in concorso con il reato di atti sessuali con fanciulli ai sensi dell’art. 187 CP - per avere, la notte del 18/19 dicembre 2008, tra le ore 23.55 e le ore 00.18, sfruttando il fatto che la ragazza dormiva e non si accorgeva di nulla, “
spogliato e toccato , palpeggiandole i seni e la vulva, allargandole poi con le dita della mano le labbra della vagina, palpandogliela, compiendo anche altri atti sessuali su di lei, come attestato dalle nove fotografie da lui effettate utilizzando il suo cellulare
” (sentenza impugnata, dispositivi 1.2. pag. 119 e 1.1.1.2. pag. 116).
Si tratta di un dispositivo poco chiaro, ritenuto che in esso, dopo una prima parte in cui vengono precisati gli atti compiuti, la prima Corte ha aggiunto l’espressione “
compiendo anche altri atti sessuali
(sott. del red.)
su di lei, come attestato dalle nove fotografie da lui effettate utilizzando il suo cellulare”
. Quest’espressione sembra indicare che la prima Corte ha accertato che RI 1 ha commesso altri atti sessuali, oltre a quelli sin lì elencati (cioè, oltre ai toccamenti di seni e vulva, all’allargamento con le dita delle grandi labbra e alle palpazioni della vagina).
Al considerando VII.4., la prima Corte ha accertato che, la notte tra il 18 e il 19 dicembre 2008, approfittando del sonno profondo della ragazza (indotto dal sonnifero), RI 1 le ha scattato (con il cellulare) le 9 foto ritrovate nel suo PC e che la prima Corte ha così descritto:
“-
la n. 1 e la n. 2 ritraggono _ nuda, a gambe aperte, con la vagina nuda in primo piano e i seni nudi sullo sfondo in alto, la maglietta risultando alzata fin sopra il petto;
-
la n. 3 ritrae in primo piano la vagina di _ con le mani dell’imputato che le allargano le labbra;
-
la n. 4 è, invece, il primo piano della mano destra del RI 1 mentre allarga le labbra della vagina di _;
-
la n. 5 rappresenta verosimilmente un braccio con sottofondo una parte del corpo di _;
-
la n. 6 è di pessima qualità e la Corte non ha potuto dire con certezza cosa ritragga, anche se potrebbe raffigurare il braccio dell’uomo e, sotto, il suo pene non in erezione;
-
la n. 7 ritrae le natiche della ragazza (l’accusato al PP ha riferito “un culo”);
-
la n. 8 rafigura le gambe di _;
-
la n. 9 è troppo sfuocata per poterle attribuire un significato certo
”
(sentenza impugnata, consid. VII.4.c., pag. 93 e 94).
Forza è constatare che queste fotografie non ritraggono “
altri”
atti sessuali rispetto a quelli già elencati dettagliatamente ai dispositivi 1.2. e 1.1.1.2. della sentenza impugnata.
Anzi, i “
palpeggiamenti”
di seni, vulva e vagina (?) di cui ai citati dispositivi non sono documentati da tali foto ma sono stati accertati sulla scorta delle dichiarazioni dello stesso RI 1 che, nell’interrogatorio del 6.3.2009, “
preso atto del fatto che erano state ritratte pure due dita sulla vagina nuda della ragazza, ha ammesso di averla pure toccata”
e, poi, ha detto che “
con le dita della mano ho leggermente allargato le labbra della vagina di _ e poi con la mano chiusa gliel’ho accarezzata. ADR che non so indicare per quanto tempo ho accarezzato la vagina a _ ma il tutto è durato qualche minuto, al massimo 5”
(MP RI 1, 6.3.2009 citato al consid. VII.4.b.,pag.93 della sentenza impugnata).
Dai considerandi della sentenza sembra trasparire che la prima Corte sospetti che RI 1 abbia fatto di più. Infatti, per esempio al consid. VIII.3.e. pag. 105 della sentenza impugnata, la Corte ha voluto indicare che non è dato sapere “
cosa ha fatto, al di là di quanto certamente documentato, in quei ventitré minuti”
visto che RI 1 si è “
limitato a dire di essersi allacciato una scarpa, di essere stato disturbato dal cane che voleva giocare, oltre naturalmente ad avere scattato quelle foto e ad avere toccato la ragazza nelle sue parti intime”
(cfr., pure, consid. IX.6 pag. 110 e 111, in cui la Corte rimprovera al condannato di non avere “
a tutt’oggi spiegato cosa ha realmente fatto in quei 23 minuti, nonostante gli sia stato spiegato quanto fosse importante per la vittima saperlo
”) .
Tuttavia, al di là di queste annotazioni, forza è constatare che - al di là del tempo trascorso tra la prima e l’ultima foto - la Corte non ha ravvisato elementi che possano in qualche modo sostanziare la tesi secondo cui RI 1 abbia fatto di più di quanto indicato nel dettaglio nei dispositivi 1.2. e 1.1.1.2. della sentenza impugnata. Ne risulta, che, in essi, l’espressione “
compiendo anche altri atti sessuali”
non ha significato alcuno (poiché non può averne ritenuto che il sospetto non ha rango di prova). Da ciò deriva che, concretamente, in relazione a quanto fatto la notte del 18/19 dicembre 2008, tra le ore 23.55 e le ore 00.18, RI 1 è stato condannato per avere “
spogliato e toccato , palpeggiandole i seni e la vulva, allargandole poi con le dita della mano le labbra della vagina, palpandogliela”
(dispositivi 1.2. pag. 119 e 1.1.1.2. pag. 116 della sentenza impugnata, qui epurati, per le necessità del giudizio, dall’espressione “
compiendo anche altri atti sessuali
come attestato dalle nove fotografie da lui effettate utilizzando il suo cellulare
”).
2.6.
A sostegno della tesi secondo cui vi è stata violazione del principio della parità di trattamento, il ricorrente invoca quattro sentenze emanate dalle Corti ticinesi.
a)
La prima è la sentenza emanata in re il 5 settembre 2003 dalla Corte delle assise criminali che è stata confermata con sentenza 21 maggio 2004 dalla scrivente Corte la cui sentenza é, poi, stata a sua volta confermata, il 28 dicembre 2004, dal Tribunale federale. Nel caso concreto, (zio della vittima) era stato ritenuto autore colpevole di:
- ripetuti atti sessuali con fanciulli in concorso con ripetuta coazione e ripetuta violenza carnale per avere, nel periodo agosto 2000-novembre 2001, ripetutamente costretto la nipote (26.2.1988) a subire e a praticargli in più occasioni sesso orale, a masturbarlo in più occasioni, a subire palpeggiamenti in diverse parti del corpo e a subire, in più occasioni, la congiunzione carnale;
- ripetuta infrazione e contravvenzione alla LFStup e di ripetuta somministrazione a fanciulli di sostanze pericolose per la salute (marijuana e alcool).
Per questi reati è stato condannato alla pena di 6 anni di reclusione.
b)
La seconda sentenza citata è stata emanata dalla Corte delle assise correzionali di _ l’11 gennaio 2007 nei confronti di che è stato riconosciuto autore colpevole di:
- tentata violenza carnale a danno di (figlia della moglie, quindicenne all’epoca dei fatti), desistendo spontaneamente dal consumare il reato iniziato;
- coazione sessuale per essersi, agli inizi del mese di novembre 2003, sfregato contro il corpo di fino al raggiungimento dell’orgasmo;
- ripetuti atti sessuali con fanciulli per avere, in aggiunta a quanto sopra, nel periodo dal giugno 2003 sino al 18.12.2003, palpeggiato il seno, la vagina e le natiche di , essersi fatto toccare il pene, mostrato il pene in erezione a e averla abbracciata mimando l’atto sessuale;
- ripetute ingiurie per avere, nel periodo dal maggio/giugno 2003 al 18 dicembre 2003, dato della “
porca
”, della “
puttana
” e della “
drogata
” a .
Per questi reati, (processato a più di 3 anni dai fatti) è stato condannato alla pena detentiva di 2 anni e 6 mesi (la pubblica accusa aveva chiesto 3 anni).
c)
La terza sentenza citata dal ricorrente è stata emanata il 24 marzo 2006 dalla Corte delle assise correzionali di _ nei confronti di che é stato riconosciuto autore colpevole di:
-
coazione sessuale ripetuta in concorso con atti sessuali con fanciulli ripetuti
per avere, nel periodo da febbraio 2000 a febbraio 2003, in almeno 10/13 occasioni, accarezzato e masturbato la figlia (17.12.1986), avuto con lei dei rapporti orali, tentato di introdurre il dito nella vagina riuscendovi solo parzialmente, spinto la figlia a toccargli il pene e strofinato il suo pene in erezione (ma non denudato se non una volta nel periodo dal dicembre 2002 al febbraio 2003) senza mai giungere all’eiaculazione.
- pure processato a più di tre anni dai fatti - è stato riconosciuto avere parzialmente agito in stato di scemata responsabilità ed è stato condannato alla pena di 2 anni di detenzione (la pubblica accusa aveva chiesto 2 anni e 4 mesi).
d)
La quarta sentenza citata dal ricorrente è stata emanata il 4 maggio 2010 dalla Corte delle assise correzionali di _ nei confronti di che è stato riconosciuto autore colpevole di:
-
ripetuti atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere in concorso con atti sessuali con fanciulli
per avere, tra il 10 marzo 2001 e il febbraio 2007, approfittando del fatto che le vittime dormivano, in 6 occasioni, compiuto con i minorenni (7.5.1992), (16.1.1991), (10.4.1995), (5.10.1995) atti sessuali (preso il pene del bambino tra le proprie dita, massaggiatolo e masturbatolo fino a provocarne l’erezione e quindi fotografato; massaggiato il pene del bambino sino ad erezione e quindi fotografato e, dopo essersi masturbato a sua volta, appoggiato il proprio pene alla bocca del bambino e fotografato la scena; preso il pene del figlio e masturbatolo sino ad erezione e, poi, fotografato; abbassato i pantaloni del pigiama e le mutande, preso in mano il pene del bambino e masturbatolo sino ad erezione e quindi scattato delle foto; infilato una mano nelle mutande del bambino e, preso il suo pene tra le mani, masturbatolo);
-
ripetuta violazione della sfera segreta o privata mediante apparecchi di presa d’immagini in parte tentata
per avere, dall’estate 2006 al febbraio 2007, ripetutamente osservato o fissato e/o tentato di fissare su un supporto di immagini, oltre al pene dei minori di cui sopra, osservato e registrato, tramite una telecamera elettronica nascosta nel locale bagno della propria abitazione e di un appartamento di vacanza collegata ad un apparecchio TV i minori , e denudati;
-
pornografia
per avere, tra il 2000 e il 2 maggio 2007, scaricato e salvato su diversi supporti almeno 400 filmati e 20.000 immagini pedopornografiche.
Per questi reati, è stato condannato alla pena detentiva di 2 anni e 6 mesi.
2.7.
Come visto sopra, la prima Corte ha determinato la pena da infliggere al ricorrente partendo dai reati commessi ai danni di e affermando che, fossero stati commessi in stato di piena imputabilità, per essi si giustificherebbe una “
pena detentiva piena di almeno 5 anni
” (sentenza impugnata, consid. IX.9., pag. 113).
Ciò significa che la prima Corte ha considerato adeguata la pena detentiva di 5 anni per i ripetuti (ma non quantificati) tentati toccamenti del seno (dispositivo 1.1.1.) e per avere, la notte tra il 18 e il 19 dicembre 2008, “
spogliato e toccato , palpeggiandole i seni e la vulva, allargandole poi con le dita della mano le labbra della vagina, palpandogliela”
(dispositivi 1.2. e 1.1.2.) - reati commessi a danno di (all’epoca quindicenne) - e per l’induzione (a volte tentata) e il coinvolgimento (a volte tentato), durante 13 conversazioni via Messenger, di (all’epoca, pure quindicenne) in atti sessuali (di natura automasturbatoria).
2.8.a)
Rispetto alla prima sentenza citata dal ricorrente per cui all’autore è stata inflitta una pena di 6 anni, colpisce, dal profilo oggettivo, la differente natura degli atti sessuali - toccamenti del seno, in parte tentati, toccamento vulva e vagina e induzione ad atti di masturbazione quelli commessi da RI 1 rispetto ai rapporti sessuali completi, coiti orali e masturbazioni per cui è stato condannato - e il numero di molto inferiore di atti sessuali commessi da RI 1 rispetto a quelli compiuti da che ha delinquito sull’arco di 15 mesi e (così come indicato dalla Corte che l’ha giudicato; cfr. sentenza cit., consid. 25, pag. 85) “
per un numero imprecisato ma che certamente importante (un calcolo approssimativo e favorevole all’imputato vuole che ci siano stati due abusi al mese per più di 12 mesi)”
. Né si può dire che la vicenda che ha visto protagonista RI 1 abbia risvolti soggettivi talmente gravi (e, comunque, più gravi di quelli presentati dalla vicenda giudicata con la sentenza citata) da giustificare - pur in presenza di atti sessuali di gravità oggettiva di gran lunga inferiore - una pena di appena un anno inferiore. In effetti, - in favore del quale è stata riconosciuta soltanto l’incensuratezza e una particolare povertà culturale e morale - ha fatto quel che ha fatto ai danni della nipote di 12 anni “
di cui conosceva l’estrema fragilità affettiva
” ed ha agito “
dopo avere guadagnato la confidenza e l’affetto di I. con una vera e propria strategia di avvicinamento (...omissis...) ha costretto la sua vittima a sottostare alle sue turpi voglie con la violenza, con la minaccia e l’intimidazione e con il cinico sfruttamento dello stato di torpore indotto dalla sostanza stupefacente che egli stesso la aiutava e spingeva ad assumere”
(cfr. sentenza cit., consid. 25, pag. 86 e 87).
b)
Anche rispetto alla seconda sentenza citata dal ricorrente - per cui all’autore è stata inflitta una pena di 2 anni e 6 mesi - colpisce la natura oggettivamente meno grave degli atti sessuali commessi da RI 1 senza che si possano intuire (la sentenza citata non è motivata) circostanze - oltre al tempo trascorso tra i fatti e il giudizio - che, dal profilo soggettivo, diminuiscano la colpa dell’autore (la vittima era la figlia quindicenne della di lui moglie e l’autore aveva sfruttato, per imporsi, la superiorità fisica e quella psicologica derivantegli dal suo ruolo di patrigno tradendo, così come accertato in relazione a per RI 1 dalla prima Corte, la fiducia, che la vittima aveva riposto in lui).
c)
Uguale riflessione si imporrebbe anche in relazione alla terza sentenza citata. Tuttavia, è evidente che in quel caso (i cui contorni non sono ricostruibili visto che questa sentenza non è motivata) circostanze attenuanti di peso, insieme al fatto che l’autore ha agito parzialmente in stato di scemata responsabilità, devono avere contribuito in modo determinante alla commisurazione della pena. Pertanto, tale sentenza non può essere considerata nell’ambito della valutazione di un’eventuale disparità di trattamento.
d)
Torna ad essere in questo ambito significativa, invece, la quarta sentenza citata dal ricorrente. In una vicenda che presenta, dal profilo oggettivo, parecchie similitudini con quella di RI 1 - natura e numero relativamente ridotto degli atti sessuali commessi (oltre all’analogia relativa ai reati ex art. 179
quater
e 197 CP di cui si dirà dopo) - ma che va da questa differenziata poiché, in quel caso, l’autore aveva agito sull’arco di circa 7 anni e a danno di 4 bambini di età compresa fra i 9 e gli 11 anni ciò che rende, dal profilo oggettivo, la sua colpa più grave rispetto a quella di RI 1 che ha agito su un arco di tempo ben più limitato e a danno di due quindicenni, l’autore è stato condannato alla pena detentiva di 2 anni e 6 mesi. Va rilevato che, anche dal profilo soggettivo, la vicenda di presenta similitudini con quella di RI 1 avendo la Corte delle assise correzionali accertato che aveva “
delinquito in età matura, a partire circa dai 40 anni e pertanto con piena consapevolezza
” e che “
palese é l’enormità della colpa dell’accusato che non si fa scrupolo di delinquere nemmeno in danno di quelli che dovrebbero essere gli affetti più cari, come il proprio figlio e la donna che egli afferma di amare”
e che aveva, per delinquere, anche “
sfruttato il rapporto di fiducia e di amicizia esistente con i genitori dei bambini i quali gli avevano affidato i loro figli
” (Assise correzionali, 4.5.2010 in re ).
2.9.
Oltre alle sentenze citate dal ricorrente, a questa Corte ne sono note - per esperienza diretta o indiretta - altre, emanate dalle nostre Corti d’assise e che vanno considerate nell’esame della censura di violazione del principio della parità di trattamento. Si tratta delle seguenti pronunce:
a.
con sentenza 12 ottobre 2000 della Corte delle assise criminali - parzialmente riformata da questa Corte con pronuncia 3 aprile 2001- è stato ritenuto colpevole di atti sessuali con fanciulli, atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere per avere, nel periodo tra la primavera 1998 e il marzo 1999, sodomizzato in tre occasioni il figlio (8.4.1989) ed avere commesso, a danno della figlia (17.6.1995), sodomia in almeno un’occasione e in 2 occasioni atti sessuali. è stato condannato a 7 anni e 6 mesi di reclusione. Adita con ricorso per cassazione, con sentenza 3.4.2001, questa Corte ha assolto dall’imputazione di sodomia a danno della figlia, precisando, invece, come, anche in quell’occasione, si trattò di atti sessuali (“
forte pressione del pene sull’orifizio anale della bambina, senza penetrazione
”, cfr. sentenza 3.4.2001 di questa Corte, consid. 15.d., pag. 11) ed ha ridotto la pena inflitta a 7 anni di reclusione.
b.
sentenza 22.9.2005 della Corte delle assise correzionali di _ che ha riconosciuto autore colpevole di:
-
ripetuta coazione sessuale, in parte tentata, in concorso con atti sessuali con fanciulli
, per avere, tra la primavera 2002 e l’8 giugno 2003, in un numero imprecisato di occasioni ma almeno 25 volte, costretto l’abbiatico (17.10.1995) a subire diversi atti sessuali (palpeggiamenti sui genitali e sulle natiche, masturbazioni ripetute, fellatio, toccamenti dell’orifizio anale, introduzione del dito nell’orifizio anale) e a praticargli atti sessuali (masturbazione)
-
atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere
per avere, nel corso dell’estate 2002, palpeggiato ripetutamente i genitali e, in un paio d’occasioni, compiuto atti masturbatori ai danni dell’abbiatico (6.12.1992).
, cui è stato riconosciuto di avere agito in stato di lieve scemata responsabilità, è stato condannato alla pena di tre anni di detenzione.
c.
sentenza 12.9.2007 con cui è stato riconosciuto autore colpevole di:
- ripetuti atti sessuali con fanciulli in concorso con ripetuti atti sessuali con persone inette a resistere per avere, tra la fine del 2004 e la metà di gennaio 2007, ripetutamente toccato gli organi genitali, infilando nella vagina anche dita e lingua della figliastra (1993) sfruttandone lo stato di inettitudine dovuto al sonno e/o al dormiveglia
- violenza carnale in concorso con atti sessuali con fanciulli per avere, sfruttandone l’incapacità a resistere dovuta alla sorpresa, costretto la figliastra a subire la congiunzione carnale.
è stato condannato alla pena detentiva di 5 anni.
d.
sentenza emanata il 16.7.2008 dalla Corte delle assise criminali nei confronti di , che è stato dichiarato autore colpevole di:
-
ripetuti atti sessuali con fanciulli, consumati,
per avere, nel periodo fine 2005-8.8.2006, commesso con e/o fatto subire a (8.8.1990), i seguenti atti sessuali: essersi masturbato di fronte a lei, l’essersi fatto masturbare in almeno un’occasione, avere ripetutamente toccato le parti intime della ragazza,
-
ripetuta violenza carnale consumata e tentata in concorso con atti sessuali con fanciulli consumati e tentati
per avere tentato, in almeno un’occasione, di congiungersi carnalmente con e per essersi congiunto con lei in un’occasione;
-
ripetuta coazione sessuale in concorso con atti sessuali con fanciulli
per averla costretta a subire in un’occasione un rapporto anale e per averla costretta a praticargli almeno 4 fellatio;
-
coazione
per avere costretto, una sera, la ragazza a rimanere nel suo appartamento e a bere del wisky sino a farla vomitare;
-
ripetuta pornografia
per avere mostrato a in un’occasione una videocassetta con immagini pornografiche ed in un’altra occasione una videocassetta con rappresentazione di atti sessuali con escrementi umani;
-
ripetuta infrazione alla LFStup
per avere, in più occasioni, ceduto a un minimo quantitativo di cocaina, un minimo quantitativo di hashish, almeno 100 gr di marijuana e procurato a due amici 10 gr di marijuana;
-
somministrazione a fanciulli di sostanze pericolose per la salute
per avere offerto a i citati stupefacenti e per averle somministrato, rispettivamente messo a disposizione, bevande alcoliche in un quantitativo tale da renderla “allegra” almeno una volta alla settimana;
-
vie di fatto
per averla ripetutamente, sull’arco di almeno un anno e 7 mesi, colpita con sberle e calci;
-
contravvenzione alla LFStup
per avere consumato un imprecisato quantitativo di marijuana (almeno 200 gr), hashish (almeno 20 gr) e un minimo quantitativo di cocaina.
Per questi reati, - cui è stato riconosciuto di avere agito in stato di lieve scemata imputabilità - è stato condannato ad una pena detentiva di 6 anni e 6 mesi.
Il ricorso presentato da contro la citata sentenza è stato dichiarato inammissibile da questa Corte con pronuncia 22.9.2008.
e.
sentenza emanata il 28.1.2009 dalla Corte delle assise criminale nei confronti di che è stato riconosciuto autore colpevole di violenza carnale in concorso con atti sessuali con fanciulli per avere, il 7 giugno 2008, dopo averla resa inetta a resistere con uno spinello di marijuana, costretto (nata il 26 aprile 1994) a subire la congiunzione carnale.
, autore colpevole anche di infrazione (per avere messo a disposizione di la marijuana) e di contravvenzione (per avere fumato) alla LStup è stato condannato a 3 anni e 10 mesi.
La sentenza è stata cassata da questa Corte che, con giudizio 4 maggio 2009, ha assolto dall’imputazione di violenza carnale.
f.
sentenza 24 febbraio 2009 della Corte delle assise criminali con cui è stato riconosciuto autore colpevole di ripetuta violenza carnale, ripetuta coazione sessuale, ripetuti atti sessuali con fanciulli per avere, tra l’agosto 2006 e il 1.dicembre 2007, costretto la figliastra (nata il 26.4.1994), a subire in due occasioni la congiunzione carnale e a subire una penetrazione anale e un bacio sulla vulva.
Per questi reati, è stato condannato alla pena detentiva di 6 anni.
Adita con ricorso per cassazione, questa Corte ha prosciolto dall’accusa di violenza carnale per un episodio e, in considerazione di quest’assoluzione, ha ridotto a 5 anni la pena detentiva pronunciata a carico di
g.
sentenza emanata il 14.9.2009 dalla Corte delle assise criminali nei confronti di che è stato dichiarato autore colpevole di ripetuti atti sessuali con fanciulli per avere avuto, nel periodo maggio 2006 - 24 agosto 2008, in circa 18-23 occasioni, rapporti sessuali dei più vari (masturbazioni, congiunzioni carnali e sesso orale) con la figlia (12.6.1993) della moglie. è stato condannato alla pena detentiva di 3 anni.
h.
sentenza 23 febbraio 2010 con cui la Corte delle assise criminali ha dichiarato autore colpevole di coazione sessuale e violenza carnale in concorso con atti sessuali con fanciulli per avere, il 24 giugno 2009, usando violenza, minaccia e pressioni psicologiche costretto (08.09.1997) a subire contro la sua volontà atti sessuali (e meglio, per avere appoggiato e sfregato il proprio pene sulla vulva) e, poi, in un secondo momento, costretto la bambina a subire la congiunzione carnale.
C. è stato condannato alla pena detentiva di 6 anni.
2.10.a)
Riguardo la prima sentenza citata al considerando precedente, non si può non rilevare l’estrema gravità degli atti compiuti da sui figli piccoli se non piccolissimi (il bambino aveva circa 9 anni, la figlia ne aveva 3). Ad - la cui colpa è stata definita gravissima e che, giusta gli accertamenti della Corte, non ha dimostrato pentimento alcuno ma, anzi, “
ha tentato di sottrarsi alle proprie responsabilità asserendo che i figli raccontavano il falso
” e che ha avuto, quali circostanze attenuanti, soltanto l’incensuratezza, una non facile vita anteriore e un’anomalia di carattere (che “
pur non giustificando l’applicazione dell’art. 11 CP, ha avuto un certo influsso sui freni inibitori
”, cfr. sentenza 12.10.2000, consid. 8., pag. 30) - sono stati inflitti 7 anni di reclusione (7 anni e 6 mesi dalla prima Corte, ridotti in sede di cassazione a causa della caduta di un reato). Cioè, una pena di soli 2 anni superiore a quella che la prima Corte ha ritenuto adeguata alla colpa di RI 1 per i reati - di gravità oggettiva ben inferiore - di cui s’è detto.
b)
Anche i reati di cui è stato riconosciuto autore colpevole con la seconda sentenza citata al considerando precedente sono estremamente più gravi di quelli di cui RI 1 è stato riconosciuto autore colpevole. Lo sono per natura, intensità, numero e età delle vittime (bambini piccoli se non piccolissimi). La colpa di era, pure, estremamente grave dal profilo soggettivo avendo egli scelto come vittime i propri nipotini, quindi dei bambini per cui egli era un punto di riferimento affettivo ed educativo importante e avendo egli, con quanto fatto, pure tradito la fiducia dei figli che gli affidavano i piccoli. Va, comunque, detto che ha, invece, beneficiato di circostanze attenuanti non riconosciute a RI 1: in particolare, gli sono stati riconosciuti un buon comportamento dopo i fatti, la collaborazione prestata agli inquirenti e una particolare sensibilità alla pena in forza dell’età avanzata. Tenuto conto della riduzione per la scemata responsabilità, si ha che, per i reati commessi, è stato punito con una pena piena di circa 4 anni.
c)
Con la terza sentenza citata al considerando precedente, a è stata inflitta la stessa pena che la prima Corte ha, nel caso che ci occupa, ritenuto adeguata alla colpa di RI 1 per i reati commessi ai danni delle due ragazze.
Ancora una volta colpisce il fatto che è stato condannato per reati oggettivamente più gravi di quelli di cui deve rispondere RI 1. Egli, infatti, ha agito ai danni delle figliastra, iniziando quando la piccola era appena undicenne e le ha fatto subire, in un numero imprecisato di occasioni ma su un arco di tempo molto più lungo (tra la fine del 2004 sino a metà gennaio 2007), diversi atti di genere masturbatorio (“
toccamenti, inserimento dita e uso lingua”,
sentenza cit., consid. 31, pag. 28) e, in un’occasione, le ha imposto la congiunzione carnale. Né si può dire che avesse, dal profilo soggettivo, una colpa meno grave rispetto a RI 1. Infatti, la Corte aveva rilevato come la colpa fosse grave anche perché “
ha fatto quel che ha fatto nonostante fosse pienamente cosciente di avere assunto, agli occhi della ragazza, un ruolo quasi genitoriale e, comunque, di essere diventato per lei un punto di riferimento importante dal profilo affettivo
” e anche perché egli aveva agito “
per desiderio di vendetta nei confronti della moglie cui non riusciva a far accettare la sua scala di valori
” (sentenza cit., consid. 39, pag. 36 e 37). Nemmeno si può, dire, che abbia avuto un comportamento processuale migliore di quello tenuto da RI 1. Anzi, nella sentenza citata si legge che ha tentato di mistificare i fatti, attribuendone “
la genesi ad un comportamento equivoco della ragazza, cercando di far credere che sarebbe stata lei a sollecitare le sue attenzioni perché infatuata di lui in un momento in cui la sua curiosità per il sesso si stava svegliando
” (sentenza cit., consid. 39, pag. 37). Neppure si può dire che egli avesse attenuanti significativamente più importanti rispetto a RI 1: in effetti, oltre all’incensuratezza, è stato per lui considerato soltanto che egli “
aveva alle spalle una vita di onesto lavoro ed un’infanzia e una giovinezza”
vissute in povertà (sentenza cit., consid. 39, pag.38).
d)
Riguardo la quarta sentenza citata, occorre rilevare che è stato condannato per atti sessuali (commessi ai danni di una quindicenne) di natura estremamente grave: si trattava, oltre che di una violenza carnale tentata e di un’altra consumata, di 5 coazioni sessuali di gravità non inferiore alla violenza carnale (imposizione di 4 fellatio e di una penetrazione anale) che si aggiungevano ad altri atti sessuali non imposti con la forza (essersi masturbato di fronte a lei, l’essersi fatto masturbare in almeno un’occasione, avere ripetutamente toccato le parti intime della ragazza). A questi vanno, poi, aggiunti - commessi sempre ai danni di - il reato di pornografia, di somministrazione a fanciulli di sostanze pericolose, di infrazione alla LStup, di coazione “
esercitata con una violenza e una pervicacia che, per fortuna, raramente si vedono nei nostri tribunali
” e di vie di fatto ripetute “
che assumono gravità oggettiva a causa della loro sistematicità e ripetitività e totale arbitrarietà
” (cfr. sentenza 16.7.2008 della Corte delle assise criminali, consid. 48, pag. 110). Per questi reati, a sono stati inflitti 6 anni e 6 mesi che diventano, tenuto conto della diminuzione legata alla riconosciuta scemata imputabilità, una pena “piena” aggirantesi fra gli 8 e i 9 anni (cfr. sentenza 16.7.2008 della Corte delle assise criminali, consid. 48, pag. 113). Si tratta di una pena evidentemente più pesante di quella inflitta a RI 1 che tuttavia deve rispondere di reati estremamente meno pesanti, in particolare per numero e natura. La minor gravità dei reati di cui RI 1 deve rispondere emerge, poi, con evidenza dalla lettura del considerando 48 della sentenza 16.7.2008 della Corte delle assise criminali in cui si legge di reati commessi (da ) con particolare brutalità, violenza e intento di totale prevaricazione dell’autore sulla vittima, definita come una “
ragazzina emotivamente vulnerabile
” che in lui “
vedeva il surrogato del padre che le mancava
” e di cui ha coscientemente sfruttato la fragilità.
e)
Al di là della sua cassazione, la sentenza 28.1.2009 può comunque servire da indicatore delle pene che le nostre Corti infliggono in caso di reati sessuali a danno di fanciulli. In questo senso, colpisce ancora una volta il fatto che, per un atto sessuale di natura oggettivamente più grave di quelli commessi da RI 1 ai danni di , è stata pronunciata una pena di molto inferiore. La colpa di è stata definita dalla Corte che l’ha giudicato come “
grave
” e “
particolarmente riprovevole”
in particolare poiché “
per compiere la violenza ha sfruttato biecamente l’effetto della droga procurata e somministrata alla ragazza alla quale ha avuto subdolamente cura di far ingerire la maggior parte dello stupefacente
” e poiché ha agito “
privo di scrupolo alcuno nei confronti dell’evidente inesperienza di vita della fanciulla della quale ha anzi profittato
”. Nemmeno può essere considerato che la pena è stata influenzata da particolari elementi di attenuazione, non realizzati per RI 1. In effetti, a favore di , la Corte che l’ha giudicato ha considerato unicamente l’incensuratezza e l’età - “
di poco meno di 19 anni (ammesso che egli possa essere creduto su questo punto , vista l’assenza di documenti e l’apparenza di un’età maggiore)”
- mentre ha sottolineato che “
nulla in suo favore può essere dedotto dal comportamento pre-processuale o da quello processuale avendo egli (nell’esercizio di un legittimo diritto) negato strenuamente la perpetrazione della violenza carnale
” visto che “
siffatta attitudine dimostra come egli non si sia in alcun modo ravveduto
” (sentenza cit., consid. 25 pag. 26).
f)
Al di là dell’esito della procedura di ricorso, anche la sentenza 24 febbraio 2009 può servire per l’analisi della censura di violazione del principio della parità di trattamento. Con essa, è stato condannato alla pena detentiva di 6 anni - cioè, ad una pena di un solo anno superiore a quella ritenuta adeguata per i reati commessi ai danni di - per avere commesso due violenze carnali e due coazioni sessuali (di cui, una si concretizza in una penetrazione anale, cioè in un atto equiparabile per gravità oggettiva alla violenza carnale). Si tratta manifestamente di atti sessuali di natura sensibilmente più grave di quelli per cui la Corte di prime cure ha ritenuto adeguata la pena detentiva di 5 anni. Oltre che per la natura - o l’intensità - degli atti sessuali di cui doveva rispondere e per il loro numero, la colpa di è stata giudicata
“enorme”
sia perché ha agito ai danni della figliastra di 12/13 anni, cioè di una “
giovane di cui gli era nota la fragilità”,
sia perché egli ha agito “
con totale egoismo e disprezzo assoluto dei membri della famiglia che lo aveva accolto”
. In aggiunta, è importante sottolineare che non ha beneficiato di particolari attenuanti. Al contrario, la Corte che lo ha giudicato ne ha stigmatizzato la “
vita anteriore senza meriti
”, il passato e il presente di piccolo delinquente con le relative precedenti condanne (per furti) e il fatto che “
egli non si è dissociato dai reati commessi
” (sentenza cit., consid. 44, pag. 67 e 68).
g)
Quanto alla settima sentenza citata al considerando precedente, ancora una volta si ha una pena di gran lunga inferiore (3 anni) rispetto a quella ritenuta adeguata nel caso che qui ci occupa nonostante dovesse rispondere di atti sessuali di natura ben più grave (masturbazioni, congiunzioni carnali e sesso orale) di quelli commessi da RI 1. Va, tuttavia, qui precisato che è stato condannato soltanto in forza dell’art. 187 CP (mentre RI 1 risponde, per quanto fatto la notte tra il 18 e il 19 dicembre 2008, anche per atti sessuali con persona inetta a resistere). D’altro lato, però, va anche detto che rispondeva di un numero di atti sessuali ben maggiore (commessi in circa 18-23 occasioni) rispetto a quelli di cui deve rispondere RI 1. Non può, poi, essere dimenticato che, se dal profilo soggettivo, la colpa di è stata mitigata dalla presenza di alcune importanti circostanze attenuanti - l’incensuratezza, il lungo carcere preventivo sofferto, la sostanziale confessione, il suo passato di buon lavoratore e il fatto che egli ha continuato ad aiutare economicamente la moglie anche dopo l’arresto (sentenza 14.9.2009, consid. 8, pag. 39 e 40) - la sua colpa è stata, comunque, definita “
particolarmente grave
” poiché egli ha agito a danno di una ragazzina nei cui confronti egli aveva de facto assunto responsabilità di natura genitoriale ed ha, così, tradito le aspettative che aveva fatto nascere, non solo nella sua vittima, ma anche nella moglie (sentenza 14.9.2009, consid. 8, pag. 39).
h)
Anche ,giudicato dalla Corte delle assise criminali con sentenza 23 febbraio 2010, doveva rispondere di atti sessuali di gravità maggiore rispetto a quelli commessi da RI 1: si trattava di una coazione sessuale - che si è concretizzata in un atto che, secondo il TF, si apparenta
fortemente con la penetrazione (D
TF
123 IV 49 seg; 107 IV 178
e seg) -
e di una violenza carnale fatti subire con violenza, minaccia e pressione psicologica ad una bambina dodicenne. La Corte che ha giudicato ha considerato che la sua colpa era “
di una gravità inaudita”
ritenuto che egli ha scelto per “
soddisfare la sua libidine
” una “
bambina undicenne, prepubere e innocente, una fanciulla fiduciosa che egli ha attirato nell’appartamento e poi in camera con dei sotterfugi
” e con cui ha “
agito alla stregua di un bruto, incurante del terrorpanico che il suo violento agire e le sue minacciose parole avevano ingenerato nella povera bambina
” e ritenuto che, dopo essere stato “
obbligato dal pianto e dagli strilli di ad interrompere il suo osceno struscio, ancora non ha preso in considerazione la possibilità di finirla lì”
ma
“lucido e determinato
”, ha subito individuato il luogo e i modi “
più adatti per arrivare infine a dar sfogo alla sua libidine
” , ciò che ha fatto dimostrando “
cinica insensibilità e sfrontata prepotenza (...) sordo e incurante del dolore fisico che le procurava
” e ritenuto, infine, che, dopo avere finito, ha dimostrato “
totale padronanza di sé e piena consapevolezza di quel che aveva fatto
” ripetendo alla bambina “
le pesanti minacce di morte per indurla a mantenere il segreto
” (sent. cit., consid. 9., pag. 27 e 28). ha potuto beneficiare di poche circostanze attenuanti (non molte di più di quelle riconosciute a RI 1 o, comunque, di non grande significatività). La Corte che l’ha giudicato, infatti, dopo avere sottolineato che egli, in Svizzera, non ha mai lavorato nonostante avesse dimostrato di sapersi muovere bene a livello burocratico, gli ha riconosciuto, infatti, soltanto l’incensuratezza, il fatto che
“seppur tardivamente, ha confessato
”, la cessione alla vittima di parte del suo peculio e, infine, il fatto che egli, in Svizzera, non ha saputo costruire “
relazioni qualche po’ significative (...) (anche femminili)”
(sent. cit., consid. 9., pag. 29 e 30).
3.
Emerge con evidenza dalle sentenze citate ai considerandi precedenti che, nei casi di reati sessuali a danno di fanciulli, pene della durata dai 4, 5, 6 anni in su sono inflitte dalle nostre Corti ad autori che devono rispondere di atti sessuali ben più gravi per natura (o intensità che dir si voglia), per numero o per età della vittima (o delle vittime) di quelli commessi da RI 1 a danno di e . D’altra parte, emerge anche dall’analisi delle motivazioni che hanno portato le diverse Corti giudicanti ad infliggere le pene citate che il caso che ora ci occupa non presenta, dal profilo soggettivo, elementi talmente più gravi di quelli evidenziati nelle sentenze citate che possano giustificare, a fronte di atti oggettivamente meno gravi, un trattamento sensibilmente più severo.
Pur tenuto conto, in base ai principi ricordati al consid. 2.4, che i paragoni con altri casi si rivelano, di principio, infruttuosi, considerati i numerosi fattori che intervengono nella commisurazione della pena e che disparità in materia di commisurazione della pena sono inevitabili, nella misura in cui esse sono riconducibili al principio dell'individualizzazione delle pene, in concreto, ritenuto quanto sin qui sottolineato sia sugli aspetti oggettivi che su quelli soggettivi, non si può non concludere che la pena di 5 anni che la prima Corte ha ritenuto adeguata in relazione ai reati commessi ai danni di e è eccessivamente severa. Ritenuto come molte delle sentenze citate siano recenti, questa conclusione è obbligata anche tenendo conto del mutamento della percezione della gravità dei reati sessuali a danno di fanciulli giustamente maturata nella società e, di riflesso, nelle nostre Corti. Del resto, lo si ribadisce, RI 1 - oltre a dover rispondere di atti sessuali che, se non vanno banalizzati, non possono essere definiti di particolare gravità oggettiva - ha agito a danno di ragazze quindicenni, ciò che va preso in considerazione per la valutazione della colpa, in particolare in relazione ai reati commessi a danno di .
In queste condizioni, tenuto conto di tutte le circostanze, commisurare in 5 anni la pena per i reati commessi ai danni di e , non soltanto costituisce un abuso del potere di apprezzamento in quanto le circostanze determinanti sono state valutate con eccessiva severità, ma pure da luogo ad una disparità flagrante e, in quanto tale, è ancora una volta frutto di un eccesso del potere di apprezzamento da parte della Corte di prime cure.
4.
Dopo avere riassunto le argomentazioni della Corte d’assise, il ricorrente sostiene che i primi giudici non hanno considerato “
nella giusta misura il lungo trattamento ambulatoriale già in essere al quale egli si è sottoposto ininterrottamente e volontariamente prima del processo ed il consenso al trattamento ambulatoriale ribadito anche in aula”
(ricorso pag. 7). Questa sua “
costanza e collaborazione con lo psichiatra
” - continua il ricorrente - sono una novità rispetto al passato e smentiscono, così, l’argomentazione della Corte d’assise secondo cui nulla è cambiato dalla precedente condanna. Inoltre, egli sottolinea che, se è vero che egli “
non ha ancora compreso appieno i motivi che lo hanno spinto a delinquere”
, è anche e soprattutto vero che lo psichiatra che lo segue da un anno - dopo avere attestato la regolarità della cura e la sua collaborazione - ha riferito che egli sta tentando di elaborare dal punto di vista psicologico ed etico i reati commessi ed è “
consapevole dei danni creati alle vittime e ne è pentito sinceramente
”. Inoltre - continua il ricorrente - nel ritenere quale elemento a suo carico il fatto che in passato egli ha interrotto un trattamento, la Corte di assise ha omesso di confrontarsi con i motivi che l’hanno indotto a tale interruzione e che risultano dalla perizia psichiatrica giudiziaria. In particolare - spiega - la prima Corte ha omesso di considerare che egli ha smesso il trattamento con l’allora psichiatra del carcere poiché “
con lei non riusciva a costruire niente, gli dava le pastiglie e basta
” (ricorso pag. 8 e 9).
Egli sostiene, poi, che la sua rinuncia all’audizione in aula della vittima - che era stata ipotizzata viste le contestazioni dell’atto d’accusa per tutto quanto estraneo al 18/19 dicembre 2008 - avrebbe dovuto essere interpretata a suo favore, trattandosi di una, seppur iniziale, assunzione di responsabilità e pentimento ed avendo egli, così agito, per evitare ulteriori sofferenze alla vittima. Ritenendo strumentale tale sua rinuncia - continua il ricorrente - la prima Corte ha dimenticato che la sua rinuncia all’audizione della ragazza e la sua ammissione secondo cui i fatti si sono svolti così come alle dichiarazioni di lei era da riferire, non certamente a quanto successo quella notte di dicembre, ma piuttosto agli altri fatti (i tentativi di toccamenti ai seni, sedute di ipnosi, giochi vari e altri atti sessuali) raccontati dalla ragazza, ritenuti nell’AA e da lui, sin lì, contestati. Pertanto - conclude l’imputato - è arbitrariamente che la prima Corte ha concluso che “
l’ammissione della versione della vittima è strumentale poiché la stessa non ricorda”
(ricorso pag. 10 e 11).
Inoltre - continua il ricorrente - i primi giudici hanno violato la presunzione d’innocenza dando per accertati fatti per cui non v’è alcuna prova quando gli hanno imputato di non avere, nonostante le pressanti richieste della ragazza che voleva sapere cos’era successo la notte del dicembre 2008, “
spiegato cosa realmente ha fatto, oltre a quanto non era documentato dalle immagini
” (ricorso pag. 11 che cita il consid. IX.6 pag. 111 della sentenza impugnata). Infatti - continua il ricorrente - non soltanto egli contesta che, quella notte, siano avvenuti altri fatti rispetto a quelli documentati dalle fotografie, ma la stessa “
sentenza non lo condanna per altri fatti rispetto a quelli da lui ammessi per il 18/19 dicembre 2008 e riguardanti le fotografie scattate
” (ricorso pag. 11).
Infine, il ricorrente rimprovera alla Corte - pur annotando che si tratta di un elemento di minor importanza rispetto a quelli sin lì sollevati - di non avere considerato che, comunque, egli ha “
quantomeno cercato di ovviare alla sua vita disordinata, accettando di sottoporsi ad una curatela volontaria (cfr. perizia psichiatrica EA 148, pag. 4), tutt’ora in essere
” e non ha considerato la difficile sua vita passata che, al di là delle sue responsabilità che egli non nega, è comunque caratterizzata da eventi negativi (poche dimore fisse, divorzio problematico, nessuna relazione con i figli che hanno, peraltro, cambiato cognome, perdita del lavoro,..).
4.1.
E’ certamente vero che la prima Corte ha avuto uno sguardo particolarmente severo anche valutando l’atteggiamento di RI 1 nei confronti della terapia intrapresa nel senso che, invece di sottolineare gli aspetti positivi che comunque emergono dalle valutazioni della psichiatra, si è limitata ad evidenziare le difficoltà del percorso terapeutico, rilevando che esso è solo all’inizio. Altrettanto vero è che la prima Corte non si è confrontata con i motivi che hanno indotto RI 1 ad interrompere il trattamento iniziato in carcere nel 2007. E’ anche vero che la prima Corte non ha considerato che sia la carcerazione che il trattamento allora instaurato erano dovuti a motivi diversi da quelli attuali (RI 1 non ha precedenti per reati sessuali) e, dunque, non ha considerato che quel che è successo in quel caso non necessariamente è indicativo di un analogo comportamento futuro in situazioni diverse. In questo senso, la prima Corte avrebbe dovuto considerare almeno quanto di oggettivo emerge dall’allegato al doc. TPC 9 (redatto dalla dott. _, spec. FMH in psichiatria e psicoterapia), e meglio che RI 1, dal mese di marzo 2009, si sottopone volontariamente a sedute settimanali di psicoterapia e che, in tali sedute, egli è “
sempre collaborante ed interessato”
.
Ma, soprattutto, è a ragione che il ricorrente rimprovera alla prima Corte una violazione del principio della presunzione d’innocenza quando, a fronte degli accertamenti di cui s’è detto al consid. 2.5.b, gli rimprovera di non avere detto tutto quanto successo quella notte. Nulla più dei gesti surriportati è stato accertato per quanto riguarda quella notte. Rimproverargli di non avere confessato di più significa dare per accertato fatti che, nella realtà processuale - che è quella che qui conta - non sono avvenuti.
Questa considerazione non può, dunque - senza cadere in arbitrio - essere chiamata a motivare l’accertamento di un mancato pentimento di RI 1.
Sulla questione dell’atteggiamento di RI 1 in relazione ai reati commessi rimangono, dunque - insieme ai tentativi di sminuire le sue responsabilità fatti durante l’inchiesta (attribuendo i suoi gesti a raptus, ecc...; cfr. sentenza impugnata, consid. Ix.6., pag. 111) che non possono non essere considerati elementi di preoccupazione - le parole pronunciate dal condannato al dibattimento che, certamente, da sole non bastano a sostanziare un pentimento, le sue ammissioni, il suo sottoporsi a terapia (che è già qualcosa in più) e le dichiarazioni del suo psichiatra secondo cui egli “
è consapevole dei danni creati alla vittima e ne è pentito sinceramente
”.
Certamente, il valore di questi elementi non va enfatizzato ma non può nemmeno - senza cadere in un apprezzamento unilaterale del materiale probatorio - essere totalmente trascurato.
5.
In esito alle considerazioni suesposte, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto e tenuto conto della prassi disegnata dalle nostre Corti con le sentenze suelencate, questa Corte, percorrendo, comunque, la strada della severità imboccata dalla Corte di prime cure, ritiene adeguata alla colpa di RI 1 in relazione ai reati commessi ai danni di e la pena detentiva piena di 3 anni che deve essere ridotta, in applicazione dei principi ricordati dai primi giudici per tener conto della scemata responsabilità, a 27 mesi. Ad essi vanno aggiunti i 15 mesi con cui la prima Corte ha - correttamente - ritenuto di dovere aggravare la pena per il concorso con i reati “
per i quali la responsabilità di RI 1 è stata ritenuta piena”
e per il computo della pena inflittagli con DA 25 aprile 2005 che era stata posta al beneficio della sospensione condizionale così da giungere ad una pena unica ai sensi degli art. 46 e 49 CP di 3 anni e 6 mesi.
6.
Sulle spese e sulle ripetibili
In esito all'attuale sentenza, si giustifica di caricare interamente gli oneri processuali allo Stato che rifonderà al ricorrente
fr. 1’000.- per ripetibili.
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8ca44da8-8ad2-5630-a6fb-132098c2b347
|
in fatto ed in diritto
1.
Presso la Pretura di _ è pendente una causa di divorzio tra i coniugi IS 1 (patr. dagli avv.ti _ e PR 1, _) e PI 1 (patr. da: avv. PR 2, _) (inc. _).
Per quanto interessa la fattispecie in esame, nell’ambito del predetto procedimento civile il pretore Marco Ambrosini ha ammesso il richiamo di tutti gli incarti del Ministero pubblico inerenti alle denunce/querele sporte da PI 1 e dalla di lui compagna PI 2 nei confronti di IS 1, alla seguente condizione:
"
(...) le parti sono autorizzate a consultare gli incarti richiamati da entrambi e produrre eventuale documentazione di rilievo ai fini del giudizio.
Con la sottoscrizione del presente verbale ogni parte acconsente alla consultazione da parte della controparte del rispettivo incarto richiamato
" (verbale di udienza 5.04.2011, p. 6 e "prove IS 1 ", p. 1, doc. 1.b e 1.c).
2.
Con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Ministero pubblico a questa Corte – l’avv. PR 1, in nome e per conto della sua assistita IS 1, chiede, per quanto interessa la sua competenza ex art. 62 cpv. 4 LOG, la trasmissione degli incarti penali inerenti alle denunce/querele sporte da PI 1 e dalla di lui compagna PI 2 nei confronti della sua cliente.
Il procuratore pubblico, unitamente alla presente istanza, ha trasmesso a questa Corte due incarti penali nel frattempo archiviati:
l’incarto penale MP _ sfociato nel decreto di non luogo a procedere 25.04.2007 (NLP _) emanato dal procuratore pubblico Manuela Minotti Perucchi a seguito della denuncia 13.11.2006 sporta da PI 2 nei confronti di IS 1 per titolo di appropriazione indebita e
l’incarto penale MP _ sfociato nel decreto di non luogo a procedere 29.01.2008 (NLP _) emanato dall’allora procuratore pubblico Monica Galliker a seguito della querela 28.06.2007 sporta da PI 1 nei confronti di IS 1 per titolo di lesioni semplici, vie di fatto e ingiuria.
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.1.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
Nel presente caso, pur essendo stata l’istante parte (quale denunciata/querelata) nei due procedimenti nel frattempo terminati, essa deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo
.
Come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.3.1987, ad art. 8 p. 10). Inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19).
Lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG.
5.
Nella fattispecie in esame è pacifico l’interesse giuridico legittimo dell’istante rispettivamente del suo patrocinatore, avv. PR 1, a compulsare e a fotocopiare, presso questa Corte, l’incarto penale MP _ sfociato nel decreto di non luogo a procedere 25.04.2007 (NLP _) e l’incarto penale MP _ sfociato nel decreto di non luogo a procedere 29.01.2008 (NLP _), poiché hanno interessato IS 1 personalmente in veste di parte.
A ciò aggiungasi che i predetti incarti penali sono stati da lei richiamati in sede civile, con il consenso delle parti e del pretore.
Considerato che nel verbale di udienza 5.04.2011 il pretore della Pretura di _ ha, tra l’altro, deciso in particolare che:
"
Con la sottoscrizione del presente verbale ogni parte acconsente alla consultazione da parte della controparte del rispettivo incarto richiamato
" (verbale di udienza 5.04.2011, p. 6), questa Corte autorizza anche l’avv. PR 2, rispettivamente PI 1, a compulsare e a fotocopiare, sempre presso questa Corte,
l’incarto penale MP _ sfociato nel decreto di non luogo a procedere 25.04.2007 (NLP _) e l’incarto penale MP _ sfociato nel decreto di non luogo a procedere 29.01.2008 (NLP _).
6.
L’istanza è accolta ai sensi del surriferito considerando. La tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico di chi le ha occasionate.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
8cb75b93-e6b4-5cd3-a3a9-677901952be3
|
in fatto: A.
Con decreto di accusa del 14 aprile 2003 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di circolazione in stato di ebrietà, opposizione alla prova del sangue e grave infrazione alle norme della circolazione per avere, il 21 febbraio 2003, circolato sull'autostrada A2 da _ a _ alla velocità di circa 180 km/h rilevata dal tachimetro di una vettura della polizia che lo seguiva, nonostante il limite di 120 km/h, con uno stato di ebrietà “lieve”, accertato da un controllo medico, e di essersi intenzionalmente opposto alla prova del sangue ordinata dall'autorità, nonostante l'avvertimento sulle possibili conseguenze penali in caso di rifiuto. In applicazione della pena, _ è stato condannato a 45 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente per 3 anni, e a una multa di fr. 1200.–.
B.
Statuendo su opposizione, con sentenza del 5 agosto 2003 il giudice della Pretura penale ha dichiarato _ autore colpevole di infrazione lieve alle norme della circolazione, mentre lo ha assolto dalle accuse di circolazione in stato di
ebrietà e di opposizione alla prova del sangue. Di conseguenza lo ha condannato a una multa di fr. 260.–.
C.
Contro il predetto giudizio il Procuratore pubblico ha introdotto il 5 agosto 2003 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta del 3 settembre 2003 egli chiede la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio a un altro giudice per nuovo giudizio o, subordinatamente, una riduzione di pena. Nelle sue osservazioni del 23 settembre 2003 l’accusato propone di respingere il ricorso.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288
lett. a e b CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono sindacabili unicamente qualora la sentenza impugnata denoti estremi di arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì apertamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con rinvii).
2.
Per quanto attiene all'accusa di circolazione in stato di ebrietà, a mente del giudice della Pretura penale potevano entrare in considerazione, senza prelievo del sangue, solo le risultanze dell'etilometro e dell'esame medico e le dichiarazioni di_. Quest'ultima aveva fermamente sostenuto che quella sera l'accusato non aveva bevuto alcolici. Quanto alla prova dell'etilometro, l'accusato e _ avevano dichiarato che la prima volta l'apparecchio non aveva funzionato, che la seconda aveva dato un risultato di 0.00 g ‰ e che solo la terza volta aveva rilevato un'ebrietà punibile, onde la scarsa attendibilità dell'esito. Riguardo al referto medico, non ne risultava un'ebrietà punibile, posto che gli unici dati “non regolari” consistevano in un comportamento euforico, un polso accelerato e un fetore alcolico. Variabili che, da sé sole, non bastavano per accertare un'ebrietà di almeno 0.8 g ‰. Certo, l'accusato non convinceva quando pretendeva di non avere bevuto, nel locale di Como che aveva visitato dianzi, solo tre birre. Ma anche tenendo conto di ciò non si poteva affermare con sufficiente certezza che ne sarebbe derivato un tasso etilico superiore a 0.8 g ‰ (sentenza impugnata, consid. 4).
3.
Il Procuratore pubblico rimprovera al primo giudice di essere giunto a una conclusione arbitraria. Afferma che dal certificato medico emergeva inequivocabilmente un comportamento euforico, un polso accelerato e un fetore alcolico, dal che la valutazione di uno stato di ebrietà lieve. Circostanza cui si aggiungeva il fatto che l'accusato circolava in modo scorretto, superando i limiti di velocità. Rilevanti sarebbero poi i dubbi del primo giudice circa la credibilità della versione fornita dell'accusato sul comportamento degli agenti di polizia, sul funzionamento dell'etilometro, sull'atteggiamento condiscendente del medico verso le richieste degli agenti e, infine, sulle pressioni per ottenere la sottoscrizione del verbale in cui, prima della firma, sarebbero stato inserite dichiarazioni inveritiere, come la dichiarazione che l'interessato aveva bevuto tre birre e che gli era stato letto l'art. 91 cpv. 3 LCStr (sentenza, consid. 8). Tanto più, soggiunge il Procuratore pubblico, che il cattivo funzionamento dell'etilometro non trova alcun riscontro agli atti.
Gli argomenti testé riassunti non sono idonei a sostanziare il preteso arbitrio nell'accertamento dei fatti. Certo, il primo giudice ha ritenuto che la versione fornita dall'accusato non appariva del tutto credibile e che l'insieme di tutti gli elementi citati al considerando precedente contrastava in qualche modo con l'oggettiva realtà dei fatti. Se non che, determinante ai fini del giudizio è stata ritenuta la deposizione di _ (consid. 8 in fine in relazione con il consid. 3), sulla quale il Procuratore pubblico non spende una parola. Oltre a ciò, contrariamente a quanto egli asserisce, il cattivo funzionamento dell'etilometro risulta dal verbale 21 febbraio 2003 dell'accusato e dalla deposizione dibattimentale della testimone (sentenza, pag. 6 e pag. 7 in alto). Per quanto concerne il certificato medico, l'ebrietà lieve si desume dalle stesse dichiarazioni dell'accusato, che ammette di avere bevuto tre birre fra le ore 23.00 e le 03.00. Per di più, il Procuratore pubblico neppure censura come arbitraria la conclusione del primo giudice, per il quale, anche tenendo conto dell'assunzione di tre birre, non si poteva affermare con sufficiente certezza che ne sarebbe derivato un valore etilico di 0.8 g ‰ o superiore. Né l'eccesso di velocità – su cui si ritornerà in appresso – poteva, da sé solo, costituire indizio probante di ebbrezza alcolica. Prosciogliendo l'accusato dall'accusa di circolazione in stato di ebrietà, il giudice del merito non è pertanto caduto nell'arbitrio.
4.
Riguardo all'opposizione alla prova del sangue, il primo giudice ha accertato che, nonostante le ripetute richieste dell'accusato, l'indicazione delle conseguenze penali era avvenuta la prima volta al posto di polizia di Noranco, dopo la visita medica (consid. 5). Il Procuratore pubblico assevera che il proscioglimento dall'imputazione è arbitrario poiché in contrasto con i dubbi manifestati dal giudice medesimo sulla versione dei fatti fornita dall'accusato.
Anche su questo punto le argomentazioni del Procuratore pubblico, che ricalcano per lo più testualmente quelle mosse al proscioglimento dall'accusa di circolazione in stato di ebrietà, non sostanziano estremi di arbitrio. Certo, sull'opposizione alla prova del sangue la testimone _ nulla ha potuto riferire, né il primo giudice ha mancato di esprimere perplessità sulla verosimiglianza della versione fornita dell'accusato. Se non che, per suffragare il preteso arbitrio, il Procuratore pubblico avrebbe dovuto dimostrare che l'accertamento del Pretore circa il momento in cui l'accusato è stato informato sulle conseguenze penali in caso di opposizione alla prova del sangue contraddice chiaramente le risultanze degli atti e del dibattimento. Già dal certificato medico redatto all'Ospedale _ si desume invece che l'interessato fondava il suo rifiuto sulla circostanza che la polizia non sapeva spiegare per quale motivo egli dovesse sottoporsi alla visita. Nel successivo verbale, steso nel posto di polizia di Noranco, egli aveva confermato l'insufficienza delle informazioni ricevute in ospedale, al che gli è stato fatto leggere l'art. 91 cpv. 3 LCStr (sentenza impugnata, consid. 5). Non risulta però che dopo di allora l'accusato abbia nuovamente respinto la prova del sangue. Anzi, lo stesso Procuratore pubblico ammette che gli agenti non l'hanno ordinata (ricorso, pag. 5 in alto). Ciò posto, gli accertamenti del primo giudice, confortati dalla risultanze degli atti, non riescono arbitrari. Il proscioglimento dall'accusa di opposizione alla prova del sangue non viola pertanto il diritto federale.
5.
Per quanto si riferisce, infine, alla grave infrazione alle norme della circolazione, il primo giudice ha preso atto che l'accusato ammetteva di avere circolato a una velocità eccessiva, ma contestava la misurazione compiuta dagli agenti sulla vettura inseguitrice. A mente del giudice non c'era motivo di dubitare sull'affermazione dell'agente denunciante, secondo cui la velocità rilevata sul tachimetro della vettura di servizio era di 180 km/h, a fronte di un limite consentito di 120 km/h. Sta di fatto però che nulla risultava dagli atti sulla taratura o sul grado di precisione del tachimetro impiegato per il rilevamento, né sulle verifiche periodiche cui esso era stato sottoposto o sui risultati. Ciò non permetteva di giungere al convincimento che l'interessato avesse effettivamente tenuto la velocità indicata dall'agente. Quanto alla testimone _, come passeggera essa aveva avuto l'impressione di viaggiare a 140–150 km/h. Il primo giudice ha stimato quindi la velocità media tenuta dall'accusato sul tratto autostradale in 145 km/h (sentenza impugnata, consid. 6).
Il Procuratore pubblico si duole una volta ancora di arbitrio, sottolineando che nulla consente di dubitare circa la correttezza di quanto ha dichiarato l'agente denunciante (180 km/h), di modo che inspiegabilmente il primo giudice ha creduto alla deposizione della testimone (140–150 km/h).
Così com'è motivato, tuttavia, il ricorso non è atto a sostanziare il preteso arbitrio, già per la circostanza che il Procuratore pubblico sorvola completamente sulla mancata taratura del tachimetro di rilevamento, sul suo grado di precisione, sulla questione delle verifiche periodiche e dei relativi risultati, cui il primo giudice si richiama ampiamente nella sentenza. Criticare la credibilità della testimone non basta, nelle condizioni descritte, per addebitare arbitrio al giudice del merito.
6.
Da ultimo il Procuratore pubblico fa valere che tutte le incongruenze di cui s'è valso l'accusato sono emerse in aula, mentre costui avrebbe avuto tutte le possibilità di prevalersene, in buona fede, nel corso dell'inchiesta, permettendo così di appurarne la veridicità. Per tacere del fatto però che il giudice pronuncia secondo libero apprezzamento, in base alle risultanze del dibattimento e degli atti (art. 276 cpv. 4 CPP), non vi è norma che impedisca all'accusato di addurre le sue tesi difensive in aula. In proposito la doglianza del Procuratore pubblico, ancorché ricevibile, non merita ulteriore disamina.
7.
Gli oneri del giudizio odierno seguono la soccombenza dello Stato (art. 15 cpv. 1 CPP). Visto l’esito del procedimento, si giustifica di riconoscere all’accusato, il quale ha presentato le proprie osservazioni al ricorso, un’equa indennità per ripetibili in questa sede (art. 9 cpv. 6 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,004 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8cd187e8-18f3-5c1b-879e-efb5b0fd1adb
|
in fatto ed in diritto
1
. A seguito di un incidente motociclistico avvenuto il _, con esito mortale per il centauro coinvolto, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale (inc. _) conclusosi con un decreto di non luogo a procedere interno del _ (NLP _).
2
. Con scritto 15.2.2011 inviato al Ministero pubblico (e trasmesso a questa Corte in data 21/24.2.2011), il curatore dell’istante ha ribadito la richiesta di accesso agli atti, che aveva in precedenza già formulato con scritto 22.6.2010 (AI 5 inc. _). Per l’evasione dell’istanza, questa Corte ha richiesto copia della decisione di nomina a curatore (lettera 24.2.2011), pervenuta con scritto accompagnatorio del 25.2/2.3.2011.
3
. L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.1.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
”.
4
. Nel presente caso, l’istante è la madre (ed erede) del centauro deceduto nell’incidente del 22.5.2010. Anche se ha veste di erede, l’istante deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo, ritenuto nel caso concreto che un’evasione diretta della richiesta 22.6.2010 di accesso agli atti da parte del Ministero pubblico avrebbe risparmiato a questa Corte ed all’istante questa procedura.
Come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava anche alle richieste di ispezione degli atti delle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.3.1987, ad art. 8 p. 10). In base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19). Questo deve valere anche per gli eredi.
5
. Nel presente caso è pacifica la presunzione di interesse giuridico legittimo, e sono chiari e umanamente comprensibili i motivi della richiesta.
6
. Considerata la finalità della richiesta (conoscere le circostanze dell’incidente dell’unico figlio), si giustifica di trasmettere, in allegato alla presente decisione destinata all’istante, copia del rapporto di constatazione del 21.6.2010 (AI 7) e della documentazione fotografica 12.6.2010 (AI 10).
7
. Considerate le tragiche circostanze, e la mancata evasione da parte del Ministero pubblico della richiesta del 22.6.2010, si giustifica di non caricare l’istante dell’onere della tassa di giustizia e delle spese.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
8ce52b61-0625-5759-b395-b6c405ffebc0
|
in fatto: A.
Il 15 novembre 2000 la Corte delle assise criminali in Lugano ha giudicato _, _, _, _, _, _, _ ed _ per ripetuta violazione aggravata delle legge federale sugli stupefacenti, contravvenzione alla legge federale sugli stupefacenti, riciclaggio di denaro, falsità in certificati, entrata e soggiorno illegale e ripetuta infrazione alla legge federale sulla circolazione stradale. La Corte ha riconosciuto:
– _ e _ autori colpevoli di violazione aggravata delle legge federale sugli stupefacenti, il primo per avere acquistato a Zurigo e trasportato e venduto a Lugano complessivi 5 kg di cocaina, la seconda per avere concorso nelle vendite, trasportando in due occasioni e consegnando a terzi circa 2.5 kg di cocaina;
– _ autrice colpevole inoltre di infrazione alla legge federale sul domicilio e la dimora degli stranieri per essere entrata in Svizzera con falsi documenti di identità e per avervi soggiornato abusivamente, nonostante un divieto di entrata;
– _, _, _ autori colpevoli di contravvenzione alla legge federale sugli stupefacenti (consumo di cocaina), come pure autori colpevoli di violazione aggravata della stessa legge per avere, il primo e la seconda insieme, venduto circa 5 kg di cocaina, come pure per avere _ tenuto in deposito al suo domicilio circa 600-800 g di cocaina appartenenti a un terzo e avere concorso con il figlio _ a nascondere altri 1361 g di cocaina a Mezzovico; _ è stato ritenuto a sua volta autore colpevole di violazione aggravata alla legge federale sugli stupefacenti per avere venduto 3.7-3.8 kg di cocaina in correità con _ e 3.6 kg in correità anche con _;
– _, inoltre, è stato ritenuto autore colpevole di riciclaggio di denaro per avere compiuto atti suscettibili di vanificare l'accertamento dell'origine, il ritrovamento e la confisca di valori patrimoniali provento di reato (inviando e investendo fr. 25'000.– costituenti il provento realizzato dal traffico di cocaina), come pure autore colpevole di infrazione alla legge sulla circolazione stradale per avere guidato la propria automobile sotto l'influsso di sostanze stupefacenti;
– _ autore colpevole di violazione aggravata della legge federale sugli stupefacenti per avere rivenduto nel Luganese circa 3.1 kg di cocaina e per avere ricevuto in quattro occasioni a Zurigo e a Milano complessivamente 2.6 kg di cocaina confezionati in ovuli, sostanza in parte venduta e o ceduta a terzi, in parte depositata presso terzi e in parte occultata a Mezzovico, dove è stata sequestrata dalla polizia;
– _ inoltre, autore colpevole di riciclaggio di denaro per avere inviato a Santo Domingo la somma di US$ 7'000 costituenti provento di reato, vanificandone così l'accertamento, l'origine e la confisca, come pure autore colpevole di infrazione alla legge federale sulla circolazione stradale per avere guidato sotto l'influsso di sostanze stupefacenti;
– _ autrice colpevole di violazione aggravata della legge federale sugli stupefacenti per avere acquistato, venduto e procurato a terzi circa 1.5-1.8 kg di cocaina e per avere consegnato a suo marito, affinché li occultasse, altri 500 g della stessa sostanza, come pure autrice colpevole di ripetuta contravvenzione alla legge federale sugli stupefacenti per avere consumato cocaina, autrice colpevole di ripetuto riciclaggio di denaro per complessivi US$ 10'000 e fr. 5'000 e autrice colpevole di ripetuta circolazione stradale nonostante la revoca della licenza;
– _ autore colpevole di violazione aggravata della legge federale sugli stupefacenti per avere acquistato e venduto circa 1.4 kg di cocaina, nonché per avere, come autista, concorso con _ alla vendita di un imprecisato quantitativo di cocaina.
La Corte ha condannato pertanto:
– _ alla pena di 5 anni e 6 mesi di reclusione e all'espulsione dalla Svizzera per 15 anni;
– _ alla pena di 30 mesi di reclusione e all'espulsione dalla Svizzera per 15 anni;
– _, avendo agito in stato di scemata responsabilità, alla pena di 5 anni di reclusione e all'espulsione dalla Svizzera per 15 anni;
– _, avendo agito in stato di scemata responsabilità, alla pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione e all'espulsione dalla Svizzera per 15 anni;
– _, avendo agito in stato di scemata responsabilità e dimostrato sincero pentimento, alla pena di 5 anni di reclusione e all'espulsione dalla Svizzera per 15 anni;
– _, avendo agito in stato di scemata responsabilità, alla pena di 5 anni di reclusione e all'espulsione dalla Svizzera per 15 anni;
– _, avendo agito in stato di scemata responsabilità, alla pena di 3 anni e 6 mesi di reclusione;
– _ alla pena di 4 anni di reclusione e all'espulsione dalla Svizzera per 15 anni.
Computato a tutti il carcere preventivo sofferto, la Corte di assise ha sospeso condizionalmente con un periodo di prova di cinque anni il provvedimento dell'espulsione ordinato nei confronti di _. Inoltre essa ha revocato la sospensione condizionale delle pene inflitte con precedenti decreti di accusa a _ e _, ha ordinato nei confronti di _ la misura del trattamento medico ambulatoriale secondo l'art. 43 CP e ha ordinato diversi provvedimenti confiscatori. Quanto alle spese processuali, essa le ha suddivise tra gli imputati in ragione di un ottavo ciascuno.
B.
Contro la sentenza di assise _ ha inoltrato il 16 novembre 2000 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 27 dicembre successivo, essa chiede l'annullamento della sentenza impugnata e il rinvio degli atti a un'altra Corte di assise per nuovo giudizio o quanto meno, in subordine, l'esenzione da pena o la riduzione a 6 mesi di reclusione e al pagamento delle spese processuali limitatamente a fr. 1'000.–, rispettivamente la condanna al pagamento delle spese processuali limitatamente a fr. 6'122.20. Nelle sue osservazioni del 25 gennaio 2001 il Procuratore pubblico propone di respingere il ricorso.
|
Considerando
in diritto: 1.
La ricorrente critica anzitutto il modo in cui la prima Corte ha trattato il problema relativo alla sua capacità di intendere e di volere. Egli rimprovera ai giudici di essersi limitati a riportare le conclusioni della perizia psichiatrica del dott. _, pur richiamando l'intero referto peritale, senza di fatto utilizzare le parti non riprodotte nella sentenza, le quali però vanno considerate parte integrante della motivazione per effetto del richiamo. A suo avviso una motivazione del genere viola l'art. 260 CPP, non essendo ammissibile integrare la sentenza con estratti documentali per semplice rinvio. La censura, ai limiti del pretesto, cade nel vuoto. Intanto la ricorrente non indica quale capoverso o lettera del (lungo) art. 260 CPP la prima Corte avrebbe violato, né accenna ai passaggi (utili ai fini del giudizio) della perizia che i giudici avrebbero trascurato. Sia come sia, la ricorrente disconosce che i primi giudici hanno richiamato la perizia, riproducendo le risposte date dallo specialista ai singoli quesiti posti in funzione dello stato mentale al momento dei fatti (sentenza, pag. 44 a 49), per accertare se l'imputata avesse agito in stato di scemata responsabilità (sentenza, pag. 32, quesito n. 2). Tant'è che la Corte ha ripreso l'argomento al momento di commisurare la pena, riducendola proprio per tenere conto della scemata responsabilità – di tipo medio – in cui versava l'imputata (sentenza, pag. 90). Su questo punto il ricorso è destinato perciò all'insuccesso.
2.
Secondo la ricorrente la Corte di assise ha violato il diritto federale nella misura in cui ha seguito pedissequamente e acriticamente, senza autonoma valutazione giuridica, l'affermazione del perito, stando al quale la peritanda ha commesso i fatti in stato di media scemata responsabilità. A suo parere il perito doveva limitarsi a fornire gli elementi diagnostici circa la salute mentale di lei, lasciando trarre le conclusioni ai giudici.
a)
Non è punibile colui che, per malattia o debolezza di mente o per grave alterazione della coscienza, non era capace, nel momento del fatto, di valutare il carattere illecito dell'atto o, pur valutandolo, di agire secondo tale valutazione (art. 10 prima frase CP). Se la sanità mentale o la coscienza dell'imputato era, nel momento del fatto, soltanto turbata (...), cosicché fosse scemata la sua capacità di valutare il carattere illecito dell'atto o, pur valutandolo, di agire secondo tale valutazione, il giudice può attenuare la pena secondo il suo libero apprezzamento (art. 11 prima frase CP). L'autorità istruttoria o giudicante ordina l'esame dell'imputato qualora si trovi in dubbio circa la sua responsabilità (art. 13 cpv. 1 prima frase CP). Sulla responsabilità si pronunciano i periti (art. 13 cpv. 2 CP prima parte CP).
b)
In linea di principio un'autorità di cassazione è vincolata agli accertamenti sullo stato psicobiologico dell'autore nel momento del fatto, mentre verifica liberamente se sussistono i presupposti giuridici della totale o della scemata responsabilità (
Trechsel
, StGB, Kurzkommentar, 2a edizione, n. 8 in fine dell'introduzione dell'art. 10 con rinvii). Una netta distinzione al riguardo è nondimeno ardua, sicché il giudice deve conferire allo psichiatra ampia facoltà di esprimersi, anche se per finire la responsabilità del verdetto incombe a lui solo (
Trechsel
, op. cit. n. 7 ad art 13 CP). Dalle risultanze di una perizia, in ogni modo, il giudice non può scostarsi senza motivi determinanti, senza che circostanze ben precise mettano seriamente in dubbio la credibilità dell'esperto (
Trechsel
, op. cit. n. 8 ad art. 13 con numerosi richiami). Se le conclusioni di quest'ultimo appaiono discutibili su punti essenziali, il giudice deve raccogliere altre prove per fugare le sue incertezze. Dandosi il caso, egli ordinerà un complemento di perizia o una nuova perizia, ma commette arbitrio se si distanzia da quella agli atti sulla sola base del suo convincimento (CCRP, sentenza del 18 dicembre 1998 in re C., consid. 5 con riferimento a DTF del 12 agosto 1996 in re Z., consid. 2a e rinvii, pubblicata in: SJ 119/1997 pag. 58). Una nuova perizia, comunque sia, non può essere ordinata per la prima volta in cassazione, giacché in tale sede non può essere mutato il materiale processuale alla base del primo giudizio (CCRP, sentenza appena citata).
c)
Come si è spiegato, l'art. 13 cpv. 1 CP impone un esame specialistico ogni qual volta sussistano ragionevoli dubbi sul pieno possesso delle facoltà mentali da parte dell'autore. Che in concreto ciò fosse il caso è fuori discussione. Non è compito del giudice, invece, valutare lo stato psicobiologico dell'imputato alla stregua di un'autodidatta o con l'ausilio di manuali medici (
Trechsel
, op. cit.n. 1 ad art. 13 CP con richiami). Al giudice tocca stabilire, sulla scorta delle valutazioni peritali, se in diritto soccorrano gli estremi di una totale (art. 10 CP) o scemata responsabilità (art. 11 CP); in quest'ultimo caso egli definirà, nel quadro del suo potere di apprezzamento, se si tratta di una diminuzione lieve (25%), media (50%) o alta (75%), dandone motivo nella commisurazione della pena (
Trechsel
, op. cit.. n. 6 ad art. 11 CP; CCRP, sentenza citata, consid. 11).
d)
Nella fattispecie il perito giudiziario ha diagnosticato alla ricorrente, in sintesi, uno stato di scemata responsabilità di tipo medio conseguente a un disturbo della personalità, a consumo di cocaina e a ritardo mentale (sentenza, pag. 46). Di tali risultanze i giudici hanno tenuto conto, riducendo la pena (sentenza, pag. 90 e 91). La ricorrente si duole che il perito giudiziario abbia valutato egli medesimo il suo grado di scemata responsabilità, sostituendosi alla Corte. Ci si potrebbe domandare se la critica sia ammissibile, la ricorrente non risultando avere sollevato simile eccezione prima d'ora. Anzi, in un primo momento essa sembrerebbe finanche avere condiviso il referto, ove si pensi che durante l'arringa il suo difensore ha disquisito e invocato la perizia psichiatrica a sostegno di una massiccia riduzione di pena proprio per tenere conto della grave scemata responsabilità riscontrata dall'esperto. Comunque sia, la doglianza è priva di fondamento. Che il perito abbia espresso la sua opinione sul grado di scemata responsabilità non costituisce una violazione del diritto, giacché per finire la responsabilità di stabilire se in diritto soccorrano gli estremi di una totale (art. 10 CP) o scemata responsabilità (art. 11 CP) incombe ai giudici. Ai quali incombe altresì di definire, nel quadro del loro potere di apprezzamento, se si tratti di una diminuzione lieve (25%), media (50%) o alta (75%). Per formulare la loro valutazione essi devono far capo a valutazioni specialistiche. Ma non si può dire che essi violino il diritto federale per questa sola circostanza.
3.
La ricorrente sottolinea che a pag. 22 della perizia il dott. _ l'ha considerata alla stregua di un'imbecille, affetta da ritardo mentale, sicché la Corte avrebbe dovuto ritenerla incapace di intendere e di volere (art. 10 CP). La conclusione non può essere seguita. Il perito si è pronunciato per una scemata responsabilità di livello medio, considerando anche i limiti intellettivi che il ritardo mentale della ricorrente comporta. Egli ha rilevato che questa è sicuramente in grado di riconoscere il carattere illecito di uno spaccio di droga, ciò che le risultava tanto più comprensibile alla luce delle precedenti vicissitudini giudiziarie; ha soggiunto però che il lieve ritardo mentale non conferiva alla nozione di illecito la pregnanza che ci si sarebbe dovuti aspettare da una personalità intellettivamente normale (sentenza, pag. 46). Il perito è stato quindi ben lungi dal dare un quadro suscettibile di giustificare l'applicazione dell'art. 10 CP (norma del resto invocata per la prima volta davanti alla Corte di cassazione e di revisione penale), escludendo in pratica che soccorrano i presupposti scientifici per applicare l'art. 10 CP (sentenza, pag. 47, risposta 2e). Manifestamente infondato, anche a questo proposito il ricorso deve pertanto essere respinto.
4.
Richiamandosi ad altri passaggi della perizia, la ricorrente espone ulteriori considerazioni sulla sua capacità di intendere, di volere e di agire di conseguenza al momento dei fatti (punto 5). Esse non sono sufficienti tuttavia per trarre conclusioni diverse dal preciso quadro psichiatrico delineato dal perito, nemmeno considerando quanto l'interessata fa valere nel ricorso, già considerato per altro dalla prima Corte (abuso di sostanze stupefacenti, sviluppo intellettuale ipodotato, quoziente intellettuale inferiore alla media ecc.: sentenza, pag. 46). Ancora una volta il ricorso si rivela perciò destituito di consistenza.
5.
Secondo la ricorrente, nel commisurare la pena a suo carico la Corte di assise non ha, comunque sia, ponderato appieno il suo reale stato di scemata responsabilità. A suo modo di vedere un soggetto affetto da imbecillità (perizia, pag. 22), incapace di contare senza l'aiuto delle dita (perizia, pag. 2), con una memoria imprecisa (perizia, pag. 6), colto da una preoccupante sindrome psico-organica (perizia, pag. 26) dovuta principalmente a lesioni cerebrali importanti aggravatesi con l'uso prolungato di cocaina (che ha progressivamente ridotto la capacità di valutazione: perizia, pag. 23), pressoché incapace di dirigere le proprie azioni, di gestire la propria vita, di confrontarsi e di adattarsi alla realtà esterna (perizia, pag. 7) deve essere per lo meno ritenuto irresponsabile a livello alto (scemata irresponsabilità gravissima). La pena non deve perciò superare i 6 mesi di reclusione. Ancora una volta la ricorrente trascura tuttavia che il perito non ha mancato di considerare le patologie esposte nel gravame; ciò nonostante, egli si è espresso per una lieve scemata responsabilità in merito alla capacità di valutazione dell'illecito e per una scemata responsabilità più grave in merito alla capacità di agire conseguentemente (sentenza, pag. 46 e 47 con riferimento alle risposte 2a, 2b, 2c e 2d). Non v'è ragione per scostarsi da tali accertamenti scientifici. La ricorrente non pretende d'altro canto che, sulla base dell'opinione del perito e delle conclusioni tratte dalla Corte di assise, la pena inflittale (3 anni e 6 mesi di reclusione) configuri un eccesso o un abuso del potere di apprezzamento. Tanto meno ciò appare il caso se si considera la pena inflitta a _ (4 anni di reclusione), il quale non solo ha venduto minori quantità di droga, ma al momento dell'arresto aveva con sé meno di 30 g di cocaina, mentre la ricorrente (condannata anche per riciclaggio di denaro) al momento del fermo possedeva ancora 500 g di cocaina (sentenza, pag. 91). L'attenuante della scemata responsabilità ha perciò inciso in modo rilevante sulla commisurazione della pena (sentenza, pag. 91).
6.
La ricorrente insorge pure contro la decisione che la obbliga a rifondere il costo della perizia psichiatrica (di a fr. 26'822.20). Sostiene che tale condanna è contraria al dispositivo n. 11 della sentenza impugnata, che pone la tassa di giustizia e le spese processuali a carico di prevenuti in ragione di un ottavo ciascuno, senza eccezioni. A torto. Certo, la sentenza prevede che le spese processuali siano sopportate dai condannati in proporzione di un ottavo ciascuno, tanto che nella distinta delle spese (sentenza, pag. 106 e 107), la prima Corte ha agito di conseguenza, suddividendo la tassa di giustizia (fr. 20'000.–), le spese di inchiesta preliminare (fr.33'307.–), le indennità per i testi (fr. 261,60) e i costi postali, telefonici ecc. (fr. 100.–) in modo uguale tra i prevenuti. Per quanto riguarda l'onere della perizia, essa l'ha posto invece a carico dalla ricorrente. Il che è senz'altro lecito, trattandosi di un costo maturato nell'esclusivo interesse della ricorrente, che non riguarda affatto gli altri imputati. Nelle condizioni descritte il dispositivo n. 11 della sentenza è stato integrato di conseguenza. La ricorrente, patrocinata da un legale, non poteva non rendersene conto.
7.
La ricorrente asserisce che, in ogni modo, le spese processuali a suo carico devono essere ridotte per tenere conto che parte delle imputazioni sono venute a cadere. Nell'ipotesi a lei più sfavorevole essa chiede che la condanna al pagamento della tassa di giustizia e delle spese sia limitata a fr. 6'122.20. La richiesta non manca di buon diritto. Accusata di avere venduto, procurato, offerto, detenuto e negoziato l'acquisto di almeno 6.1 kg di cocaina, la ricorrente è stata riconosciuta autrice colpevole di violazione aggravata della legge federale sugli stupefacenti per avere spacciato soltanto 1.5-1.8 kg di cocaina, rispettivamente per avere consegnato al marito ulteriori 500 g di quella sostanza. Accusata di avere riciclato US$ 40'000, fr. 51'306.–, US$ 40'816 e Lit. 6'020'000, oltre a fr. 21'000.–, essa è stata riconosciuta colpevole per tale reato limitatamente a US$ 40'000 e fr. 5'000.–. Di fronte a simili ridimensionamenti, la prima Corte non poteva prescindere da un riparto della tassa di giustizia e delle spese tra la ricorrente e lo Stato (art. 9 cpv. 1 e 3 CPP). Tanto meno se si considera che la Corte medesima non ha risparmiato critiche all'autorità inquirente per il modo in cui è stata condotta l'inchiesta (sentenza, pag. 74 segg.). La quota di complessivi fr. 33'630.60 posta a carico della ricorrente (sentenza, pag. 107 con riferimento alla distinta delle spese) va quindi corretta. Fermo restando che il costo della perizia (fr. 26'822,20) rimane a carico della ricorrente, la quota della tassa di giustizia di fr. 2'500.–, la quota di fr. 4'163.20 per le spese di inchiesta preliminare, la quota di
fr. 32,70 per le indennità ai testi e la quota per le spese postali di fr. 12,50 (in totale fr. 6'708,40) vanno suddivise tra la ricorrente e lo Stato in ragione di metà ciascuno (fr. 3'354.20 ognuno). La quota a carico della ricorrente ammonta perciò a fr. 30'176.40 (fr. 26'822.20 più fr. 3'354.20). Su questo punto il ricorso merita parziale accoglimento.
8.
Gli oneri del presente giudizio seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 e 9 cpv. 1 CPP). Sono addebitati quindi alla ricorrente per quattro quinti e allo Stato per la rimanenza. Dato il grado di soccombenza della ricorrente non si giustifica invece di assegnare ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,001 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8d0f6268-4055-5113-8d17-2d79f327d592
|
in fatto ed in diritto
che il 24.10.2003 PI 2, cittadino _, per il tramite del suo allora patrocinatore avv. _, ha denunciato _ e _ – direttore rispettivamente funzionario dell’allora _, _ (ora _) – in particolare per le ipotesi di reato di amministrazione infedele e di appropriazione indebita riguardo alla gestione del conto cifrato denominato _ intestato al denunciante (AI 1 – inc. _);
che il procedimento penale – in difetto dei presupposti dei reati ipotizzati – è sfociato nei decreti di non luogo a procedere 26.02.2004 emanato dall’allora procuratore pubblico Claudia Solcà nei confronti di _ (NLP _
)
e 5.03.2007 emanato dall’allora procuratore pubblico Monica Galliker nei confronti di _ (NLP _) (AI 8 e AI 40 – inc. _);
che i suddetti decreti non sono stati impugnati presso l’allora Camera dei ricorsi penali mediante istanza di promozione dell’accusa ex art. 186 CPP TI;
che con decisione 17.12.2007 l’allora Camera dei ricorsi penali ha concesso a PI 2 l’autorizzazione di esaminare / fotocopiare il rapporto 1.3.2007 dell’Équipe finanziaria del Ministero pubblico allestito nell’ambito del predetto procedimento (inc. CRP _);
che con successiva decisione 23.02.2010 sempre l’allora Camera dei ricorsi penali ha autorizzato PI 2 a visionare / fotocopiare gli atti del surriferito incarto penale (inc. CRP _);
che con scritto 12/13.03.2012 – a valere quale istanza ex art. 62 cpv. 4 LOG – la IS 1 postula la trasmissione dell’incarto penale in questione, essendo stato richiamato con il consenso del giudice e delle parti ai fini dell’istruttoria della causa civile ordinaria di cui all’incarto _ promossa da PI 2 (patr. da: avv. PR 1, _) contro _, _ (patr. da: avv. _, _);
che a suffragio della sua richiesta la Pretura istante ha prodotto uno scritto datato 8.03.2012 dell’avv. PR 1, in cui sono state riassunte le motivazioni che stanno alla base della presente istanza (doc. 1.a);
che l’avv. PR 1, dopo aver illustrato l’iter del procedimento penale (di cui si è detto poc’anzi), ha precisato che il 27.12.2010 PI 2 ha presentato contro _ un’azione di risarcimento danni per un ammontare di CHF 917'467.99 oltre accessori presso la Pretura qui istante in relazione alla gestione del conto cifrato _ e che in quella sede è stato richiamato l’incarto penale in questione (cfr., nel dettaglio, doc. 1.a);
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha nella sostanza ripreso il testo del previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che come ricordato dalla prassi di questa Corte, in caso di richiesta da parte di autorità giudiziarie tendente ad ottenere documenti di un incarto penale, la giurisprudenza ammette la richiesta se: (i) si riferisce a procedimenti ancora pendenti presso l'autorità richiedente; (ii) è compatibile con il codice di rito applicabile a quel procedimento; (iii) è formulata dal titolare dell’autorità giudiziaria richiedente. Inoltre deve essere dato un legame di pertinenza dell’incarto richiamato con quello richiamante;
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta, nonché il contenuto e l’esito dell’incarto penale richiamato – è certamente data una connessione tra la causa civile di cui all’incarto _ pendente presso la Pretura istante e il procedimento penale sfociato nei decreti di non luogo a procedere NLP _ e NLP _ (entrambi passati in giudicato), poiché entrambi i procedimenti traggono le loro origini dalla medesima fattispecie, ovverossia la gestione del conto cifrato _, di cui PI 2 era titolare presso l’allora _, _ (ora _);
che gli atti dell’incarto penale richiamato possono dunque essere utili ai fini del giudizio civile;
che nella fattispecie in esame è quindi adempiuto un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG;
che di conseguenza l’incarto penale _ (composto da tre scatole) viene trasmesso alla Pretura istante unitamente alla presente decisione, con l’obbligo di restituirlo direttamente al Ministero pubblico, al più tardi, a procedimento civile concluso;
che la tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico della Pretura istante, che a sua volta le addosserà alle parti in base alle norme del CPC.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,012 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
8d627e5f-f9e0-5e54-b911-d2b147400cb4
|
in fatto
a.
In data 10.6.2008 la Corte delle assise criminali di _ ha riconosciuto RI 1 autore colpevole di infrazione aggravata e contravvenzione alla LF sugli stupefacenti e di riciclaggio di denaro e lo ha quindi condannato alla pena detentiva di 5 anni e 6 mesi da espiare, da dedursi il carcere preventivo sofferto dal 7.8.2007 al 10.6.2008. La Corte ha altresì revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena detentiva di 60 giorni inflitta al ricorrente dalla Staatsanwaltschaft _ il 26.7.2005 (cfr. sentenza 10.6.2008, inc. TPC _ - sentenza cresciuta in giudicato il 31.7.2008). Il 3.2.2009 RI 1 è stato trasferito presso il Penitenziario _, in quanto precedentemente al suo arresto egli risiedeva a unitamente alla moglie.
b.
Considerato che il ricorrente si trova in espiazione di pena dal 10.6.2008, dedotto il carcere preventivo, la metà pena è stata raggiunta il 7.6.2010 mentre che i due terzi, per la liberazione condizionale, cadranno il 18.5.2011; l'espiazione della pena terminerà il 7.4.2013 (cfr. ordine di esecuzione, doc. 3, annesso alle osservazioni 16.11.2010 della SEPEM).
c.
Con istanza del 12.8.2010 RI 1 ha chiesto alla SEPEM di poter beneficiare del regime progressivo con il collocamento in sezione aperta, a suo dire, al fine di prepararsi al suo definitivo rilascio e dunque a meglio integrarsi nella società e ad avere migliori contatti con la propria famiglia (cfr. istanza 12.8.2010, doc. 13, annessa alle osservazioni 16.11.2010 della SEPEM).
Per completezza si rileva che una prima istanza tendente ad ottenere il passaggio alla sezione aperta era già stata inoltrata da RI 1 il 5.3.2010 alla SEPEM e da quest'ultima respinta in data 8.4.2010 siccome, tra l'altro, ritenuta prematura non avendo a quel momento il detenuto ancora raggiunto l'espiazione della metà pena (prevista per il 7.6.2010) e tantomeno i 7/12 (scadenti il 7.11.2010) che la prassi ticinese richiederebbe per l'eventuale passaggio al regime progressivo in caso di
"stranieri senza agganci sul territorio"
(cfr. decisione 8.4.2010 della SEPEM, doc. 10, annessa alle osservazioni 16.11.2010 della SEPEM).
d.
Considerato nel suo complesso il comportamento di RI 1 in espiazione di pena [buono verso gli altri detenuti e il personale della struttura carceraria, soddisfacente riguardo al lavoro da lui svolto ma offuscato da quattro sanzioni disciplinari, tra cui - le più gravi - in data 8.12.2009 sanzione per possesso vietato di un cellulare e in data 27.7.2010 per possesso, consumo e commercio vietati di medicamenti privi di prescrizione medica, in specie pastiglie anabolizzanti (cfr. riassunto sanzioni disciplinari sub doc. 13, annesso alle osservazioni 16.11.2010 della SEPEM)], la Direzione e il Servizio sociale del Penitenziario _, nel loro rapporto 8.9.2010, hanno preavvisato favorevolmente il trasferimento del qui ricorrente nella sezione aperta, non ritenendo data la pericolosità pubblica e considerando minimo il rischio di fuga (cfr. Vollzugsbericht 8.9.2010, sub doc. 13, annesso alle osservazioni 16.11.2010 della SEPEM).
e.
In data 21.10.2010 la SEPEM ha respinto l'istanza del qui ricorrente. Ciò in considerazione del fatto che a carico di RI 1 la Sezione dei permessi e dell'immigrazione del Canton Ticino ha emanato un'ingiunzione di allontanamento dal nostro territorio e che il ricorrente non intrattiene più alcun contatto con la moglie ricevendo in carcere unicamente le visite di una persona facente parte di un gruppo di volontari operanti sul territorio. La SEPEM a fondamento del proprio giudizio negativo ha altresì considerato il comportamento non esemplare tenuto da RI 1 in carcere (avuto riguardo alle suddette sanzioni disciplinari) ed infine l'assenza di un suo progetto concreto verso il futuro.
f.
Con tempestivo ricorso dell'8/11.11.2010 RI 1 postula l'accoglimento dello stesso e quindi ribadisce il suo trasferimento in sezione aperta al fine di permettere il suo reinserimento sociale, ritenuto il preavviso favorevole della Direzione del Penitenziario Pöschwies e posto che egli, visti i reati per i quali è stato condannato, non rientra tra i condannati ritenuti pericolosi. Sostiene inoltre di non risiedere illegalmente in Svizzera.
g.
Nelle sue osservazioni 16/17.11.2010 la SEPEM postula la conferma della decisione impugnata e quindi il respingimento del gravame. Nel suo esposto essa ribadisce che RI 1, privo di un qualsiasi permesso di dimora, dovrà abbandonare il nostro territorio non appena scarcerato, che egli non vanta legami significativi con il nostro paese ed infine che il suo comportamento in carcere non è sempre stato corretto essendo egli incorso in quattro sanzioni disciplinari.
|
in diritto
1.
Con l'entrata in vigore al 1°.1.2011 del Codice di diritto processuale penale svizzero (Codice di procedura penale, CPP), che ha portato all'abrogazione del Codice di procedura penale ticinese (CPP TI) e alla riforma di diverse altre leggi cantonali, occorre esaminare preliminarmente la competenza di questa Corte a decidere il presente ricorso.
2.
L'art. 439 cpv. 1 CPP ha lasciato ai Cantoni la facoltà di designare le autorità competenti per l'esecuzione delle pene e delle misure e di stabilire la relativa procedura.
Il 1°.1.2011 è entrata in vigore la Legge sull'adeguamento della legislazione cantonale all'introduzione del Codice di diritto processuale penale svizzero del 20.4.2010, che al punto XV. ha adottato la nuova Legge sull'esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti del 20.4.2010 (nel seguito LEPM), poi completata dalla modifica del 18.10.2010 (pure entrata in vigore il 1°.1.2011). La nuova LEPM conferisce, tra l'altro, al giudice dell'applicazione della pena la competenza a decidere il trasferimento del condannato in sezione aperta (art. 10 cpv. 1 lit. h LEPM). Contro tale decisione è data facoltà al condannato e al Ministero pubblico di interporre reclamo ai sensi degli articoli 393 e seguenti CPP alla Corte dei reclami penali (art. 12 cpv. 1 lit. b LEPM).
Già in base al diritto previgente, l'autorità di ricorso contro le decisioni di prima istanza in ambito di esecuzione pene e misure era la Camera dei ricorsi penali. Infatti l'art. 7 della Legge sull'esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti del 27.11.2006 (RS 4.2.1.1.), in vigore dal 9.3.2007 al 31.12.2010, prevedeva che:
"Le decisioni in materia di esecuzione delle pene e delle misure sono direttamente impugnabili con ricorso alla Camera dei ricorsi penali del Tribunale di appello entro 10 giorni; il ricorso è intimato al Consiglio di Stato con un termine massimo di 10 giorni per presentare eventuali osservazioni; sono applicabili gli art. 285 e 286 cpv. 2, 3 e 4 del codice di procedura penale"
.
In questo senso le nuove normative nulla hanno mutato alla situazione previgente, se non il naturale passaggio dalla Camera dei ricorsi penali alla Corte dei reclami penali,
oltre che il trasferimento delle residue (a seguito del precedente adeguamento della legislazione cantonale conseguente alla revisione del Codice penale svizzero entrata in vigore il 1.01.2007) competenze decisionali della SEPEM al giudice dell'applicazione della pena (ora giudice dei provvedimenti coercitivi).
3.
Il punto XXVII. (Diritto transitorio) cpv. 3 della sopraccitata Legge sull'adeguamento della legislazione cantonale del 20.4.2010 prevede che
"I ricorsi che, in virtù del diritto transitorio, sono mandati alla Camera dei ricorsi penali, sono trattati dalla Corte dei reclami penali"
.
Da tutto ciò ne discende la competenza di questa Corte a pronunciarsi sul ricorso presentato da RI 1 (conformemente alle disposizioni della vecchia LEPM, rimasta in vigore sino al 31.12.2010), ritenuto che a tenore dell'art. 448 cpv. 2 CPP gli atti procedurali disposti o eseguiti prima dell'entrata in vigore del nuovo CPP mantengono la loro validità.
4.
4.1.
Giusta l'art. 75a cpv. 2 CP
"Per regime aperto si intende un'espiazione della pena tale da essere meno restrittiva della libertà, in particolare il trasferimento in un penitenziario aperto, la concessione di congedi, l'autorizzazione del lavoro o alloggio esterni e la liberazione condizionale".
L'art. 76 cpv. 2 CP stabilisce inoltre che
"il detenuto è collocato in un penitenziario chiuso o in un reparto chiuso di un penitenziario aperto se vi è il pericolo che si dia alla fuga o vi è da attendersi che commetta nuovi reati".
Interpretata
e contrario
quest'ultima norma prevede quali criteri determinanti per il collocamento in un penitenziario aperto o in un reparto aperto di un penitenziario chiuso, cumulativamente, che non sussista il pericolo che il detenuto si dia alla fuga e che nemmeno vi sia il rischio che egli commetta nuovi reati (cfr. Messaggio del CF del 21.9.1998 pubblicato in FF 1999 p. 1793; BSK Strafrecht I - B.F. BRÄGGER, 2a. ed., Basilea 2007, n. 8 ad art. 76 CP).
A livello cantonale l'art. 19 del Regolamento sull'esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti del 6.3.2007 (RS 4.2.1.1.1. - in vigore dal 9.3.2007 e rimasto invariato dopo l'entrata in vigore del CPP) al cpv. 1 dispone che l'esecuzione della pena in uno stabilimento chiuso (ossia in uno stabilimento in cui le misure di sicurezza sono elevate) è la forma di esecuzione ordinaria quando al detenuto non possono essere concesse altre forme di esecuzione in grado di evitare in particolare la fuga o pericoli a terzi.
Il cpv. 3 del medesimo regolamento prevede inoltre la possibilità di espiare la pena privativa della libertà, in tutto o in parte, in uno stabilimento aperto (ossia in una struttura che dispone di misure di sicurezza ridotte per quanto concerne l'organizzazione, il personale e la costruzione) se tale collocazione non provoca pericoli alla comunità, evita il ripetersi di azioni delittuose e non vi è rischio di fuga.
4.2.
Non è dato un rischio di fuga ai sensi dell'art. 76 cpv. 2 CP se tale possibilità sussiste solo in maniera astratta e in generale.
Conformemente alla giurisprudenza federale il rischio di fuga deve essere analizzato in funzione di un insieme di circostanze quali la gravità dei reati, il carattere dell'interessato, la sua morale, le sue risorse, i suoi legami con lo Stato che lo persegue come pure i suoi contatti con l'estero, che fanno apparire un tale rischio non solo possibile ma probabile (decisione TF 1B_423/2010 del 17.1.2011; decisione TF 1B_195/2010 del 13.7.2010; DTF 125 I 60).
La dottrina ha inoltre precisato che un alto pericolo di fuga è dato in particolare allorquando l'interessato non dispone di alcuna rete di relazioni
("Beziehungsnetz"
) con il nostro paese, ovverossia quando egli non ha alcun legame con la Svizzera, ciò che è da presupporre per i cosiddetti turisti del crimine
("Kriminaltouristen"
) e per i condannati sprovvisti di un valido permesso di soggiorno o di dimora (BSK Strafrecht I, B.F. BRÄGGER, op. cit., n. 4 ad art. 76 CP).
5.
Nel caso concreto una volta scarcerato RI 1, cittadino della, dovrà immediatamente lasciare il nostro paese in quanto privo di un valido permesso di soggiorno.
Il 12.7.2010 l'Ufficio di migrazione del Canton _, vista la di lui pesante condanna, non gli ha rinnovato il permesso di dimora e ha ordinato nel contempo il suo immediato allontanamento non appena verrà liberato dal carcere. Si osserva peraltro che il permesso di dimora era a suo tempo stato ottenuto dal qui ricorrente siccome nel marzo 2004 era convolato a nozze con una cittadina turca e svizzera_. RI 1 infatti era giunto in Svizzera nel dicembre 2001 per deporre domanda d'asilo. La stessa nel marzo 2003 era stata dichiarata irricevibile, posto come egli aveva dato false generalità (sostenendo di averlo perso non aveva prodotto alcun documento d'identità) e aveva mentito a proposito del suo paese d'origine e della sua situazione familiare in _. Egli, malgrado il conseguente ordine immediato di lasciare il nostro territorio, aveva continuato a soggiornarvi illegalmente sino al momento in cui è riuscito ad ottenere, nei modi testé descritti, il permesso di dimora (cfr. decisione 12.7.2010 dell'Ufficio della migrazione del Canton _, sub doc. 12 e sentenza 10.6.2008 della Corte delle Assise criminali, p. 14-15, doc. 2, annesse alle osservazioni 16.11.2010 della SEPEM).
Anche la Sezione dei permessi e dell'immigrazione del Canton Ticino in data 4.12.2009 ha emanato a carico del ricorrente un'in-giunzione di allontanamento senza formalità, in cui gli viene fatto ordine di abbandonare immediatamente il territorio svizzero non appena scarcerato (cfr. scritto del 4.12.2009, doc. 8, annesso alle osservazioni 16.11.2010 della SEPEM).
Dal punto di vista personale e familiare RI 1 non vanta legami con la Svizzera tali da rendere improbabile una sua fuga all'estero, al fine di sottrarsi all'espiazione della pena inflittagli e ciò malgrado che i suoi documenti d'identità (validi sino al 30.11.2011) siano depositati presso il Penitenziario Pöschwies. Egli è originario della, dove è cresciuto, vi ha assolto la formazione di aiuto meccanico e vi ha svolto questa professione sino all'età di 22 anni. A tutt'oggi vi vivono la madre, una sorella ed altri parenti, con i quali egli ha mantenuto contatti regolari (sia telefonici sia con soggiorni al suo paese d'origine) anche dopo il suo arrivo in Svizzera nel dicembre 2001. Alle autorità dell'immigrazione _ il ricorrente stesso, nel maggio 2010, ha dichiarato di voler far rientro nel suo paese natìo una volta scarcerato e ha altresì riconosciuto di aver interrotto dall'ottobre 2008 i contatti con la propria moglie, un'assistente di cura residente a dalla quale non ha avuto figli. La donna in data 17.6.2010 davanti alle medesime autorità _ ha peraltro precisato che la pronuncia del loro divorzio era prevista entro dicembre 2010 (cfr. decisione 12.7.2010 dell'Ufficio della migrazione del Canton _, sub doc. 12, annessa alle osservazioni 16.11.2010 della SEPEM). A conferma della rottura dei rapporti tra i coniugi _ vi è pure il riassunto delle visite ricevute dal ricorrente presso il Penitenziario Pöschwies nel periodo dal 3.2.2009 al 27.8.2010 dal quale appare come la moglie non gli ha mai reso visita. Assenti pure visite di altri parenti o amici, ad esclusione di incontri con una persona appartenente a un gruppo di volontari attivi in quella zona (cfr. Vollzugsbericht 8.9.2010, sub doc. 13, annesso alle osservazioni 16.11.2010 della SEPEM).
Nel (breve) periodo, precedente il suo arresto (avvenuto nell'agosto 2007), in cui egli ha beneficiato del permesso di dimora, il ricorrente ha svolto soltanto lavori saltuari, interrotti da periodi in cui ha controllato la disoccupazione e, stante le dichiarazioni della moglie alle autorità della migrazione _, egli ha perlopiù intrattenuto rapporti con suoi conoscenti di origine _ (cfr. decisione 12.7.2010, sub doc. 12, annessa alle osservazioni 16.11.2010 della SEPEM).
Privo di una qualsiasi prospettiva lavorativa nel nostro paese così come di una concreta possibilità di inserirsi nel nostro tessuto sociale, senza legami familiari stretti, con, tra l'altro, il peso di debiti di oltre CHF 6'000.- per tasse di giustizia e spese procedurali, orientato altresì piuttosto verso il proprio paese d'origine per vincoli familiari, sostegno, mentalità, lingua e prospettive lavorative, nel caso in esame, il pericolo di fuga e quindi il pericolo che il ricorrente possa darsi alla latitanza, non soltanto appare possibile bensì altamente probabile e concreto.
Alla luce di tutto quanto sin qui esposto, stante il concreto pericolo di fuga, sufficiente da solo a giustificare il mantenimento del ricorrente in un penitenziario chiuso a tenore dell'art. 76 cpv. 2 CP, il collocamento di RI 1 in sezione aperta presso il Penitenziario Pöschwies non appare giustificato e la decisione impugnata merita di essere integralmente tutelata.
6.
Il ricorso è respinto. La tassa di giustizia e le spese, contenute al minimo, sono poste a carico del qui ricorrente, soccombente.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,011 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
8dcb9db6-95b1-5176-9756-98b58cbfc509
|
in fatto:
che con sentenza del 10 aprile 200 il presidente della Corte delle assise correzionali di _ ha prosciolto _ e _ dalle imputazioni di omicidio colposo e di violazione delle regole dell'arte edile contenute in un decreto di accusa emanato il 24 gennaio 2000 dal Procuratore pubblico in seguito a un infortunio avvenuto il 14 novembre 1992 su un cantiere a _, ove aveva perduto la vita _, dipendente della ditta _;
che contro la sentenza di assise _ e _, genitori della vittima costituitisi parte civile nel procedimento penale, hanno inoltrato il 14 aprile 2000 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale;
che nei motivi del gravame, presentati il 23) maggio successivo, essi postulano l'annullamento della sentenza di assise per arbitrio, in subordine l'annullamento del dispositivo di assoluzione
n. 1.1 per vizi di procedura, ancorché nel frattempo sia intervenuta la prescrizione assoluta delle azioni penali (attribuibile, secondo i ricorrenti, all'ingiustificata lentezza della procedura);
che non sono state chieste osservazioni sul ricorso;
e considerando
|
in diritto:
che l'azione penale per i reati di omicidio colposo (art. 117 CP) e di violazione delle regole dell'arte edile (art. 229 cpv. 2 CP), punibili entrambi con la detenzione o con la multa, soggiace al termine di prescrizione relativa di 5 anni e a quello di prescrizione assoluta di 7 anni e sei mesi (art. 70 e 72 CP);
che nella fattispecie la prescrizione delle singole azioni penali è cominciata a decorrere il 14 novembre 1992 (giorno dell'infortunio);
che allorché la decisione di assise è stata emanata, dopo un complesso iter procedurale durato anni, il 10 aprile 2000, la prescrizione (assoluta) dell'azione penale non si era ancora compiuta;
che la prescrizione assoluta non era ancora intervenuta nemmeno il 14 aprile 2000, quando la parte civile ha dichiarato (nel termine stabilito dall'art. 289 cpv. 1 CPP) di ricorrere alla Corte di cassazione e di revisione penale contro la sentenza di assise, impedendone in tal modo il passaggio in giudicato, né era intervenuta quando alle parti è stata intimata la sentenza motivata, il 2 maggio 2000;
che la prescrizione assoluta si è compiuta invece poco dopo, il 14 maggio 2000, comunque prima che il termine di 20 giorni per presentare le motivazioni scritte del ricorso per cassazione venisse a scadere (art. 289 cpv. 2 CPP);
che benché tempestivo, il ricorso non può pertanto essere esaminato nel merito, l'intervenuta prescrizione dell'azione penale (accertabile d'ufficio, trattandosi di un presupposto processuale) comportandone l'inammissibilità (cfr. DTF 116 IV 80);
che, data la particolarità del caso, si prescinde eccezionalmente dal riscuotere spese e tassa di giustizia;
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,000 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8dfd10b1-2739-5b53-816a-75af0038ea0d
|
in fatto ed in diritto
1.
Il 3.03.2010 la Corte delle assise criminali di Lugano ha emanato una sentenza di condanna a carico di PI 3 (_) e a carico di PI 2_), entrambi cittadini bulgari, riconosciuti autori colpevoli di infrazione aggravata alla LStup in relazione alla detenzione, al trasporto e all’importazione sul territorio svizzero di 9'480 grammi di eroina, a _, il 26.06.2009 (inc. TPC _).
La summenzionata sentenza
è passata in giudicato il 13.04.2010.
2.
Con scritto datato 25.04.2013 [ricevuto dall’Ufficio federale di giustizia, Berna (di seguito UFG), il 3.05.2013] il Ministero pubblico della giustizia di _ ha trasmesso alle autorità svizzere una domanda di assistenza giudiziaria datata 23.12.2011, redatta in lingua tedesca e presentata dal Ministero pubblico di _ nell’ambito di un procedimento penale aperto nei confronti di PI 2 e PI 3 per commercio e acquisizione di sostanze stupefacenti ed eccitanti.
L’autorità turca ha in particolare precisato che a seguito del sequestro di complessivamente 10 kilogrammi e 97 grammi di eroina avvenuto il 26.06.2009 sul territorio elvetico [ndr: corrispondente alla fattispecie di cui all’incarto TPC _], sono stati arrestati dalle autorità penali elvetiche i due cittadini bulgari surriferiti. A titolo prudenziale è stato aperto un procedimento penale a carico dei due imputati anche da parte del Ministero pubblico di _, potendo queste sostanze stupefacenti essere state esportate dalla Turchia. Quest’ultima autorità penale turca ha pertanto chiesto la trasmissione di diversa documentazione (atti istruttori, rapporti, decisioni passate in giudicato nonché rapporti di analisi dello stupefacente sequestrato) alle autorità svizzere competenti in base alle disposizioni della CEAG. In via subordinata, nell’ipotesi in cui i documenti richiesti non dovessero essere trasmessi al Ministero pubblico turco in base al principio
ne bis in idem
, ha postulato di stabilire se gli imputati abbiano proceduto all’esportazione della sostanza stupefacente dalla Turchia (cfr., nel dettaglio, doc. 1.b annesso all’istanza 20/21.08.2013).
3.
Con scritto 31.05./3.06.2013 l’UFG ha trasmesso al Ministero pubblico del Canton Ticino la predetta domanda di assistenza giudiziaria. Ha al riguardo precisato di aver esaminato sommariamente la domanda: la stessa soddisferebbe le esigenze formali previste dalla CEAG e non vi sarebbe alcun motivo per considerarla manifestamente inammissibile (art. 78 AIMP e art. 14 OAIMP), richiamando parimenti l’applicabilità della Convenzione europea sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca di proventi di reato dell’8.11.1990 (Cric, RS 0.311.53). Ha dunque invitato il Ministero pubblico a decidere senza indugio circa l’ammissibilità dell’assistenza, a provvedere all’esecuzione della rogatoria (art. 80, 80a e 17a AIMP), ad informarlo in merito al seguito della procedura di assistenza (art. 5 OAIMP, art. 16 e 80h AIMP) e a trasmettere gli atti di esecuzione (ad eccezione degli atti di procedura interna) all’autorità richiedente per il suo tramite (cfr., nel dettaglio, doc. 1.a annesso all’istanza 20/21.08.2013).
4.
Con decisione di entrata in materia 20/21.08.2012 il procuratore pubblico, accertata l’ammissibilità della domanda, ha ordinato quanto segue:
"
1. La domanda di assistenza giudiziaria è accolta nel senso dei seguenti considerandi.
2. Si fa
istanza
alla Corte dei reclami penali, affinché riconosca il preminente legittimo interesse giuridico dell’autorità rogante rispetto ai diritti personali delle persone implicate nel processo, concedendo così l’ispezione degli atti e l’estrazione di copie degli atti del procedimento penale nei confronti degli imputati di cui alla sentenza della Corte delle Assise Criminali di Lugano del 3 marzo 2009
(recte: 3.03.2010)
(inc. _; ACC _), atti che verranno trasmessi all’autorità rogante quali mezzi di prova agli atti del procedimento attualmente in corso in Turchia nei confronti degli imputati
", chiedendo l’estrazione di otto atti istruttori (AI 24, AI 26, AI 29, AI 35, AI 42, AI 43, AI 44, ACC _) e il rilascio di una copia conforme all’originale della sentenza della Corte delle assise criminali del 3.03.2013 (recte: 3.03.2010),
e meglio come ivi descritto (cfr. istanza 20/21.08.2013, p. 3 e 4, doc. 1).
5.
Come esposto in entrata,
stante l’esito della presente decisione, questa Corte ha rinunciato ad effettuare lo scambio degli allegati.
6.
6.1.
I rapporti di assistenza giudiziaria internazionale in materia penale tra la Turchia e la Svizzera sono in primo luogo retti dalla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20.04.1959 (CEAG; RS 0.351.1), entrata in vigore il 20.03.1967 per la Svizzera e il 22.09.1969 per lo Stato richiedente.
Può entrare parimenti in considerazione l’applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e delle sostanze psicotrope, conclusa a Vienna il 20.12.1988 (RS 0.812.121.03), entrata in vigore per lo Stato richiedente il 1.07.1996 e per la Svizzera il 13.12.2005 (decisione TPF RR.2010.60+RP.2010.19 dell’8.07.2010 consid. 1.1), nonché l’applicazione della Convenzione europea sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca di proventi di reato dell’8.11.1990 (Cric, RS 0.311.53), entrata in vigore per la Turchia il 1°.02.2005 e per la Svizzera il 1°.09.1993 [cfr. scritto 31.05.2013 dell’UFG, p. 1, doc. 1.a annesso all’istanza 20/21.08.2013].
Solo a titolo sussidiario l’AIMP e la sua ordinanza d’esecuzione (OAIMP, RS 351.11) regolano le questioni che non sono disciplinate, esplicitamente o implicitamente, dai trattati (decisione TPF RR.2010.60+RP.2010.19 dell’8.07.2010 consid. 1.1; DTF 130 II 337 consid. 1; DTF 128 II 355 consid. 1 e giurisprudenza ivi citata; cfr. anche l’art. 1 cpv. 1 AIMP). Il diritto interno si applica inoltre allorquando sia più favorevole all’assistenza di quello convenzionale (decisione TPF RR.2010.60+RP.2010.19 dell’8.07.2010 consid. 1.1 e rif.; DTF 136 IV 82 consid. 3.1 e rif.), fatto salvo il rispetto dei diritti fondamentali (DTF 135 IV 212 consid. 2.3; decisione TPF RR.2010.60+RP.2010.19 dell’8.07.2010 consid. 1.1).
6.2.
Come visto, le autorità turche hanno presentato alle autorità svizzere una domanda di assistenza giudiziaria, chiedendo (in via principale) la trasmissione di diversa documentazione in relazione al procedimento penale di cui all’incarto TPC _, nel frattempo archiviato, inerente a PI 2 e a PI 2.
Si è dunque alla presenza di una richiesta di assistenza giudiziaria internazionale che si fonda in primo luogo sulla CEAG: in base alla medesima la Svizzera e la Turchia hanno quindi l’obbligo di accordarsi reciprocamente l’assistenza giudiziaria più ampia possibile in qualsiasi procedura concernente reati, la cui repressione, al momento in cui l’assistenza giudiziaria è domandata, è di competenza delle autorità giudiziarie della parte richiedente (art. 1 paragrafo 1 CEAG; cfr. anche l’art. 3 paragrafo 1, l’art. 7 e anche l’art. 22 CEAG).
Inoltre le parti si prestano reciprocamente, in conformità con l’art. 7 paragrafo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e delle sostanze psicotrope, conclusa a Vienna il 20.12.1988 (di seguito Convenzione), la più vasta assistenza giudiziaria possibile per tutte le inchieste, i procedimenti penali e le procedure giudiziarie relative alle infrazioni stabilite conformemente con l’art. 3 paragrafo 1 della Convenzione. L’assistenza giudiziaria concessa in applicazione dell’art. 7 della Convenzione può essere – tra l’altro – richiesta per fornire informazioni e corpi del reato (lit. e) e originali oppure copie certificate conformi di documenti e fascicoli pertinenti, compresi estratti bancari, documenti contabili, fascicoli di società e documenti commerciali (lit. f).
Non vanno infine dimenticati i principi di cooperazione internazionale in base alla Cric (art. 7 ss. Cric).
La più ampia collaborazione si riferisce sia a procedimenti pendenti, sia a quelli chiusi.
Ne discende che nella fattispecie in esame è indubbiamente data una base legale sufficiente riguardo all’obbligo di prestare assistenza da parte delle autorità svizzere a favore di quelle turche in virtù delle disposizioni della CEAG e delle summenzionate convenzioni. Il diritto convenzionale prevale, come noto, su quello sia federale che cantonale.
6.3.
L’esecuzione delle commissioni rogatorie viene attuata nelle forme previste della legislazione dello Stato richiesto (R. ZIMMERMANN, La coopération judiciaire internationale en matière pénale, 3. ed., n. 274; cfr. anche art. 3 paragrafo 1 CEAG). Per la procedura interna si applicano l’AIMP e l’OAIMP (R. ZIMMERMANN, op. cit., n. 274; cfr. anche art. 3 paragrafo 1 CEAG, art. 2 paragrafo 1 della Convenzione e art. 9 Cric).
La procedura di assistenza giudiziaria nell’ambito della AIMP è in particolare regolata dagli art. 75 ss. AIMP (cfr., ad esempio,
L’assistenza giudiziaria in materia penale, Direttive dell’UFG, 9. ed., p. 42 ss. e p. 80; Messaggio concernente la modificazione della legge federale sull’assistenza internazionale in materia penale e della legge federale relativa al Trattato conchiuso con gli Stati Uniti d’America sull’assistenza giudiziaria in materia penale nonché un decreto federale concernente una riserva alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 29.03.1995, RS 95.024, p. 12 ss.).
L’Ufficio federale esamina sommariamente se la domanda soddisfa le esigenze formali e la trasmette all’autorità d’esecuzione competente, eccetto che sembri manifestamente inammissibile (art. 78 cpv. 2 LAIMP).
L’autorità d’esecuzione prende con motivazione sommaria una decisione di entrata nel merito e ordina gli atti d’assistenza giudiziaria ammissibili (art. 80a cpv. 1 AIMP). La stessa autorità esegue gli atti di assistenza giudiziaria secondo il proprio diritto procedurale (art. 80a cpv. 2 AIMP).
Dal momento che la Confederazione ha fatto uso della sua competenza di legiferare nel campo dell’assistenza giudiziaria internazionale in materia penale, il diritto cantonale si applica soltanto se la AIMP non dispone diversamente in modo esplicito (art. 12 AIMP). Mediante l’unificazione della procedura di assistenza giudiziaria in occasione della revisione del 4.10.1996, le disposizioni procedurali cantonali non sono più state inglobate. La riserva a favore del diritto cantonale riveste dunque scarsa importanza: l’obbligo di celerità non deve più essere messo in pericolo dalle norme cantonali (art. 17a AIMP) [cfr. L’assistenza giudiziaria in materia penale, Direttive dell’UFG, op. cit., p. 13].
Di conseguenza, l’esecuzione della domanda dovrebbe, di principio, essere messa in atto, compiutamente, con celerità e senza alcuna interruzione (cfr. L’assistenza giudiziaria in materia penale, Direttive dell’UFG, op. cit., p. 43).
Non va infine dimenticato che la concessione dell’assistenza giudiziaria internazionale e la procedura d’assistenza giudiziaria sono rette dal CPP in quanto altre leggi federali e trattati internazionali non prevedano disposizioni specifiche (art. 54 CPP; cfr., al proposito, Messaggio concernente l’unificazione del diritto processuale penale del 21.12.2005, p. 1054; ZK – S. HEIMGARTNER, art. 54 CPP n. 1 ss.; N. SCHMID, Handbuch des schweizerischen Strafprozessrechts, n. 503; Commentario CPP – P. BERNASCONI, art. 54 CPP n. 1 ss.).
6.4.
6.4.1.
Orbene, in casu l’UFG, conformemente all’art. 78 cpv. 2 AIMP, ha esaminato sommariamente se la domanda pervenutagli dalle autorità turche rispettasse le esigenze formali, trasmettendola poi alla competente autorità d’esecuzione: il Ministero pubblico del Canton Ticino. Ha poi invitato la predetta autorità a decidere senza indugio circa l’ammissibilità dell’assistenza e a provvedere all’esecuzione della rogatoria, richiamando gli art. 80, 80a e 17a AIMP.
Con
decisione di entrata in materia 20/21.08.2013 il procuratore pubblico, accertata l’ammissibilità della domanda (cfr., nel
dettaglio, istanza 20/21.08.2013 p. 2 e 3, doc. 1), ha fatto contestuale istanza a questa Corte di riconoscere l’interesse giuridico legittimo dell’autorità rogante prevalente sui diritti personali delle altre persone coinvolte nell’ambito del procedimento penale
sfociato nella sentenza di condanna 3.03.2010, passata in giudicato
(inc. TPC _),
in modo da
ottenere l’autorizzazione ad ispezionare e ad estrarre, in copia,
diversi atti istruttori e il rilascio di una copia conforme all’originale della citata sentenza, che
saranno poi trasmessi all’autorità rogante,
invocando l’applicazione dell’art. 62 cpv. 4 LOG.
6.4.2.
Come detto, al presente caso si applica la AIMP e in materia non è rimasta una significativa competenza dei Cantoni. Pertanto è più che evidente che l’accesso agli atti e l’assistenza giudiziaria siano rette solo dai trattati e dall’AIMP, mentre che l’art. 62 cpv. 4 LOG si applica non certo all’assistenza tra autorità penali.
Ne discende che in casu il Ministero pubblico del Canton Ticino, in qualità di organo d’esecuzione competente giusta l’art. 78 cpv. 2 AIMP, avrebbe quindi potuto e dovuto, per il tramite del procuratore pubblico, disporre direttamente e senza indugio l’esecuzione della misura richiesta ai sensi dell’AIMP, ordinando la trasmissione della documentazione in questione all’autorità rogante, mediante l’emanazione della relativa decisione, come da costante prassi.
6.5.
Alla luce di quanto sopra esposto, la presente istanza è da dichiararsi irricevibile in difetto della competenza da parte di questa Corte.
7.
L’istanza è irricevibile. Vista la particolarità della fattispecie, si prescinde dal prelievo di tassa di giustizia e di spese.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
8e7f12d8-ca1e-51eb-bb2e-5b70b9ee3dd0
|
in fatto: A.
Con decreto di accusa del 29 aprile 2002 il Procuratore pubblico ha dichiarato _ e _ autori colpevoli di atti contro la pubblica incolumità per avere omesso di custodire adeguatamente il cane della stessa _, in particolare per non avere, _, impedito che il cane uscisse dalla sua proprietà a _ e si avventasse su _ (la quale passava sulla pubblica via) e per non avere, _, preso le misure atte a impedire che il cane aggredisse terzi, nonostante quanto era già accaduto nel passato. Il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ e _, inoltre, autori colpevoli di lesioni colpose per avere, omettendo di custodire adeguamente il cane e impedendo che esso aggredisse _, procurato per negligenza a quest'ultima le lesioni descritte da un certificato medico. In applicazione della pena, il Procuratore pubblico ha proposto la condanna di entrambi gli accusati a 10 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente per due anni. Il decreto di accusa, intimato per raccomandata il 29 aprile 2002, è tornato però al Ministero pubblico il 10 maggio successivo con la menzione “non ritirato”. Il 4 giugno 2002 il Ministero pubblico ha apposto sul decreto di accusa l'attestazione di passaggio in giudicato.
B.
Con scritto del 13 giugno 2002 _ e _ hanno rinviato al Ministero pubblico due richieste di pagamento (relative alle spese processuali) notificate loro il 6 giugno precedente, asserendo di non avere ricevuto alcun atto che giustificasse la pretesa. Il Ministero pubblico ha comunicato il 18 giugno 2002 ai coniugi _ che il 29 aprile 2002 era stato intimato loro il decreto di accusa emanato quello stesso giorno, ritornato però al mittente siccome “non ritirato”. Sempre il 18 giugno 2002 il Ministero pubblico ha trasmesso per informazione alla Pretura del Distretto di Lugano, sezione 4, il decreto di accusa, con la precisazione che i destinatari non avevano ritirato le raccomandate loro dirette, sicché il decreto di accusa era passato in giudicato. Il 24 giugno 2002 _ e _ hanno comunicato al Ministero pubblico di avere informato per scritto alla fine di aprile del 2002 l'Ufficio postale di _ che sarebbero stati assenti all'estero fino al 19 maggio del 2002, sottolineando di non avere ricevuto l'invio postale contenente il decreto di accusa e sollecitandone la trasmissione.
C.
Con lettera del 4 luglio 2002 il Ministero pubblico ha domandato alla posta se i coniugi _ avessero dato ordine di trattenere la corrispondenza o avessero dato una disposizione che impedisse o prorogasse il termine per la consegna delle raccomandate. L'8 luglio 2002 la posta ha comunicato al Ministero pubblico che, a dispetto delle verifiche, non risultava che gli interessati avessero dato ordine alcuno e che pertanto gli invii in questione, giunti all'ufficio il 30 aprile 2002, erano stati rispediti al mittente il 10 maggio 2002.
D.
Il 10 luglio 2002 il Ministero pubblico ha inviato a _ e _ il decreto di accusa emanato il 29 aprile 2002, come pure la lettera della posta. Con scritto del 18 luglio 2002 al Ministero pubblico i coniugi _ hanno mantenuto la loro versione dei fatti, allegando una loro lettera del 15 luglio 2002 in cui significavano alla posta di avere informato l'ufficio postale di _ della nota circostanza e di ritenere scorretto il ritorno al mittente dei due invii, che andavano fatti seguire alla casella postale _. Il 22 luglio 2002 il Ministero pubblico ha sollecitato chiarimenti alla posta, la quale il 6 agosto 2002 ha confermato che nessun ordine di trattenuta era stata introdotto dai coniugi alla fine di aprile del 2002 e che la richiesta di far seguire le raccomandate alla nota casella postale, risalente al 20 febbraio 1997, era scaduta dopo 12 mesi. Il 10 agosto 2002 _ e _ hanno comunicato alla posta di non condividere tale punto di vista, sostenendo che in assenza di pattuizione contraria l'accordo del 20 febbraio 1997 doveva ancora ritenersi valido.
E.
Con decreto del 30 gennaio 2003 il giudice della Pretura penale ha stralciato dai ruoli il procedimento per tardività dell'opposizione, dichiarando esecutivo il decreto di accusa emanato il 29 aprile 2002 nei confronti di _ e _. Costoro hanno impugnato tale decisione con ricorso del 4 febbraio 2003, chiedendone l'annullamento. Trasmesso per competenza alla Corte di cassazione e di revisione penale, il ricorso non ha formato oggetto di intimazione.
|
Considerando
in diritto: 1.
La decisione impugnata è in realtà una sentenza, non un decreto di stralcio. Nella misura in cui un tribunale dichiara irricevibile un rimedio giuridico per tardività, esso accerta la mancanza di un presupposto processuale. Non emana quindi un mero decreto, ma una decisione di non entrata in materia. Sotto questo profilo la decisione impugnata è effettivamente un atto suscettibile di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale.
2.
Secondo l'art. 208 cpv. 1 lett. e CPP l'accusato o la parte civile che intende opporsi a un decreto di accusa deve presentare opposizione scritta al Procuratore pubblico entro 15 giorni dall'intimazione del decreto medesimo, senza di che le proposte contenute in quest'ultimo acquistano forza di giudicato. Quanto alle intimazioni, l'art. 7 CPP prevede che esse avvengono per invio postale o per mezzo di usciere (cpv. 1), in applicazione analogica delle disposizioni del Codice di procedura civile (cpv. 2). Di regola una notificazione avviene dunque per invio raccomandato, con o senza ricevuta di ritorno, in conformità ai regolamenti postali (art. 124 cpv. 1 CPC). Alle persone domiciliate nel Cantone la notifica ha luogo mediante consegna dell'atto al destinatario, nel luogo in cui esso dimora o svolge la sua attività, oppure al suo rappresentante; in caso di assenza il plico è rimesso a una persona adulta della sua famiglia o a un suo impiegato (art .120 CPC).
3.
In DTF 127 I 31 consid. 2a/aa pag. 34 il Tribunale federale ha avuto modo di ricordare che una decisione spedita per raccomandata si ritiene notificata al destinatario nel momento della consegna effettiva oppure, se l'invio non è recapitato a domicilio né ritirato alla posta, l'ultimo dei sette giorni utili durante i quali il plico rimane depositato all'ufficio postale, sempre che il destinatario dovesse contare sulla notifica (cfr. anche DTF 123 III 492 consid. 1 pag. 493). Il termine di giacenza previsto dall'art. 169 cpv. 1 lett. d ed e dell'ordinanza (1) della legge su servizio delle poste del 1° settembre 1967 è stato invero abrogato con l'entrata in vigore dell'ordinanza delle poste del 29 ottobre 1997 (OPA), segnatamente con l'art. 13 OPA. Il termine di giacenza di sette giorni è stato ripreso però nelle condizioni generali del servizio postale. Mantiene perciò tutte le sue attribuzioni (DTF 127 I 31 consid. 2b pag. 34).
4.
Richiamando la citata giurisprudenza, il giudice della Pretura penale ha ritenuto che in concreto la notificazione dei decreti di accusa sia validamente intervenuta il settimo e ultimo giorno di giacenza delle raccomandate all'ufficio postale di _. Ha dichiarato quindi tardiva l'opposizione degli interessati, soggiungendo che l'accordo risalente al 20 febbraio 1997 di _ con l'ufficio medesimo non bastava a procrastinare il termine di notifica. Ciò valeva a maggior ragione per _, estranea all'accordo. Per di più, gli accusati erano stati informati dal Ministero pubblico al più tardi il 24 giugno 2002 dell'avvenuta intimazione del decreto di accusa, ragion per cui essi avrebbero potuto rendersi conto già allora della pretesa irregolarità ove appena avessero dato prova della diligenza richiesta dalla circostanze. Invece essi avevano aspettato più di venti giorni prima di reagire, il che rendeva ulteriormente intempestiva la loro opposizione.
5.
I ricorrenti contestano qualsiasi negligenza, invocando la lettera da loro inviata il 24 giugno 2002 al Ministero pubblico con la quale comunicavano di essere stati assenti all'estero fino al 19 maggio 2002, circostanza di cui l'ufficio postale di _ era a conoscenza sin dalla fine di aprile. Se non che, tale giustificazione non giova. A prescindere dal fatto che i ricorrenti non hanno dimostrato di avere introdotto richiesta alcuna all'ufficio postale di _, il mancato ritiro della corrispondenza per pretesa assenza all'estero non impediva la notifica dei decreti di accusa, quand'anche i destinatari avessero esortato l'ufficio a trattenere la corrispondenza. Costoro sapevano che a loro carico era stato aperto un procedimento penale. Anche se avessero chiesto all'ufficio di trattenere la corrispondenza, quindi, le due raccomandate sono state validamente notificate l'ultimo dei sette giorni di deposito (DTF 127 I 31 consid. 3b pag. 34, 123 III 492 consid. 1 pag. 493 con rinvii; sentenza del Tribunale federale 1P.160/1994 del 2 settembre 1994 in re S., consid. 2c). Quanto all'accordo del febbraio 1997 secondo cui le raccomandate non ritirate da _ dovevano essere fatte seguire, dopo il termine di giacenza, alla casella postale _ (anziché ritornate al mittente), a supporre che fosse valido, esso non impediva – con ogni evidenza – la notifica del plico raccomandato l'ultimo giorno del termine medesimo. Anche sotto questo profilo il ricorso deve perciò essere disatteso.
5.
Dato l'esito del giudizio, gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 e 9 cpv. 1 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,003 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8eccacd5-d1c0-5400-90b2-a0b6399451d0
|
in fatto: A.
La _, succursale di _, è una società immobiliare che fa parte del gruppo _, di cui cura in particolare la gestione degli stabili nel Ticino. Responsabile di tale attività è, per la _, _. Dal 1° gennaio al 31 luglio 1999 la _, rappresentata dalla _, è stata parte a un contratto di locazione con _ e _ avente per oggetto un appartamento di tre locali al primo piano di un palazzo situato in via _. In seguito a controversie sull'uso e su pretesi difetti dell'ente locato, i conduttori avevano disdetto tale contratto il 28 giugno 1999 per il 31 luglio successivo. Pur contestando la fondatezza della disdetta, per finire la _ aveva aderito alla richiesta dei conduttori. L'appartamento è stato così riconsegnato alla locatrice il 2 agosto 1999. _ e _ hanno poi intentato causa nei confronti della _, postulando la riduzione della pigione e il risarcimento del danno patito.
B.
Nel frattempo, il 30 dicembre 1998 (i conduttori già avevano preso possesso dell'appartamento), _, padre di _, ha subìto un infortunio nell'immobile. Con raccomandata del 12 novembre 1999 _ ha inviato a _, al domicilio di lui, uno scritto cui afferma di avere allegato una lettera del
2 novembre 1999, un'altra lettera del 29 novembre 1999 e un precetto esecutivo civile (art. 489 CPC) del 2 novembre 1999 in cui suo padre _ ingiungeva allo stesso _ quanto segue:
Divieto assoluto di comunicare, certificare, asserire e o rendere ipotizzabile, a chiunque, in qualsivoglia forma, l'esistenza sia diretta che indiretta di un qualsivoglia rapporto del qui precettante, arch. _, in seno al rapporto che intercorre tra la Compagnia _, rispettivamente la rappresentante di quest'ultima, _, con sede a _ e filiale a _ ed i signori _ e _, per il periodo tra il 15 dicembre 1998, data dell'inizio del rapporto tra summenzionati, sino e compreso l'emissione del presente atto civile (02.11.1999).
Smentire in forma scritta ogni e qualsiasi rapporto, sia diretto che indiretto del qui precettante, arch. _ tra la _ ed i signori _ e _, in qualità di garante, intermediario o qualsivoglia altro ufficio.
Smentire in forma scritta che il qui precettante abbia acconsentito di rinunciare a qualsivoglia pretesa e/o intervento delle rispettive assicurazioni RC del proprietario del fondo, in merito all'infortunio del 30 dicembre 1998, occorso al qui precettante, in via _.
C.
Contro tale precetto, che menzionava la facoltà per l'escusso di fare opposizione entro 10 giorni (senza indicare però l'autorità cui rivolgerla), _ non aveva intrapreso alcunché, di modo che il 6 dicembre 1999 _ aveva chiesto al Pretore del Distretto di Lugano, sezione 2, l'emissione del decreto esecutivo. Statuendo il 9 dicembre 1999, il Pretore aveva accolto l'istanza e aveva ordinato a _ di
– smentire in forma scritta ogni e qualsiasi rapporto, sia diretto che indiretto del qui precettante, arch. _ tra la _ ed i signori _ e _, in qualità di garante, intermediario o qualsivoglia altro ufficio;
– smentire in forma scritta che il qui precettante abbia acconsentito di rinunciare a qualsivoglia pretesa e/o intervento delle rispettive assicurazioni RC del proprietario del fondo, in merito all'infortunio del 30 dicembre 1998, occorso al qui precettante, in via _,
dandone immediata comunicazione al precettante. L'ordine è stato impartito con la comminatoria dell'art. 292 CP. Il decreto non indicando alcun termine entro cui adempiere l'ingiunzione, _ non ha dato seguito all'ordine. Si è rivolto al suo legale, da cui ha ricevuto l'invito a rimanere passivo. Egli ha sempre sostenuto altresì che nella raccomandata del 12 novembre 1999 figurava unicamente copia di una lettera 29 ottobre 1999 diretta a tale _ e null'altro.
D.
Con decreto di accusa del 9 ottobre 2000 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di disobbedienza a decisione dell'autorità “per avere intenzionalmente omesso di ottemperare alla decisione pretorile del 9.12.1999, con la quale il Pretore del Distretto di Lugano avv. _ gli ordinava di smentire in forma scritta: ogni e qualsiasi rapporto, sia diretto che indiretto, fra l'arch. _, la _ ed i signori _. e _, in qualità di garante, intermediario o qualsivoglia ufficio; la rinuncia dell'arch. _ a qualsiasi pretesa e/o intervento delle rispettive assicurazioni RC del proprietario del fondo, in merito all'infortunio del 30.9.1998, occorsogli in Via _ ”. Egli ne ha pertanto proposto la condanna a una multa di fr. 300.–. Giudicando su opposizione, con sentenza del 10 maggio 2001 il Pretore del Distretto di Lugano, sezione 4, ha prosciolto invece _ dall'accusa, addebitando i costi allo Stato.
E.
Contro la sentenza predetta _ ha introdotto una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 19 giugno 2001, egli chiede che _ sia dichiarato autore colpevole del reato ascrittogli e che sia confermata la multa inflitta dal Procuratore pubblico o quanto meno, in subordine, che sia accertata la colpevolezza dell'imputato e che gli atti siano rinviati a un altro Pretore per la commisurazione della pena. Nelle sue osservazioni del 25 giugno 2001 il Procuratore pubblico dichiara di rinunciare a osservazioni e di rimettersi al giudizio della Corte. Con osservazioni del 10 luglio 2001 _ postula invece il rigetto del ricorso.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorrente fa valere anzitutto che il 13 giugno 2001 (dopo l'emanazione della sentenza impugnata) il suo legale si è presentato allo sportello della Pretura giudicante per consultare gli atti. Ricevuto soltanto il fascicolo del Ministero pubblico, egli ha chiesto di poter vedere e fotocopiare il verbale di udienza, in cui è raccolta, tra l'altro, la testimonianza di _. La segretaria ha consultato il Pretore, poi ha rifiutato. Donde l'istanza scritta di quello stesso giorno al Pretore con cui il legale ha formalizzato la domanda, senza però ottenere risposta. Il ricorrente sostiene, con riferimanto a DTF 117 Ia 424, che ciò costituisce una chiara violazione del suo diritto di essere sentito. Ora, a prescindere dal fatto però che nel frattempo, con scritto del 18 giugno 2001, il Pretore ha poi spiegato i motivi del suo comportamento (allegando anche copia del verbale di udienza), il ricorrente non pretende che la mancata consegna del verbale gli abbia impedito di presentare ricorso per cassazione con conoscenza di causa. Anzi, egli ammette che non è sua intenzione integrare il ricorso dopo l'ottenimento di quell'atto processuale, limitandosi a chiedere che nei considerandi la Corte di cassazione e di revisione penale constati la violazione del suo diritto di essere sentito, affinché episodi del genere non abbiano a ripetersi. V'è da chiedersi se una richiesta del genere sia ammissibile nell'ambito di un ricorso per cassazione; dato che il ricorrente non chiede l'annullamento della sentenza impugnata a dipendenza della pretesa violazione del diritto di essere sentito, ci si potrebbe seriamente interrogare se, per finire, egli possa ancora vantare un interesse attuale e pratico al riguardo. Ora, il Tribunale federale ha avuto modo di stabilire - ancorché riferendosi al ricorso di diritto pubblico - che eccezionalmente si può prescindere dal requisito dell'interesse attuale e pratico all'ottenimento della decisione richiesta, quando la questione litigiosa può di nuovo e in ogni momento riproporsi nelle stesse circostanze, quando vi è un interesse pubblico al suo chiarimento a dipendenza della sua fondamentale importanza e quando la stessa questione, in caso contrario, non potrebbe mai essere tempestivamente esaminata dal profilo della sua cositituzionalità (DTF120 Ia 165 consid. 1a, 118 Ia 490 consid. 1a). Nella fattispecie non sono però ravvisabili - sia come sia - estremi del genere; in assenza di ulterori riscontri è infatti da presumere che quanto capitato il pomeriggio del 13 giugno 2001 sia per finire conseguente a un malinteso e non al rifiuto del Pretore di fronte alla richiesta di poter fotocopiare il verbale del dibattimento avanzata dal patrocinatore del ricorrente. Ne consegue la reiezione del ricorso su questo punto.
2.
Nel merito il Pretore ha rilevato che l'ordine impartito all'imputato sotto comminatoria dell'art. 292 CP incideva in modo significativo sulla libertà personale e individuale di lui, essendogli fatto obbligo di affermare – in modo contrario al vero, secondo il Pretore – che _ non avrebbe svolto alcun ruolo nella firma del contratto di locazione della _ con _ e _. Per di più, ha soggiunto il Pretore, il decreto esecutivo è una decisione emanata su semplice istanza di parte. In caso di mancata opposizione al precetto esecutivo civile, il creditore può ottenere direttamente tale decreto, senza che sia più possibile esaminare la validità dell'obbligazione richiesta. Il contraddittorio in sede di rilascio del decreto esecutivo si prospetta solo in casi estremi, ove la prestazione litigiosa violi l'ordine pubblico, e nessun appello contro il decreto stesso. Pur trattandosi di una decisione emanata da un'autorità giudiziaria – ha continuato il primo giudice – il convenuto in una procedura di emissione del decreto esecutivo non ha alcuna possibilità di far verificare la legittimità delle decisione, salvo introdurre ricorso di diritto pubblico al Tribunale federale, rimedio che però è molto limitato. In circostanze del genere il giudice penale deve poter esaminare con pieno potere cognitivo la fondatezza del decreto esecutivo, almeno per quanto riguarda le formalità di procedura, che nessun tribunale può altrimenti controllare.
Ciò posto, il Pretore si è domandato se rispondeva al vero l'affermazione dell'imputato, secondo cui nel plico intimatogli da _ non figurava il precetto esecutivo civile. Egli ha ritenuto di sì, facendo propria la testimonianza di _, la quale aveva dichiarato di aver assistito all'apertura della busta e di avere constatato che questa conteneva solo copia di una lettera 29 ottobre 1999 indirizzata a un certo _. Pur definendo inusitato che l'imputato non abbia reagito di fronte a uno scritto che menzionava allegati inesistenti, il Pretore ha ritenuto tale passività non decisiva, l'incarto sul contenzioso tra la _ e _ e _ annoverando molta corrispondenza, sicché l'imputato non necessariamente doveva notare l'anomalia. D'altro canto, sempre secondo il Pretore, nello scritto _ non si era guardato bene dal precisare in che consistesse “l'atto del 2 novembre 1999” (ovvero il precetto esecutivo civile). Da qui l'assoluzione, non avendo l'imputato avuto la possibilità di far valere davanti al giudice civile la mancata intimazione del precetto, all'origine del decreto esecutivo, in cui figurava la comminatoria ex art. 292 CP.
3.
Il ricorrente censura una violazione del diritto federale, adducendo che il Pretore non poteva riesaminare la regolarità della procedura esecutiva. Doveva semplicemente limitarsi a constatare che l'accusato non aveva dato seguito all'ingiunzione contenuta nel decreto esecutivo, il giudice penale potendo se mai verificare la legalità di atti amministrativi, ma non di decisioni civili. Secondo il ricorrente, l'imputato non poteva invocare l'irregolarità del decreto esecutivo sostenendo di non avere ricevuto il precetto. Per far valere una doglianza del genere egli avrebbe dovuto far capo al rimedio straordinario del ricorso di diritto pubblico, oppure alle vie civili ordinarie.
a)
Chiunque non ottempera sotto comminatoria di pena a una decisione a lui intimata da un'autorità competente o un funzionario competente, è punito con l'arresto o con la multa (art. 292 CP). In DTF 121 IV 29 il Tribunale federale ha ricordato che, nell'ambito di un procedimento penale per disobbedienza a decisione dell'autorità, il giudice penale può riesaminare liberamente la legittimità di una decisione amministrativa se contro di essa non era dato ricorso a un tribunale. Se il ricorso era possibile, ma l'interessato non se n'era avvalso, oppure se il ricorso è ancora pendente, il giudice penale non può scostarsi dalla decisione amministrava se non in caso di manifesta violazione della legge o di abuso del potere di apprezzamento (cfr. anche DTF 124 IV 297 consid. 4a). Il giudice penale non può scostarsi nemmeno dal giudizio del tribunale amministrativo. Il Tribunale federale ha lasciato indeciso, invece, il quesito di sapere in che misura il giudice penale sia legittimato a rivedere l'ingiunzione impartita da un giudice civile (DTF121 IV 32 consid. 2a).
b)
Nella fattispecie l'ingiunzione e la comminatoria dell'art. 292 CP figurano in un decreto esecutivo (art. 497 seg. CPC) emanato da un giudice civile. Trattandosi pur sempre di una decisione giudiziaria, di principio al giudice penale dovrebbe essere preclusa la facoltà di riesaminarne la legalità. Motivi di sicurezza giuridica ostano a un'indagine simile, che permetterebbe all'imputato di mettere in discussione decisioni con forza di giudicato. Non è compito del giudice penale sostituirsi all'autorità di ricorso cui l'interessato avrebbe dovuto rivolgersi secondo le norme di procedura applicabili (
Corboz
, Les principales infractions, Berna 1997, n. 16 ad art. 292 CP). Se non che, la regola per cui nel quadro dell'art. 292 CP il giudice penale è vincolato alla decisione cui si riferisce la comminatoria, sia essa amministrativa, civile o penale, non è senza limiti. Il giudice penale può scostarsi da una decisione (giudiziaria), in specie, ove quest'ultima sia affetta da vizi tanto gravi da comportarne la nullità. Tale è il caso, per esempio, quando l'autorità o il funzionario che hanno pronunciato l'ingiunzione non erano compenti (DTF 122 IV 340 consid. 2) oppure quando il destinatario del provvedimento non ha avuto la possibilità di esprimersi, come nel caso di misure provvisionali (
Corboz
, loc. cit.).
c)
Nella fattispecie il Pretore ha accertato che all'imputato non è stato intimato il precetto esecutivo civile, ciò che, in mancanza di opposizione, ha consentito poi l'emissione del decreto esecutivo. Egli ha creduto in sostanza all'accusato, il quale sosteneva che nella busta inviatagli dal figlio del precettante non si trovava alcun precetto. Il decreto esecutivo e la comminatoria dell'art. 292 CP sono stati emanati dal giudice, pertanto, senza che l'escusso potesse esprimersi. Ora, il decreto esecutivo è una decisione immediatamente eseguibile che si ottiene senza contraddittorio previo e senza nemmeno che alla controparte sia notificata l'istanza di emissione (
Cocchi/ Trezzini
, CPC massimato e commentato, Lugano 2000, n. 1 ad art. 497). Contro di esso non è dato alcun rimedio di diritto (art. 497 cpv. 2 CPP). In caso di mancata opposizione al precetto non è più possibile quindi esaminare la validità e il contenuto dell'obbligazione (
Cocchi/Trezzini
, op. cit., n. 2 ad art. 497). Solo l'opposizione dell'escusso può fermare il procedimento. Già si è visto però che, secondo gli accertamenti del Pretore, all'imputato tale facoltà è stata preclusa, non essendogli stato notificato il precetto. Giustamente il Pretore ha ritenuto perciò che il decreto esecutivo non vincolava il giudice penale. L'imputato si è trovato di fronte al fatto compiuto, in palese violazione del suo diritto d'essere sentito, che è un principio cardine dell'ordinamento giuridico. Nelle circostanze descritte il giudice penale poteva quindi considerare inefficace la comminatoria dell'art. 292 CP e non ha disatteso il diritto federale prosciogliendo l'imputato dall'accusa di disobbedienza a decisioni dell'autorità.
4.
Secondo il ricorrente, il Pretore sarebbe comunque caduto in arbitrio accertando che nel plico da egli inviato il 12 novembre 1999 non si trovasse il precetto litigioso. Come lo stesso ricorrente rileva a giusto titolo, però, in un ricorso per cassazione l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove possono essere rimessi in discussione solo se il giudizio impugnato denota gli estremi dell'arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c e 295 CPP). E arbitrario non significa opinabile o finanche erroneo, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio ed oggettivo o in urto palese con il sentimento di giustizia ed equità (DTF 126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4a). Nella fattispecie non si può dire che il Pretore sia trasceso in un arbitrario apprezzamento delle prove ritenendo che la testimonianza di _, la quale aveva assistito all'apertura della busta, escludesse l'esistenza del precetto esecutivo civile nel plico raccomandato. Il ricorrente critica anche le considerazioni del Pretore circa la mancata reazione dell'accusato di fronte al fatto che nel suo scritto si menzionavano allegati in realtà non prodotti. Anche al riguardo però l'opinione del primo giudice, foss'anche discutibile, non può definirsi arbitraria (sentenza, pag. 6). Del resto, quand'anche l'imputato avesse reagito, il precettante non ne avrebbe tratto vantaggio alcuno, poiché sarebbe stato costretto – sia come sia – a intimare nuovamente il precetto esecutivo civile. Anzi, avesse ripetuto l'intimazione del precetto si sarebbe evitato un procedimento penale inutile. Se ne conclude che il ricorso è destinato all'insuccesso anche su questo punto.
5.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza del ricorrente (art. 15 cpv. 1 CPP), che rifonderà a _, il quale ha presentato osservazioni con l'assistenza di un avvocato, un'indennità di fr. 800.– per ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,002 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8f6cd7b2-4bfd-5a79-b637-0ef70d609dfb
|
in fatto: A.
Con decisione del 14 febbraio 2003 del Dipartimento delle istituzioni, Sezione della circolazione, ha inflitto RI 1 una multa di fr. 540.– per avere circolato il 29 ottobre 2002 alle ore 21.14 con la sua Mercedes-Benz
“
500
”
(targata _) sull'autostrada _, in territorio di P_, a 158 km/h (già dedotto il margine di tolleranza) invece dei 120 km/h prescritti (velocità accertata con tachigrafo Multagraph
“
T21/222
” installato su un veicolo inseguitore della polizia
). Adito da RI 1, il presidente della Pretura penale ha annullato il 4 luglio 2003 tale decisione e ha trasmesso gli atti al Procuratore pubblico, ravvisando nell'infrazione una violazione grave della legge federale sulla circolazione stradale.
B.
Con decreto di accusa del 1° dicembre 2004 il sostituto Procuratore pubblico ha ritenuto RI 1 autore di infrazione grave alle norme della circolazione e ne ha proposto la condanna a una multa di fr. 1500.–. Al decreto di accusa RI 1 ha sollevato opposizione. Statuendo sull'opposizione, con sentenza del 22 marzo 2005 il presidente della Pretura penale ha confermato l'imputazione e la proposta di pena contenute nel decreto di accusa.
C.
Contro tale sentenza RI 1 ha introdotto il 24 marzo 2005 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta, presentata il 25 aprile successivo, egli chiede che la sentenza impugnata sia annullata, che il decreto di accusa sia dichiarato nullo e che gli atti siano rinviati al Procuratore pubblico perché emani un nuovo decreto di accusa. Il ricorso non ha formato oggetto di intimazione.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorrente rimprovera anzitutto al primo giudice di non avere dichiarato nullo il decreto di accusa benché questo riporti come data della presunta infrazione il 29 ottobre 2003, mentre il rapporto di polizia indicava il giorno del 29 ottobre 2002. Egli sostiene che, condannandolo per un'infrazione avvenuta in un momento diverso da quello prospettato nel decreto di accusa e fondandosi su una fattispecie diversa da quella oggetto dell'imputazione (senza consentirgli di esprimersi previamente sul decreto di accusa adeguatamente e tempestivamente completato o modificato), il presidente della Pretura penale ha violato il principio accusatorio. In realtà il primo giudice avrebbe dovuto, a suo avviso, rinviare gli atti al Procuratore pubblico perché presentasse un nuovo decreto di accusa (art. 202 CPP).
2.
Il presidente della Pretura penale ha respinto l'eccezione, rettificando egli medesimo la data indicata nel decreto di accusa con l'argomento che la correzione non era tale da ledere i diritti della difesa (verbale del dibattimento, pag. 2). L'opinione è corretta. Certo, secondo l'art. 250 cpv. 4 CPP – applicabile per analogia anche ai procedimenti che sfociano in decreti di accusa (CCRP, sentenze del 7 luglio 2004 in re F., consid. 7, e del 25 novembre 2002 in re F., consid. 4) – se nel corso del dibattimento l'accusato risulta colpevole di un altro reato non contemplato nell'atto di accusa, il giudice può prescindere dal rimando al Procuratore pubblico solo
ov
e l'accusato vi consenta (art. 250 cpv. 3 CPP). Lo scopo della norma, nondimeno, è manifestamente quello di far sì che l'accusato possa adeguatamente difendersi dalla nuova imputazione. In concreto non si è formulata alcuna nuova imputazione. Il primo giudice si è limitato limitato a rettificare una data nel decreto di accusa (2002 anziché 2003) riconducibile a svista manifesta e sulla quale l'accusato non poteva avere dubbi, il decreto medesimo richiamando espressamente gli atti formanti l'incarto n. 2003.5097 (che riguarda unicamente il preteso eccesso di velocità avvenuto a P_ il 29 ottobre 2002). Censurare una limitazione dei diritti della difesa in circostanze del genere non è serio. Al proposito il ricorso è destinato all'insuccesso.
3.
Il ricorrente si duole poi del fatto che in occasione del suo interrogatorio, avvenuto in via rogatoriale, non gli siano state prospettate le avvertenze degli art. 117 e 118 CPP, bensì quelle previste dal Codice di procedura penale del Canton N_. Eppure – egli sottolinea – il sostituto Procuratore pubblico aveva chiaramente prescritto nella commissione rogatoria che i citati articoli fossero letti e che la formalità fosse attestata a verbale (act. C/17). La doglianza non ha pregio. Intanto gli art. 117 e 118 CPP si applicano solo a persone sentite nel Ticino (CCRP, sentenza del 23 maggio 2003 in re A., consid. 1). Oltre a ciò, dal verbale del 25 novembre 2004 risulta che l'interrogante ha richiamato previamente all'accusato il § 104 cpv. 2 del Codice di procedura penale del Canton N_, analogo all'art. 118 cpv. 2 CPP (diritto di essere informato della facoltà di non rispondere e di essere assistito da un difensore), il solo invocato davanti al primo giudice. E l'accusato era provvisto di un legale nella persona dell'avv. _ S_ di E_ (il quale aveva chiesto più volte il rinvio dell'audizione del suo cliente). Per di più, il ricorrente nemmeno pretende che il verbale in questione lo abbia in qualche modo pregiudicato. Anzi, il primo giudice si è riferito a quel protocollo proprio per tenere conto del fatto che egli affermava di avere circolato con il regolatore di velocità inserito (sentenza, pag. 3 nel mezzo con riferimento alla rogatoria, risposta n. 6). Anche su questo punto il ricorso manca perciò di consistenza.
4.
Infine il ricorrente si duole che il rapporto di contravvenzione intimatogli l'8 novembre 2002 non sia firmato dall'agente responsabile (incarto della sezione delle circolazione, act. C/1). La critica cade nel vuoto. Come ha rilevato il presidente della Pretura penale, la procedura di contravvenzione avviata dal Dipartimento delle istituzioni, Sezione delle circolazione, è ormai superata, essendo stato sostituita dal procedimento penale aperto dal Procuratore pubblico. Con l'argomentazione del primo giudice il ricorrente non si confronta, limitandosi a esprimere sconcerto perché
“
il formulario prevede una firma e un timbro; uno di questi requisiti manca
”
(memoriale, pag. 5). Invano si cercherebbe di capire tuttavia perché un difetto di forma – foss'anche essenziale – ravvisabile in un procedimento ormai caduco dovrebbe influire sull'esito del giudizio. Insufficientemente motivato, al proposito il ricorso si dimostra finanche inammissibile.
5.
Gli oneri del giudizio odierno seguono il principio della soccombenza (art. 15 cpv. 1 combinato con l'art. 9 cpv. 1 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,005 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
8ff4afef-9e9e-5ac1-b472-c28fe780ea17
|
in fatto ed in diritto
che a seguito della querela 1/2.10.2012 sporta da _ nei confronti di IS 1 per le ipotesi di reato di ingiuria e minaccia
in relazione ai fatti accaduti l’8.08.2012, a _, presso una palestra, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale (inc. MP _) sfociato nel decreto di non luogo a procedere 20.06.2013 (NLP _) emanato dal procuratore pubblico Francesca Lanz;
che avverso il suddetto decreto non è stato presentato reclamo a questa Corte giusta i combinati art. 310 cpv. 2 e 322 cpv. 2 CPP: il medesimo è dunque passato in giudicato;
che con la presente istanza IS 1 chiede, in applicazione dell’art. 62 cpv. 4 LOG, di poter accedere al suddetto incarto penale e di poter ottenere copia dei verbali d’interrogatorio di _, di _ e di _;
che a sostegno della sua richiesta precisa che da quanto emerge dal decreto di non luogo a procedere le dichiarazioni di _ e di _ sarebbero diametralmente opposte rispetto a quelle di _, che era presente con lui all’incontro dell’8.08.2012 a _, e che sarebbe importante poter verificare il contenuto delle citate dichiarazioni, poiché una dichiarazione scritta di _ sarebbe stata utilizzata nell’ambito della causa civile di cui all’incarto _, pendente presso la Pretura di _, riguardante il qui istante e la _, con sede a _, di cui _ è AU, producendo parimenti copia del NLP in questione (doc. 1);
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare _ e il procuratore pubblico, essendo il qui istante stato parte (in qualità di imputato) al procedimento penale di cui all’incarto MP _, nel frattempo archiviato;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di imputato) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, degli atti istruttori dell’incarto MP _ sfociato nel NLP _, poiché il procedimento penale nel frattempo archiviato l’ha interessato personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che egli necessiterebbe in particolare dei verbali d’interrogatorio dell’incarto penale MP _ nell’ambito di un procedimento civile pendente presso la Pretura di _ che lo vede opposto alla _, di cui _ è AU (cfr. estratto RC del Cantone Ticino), già accusatore privato nel predetto procedimento penale nel frattempo archiviato;
che appare dunque che sarebbe data una connessione tra il procedimento penale sfociato nel NLP _ e quello civile pendente presso la Pretura di _, circostanza che emerge anche dal rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 5.06.2013 (p. 2 e 3, inc. MP _);
che in siffatte circostanze la denuncia/querela penale 1/2.10.2012, il conferimento di mandato alla Polizia – Fase investigativa del 12.10.2012, l’email del 19.04.2013, il conferimento di mandato alla Polizia – Fase istruttoria del 22.04.2013 e il rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria del 5.06.2013 (in cui sono contenuti i verbali richiesti) dell’incarto MP _, vengono trasmessi, in copia, al qui istante unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stato parte al procedimento penale nel frattempo archiviato.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
9053bc90-f165-5c4c-b534-41a50a35f99e
|
in fatto: A.
Con sentenza del 24 gennaio 2002 il presidente della Corte delle assise correzionali di Lugano ha riconosciuto _ autore colpevole dei reati di truffa e di falsità in documenti. Egli ha accertato - in estrema sintesi - che il 10 marzo 1999 il soggetto ha indotto _ a versargli la somma di fr. 40'000.--, per conto di un suo cliente _, con la promessa di reperire una garanzia bancaria a favore di quest'ultimo, sottacendole tuttavia di non essere intenzionato ad assolvere il mandato ricevuto e di non avere le conoscenze necessarie per adempierlo, confermandole di avere ottenuto, contrariamente al vero, una garanzia bancaria per la somma di fr. 12'000'000.-- e consegnandole falsi documenti bancari (due lettere con testo modificato e con l'intestazione _), allo scopo di dimostrarle la bontà dell'operazione e di confermare l'errore in cui l'ha indotta. In applicazione della pena, l'ha pertanto condannato a 3 mesi di detenzione, sospesi condizionalmente con un periodo di prova di due anni, e all'espulsione (effettiva) dal territorio svizzero per un periodo di 3 anni.
B.
Contro la sentenza di assise _ ha inoltrato il 28 gennaio 2002 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 7 marzo successivo, egli chiede, in via principale, il proscioglimento da ogni imputazione e, in via subordinata, la rinuncia alla pena accessoria dell'espulsione e, in ogni modo, la sua sospensione condizionale. Non sono state richieste osservazioni sul ricorso.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto, non destinato a rimettere in causa l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove (art. 288 cpv. 1 lett. a 295 CPP). Problemi del genere sono sindacabili unicamente se il giudizio impugnato denota gli estremi dell'arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c CPP). Arbitrario non significa tuttavia discutibile, contestabile o finanche erroneo, bensì manifestamente insostenibile o in aperto contrasto con gli atti (DTF 126 I 168 consid. 3a, 125 I 166 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4, 118 Ia 20 consid. 1b e rinvii). Per motivare una censura di arbitrio non basta quindi criticare la decisione impugnata, né contrapporle una propria versione dei fatti, per quanto preferibile essa appaia. Occorre invece spiegare per quale ragione l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sarebbero manifestamente insostenibili, si trovino in chiaro contrasto con gli atti o contraddicano in modo urtante il sentimento di giustizia e dell'equità (DTF 125 II 10 consid. 3a, 124 IV 86 consid. 2a, 123 I 1 consid. 4a, 122 I consid. 3a), rispettivamente poggino su una valutazione unilaterale dei mezzi di prova (DTF del 25 settembre 2000 in re S., consid. 3b con riferimenti a DTF inedita del 25 gennaio 2000 in re S., consid. 3b). Seconda costante giurisprudenza, inoltre, una sentenza incorre nell'annullamento quando è arbitraria non solo nella motivazione, ma anche nel risultato (DTF 125 II 129 consid. 5b, 124 II 166 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4a, 122 I 253 consid. 6c con rinvii).
2.
Ai fini degli accertamenti sulla colpevolezza dell'accusato, il presidente della Corte delle assise correzionali ha ricordato anzitutto che nell'autunno del 1998 questi ha fatto la conoscenza di _, titolare di una ditta individuale attiva nel settore immobiliare, come pure, grazie a quest'ultima, di _, persona di riferimento della _ SA, attiva tra l'altro nel campo dell'assistenza in operazioni di finanziamenti per conto di terzi (sentenza, pag. 4). Il ricorrente - sempre stando alla sentenza impugnata - avrebbe manifestato un interesse personale ad acquistare, per il tramite delle due donne, e in particolare di _, due proprietà immobiliari in Ticino per un prezzo complessivo di circa fr. 13'000'000.--. Uno dei due immobili avrebbe dovuto essere intestato a una società già esistente a _ _ pagando fr. 3'600'000.--, ovvero a una persona giuridica messa appositamente a disposizione dell'accusato, impossibilitato all'acquisto personale, mediante un finanziamento messo a disposizione della Banca _ a sua volta garantito da un istituto di credito scozzese (sentenza, pag. 5 con riferimento ad act. 1/1). L'accusato, in realtà, non aveva però alcuna intenzione di acquistare gli immobili e questo nonostante quanto da lui sottoscritto nella convenzione del 7 gennaio 1999 conclusa con _, agente per sé e per conto della _ e della _, nella quale egli confermava che sia la somma di fr. 3'900'000.-- relativa al prezzo del primo immobile, sia la somma di fr. 9'000'000.-- relativo al prezzo del secondo immobile erano state emesse lo stesso giorno, a mezzo di garanzia bancaria irrevocabile con scadenza 1 anno + 1 giorno bancario (act. 1/3). Nessuna delle pretese garanzie era stata infatti accordata (sentenza, pag. 7). Scopo di questa messa in scena era in realtà, secondo la prima Corte, quello di far credere alle venditrici, fin tanto non fosse emersa la verità, di trovarsi di fronte una persona facoltosa, in grado di trattare con le banche transazioni immobiliari importanti e, quindi, di preparare il terreno in vista della conclusione di futuri e importanti affari con le stesse donne, cui aveva fatto credere di essere, in buona sostanza, un facoltoso imprenditore (sentenza, pag.7).
Il Presidente della Corte di assise ha quindi accertato che, approfittando della situazione, il ricorrente ha ricevuto il 10 marzo 1999 da _ la somma di fr. 40'000.-- per conto di un suo cliente, tale _ (act. 1/4 ove come mittente figura però tale _), quale anticipo sul compenso che gli sarebbe pertoccato per il reperimento di un finanziamento in favore dello stesso _, a mezzo di una garanzia bancaria, di US$ 10'000'000 da destinare ad operazioni immobiliari dello stesso mandante. In realtà, sempre secondo il primo giudice, anche in questo caso l'accusato, che a torto ha preteso di avere percepito tale somma soltanto come anticipo delle spese per l'esecuzione di un mandato assunto senza garanzia, ossia con il solo impegno di darsi da fare per trovare una persona eventualmente disponibile al finanziamento (altrimenti non avrebbero avuto senso le azioni messe in atto successivamente), perseguiva intenti diversi, come dimostrato dalle false attestazioni annesse alla denuncia penale sporta da _ (act. 1, annessi 5 e 6). Erano infatti un falso sia la lettera del 22 marzo 1999 (giunta nelle mani di _ /_) con la quale la _, ha confermato all'accusato l'impegno della banca di concedere il 2 aprile successivo irrevocabilmente una garanzia bancaria di fr. 10'000'000.-- in favore di _ facendola pervenire alla _, come ad accordi, come pure a mettere a disposizione per il 24 marzo l'altra garanzia di fr. 3'900'000.-- (act. 1/6), sia la lettera del 2 giugno 1999 (giunta anche essa nelle mani di _), con la quale _ ha confermato all'accusato l'emissione di una garanzia bancaria in favore di _ di US$ 10'000'000, come pure l'avvenuto bonifico sul _ della somma di US$ 100'000.000.-- (esiste anche un esemplare senza tale riferimento).
3.
Il ricorrente critica la sentenza di assise anzitutto nella misura in cui la prima Corte non gli ha creduto quando ha preteso di avere agito, in occasione delle trattative per l'acquisto dei due immobili, soltanto come prestanome di _, sua amante, intenzionata lei medesima ad acquistare dette proprietà. E' in questo contesto che egli ha quindi sottoscritto, senza preoccuparsi più di quel tanto, la convenzione del 7 gennaio 1999. Prova ne è, egli soggiunge, che uno dei due immobili, appartenente a una cliente di _, è in seguito stato venduto a una terza persona proprio da _. Nemmeno può essere condivisa, a mente del ricorrente, l'affermazione della prima Corte, secondo cui un acquisto da parte sua come fiduciario di terzi, si sarebbe presentato difficile per problemi legati alla LAFE, trattandosi a ben vedere di stabili adibiti ad uffici. Si trattava perciò di un'operazione consentita dalla LAFE. Se non che, la natura appellatoria delle obiezioni, peraltro al limite del pretesto, è manifesta dato che risulta evidente che il ricorrente si è limitato a prospettare una versione dei fatti diversa, a lui apparentemente favorevole, senza sostanziare alcun arbitrio e, in particolare, senza dimostrare la manifesta insostenibilità della conclusione della prima Corte fondata sulla convenzione 7 gennaio 1999, ove l'accusato ha sottoscritto l'accordo non come fiduciario, ma in prima persona; sulla inverosimiglianza della giustificazione addotta al dibattimento, ossia di aver firmato il documento al buio senza nemmeno leggerlo con attenzione e trascurando perfino il dettaglio concernente l'emissione della garanzia; sulla constatazione che egli non ha mai preteso di essere stato nominato rappresentante a titolo fiduciario della _, ossia della società che per evidenti ragioni doveva apparire come intestataria dell'immobile che doveva essere ceduto al prezzo di fr. 3'600'000.-- (sentenza, pag. 6). A ben vedere, il ricorrente insorge anche contro il rimprovero mossogli dal primo giudice di avere già nel dicembre del 1998 promesso una garanzia da parte di un istituto bancario scozzese per circa fr. 4'000'000.-, asseverando che una circostanza del genere, peraltro nemmeno prospettata dal Procuratore pubblico, non trova conforto negli atti. Ora, a prescindere dal fatto che non trae alcuna conclusione dalla censura, egli per finire concorda con l'accertamento del primo giudice - ed è ciò che conta - che le operazioni immobiliari prospettate non sono andate in porto, non essendo stata versata alcuna garanzia bancaria al 7 gennaio e non esistendo nemmeno la dichiarata disponibilità in tal senso, anche se solo per fr. 3'600'00.--, da parte della banca scozzese (ricorso, pag. 4-5). Non si intravede perciò la ragione della doglianza.
4.
Secondo il ricorrente, il primo giudice sarebbe di nuovo trasceso nell'arbitrio stabilendo che mediante l'operazione immobiliare caduta nel vuoto egli si sarebbe costituito agli occhi delle operatrici l'immagine di un importante e facoltoso uomo di affari, almeno nella fase in cui le trattative rimanevano in essere e vi era l'aspettativa della disponibilità finanziaria. Basti rilevare, egli opina, che _ aveva fretta di vendere lo stabile, come risulta dallo scritto del 4 dicembre 1998 dell'avv. _ e che, in ogni modo, la transazione immobiliare doveva essere conclusa entro la fine di gennaio del 1999. Tenendo conto del contesto della convenzione del 7 gennaio 1999, che dava per acquisita la messa a disposizione della somma di fr. 12'000'000.-- a mezzo di garanzia bancaria e che conteneva l'impegno di _ di regolarizzare i pagamenti entro la fine del mese come pure i contratti societari, è lecito ritenere, assevera sempre il ricorrente, che quest'ultima, rispettivamente il suo rappresentante (avvocato) abbiano appreso nel corso dello stesso mese o nel febbraio successivo che la garanzia bancaria non è in realtà mai esistita. Sia gli atti del processo, sia la sentenza di assise, sempre secondo il ricorrente, sono però silenti su quanto avvenuto tra il 7 gennaio 1999, data in cui egli ha confermato l'esistenza della garanzia, e il 10 marzo 1999, data in cui egli ha ricevuto da _ la somma di fr. 40'000.-- per il reperimento di un'ulteriore garanzia. In una situazione del genere, soggiunge il ricorrente, la sua credibilità non poteva che essere scemata agli occhi delle venditrici, al punto da non potere più apparire, contrariamente a quanto accertato dal primo giudice, come quel uomo di affari facoltoso evidenziato nella sentenza di assise.
Anche se non banale, l'argomento manca di pregio. Certo, la mancata prestazione della garanzia entro i tempi precisati nello scritto del 4 dicembre 1998 dell'avv. _ e nella convenzione del 7 gennaio 1999 non costituiva un segnale positivo. Tale circostanza non appare però ancora decisiva alla luce dei (vincolanti) accertamenti della sentenza impugnata, da cui risulta che agli occhi della vittima le affermazioni del ricorrente - rese evidenti in particolare nella convenzione del 7 gennaio 1999 - sulla sua potenziale disponibilità di ingenti importi da investire erano comunque credibili, tanto da trattenerla dall'effettuare ulteriori verifiche sulla sua consistenza patrimoniale e sulla sua possibilità di avere accesso a importanti crediti bancari (sentenza, pag. 7). A rafforzare la credibilità dell'accusato potevano d'altro canto anche contribuire gli scritti dell'avv. _ (act. 1, pag. 2), ossia del legale, stando alla denuncia penale, di _ (cfr. annessi 1 e 2 ). A giusta ragione il presidente della Corte delle assise correzionali non ha quindi conferito, in mancanza di elementi più concludenti (ad esempio una comunicazione della banca che smascherava l'accusato), peso determinante al fatto che le prospettate transazioni immobiliari non siano state concluse entro i termini stabiliti dalla convenzione sulla cui possibile decadenza - almeno stando agli atti del processo - la stessa vittima peraltro nemmeno ha insistito. Anzi, è verosimile che almeno per uno degli immobili le trattative erano ancora seriamente aperte (da qui il mantenimento del rapporto di fiducia), altrimenti non si spiegherebbe perché nell'annesso n. 6 alla denuncia penale (si trattava però di un falso) figuri anche la conferma dell'altra garanzia di fr. 3'900'000.-- (sentenza, pag. 7 e 9). Ne discende che non si può far carico al primo giudice di avere abusato del proprio potere di apprezzamento per avere accertato che il 10 marzo1999, data della consegna al ricorrente della somma di fr. 40'000.-- affinché questi reperisse un finanziamento a mezzo di garanzia bancaria, _ fosse sempre realmente convinta di trattare con una persona che poteva concretamente aiutarla nella soluzione del suo problema, nonostante il mancato acquisto degli immobili oggetto della convenzione del 7 gennaio 1999, sul quale nessuno, prima del 10 marzo 1999, ha peraltro manifestato disappunto.
5.
Il ricorrente ravvisa gli estremi dell'arbitrio anche nella conclusione del primo giudice, secondo cui non è vero che egli avrebbe percepito la somma di fr. 40'000.-- per il motivo da lui sempre addotto, ossia come anticipato rimborso delle spese che egli avrebbe sostenuto nella ricerca tra i suoi conoscenti di persone disposte a prendere in considerazione (senza alcuna garanzia di risultato) l'eventualità di concedere il richiesto finanziamento a _, ma per la ragione indicata dalla vittima, ossia quale anticipo sul non precisato compenso per il reperimento di un finanziamento in favore dello stesso _, a mezzo di una garanzia bancaria di US$ 10'00'000 da destinare in operazioni finanziarie. Nell'affrontare l'argomento, il ricorrente perde però di vista il potere di cognizione della Corte di cassazione e di revisione penale chiamata a statuire su un ricorso fondato sul divieto dell'arbitrio. La natura appellatoria e finanche pretestuosa dell'esposto, in cui vengono peraltro accomunate questioni di fatto e di diritto, risulta infatti palese, il ricorrente limitandosi in buona sostanza a contrapporre agli accertamenti e al conseguente ragionamento del primo giudice il proprio personale punto di vista sia sulla natura e portata dell'accordo venuto in essere con la vittima, sia sullo svolgimento dei fatti capitati successivamente, con particolare riferimento all'equivoco che sarebbe stato causato da tale _ con l'invio degli annessi n. 5. e 6 alla denuncia penale. Ciò che non è però consentito in un ricorso per cassazione (v. consid. 1). Va comunque rilevato che le argomentazioni e le riflessioni (sentenza, consid. 9) che hanno spinto il presidente della Corte delle assise correzionali a preferire la versione della vittima sullo scopo del versamento della somma di fr. 40'000.--, come pure a non credere al ricorrente di essere a sua volta stato vittima di un pasticcio combinato da _, come pure a ritenere che gli allegati 5 e 6 fossero dei falsi, perché la _ non ha mai inteso concedere alcuna garanzia ad _ né ad altri, sarebbero resistite perfino a un libero esame.
6.
Assevera il ricorrente che gli scritti annessi alla denuncia penale attestanti la concessione della garanzia a favore di _ non sono comunque causali, dato che essi sono successivi al versamento della somma di fr. 40'000.--. Ora, però, nemmeno la sentenza impugnata si è spinta sino a tanto. Anzi, il primo giudice si è chiesto se il ricorrente aveva ancora motivo di esibire i noti scritti (falsi) rischiando le inevitabili conseguenze del caso se avesse realmente agito in malafede, apparendo perciò più logico che egli si dileguasse con la somma. La stessa Corte ha però in seguito rilevato che circa due settimane dopo avere esibito la prima falsa assicurazione di _, l'accusato è riuscito a farsi consegnare da _ ulteriori fr. 100'000.-- (non oggetto di accusa; cfr. act. 12 da cui risulta che al riguardo il Procuratore pubblico ha persino emesso un decreto di non luogo a procedere) in circostanze non chiare, poi svaniti senza che il ricorrente sia riuscito a dimostrarne la destinazione. Egli non ha perciò escluso che il ricorrente si proponesse di ulteriormente ingannare la vittima (sentenza, 12). Perché tale riflessione sarebbe arbitraria, il ricorrente non lo dimostra, limitandosi nuovamente a criticare la sentenza di assise con argomenti appellatori. La questione non ha comunque da essere vagliata oltre. Più avanti il primo giudice ha infatti definitivamente chiarito il problema, stabilendo che l'accusato ha fatto uso dei documenti falsi anzitutto per dimostrare alla vittima di avere adempiuto al proprio incarico, ossia - in altre parole - per far si che essa non si accorgesse dell'inganno (sentenza, pag. 15). Ha quindi agito in questo modo perché non fosse subito smascherato e - senza che ciò gli sia stato prospettato nell'atto di accusa e tantomeno nel dispositivo di condanna - perché potesse di nuovo contare sulla fiducia della vittima anche per affari futuri, come quello relativo al versamento di fr. 100'000.-- (sentenza, pag. 15). La fattispecie è pertanto chiara: usando i noti falsi, il ricorrente si proponeva in primo luogo che la vittima continuasse a credere che egli stava agendo correttamente, ovvero mirava a mantenerla nell'errore (sentenza, pag. 15). Non vi è perciò serio motivo per vagliare ulteriormente il ricorso su questo punto fondato su argomenti per lo più pretestuosi.
7.
Il ricorrente rimprovera al primo giudice di avere violato il diritto federale, segnatamente l'art. 146 n. 1 CP, condannandolo per truffa. Nel motivare la critica egli si diparte però da premesse che la Corte di cassazione e di revisione penale non ha ritenuto fondate al momento di vagliare le censure che precedono, ossia dà per scontato che ben prima del 10 marzo 1999 la vittima aveva sufficienti motivi per diffidare e quindi per non consegnargli la somma di fr. 40'000.--. Formulato in questo modo il ricorso è perciò inammissibile, in quanto fondato, come visto, su fatti diversi da quelli accertati nella sentenza di assise, alle cui pertinenti considerazioni per il rimanente si rinvia (sentenza, pag. 13 e 14). _ è stata infatti vittima di uno scolastico caso di truffa. A un giudizio di inammissibilità è pure destinata la censura rivolta dal ricorrente alla condanna per falsità in documenti. Anche in questo caso il gravame si fonda su premesse che non trovano riscontro nella sentenza di assise, ove i termini del problema sono stati esposti e trattati correttamente (sentenza, pag. 15).
8.
Il ricorrente si duole dell'entità della pena irrogatagli, facendo carico al primo giudice di averlo condannato, senza spiegarne le ragioni, alla medesima pena prospettata nel decreto di accusa nonostante il parziale proscioglimento dall'imputazione di falsità in documenti, come pure di non avere considerato la negligenza della vittima, che avrebbe facilitato la commissione dei reati. A torto. Il primo giudice non ha mancato di rilevare che il ricorrente è stato in parte prosciolto dall'imputazione ricordata nel ricorso. Nemmeno ha trascurato di spiegare perché, ciononostante, egli non ha ridotto la pena proposta dal Procuratore pubblico. Ha infatti ritenuto decisivo che l'accusato abbia agito a scopo di lucro, senza farsi scrupolo di arrecare danno alla vittima, di cui ha carpito la fiducia e ha ricordato anche i suoi trascorsi penali, segnatamente le diverse condanne subite per reati patrimoniali, in particolare per emissione di assegni a vuoto, oltre che per ricettazione e truffa (cfr. anche sentenza, pag. 4 con riferimento al casellario giudiziario in atti). Ha anche ricordato il suo comportamento preprocessuale e processuale, volto alla negazione di ogni addebito (sentenza, pag. 16). Irriducibile fino all'ultimo, il ricorrente non poteva perciò attendersi ulteriore comprensione da parte del primo giudice, cui non può di certo essere rimproverata eccessiva severità. La sentenza resiste perciò anche su questo punto alla critica, proposta invero con leggerezza, in particolare nella misura in cui il ricorrente pretende anche, caso mai fossero condivise le obiezioni che precedono, la conseguente riduzione del periodo dell'espulsione e di conseguenza, visto che non e possibile scendere sotto il limite di tre anni (art. 55 cpv. 1 CP), la sua non pronuncia.
9.
Infine, il ricorrente insorge anche contro la mancata concessione della sospensione condizionale del provvedimento dell'espulsione dal territorio svizzero per tre anni pronunciata nei suoi confronti, rimproverando al primo giudice di non avere spiegato perché, accordata la sospensione condizionale della pena principale, non ha deciso altrettanto per l'espulsione. La critica non è seria, giacché il primo giudice ha negato tale beneficio dopo avere stabilito (a giusta ragione) che il territorio svizzero potrebbe anche in futuro costituire terreno fertile per la commissione di eventuali reati patrimoniali (sentenza, pag. 16). Con ciò risulta evidente che egli ha formulato prognosi negativa sulla futura condotta dell'accusato con riferimento proprio alla sua eventuale permanenza in Svizzera (e non nel suo paese di origine), ciò che fa apparire la sua decisione conforme al diritto federale (DTF 114 IV 97).
10.
Da quanto precede, discende che nella misura in cui è ammissibile, il ricorso deve essere disatteso siccome manifestamente infondato (art. 291 cpv. 1 CPP). Gli oneri processuali seguono la soccombenza, ossia sono posti a carico del ricorrente (art. 9 cpv. 1 e 15 cpv. 1 CPP).
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,002 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
90a1da3f-e32a-5ee7-b3a6-6fb0579d691a
|
in fatto: A.
Con decreto di accusa del 15 luglio 2004 il Procuratore pubblico ha riconosciuto RI 1 autore colpevole di guida in stato di ebrietà e di infrazione alla norme della circolazione per avere, il 29 agosto 2004, condotto a una VW
“
Golf
”
targata _ con un tasso alcolemico compreso fra 1.8 e il 2.11 g per mille, oltre che sotto l'influsso di stupefacenti. In applicazione della pena, egli ne ha proposto la condanna a 30 giorni di detenzione sospesi condizionalmente per tre anni e a una multa di fr. 1200.–. Al decreto di accusa RI 1 ha sollevato opposizione. Statuendo sull'opposizione, con sentenza del 15 marzo 2005 il presidente della Pretura penale ha confermato l'imputazione e la proposta di pena contenute nel decreto di accusa.
B.
Contro la sentenza appena citata RI 1 ha introdotto il 16 marzo 2005 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta, del 18 aprile successivo, egli contesta sostanzialemente di avere guidato in stato di ebrietà. Il ricorso non ha formato oggetto di intimazione.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288
lett. a e b CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono sindacabili unicamente qualora la sentenza impugnata denoti estremi di arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì apertamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 173 consid. 3.1 pag. 178, 128 I 273 consid. 2.1 pag. 275).
2.
In concreto il presidente della Pretura penale ha accertato che alla guida della VW
“
Golf
”
la sera del 28 agosto 2004, sotto l'influsso di alcol e stupefacenti, era l'imputato, come aveva dichiarato alla polizia la moglie di lui e come l'interessato medesimo aveva confermato in un primo tempo. Egli ha poi spiegato diffusamente perché non riteneva credibile la successiva versione del prevenuto, secondo cui alla guida dell'auto era il fratello, giunto a Lugano con lui e la moglie il giorno prima (sentenza, pag. 3 a 5). Nel suo memoriale il ricorrente non invoca arbitrio di sorta. Ribadisce apoditticamente, in una frase, di non avere condotto la citata automobile in stato di ebrietà, ma non illustra perché il contrario accertamento del Pretore sarebbe apertamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre. Anzi, con la motivazione del primo giudice egli nemmeno si confronta. Ne segue che, manifestamente carente di requisiti formali, il ricorso sfugge a un esame di merito.
3.
Gli oneri processuali seguirebbero la soccombenza (art. 15 cpv. 1 e 9 cpv. 2 CPP). Dato nondimeno che il ricorrente, sprovvisto di formazione giuridica, ha proceduto senza l'ausilio del patrocinatore che lo aveva assistito davanti alla Pretura penale, si prescinde – eccezionalmente – dal prelevare tasse o spese.
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,005 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
90e9c7be-b414-53d1-89aa-4a71c0224daf
|
in fatto ed in diritto
che, visti il rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 19.07.2006 (inc. MP _) e gli art. 207/208 CPP TI, il 9.10.2006
l’allora procuratore pubblico Marco Villa ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale IS 1 siccome ritenuto colpevole di tentata truffa "
per avere, a _ nel luglio 2006, per procacciare a sé o ad altri un indebito profitto, tentato di ingannare con astuzia i responsabili della Compagnia di _ _ di _, denunciando il furto di due catalizzatori del tubo di scappamento del valore di CHF 2'489.85 al fine di incassare quale risarcimento il controvalore della refurtiva, non riuscendo nell’intento perché la Polizia cantonale scoprì le sue intenzioni
" e di sviamento della giustizia "
per avere, a _ in data 05 luglio 2006, presso il Posto di Polizia cantonale, denunciato falsamente ai funzionari preposti il furto di due catalizzatori del tubo di scappamento applicati alla vettura _, come fatto avvenuto a _, _, il _, ben sapendo che il reato non era stato commesso, ma che i catalizzatori erano stati smontati da un garagista in _ da lui contattato a tale scopo
", ed ha proposto la sua condanna alla pena di settanta cinque giorni di detenzione, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni e al pagamento della tassa di giustizia e delle spese (DA _);
che il suddetto decreto è passato in giudicato il 20.11.2006;
che con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Ministero pubblico a questa Corte – IS 1 chiede la trasmissione del predetto decreto di accusa emanato a suo carico (doc. 1.a);
che, come esposto in entrata, il procuratore pubblico ha preavvisato favorevolmente la richiesta;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di accusato ai sensi del CPP TI) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – nonostante IS 1 abbia omesso di precisare i motivi della sua richiesta come esatto dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dalla giurisprudenza di questa Corte – appare pacifico il suo interesse giuridico legittimo ad ottenere la trasmissione, in copia, del decreto di accusa 9.10.2006 (DA _, passato in giudicato il 20.11.2006), poiché, come visto sopra, l’ha interessato personalmente in veste di accusato;
che di conseguenza il decreto di accusa richiesto viene trasmesso, in copia, all’istante unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stato parte al procedimento penale nel frattempo archiviato.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
|
90f391b1-5796-56a9-9982-d882f03bfee1
|
in fatto: A.
Con decreto d’accusa del 25 ottobre 2007 (DA 3553/2007) il procuratore pubblico ha riconosciuto RI 1, cittadino svizzero di origine egiziana, autore colpevole dei reati di contraffazione di merci e di violazione della Legge federale contro la concorrenza sleale (LCSl) e della Legge federale sui brevetti d’invenzione (LBI).
All’accusato è stato, in particolare, rimproverato di avere acquistato dalla società _ e, in seguito, importato e messo in commercio in Svizzera 12 confezioni di copie servili di diffusori di profumo per auto “Jean Albert” (per un totale di 114 flaconcini), protetti da brevetti regolarmente registrati dei quali è titolare _ e licenziataria esclusiva la società PC 1.
Più precisamente, egli ha venduto, nel mese di novembre 2006, al negozio _, gestito dal cittadino kosovaro _, 11 confezioni di diffusori, e ha poi consegnato, nel mese di marzo 2007, la restante confezione alla gerente di un distributore di benzina di _, a saldo di un rifornimento di benzina per un valore di Fr. 30.-- ca.
Il Procuratore pubblico, ritenendo che tale agire configurasse una contraffazione di merci (art. 155 cifra 1 CP), un illecito utilizzo di un brevetto d’invenzione (art. 81 LBI in relazione con l’art. 66 lit. a LBI), nonché un atto di concorrenza sleale (art. 23 LCSI in relazione con l’art. 3 lit. d LCSI), ha proposto la condanna di RI 1 ad una pena pecuniaria di Fr. 1’800.--, corrispondente a 20 aliquote da Fr. 90.--, pena sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, e ad una multa di Fr. 500.--.
Al decreto d’accusa RI 1 ha presentato opposizione.
B.
Statuendo sull’opposizione, con sentenza del 14 maggio 2008, il giudice della Pretura penale ha prosciolto l’imputato dall’accusa di contraffazione di merci per i fatti descritti nell’atto di accusa, rilevando che dal profilo oggettivo il reato di cui all’art. 155 cifra 1 CP non è adempiuto.
Egli ha, per contro, confermato gli altri capi d’imputazione, condannando l’imputato ad una pena pecuniaria di Fr. 900.--, corrispondente a 15 aliquote di Fr. 60.--, pena sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, ad una multa di Fr. 500.-- e al pagamento alla parte civile PC 1 dell’importo di Fr. 2'942,90 a titolo di risarcimento delle spese legali.
C.
Contro questa sentenza, RI 1 ha introdotto il 16 maggio 2008 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 24 giugno 2008, egli rimprovera al Giudice della pretura penale di avere erroneamente ammesso la realizzazione del presupposto del dolo ponendo a sostegno dell’accertamento secondo cui egli era stato avvertito dal signor _, sua persona di riferimento presso _, che non avrebbe potuto vendere i diffusori in questione in Svizzera un’errata verbalizzazione di quanto da egli detto al dibattimento.
Sostenendo, poi, anche un’errata applicazione dell’art. 81 LBI in relazione con l’art. 66 lit. a LBI e dell’art. 23 LCSI in relazione con l’art. 3 lit. d LCSI, il ricorrente postula, con l’annullamento della sentenza impugnata, la propria assoluzione.
In via subordinata, il ricorrente chiede di venire condannato unicamente ad una multa.
D.
Senza svolgere particolari osservazioni, con scritto 16 luglio 2008, il procuratore pubblico propone di respingere il ricorso.
|
Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288
lett. a e b CPP). L’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata, né contrapporle una propria versione dell’accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev’essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 173 consid. 3.1 pag. 178).
2.
RI 1 lamenta l’arbitrarietà dell’accertamento secondo cui egli sarebbe stato avvertito dal signor _ che i diffusori acquistati presso la _ non potevano essere venduti sul territorio svizzero (sentenza pretura penale, pag. 9).
2.1.
Il giudice di prime cure ha accertato che il ricorrente
“sapeva che vi era una questione relativa alla concorrenza e ai brevetti per quel che riguarda il commercio dei profumi per auto di questo genere o perlomeno doveva avere il dubbio che vi fossero problemi di questo tipo”
(sentenza consid 7e) sulla base di una serie di dichiarazioni dell’imputato contenute nel verbale del dibattimento (cfr consid 7b e 7c). Fra queste, la più significativa e rilevante è l’ammissione del ricorrente secondo cui
“il signor _, sua persona di riferimento presso la _ lo aveva avvertito che non avrebbe potuto vendere i prodotti in questione in Svizzera; al che gli aveva semplicemente risposto che i profumi sarebbero rimasti nel magazzino”
(sentenza consid. 7b pag. 9).
2.2.
Nel suo allegato, il ricorrente ha sostenuto di non avere mai dichiarato quanto verbalizzato al dibattimento circa la pretesa avvertenza fattagli da _ (ricorso pag. 5). Dopo avere ribadito di non avere mai detto di essere stato avvertito del divieto di commercializzazione in Svizzera dei diffusori, il ricorrente ha rilevato di non comprendere
“per quale motivo tale affermazione impropria abbia trovato spazio nel contesto di un verbale che, per il resto, in grandi linee, riflette correttamente quanto asserito dall’imputato in sede dibattimentale”
. Ipotizzando che ciò sia stato il frutto di un malinteso o di un’incomprensione, egli prosegue rilevando come tale verbalizzazione non corrispondente a quanto da lui dichiarato non possa essere usata come valido supporto probatorio per l’accertamento della sua consapevolezza dell’esistenza
“di un problema”
o di
“una questione relativa alla concorrenza e ai brevetti”
legati alla commercializzazione dei diffusori in questione.
2.3.
Riguardo la censura ricorsuale, si rileva, dapprima, come l’accertamento contestato sia stato determinante per il giudizio impugnato, in particolare per la conclusione secondo cui il ricorrente ha intenzionalmente violato le norme della LCSl e della LBI. E’ stato, in effetti, l’accertamento secondo cui il ricorrente è stato avvertito da _ circa il divieto di vendere i diffusori in Svizzera che ha vanificato la tesi sostenuta dall’imputato di avere agito in buona fede, o meglio di avere venduto tali diffusori pensando di poterlo legittimamente fare.
Gli altri elementi considerati dal giudice di prime cure (il fatto che RI 1 fosse commerciante di lunga data, che avesse registrato una propria invenzione e dunque sapesse dell’esistenza della LBI e dei suoi meccanismi, che sapesse della pubblicità dei diffusori “Jean Albert” su Rete 3iii e che gli stessi fossero in vendita in Posta, che non si fosse informato presso la _ se i profumi etichettati “Compagnia delle Indie” fossero autentici, cfr. sentenza pretura penale, pagg. 8-10) sono di natura evidentemente indiziaria e non bastano a fondare l’accertamento secondo cui egli sapesse del divieto di commercializzare i diffusori in Svizzera (o, perlomeno, avesse seriamente preso in considerazione tale eventualità).
Occorre, quindi, visto il tenore della censura e quanto appena indicato, verificare se il verbale del dibattimento può costituire valido mezzo di prova per l’accertamento che ha portato alla condanna del ricorrente.
Secondo l’art. 255 CPP, il verbale del dibattimento, oltre alle formalità di cui al cpv. 1, deve indicare sommariamente lo svolgimento del dibattimento, nonché l’osservanza di tutte le formalità essenziali; deve pure menzionare tutti gli atti scritti dei quali è stata data lettura, le istanze e conclusioni, le decisioni pronunciate e il dispositivo della sentenza; a richiesta di una parte, la verbalizzazione di quanto procede può avvenire dettagliatamente (cpv. 2).
Giusta il cpv. 3 di questo disposto, le risposte dell’accusato, così come quelle dei periti e dei testimoni, vanno riportate nel verbale soltanto nelle seguenti ipotesi:
- nei casi previsti dagli art. 246 e 248 CPP (lett. a),
- se queste persone sono interrogate per la prima volta al dibattimento, o modificano al dibattimento quanto hanno dichiarato in istruttoria (lett. b)
- d’ufficio o su richiesta delle parti (lett. c).
I materiali legislativi precisano che la ratio di quanto disposto alle lett. b e c del cpv. 3 dell’art. 255 CPP – applicabile anche ai dibattimenti celebrati davanti alla Pretura penale in forza del rinvio di cui all’art. 273 CPP - è quella di permettere all’autorità di ricorso di conoscere le deposizioni e dichiarazioni non contenute negli atti istruttori oppure in contrasto con gli stessi e quindi di permettere un giudizio che comprenda anche le emergenze dibattimentali (messaggio 3163 del 11 marzo 1987 concernente la revisione totale del CPP del 10 luglio 1941, ad art. 209 pag. 243).
Si osserva, dunque, come nell’ipotesi dell’art. 255 cpv. 3 CPP il verbale dibattimentale cambi la sua natura. Da semplice e sommaria registrazione dello svolgimento del dibattimento con lo scopo di garantire l’osservanza delle sue formalità (art. 255 cpv. 1 e 2), esso diventa un mezzo di prova con cui si procede ad un accertamento dibattimentale che va ad aggiungersi alle altre prove che costituiscono il materiale probatorio su cui il giudice deve fondare il proprio giudizio.
Come tale, esso si apparenta ad un verbale d’interrogatorio ai sensi dell’art. 114 CPP e, pertanto, il giudice, redigendolo, deve garantire all’imputato i diritti della difesa, in particolare il diritto di essere sentito giusta l’art. 29 cpv. 2 Cost. (cfr. DTF 124 V 390 e s.; SGGVP 1999 N. 75).
Proprio determinandosi su quest’aspetto, il Tribunale federale ha recentemente osservato che l’art. 275 CPP non impedisce ovviamente una verbalizzazione che si riferisca alla norma valida per i processi davanti ad una corte del tribunale penale cantonale, ritenuto che il verbale del dibattimento deve comunque assolvere i requisiti imposti dal rispetto del diritto di essere sentiti (art. 29 cpv. 2 Cost.) e dell’art. 6 n. 1 CEDU (cfr. DTF 6B_437/2008).
Nell’ipotesi dell’art 255 cpv. 3 CPP, per garantire il rispetto del diritto di essere sentito – che si traduce nel diritto di partecipare all’assunzione della prova
(
DTF non pubblicata
1. maggio 2009 [4A.153/2009], consid. 4.1. e riferimenti;
DTF non pubblicata
23 maggio 2008 [6B.570/2007] consid. 5.1.;
DTF non pubblicata del 13 aprile 2005 [
2P.20/2005
] consid. 3.2 e riferimenti;
DTF 131 I 153
consid. 3; DTF 126 I 15 consid. 2a/aa; DTF124 I 49 consid. 3a, DTF 124 I 241 consid. 2;
DTF 115 Ia 8 consid. 2b pag. 11 con citazioni) - il giudice deve rendere attento l’imputato del cambiamento di natura del verbale, avvisandolo che, da registrazione sommaria dello svolgimento del dibattimento, esso si trasforma in accertamento con valore di prova, potenzialmente rilevante per la decisione e deve dargli la possibilità di partecipare alla verbalizzazione delle sue dichiarazioni (cfr., per analogia, gli art. 114 e 115 CPP, in particolare 114 cpv. 2 secondo cui il verbale deve essere letto ad alta voce dal verbalizzante in modo che i presenti lo sentano ed è facoltà dell’esaminato di dettare egli stesso le risposte).
L’ avvertenza di cui s’è detto e il rispetto dei diritti dell’accusato devono emergere in modo chiaro e univoco dal verbale.
2.4.
Nel verbale del dibattimento 14 maggio 2008 sono riportate diverse affermazioni del ricorrente che modificano in modo sostanziale quanto scaturito dall’istruttoria pre-dibattimentale e che rientrano, dunque, nell’ipotesi dell’ art. 255 cpv. 3 lett. b CPP.
Tra queste, va annoverata anche quella censurata da RI 1: si tratta, infatti, di una dichiarazione che non si ritrova nel materiale probatorio raccolto dagli inquirenti e che, con esso, contrasta.
Una tale affermazione (peraltro determinante per l’esito del processo) doveva dunque essere verbalizzata nel rispetto del diritto di essere sentito, conformemente alle modalità menzionate al considerando precedente.
3.
Dal verbale in esame non risulta che l’imputato sia stato informato che le sue dichiarazioni venivano verbalizzate e, pertanto, nemmeno risulta che gli sia stato concesso di esercitare il suo diritto di essere sentito nella forma di una partecipazione all’assunzione della prova (cfr verbale dibattimento pag. 2-3 ).
Al contrario. Così come redatto, nella parte dedicata all’interrogatorio dell’imputato, esso appare essere la redazione unilaterale di un riassunto delle dichiarazioni da questi rese.
In queste condizioni, non si può che considerare che il verbale è stato redatto in violazione del diritto di essere sentito dell’imputato (art. 29 cpv. 2 Cost.): esso non può, pertanto, essere considerato un valido supporto probatorio per l’accertamento del fatto contestato.
4.
Se ne conclude che, senza che sia necessario pronunciarsi sulle altre censure sollevate dal ricorrente, il ricorso va accolto nel senso che, annullata la sentenza impugnata, gli atti vengono rinviati alla Pretura penale per nuovi accertamenti e per un nuovo giudizio.
5.
Gli oneri processuali sono posti a carico dello Stato che rifonderà al ricorrente fr. 800.- per ripetibili.
|
Criminal
|
Substantive Criminal
|
it
| 2,009 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_001
|
TI
|
Ticino
|
919dac61-d5d3-5fd6-ab4b-bd52701e4e01
|
in fatto ed in diritto
che a seguito della denuncia sporta il 17.05.2010 da _ nei confronti di _ per l’ipotesi di reato di falsità in documenti (art. 251 CP) in relazione alla produzione di un documento (un riconoscimento di debito datato 22.12.2008 redatto in lingua serbo-croata da cui risulta che il denunciante è debitore nei confronti del denunciato della somma di CHF 12'000.--) asseritamente falso nell’ambito di una procedura esecutiva promossa dal denunciante allo scopo di ottenere l’incasso di pigioni arretrate, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale a carico del denunciato sfociato nel decreto di abbandono 10.09.2012 emanato dal procuratore pubblico Moreno Capella per insufficienza di prove (cfr. inc. ABB _);
che il suddetto decreto è regolarmente passato in giudicato, non essendo stato impugnato presso questa Corte mediante reclamo giusta i combinati art. 322 cpv. 2 CPP e 393 ss. CPP;
che con ordinanza 30/31.01.2013 – a valere quale istanza ex art. 62 cpv. 4 LOG – la IS 1 postula la trasmissione dell’incarto penale ABB _, essendo stato richiamato con il consenso del giudice e delle parti ai fini dell’istruttoria della causa a procedura semplificata (azione di disconoscimento del debito ex art. 83 cpv. 2 LEF) di cui all’incarto _ promossa il 9.10.2012 da _ contro _;
che a fondamento della sua richiesta la Pretura istante ha prodotto, in copia, il verbale di udienza datato 7.01.2013 (inc. _) dal quale emerge che l’attore contesta il riconoscimento del debito di cui si è detto poc’anzi [
verbale di udienza 7.01.2013, p. 2, doc. 1.a annesso all’istanza 30/31.01.2013: "
(...) Viene ribadito che _, ipovedente, ha subito contestato e contesta tuttora di aver redatto e/o consegnato al suo presunto e altrettanto contestato credito il doc. 1, così come di aver ricevuto l’importo di CHF 12'000.--, da lui mai chiesto a _ e di cui non aveva tra l’altro bisogno. La procedura penale non è arrivata alla conclusione che la firma apposta al doc. 1 sia autentica, ma solo che il tipo di firma in esame (semplificata e comportante un unico tratto ondulato) non permette di accertarne con sicurezza l’autenticità. Da tale procedura sono però emersi più elementi che confortano le argomentazioni di _ e, meglio, come già elencato al punto 6. dell’azione di disconoscimento di debito
"];
che questa Corte ha deciso di non interpellare il procuratore pubblico per presentare eventuali osservazioni, poiché le parti del procedimento penale (inc. ABB _), nel frattempo archiviato, corrispondono a quelle del procedimento civile pendente presso la Pretura istante;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha nella sostanza ripreso il testo del previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che come ricordato dalla prassi di questa Corte, in caso di richiesta da parte di autorità giudiziarie tendente ad ottenere documenti di un incarto penale, la giurisprudenza ammette la richiesta se: (i) si riferisce a procedimenti ancora pendenti presso l'autorità richiedente; (ii) è compatibile con il codice di rito applicabile a quel procedimento; (iii) è formulata dal titolare dell’autorità giudiziaria richiedente; inoltre deve essere dato un legame di pertinenza dell’incarto richiamato con quello richiamante;
che nella fattispecie in esame – stante in particolare il contenuto dell’incarto penale richiamato e del verbale di udienza 7.01.2013 (inc. _) – appare data una connessione tra la causa civile di cui all’incarto _ pendente presso la Pretura istante e il procedimento penale dell’incarto ABB _ nel frattempo archiviato, poiché le parti coinvolte sono le stesse in entrambe le sedi e ambedue i procedimenti traggono le loro origini dal riconoscimento del debito datato 22.12.2008;
che in siffatte circostanze gli atti dell’incarto penale richiamato potrebbero avere, effettivamente, una loro rilevanza ai fini dell’istruttoria e del giudizio civile;
che è quindi adempiuto un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG;
che di conseguenza l’incarto penale ABB _ (una cartelletta marrone) viene trasmesso, in originale, alla Pretura istante unitamente alla presente decisione, con l’obbligo di restituirlo direttamente al Ministero pubblico, al più tardi, a procedimento civile concluso;
che la tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico della Pretura istante, che a sua volta le addosserà alle parti in base alle norme del CPC.
|
Criminal
|
Criminal Procedure
|
it
| 2,013 |
TI_TRAP
|
TI_TRAP_002
|
TI
|
Ticino
|
Subsets and Splits
No community queries yet
The top public SQL queries from the community will appear here once available.