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---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
91adb58f-d8f8-56b5-89e8-8b9cc848c9c6 | in fatto
a.
PI 1, consigliere comunale di _, in data 5.7.2013 ha depositato presso la cancelleria del comune una lettera aperta indirizzata al vice sindaco RE 1, inviata in copia per conoscenza alla Sezione degli enti locali e al Consiglio di Stato. In tale scritto si leggeva:
“(...) Egregio vice sindaco RE 1, con la presente in qualità di Consigliere Comunale ma soprattutto di cittadino, desidero porle 5 semplici domande sulla gestione dei suoi dicasteri e rispettivamente sulla sua Etica, Integrità, Moralità ma soprattutto Onestà verso la popolazione di _. (...). (...) qui le rammento che prima di difendere gli interessi dei suoi amici della _ deve difendere gli interessi dei cittadini di _ a meno che non sia anche lei invischiato come loro nelle note faccende da noi denunciate (...)”
(scritto 5.7.2013, doc. 1, AI 1, inc. MP _). La missiva concludeva poi dicendo
“(...) Se lei non avrà la cortesia di rispondermi entro il 15 del corrente mese mi riservo l’opzione di passare questo scritto alla stampa (...)”
(scritto 5.7.2013, doc. 1, AI 1, inc. MP _).
b.
Con esposto 16.7.2013 RE 1 ha sporto denuncia/querela penale nei confronti di PI 1 per i titoli di reato di diffamazione, calunnia, ingiuria e coazione (denuncia 16.7.2013, AI 1, inc. MP _). A dire del denunciante
“(...) il fatto di gettare discredito
[sulla sua persona]
(...) facendolo credere autore della millantata cattiva gestione della cosa pubblica ricadente sotto il suo ed altri Dicasteri, e annoverandolo tra i suoi colleghi municipali quale presunto (co)autore o complice di malversazioni nonché colpevole di deliberato o manchevole rispetto dei vari dossier in generale (...) è lesivo dell’onore personale e della reputazione delle persone ingiustamente chiamate in causa dal denunciato. È pacifico che il Signor PI 1 ha insinuato l’idea e il sospetto che si sarebbero commessi presunti atti disonesti nella gestione dei conti del Comune. Questi propositi non possono essere solamente letti solo come una critica dell’attività e dell’etica politica di chi viene ingiustamente accusato. Tali affermazioni, come detto, infondono piuttosto, con delle chiare allusioni a presunte manchevolezze morali e legali, il sospetto di un comportamento delittuoso, ciò che è inaccettabile (...)”
(denuncia 16.7.2013, AI 1, p. 4 s., inc. MP _). A dire di RE 1, PI 1 si sarebbe inoltre reso autore del reato di coazione avendo minacciato di grave danno il denunciante (con la pubblicazione dello scritto) costringendolo a rispondere ai quesiti contenuti nello stesso entro il termine di 10 giorni.
c.
In data 7.11.2014 il procuratore pubblico ha dunque proceduto all’audizione di PI 1 (verbale di interrogatorio 7.11.2014, AI 3, inc. MP _) ed in data 19.12.2014 ha chiuso l’istruzione prospettando l’emanazione di un decreto d’abbandono nei confronti del denunciato/querelato (chiusura dell’istruzione 19.12.2014, AI 5, inc. MP _).
d.
In data 23.1.2015 il magistrato inquirente ha emanato un decreto d’abbandono in capo al suddetto procedimento penale, ritenuto che la fattispecie in esame si collocherebbe in ambito politico:
“(...) Infatti (...), la lettera aperta, indirizzata dall’imputato, consigliere comunale, al vice-sindaco (...), è rivolta a quest’ultimo nell’ambito della sua attività politica quale vice-sindaco del Comune di _, senza tuttavia intaccare la sua onorabilità come uomo e senza farlo apparire spregevole. Nella sua lettera (...) si limita a porre al denunciante cinque quesiti che caratterizzano unicamente il suo operato a livello politico e null’altro. Non si intravvedono pertanto i presupposti per affermare che il signor RE 1 sia stato leso nel proprio onore ai sensi dell’art. 173 e segg. CP (...)”
(decreto d’abbandono 23.1.2015, p. 2, ABB _). Inoltre il fatto che PI 1 abbia affermato di riservarsi di passare lo scritto alla stampa in caso di mancata presa di posizione da parte del denunciante/querelante entro il termine di 10 giorni non sarebbe costitutivo del reato di coazione in quanto si tratterebbe di
“(...) una semplice riserva dell’imputato e non di un atto futuro certo (...)”
(decreto d’abbandono 23.1.2015, p. 2, ABB _). Oltre a ciò, il procuratore pubblico ha decretato che RE 1, a suo dire, non incorrerebbe in alcun grave danno dalla pubblicazione dello scritto in oggetto.
e.
Con gravame 5/6.2.2015 RE 1 impugna la suddetta decisione.
Il reclamante sostiene che gli
“attacchi”
di PI 1 andrebbero ad intaccare la sua onorabilità come uomo
“(...) oltre che di politico di milizia”
(reclamo 5/6.2.2015, p. 3). A suo dire, con lo scritto in oggetto, sarebbe stata messa in discussione la sua etica, la sua integrità, la sua moralità e la sua onestà, non solo in versione politica, come sostiene il procuratore pubblico, ma anche come persona. In merito al reato di coazione RE 1 si limita a ribadire quanto già detto in sede di denuncia.
f.
Delle ulteriori argomentazioni, così come delle osservazioni di PI 1 e del procuratore pubblico, si dirà, se necessario, in corso di motivazione. | in diritto
1.
1.1.
Giusta l’art. 322 cpv. 2 CPP le parti possono impugnare il decreto di abbandono dinanzi alla giurisdizione di reclamo.
Con il gravame si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l’eccesso e l’abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l’accer-tamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e l'inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato entro dieci giorni, per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta e all’art. 385 CPP per la motivazione.
In particolare il reclamo deve indicare i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP)
.
La prevalenza dei principi della verità materiale e della legalità impone alla giurisdizione di reclamo, investita di un gravame, di decidere indipendentemente dalle conclusioni o dalle motivazioni addotte dalle parti, applicando il diritto penale, che deve imporsi d’ufficio (Commentario CPP – M. MINI, art. 391 CPP n. 2; cfr., anche, sentenze TF 6B_69/2014 del 9.10.2014 consid. 2.4.; 6B_776/2013 del 22.7.2014 consid. 1.5.; 1B_460/2013 del 22.1.2014 consid. 3.1.).
1.2.
Il gravame, inoltrato il 5/6.2.2015 alla Corte dei reclami penali, competente ex art. 62 cpv. 2 LOG, contro il decreto di abbandono 23.1.2015 (ABB _), è tempestivo e proponibile
.
Le esigenze di forma e di motivazione sono rispettate.
RE 1
,
accusatore privato, è pacificamente legittimato a reclamare ex art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica del giudizio
.
Il reclamo è – di conseguenza – ricevibile in ordine
.
2.
Il reclamo contro il decreto di abbandono è accolto, segnatamente, in presenza di sufficienti indizi di reato tali da giustificare la promozione dell’accusa (art. 319 cpv. 1 lit. a CPP) o se (contrariamente al giudizio del procuratore pubblico) sono adempiuti gli elementi costitutivi di un reato (art. 319 cpv. 1 lit. b CPP).
Si ricorda che l’azione penale – per principio – è essenzialmente pubblica (art. 7 cpv. 1 CPP) e, come tale, esercitata dal pubblico ministero, per cui non può essere lasciata all’arbitrio o al sentimento soggettivo delle parti, ma deve fondarsi su oggettivi, concreti e sufficienti elementi indizianti. In questo senso non basta una diversa interpretazione delle risultanze da parte del reclamante, ma occorre la dimostrazione della verosimiglianza di alto grado circa altra conclusione che merita approfondimento
.
3.
3.1.
RE 1 ipotizza a carico di PI 1 i reati di diffamazione giusta l’art. 173 CP
[secondo cui è punito chiunque, comunicando con un terzo, incolpa o rende sospetta una persona di condotta disonorevole o di altri fatti che possano nuocere alla riputazione di lei (
BSK Strafrecht II – F. RIKLIN, 3. ed., art. 173 CP n. 1 ss.)]
, calunnia giusta l’art. 174 CP
[secondo cui è punito chiunque, comunicando con un terzo e sapendo di dire cosa non vera, incolpa o rende sospetta una persona di condotta disonorevole o di altri fatti che possano nuocere alla riputazione di lei, come anche chiunque, sapendo di dire cosa non vera, divulga una tale incolpazione o un tale sospetto,
(
BSK Strafrecht II – F. RIKLIN, op. cit., art. 174 CP n. 1 ss.)]
, ingiuria giusta l’art. 177 CP
[secondo cui è punito, chiunque offende in altro modo con parole, scritti, immagini, gesti o vie di fatto l’onore di una persona,
(
BSK Strafrecht II – F. RIKLIN, op. cit., art. 177 CP n. 1 ss.)]
e coazione giusta l’art. 181 CP
[secondo cui è punito chiunque, usando violenza o minaccia di grave danno contro una persona, o intralciando in altro modo la libertà d’agire di lei, la costringe a fare, omettere o tollerare un atto (BSK Strafrecht II – V. DELNON / B. RÜDY, op. cit., art. 181 CP n. 1 ss.)].
Le ipotesi di reato si riferiscono allo scritto 5.7.2013 depositato da PI 1 alla Cancelleria comunale di _ ed inviato per conoscenza alla Sezione degli enti locali di Bellinzona e al Consiglio di Stato.
3.2.
3.2.1.
L’onore protetto ai sensi degli art. 173 ss. CP è il diritto di ognuno di non essere considerato una persona da disprezzare.
Le predette disposizioni proteggono l’onore personale, la reputazione ed il sentimento di essere uomo d’onore, di comportarsi secondo le regole e gli usi riconosciuti; sfuggono invece alla protezione penale quelle espressioni che – senza far apparire spregevole la persona attaccata – offuscano la reputazione di cui quest’ultima gode nell’ambito professionale o politico o l’opinione che essa ha di sé medesima (decisione TF 6B_138/2013 del 19.05.2014 consid.
3.1.; BSK Strafrecht II – F. RIKLIN, op. cit.,
vor
art. 173 CP n. 5 ss.; StGB PK – S. TRECHSEL / M. PIETH / V. LIEBER, 2. ed.,
vor
art. 173 CP n. 1 ss.).
La questione a sapere se un’affermazione sia tale da nuocere alla reputazione di una persona deve essere decisa non secondo il senso che possono averle dato quelli che l’hanno sentita, ma secondo il senso che essa ha in base ad un’interpretazione oggettiva, ovvero secondo il senso che in concreto le attribuisce l’uditore o il lettore non prevenuto (decisione TF 6B_138/2013 del 19.5.2014 consid.
3.1.; BSK Strafrecht II – F. RIKLIN, op. cit.,
vor
art. 173 CP n. 28 ss.; StGB PK – S. TRECHSEL / M. PIETH / V. LIEBER, op. cit.,
vor
art. 173 CP n. 11); va tenuto in particolare in considerazione se le dichiarazioni sono state rese nell’ambito di una procedura, di fronte ad una cerchia ristretta di persone, perfettamente coscienti del particolare contesto in cui sono state formulate e del fatto che le stesse fossero soggette a vaglio critico, purché non si siano travalicati i limiti di quanto necessario e pertinente per l’accertamento dei fatti.
Il reato di ingiuria è applicabile qualora un
giudizio di valore
(“
Werturteil
”) sia stato proferito verso il leso stesso o al cospetto di terza persona (
A. DONATSCH, Strafrecht III, 9. ed., p. 359) rispettivamente nel caso in cui un
fatto
(“
Tatsachenbehauptung
”) sia stato espresso verso il leso (A. DONATSCH, op. cit., p. 359).
Se un fatto è formulato alla presenza di terzi, è sussunto ai reati di diffamazione o di calunnia (A. DONATSCH, op. cit., p. 359).
“
Terzo
” giusta l’art. 173 CP è qualunque persona che non sia l’autore medesimo del reato oppure il leso dallo stesso (decisione TF 6B_698/2012 del 28.1.2013 consid.
3.2.1.; StGB PK – S. TRECHSEL / M. PIETH / V. LIEBER, op. cit., art. 173 CP n. 4).
In applicazione dell’art. 176 CP alla diffamazione e alla calunnia verbali sono parificate la diffamazione e la calunnia commesse mediante scritti, immagini, gesti o qualunque altro mezzo.
3.2.2.
I reati contro l’onore presuppongono intenzionalità, che deve riferirsi all’affermazione lesiva dell’onore e – nel caso degli art. 173 s. CP – alla presa di conoscenza da parte del terzo. Il dolo eventuale è sufficiente per i reati di diffamazione e di ingiuria. Non è invece necessario un particolare
“animus iniuriandi”
, bastando che l’autore sia consapevole del fatto che le sue affermazioni possano nuocere alla reputazione della persona interessata e che ciò nonostante le proferisca
(
StGB PK – S. TRECHSEL / M. PIETH / V. LIEBER, op. cit., art. 173 CP n. 11 / art. 174 CP n. 3 / art. 177 CP n. 6;
BSK Strafrecht II – F. RIKLIN, op. cit., art. 173
CP
n. 9 s.
/ art. 174 CP n. 6 / art. 177 CP n. 14;
B. CORBOZ,
Les infractions en droit suisse
, volume I, 3. ed., art. 173 CP n. 48 ss. / art. 174 CP n. 11 ss. / art. 177 CP n. 24 s.).
3.2.3.
Il reclamante lamenta anzitutto le conclusioni del magistrato inquirente, laddove non ha ritenuto come lesive del suo onore le espressioni contenute nello scritto 5.7.2013, e, più in particolare, le frasi:
“(...) desidero porle 5 semplici domande sulla gestione dei suoi dicasteri e rispettivamente sulla sua Etica, Integrità, Moralità ma soprattutto Onestà verso tutta la popolazione di _ (....)”
e
“(...) le rammento che prima di difendere gli interessi dei suoi amici della _ deve difendere gli interessi dei cittadini di _ a meno che non sia anche lei invischiato come loro nelle note faccende da noi denunciate (...)”
(scritto 6.7.2013, p. 2, AI 1, inc. MP _). A dire di RE 1 il senso generale dello scritto qui in oggetto sarebbe quello di
“(...) lanciare critiche che vanno al di là dell’accettabile (...)”
e gettare il sospetto che lui stesso si sia reso colpevole
“(...) di malaffare, di malversazioni o di azioni disoneste (...)”
(reclamo 5/6.2.2015, p. 4).
3.2.4.
Si rileva tuttavia che, nella discussione politica, la lesione dell’onore deve essere ammessa con riserbo e, in caso di dubbio, negata. La libertà di espressione, indispensabile alla democrazia, implica infatti che gli attori del dibattito politico accettino di esporsi ad una critica pubblica, talvolta anche violenta, delle loro opinioni. Non basta quindi sminuire una persona nelle qualità politiche che reputa di possedere. La critica o l’attacco comportano per contro una lesione dell’onore protetto dal diritto penale, se nel merito o nella forma, non si limitano a degradare le qualità dell’uomo politico e il valore della sua azione, ma sono parimenti idonee ad esporlo al disprezzo in quanto essere umano (decisione TF 6B_870/2013 del 27.2.2014, consid. 4.2; DTF 137 IV 313 consid. 2.1.4).
Nel caso in esame lo scritto 5.7.2013
“Lettera aperta al Vice Sindaco (ad interim)”
si rivolge chiaramente al qui reclamante in veste di membro dell’esecutivo comunale. Le domande poste da PI 1 si riferiscono
“(...) alla gestione dei suoi dicasteri”
ed alla sua
“(...) Etica, Integrità, Moralità ma sopratutto Onestà verso tutta la popolazione di _”
nella funzione di vice-sindaco del Comune. Il denunciato imputa al reclamante, sotto forma di domande, alcune (ipotetiche) manchevolezze nella gestione dei dicasteri e quale municipale, limitandosì così ad attaccare le sue qualità in quanto uomo politico.
Anche la frase “(...)
prima di difendere gli interessi dei suoi amici della _ deve difendere gli interessi dei cittadini di _ a meno che non sia anche lei invischiato come loro nelle note faccende da noi denunciate (...)”
è espressa in senso dubitativo ed esposta sotto forma di quesito.
3.2.5.
Inoltre, come già detto, per determinare se un’affermazione sia lesiva dell’onore non ci si deve fondare sul senso che le dà la persona interessata, ma sul senso che nelle circostanze concrete le attribuisce un destinatario non prevenuto, tenendo conto del contesto (interpretazione oggettiva).
Nel ponderare la gravità delle espressioni contenute nello scritto 5.7.2013 va dunque considerato il contesto in cui le affermazioni in oggetto sono state proferite, ovverosia, nel caso concreto, il contesto socio-politico del comune di _, dove da anni regna un clima politico teso ed esasperato che ripresenta sul piano giudiziario le tensioni fra gli avversari politici. La lettera è stata depositata da PI 1 in cancelleria comunale ed inviata in copia alla Sezione degli enti locali ed al Consiglio di Stato: autorità tutte perfettamente coscienti del particolare contesto in cui tali asserzioni sono state formulate, sottoponendole a vaglio critico e contestualizzandole.
3.2.6.
In queste circostanze, si deve necessariamente decidere per l’assenza di sufficienti indizi di reato a carico di PI 1 in merito ai reati di cui agli artt. 173, 174 e 177 CP.
Va però anche ricordato che la libertà di espressione tutelata in ambito politico non necessariamente deve tradursi in una prosa quale quella dello scritto 5.7.2013.
3.3.
3.3.1.
Il reato di coazione presuppone – tra l’altro – l’esistenza di una minaccia di grave danno, ammessa quando, secondo le dichiarazioni dell’autore, la realizzazione di un tale pregiudizio appare dipendente dalla sua volontà (StGB PK – S. TRECHSEL / M. PIETH /
T. FINGERHUTH,
op. cit., art. 181 CP n. 4) e la minaccia è appropriata – secondo criteri oggettivi: la concreta reazione della vittima è irrilevante (decisione TF 6B_281/2013 del 16.7.2013 consid. 1.1.1.; BSK Strafrecht II – V. DELNON / B. RÜDY, op. cit., art. 181 CP n. 34 s.; StGB PK – S. TRECHSEL / M. PIETH /
T. FINGERHUTH
, op. cit., art. 181 CP n. 5) – a limitare la di lei libertà di decisione, ovvero ad indurla ad adottare un comportamento che essa non avrebbe verosimilmente avuto senza una simile minaccia (decisione TF 6B_281/2013 del 16.7.2013 consid.
1.1.1.; BSK Strafrecht II – V. DELNON / B. RÜDY, op. cit., art. 181 CP n. 25 ss.).
Non è necessario che l’autore voglia davvero realizzare la minaccia (decisione TF 6B_281/2013 del 16.7.2013 consid. 1.1.1.).
Il mezzo oppure lo scopo o la relazione tra il mezzo e lo scopo devono inoltre essere illeciti (decisioni TF 6B_281/2013 del 16.7.2013 consid. 1.1.2.; 1B_677/2012 del 18.2.2013 consid. 3.1.2.; BSK Strafrecht II – V. DELNON / B. RÜDY, op. cit., art. 181 CP n. 56 ss.; StGB PK – S. TRECHSEL / M. PIETH /
T. FINGERHUTH
, op. cit., art. 181 CP n. 10 ss.).
La minaccia di un grave danno può essere riferita ad un fatto previsto dalla legge oppure concordato contrattualmente: in questi casi non si può parlare di inammissibile limitazione della libertà [si pensi, per esempio, alla minaccia di inoltrare una denuncia penale fondata (decisione TF 1B_721/2011 del 7.3.2012 consid.
3.3.; BSK Strafrecht II – V. DELNON / B. RÜDY, op. cit., art. 181 CP n. 38)].
Qualora, però, la minaccia di un danno in sé ammissibile sia utilizzata per raggiungere uno scopo illecito, si deve reputare che sussista un grave danno a’ sensi dell’art. 181 CP (decisione TF 1B_721/2011 del 7.3.2012 consid.
3.3.; BSK Strafrecht II – V. DELNON / B. RÜDY, op. cit., art. 181 CP n. 39 ss.).
3.3.2.
Nella lettera 5.7.2013 PI 1 ha scritto:
“(...) se lei non avrà la cortesia di rispondermi entro il 15 del corrente mese mi riservo l’opzione di passare questo scritto alla stampa (...)”
(scritto 5.7.2013, p. 2, AI 1, inc. MP _). RE 1, nel suo reclamo, si limita a sostenere che tale agire adempierebbe il reato di coazione:
“(...) In siffate circostanze, (...), minacciare di divulgare alla popolazione di _ la lettera aperta del 5 luglio 2013 non è forse coazione?”
(reclamo 5/6.2.2015, p. 4).
Tuttavia il denunciante non specifica in che modo sarebbero adempiute le condizioni soggettive ed oggettive del reato sopraindicato; e, in particolare, quale sia il grave danno che egli subirebbe dalla pubblicazione della lettera in oggetto. Infatti, come già sopraindicato, nella stessa PI 1, in veste di consigliere comunale e cittadino, si è limitato a porre alcuni quesiti al qui reclamante in merito alla sua attività quale municipale di _. Scritto al quale esigeva (con metodi forse poco ortodossi ed appropriati in un sano dibattito politico) che fosse data una risposta al più presto. La sua pubblicazione sui media del Cantone, in ogni caso, non avrebbe causato il
“grave danno”
così come prescritto dall’art. 181 CP.
4.
Il gravame è respinto. Tassa di giustizia e spese sono poste a carico dell’insorgente, soccombente. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,015 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
91b3c2f7-9aea-5c1e-83f4-a1100a83d4f7 | in fatto: A.
Con sentenza del 24 agosto 2005 la Corte delle assise criminali ha riconosciuto RI 1 autore colpevole di mancato omicidio per avere, il 22 ottobre 2004, intenzionalmente tentato di uccidere il vicino di casa _, riuscendo solo a ferirlo dopo avergli scaricato contro, dalla distanza di 3.5 m, tutti i colpi (da 3 a 6) della sua pistola a tamburo Foret “LaPage” calibro 320. Riconosciuta all’imputato una scemata responsabilità di grado medio sulla base della perizia psichiatrica allestita dal dott. _ in ragione di “un disturbo delirante di persecuzione cronico, presente da diversi anni e al momento dei fatti del 2.10.2004” ( sentenza di assise, pag. 54-55), la Corte ha condannato RI 1 a 4 anni di reclusione (computato il carcere preventivo sofferto) e a rifondere a _ fr. 27
000
.–
in risarcimento del danno (spese di patrocinio), oltre a fr. 30
000
.–
in riparazione del torto morale. Fondandosi sempre sul parere dello psichiatra dott. _, la Corte delle assise criminali ha condannato altresì RI 1 alla sottomissione a un trattamento ambulatoriale giusta l’art. 43 vCP, specie dopo avere preso atto dallo stesso medico che il soggetto “mette in serio pericolo la sicurezza pubblica” (sentenza di assise, pag. 55), intendendo questi con ciò “sostanzialmente il pericolo di recidiva nella misura in cui egli avrà a sviluppare un ulteriore delirio” (sentenza di assise, pag. 56). La Corte ha infine ordinato la confisca di tutto quanto sequestrato.
B.
Adita su ricorso per cassazione di RI 1, con sentenza del 28 aprile 2006 la Corte di cassazione e di revisione penale ha respinto il gravame, nella misura della sua ammissibilità (CCRP 17.2005.45). In assenza di ulteriore impugnativa, la condanna irrogata dalla Corte delle assise criminali – la cui totale espiazione terminerà il 22 ottobre 2008, tenuto conto del carcere preventivo sofferto (305 giorni) – è passata in giudicato.
C.
In vista dell’espiazione dei due terzi della pena, che sarebbe intervenuta il 23 giugno 2007, con istanza del 27 febbraio 2007 RI 1 ha chiesto la liberazione condizionale. Con decisione del 21 giugno 2007, il Giudice dell’applicazione della pena straordinario – sentito l’istante il 18 giugno 2007 e preso atto dei pareri, tutti negativi, del Capo del servizio psicosociale del sottoceneri dott. _ del 5 marzo 2007, della Sezione dell’esecuzione delle pene e delle misure del 24 maggio 2007, del patronato penale del 18 maggio 2007 e del direttore del penitenziario del 10 maggio 2007 e ritenuto, in particolare, il “concreto rischio della commissione di altri atti violenti in caso di liberazione” – ha respinto tale richiesta (v. incarto Giap n. 400.2007.36, segnatamente decisione Giap, consid. 3).
D.
Chiamata a pronunciarsi sul ricorso interposto da RI 1 contro tale decisione, con sentenza del 16 agosto 2007 la Camera dei ricorsi penali ha respinto il gravame (CRP, inc. n. 60.2007.259), rilevando tra l’altro quanto segue:
“
E’ indubbio infatti che nel presente caso, in base alla valutazioni mediche agli atti, sia dato un concreto pericolo di recidiva, riferito ad atti violenti, al punto da costituire il ricorrente un pericolo per la sicurezza pubblica (..). A fronte di simili categoriche conclusioni di carattere medico, in una situazione personale del ricorrente pesantemente condizionata dal suo stato di salute, questa Camera, come il GIAP in precedenza, non può che confermare una prognosi chiaramente negativa con riferimento alla richiesta di libertà condizionale, ritenendo dato un pericolo concreto di recidiva per atti violenti”
(sentenza citata, pag. 7 seg.).
E.
Il 6 luglio 2007 la Sezione dell’esecuzione delle pene e delle misure, preso anche atto dell’aggiornamento del rapporto peritale allestito il 3 luglio 2007 dal dott. _, ha trasmesso al Giudice dell’applicazione della pena l’incarto relativo ad RI 1 per statuire in merito all’eventuale sostituzione della misura ambulatoriale (art. 43 vCP, 63 nCP) – da ritenersi fallita – con una misura stazionaria ai sensi dell’art. 59 CP o, in subordine, con l’internamento giusta l’art. 64 CP (act. 8 inc. Giap n. 300.2007.6). Sentito il 22 agosto 2007 dal giudice, in presenza del suo patrocinatore, RI 1 ha, in particolare, dichiarato quanto segue:
“Se dovessi lasciare il carcere, farei rientro a casa mia in quanto non ho altra scelta, ho venduto la mia casa in Italia per acquistare questa proprietà, dove intendo continuare a vivere con mia moglie. Al momento non vedo altre soluzioni. Non porto nessun rancore nei confronti del signor _. Si dovessero ripetere in futuro i problemi che hanno portato al mio arresto, mi comporterei in maniera del tutto diversa, nel senso che mi limiterei a chiamare immediatamente la polizia per un intervento. Per me, il signor _ è come se non esistesse”
(act. 3 inc. Giap. n. 300.2007.6).
Dando seguito alla procedura, il 7 settembre 2007 il Giudice dell’applicazione della pena ha incaricato la dr. med. _, specialista FMH in psichiatria e psicoterapia, di allestire una (nuova) perizia psichiatrica su RI 1 in punto all’ esistenza di una turba psichica, al rischio di recidiva e alle misure terapeutiche da eventualmente adottare (act. 10/annesso d, inc. Giap. 300.2007.6). L’esperta ha rassegnato il proprio referto il 3 dicembre successivo, con cui ha in sostanza confermato il fallimento del trattamento ambulatoriale allora disposto dalla Corte delle assise criminali, ritenendo “adeguata e necessaria” una misura terapeutica stazionaria ai sensi dell’art. 59 CP (act.10/ annesso, inc. Giap. n. 300.2007.6). Tale perizia è stata intimata il giorno successivo per osservazioni al patrocinatore di RI 1 che, con istanza 7 dicembre 2007, ha chiesto alla perita di esprimersi “in modo concreto sulle possibilità pratiche, al di fuori del penitenziario, per attuare le misure terapeutiche stazionarie cui si accenna nel rapporto” (act. 10/annesso b, inc. Giap n. 300.2007.6). Questa ha risposto alla richiesta di delucidazioni il 7 gennaio 2008 (act. 10/annesso, inc. Giap n. 300.2007.6).
Sulla scorta delle valutazioni peritali, con decisione del 15 febbraio 2008 il Giudice dell’applicazione della pena ha soppresso il trattamento ambulatoriale fallito e ha ordinato per RI 1 la misura terapeutica stazionaria di cui all’art. 59 CP con contestuale sospensione dell’esecuzione della pena (residua), da eseguirsi presso il penitenziario cantonale.
E.
Statuendo sul ricorso inoltrato il 22 febbraio 2008 contro tale provvedimento, con sentenza del 20 maggio successivo la Camera dei ricorsi penale ha annullato la decisione impugnata per difetto di competenza, ritenendo che competente per ordinare la misura in rassegna in applicazione dell’art. 65 cpv. 1, con riferimento agli art. 59-61 CP, ovvero successivamente alla sentenza di assise del 24 agosto 2005, sia il giudice che ha pronunciato la pena o che ha ordinato l’internamento; non quindi un altro giudice, come il giudice dell’applicazione della pena, competente – oltre che per quanto previsto dall’art. 339 cpv. 1 lit. a-j CPP – ad esercitare tutte le altre attribuzioni che il diritto federale riserva al giudice dopo la crescita in giudicato della sentenza penale, esclusi – tuttavia – i casi in cui il diritto federale assegna espressamente la competenza al Tribunale che ha pronunciato la sentenza o che deve giudicare la nuova infrazione (art. 339 cpv. 1 lit. k CPP). Caso disciplinato, per l’appunto, dall’art. 65 CP. Nella fattispecie, ha puntualizzato la Camera dei ricorsi penali, in ragione dell’art. 339 cpv. 2 CPP, secondo cui le decisioni riservate dal diritto federale al giudice che ha statuito anteriormente sono di competenza del presidente della Corte qualora questa abbia giudicato con l’intervento degli assessori-giurati, competente in merito è di conseguenza la presidente della Corte delle assise criminali che, il 24 agosto 2005, ha condannato RI 1 alla pena di quattro anni di reclusione (sentenza CRP, pag. 9). Ciò posto, la Camera dei ricorsi penali le ha trasmesso l’incarto affinché “preso atto della soppressione del trattamento ambulatoriale”, essa proceda nei suoi incombenti (pag. 9).
F.
Con sentenza del 22 luglio 2008 la presidente della Corte delle assise criminali ha sottoposto RI 1 a misura terapeutica stazionaria ai sensi dell’art. 59 CP, da eseguirsi presso il penitenziario cantonale. Essa ha quindi stabilito che l’esecuzione della pena residua inflitta al condannato con sentenza del 24 agosto 2005 dalla Corte delle assise criminali, sia sospesa a favore dell’esecuzione della misura. Quale rimedio di diritto contro tale decisione, la presidente della Corte delle assise criminali ha indicato il ricorso alla Camera dei ricorsi penali entro 10 giorni alla sua intimazione.
G.
Contro la citata sentenza, RI 1 è insorto alla Camera dei ricorsi penali con ricorso del 4 agosto 2008, chiedendone il suo annullamento. Con scritto del 7 agosto 2008 il presidente della Camera dei ricorsi penali ha comunicato alla Corte di cassazione e di revisione penale che la competenza per statuire sul gravame spetta a quest’ultima in virtù dell’art. 287 cpv. 1 CPP, la decisione impugnata essendo fondata sull’art. 65 cpv. 1 CP, che attribuisce la competenza al giudice che ha pronunciato la pena, la Camera dei ricorsi penali essendo competente unicamente per le decisioni anteriori al pubblico dibattimento, rispettivamente per i casi giusta l’art. 341 CPP, relativi però a gravami contro le decisioni del Giudice dell’applicazione della pena e nella fattispecie trattandosi di una decisione di merito del presidente di una Corte. Egli ha pertanto trasmesso alla stessa Corte di cassazione e di revisione penale il ricorso per evasione; la quale lo ha notificato al Tribunale penale cantonale, al Ministero pubblico e al Dipartimento Istituzioni (Sezione esecuzione pene e misure) per osservazioni.
Con osservazioni del 18 agosto 2008, la Sezione dell’esecuzione delle pene e delle misure ha proposto la reiezione del ricorso. Dal canto suo, con scritto dell’11 agosto 2008 il Procuratore pubblico ha comunicato che non intende presentare osservazioni. Per contro, il Tribunale penale cantonale è rimasto silente. | Considerando
In diritto: 1.
Giusta l’art. 287 cpv. 1 CPP il Procuratore pubblico, l’accusato e il suo difensore possono interporre ricorso per cassazione contro le sentenze di merito delle Corti penali. In concreto la presidente della Corte delle assise criminali – competente in virtù degli art. 65 cpv. 1 prima frase CP (59-61 CP) e 339 cpv. 2 CPP (CRP citata, consid. 2.4.2) – preso atto del fallimento del trattamento ambulatoriale disposto nei confronti di RI 1 dalla Corte delle assise criminali con sentenza del 24 agosto 2005 e della conseguente soppressione di tale provvedimento da parte del Giudice dell’applicazione della pena straordinario con decisione 15 febbraio 2008 (confermata dalla Camera dei ricorsi penali), ha ordinato che il soggetto sia sottoposto a misura terapeutica stazionaria ai sensi dell’art. 59 CP, da eseguirsi presso il penitenziario cantonale, con conseguente sospensione della pena residua inflitta al condannato, a favore dell’ esecuzione della misura. Trattasi, a non averne dubbio, di una decisione (di merito) impugnabile con ricorso per cassazione e non con ricorso alla Camera dei ricorsi penali, come a giusta ragione ritenuto dal presidente della stessa Camera dei ricorsi penali, - cui il gravame è stato in un primo momento indirizzato,- al momento di trasmettere gli atti a questa Corte. Certo, la sentenza impugnata è stata presa dalla presidente della Corte delle assise criminali nel corso dell’esecuzione della pena e non nell’ambito stretto del processo, sfociato nella condanna dell’accusato. L’art. 287 cpv. 1 CPP, invero, si riferisce di regola alle sentenze di condanna (come pure di assoluzione) delle Corti penali. La circostanza è però ininfluente. Ancorché presa successivamente a seguito della modifica delle circostanze, la decisione impugnata si riferisce all’art. 59 CP richiamato dall’art. 65 cpv. 1 CP, soggetto ancora una volta alla competenza – per quanto riguarda la sua applicazione – del giudice del merito, segnatamente di quello che aveva pronunciato la sentenza di condanna (art. 59 cpv. 1 prima frase CP) e che non aveva allora ravvisato le condizioni per ordinare una misura terapeutica stazionaria; ovvero – nel caso specifico – alla competenza della presidente della Corte delle assise criminali, che aveva giudicato l’accusato il 24 agosto 2005 (art. 339 cpv. 2 CPP). Del resto, non si vede perché la persona nei confronti della quale è stata ordinata la misura terapeutica stazionaria nel corso dell’esecuzione della pena grazie al disposto dell’art. 65 cvp. 1 CP – che consente di far capo all’art. 59 CP anche durante quella fase – non debba essere tenuta a far capo al medesimo rimedio di diritto riservato a colui che è stato sottoposto allo stesso provvedimento nel giudizio di merito vero e proprio. Ne discende perciò che il gravame presentato da RI 1 come ricorso alla Camera dei ricorsi penali, dando seguito al rimedio di diritto indicato (erroneamente) nella sentenza impugnata, va considerato invece come ricorso per cassazione. Che poi l’atto ricorsuale, presentato tempestivamente, non sia stato preceduto dalla dichiarazione di ricorso previa richiesta dall’art. 289 cpv. 1 CPP è ininfluente, dato che nella fattispecie non vi è stata alcuna comunicazione orale dei dispositivi della sentenza di assise. Quanto all’impostazione del ricorso, esso non si configura esattamente come ricorso per cassazione, specie nella misura in cui il ricorrente – non certo per imperizia, ma perché condizionato dall’errata indicazione dei rimedi di diritto – affronta questioni di fatto e di valutazione delle prove, ossia temi vagliabili da questa Corte solo sotto il ristretto profilo dell’arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). La questione rimane senza conseguenze, il ricorso – come si vedrà in appresso – essendo, comunque sia, destinato all’insuccesso.
2.
Se, prima o durante l’esecuzione della pena detentiva o dell’internamento, le condizioni per una misura terapeutica stazionaria secondo gli art. 59-61 CP risultano adempiute, il giudice può ordinare questa misura a posteriori. E’ competente il giudice che ha pronunciato la pena o ordinato l’internamento. L’esecu- zione della pena residua è sospesa (art. 59 cpv 1 CP).
3.
Giusta l’art. 59 cpv. 1 CP, se l’autore è affetto da grave turba psichica, il giudice può ordinare un trattamento ambulatoriale stazionario qualora:
a)
l’autore abbia commesso un crimine o un delitto in connessione con questa turba, e
b
) vi sia da attendersi che in tal modo si potrà evitare il rischio che l’autore commetta nuovi reati in connessione con questa sua turba.
Il trattamento stazionario si svolge in un’appropriata istituzione psichiatrica o in un’istituzione per l’esecuzione delle misure (art. 59 cpv. 2 CP).
Fintanto che sussiste il pericolo che l’autore si dia alla fuga o commetta nuovi reati, il trattamento si svolge in un’istituzione chiusa. Il trattamento può svolgersi anche in un penitenziario secondo l’art. 76 cpv. 2 CP, sempre che il trattamento terapeutico necessario sia assicurato da personale specializzato (art. 59 cpv. 3 CP).
La privazione della libertà connessa al trattamento stazionario non supera di regola i cinque anni. Se, dopo i cinque anni, i presupposti per la liberazione condizionale non sono ancora adempiuti e vi è da attendersi che la prosecuzione della misura permetterà di ovviare al rischio che l’autore commetta nuovi crimini e delitti in connessione con la sua turba psichica, il giudice, su proposta dell’autorità di esecuzione, può ordinare la protrazione della misura, di volta in volta per un periodo non superiore a cinque anni (art. 59 cpv. 4 CP).
Per ordinare una misura del genere, come pure in caso di modifica della sanzione secondo l’art. 65 CP, il giudice deve, tra l’altro, fondarsi su una perizia che verte sulla necessità e le prospettive di successo di un trattamento dell’autore, sul genere e la probabilità di eventuali nuovi reati e sulla possibilità di eseguire la misura (art. 56 cpv. 3, lett. a. b. e c CP), ritenuto che se l’autore ha commesso un reato ai sensi dell’art. 64 cpv. 1 CP – come nella fattispecie – la perizia deve essere effettuata da un esperto che non abbia né curato né assistito in altro modo l’autore (art. 56 cpv. 4 CP). Di regola il giudice ordina una misura soltanto se è disponibile un’istituzione adeguata (art. 56 cpv. 5 CP).
4.
Nel dare seguito alle incombenze di cui alla sentenza del 20 maggio 2008 della Camera dei ricorsi penali, la presidente della Corte delle assise criminali si è posta il quesito a sapere se, ormai soppressa la misura del trattamento ambulatoriale ordinata dalla Corte delle assise criminali con sentenza del 24 agosto 2005, debba essere disposta – in applicazione dell’art. 65 cpv. 1 CP – una misura terapeutica stazionaria ai sensi dell’art. 59 CP (trattamento di turbe psichiche). Premesso che in virtù dell’art. 2 cpv. 1 delle disposizioni finali della modifica del codice penale del 13 dicembre 2002, le disposizioni del nuovo diritto in materia di misure (art. 56-65 CP ) – entrate in vigore con il 1° gennaio 2007 – si applicano anche quando il reato è stato commesso o l’autore condannato prima della loro entrata in vigore, e rilevato d’altro canto che gli art. 59-65 CP corrispondono agli art. 42-45, 100-100
ter
vCP, segnatamente che di fatto il loro contenuto è stato sostanzialmente ripreso dalla novella legislativa, che ha invece modificato e semplificato la struttura, distinguendo le misure terapeutiche stazionarie (tra cui il trattamento di turbe psichiche) ex art. 59 CP, il trattamento ambulatoriale ex art. 63 CP e l’internamento ex art. 64 CP, la presidente della Corte delle assise criminali ha illustrato, tra l’altro, le condizioni richieste dall’art. 59 cpv. 1 CP, rispettivamente dall’art. 56 CP (complementare), per ordinare un trattamento stazionario (sentenza, pag. 5-6). Rilevato che la scelta del perito (dott. _) fatta dal Giudice dell’applicazione delle pena con decreto del 7 settembre 2007 nell’ambito del procedimento avviato dalla Sezione dell’esecuzione delle pene e delle misure al fine di sopprimere la misura ambulatoriale (art. 43 v CP; ora art. 63 CP) ordinata dalla Corte delle assise criminali, è rispettosa dei dettami dell’art. 56 cpv. 4 CP, che i quesiti posti alla stessa perita si fondano sull’art. 56 cpv. 3 lett. a-c CP, che al condannato è stata data la possibilità di esprimersi sul referto peritale e di chiederne delucidazioni e che, infine, la perita ha risposto in modo esauriente e completo ai singoli quesiti peritali e alla richiesta di delucidazione, la prima giudice ha ritenuto inutile e contrario alle regola del buon senso ordinarne una nuova. Essa ha quindi stabilito che occorre fondarsi su quel referto, come pure sull’ intero incarto Giap e, in particolare, sull’audizione di RI 1 del 22 agosto 2007 davanti a quel giudice nell’ambito dell’istruttoria disposta per la sostituzione della misura ambulatoriale, tanto da ritenere superflua la sua riassunzione (sentenza, pag. 7-8).
Ciò posto, la presidente della Corte delle assise criminali ha rilevato che dalla perizia – con cui la dott. _ ha, in sostanza, confermato la diagnosi fatta dal perito giudiziario dott. _ nell’ambito del processo di merito (2005) e da questi ribadita nell’aggiornamento del 3 luglio 2007 (v. anche sentenza Giap, pag. 3) – risulta che il soggetto è tuttora affetto da un grave turba psichica definibile come sindrome delirante persistente o disturbo delirante paranoide, conseguente ai fatti all’origine della sua condanna (sentenza, pag. 8-9). Così come accertato nella sentenza di condanna del 24 agosto 2005 sulla base della perizia del dott. _, ha proseguito la giudice, il ricorrente ha commesso il crimine per cui è stato condannato a causa del disturbo delirante di persecuzione, già cronicizzato al momento dei fatti del 22 ottobre 2004. Già all’epoca della condanna, essa ha puntualizzato, sussisteva un rischio di recidiva, ritenuto che nella sua perizia il dott. _ aveva, infatti, indicato che il peritando “mette in serio pericolo la sicurezza, intendendo con ciò il pericolo di recidiva nella misura in cui egli avrà a sviluppare un ulteriore delirio (sentenza, pag. 9, con riferimento alla delucidazione peritale 17 marzo 2005; sentenza della Corte delle assise criminali, pag. 55-56). Del resto, ha fatto presente la stessa prima giudice, il 5 marzo 2007 il dott. _, pure specialista in psichiatria e psicoterapia, capo del Servizio psico-sociale del _, chiamato a esprimersi nell’ambito dell’istanza di liberazione condizionale presentata dal condannato, ha a sua volta attestato la permanenza sia della patologia che aveva portato il qui ricorrente a delinquere, che il pericolo di recidiva, con particolare riferimento alla sua personalità affetta da una patologia psichiatrica cronica e scarsamente modificabile, sia a causa della sua stessa natura, sia a causa della sua età, identificabile in un disturbo delirante cronico, mai modificatosi e rivolto principalmente contro il vicino di casa, vittima del suo atto violento e, in parte, anche nei confronti di sua moglie (del ricorrente), sospettata di ordire qualcosa, forse una tresca amorosa. Lo stesso dott. _, ha ricordato la giudice, non solo ha riconosciuto che il precedente trattamento obbligatorio non ha dato (e nemmeno poteva dare) effetti, ma ha addirittura ritenuto non ipotizzabile un collocamento del paziente in una struttura psichiatrica stazionaria, in quanto non sarebbe il posto adeguato, non trovandosi il soggetto in uno stato di disagio acuto; in ambito psichiatrico aperto, a suo giudizio, verrebbe a cadere il controllo sociale, che parallelamente all’inutilità di una terapia farmacologica, vanificherebbe il collocamento stesso (sentenza, pag. 9-10). Anche il dott. _, chiamato a esprimersi sull’evoluzione dello stato psichico del paziente, ha concluso - sempre stando alla sentenza impugnata – nello stesso modo, rilevando anche egli la cronicità della patologia che affligge la persona in causa, sottolineandone il rischio di recidiva (sentenza, pag. 10-11 con riferimento al referto del 3 luglio 2007). Diagnosi, secondo la prima giudice, confermata anche dalla perita giudiziaria dott. _ nella sua perizia del 3 dicembre 2007 – rispettosa dei dettami dell’art. 56 cpv. 4 CP – a mente della quale ancora attualmente sussiste il rischio che il ricorrente commetta nuovi reati in connessione con la sua patologia. Certo, ha ricordato la giudice, RI 1 ha rilasciato dichiarazioni di per sé rassicuranti nell’audizione del 22 agosto 2007. In realtà, essa ha obiettato, ciò non è però da ritenersi il caso, l’affermazione del soggetto, secondo cui egli non porterebbe rancore alcuno nei confronti del suo vicino di casa (_) e l’assicurazione, secondo cui, in caso di problemi futuri, si rivolgerebbe alla polizia, perdendo di valenza per assumere quella di dichiarazioni strumentali se confrontate con tutte quelle altre fatte ai diversi medici, che l’hanno vistato, curato e/o peritato e da cui si evince il reale pensiero del condannato. Pensiero che risulta essere ancora quello – per nulla rassicurante – esternato per il resto dallo stesso ricorrente davanti al Giudice dell’applicazione della pena straordinario nel corso dell’audizione del 18 giugno 2007 (sentenza, pag. 12, con riferimento al verbale presente nell’inc. Giap n. 400.2007.36, in cui il egli ha reiterato nel contestare la condanna, la conduzione dell’inchiesta e la valutazione delle prove da parte del giudice di merito, ritenendosi per finire lui la vittima della situazione).
In definitiva, stando alla sentenza impugnata, visto il rischio di recidiva rilevato in modo concorde da tutti i medici e, in particolare, dalla dott. _, è indubbio che il ricorrente costituisca ancora un pericolo per la sicurezza pubblica, anche se questo rischio è in qualche modo affievolito dall’età e dagli altri suoi problemi somatici. Il condannato, sempre secondo la presidente della Corte delle assise criminali, non soltanto mette a repentaglio la sicurezza del suo storico nemico (il vicino di casa), ma mette in pericolo anche la sicurezza delle persone della sua cerchia famigliare (sentenza, pag. 12 con riferimento all’ipotesi delirante di un tresca fra sua moglie e lo stesso vicino di casa), così come rilevato in modo esauriente e convincente dalla perita giudiziaria (sentenza, pag. 12 con riferimento alla perizia, ad 2.2, pag. 12 e ad 2.5 pag. 13). Del resto, sia gli atti concernenti la richiesta di liberazione condizionale (segnatamente il rapporto del dott. _), sia quelli successivi riguardanti la soppressione della misura ambulatoriale, consentono – secondo la giudice – di affermare che la sola pena, nel caso in esame, non è in ogni caso atta (e nemmeno lo è stata) a diminuire il rischio che egli commetta in futuro nuovi atti violenti (sentenza, pag. 12). Così come attestato dalla stessa perita psichiatrica, ha ricordato la presidente della Corte, la misura stazionaria è atta a scongiurare il rischio di un nuovo passaggio all’atto dovuto alla sindrome delirante di cui il ricorrente è affetto (sentenza, pag. 13 con riferimento alla perizia, ad 3.2 pag. 14). Fallito il trattamento ambulatoriale e ritenuto come la sola pena non sia sufficiente per contenere il rischio di recidiva, senza dovere ricorrere all’ internamento (sussidiario e neppure preso in considerazione dall’esperta) entra dunque in linea di conto – secondo la stessa giudice, previa ponderazione degli interessi in gioco (da una parte il rispetto dei diritti della personalità del soggetto colpito e dall’altra la salvaguardia della sicurezza pubblica, stante l’alto rischio di recidiva) – la misura prevista dall’art. 59 CP (sentenza, pag. 13); misura da eseguire presso il Penitenziario cantonale La Stampa, ritenuto in particolare che l’inserimento del condannato in una comunità di cura, in Ticino e fuori Cantone, in un ospedale, in una casa per anziani o altro, non è attuabile, a causa delle sue difficoltà psichiche e ritenuto che un cambiamento del genere potrebbe finanche comportare problemi di non poco conto al soggetto, se non addirittura un peggioramento della sue già precarie condizioni psichiche (sentenza, pag. 13-14, con riferimento alla perizia giudiziaria, ad 3.3 pag. 14, al referto 13 luglio 2007 del dott. _ e al parere del dott. _ del 5 marzo 2007).
5.
Ripercorrendo le condizioni che devono essere soddisfatte, a norma di legge, per ordinare la misura impugnata, il ricorrente – riconosciuto di avere commesso un crimine o un delitto in connessione con la pretesa turba psichica (art. 59 cpv. 1 lett. a CP) – si diffonde sulle condizioni esatte dall’art. 56 cpv. 3 e 4 CP (allestimento di una perizia da parte di un esperto che non abbia né curato né assistito in alcun modo l’autore), asseverando che se è vero che egli è stato peritato dalla dott. _, psichiatra e psicoterapeuta, che mai si era in precedenza occupata di lui, ciò nulla toglie al fatto che a tutt’oggi manca una valutazione peritale circa il suo attuale stato di salute e la sua carcerabilità presente e futura. La richiesta formulata l’8 gennaio 2008 è infatti rimasta inevasa, come pure inevasa è rimasta la lettera 21 maggio 2008 inviata alla Camera dei ricorsi penali allo scopo, in primo luogo, di sollecitare l’evasione del gravame presentato il 22 febbraio 2008 contro la precedente decisione del Giap. Ora, per tacere del fatto che dall’esposto egli non trae alcuna conclusione, ciò che consentirebbe di dichiarare il gravame al riguardo finanche inammissibile, il ricorrente trascura che la presidente della Corte delle assise criminali non è stata chiamata a decidere se il ricorrente fosse ancora carcerabile; essa doveva per contro stabilire – sulla base della perizia delle dott. _ e degli ulteriori atti del procedimento – se fossero dati gli estremi per ordinare, durante l’esecuzione di pena, la misura del trattamento stazionario ex art. 59 cpv. 1 CP (con conseguente sospensione dell’esecuzione della pena detentiva residua a favore della misura stessa), e ciò dopo avere preso atto del fallimento del trattamento ambulatoriale, cui il soggetto era stato sottoposto con sentenza del 24 agosto 2005 della Corte delle assise criminali. Del resto, il ricorrente solleva un problema che gli esperti chiamati a pronunciarsi sulle sue condizioni psichiche e, quindi, sulla necessità di ordinare, dandosene il caso, la misura prevista dall’art. 59 cpv. 1 CP, hanno di fatto affrontato, specie laddove essi hanno riconosciuto che l’unico luogo possibile per l’esecuzione del trattamento terapeutico in questione è il penitenziario cantonale, un luogo diverso non entrando allo status quo in considerazione (sentenza, pag. 13). E’ ovvio che per spingersi sino a tanto, sia la dott. _ che i dott. _ (sentenza, 14), hanno considerato – e non poteva essere diversamente – anche le condizioni di salute generale del soggetto, riferite tra l’altro alla sua età avanzata. Ne discende perciò la reiezione del ricorso su questo punto.
6.
Sempre per quanto riguarda il requisito, secondo cui l’autore del reato deve essere affetto da grave turba psichica (art. 59 cpv. 1 CP), il ricorrente contesta che la turba psichica di cui soffre possa essere qualificata grave in termini giuridici; basti solo ricordare, egli obietta, come la Corte delle assise criminali, con sentenza del 24 agosto 2005, ha riconosciuto a suo favore una scemata responsabilità di grado medio e non grave. L’argomento si rivela tuttavia del tutto privo di pregio, ove si considerino le tassative conclusioni – illustrate di volta in volta nella sentenza impugnata, alle quale si rinvia – cui gli specialisti che hanno visitato l’accusato sono giunti, sottolineando per finire come il paziente sia tuttora afflitto da una grave turba psichica, definibile come sindrome delirante persistente. Soggiunge il ricorrente che qualora si dovesse condividere l’opinione della prima giudice, al punto da giustificare una misura terapeutica stazionaria giusta l’art. 59 CP, allora bisognerebbe chiedersi se non siano dati i motivi per un revisione dell’allora sentenza di condanna, laddove si doveva riconoscergli una scemata responsabilità grave e non soltanto media. Sennonché, per tacere del fatto che non è compito di questa Corte rispondere a interrogativi del genere, che peraltro esulano dal tema del contendere, il ricorrente trascura che la contestata misura terapeutica è stata ordinata a seguito del concreto rischio di recidiva, connesso con la nota turba psichica, che il trattamento ambulatoriale, a suo tempo ordinato dalla Corte delle assise criminali proprio in considerazione di questa circostanza, non ha in alcun modo eliminato; tanto da richiedere un intervento più marcato, ossia la misura prevista dall’art. 59 cpv. 1 CP. Al ricorrente va comunque ricordato che nel corso del procedimento che ha portato all’emanazione dell’impugnato provvedimento, non è stato accertato un grado di scemata responsabilità diverso da quello stabilito dalla Corte delle assise criminali, ma solo la persistenza, per certi versi ancora più rimarcata, di un concreto rischio di recidiva sanzionabile questa volta solo con la misura stazionaria, intesa come intervento volto a scongiurare il rischio di un nuovo passaggio all’atto (criminale) dovuto alla sindrome delirante, di cui il ricorrente è affetto, ritenuto che la pena non sia sufficiente per contenere tale concreto pericolo (sentenza, pag. 13). Sprovvisto di buon diritto, il ricorso è perciò destinato una volta di più all’insuccesso.
7.
Premesso che per ordinare la misura in rassegna deve sussistere un bisogno di trattamento dell’autore o un imperativo dettame di sicurezza pubblica, il ricorrente ricorda di essere persona anziana, con seri problemi respiratori e cardiovascolari e di costituzione minuta. Se la sua mano non è armata, egli puntualizza, non è in grado di fare male a un moscerino. È perciò assolutamente esagerato, conclude il ricorrente, affermare che egli costituisce una seria e concreta minaccia alla sicurezza pubblica; si volesse ammettere questo pericolo, egli osserva, tutti i carcerati, ma non solo loro, dovrebbero essere parimenti sottoposti a trattamento stazionario, se non addirittura a un internamento. D’altronde, obietta il ricorrente, lo stesso dott. _ ha affermato che per serio pericolo per la sicurezza pubblica bisogna intendere sostanzialmente il pericolo di recidiva nella misura in cui il peritando avrà a sviluppare un ulteriore delirio. Dunque, nessun asserito pericolo per la sicurezza pubblica, ma un semplice pericolo di recidiva, pericolo che evidentemente non può essere sufficiente per giustificare una limitazione alla libertà personale, come quella qui contestata. Con argomentazioni del genere, che ricordano il pensiero sofista, il ricorrente si propone di contestare l’evidenza, ossia che la misura stazionaria ordinata dalla prima giudice è da mettere in relazione al rischio di recidiva (riferito al rischio di commissione di nuovi reati) rilevato in modo concorde da tutti i medici (sentenza, pag. 12), indubbiamente connesso con la sua patologia, tuttora presente (sentenza, pag. 11, ove si fa anche riferimento al fatto che basta poco, ad esempio uno sgarbo, per fare esplodere l’accusato, non solo nei confronti del suo storico nemico, il vicino di casa _, ma anche dei suoi stessi famigliari). Certo, come sottolineato nel ricorso, l’accusato è persona anziana e, così pare, di costituzione minuta ed è affetto da altri problemi di salute, ciò che potrebbe far ritenere meno evidente il compimento di atti violenti da parte sua. Sennonché, la prima giudice non ha trascurato il problema, rilevando che pur avendo considerato che la possibilità di passare all’atto è in qualche modo affievolita dall’età biologica e dalle condizioni fisiche non buone del soggetto, la perita giudiziaria non ha però mutato la sua conclusione, secondo cui il concreto pericolo di recidiva connesso con la nota patologia persiste concretamente ancora (sentenza, pag. 12). Ancora una volta il rimedio è perciò votato all’insuccesso. Allega dipoi il ricorrente che nessun pericolo di recidiva sussiste, nemmeno nei confronti del vicino di casa, ove si ponderino le sue rassicuranti dichiarazioni rilasciate al Giudice dell’applicazione della pena nel corso dell’udienza del 22 agosto 2008. Anche in questo caso la presidente della Corte delle assise criminali ha però affrontato questo argomento, stabilendo per finire che quanto dichiarato al riguardo dal soggetto con affermazioni di per sé rassicuranti (nessun rancore nei confronti del vicino e assicurazione di rivolgersi alla polizia in caso di problemi futuri con lo stesso vicino), in realtà lascia il tempo che trova, dato che se raffrontate con tutte le altre fatte ai diversi medici curanti e al Giudice dell’applicazione della pena straordinario nel corso dell’audizione del 18 giugno 2007, tali dichiarazioni assumono valenza strumentale. Orbene, perché tale convincimento non è condivisibile il ricorrente nemmeno cerca di spiegare, reiterando nel ricordare la sua minuta costituzione fisica e le sue precarie condizioni fisiche, argomento che tuttavia, come visto, si rivela infruttuoso alla luce delle perizie, rispettivamente dei rapporti medici in atti. Ardita è dipoi la tesi del ricorrente, secondo cui per finire non si può nemmeno parlare di pericolo per la sicurezza pubblica, visto che in fin dei conti l’eventuale pericolo astratto è rivolto semmai nei confronti di una sola e singola persona, perfettamente individualizzabile e individualizzata, per cui tale pericolo astratto non può essere giuridicamente qualificato come possibile pericolo di recidiva e, ancora meno, come pericolo per la sicurezza pubblica. Ora, a prescindere dal fatto che, stando a quanto accertato in sentenza, l’accusato mette in pericolo anche la sicurezza delle persone della sua cerchia famigliare, relativizzare la portata dell’art. 59 CP banalizzando il proprio potenziale pericoloso comportamento, ossia affermando che in fin dei conti soltanto una persona potrebbe essere toccata dal concreto rischio di recidiva connesso con la sua turba psichica, non è serio. Non può che discenderne la reiezione del rimedio. Volutamente, conclude il ricorrente, si sorvola sull’asserito pericolo che egli potrebbe costituire per i suoi famigliari, le affermazioni del dott. _ contenute nel suo rapporto 5 marzo 2007 e riprese sia dalla dott. _, sia dalla presidente della Corte delle assise criminali, costituendo mere congetture, fondate su supposizioni. Il ricorrente si chiede inoltre per quale ragione egli dovrebbe fare del male alla moglie o alle figlie del vicino. Di certo, aggiunge, non per le fantasiose, assurde, voci di una tresca che potrebbero essere state diffuse ad arte proprio da chi non vuole il rientro del condannato al proprio domicilio. Sennonché – per tacere del fatto che nell’obiettare che la Corte si è fondata al riguardo su congetture, il ricorrente contrappone a sua volta congetture e meri interrogativi – il rimedio si esaurisce in una dichiarazione di principio, senza concludere alcunché, visto che per finire lo stesso ricorrente si è proposto di addirittura sorvolare sulla specifica questione (ricorso, pag. 7). Del resto, il dott. _, che si è occupato del caso in quanto chiamato a esprimersi nell’ambito dell’istruzione dell’istanza di liberazione condizionale presentato dal condannato, è comunque stato categorico al riguardo, asserendo – con cognizione di causa – che anche la moglie del ricorrente è in parte coinvolta nel delirio (sentenza, pag. 10). È vero che egli non è stato categorico sui motivi che lo avrebbero spinto a una diagnosi del genere, adombrando che il ricorrente alludeva, magari, a una tresca amorosa quando l’ha sospettata di avere ordito qualche cosa (sentenza, pag. 10). E’ però innegabile che lo psichiatra non ha avuto dubbi sul fatto che anche la moglie fosse coinvolta nel delirio del peritando.
8.
Pur riconoscendo che è incontestabile che una misura terapeutica stazionaria abbia anche un effetto preventivo, il ricorrente assevera che il discorso è però diverso qualora le considerazioni teoriche lasciano spazio a valutazioni pratiche. Al riguardo, allega il ricorrente, non va trascurato che è la stessa perita giudiziaria ad affermare nel proprio referto, ove ha anche ripreso la perizia del dott. _, che il peritando si è sottratto alle cure sia psicologiche che somatiche, con la conseguenza che non si è potuto incidere sulla patologia con la terapia; con il che, egli rileva, la misura terapeutica ambulatoriale non trova più senso, tanto più che le prospettive di successo sono scarse per ciò che attiene alla patologia psichiatrica (perizia, pag. 13). Orbene, obietta il ricorrente, se il disturbo delirante di cui egli soffre non è sensibile alle terapie, non si vede cosa potrebbe apportare in più un regime di cure sedentarie per rispetto a quella ambulatoriale. In realtà – sostiene il ricorrente – non potrebbe apportare nulla in più, ove si consideri che la prevista nuova terapia avrebbe luogo nello stesso istituto (penitenziario cantonale), dove hanno avuto luogo le terapie ambulatoriali. Con tale argomento il ricorrente dimentica però che la misura in rassegna, di natura diversa da quella allora disposta dalla Corte delle assise criminali, è stata ordinata – con il pieno avvallo dei medici che si sono occupati del caso – proprio per ovviare al concreto rischio di recidiva, che la precedente misura (trattamento ambulatoriale) non era riuscita a contenere (senza dovere ricorrere alla ben drastica misura dell’internamento), e per la necessità di una adeguata presa a carico di tipo psichiatrico del soggetto (sentenza, pag. 13). Certo, applicando alla fattispecie l’art. 59 CP su rinvio dell’art. 65 cpv. 1 CP, la prima giudice – ovviamente – non ha dato per scontato che la contestata misura condurrà sicuramente alla definitiva eliminazione delle turbe psichiche di cui l’accusato è afflitto; nondimeno la stessa giudice – fondandosi sui pareri medici in atti – ha comunque puntualizzato che si tratta della misura più indicata e nel contempo meno gravosa, trattandosi di una misura cosiddetta “migliorativa” nel senso che “la conseguente limitazione della libertà, anche nei casi in cui non eccede i limiti della pena corrispondente alla colpa, è nell’interesse dell’autore stesso” e dove determinante è, in primo luogo, il bisogno di trattamento (sentenza, pag. 13). Per tacere del fatto che adombrando che la prospettata misura sarebbe destinata anche essa all’insuccesso (con implicito rischio di perdurante recidiva), il ricorrente sfiora l’autolesionismo, ove si consideri che egli di fatto anticipa lo scenario non solo dell’ulteriore mantenimento dello status quo (art. 59 cpv. 4 CP), ma finanche, per certi versi, dell’internamento. Manifestamente infondato, anche su questo punto il ricorso non merita miglior sorte.
9.
Riferendosi al requisito relativo alla disponibilità di una struttura adeguata, ove attuare la misura terapeutica stazionaria, il ricorrente ritiene che non si può assolutamente affermare che il penitenziario cantonale soddisfi tale condizione. Egli trascura però che la prima giudice, premesso che tutti i periti hanno indicato la citata struttura carceraria come il solo luogo ove praticare la misura (sentenza, pag. 13-14), ha ritenuto, contrariamente alla sua opinione, che presso lo stesso istituto di pena è possibile organizzare l’integrale sua presa a carico, sia dal punto di vista somatico, sia da quello psichiatrico (sentenza, pag. 14). Perché tale accertamento non sarebbe condivisibile, il ricorrente non dimostra. Per il resto si rinvia alle pertinenti considerazioni esposte dal Giudice dell’applicazione delle pena nel considerando n. 4 della sentenza 15 febbraio 2008, annullata dalla Camera dei ricorsi penali per difetto di competenza, ma senz’altro corretta nelle motivazioni, confermate poi giustamente, di fatto, dalla presidente della Corte delle assise criminali nella decisione impugnata.
10.
Il ricorrente reitera nel sostenere che l’asserita sua pericolosità è circoscritta a situazioni estremamente limitate, ciò che esclude che egli possa costituire un pericolo sociale. Ancora una volta il ricorrente si contrappone, con argomenti infruttuosi, alle conclusioni dei medici, che hanno categoricamente riconosciuto il rischio di un nuovo passaggio all’atto dovuto alla sindrome delirante di cui il condannato è effetto (sentenza, pag. 13). Afferma dipoi il ricorrente che la misura può essere pronunciata se la connessa ingerenza nei diritti della personalità dell’autore non sia sproporzionata per rispetto alla probabilità e alla gravità di nuovi reati; presupposto – secondo lo stesso ricorrente – non soddisfatto nella fattispecie (art. 56 cpv. 2 CP). Nel motivare l’asserto, il ricorrente o ripropone in buona sostanza gli argomenti fatti valere senza successo nei considerandi che precedono o si avvale di ulteriori spunti inadatti allo scopo, rispettivamente, in ogni modo, non suscettibili di scalfire le pertinenti considerazioni espresse al riguardo dalla prima giudice, alle quali si rinvia (sentenza, pag. 13). Assevera infine il ricorrente che sarebbe comunque possibile evitare ogni rischio di recidiva semplicemente adottando un provvedimento quale la messa sotto tutela, accompagnata dal proseguo della terapia ambulatoriale, il tutto in applicazione del principio secondo cui se più misure si rivelano adeguate, il giudice deve ordinare quella meno gravosa. L’argomento non è di giovamento. Già si è infatti visto che, unanimemente, tutti i medici hanno indicato nell’art. 59 cpv. 1 CP la sola via percorribile nella fattispecie. Non vi è perciò motivo per vagliare ulteriormente il ricorso su questo punto.
11.
Il ricorrente fa carico alla prima giudice di avere decretato la sospensione della pena detentiva attualmente in fase di espiazione, a favore dell’esecuzione stazionaria della misura terapeutica. In realtà, egli obietta, una misura terapeutica stazionaria non sospende l’esecuzione della pena, ma la sostituisce, come d’altronde riportato nel Messaggio concernente la modifica del codi
ce penale svizzero, riferito all’art. 43 n. 3 cpv. 3 vCP (FF 1999, pag. 1776). La misura ordinata dalla presidente della Corte delle assise criminali, se confermata, va quindi a sostituire l’esecuzione della pena, non a sospenderla. L’argomento si rileva privo di pregio, poiché il ricorrente sorvola che il legislatore ha risolto la questione diversamente, stabilendo espressamente che in caso di introduzione della misura terapeutica stazionaria secondo gli art. 59-61 CP durante l’esecuzione della pena, l’esecuzione della pena residua stessa è
sospesa
(art. 65 cpv. 1 ultimo periodo). Anche in questo caso la presidente della Corte delle assise criminali ha perciò statuito correttamente. Quanto alle considerazioni di cui al punto 8 del ricorso e riferite alle precarie condizioni di salute (fisica) del ricorrente, esse esulano dal tema, limitato alla questione a sapere se sussistono le condizioni per ordinare una misura terapeutica stazionaria ai sensi dell’art 59 cpv. 1 CP in connessione con l’art. 65 cpv. 1 CP. Va comunque ricordato che – stando alla sentenza impugnata – il penitenziario cantonale offre sufficienti garanzie per la presa a carico del soggetto anche per quanto riguarda i disturbi fisici di cui egli soffre (sentenza, pag. 14 in fondo). Data la chiarezza della fattispecie, non vi è nessun motivo per aderire alla richiesta volta all’allestimento di una perizia sulle attuali condizioni di salute del ricorrente (ricorso, pag. 14).
12.
Da quanto precede, ne discende la reiezione del ricorso. Gli oneri processuali dovrebbero seguire la soccombenza, ossia essere posti a carico del ricorrente (art. 15 cpv. 1 in combinazione con l’art 9 cpv. 1 CPP). Data la particolarità della fattispecie, si rinuncia tuttavia a ogni prelievo. | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,008 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
91c5ad44-1d15-53be-9c68-be30590a12e5 | in fatto ed in diritto
1.
In data 16.9.2010 il procuratore pubblico Nicola Respini ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale PI 1 siccome ritenuto colpevole di contravvenzione alla LF concernente le lotterie e le scommesse professionalmente organizzate
"
per avere, a _, nel periodo _ sino al _ presso lo stabile _ _ _ a _, in modo professionale tramite un computer collegato alla rete internet, rilasciando agli avventori le ricevute sulle scommesse online in ambito sportivo, pagando loro le eventuali vincite, agendo pertanto in modo professionale, concluso, negoziato e/o fornito l’occasione di concludere scommesse proibite traendo un profitto pari al 5/8% delle giocate complessive, conseguendo un guadagno complessivo di almeno ca. fr. 6/7'000.--
", proponendo la sua condanna alla multa di CHF 4'000.-- e al pagamento della tassa di giustizia e delle spese (DA _ – inc. MP _).
Il surriferito decreto di accusa è cresciuto in giudicato il 18.10.2010.
2.
Con la presente istanza – completata il 26/30.11.2010 su richiesta 24.11.2010 di questa Corte – l’Ufficio del sostegno sociale e dell’inserimento, richiamando gli art. 36 Las e 26 Laps, chiede di poter accedere agli atti del surriferito incarto penale inerente a PI 1, che beneficia di prestazioni assistenziali dal mese di novembre 2005, allo scopo di appurare se abbia percepito indebitamente delle prestazioni conseguendo degli introiti non dichiarati.
Come esposto in entrata, PI 1 non si è opposto alla richiesta.
3.
Per quanto attiene al diritto applicabile, giusta l’art. 448 cpv. 1 CPP in vigore dal 1°.1.2011, i procedimenti pendenti al momento dell’entrata in vigore del CPP sono continuati secondo il nuovo diritto, in quanto le disposizioni di cui agli art. 450 CPP ss. non prevedano altrimenti. Gli atti procedurali disposti o eseguiti prima dell’entrata in vigore del CPP mantengono la loro validità (art. 448 cpv. 2 CPP).
A norma dell’art. 449 cpv. 1 CPP
i procedimenti pendenti al momento dell’entrata in vigore del CPP sono continuati dalle autorità competenti in virtù del nuovo diritto, in quanto le disposizioni di cui agli art. 450 CPP ss. non prevedano altrimenti.
4.
Il previgente art. 27 del Codice di procedura penale ticinese (CPP/TI), in vigore dall’1.1.1996 fino al 31.12.2010, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabiliva che:
"
Oltre ai casi previsti dal presente codice, la Camera dei ricorsi penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti. La Camera dei ricorsi penali fissa le modalità dell’ispezione
"
.
Dal 1°.1.2011 l’esame degli atti inerente a procedimenti penali pendenti è regolato dagli articoli 101 e 102 CPP (BSK StPO – M. SCHMUTZ, Basilea 2011, n. 4 ad art. 101 CPP). Il diritto di esaminare gli atti spetta alle parti [101 cpv. 1 e 107 cpv. 1 lit. a CPP, tra cui figurano l’imputato, l’accusatore privato, il pubblico ministero nella procedura dibattimentale e in quella di ricorso (art. 104 cpv. 1 CPP) e le autorità cui la Confederazione o i Cantoni hanno conferito pieni o limitati diritti di parte (art. 104 cpv. 2 CPP)], agli altri partecipanti al procedimento (105 cpv. 1 e cpv. 2 CPP), alle altre autorità (art. 101 cpv. 2 e 194 cpv. 1 e 2 CPP) e a terzi (art. 101 cpv. 3 CPP), e ciò evidentemente a determinate condizioni (cfr., nel dettaglio, BSK StPO – M. SCHMUTZ, op. cit., n. 5 ss. ad art. 101 CPP).
Giusta l’art. 102 cpv. 1 CPP chi dirige il procedimento (cfr., al proposito, art. 61 CPP) decide in merito all’esame degli atti.
Per contro, per quanto concerne l’esame di procedimenti penali conclusi (come nella fattispecie in esame), il CPP non prevede un’espressa norma.
A livello cantonale l’art. 62 cpv. 4 LOG, in vigore dall’1°.1.2011, prevede che:
"
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
", riprendendo, in sostanza, quanto sancito dall’art. 27 CPP/TI.
5.
Nel caso in esame – ritenuti i motivi addotti dall’autorità istante nella sua richiesta e la finalità per cui è chiesta la compulsazione degli atti, considerati inoltre gli art. 26 Laps (restituzione di prestazioni indebitamente percepite) e 36 Las (prestazioni ottenute indebitamente) – si deve ammettere l’esistenza di un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG dell’Ufficio istante, che prevale sui diritti personali di PI 1 (il quale, come esposto, non si è opposto alla richiesta).
Gli atti di cui all’incarto penale MP _ potrebbero essere utili all’Ufficio istante, avendo il magistrato inquirente stabilito che PI 1, nel periodo compreso tra l’_ e il _, ha conseguito un guadagno complessivo di almeno circa CHF 6'000.--/7'000.-- (inc. MP _).
In siffatte circostanze, questa Corte autorizza un rappresentante dell’Ufficio istante ad accedere all’intero incarto penale MP _ presso il Ministero pubblico, concordando i tempi di accesso con il procuratore pubblico Nicola Respini, compatibilmente con i suoi impegni.
Il rappresentante è, se necessario, autorizzato a fotocopiare esclusivamente i documenti utili ai fini delle sue incombenze.
6.
L’istanza è accolta ai sensi del surriferito considerando. Non si prelevano tassa di giustizia e spese, in considerazione della natura dell’istante, della Laps e della Las. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,011 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
91cf7cf2-928c-541d-a026-95b123e1a3e7 | ritenuto che, in considerazione dei motivi a fondamento del giudizio, non sono state chieste osservazioni;
letti ed esaminati gli atti;
considerato
in fatto
a
. Con decreto 13.12.2012 il magistrato inquirente ha posto RE 1 in stato di accusa davanti alla Corte delle assise correzionali di _ siccome ritenuto colpevole di guida senza autorizzazione (art. 95 cpv. 1 lit. a LCStr) “
per aver condotto il motoveicolo _ targato _ senza essere titolare della licenza di condurre richiesta
”, fatti avvenuti a _ il 19.10.2012.
Ha proposto la condanna dell’imputato alla pena pecuniaria di CHF 7'200.-- (120 aliquote giornaliere da CHF 60.--/aliquota) e al pagamento della tassa di giustizia e delle spese (a valere quale pena unica in applicazione dell’art. 46 cpv. 1 seconda frase CP, richiamato il decreto di accusa 17.6.2009) [DAC _].
b
. Con scritto 4.1.2013 RE 1 si è opposto al decreto di accusa.
c
.
Con decisione 9.1.2013 il procuratore pubblico ha dichiarato tardiva l’opposizione presentata contro il decreto di accusa: esso era stato regolarmente notificato in applicazione dell’art. 85 CPP.
Ha aggiunto che il decreto di accusa era cresciuto in giudicato e che era divenuto esecutivo. Ha indicato che la pronuncia poteva essere impugnata con reclamo. Ha segnalato la facoltà di inoltrare un’istanza motivata di restituzione dei termini al Tribunale penale cantonale, con riferimento all’art. 94 CPP ed alla sentenza 29.10.2012 di questa Corte in re R.C. (inc. 60.2012.348).
d
. Con impugnativa 17/18.1.2013 RE 1 si aggrava contro la predetta decisione del magistrato inquirente: non avrebbe avuto la possibilità di ritirare la raccomandata; il foglio di ritiro della medesima si sarebbe verosimilmente mischiato con la pubblicità.
Delle ulteriori argomentazioni si dirà, se necessario, in seguito. | in diritto
1
. 1.1.
Giusta l’art. 393 cpv. 1 lit. a CPP il reclamo può essere interposto, nel termine di dieci giorni, contro le decisioni e gli atti procedurali della polizia, del pubblico ministero e delle autorità penali delle contravvenzioni, eccettuati i casi in cui è espressamente escluso dal Codice o quando è prevista un’altra impugnativa.
Con il gravame, da introdurre davanti alla giurisdizione di reclamo (art. 20 cpv. 1 lit. b CPP), ovvero – in Ticino – alla Corte dei reclami penali (art. 62 cpv. 2 LOG), si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l’eccesso e l’abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l’accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e l’inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta ed all’art. 385 CPP per la motivazione.
Esso deve indicare – in particolare – i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP).
La prevalenza dei principi della verità materiale e della legalità impone alla giurisdizione di reclamo, investita di un gravame, di decidere indipendentemente dalle conclusioni o dalle motivazioni addotte dalle parti, applicando il diritto penale, che deve imporsi d’ufficio (Commentario CPP – M. MINI, art. 391 CPP n. 2).
1.2.
1.2.1.
Il gravame – inoltrato il 17/18.1.2013 contro la decisione 9.1.2013 del procuratore pubblico, che ha dichiarato tardiva l’opposizione al decreto di accusa – è tempestivo, siccome presentato nel termine di dieci giorni di cui all’art. 396 cpv. 1 CPP.
1.2.2.
Per quanto riguarda la proponibilità del reclamo, si deve ricordare che il solo rimedio processuale ammesso avverso un decreto di accusa è l’opposizione a’ sensi dell’art. 354 CPP, che invero non è un rimedio di diritto
stricto sensu
, ma consente unicamente di avviare il procedimento giudiziario nel quale si stabilirà se le imputazioni figuranti nel decreto di accusa sono giustificate (messaggio 21.12.2005
concernente l’unificazione del diritto processuale penale, p. 1194; BSK StPO – F. RIKLIN, art. 354 CPP n. 4;
N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 354 CPP n. 1
).
Il CPP esclude perciò la possibilità di presentare reclamo nei confronti di un decreto di accusa,
e questo anche nell’ipotesi in cui siano contestate l’ammissibilità e la ritualità del decreto di accusa e della relativa procedura oppure la competenza del procuratore pubblico (
Commentario CPP – P. BERNASCONI, art. 354 CPP n. 1; ZK StPO – C. SCHWARZENEGGER, art. 354 CPP n. 1; N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 354 CPP n. 1).
Una decisione prolata da un’autorità incompetente è tuttavia nulla, da constatarsi d’ufficio, in qualsiasi momento, da qualsiasi autorità giudicante (decisione TF 6B_339/2012 dell’11.10.2012 consid. 1.2.1.), potendo anche essere constatata nell’ambito di una procedura di ricorso (decisione BB.2012.45 del 9.5.2012, p. 3, della Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale).
Ora, con la decisione qui impugnata il magistrato inquirente ha implicitamente ammesso la sua competenza ad esprimersi sulla tempestività dell’opposizione, che – come si dirà – non era data.
Ne discende che questa Corte può pronunciarsi sul gravame 17/18.1.2013 interposto da RE 1. Esso è proponibile.
1.2.3.
Le esigenze di forma e motivazione del reclamo sono rispettate.
RE 1, quale imputato che vuole opporsi al decreto di accusa emanato a suo carico, è pacificamente legittimato a reclamare giusta l’art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica del giudizio che ha dichiarato tardiva l’opposizione interposta al decreto di accusa.
1.3.
Il reclamo è quindi nelle predette circostanze ricevibile in ordine.
2
. 2.1.
2.1.1.
La procedura del decreto di accusa è disciplinata agli art. 352 ss. CPP.
Il decreto di accusa – il cui contenuto è codificato nell’art. 353 CPP – può essere impugnato entro dieci giorni con opposizione scritta al pubblico ministero da: a. l’imputato; b. altri diretti interessati; c. il pubblico ministero superiore o generale della Confederazione o del Cantone nel rispettivo procedimento federale o cantonale (art. 354 cpv. 1 CPP). Ad eccezione di quella dell’imputato, l’opposizione deve essere motivata (art. 354 cpv. 2 CPP). Se non vi è valida opposizione, il decreto di accusa diviene sentenza passata in giudicato (art. 354 cpv. 3 CPP).
Se è fatta opposizione, il caso passa nuovamente nelle mani del pubblico ministero (messaggio 21.12.2005
concernente l’unificazione del diritto processuale penale, p. 1194; BSK StPO – F. RIKLIN, art. 355 CPP n. 1), che
assume le ulteriori prove necessarie al giudizio sull’opposizione medesima (art. 355 cpv. 1 CPP). Una volta assunte le prove, il pubblico ministero decide se: a. confermare il decreto di accusa; b. abbandonare il procedimento; c. emettere un nuovo decreto di accusa; d. promuovere l’accusa presso il tribunale di primo grado (art. 355 cpv. 3 CPP).
2.1.2.
Se decide di confermare il decreto di accusa, il pubblico ministero trasmette senza indugio gli atti al tribunale di primo grado affinché svolga la procedura dibattimentale; in tal caso, il decreto di accusa è considerato atto di accusa (art. 356 cpv. 1 CPP).
Secondo l’art. 356 cpv. 2 CPP il tribunale di primo grado statuisce sulla validità del decreto di accusa e dell’opposizione.
Competente a pronunciarsi, segnatamente, sulla tardività dell’opposizione è dunque il tribunale di primo grado, non il procuratore pubblico (N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 356 CPP n. 3; BSK StPO – F. RIKLIN, art. 354 CPP n. 17 e art. 356 CPP n. 2; ZK StPO – C. SCHWARZENEGGER, art. 356 CPP n. 2).
La decisione del tribunale di primo grado è impugnabile, ex art. 393 ss. CPP, alla giurisdizione di reclamo (N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 356 CPP n. 3; BSK StPO – F. RIKLIN, art. 356 CPP n. 2; ZK StPO – C. SCHWARZENEGGER, art. 356 CPP n. 2; decisioni di questa Corte 8.7.2011, inc. 60.2011.175; 18.10.2011, inc. 60.2011.309; 18.10.2011, inc. 60.2011.310).
2.2.
Il magistrato inquirente, a cui era indirizzata l’opposizione 4.1.2013, con decisione 9.1.2013 l’ha dichiarata irricevibile.
Soltanto il tribunale di primo grado, ovvero – in concreto – la Corte delle assise correzionali, non il procuratore pubblico, era tuttavia competente per pronunciarsi, secondo l’art. 356 cpv. 2 CPP, sulla tardività dell’opposizione al decreto di accusa (decisione 29.10.2012 di questa Corte in re R.C., inc. 60.2012.348).
Il magistrato inquirente avrebbe pertanto dovuto trasmettere l’opposizione alla competente Corte delle assise correzionali.
Ha di conseguenza deciso a torto sulla validità dell’opposizione: la pronuncia 9.1.2013, prolata da un’autorità non competente, è nulla (decisione TF 6B_339/2012 dell’11.10.2012 consid. 1.2.1.).
2.3.
Il gravame è accolto. Il procuratore pubblico trasmetterà (giusta l’art. 356 cpv. 1 CPP) l’opposizione inoltrata dal reclamante, con gli atti dell’inc. DAC _
, alla Corte delle assise correzionali, competente a giudicare la fattispecie secondo i principi esposti, per esempio, nel giudizio TF 6B_281/2012 del 9.10.2012.
3
. Il reclamo è accolto. Non si prelevano tassa di giustizia e spese. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,013 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
91ecff32-ba95-52b5-847d-6020113cc822 | in fatto: A.
Con decreto di accusa del 2 maggio 2000 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di minaccia nei confronti di _, apostrofata il 26 ottobre 1999 nel seguente modo: “
Se ta do tra al ciar el scür te ga né per tri mes e dopo vedum chi che ta munc i vacc
”. Ne ha pertanto proposto la condanna a una multa di fr. 300.–. Statuendo su opposizione, con sentenza del 13 luglio 2000 il Pretore del Distretto di Riviera ha assolto l'imputato poiché la vittima non era stata né spaventata né intimorita.
B.
Contro il giudizio del Pretore _ ha presentato il
17 luglio 2000 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta, del 4 agosto 2000, essa chiede la condanna di _ per minaccia e la conseguente riforma della sentenza impugnata. Nelle sue osservazioni del 16 agosto 2000 _ propone di respingere il ricorso. Il Procuratore pubblico ha instato invece, il 17 agosto 2000, per l'accoglimento del gravame. | Considerando
in diritto: 1.
Giusta l’art. 180 CP chiunque, usando grave minaccia, incute spavento o timore a una persona, è punito, a querela di parte, con la detenzione o con la multa. La minaccia deve essere tale da compromettere il sentimento di sicurezza della vittima, anche se non occorre che quest’ultima rimanga impietrita per la paura, sconcertata o disperata (
Trechsel
, StGB, Kurzkommentar, 2
a
edizione, pag. 549 , n. 2 e 3 ad art. 180 CP). Sapere se ciò sia il caso non dalla sensibilità individuale della vittima, bensì dalle circostanze in cui è proferita la minaccia e dalla rilevanza del bene minacciato (DTF 99 IV 215 seg., 81 IV 106;
Stratenwerth
, Schweizerisches Strafrecht, Besonderer Teil I, 4
a
edizione, pag. 126 n. 66). Non basta inoltre che la gravità della minaccia sia atta a incutere spavento e timore; essa deve anche avere conseguito tale effetto (
Stratenwerth
, op. cit., pag. 126 n. 67). Soggettivamente è necessaria l’intenzione, che deve estendersi pure agli effetti della minaccia (
Stratenwerth
, op. cit., pag. 127 n. 68).
2.
Il Pretore ha accertato che la frase rivolta dall'accusato alla vittima non aveva suscitato in quest'ultima né spavento né timore. Anzi, stando alle dichiarazioni dell'accusato, non smentite dall'istruttoria dibattimentale, la vittima aveva reagito con atteggiamenti e gesti a loro volta offensivi, ripetuti più volte nei giorni seguenti. Quanto al testimone _, egli ha dichiarato di avere udito l'accusato apostrofare la querelante con la frase incriminata, ma non era stato in grado di constatare alcunché circa gli effetti della minaccia.
3.
La ricorrente rimprovera al primo giudice di avere apprezzato le prove con arbitrio, trascurando elementi atti a dimostrare che la minaccia era grave e aveva incusso in lei spavento e timore. Essa cita atti di vandalismo ai suoi danni perpetrati sin dalla primavera 1999, evoca il clima teso creatosi a seguito di tali fatti, menziona un'aggressione da lei subita, le cui conseguenze sono attestate da certificato medico (act. 4), sottolinea che quel 26 ottobre 1999 le urla del denunciato avevano addirittura attirato l'attenzione di terzi e afferma che lo stesso denunciato aveva riconosciuto di averla minacciata, giustificandosi con il particolare stato d'animo (lettera dell'11 maggio 2000 al Ministero pubblico, act. 7). Se non che, argomentando in tal modo, la ricorrente disconosce i limiti cognitivi della Corte di cassazione e di revisione penale. Gli estremi dell'arbitrio, in effetti, non si ravvisano già qualora la soluzione prospettata nel ricorso appaia più sostenibile o addirittura migliore rispetto a quella accertata dal primo giudice (DTF 125 I 166 consid. 2a, 124 I 247 consid. 5). Per valersi con successo del divieto dell'arbitrio il ricorrente deve dimostrare che il primo giudice ha emanato una decisione manifestamente insostenibile, destituita di fondamento serio e oggettivo o in aperto contrasto con le risultanze degli atti (Rep. 1990 pag. 352 consid. 1, pag. 360 consid. 2.2a; sulla nozione di arbitrio: DTF 125 I 168 consid. 2a, 124 I 316 consid. 5a, 123 I 5 consid. 4a, 121 I 114 consid. 3a, 120 Ia 40 consid. 4b).
4.
Nel caso in esame la ricorrente si limita a sostenere le proprie tesi contrapponendo alle motivazioni del Pretore elementi di fatto in parte nuovi e in parte fondati su deduzioni proprie. Essa contesta la valutazione delle prove contenuta nella sentenza impugnata, in altri termini, come se argomentasse davanti a un'autorità munita di pieno potere cognitivo anche nell'accertamento dei fatti. Ciò è palesemente inammissibile (art. 288 lett. c e 295
cpv. 1 seconda frase CPP). Alla ricorrente incombeva di spiegare come, dove e perché il primo giudice sarebbe incorso, oltre che in presunti errori di valutazione, in sbagli o in mancanze qualificate. In realtà essa non spende una parola per confutare l'accertamento del Pretore secondo cui la frase a lei rivolta non solo non l'aveva spaventata né intimorita, ma anzi l'aveva indotta a reagire con atteggiamenti e gesti anche offensivi, reiterati più volte nei giorni seguenti. Del resto gli elementi invocati nel ricorso non sono atti a sostanziare il preteso arbitrio. Intanto non è provato che l'autore degli asseriti danneggiamenti fosse il denunciato. Che poi il teste _ abbia udito la frase incriminata non è determinante, non essendo egli stato in grado di riferire sugli effetti sortiti dalla frase. Quanto al certificato medico agli atti (act. 4), esso attesta che la ricorrente ha sofferto di una ferita lacero-contusa al gomito del braccio destro, dovuta secondo la paziente al fatto di essersi dovuta riparare dal lancio di una pietra, ma non specifica chi fosse l'autore del lancio. Per quel che è infine della lettera indirizzata al Ministero pubblico (act. 7), il denunciato ammette solo di avere proferito la frase riportata nel decreto di accusa e nient'altro Carente di motivazione idonea per suffragare il preteso arbitrio, il gravame si rivela pertanto irricevibile.
5.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 e 9 cpv. 1 CPP). La ricorrente rifonderà inoltre alla controparte, che ha presentato osservazioni al ricorso tramite un legale, un'equa indennità per ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,000 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
923b34ee-eb52-5118-b7e7-6ae5c5ad14a7 | in fatto ed in diritto
che a seguito di quanto accaduto il 12.10.2012, in territorio di _, sull’autostrada _
, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale (inc. MP _) sfociato nel decreto di accusa 10.12.2012, mediante il quale il procuratore pubblico Antonio Perugini ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale IS 1 siccome ritenuto colpevole di grave infrazione alle norme della circolazione ed ha proposto la sua condanna alla pena pecuniaria di 60 aliquote da CHF 70.-- cadauna (corrispondenti a complessivi CHF 4'200.--), sospesa condizionalmente per un periodo di prova di tre anni, alla multa di CHF 1'500.--, al pagamento della tassa di giustizia e delle spese, e meglio come descritto nel DA _;
che il citato decreto è passato in giudicato il 10.01.2013;
che con la presente istanza – anticipata via fax – l’avv. PR 1 chiede, in nome e per conto del suo assistito IS 1, di poter accedere agli atti del suddetto incarto penale, essendo il 15.04.2013 stata emanata una decisione amministrativa a carico del suo cliente;
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare il procuratore pubblico per formulare eventuali osservazioni, essendo il qui istante stato parte (in qualità di imputato) al procedimento penale sfociato nel DA _ (passato in giudicato);
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di imputato) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 rispettivamente del suo patrocinatore giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad accedere all’incarto penale sfociato nel DA _ rispettivamente ad ottenere la trasmissione, in copia, degli atti istruttori dello stesso, ovverossia del rapporto di costatazione per eccesso di velocità del 12.10.2012 e della documentazione ivi annessa, nonché del decreto di accusa 10.12.2012 (DA _), poiché il procedimento penale nel frattempo archiviato ha interessato il qui istante personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che il suo patrocinatore necessita della documentazione in questione nell’ambito del procedimento amministrativo avviato nei confronti del suo assistito;
che di conseguenza la documentazione richiesta viene trasmessa, in copia, al patrocinatore di IS 1 unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stato parte al procedimento penale nel frattempo archiviato. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,013 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
926bb3ac-2bcd-5d62-bcc5-3663a7c861a4 | in fatto ed in diritto
che con scritto 3/6.05.2013 – a valere quale istanza ex art. 62 cpv. 4 LOG – la IS 1 postula la trasmissione di tutti gli incarti penali riguardanti la persona di PI 2, essendo stati richiamati, con il consenso del pretore aggiunto e delle parti, ai fini dell’istruttoria della causa civile di cui all’incarto _;
che a sostegno della sua richiesta il pretore aggiunto precisa che tra _ e lo stesso PI 2 è pendente presso la Pretura istante una procedura di divorzio unilaterale avente quale oggetto litigioso, tra l’altro, la questione della capacità del padre PI 2 di esercitare convenientemente il diritto di visita sul figlio _ (_), nonché la valutazione del bene e dello sviluppo armonioso del minore;
che il pretore aggiunto ha inoltre prodotto uno scritto datato 25.04.2013 dell’avv. _, patrocinatore di _, in cui sono state riassunte le motivazioni che stanno alla base della presente istanza (cfr., al proposito, doc. 1.a, alla cui lettura si rimanda per brevità);
che su richiesta 7.05.2013 di questa Corte, il 21.05.2013 il Ministero pubblico ha trasmesso a questa Corte diciassette incarti penali riguardanti PI 2, ovverossia gli incarti DAC _, DAC _, DAC _, DAP _, DAP _, DAP _, DAP _, DA _, DA _, DA _, DA _, DA _, DA _, ABB _, ABB _, ABB _ e NLP _;
che il Ministero pubblico ha al riguardo precisato che gli incarti ABB _, ABB _ (entrambi sfociati in un ABB) e l’incarto DAP _ (sfociato in un DA) non sono stati reperiti in alcun archivio;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha nella sostanza ripreso il testo del previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che come ricordato dalla prassi di questa Corte, in caso di richiesta da parte di autorità giudiziarie tendente ad ottenere documenti di un incarto penale, la giurisprudenza ammette la richiesta se: (i) si riferisce a procedimenti ancora pendenti presso l'autorità richiedente; (ii) è compatibile con il codice di rito applicabile a quel procedimento; (iii) è formulata dal titolare dell’autorità giudiziaria richiedente; inoltre deve essere dato un legame di pertinenza dell’incarto richiamato con quello richiamante;
che nella fattispecie in esame appare data una connessione tra la procedura di divorzio unilaterale pendente presso la Pretura istante e i procedimenti penali di cui agli incarti penali DAC _, DAC _, DAC _, DAP _, DAP _, DAP _, DAP _, DA _, DA _, DA _, DA _, DA _, DA _, ABB _, ABB _, ABB _ e NLP _, nel frattempo archiviati, potendo il loro contenuto essere potenzialmente utile per avere un quadro completo della situazione e valutare il rapporto instauratosi tra il padre e il figlio minorenne nell’ottica del bene di quest’ultimo;
che a ciò aggiungasi che, in occasione dell’udienza di dibattimento tenutasi il 18.04.2013 dinanzi alla Pretura istante, PI 2 non si è opposto alla richiesta (cfr., al proposito, istanza 3/6.05.2013, doc. 1);
che in siffatte circostanze è quindi adempiuto un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG;
che di conseguenza gli incarti penali
DAC _, DAC _, DAC _, DAP _, DAP _, DAP _, DAP _, DA _, DA _, DA _, DA _, DA _, DA _, ABB _, ABB _, ABB _ e NLP _ vengono
trasmessi, in originale, alla Pretura istante unitamente alla presente decisione, con l’obbligo di restituirli direttamente al Ministero pubblico, al più tardi, a procedimento civile concluso;
che la tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico della Pretura istante, che a sua volta le addosserà alle parti in base alle norme del CPC. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,013 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
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9280ade8-e38f-5c1a-90c4-be90e7eeda3d | in fatto ed in diritto
che il 6.06.2006 IS 1 aveva sporto denuncia penale nei confronti della moglie PI 2 per le ipotesi di reato di lesioni semplici, truffa, violazione di domicilio, falsità in documenti, conseguimento fraudolento di una falsa attestazione e soppressioni di documento sfociata in un decreto di non luogo a procedere emanato il 24.07.2006 e regolarmente passato in giudicato (NLP _);
che il 23.10.2009 IS 1, per il tramite del suo allora legale avv. _, ha presentato un’istanza di riapertura del procedimento penale ex art. 187 CPP TI limitatamente alle ipotesi di reato di falsità in documenti e di conseguimento fraudolento di una falsa attestazione e sempre a carico di PI 2 sfociato – esperite le informazioni preliminari assunte anche d’ufficio – da un lato nel decreto di non luogo a procedere 9.07.2010 (NLP _) emanato a carico dello stesso denunciante per diverse ipotesi di reato (avverso
il quale non è stata presentata un’istanza di promozione dell’accusa ex art. 186 CPP TI all’allora Camera dei ricorsi penali) e dall’altro lato nel decreto di accusa di medesima data emanato a carico di PI 2 (DA _), passato in giudicato il 19.08.2010, inerente ai reati di ripetuta falsità in documenti e conseguimento fraudolento di una falsa attestazione, e meglio come ivi descritto (AI 32 e AI 33, inc. DA _);
che con la presente istanza –
trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza, a questa Corte
– IS 1, per il tramite del suo patrocinatore avv. PR 1, chiede di poter visionare l’incarto penale DA _;
che a suffragio della sua richiesta il patrocinatore evidenzia che IS 1 lo ha incaricato di valutare la difficile situazione in cui il suo assistito versa attualmente e quella antecedente dalla quale è stata scaturita, allo scopo di poter trovare una soluzione (doc. 1.a);
che, come esposto in entrata, il procuratore pubblico non si è opposto alla richiesta;
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare PI 2, essendo stato il qui istante parte al procedimento penale di cui all’incarto DA _ nel frattempo archiviato in qualità di indiziato rispettivamente di parte civile ai sensi del CPP TI;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (quale indiziato rispettivamente parte civile ai sensi del CPP TI) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo
;
che c
ome ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.3.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti dal qui istante nella sua richiesta e la costante prassi e giurisprudenza di questa Corte – è pacifico l’interesse giuridico legittimo ex art. 62 cpv. 4 LOG da parte di IS 1 (rispettivamente del suo patrocinatore) per poter esaminare gli atti dell’incarto DA _ nel frattempo archiviato, poiché il procedimento penale l’ha interessato personalmente in veste di parte;
che di conseguenza questa Corte autorizza IS 1 rispettivamente il suo patrocinatore, avv. PR 1, ad esaminare, presso il Ministero pubblico di Bellinzona, gli atti dell’incarto DA _, concordando i tempi di accesso con il procuratore pubblico Arturo Garzoni compatibilmente con i suoi impegni;
che il qui istante rispettivamente il suo patrocinatore sono, se del caso, autorizzati a fotocopiare gli atti utili alle loro incombenze;
che l
’istanza è accolta ai sensi delle suddette considerazioni;
che non si prelevano tassa di giustizia e spese, ritenuto che l’istante è già stato parte al procedimento penale nel frattempo archiviato. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,012 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
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92e4240b-432a-57c9-8d44-252b22c1a365 | Con decreto di accusa del 10 dicembre 2002 il Procuratore pubblico ha ritenuto _ autore colpevole di omicidio colposo per avere imprevidentemente cagionato la morte di _, eseguendo la svolta a sinistra su via _ senza scorgere lo scooter in fase di sorpasso. Dopo avere strisciato sull'asfalto per 15–20 m, _ aveva terminato la corsa contro un palo della segnaletica stradale, mentre la motoleggera aveva urtato un muretto ed era rimbalzata contro un'Opel “Omega” regolarmente posteggiata. Con il decreto di accusa il Procuratore pubblico ha ritenuto altresì _ autore colpevole di contravvenzione alla legge federale sugli stupefacenti per avere consumato, nel corso dell’anno antecedente il 17 febbraio 2001, circa 200 g di marijuana acquistati presso negozi di canapai della regione. In applicazione della pena, egli ne ha proposto la condanna a 75 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente, ha ordinato il dissequestro dei veicoli a favore dei detentori e ha rinviato gli eredi della vittima al foro civile per far valere le loro pretese. Al decreto di accusa _ ha sollevato opposizione.
C.
Statuendo sull'opposizione, con sentenza del 7 maggio 2003 il giudice della Pretura penale ha riconosciuto _ autore colpevole di omicidio colposo per i fatti avvenuti la sera del 17 febbraio 2001, ma lo ha prosciolto dall'altro capo d'accusa per intervenuta prescrizione, condannandolo a 40 giorni di detenzione sospesi condizionalmente con un periodo di prova di 2 anni. Contro tale sentenza _ ha inoltrato il 9 maggio 2003 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta, presentata il 4 giugno successivo, egli chiede di essere prosciolto dall'imputazione di omicidio colposo. Il ricorso non è stato oggetto di intimazione. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288 cpv. 1 lett. a e b CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono sindacabili unicamente qualora la sentenza impugnata denoti estremi di arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche erroneo, bensì apertamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 127 I 54 consid. 2b pag. 56, 126 I 168 consid. 3a pag. 170, 125 I 166 consid. 2a pag. 168, 125 II 10 consid. 3a pag. 15) o fondato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di arbitrio. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 128 I 177 consid. 2.1 pag. 182, 273 consid. 2.1 pag. 275, 125 II 129 consid. 5b pag. 134, 125 I 166 consid. 2a pag. 168, 124 I 208 consid. 4a pag. 211).
2.
Il ricorrente contesta le premesse dell'omicidio colposo, sostenendo di non avere violato alcuna norma della circolazione al momento di immettersi in via _. Ora, chiunque per negligenza cagiona la morte di alcuno è punito con la detenzione o con la multa (art. 117 CP). Commette negligenza chi, per imprevidenza colpevole, non scorge le conseguenze della sua azione o non ne tiene conto (art. 18 cpv. 3 CP). Ciò presuppone che l'agente abbia infranto regole di elementare prudenza imposte dalle circostanze, affinché non siano oltrepassati limiti oltre i quali il rischio non è più accettabile (DTF 122 IV 17 consid. 2b pag. 19 con rinvii). Tali regole si determinano riferendosi alle norme che hanno lo scopo di garantire la sicurezza e di evitare gli incidenti. In materia di circolazione stradale un comportamento viola un dovere di prudenza quando l'autore, al momento dei fatti, avrebbe potuto – tenuto conto della sua formazione e della sua capacità – rendersi conto del rischio, ma ciò nonostante ne ha ecceduto i limiti. La violazione dev'essere colpevole, nel senso che l'autore deve avere commesso una manchevolezza biasimevole (sentenza del Tribunale federale 6S.54/2002 del 27 giugno 2002, consid. 4.1; DTF 122 IV 17 consid. 2b/ee pag. 22, 145 consid. 3b/aa pag. 147, 121 IV 202 consid. 2 pag. 211).
3.
Un comportamento colpevole, contrario a un dovere di prudenza, ancora non basta tuttavia per integrare un'imprevidenza colpevole. A tal fine deve sussistere un rapporto di causalità naturale e adeguata (DTF122 IV 17 consid. 2c pag. 22). È data causalità
naturale
ove il comportamento colpevole costituisca la condizione dell'evento, ancorché non ne sia l'unica causa (DTF 115 IV 199 consid. 5b con rinvii pag. 206). In caso di incertezza la verosomiglianza è sufficiente (DTF 122 IV 17 consid. 2c/aa pag. 23, 121 IV 207 consid. 2a pag. 212, 118 IV 130 consid. 6b pag.141). In materia di circolazione stradale la causalità naturale è data ove la violazione della norma risulti essere una condizione dell'incidente, anche se non ne costituisce la causa unica e immediata; è sufficiente che essa abbia contribuito, con altre, a produrre l'evento (DTF 100 IV 279 consid. 3c pag. 283). L'accertamento della causalità naturale è una questione
di fatto
che vincola la Corte di cassazione e di revisione penale, a meno che il giudice disattenda il concetto stesso di causalità naturale (DTF 122 IV 17 consid. 2a/aa pag. 23, 121 IV 207 consid. 2a e rinvii pag. 212).
La causalità naturale deve anche essere
adeguata
. Occorre stabilire quindi se il comportamento dell'agente fosse idoneo, secondo la comune esperienza e l'andamento ordinario delle cose, a cagionare o a favorire l'evento (DTF 127 IV 62 consid. 2d pag. 65, 126 IV 13 consid. 7a/bb pag. 17, 121 IV 207 consid. 2a pag. 213 ). Determinare se il comportamento dell'autore fosse idoneo a provocare o a favorire l'evento significa interrogarsi se un osservatore imparziale, vedendo l'autore agire nelle circostanze del caso, avrebbe potuto dedurre che tale comportamento avrebbe avuto quelle conseguenze, anche senza prevedere il susseguirsi di tutti gli elementi della catena causale (DTF 91 IV 117 consid. 3 pag. 120, 86 IV 153 consid. 1 pag. 155). La causalità adeguata è una questione
di diritto
, che la Corte di cassazione e di revisione penale esamina, come il Tribunale federale, con libero esame (DTF 121 IV 207 consid. 2a e invii pag. 213). Il rapporto di causalità adeguata tra il comportamento dell'autore e l'evento può tuttavia essere interrotto quando circostanze eccezionali, come ad esempio la colpa di un terzo o della vittima oppure difetti del materiale o di costruzione, sopravvengano senza poter essere previste. Il loro carattere imprevedibile non è di per sé sufficiente per interrompere il nesso di causalità; le concomitanze devono imperativamente risultare più probabili e immediate dell'evento considerato, relegando così in secondo piano tutti gli altri fattori, in particolare il comportamento dell'autore (sentenza del Tribunale federale 6S 34/2002 del 27 giugno 2002 consid. 4.2; DTF 121 IV 207 consid. 2a pag. 213, 115 IV 100 consid. 2b pag. 102, 199 consid. 5c pag. 207).
4.
Il primo giudice ha ritenuto che, nell'eseguire la svolta a sinistra verso la via _, il ricorrente abbia violato l'art. 34
cpv. 3 LCStr, il quale impone al conducente intenzionato a cambiare direzione di marcia, sia per voltare, sorpassare, mettersi in preselezione o passare da una corsia a un'altra, di badare ai veicoli che giungono in senso inverso e a quelli che seguono. A tale conclusione egli è giunto fondandosi sulla dinamica del sinistro ricostruita dal perito giudiziario. Da essa si desume che, partito dal ristorante _, il ricorrente si era immesso sulla via _ quando lo scooter si trovava ancora a 65–90 m. Al motociclista le luci di coda della vettura erano apparse 1.5–2 secondi dopo, quando l'automobile si trovava completamente sulla carreggiata. Lo scooterista aveva deciso allora di superare la vettura, che si trova a 25–35 m. Circa 3 secondi prima dall'impatto la BMW aveva accelerato. Lo scooter si trovava ancora dietro l'auto, a 20–25 metri, visibile nel retrovisore interno. A quel momento esso aveva iniziato il sorpasso. Circa 2 secondi prima dell'urto, a una velocità di circa 40 km/h, la BMW aveva cominciato a porsi sull'asse della carreggiata per mettersi in preselezione. Lo scooter era a 10–15 m dal veicolo.
Non è stato possibile accertare se il ricorrente avesse azionato l'indicatore di direzione. Sta di fatto che la motoleggera circolava ormai a ridosso della linea tratteggiata al centro della strada, ma era fuori dalla “zona morta”, visibile almeno nel retrovisore interno dell'auto. Circa un secondo prima della collisione la BMW, che aveva cominciato a rallentare per svoltare a sinistra, viaggiava anch'essa a ridosso della linea tratteggiata al centro della strada, a circa 35 km/h. Lo scooter si trovava già oltre tale linea ed era visibile unicamente nel retrovisore esterno sinistro del veicolo. I mezzi si sono urtati a 15–20 m dall'intersezione, con uno strisciamento reciproco di qualche decina di centimetri. La velocità dello scooter era di 50–65 km/h, quella della BMW di 30–35 km/h. Trovandosi agganciato con il supporto della pedana alla portiera della berlina, lo scooter aveva subìto un forte rallentamento, era stato sospinto a sinistra e dopo una sbandata di 10–15 m era caduto al suolo con una velocità residua di 40–55 km/h. Sbalzato di sella, lo scooterista era finito contro un palo della segnaletica a 35–50 km/h (perizia, pag. 30 a 32; sentenza, pag. 5 a 7).
Nel ritenere il ricorrente colpevole di imprevidenza il giudice della Pretura penale si è fondato anche sulla conclusione del perito giudiziario, secondo cui, pur tenendo conto che le condizioni meteorologiche erano avverse, che il gruppo ottico anteriore della motoleggera era stato annerito e che lo scooter e gli indumenti della vittima erano scuri, era difficile ma non impossibile scorgere il motociclo, sia al momento in cui il ricorrente si era immesso sulla via _ sia in seguito, guardando nei retrovisori (perizia, punto 3.1.1). L'accusato avrebbe dunque potuto avvedersi del mezzo prima di svoltare a sinistra, pur tenendo conto dalla brevità del percorso e del fatto che egli non si aspettava alcun sorpasso, non avendo visto sopraggiungere nessuno. Secondo l'esperto, la pioggia e il buio imponevano in ogni modo maggior prudenza all'automobilista. Quanto al sorpasso da parte di _, esso è stato definito una manovra sconsigliabile, ma non vietata (perizia pag. 34 seg.; sentenza, pag. 7 seg.).
5.
Il ricorrente sostiene che l'opinione del perito, secondo cui lo scooter era visibile dalla BMW nella fase di svolta a sinistra, è una delle ipotesi – fra le tante – in mancanza di riscontri certi. A suo parere è altrettanto plausibile che egli non potesse affatto scorgere la motoleggera prima di piegare a sinistra, non potendosi escludere che lo scooterista circolasse a luci spente. Non risulta provato, infatti, che il gruppo ottico della motoleggera fosse acceso. Il fatto è che il primo giudice ha accertato proprio il contrario, ossia che le luci della motoleggera erano in funzione (ancorché le lampade dei faretti fossero state annerite), come aveva avuto modo di appurare il perito esaminando il filamento di una delle due lampade di 15 W dopo l'urto (sentenza, pag. 8 con riferimento alla perizia, pag. 13, e al complemento di perizia, pag. 3). Il ricorrente non dimostra l'arbitrarietà di simile accertamento. Si limita a rilevare che, stando al suo perito di parte, il filamento della lampadina poteva essersi deformato già prima della collisione. Ciò non basta tuttavia per sostanziare una censura di arbitrio, termine al quale l'impugnativa – del resto – nemmeno accenna. Ne segue, su questo punto, l'inammissibilità della critica.
6.
Nella condanna per omicidio colposo il ricorrente ravvisa una violazione del principio
in dubio pro reo
. Ribadisce che, non essendo stato possibile stabilire con certezza se le luci dello scooter fossero accese, egli deve beneficiare della soluzione più favorevole. Ci si dovrebbe dipartire dal presupposto, perciò, che nella pioggia e nel buio egli non potesse scorgere la motoleggera. A suo avviso inoltre, anche qualora lo scooter – provvisto delle sole luci anabbaglianti – avesse i faretti accesi, egli non avrebbe potuto vederlo, essendo tecnicamente impossibile accertare, come ha rilevato il suo perito di parte, quanto l'oscuramento delle lampade avesse ridotto la portata del gruppo ottico, tanto meno sul bagnato e nell'oscurità. Anche questo aspetto, conclude il ricorrente, andava considerato in suo favore, salvo violare una volta ancora il precetto
in dubio pro reo
.
a)
Il principio
in dubio pro reo
è un corollario della presunzione di innocenza garantita degli art. 32 cpv. 1 Cost., 6 par. 2 CEDU e 14 cpv. 2 patto ONU II. Esso disciplina sia la valutazione delle prove sia il riparto dell'onere probatorio, nel senso che impone alla pubblica accusa di provare la colpevolezza dell'imputato e non a quest'ultimo di dimostrare la propria innocenza. Al proposito la Corte di cassazione e di revisione penale fruisce – come il Tribunale federale – di libero esame (DTF 127 I 38 consid. 2a pag. 40, 124 IV 86 consid. 2a pag. 87). Per quanto attiene invece alla valutazione delle prove, il principio
in dubio pro reo
significa che il giudice penale non può dichiararsi convinto dell'esistenza di una fattispecie più sfavorevole all'imputato, quando, secondo una valutazione non arbitraria del materiale probatorio, sussistano dubbi sul modo in cui si è verificata la fattispecie. Il precetto non impone che l'apprezzamento delle prove conduca a una assoluto convincimento. Semplici dubbi teorici sono sempre possibili. Il principio è disatteso quando il giudice avrebbe dovuto, dopo un'analisi globale e oggettiva delle prove, nutrire dubbi rilevanti sulla colpevolezza (DTF 127 I 38 consid. 2a pag. 41, 124 IV 86 consid. 2a pag. 88, 120 Ia 31 consid. 2d pag. 38). Sotto questo profilo il principio
in dubio pro reo
ha stessa portata del divieto dell'arbitrio (DTF 120 Ia 31 consid. 4b pag. 40).
b)
Già si è visto che il primo giudice ha considerato determinante la dinamica del sinistro ricostruita dal perito giudiziario, deducendone che l'imputato avrebbe dovuto scorgere lo scooter già prima di porsi al centro della carreggiata per svoltare a sinistra. Nonostante la scarsa illuminazione e la pioggia (che avrebbero dovuto indurre a maggior prudenza; perizia, ad. 6.2), e senza dimenticare le luci dello scooter oscurate (sentenza, pag. 9 seg.), per il primo giudice _ era difficilmente visibile, ma non invisibile. Ora, che le luci dello scooter fossero accese è un accertamento per nulla arbitrario, vista la perizia giudiziaria. Né denota arbitrio – termine al quale il ricorrente accenna finalmente a pag. 11 del ricorso – l'accertamento stando al quale lo scooter rimaneva visibile nonostante avesse le lampade dei due piccoli fari ellissoidali annerite. Il perito giudiziario ha ritenuto in effetti che, pur con le difficoltà del caso (pioggia, buio, luci oscurate), l'automobilista avrebbe dovuto accorgersi dello scooter sin dal momento in cui si è immesso sulla via _, ma al più tardi quando si è posto al centro della carreggiata in vista di svoltare a sinistra (sentenza, consid. 7 con riferimento al complemento di perizia, pag. 8). Il ricorrente evoca la più sfumata opinione del suo perito di parte, ma non dimostra alcun arbitrio. In simili condizioni non si può dire che il primo giudice abbia condannato il ricorrente seppure una valutazione non arbitraria delle prove lasciasse sussistere dubbi rilevanti sulla colpevolezza. Tanto meno risulta che il primo giudice abbia condannato il ricorrente perché quest'ultimo non avrebbe recato la prova delle propria innocenza. Il richiamo al principio
in dubio pro reo
è pertanto infruttuoso.
7.
Il ricorrente fa valere che, comunque sia, anche fondandosi sugli accertamenti del primo giudice, non è dato un nesso di causalità adeguata fra il suo comportamento e le conseguenze letali dell'infortunio. Intanto il ragazzo non doveva trovarsi sulla carreggiata, essendo sprovvisto della licenza di condurre. Inoltre egli si trovava su un mezzo che non avrebbe nemmeno dovuto circolare (motore “truccato”, luci oscurate, pneumatici usurati, sospensioni modificate). Il limitatore di velocità (45 km/h) era stato manomesso al punto da permettere una velocità massima – con il motore elaborato – di 120 km/h, ciò che ha consentito a _ una manovra di sorpasso azzardata altrimenti impossibile. Il ricorrente soggiunge che, secondo il principio dell'affidamento (art. 26 LCStr), ogni conducente deve poter contare sul fatto che gli altri utenti della strada si comportino in modo conforme alla legge, in particolare non circolino a velocità superiori al 10% di quella consentita. Donde la mancanza, appunto, di causalità adeguata.
a)
Il conducente che intende voltare a sinistra, che si è posto correttamente verso l'asse della carreggiata e ha azionato l'indicatore di direzione, può – senza essere tenuto a prestare nuovamente attenzione, nel momento in cui volta, al traffico che lo segue – presumere, di regola, che nessun utente della strada lo sorpasserà illecitamente sulla sinistra (DTF 125 IV 83 consid. 2c pag. 88). Tale giurisprudenza è stata pertinentemente richiamata anche dal primo giudice, il quale ha ritenuto nondimeno che in concreto l'accusato avrebbe dovuto badare al traffico retrostante
prima
di porsi al centro della carreggiata (sentenza, consid. 6 in fine). In realtà il rimprovero non è del tutto concludente. Certo, secondo il perito l'accusato avrebbe dovuto scorgere lo scooter, pur con difficoltà, sin dal momento in cui si è immesso sulla via _. Ma il solo fatto che l'accusato dovesse sapere di essere seguito da un altro utente della strada ancora non gli impediva di azionare l'indicatore di direzione e di porsi verso l'asse della carreggiata nell'intento di svoltare a sinistra. La questione è di sapere se, guardando nei retrovisori, il ricorrente dovesse rendersi conto che lo scooter era in procinto di sorpassarlo.
b)
Ora, il giudice della Pretura penale – ancorché di scorcio – ha accertato quest'ultima circostanza. Fondandosi sulla perizia giudiziaria, egli ha constatato che “il conducente dell'automobile (...) doveva accorgersi – prestando la dovuta attenzione a quanto accadeva alle sue spalle – della presenza della motoleggera
che si accingeva a superarlo sulla sinistra
” (sentenza, consid. 7 a metà). Dalla perizia si desume in effetti che il ricorrente ha cominciato a posizionarsi verso l'asse della carreggiata (nel dubbio si può presumere con l'indicatore di direzione inserito) due secondi prima dell'incidente (sentenza, pag. 6 nel mezzo). A quel momento lo scooter si trovava a 10–15 m di distanza, “a ridosso della linea tratteggiata al centro della strada, (...) sicuramente visibile almeno con lo specchio retrovisore interno della vettura” (planimetria nella perizia, pag. 39). Che esso si apprestasse al sorpasso – anzi, fosse già in fase di sorpasso – appariva inequivocabile. Nulla impediva al ricorrente di rallentare con l'indicatore di direzione inserito. Al contrario. L'automobilista avrebbe dovuto però, prima di eseguire la svolta, lasciar passare lo scooter.
c)
Il ricorrente eccepisce, come detto, che in ogni modo la sua manovra non ha nesso di causalità adeguata con l'infortunio, poiché quand'anche egli avesse potuto avvistare la motocicletta alle sue spalle, non avrebbe potuto immaginare di trovarsi in presenza di un mezzo “truccato”, il quale in condizioni normali mai avrebbe potuto superarlo a quella velocità. L'incidente non sarebbe avvenuto, del resto, nemmeno se la velocità dello scooter fosse stata di 50 km/h, poiché anche in tal caso la BMW avrebbe terminato la manovra di svolta prima che il mezzo la potesse raggiungere. Ora, alcune premesse sono d'obbligo: secondo le risultanze della perizia giudiziaria né il fatto che lo scooter avesse le gomme usurate, le sospensioni modificate, il gruppo ottico anteriore annerito, le plastiche degli indicatori di direzione oscurate, né il fatto che _ fosse senza patente e con il casco slacciato risultano avere svolto un ruolo apprezzabile nell'infortunio (la morte del ragazzo non è intervenuta per contusioni al capo: complemento di perizia, pag. 4). Di ciò il ricorrente non può dunque valersi per invocare un'interruzione del nesso di causalità adeguata. Rimane da esaminare se il ricorrente potesse aspettarsi di avere alle spalle – a supporre che l'avesse visto – uno scooter atto a raggiungere i 65 km/h (ipotesi più favorevole al ricorrente) e potesse aspettarsi un sorpasso a quella velocità.
d)
Giovi precisare subito che invano il ricorrente persiste nell'affermare che lo scooter lo abbia superato a 83 km/h (memoriale, pag. 14). Tale ipotesi è stata formulata dal suo perito di parte, ma non basta per ciò soltanto a far apparire arbitrario – ovvero manifestamente insostenibile – il diverso accertamento del primo giudice, fondato sulla perizia giudiziaria (sentenza, pag. 7 verso l'alto). Quanto allo scooter in rassegna, nulla garantiva al ricorrente ch'esso non potesse eccedere i 45 km/h. È vero che i detentori di una licenza di condurre di categoria “F” si vedono imporre su motocicli del genere un limitatore di velocità, ma è anche vero che, una volta conseguita la licenza di condurre di categoria “A1”, essi possono sbloccare il mezzo e raggiungere legalmente i 60–70 km/h (complemento di perizia, pag. 10). Qualora avesse visto lo scooter alle sue spalle, di conseguenza, il ricorrente non avrebbe potuto escludere che la motoleggera lo potesse sorpassare anche a 65 km/h. Tanto più che, sebbene rischiosa e imprudente, la manovra non era vietata.
e)
Afferma il ricorrente che una velocità eccedente il 10% del massimo consentito lungo la via _ (50 km/h) era, in ogni modo, ragionevolmente imprevedibile. Invero egli sembra richiamare – per analogia – quanto ha stabilito il Tribunale federale in DTF 118 IV 277, secondo cui chiunque, tenuto a dare precedenza, intende immettersi in una strada principale non deve aspettarsi che un conducente con diritto di precedenza sopraggiunga a velocità “ampiamente eccessiva” (nella fattispecie: 90 km/h invece di 80 km/h fuori delle località). Il problema è che nel caso specifico il ricorrente avrebbe dovuto vedere, prima di azionare l'indicatore di direzione sinistro e spostarsi verso il centro della carreggiata, uno scooter che lo seguiva a 10–15 m e che si trovava esso pure lungo l'asse della carreggiata, in procinto di sorpassarlo. Aveva dunque chiari indizi per prevedere che il motociclista, almeno per quanto attiene al limite di velocità, non si sarebbe comportato correttamente. A quel momento egli non poteva più fidarsi (art. 26 cpv. 2 LCStr), né può più – oggi – invocare un'interruzione della causalità adeguata, proprio perché l'andatura proditoria dello scooterista lasciava presagire quanto sarebbe poi effettivamente accaduto. Anche a tale proposito il ricorso manca perciò di consistenza.
8.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 e 9 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,003 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
92f782b8-b496-5304-8acc-1adea2c284e2 | in fatto ed in diritto
che nell’ambito di un’inchiesta aperta a carico di un’altra persona, il 24.07.2014 è stata interrogata dinanzi alla polizia in qualità di imputata IS 1, ove ha in particolare dichiarato di aver acquistato e consumato personalmente, nel periodo compreso tra il mese di _, della cocaina (inc. MP _);
che in data 18.12.2014 il procuratore pubblico Marisa Alfier, trattandosi di un caso di poca entità, ha emanato un decreto di non luogo a procedere nei confronti di IS 1, ammonendola formalmente e ponendo la tassa di giustizia e le spese a suo carico (NLP _);
che il summenzionato decreto è regolarmente passato in giudicato, non essendo stato impugnato;
che con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Ministero pubblico a questa Corte – IS 1 postula la trasmissione del rapporto di polizia allestito nell’ambito del succitato procedimento penale nel frattempo archiviato (doc. 1.a);
che a sostegno della sua richiesta l’istante ha prodotto copia di uno scritto datato 24.03.2015 della Sezione della circolazione mediante il quale le è stato in particolare comunicato che risulterebbero gli estremi per procedere nei suoi confronti tramite una misura amministrativa di revoca della licenza allievo conducente categoria B, richiamando il decreto di non luogo a procedere 18.12.2014 (doc. CRP 1.a);
che, come esposto in entrata, il Ministero pubblico non ha presentato osservazioni in merito alla presente richiesta;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stata l’istante parte (in qualità di imputata) nel procedimento nel frattempo terminato, essa deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994, p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta – appare, di principio, pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, del rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 14.10.2014 allestito nell’ambito del procedimento di cui all’incarto NLP _, nel frattempo archiviato, poiché l’ha interessata personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che essa necessiterebbe del citato rapporto nell’ambito della procedura amministrativa aperta a suo carico da parte della Sezione della circolazione;
che – nel rispetto del diritto di essere sentito e della sfera privata e personale delle altre persone coinvolte – dal verbale d’interrogatorio 23.04.2014 di _ vengono nondimeno eliminati/cancellati tutti i paragrafi che esulano dalla presente fattispecie;
che di conseguenza il rapporto richiesto viene trasmesso alle predette condizioni, in copia, all’istante unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo la qui istante già stata parte al procedimento penale in questione nel frattempo archiviato. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,015 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
939db89c-93c1-5517-af91-1910e2d42a16 | in fatto: A.
Con decreto di accusa del 14 luglio 2000 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di danneggiamento per avere, poco dopo la mezzanotte del 5 agosto 1997, danneggiato intenzionalmente in un posteggio pubblico di via cantonale a _ l'automobile Mercedes-Benz “280 SE” appartenente a _, rigandone la fiancata destra e la portiera anteriore sinistra con un oggetto a punta. In applicazione della pena, il Procuratore pubblico ha proposto la condanna dell'accusato a 3 giorni di detenzione sospesi condizionalmente per due anni, pronunciando inoltre un formale ammonimento (art. 41 n. 3 cpv. 2 CP), ma senza revocare la sospensione condizionale di una pena di 15 giorni di detenzione inflitta all'accusato dal Pretore di Lugano con sentenza del 18 febbraio 1997.
B.
Statuendo su opposizione del condannato, con sentenza del 23 novembre 2000 il Pretore della giurisdizione di Mendrisio-Nord ha confermato l'imputazione e la condanna di cui al decreto di accusa.
C.
Contro la sentenza pretorile _ ha inoltrato il 27 novembre 2000 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 18 dicembre successivo, egli postula il proscioglimento dall'imputazione o quanto meno, in subordine, la derubricazione della condanna in danneggiamento di lieve entità, con conseguente proscioglimento dalla stessa per intervenuta prescrizione dell'azione penale. Non sono state chieste osservazioni al ricorso. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorrente sostiene anzitutto che, mancando ogni prova diretta a suo carico, egli deve essere assolto dall'imputazione di danneggiamento. Così argomentando, tuttavia, egli mette in discussione l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove, che la Corte di cassazione e di revisione penale è abilitata a rivedere solo sotto il profilo dell'arbitrio (art. 288 cpv. lett. c e 295 CPP). Ora, arbitrario non significa discutibile, criticabile o finanche erroneo, bensì manifestamente insostenibile, privo di riscontri seri e oggettivi o in aperto contrasto con il sentimento di giustizia ed equità (DTF 126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4, 174 consid. 2g, 123 I 5 consid. 4a, 121 I 114 consid. 3a).
2.
Rilevando la natura indiziaria del processo, il Pretore ha nondimeno maturato il convincimento di colpevolezza sulla base di svariati elementi. Ha ricordato anzitutto che il querelante ha dichiarato di avere ricevuto nel pomeriggio del 4 agosto 1997 alcune telefonate da una persona che, annunciatasi come amico dell'imputato, lo aveva minacciato di morte nel caso in cui egli avesse avuto una relazione con la moglie dell'imputato medesimo. Il querelante aveva preso le minacce sul serio ed era rimasto all'erta. Parcheggiato il proprio autoveicolo e rientrato in casa il giorno successivo attorno alla mezzanotte e un quarto, egli aveva notato così dalla finestra della sala, con buona visuale sul posteggio, una persona vicino alla sua Mercedes-Benz, e poco dopo, non appena sceso dalla scale, un'automobile Honda che si allontanava in contromano verso l'uscita del posteggio. La vettura è risultata appartenere al ricorrente. Il primo giudice ha pure accertato che alla fine di luglio del 1997 la parte lesa aveva conosciuto la moglie del prevenuto, che stava per divorziare. Dopo avere pattinato con lei e con altri amici sul lungolago di Lugano, egli l'aveva accompagnata con un'altra amica alla propria vettura, incontrandola nuovamente il 2 agosto successivo. Il Pretore ha poi constatato che il 4 e il 5 agosto 1997 il ricorrente era libero dal lavoro, ripreso soltanto alle ore 10 del 6 agosto 1997.
Ciò posto, il primo giudice ha concluso che il prevenuto ha effettivamente danneggiato l'automobile della parte lesa, la quale per altro appariva una persona del tutto credibile. Ricordato che l'imputato stesso aveva dichiarato di non prestare mai la propria automobile a nessuno, il Pretore ha ritenuto che al momento dei fatti il conducente della vettura Honda che usciva frettolosamente in contromano dal posteggio di Capolago poteva essere solo l'imputato. Un comportamento simile non poteva che ricondursi a quanto il querelante aveva notato, ovvero alla presenza di una persona che girava attorno alla sua automobile e che aveva le sembianze del prevenuto. Che il danneggiamento sia stato commesso proprio in quel momento è desumibile – secondo il Pretore – anche dalla circostanza che, stando alla parte lesa, la Mercedes non era rigata al momento in cui era stata posteggiata. Per contro – ha soggiunto il primo giudice – il ricorrente è stato sconfessato sia quando ha preteso di essere stato al lavoro quella sera, sia quando ha asserito di non essere mai stato a Capolago. La sua automobile è stata vista infatti dal querelante, che ne ha annotato il numero di targa (sentenza, pag. 5 e 6).
3.
A parere del
ricorrente la sentenza impugnata è censurabile già per il fatto che non è stato possibile identificare la persona vista dalla parte lesa aggirarsi attorno alla Mercedes-Benz con quella che era uscita dal parcheggio. Egli fa valere dipoi che l'autore del reato poteva anche essere un terzo, ove si consideri che per raggiungere il sottostante posteggio il querelante ha perso tempo, consentendo al potenziale autore di allontanarsi a piedi. Né – continua il ricorrente – il querelante ha visto il presunto autore scendere o salire sulla vettura che è poi partita, né la descrizione del querelante consente di risalire a lui con sufficiente certezza, né la sua eventuale presenza sul posto dimostra in alcun modo che egli sia stato l'autore del danneggiamento, né il querelante ha riconosciuto la sua voce nel corso delle telefonate anonime, né le asserzioni della stessa parte lesa sono suffragate da prove sicure.
Con argomentazioni del genere, per altro appellatorie, il ricorrente non dimostra alcun arbitrio nella sentenza impugnata, fondata sull'insieme degli indizi evocati dal primo giudice: il fatto che il danneggiamento è avvenuto proprio il giorno dopo che il querelante aveva ricevuto telefonate minatorie riferite a una sua eventuale relazione con la moglie del ricorrente, il fatto che in quello stesso periodo il ricorrente aveva effettivamente conosciuto la moglie del ricorrente, il fatto che poco dopo la mezzanotte del 5 agosto 1997 la parte lesa aveva notato un'automobile uscire precipitosamente e in contromano dal posteggio sotto la propria abitazione, il fatto che tale automobile sia risultata intestata al ricorrente, il fatto che al momento di parcheggiare la Mercedes il querelante non aveva notato alcuno sfregio alla carrozzeria e il fatto che, per finire, l'imputato ha mentito su tutta la linea, sostenendo di essere stato al lavoro quella sera e di non essersi mai recato a Capolago. La logica concatenazione di simili elementi non presta il fianco alla critica. Accertato poi il movente del reato ed escluso che l'automobile del querelante fosse già danneggiata quando egli l'ha lasciata nel parcheggio, il Pretore poteva legittimamente concludere che gli indizi conducevano senza equivoco alla persona dell'imputato.
4.
Il ricorrente fa valere che l'entità del pregiudizio, nemmeno accertato, non è superiore alla soglia del danno di lieve entità (fr. 300.–, secondo la giurisprudenza) cui si riferisce l'art. 172
ter
CP. Tale reato, egli conclude, è però prescritto. L'obiezione cade nel vuoto già per la circostanza che il ricorrente non pretende di avere commesso l'illecito con l'intenzione di arrecare alla parte lesa soltanto un danno inferiore a fr. 300.– (DTF
122 IV 156 consid. 2a, 121 IV 261 consid. 2d; CCRP, sentenza del 16 agosto 2000 in re Q., consid. 1). Sia come sia, per comune esperienza non si vede perché il Pretore sarebbe caduto in arbitrio accertando che il danno causato dall'imputato alla Mercedes-Benz del querelante fosse superiore alla soglia minima che consente di applicare la fattispecie privilegiata dell'art. 172
ter
CP (fotografie agli atti). Ne segue che anche su questo punto il ricorso in esame è destinato all'insuccesso.
5.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,000 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
93a1418e-da60-5d4d-9e76-82baf5059b3e | in fatto e in diritto:
1.
Con decreto
d’accusa 29 marzo 2010, intimato il giorno stesso, il procuratore pubblico ha ritenuto RI 1 colpevole di danneggiamento, minacce e violazione di domicilio, ed ha proposto la sua condanna alla pena pecuniaria di dieci aliquote giornaliere da fr. 40.- ciascuna, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, alla multa di fr. 200.- e al pagamento di tasse e spese di giustizia, rinviando la parte civile al competente foro per le ulteriori pretese.
2.
La raccomandata contenente il decreto d’accusa non è stata ritirata da RI 1 e pertanto, trascorso il periodo di giacenza, è stata rispedita al mittente dai servizi postali.
Il 12 aprile è stata inviata a RI 1 per posta semplice una copia del decreto d’accusa in questione, munita del timbro “
Copia per conoscenza della decisione intimata in data 29.03.10 per raccomandata non ritirata. Ministero pubblico del Cantone Ticino il 12.04.10
”.
3.
Con scritto datato 9 maggio 2010 RI 1 ha interposto opposizione al decreto d’accusa in questione, comunicando al procuratore pubblico che “
la decisione DA 1539/2010/PE/MAR è venuta a mia conoscenza giorno 6.5.2010
”. Il Ministero pubblico ha, dunque, trasmesso gli atti alla Pretura penale.
4.
In data 20 maggio 2010 il presidente della Pretura penale, ritenuto che l’opposizione interposta da RI 1 “
sembrerebbe essere tardiva
”, gli ha assegnato un termine di dieci giorni per prendere posizione in merito alla tempestività dell’atto e per produrre eventuale documentazione.
5.
In data 31 maggio RI 1 ha presentato le sue osservazioni in relazione alla tempestività dell’opposizione, ribadendo di essere venuto a conoscenza del decreto d’accusa unicamente il 6 maggio 2010 in quanto “
ero in quel momento molto occupato, avevo dovuto trasferire la bucalettere ad una casella postale perché c’era gente che ci buttava pattume
”, sostenendo di controllarne il contenuto “
assai di rado trovandosi la casella a più di un chilometro
” e poiché “
ricevo anche la maggioranza delle mie fatture per via elettronica
”.
6.
Con sentenza 8 giugno 2010 il presidente della Pretura penale ha dichiarato irricevibile l’opposizione interposta dall’accusato, ritenendo che nella fattispecie non erano nemmeno adempiuti i requisiti per una eventuale restituzione in intero del termine e ha, di conseguenza, dichiarato definitivo il decreto d’accusa del 29 marzo 2010.
7.
Con tempestivo ricorso,
RI 1 ha impugnato la decisione del primo giudice. Rilevando di non condividere le motivazioni contenute nella sentenza del giudice della Pretura penale con riferimento al controllo della casella postale, il ricorrente sostiene che i presupposti per una condanna per i reati imputatigli nel decreto d’accusa non sono realizzati e che “
le lacune nella decisione dell’onorevole _ sono tali da imporre una riapertura del caso
”.
8.
Con osservazioni datate 23 luglio 2010, il procuratore pubblico ha postulato la reiezione del gravame, considerando la sentenza impugnata ineccepibile sia dal profilo dell’accertamento dei fatti che dell’applicazione del diritto in materia di notificazione degli atti giudiziari.
9.
Giusta i combinati art. 208 cpv. 1 lett. e) e 210 CPP, le proposte del decreto di accusa si ritengono accettate ed acquistano forza di cosa giudicata se l’accusato o la parte civile non presentano al procuratore pubblico opposizione scritta entro quindici giorni dall’intimazione.
Secondo
l'art.
7 CPP, l'intimazione delle sentenze e degli atti del processo penale avviene per invio postale o per mezzo di usciere o della polizia (cpv. 1), in applicazione analogica delle disposizioni del Codice di procedura civile (cpv. 2). Di regola, una notificazione avviene dunque per invio raccomandato, con o senza ricevuta di ritorno, in conformità con i regolamenti postali (art. 124 cpv. 1 CPC). Alle persone domiciliate nel Cantone la notifica avviene mediante consegna dell'atto al destinatario, nel luogo in cui esso dimora o svolge la sua attività, oppure al suo rappresentante. In caso di assenza, il plico è rimesso ad una persona adulta della sua famiglia o ad un suo impiegato (art. 120 CPC). Secondo giurisprudenza, di principio un atto è considerato notificato alla data alla quale il suo destinatario lo riceve effettivamente. L'onere della prova circa l'atto e il momento della notifica di una decisione incombe, di principio, all'autorità che intende trarne conseguenze giuridiche (DTF 122 I 97 consid.
3b; 114 III 51 consid. 3c-4; 103 V 63 consid. 2a; 99 Ib 356 consid. 2-3 e rif.).
Quando il tentativo di intimazione di un invio raccomandato si rivela infruttuoso e, di conseguenza, viene messo un avviso di ritiro nella bucalettere del destinatario, l'invio è validamente notificato quando viene ritirato alla Posta. Se ciò non avviene entro il termine di ritiro, corrispondente a sette giorni, l'invio viene ritenuto notificato l'ultimo giorno di questo termine, nella misura in cui il destinatario doveva prevedere un'intimazione (cosiddetta "
Zustellungsfiktion
"; DTF 127 I 31 consid. 2a/aa, 123 III 492 consid. 1, 119 V 94 consid. 4b/aa; RAMI 2001 no. U 434 pag. 329; sentenza CCRP del 7 gennaio 2010, inc. 17.2009.55; consid. 2.2; sentenza CCRP del 24 novembre 2009, inc. 17.2009.49, consid. 2; sentenza CCRP del 28 aprile 2009, inc. 17.2009.7; consid. 4). Il termine di giacenza previsto dall'art. 169 cpv. 1 lett. d) ed e) dell'ordinanza [1] della legge sul servizio delle poste del 1. settembre 1997 è stato invero abrogato con l'entrata in vigore dell'art. 13 dell'ordinanza delle poste, del 29 ottobre 1997 (OPA). Il termine di giacenza di sette giorni è stato ripreso però nelle condizioni generali “Servizi postali” (010.01 it, rif. 142713, edizione novembre 2009, cifra 2.3.7 lett. b), e conserva perciò tutti i suoi effetti (DTF 127 I 131 consid. 2b pag. 34; sentenza CCRP del 27 marzo 2003 in re S., consid. 3; sentenza CCRP 29 dicembre 2004 in re A.D.O,. consid. 3; sentenza CCRP del 7 gennaio 2010, inc. 17.2009.55; consid. 2.2; sentenza CCRP del 24 novembre 2009, inc. 17.2009.49, consid. 2; sentenza CCRP del 28 aprile 2009, inc. 17.2009.7; consid. 4).
Un atto giudiziario intimato mediante invio raccomandato vale, pertanto, come notificato quando entra nella sfera d'influenza di una parte ad un procedimento giudiziario. Non è, per contro, necessario che quest'ultima lo prenda anche effettivamente in consegna oppure ne prenda altrimenti conoscenza (cfr. STF del 3 luglio 2001, inc. 2A.271/2001; DTF 122 I 143 consid. 1; sentenza CCRP del 7 gennaio 2010, inc. 17.2009.55; consid. 2.2; sentenza CCRP del 28 aprile 2009, inc. 17.2009.7; consid. 4).
Condizione per l’applicazione della
Zustellungsfiktion
è, però, come visto, il fatto che il destinatario dovesse prevedere l'intimazione.
Ai sensi della citata giurisprudenza, deve attendersi un’intimazione colui che è parte ad un procedimento giudiziario (STF del 20 gennaio 2009, inc. 6B.31/2009, consid. 1; DTF 130 III 396, consid. 1.2.3; 119 V 89 consid. 4b/aa; 116 Ia 90 consid. 2a; 115 Ia 12 consid. 3a). In ambito penale, una persona diventa parte di un procedimento penale - incombendogli, quindi, l’obbligo di doversi attendere l’invio di atti o decisioni giudiziarie - quando tra lei e l’autorità di perseguimento penale si instaura un rapporto giuridico di procedura penale (DTF 116 Ia 90). A questo proposito, la giurisprudenza ha stabilito che un interrogatorio da parte della polizia non basta a creare un rapporto giuridico di procedura penale con la persona interrogata: pertanto, è arbitrario ritenere che, a seguito di un tale interrogatorio, la persona avrebbe dovuto prevedere che le sarebbero stati notificati atti giudiziari (DTF 116 Ia 90 consid. 2c; v. anche STF del 28 marzo 2007, inc. 6A.100/2006, consid. 2.2.1). Per converso, sorge un rapporto giuridico di procedura penale con l'imputato quando gli sia comunicata l'apertura di un'inchiesta penale nei suoi confronti: tale comunicazione comporta per lui l'obbligo di ricevere le relative notificazioni (DTF 116 Ia 90 consid. 2c). In effetti, secondo la giurisprudenza, conformemente al principio della buona fede, quando è stata comunicata all'interessato l'apertura di un'inchiesta penale questi deve prevedere che gli saranno notificati atti giudiziari e provvedere affinché essi possano essergli notificati (STF del 2 aprile 2007, inc. 1B_46/2007, consid. 2.4; DTF 116 Ia 90 consid. 2a; 115 Ia 12 consid. 3a; 123 III 492 consid. 1).
10.
Nella fattispecie non è contestato che il plico contenente il decreto di accusa, in cui veniva pure indicato il termine per interporre opposizione allo stesso, è stato spedito per raccomandata dal Ministero pubblico al domicilio del destinatario il 30 marzo 2010 ed è stato rinviato al mittente dalla posta il 7 aprile 2010, decorso infruttuoso il periodo di giacenza. I
l primo
giudice ha ritenuto il decreto d’accusa come intimato validamente il 7 aprile 2010, in applicazione della
Zustellungsfiktion
, ritenendo che RI 1 “
sapeva di avere in corso un procedimento penale
” e doveva, di conseguenza, prevedere un'intimazione (sentenza impugnata, pag. 3).
La decisione del primo giudice in merito non può essere condivisa.
Nel caso concreto, il 16 febbraio 2010 RI 1 è stato convocato dalla Polizia cantonale, gendarmeria di
_
. Come recita il rapporto di segnalazione al Ministero pubblico (doc. AI 6), poco dopo l’inizio dell’interrogatorio, “
al momento in cui gli si è contestato il motivo della sua citazione
”, RI 1 si è alzato e se n’è andato (“
ha lasciato i nostri uffici dicendo che noi non potevamo trattenerlo e che non aveva nulla da dire
”). Nel relativo verbale, non sottoscritto dall’interrogato, si riferisce quanto segue:
"
L’agente interrogante mi informa del motivo per cui sono stato convocato presso questi uffici, segnatamente perché io in data 31.10.2009 mi sarei presentato presso l’abitazione del signor PC 1 e ....
Alle 10.17 il verbale viene sospeso in quanto il querelato ha lasciato i nostri uffici rifiutandosi di rispondere alle nostre domande
”.
Non risulta che egli sia stato sentito in altre occasioni. Né risulta che egli sia stato informato della trasmissione degli atti di inchiesta al Ministero pubblico né del suo diritto di chiedere di essere sentito dal procuratore pubblico, né del fatto che, in virtù dell’art. 207a CPP, il procuratore pubblico avrebbe potuto formulare a suo carico un decreto di accusa senza ulteriori avvisi.
Come visto sopra, un interrogatorio di polizia non basta ad instaurare un rapporto giuridico di procedura penale (“
Strafprozessrechtverhälnis
”; DTF 116 Ia 90) nel cui ambito l’interessato deve prevedere la possibilità di un’intimazione e, perciò, è tenuto a fare in modo che tale intimazione vada a buon fine.
In concreto, dunque, è arbitrario accertare - come ha fatto il primo giudice - che RI 1 sapesse di avere in corso un procedimento penale e, di conseguenza, é contrario al diritto federale concludere che, nonostante il mancato ritiro del decreto d’accusa entro il termine di giacenza, il decreto d’accusa sia stato validamente notificato in applicazione della
Zustellungsfiktion
.
Di conseguenza, in assenza di una valida intimazione del decreto d’accusa, non si può considerare che il termine di opposizione ivi contenuto abbia iniziato a decorrere né che il decreto in questione abbia acquistato forza di cosa giudicata.
11.
Quando un’intimazione non è andata a buon fine, l’autorità deve ripeterla (Donzallaz, La notification en droit interne suisse, Berna 2002, n. 1161, pag. 550 e rif.). L’ intimazione di un atto giudiziario è valida anche per posta semplice, sempre che esso entri in possesso del destinatario (v. sentenza CCRP del 29 dicembre 2004, inc. 17.2004.60, consid. 5).
Nel caso concreto il ministero pubblico, invece di procedere ad una nuova intimazione formale, ha considerato valida la prima ed ha unicamente inviato una copia del decreto per posta B con la menzione “
copia per conoscenza
della decisione intimata in data 29.03.10 per raccomandata non ritirata. Ministero pubblico del Cantone Ticino il 12.04.10
”.
Nonostante tale indicazione, va considerato che solo in occasione della ricezione di tale invio da parte di
Spirig
, avvenuta - secondo
le sue dichiarazioni
- il 6
maggio 2010 (la prova di una diversa data di ricezione non essendo stata fornita dall’autorità, cui incombeva il relativo onere), egli
ha preso conoscenza del decreto d’accusa e della facoltà di sollevare opposizione entro quindici giorni dalla sua intimazione.
La sua opposizione del 9/10 maggio 2010 non può, dunque, essere considerata tardiva.
Non merita pertanto tutela l’analisi del primo giudice, che ha considerato lo scritto del ricorrente 9 maggio 2010 dapprima come opposizione, ritenendola tardiva, e di seguito come istanza di restituzione dei termini, giudicandola infondata.
Il ricorso va, di conseguenza, accolto, con rinvio degli atti alla pretura penale affinché si pronunci nel merito della vicenda.
12.
Gli oneri processuali seguono le soccombenza (art. 15 cpv. 1 CPP) e sono di conseguenza posti a carico dello Stato. Non si attribuiscono ripetibili al ricorrente, che ha presentato il suo gravame senza l’ausilio di un avvocato. | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,010 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
|
9422c1ec-60a1-511c-9020-d09bc15a1199 | in fatto: A.
Con decreto d’accusa 25 aprile 2007, l’allora sost PP ha dichiarato RI 1 autore colpevole di sommossa per avere, l’11 marzo 2006, nei pressi della pista di ghiaccio della _, prima dell’inizio dell’incontro di hockey su ghiaccio fra _, partecipato all’assembramento di giovani che ha cercato di impedire il regolare accesso dei tifosi dell’_ alla pista di ghiaccio, assembramento nel corso del quale sono stati danneggiati beni pubblici e privati e sono stati lanciati oggetti contundenti contro i tifosi dell’_ e contro la polizia che cercava di evitare che i due gruppi di tifosi entrassero in contatto.
In applicazione della pena, ne ha proposto la condanna alla pena pecuniaria di fr 450.- corrispondente a 15 aliquote di fr 30 ciascuna, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di 2 anni e alla multa di fr 200.- da sostituirsi, in caso di mancato pagamento, con una pena detentiva di 3 giorni.
B.
Statuendo sull’opposizione presentata da RI 1, il giudice della pretura penale, con sentenza 28 aprile 2008, ne ha confermato la colpevolezza e lo ha condannato al pagamento di 10 aliquote giornaliere di fr 60.- cadauna per un totale di fr 600.- , pena sospesa condizionalmente, e al pagamento di una multa di fr 200.-. Ha altresì vietato a RI 1, a valere quale norma di condotta, per un periodo di 1 (uno) anno dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna pretorile, di accedere alle piste di ghiaccio svizzere in occasione di incontri internazionali o di Lega Nazionale A o B, così come negli spazi adiacenti in un raggio di 1000 metri (art. 44 cpv. 1).
C. RI 1
ha
impugnato la sentenza pretorile motivando con allegato 9 giugno 2008 la dichiarazione di ricorso fatta il 29 aprile.
Nel ricorso – in cui sostiene che il giudice di prime cure è incorso in una errata applicazione del diritto sostanziale, in manifesti errori procedurali e in arbitrari accertamenti dei fatti – egli chiede, con l’annullamento della sentenza di primo grado, di essere prosciolto.
D.
Il sost PP, con scritto 1 luglio 2008, senza svolgere particolari osservazioni, ha postulato la reiezione del gravame. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288 cpv. 1 lett. a e b CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono sindacabili unicamente qualora la sentenza impugnata denoti
estremi di arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c e 295 cpv. 1 CPP).
Perché un accertamento possa essere definito arbitrario, non è sufficiente che esso sia manchevole, discutibile o finanche inesatto. E’ necessario che esso sia manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 132 I 13 consid. 5.2 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag., 219, 129 I 173 consid. 3 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30; 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata, né contrapporle una propria versione dell’accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev’essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 132 I 13 consid. 5.2 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, DTF 128 I 177 consid. 2.1 pag. 182, 275 consid. 2.1; 125 II 129 consid. 5b pag. 134, 125 I 166 consid. 2a pag. 168, 124 I 208 consid. 4a pag. 211).
2.a)
Il ricorrente sostiene come il giudice di prime cure abbia violato l’art. 255 cpv. 3 CPP poiché non sono state riportate a verbale tutte le sue dichiarazioni, nonostante, da un lato, egli venisse sentito per la prima volta da un magistrato e nonostante molte delle sue dichiarazioni al dibattimento chiarissero quelle da lui fatte nel corso dell’unico suo interrogatorio in sede d’inchiesta che venne effettuato a cura della polizia del canton _.
Nel verbale del dibattimento – egli continua – sono state riportate soltanto alcune sue frasi del tutto estemporanee e irrilevanti.
Inoltre, il verbale del dibattimento non riporta integralmente le argomentazioni dell’arringa difensiva.
Pertanto – conclude il ricorrente - il verbale non permette all’autorità di ricorso di “conoscere le dichiarazioni fatte dall’accusato né di verificare quali contestazioni siano state mosse dalla difesa né di capire perché certe affermazioni, totalmente estemporanee, siano a verbale e siano contenute nella sentenza, confondendo il lettore e impedendo una visione globale e imparziale che dovrebbe stare alla base di una decisione” (ricorso pag. 8).
b)
L’art. 255 cpv. 3 CPP dispone che le risposte dell’accusato – così come quelle dei periti e dei testimoni – vanno riportate nel verbale del dibattimento nelle seguenti ipotesi:
-
nei casi previsti dagli art. 246 (falsa testimonianza) e 248 (impedimento del testimone;
-
nel caso in cui queste persone sono sentite per la prima volta o modifichino le dichiarazioni fatte in istruttoria;
-
se il giudice ritiene di farlo oppure su richiesta delle parti.
c)
Il verbale del dibattimento tenutosi il 28 aprile 2008 non riporta nessuna delle dichiarazioni fatte dall’accusato durante il suo interrogatorio.
Semplicemente, nel verbale è riportato quel che sembra essere un breve riassunto di quanto da egli dichiarato al momento in cui venne interpellato, giusta l’art. 252 CPP, dopo l’arringa del difensore.
Ciò detto, non risulta dal verbale del dibattimento che la difesa del ricorrente abbia chiesto - ai sensi dell’art. 255 cpv. 3 lett. c - una verbalizzazione più estesa delle dichiarazioni del suo patrocinato né che abbia chiesto una verbalizzazione della sua arringa più ampia di quanto previsto, in particolare, dall’art. 255 cpv. 2 CPP ( secondo cui il verbale deve indicare sommariamente le conclusioni presentate nel corso del dibattimento).
Né risulta che, al dibattimento, la difesa abbia sostenuto l’obbligatorietà della verbalizzazione di dichiarazioni dell’imputato in applicazione dell’art. 255 cpv. 3 lett. b CPP.
In queste circostanze, la censura ricorsuale è irricevibile in applicazione dell’
art. 288 lett. b CPP secondo cui le pretese irregolarità procedurali devono essere eccepite non appena possibile e cioè, in questo caso, al dibattimento.
3.
Il ricorrente rimprovera al giudice di prime cure di avere arbitrariamente accertato che egli ha partecipato ai disordini.
3.1.
Il giudice di prime cure ha accertato che
“l’accusato si è trovato coinvolto nei fatti”
che videro, nel pomeriggio dell’11 marzo 2006,
“circa 150/200 facinorosi”
dare
origine “a tumulti e disordini che hanno causato diversi scontri con la polizia presente sul luogo per mantenere l’ordine”
.
Dopo avere ricordato che la polizia giudiziaria, nel suo rapporto, aveva diviso gli avvenimenti di quella sera - che si verificarono in luoghi e momenti diversi – in 7 fasi, il primo giudice ha accertato che “
nella terza fase, in cui risulta coinvolto anche l’accusato, la situazione degenerava pericolosamente
” visto che i tifosi delle due squadre erano riusciti a venire in contatto e ad ingaggiare una rissa nel corso della quale “
continuavano a volare razzi ed oggetti contundenti anche ad altezza d’uomo e la polizia diventava bersaglio del lancio di un container
” così che gli agenti reagirono “
con balzi offensivi e con lo sparo di proiettili di gomma per disperdere i tifosi scalmanati
”. Ciò detto, il giudice di prime cure, ha continuato descrivendo le successive fasi dei disordini (sentenza di primo grado, consid. 2, pag. 6 e 7).
Nel considerando successivo, il giudice ha ricordato che, nell’interrogatorio effettuato il 21 settembre 2006, RI 1 ha dichiarato di essere giunto a _ il sabato 11 marzo 2006 in compagnia della propria ragazza e di un amico per assistere al derby. Giunti “
alle casse dello stadio per acquistare i biglietti
”, i tre “
avevano udito molta confusione
” e, “
essendosi incuriositi
”, decisero di avvicinarsi “
per vedere meglio cosa stesse succedendo, rimanendo ad osservare gli eventi che, nel frattempo, cominciavano a degenerare
”.
Fu in quel frangente che RI 1 venne colpito all’occhio destro da un proiettile di gomma sparato dalla polizia.
Il giudice di prime cure ha, poi, accertato che l’imputato, rispondendo alla domanda volta a sapere perché egli si era trovato coinvolto nella sommossa e non aveva dato seguito all’intimazione della polizia di allontanarsi, ha detto che “
inizialmente si era avvicinato per curiosità ma che, poi, quando si era accorto che la situazione stava degenerando, voleva andarsene e gli sarebbe bastato solo ancora un attimo per convincere il suo amico ad allontanarsi ma che non era riuscito nel suo intento poiché era stato colpito da una delle palle sparate dalla polizia
” (sentenza consid. 3 pag. 7, 8).
In seguito, il primo giudice ha indicato che, al dibattimento, RI 1 ha confermato la deposizione resa in sede di inchiesta pre-dibattimentale affermando di avere visto una catena di polizia disposta tra un centinaio di tifosi delle due squadre, di avere visto alcuni facinorosi con il volto coperto e alcuni tifosi del _ sparare dei razzi. Dopo avere confermato che c’era molta confusione – secondo quanto riportato dal giudice di prime cure in sentenza – RI 1 ha dichiarato che “
nonostante la sua ragazza si fosse allontanata per un motivo di cui non era a conoscenza, lui era rimasto sul luogo degli eventi e che quando si era accorto che la situazione stava degenerando voleva andarsene per non avere problemi con la legge ma che poi era stato colpito dalla palla di gomma sparata dalla polizia
” . Infine, il giudice di prime cure ha annotato come l’imputato abbia più volte ribadito “
di essere stato un semplice osservatore dei fatti
” (sentenza di primo grado, consid. 6, pag. 9).
3.2.
Nel suo allegato, il ricorrente ha dapprima rilevato come agli atti del procedimento penale non vi sia nulla all’infuori delle sue dichiarazioni: in quanto ferito, le sue generalità erano state assunte dalla polizia che, poi, ha chiesto alla polizia di _ di interrogarlo: “
nessuna testimonianza, nessun accertamento, nessun’altra prova se non le dichiarazioni fatte dallo stesso RI 1 hanno portato all’apertura del procedimento penale a suo carico
” (ricorso pag. 4).
In seguito, rileva come, contrariamente a quanto indicato dal primo giudice, egli abbia visto soltanto la fase 2 dell’assembramento così come risulta dalla risposta data alla domanda no 19 postagli dalla polizia di _. Afferma di essersi trovato davanti alla cassa Ovest per comprare i biglietti e, sentito i cori delle due fazioni, di essersi spostato (dalla cassa Ovest la visuale è coperta da un garage e un ristorante) su via _ – quindi, di essersi posto parallelamente ai disordini e senza avvicinarsi – poiché soltanto da lì egli poteva vedere cosa succedeva, sempre su via _, ma lontano dalla sua posizione, all’altezza della panetteria _. Sostiene, poi, come, sentendo gli spari, abbia deciso di allontanarsi e come, mentre si dirigeva in direzione dell’ex-_, si sia girato per chiamare l’amico che non si muoveva e come, in quel frangente, sia stato colpito dal proiettile.
Sottolinea ancora come queste sue dichiarazioni – fatte al dibattimento – non soltanto non siano state verbalizzate ma nemmeno siano state riportate in sentenza dove “
si cita solo la fase 3. dichiarando che RI 1 vi è stato coinvolto , quasi a far apparire lo stesso parte del gruppo di facinorosi che davanti a lui lanciavano razzi e container. La fase 2 non viene nemmeno citata. E, quasi a enfatizzare, vengono però citate tutte le altre, fino alla 7. RI 1 è stato colpito tra la 2. e la 3. Non si capisce pertanto a che pro elencare tutti gli atti commessi la sera dei fatti
” (ricorso pag. 6).
Rileva, inoltre, come gli accertamenti del primo giudice siano lacunosi: non ha accertato presso quale cassa egli fosse – limitandosi a dire che si erano recati alle casse – nonostante al dibattimento egli lo avesse precisato e avesse, pure, specificato che la cassa ovest si trova proprio sul marciapiede di via _.
Sottolinea, ancora una volta, come il primo giudice abbia riportato in sentenza pochi fatti e lo abbia fatto in modo da farlo apparire come una persona che, sentite le urla, si sia deciso a prender parte a quanto stava succedendo, “
completamente in disaccordo su come egli ha raccontato i fatt
i”.
3.3.
Come visto al considerando 3.1., riguardo all’agire di RI 1 il giudice di prime cure si è limitato ad accertare che questi, mentre era, con gli amici,
“alle casse dello stadio”
per acquistare i biglietti, udì
“molta confusione”
e che, incuriosito, con gli amici
“si avvicinò per vedere meglio cosa stesse succedendo”
.
Senza avere in alcun modo accertato né a quale cassa RI 1 si fosse rivolto per acquistare il biglietto né dove RI 1 e i suoi due amici si trovassero – rispetto ai disordini – quando
“si furono avvicinati”
(peraltro, a che cosa?), il giudice si è limitato ad accertare che i tre (o, per quel che qui interessa, RI 1 e l’amico) rimasero ad osservare gli eventi che, nel frattempo, cominciavano a degenerare.
Proseguendo in quella scarna ricostruzione dei fatti,
il giudice di prime cure ha accertato – sulla base delle dichiarazioni dell’accusato – che questi, quando si accorse che
“la situazione stava degenerando”
decise di allontanarsi ma si attardò un attimo
“per convincere il suo amico”
a seguirlo e, in quel mentre, venne colpito dal proiettile di gomma.
E’ certamente vero, come sostenuto dal ricorrente, che i fatti determinanti per il giudizio – in particolare, il comportamento da lui tenuto – sono stati accertati soltanto a grandi linee: non è stato accertato davanti a quale cassa il ricorrente si trovasse quando ha sentito
“la confusione”
che ha risvegliato la curiosità sua e dei suoi amici, non è stato precisato dove egli si sia recato per vedere meglio cosa stava succedendo né si è ritenuto di dovere accertare cosa egli abbia fatto quando
“si è avvicinato”
.
Tuttavia – nella misura in cui sono fondati sulle dichiarazioni dello stesso accusato – gli accertamenti del primo giudice non possono essere ritenuti arbitrari.
Diversa è la questione per
“il coinvolgimento nella fase tre”
di cui il giudice di prime cure ha detto al considerando 2. della sua sentenza. Nella misura in cui il
“coinvolgimento”
deve essere inteso come la sussunzione in diritto dei fatti accertati, la conclusione del primo giudice verrà valutato di seguito.
4.
Il ricorrente rimprovera al primo giudice anche un errore nell’applicazione del diritto ai fatti accertati.
4.1.
Dopo avere ricordato i presupposti applicativi dell’art. 260 cpv. 1 CP, il primo giudice ha concluso che, la sera dell’11 marzo 2006, vi fu, all’incrocio tra la via _ che porta all’entrata ovest della _, una sommossa ai sensi di tale disposto poiché “
c’è stato un assembramento pubblico nel quale si sono verificati episodi di violenza da parte di tifosi scalmanati che hanno lanciato razzi e oggetti contundenti sia verso la tifoseria avversaria che verso la polizia
” causando danni sia a beni pubblici (furgone della polizia, recinzioni, transenne e un cassonetto) che a beni privati (veicoli) e nel corso della quale diverse persone vennero ferite.
Rilevato che a tale sommossa l’imputato “
era presente seppur senza commettere violenze in prima person
a” e ricordato come “
la semplice presenza, seppur inerme, è considerata dal legislatore come partecipazione alla stessa
”, il giudice di prime cure ha ritenuto “
certa la presenza di tutti gli elementi oggettivi costitutivi della fattispecie delittuosa della sommossa
” (sentenza consid. 9 pag. 11 e 12).
4.2.
Il ricorrente sostiene che, in concreto, non è dato il requisito oggettivo della sua partecipazione alla sommossa.
Rileva come, essendo egli rimasto “
a molti metri di distanza (facilmente calcolabili)
” dai tifosi che, divisi dal cordone di polizia, si lanciavano oggetti, egli non poteva, in nessun caso, apparire ad un osservatore esterno come un partecipante alla sommossa.
Sottolinea come il giudice di prime cure abbia sbagliato rilevando che il presupposto della partecipazione, e meglio la differenza fra il partecipante all’assembramento e il semplice spettatore va esaminato in funzione dell’elemento soggettivo. “
A prescindere dal fatto
– precisa il ricorrente –
che RI 1 se ne stava andando e non aveva alcuna intenzione di aggregarsi all’assembramento, né tantomeno poteva decidere di rimanervi non essendone parte, e che quindi l’elemento soggettivo giocherebbe a suo favore, l’applicazione del diritto è in questo caso palesemente errata
.” (ricorso pag. 10).
4.3.
Per quanto qui interessa, va, in diritto, precisato che l’applicazione dell’art. 260 CP presuppone, fra gli altri elementi oggettivi, la partecipazione all’assembramento.
Perché possa essere definito tale – cioè, perché questo presupposto sia realizzato - non è necessario che il partecipante compia degli atti di violenza. Basta che, oggettivamente, l’autore appaia, agli occhi di un osservatore esterno, come una parte integrante dell’assembramento e non come un semplice spettatore passivo (DTF 124 IV 269 consid. 2b; 108 IV 33).
4.4.
In concreto, è evidente che i fatti accertati dal giudice di prime cure non bastano per ritenere realizzato, in capo ad RI 1, il reato di sommossa.
Come visto al consid. 3.1, per quanto accertato dal giudice di prime cure si ha, semplicemente, che il ricorrente, incuriosito dal vociare dei tifosi facinorosi, ha lasciato la cassa dove voleva acquistare il biglietto per la partita per avvicinarsi e vedere cosa succedeva e che, poi, quando ha visto che la situazione degenerava, ha deciso di andarsene e che, mentre cercava di convincere l’amico a seguirlo, è stato raggiunto dalla pallottola.
In questo comportamento non è nemmeno ipotizzabile di ravvedere gli estremi della partecipazione alla sommossa ai sensi dell’art. 260 CP poiché esso – nei termini accertati dal primo giudice – non si distingue dal comportamento di un osservatore esterno.
Soltanto con l’accertamento di un comportamento di RI 1 oggettivamente indicativo di un suo coinvolgimento con il gruppo degli esagitati – e oggettivamente riconoscibile come tale da uno spettatore esterno – si sarebbe potuto ritenere realizzati tutti (dati, in concreto, gli altri) i presupposti oggettivi del reato di sommossa.
Il giudice di prime cure avrebbe dovuto procedere – sulla base del materiale istruttorio (e, fra questo, le dichiarazioni dell’imputato) - ad un accertamento più minuzioso dei fatti.
In particolare, avrebbe dovuto almeno tentare di accertare di quanto l’accusato si è avvicinato ai facinorosi e se egli si è limitato ad osservare quanto succedeva o se, invece, si è, in qualche modo, mescolato al gruppo dei tifosi facinorosi o, ancora, se, per esempio, ha aggiunto le sue urla a quelle dei due gruppi di tifosi o se, in altro modo, egli ha avuto atteggiamenti tali da essere percepito – da un osservatore esterno – come una parte integrante del gruppo di facinorosi.
L’accertamento di un tale comportamento di RI 1 manifestamente manca: pertanto, forza è concludere che la sussunzione in diritto dei fatti accertati effettuata dal primo giudice è errata.
Constatata l’inutilità di un rinvio per migliori accertamenti visto che non vi sono emergenze probatorie atte a sconfessare le dichiarazioni dell’accusato, la sentenza impugnata deve essere annullata e RI 1 deve, pertanto, essere assolto dal reato di sommossa.
5.
Gli oneri processuali di prima sede (fr. 1'000.-) vanno posti a carico dello Stato.
Sulle ripetibili di prima sede, per contro, spetterà al ricorrente adire la Camera dei ricorsi penali ai sensi degli art. 317 segg. CPP.
Gli oneri processuali del presente giudizio sono posti interamente a carico dello Stato che rifonderà al ricorrente
fr. 1'000.- per ripetibili. | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,009 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
947153c4-3ff7-5a25-9472-7c64562fd69d | in fatto ed in diritto
1.
Con la presente istanza – trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza, a questa Corte – IS 1 domanda la trasmissione delle decisioni e dei decreti d’accusa emanati a suo carico negli anni scorsi, essendo stati richiesti dal competente ufficio nell’ambito della procedura di naturalizzazione per l’ottenimento della cittadinanza svizzera.
2.
Come esposto in entrata, il Ministero pubblico non si è opposto alla richiesta, producendo parimenti le seguenti decisioni / i seguenti decreti (in originale rispettivamente in copia conforme all’originale) emanati a suo carico:
- decreto di accusa 3.09.2007 (DA _);
- decreto di accusa 15.09.2003 (DA _);
- sentenza 28.11.1996 della Corte delle assise correzionali di _ (inc. TPC _);
- decreto di accusa 24.01.1994 (DAP _);
- decreto di accusa 5.07.1991 (DAP _).
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.1.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
Nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (quale accusato) nei procedimenti nel frattempo terminati, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo
.
Come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.3.1987, ad art. 8 p. 10). Inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19).
Lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG.
4.
Nella fattispecie in esame è pacifico l’interesse giuridico legittimo dell’istante ad ottenere, in originale rispettivamente in copia conforme all’originale, la sentenza e i quattro decreti di accusa di cui al considerando 2. della presente decisione emanati a suo carico, poiché l’hanno interessat
o
personalmente in veste di parte. A ciò aggiungasi che egli ha bisogno di tali documenti nell’ambito della procedura di naturalizzazione che lo concerne personalmente.
Di conseguenza, il decreto di accusa 3.09.2007 (DA _), il decreto di accusa 15.09.2003 (DA _), la sentenza 28.11.1996 della Corte delle assise correzionali di Lugano (inc. TPC _), il decreto di accusa 24.01.1994 (DAP _) e il decreto di accusa 5.07.1991 (DAP _), vengono trasmessi,
in originale rispettivamente in copia conforme all’originale, all’istante unitamente alla presente decisione.
5.
L’istanza è accolta ai sensi del surriferito considerando. La tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico di chi le ha occasionate. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,011 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
94b870ff-bcd9-503e-b9a4-5479d6693467 | in fatto: A.
Nel corso del 2008, a causa di discussioni sorte a seguito di una domanda di costruzione inoltrata al municipio da PC 1 per l’ampliamento della loro abitazione, i rapporti di vicinato tra i coniugi PC 1, all’epoca dei fatti residenti a _ in Via _, RI 1, pure residente in Via _ a _, si sono deteriorati al punto da indurre le parti a querelarsi vicendevolmente.
In particolare, RI 1, il 1° agosto 2008, ha sporto querela contro i coniugi PC 1 per i reati di vie fatto e danneggiamento, accusando PC 1 di averlo colpito alla testa con un sacchetto contenente rifiuti e PC 1 di avere lanciato sassi contro la sua abitazione nonché di averlo molestato suonando il campanello di casa sua e facendo squillare il suo telefono.
Da parte loro, i coniugi PC 1, in data 5 agosto 2008, hanno sporto querela contro il vicino per i reati di calunnia, diffamazione ed ingiuria, rimproverandogli di avere allestito scritti lesivi del loro onore e di avere insultato e spaventato le loro figlie.
B.
Il 26 ottobre 2009 il sostituto procuratore pubblico ha emanato un decreto d’accusa con il quale ha dichiarato RI 1 autore colpevole di ripetuta ingiuria per avere, a _, offeso l’onore delle piccole _ e _ _ (figlie dei querelanti) tacciandole, il 2 luglio 2008, di
“brutte fighe sporche”
nonché urlando contro di loro, il 5 luglio 2008, la frase
“Du verdammti Saufutz verschwind”
(tradotto:
“sparisci maledetta figa porca”
) e per avere, a _ in date imprecisate del mese di agosto 2008, offeso l’onore di PC 1 tacciandolo di
“stronzo”
e
“verdammter Sauhund”
(tradotto:
“dannato porco cane”
).
In applicazione della pena, egli ha proposto la sua condanna alla pena pecuniaria - sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni - di fr. 750.- (corrispondente a 15 aliquote di fr. 50.-) e ad una multa di fr. 400.-.
Contro il decreto di accusa il prevenuto ha sollevato tempestiva opposizione.
C.
Lo stesso giorno il sostituto procuratore pubblico ha deciso il non luogo a procedere contro i coniugi PC 1 per i titoli di vie di fatto e danneggiamento nonché contro RI 1 per i titoli di diffamazione, calunnia e minaccia in relazione ad alcuni suoi scritti.
D.
Con sentenza 28 settembre 2010, il giudice della Pretura penale - statuendo sull’opposizione - ha condannato RI 1 per il reato di ingiuria a danno delle figlie dei querelanti. Egli ha, invece, assolto il prevenuto dall’imputazione di ingiuria nei confronti di PC 1 personalmente.
In applicazione della pena, il giudice della Pretura penale ha, poi, condannato RI 1 alla pena pecuniaria - sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni - di fr. 500.- (corrispondente a 10 aliquote giornaliere di fr. 50.-), ad una multa di fr. 150.- (da sostituirsi, in caso di mancato pagamento, con una pena detentiva sostitutiva di 3 giorni) nonché al pagamento delle tasse e spese di giustizia di complessivi fr. 800.-.
E.
RI 1 è insorto contro la predetta sentenza con dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e revisione penale di data 30 settembre 2010.
Nella motivazione scritta, presentata l’8 novembre 2010, egli lamenta un vizio essenziale di procedura nonché l’accertamento arbitrario di fatti posti a base della sentenza. Inoltre RI 1 chiede che i coniugi PC 1 e i testi TEST_1 e _ vengano condannati giusta gli art. 303, 304 e 186 CP.
F.
Senza svolgere particolari osservazioni, con scritto 19 novembre 2010, il sostituto procuratore pubblico ha chiesto la conferma della decisione impugnata.
Con osservazioni di data 22 novembre 2010, le parti civili PC 1 si sono rimessi al giudizio di questa Corte. | Considerando
in diritto:
1.
Giusta l’art 288 CPPti - applicabile in forza dell’art. 453 cpv. 1 CPPfed - il ricorso per cassazione è essenzialmente un rimedio di diritto (art. 288 lett. a e b CPPti) nella misura in cui l’accertamento dei fatti è censurabile unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPPti), ritenuto inoltre che arbitrario non significa manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 135 V 2 consid. 1.3 pag. 5, 134 I 153 consid. 3.4 pag. 156133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia consid. 3 pag. 371).
2.
Il ricorrente rimprovera, innanzitutto, al primo giudice di avere fondato il suo giudizio sulle deposizioni delle parti civili PC 1 nonché dei testi TEST_1 e TEST_2, nonostante egli non abbia avuto la possibilità, durante il dibattimento, di interrogarli e di difendersi dalle loro dichiarazioni a suo carico (ricorso, pag. 1 e 3).
Così argomentando il ricorrente lamenta, in sostanza, la violazione del suo diritto di essere sentito.
2.1.
Emerge in concreto dagli atti che i coniugi PC 1 sono stati complessivamente interrogati tre volte dalla polizia cantonale: PC 1 è stato sentito il 27 settembre 2008, PC 1 il 28 agosto e il 19 settembre 2008 (cfr. verbali in AI 6).
Dal canto loro, i testi TEST_2 e TEST_1 sono stati sentiti dalla polizia cantonale rispettivamente il 6 e l’8 novembre 2008 (cfr. verbali in AI 6).
RI 1 non è stato citato a nessuno di questi interrogatori.
PC 1
ha partecipato, in veste di parte civile, al dibattimento nel cui ambito è stato sentito (verb. dib. pag. 2).
Né PC 1, né TEST_2 né TEST_1 hanno, invece, presenziato al dibattimento (cfr. doc. 10 Pretura penale).
2.2. a)
Il diritto di essere sentito - sancito esplicitamente dall'art. 29 cpv. 2 Cost. e dall’art. 6 § 3 lett. d CEDU - assicura, tra l'altro, la facoltà di offrire formalmente e tempestivamente mezzi di prova su punti rilevanti e di esigerne l'assunzione, di partecipare alla loro assunzione e di esprimersi sulle relative risultanze, nella misura in cui essi possano influire sulla decisione (STF 1. 5. 2009 in 4A.153/2009, consid. 4.1. e riferimenti; STF 23.5. 2008 in 6B.570/2007 consid. 5.1.;
STF 13.4.2005 in 2P.20/2005, consid. 3.2 e riferimenti;
DTF 131 I 153 consid. 3; DTF 126 I 15 consid. 2a/aa; DTF124 I 49 consid. 3a; DTF 124 I 241 consid. 2; DTF 115 Ia 8 consid. 2b pag. 11 con citazioni). In particolare, in forza delle disposizioni citate, ogni accusato ha il diritto di interrogare o fare interrogare i testi a carico e di ottenere la citazione e l’interrogatorio dei testi a scarico nelle stesse condizioni dei testi a carico (DTF 125 I 127 consid. 6b, pag. 133; 124 I 274 consid. 5b, pag. 284; 121 I 306 consid. 1b, pag. 308; DTF 116 Ia 289 consid. 3 pag. 291 con richiami; STF 29.3.2000 1P.706/1999; STF 5 marzo 2009 in 6B.992/2008, consid. 1.1.1. in fine).
b)
Il diritto dell'accusato di interrogare o fare interrogare i testimoni a carico, sancito dall'art.
6
§
3
lett. d
CEDU
, costituisce un aspetto puntuale del diritto ad un equo processo sancito dall’art.
6
§
1
CEDU
e mira ad escludere che un giudizio penale venga fondato su dichiarazioni di testimoni ai quali l'accusato non ha avuto la possibilità di porre domande o che non hanno potuto essere messe in dubbio. Questa facoltà è garantita anche dall'art.
32
cpv. 2
Cost.
che concretizza per l’imputato il diritto di essere sentito (art.
29
cpv. 2
Cost.
). Le norme citate hanno lo scopo di assicurare la parità delle armi e il diritto ad un equo processo (DTF 131 I 476 consid. 2.2 e rinvii; DTF 129 I 151 consid. 3.1 con indicazioni dettagliate).
c)
Conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la nozione di testimone deve essere interpretata in senso lato, senza un legame formale con il diritto nazionale: in questo senso, per deposizioni testimoniali s’intendono tutte le dichiarazioni di cui il giudice viene a conoscenza e che può utilizzare. Anche le dichiarazioni rilasciate davanti agli organi di polizia nel corso delle indagini preliminari sono, perciò, da considerare deposizioni testimoniali (DTF 131 I 476 consid. 2.2; 125 I 129 consid. 6a).
d)
Secondo la giurisprudenza del TF, deposizioni di testimoni o di persone informate sui fatti possono, di regola, essere utilizzate a carico dell’accusato soltanto dopo un confronto. In questa senso, la facoltà di interrogare testimoni a carico assume di principio un carattere assoluto. Nella prassi, tuttavia, la portata di tale facoltà è in parte relativizzata, valendo in maniera illimitata soltanto quando la testimonianza in questione riveste un’importanza determinante, rappresentando l’unica prova o una prova comunque decisiva (DTF 131 I 476 consid. 2.2; 129 I 151 consid. 3.1 con indicazioni; sentenza 6P.59/2001 del 4 luglio 2001 consid. 3e).
e)
Il TF ha più volte precisato che l’esercizio del diritto all’interrogatorio dei testi è sottoposto alle norme procedurali applicabili che possono porre condizioni di forma e di termini. Inoltre, il TF ha spiegato che l’interessato può rinunciare - espressamente o tacitamente - a tale sua facoltà e che tale rinuncia non invalida le deposizioni raccolte durante l’inchiesta (STF 29.3.2000 1P.706/1999, consid. 2a; STF 7.8.2003 in 6P.68/2003 consid. 2; DTF 121 I 306, consid. 1b). Tuttavia - ha precisato ancora l’Alta Corte - la volontà dell’imputato di rinunciare al suo diritto al contradditorio non può essere ammessa facilmente e può essere accertata soltanto sulla scorta di elementi non equivoci e unicamente quando al prevenuto sono, comunque, state assicurate garanzie proporzionate alla gravità di tale rinuncia (STF 29.3.2000 1P.706/1999, consid. 2a; DTF 121 I 30 consid. 5f).
f)
Il TF ha già avuto modo di stabilire che il fatto che un imputato non abbia chiesto di essere confrontato ad un teste a carico durante l’inchiesta oppure davanti al giudice di primo grado non può essere, di per sé, considerato come una rinuncia al suo diritto al contradditorio se il diritto procedurale cantonale prevede l’assunzione di prove in seconda istanza (STF 29.3.2000 1P.706/1999, consid. 2a che cita STF 7.4.1998 in re D. c. MP del canton Argovia, Hauser/Schweri, Schweizerisches Strafprozessrecht, 3. edizione, Zurigo 1997, § 77 pag. 226 n.6 e N. Oberhlozer, Grundzüge des Strafprozessrechts, Berna 1994, pag. 151 e il rinvio a ZR 86/1987, pag. 158 e seg).
2.3. a)
Nel giudizio impugnato il primo giudice ha spiegato che sui fatti avvenuti il 2 e il 5 luglio 2008 (ovvero quelli per cui il ricorrente è stato condannato) le versioni fornite dalle parti sono diametralmente opposte. In particolare il pretore ha rilevato come i coniugi PC 1 hanno concordemente riferito di aver sentito il prevenuto urlare all’indirizzo delle loro bambine, in data 2 luglio 2008, l’espressione
“sparite brutte fighe sporche”
e in data 5 luglio 2008 la frase
“Du verdammti Saufutz verschwind”
. Da parte sua RI 1, ha continuato il pretore, ha negato con forza di aver proferito le parole in questione,
“sostenendo a più riprese che le accuse dei coniugi PC 1 sarebbero inveritiere”
.
Il pretore ha, poi, osservato come agli episodi summenzionati abbiano assistito anche due testimoni, e meglio la signora TEST_1 (il 2 luglio 2008) e il signor TEST_2 (l’8 luglio 2008), i quali hanno sostanzialmente confermato la versione fornita dai coniugi PC 1.
Ciò posto, il primo giudice ha spiegato come egli non poteva “
che giungere al convincimento che il 2 luglio e il 5 luglio 2008 l’accusato abbia effettivamente pronunciato le frasi in questione all’indirizzo delle figlie della parte civile”
(sentenza impugnata, consid. 5 pag. 4-5).
Da quanto precede discende che il pretore, nel condannare RI 1 per il reato di ripetuta ingiuria, ha essenzialmente fondato il suo giudizio sulle dichiarazioni rese alla polizia dai coniugi PC 1 nonché dai testi TEST_1 e TEST_2.
b)
In concreto, se si può considerare che il ricorrente ha avuto la possibilità di interrogare PC 1 al dibattimento, ciò non è il caso per le altre persone sulle cui dichiarazioni il primo giudice ha fondato il giudizio di condanna.
Va, tuttavia, rilevato che il ricorrente ha chiesto l’audizione della signora PC 1 e dei due testi soltanto con il ricorso in cassazione.
Visti gli art. 227 e 228 CPPti, forza è concludere che la richiesta è tardiva poiché formulata ben oltre la chiusura dell’istruttoria dibattimentale (art. 228 cpv. 1 CPPti), in una sede - quella del ricorso per cassazione - in cui non vi è più la possibilità di procedere all’assunzione di prove.
Di norma, in applicazione della giurisprudenza di questa Corte, tale ritardo comporta la preclusione del diritto al controinterrogatorio per tacita rinuncia (DTF 121 I 306 consid. 1b, CCRP inc. n. 17.2008.47 consid. 2.1)
c)
In concreto, non vi sono elementi che impongano una diversa conclusione.
Risulta dagli atti che RI 1 sapeva, oltre che delle dichiarazioni rese dai coniugi PC 1, anche che gli inquirenti avevano sentito dei testi: in effetti, durante una sua audizione, egli era stato informato dalla polizia che un teste aveva dichiarato di averlo sentito pronunciare le espressioni considerate nel decreto d’accusa (cfr. verbale RI 1 26.11.2008, pag 2 in fine e 3 in alto).
Risulta, poi, che, il 24 novembre 2009, nel termine assegnato dal pretore alle parti con ordinanza 11/16 novembre 2009, RI 1 ha chiesto alla pretura penale - non soltanto l’acquisizione agli atti di un suo scritto denominato “
cronologia degli eventi”
- ma anche che le dichiarazioni dei coniugi PC 1 venissero sottoposte alla verifica di un “Lügendetektor”.
Da ciò si deduce che, oltre ad essere stato ben cosciente della presenza negli atti di dichiarazioni a suo carico e dell’importanza di tali dichiarazioni per il procedimento penale, egli era anche ben consapevole, nonostante non fosse patrocinato, della sua facoltà di chiedere l’assunzione di mezzi di prova.
Della sua sufficiente consapevolezza dei suoi diritti di parte sono, poi, ulteriore prova le modalità con cui egli ha gestito il procedimento (cfr. per esempio, la chiarezza dello scritto 30 settembre 2010 con cui ha dichiarato la sua volontà di ricorrere contro la sentenza di primo grado, scritto che dimostra, peraltro, una buona conoscenza dei meccanismi procedurali) e il fatto che egli ha inoltrato, sempre personalmente, il ricorso in esame in cui egli dimostra, appunto, di sapere che rientra fra le sue facoltà il chiedere di essere confrontato con i testi a carico.
In queste circostanze, il fatto che egli non abbia chiesto l’audizione dei testi e della signora PC 1 in tempo utile, cioè prima della fine del dibattimento di prima sede, deve essere considerato una sua scelta consapevole e, quindi, da ciò non si può che dedurre una sua tacita rinuncia a far uso del suo diritto al contradditorio (cfr. CCRP inc. n. 17.2008.47 consid. 2.1).
Egli è, pertanto, malvenuto a dolersene in questa sede.
3.
Nel merito, egli censura la valutazione del materiale probatorio operata dal pretore sostenendo, in sintesi, che le dichiarazioni dei testi non possono essere considerate fedefacenti, da un lato, perché lui non conosce la signora TEST_1, dall’altro, perché i suoi rapporti con il signor TEST_2 sono compromessi.
3.1.
Nell’accertamento dei fatti e nella valutazione delle prove, il giudice dispone di un ampio potere di apprezzamento (DTF 129 I 8 consid. 2.1.; 118 Ia 28 consid. 1b; DTF 30.03.2007 6P.218/2006) così che, per motivare l’arbitrio, non è sufficiente criticare la decisione impugnata né è sufficiente contrapporvi una diversa versione dei fatti, per quanto sostenibile o addirittura preferibile essa appaia. È, invece, necessario dimostrare il motivo per cui la valutazione delle prove fatta dal primo giudice è manifestamente insostenibile, si trova in chiaro contrasto con gli atti, si fonda su una svista manifesta o contraddice in modo urtante il sentimento di equità e di giustizia. In particolare, il Tribunale federale ha avuto modo di stabilire che un accertamento dei fatti può dirsi arbitrario se il primo giudice ha manifestamente disatteso il senso e la rilevanza di un mezzo di prova oppure ha omesso, senza fondati motivi, di tener conto di una prova idonea ad influire sulla decisione presa oppure, ancora, quando il giudice ha tratto dal materiale probatorio disponibile deduzioni insostenibili oppure ancora se l’accertamento contestato non è sostenuto da alcun elemento probatorio (DTF 129 I 8 consid. 2.1.). Il giudice non incorre, invece, in arbitrio quando le sue conclusioni, pur essendo discutibili, sono comunque sostenibili nel risultato. Per contro, una valutazione unilaterale dei mezzi di prova viola il divieto dell'arbitrio (DTF 133 I 149, 132 III 209 consid. 2.1 pag. 211, 131 I 57 consid. 2 pag. 61, 129 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 e sentenze citate).
3.2.
In concreto, le argomentazioni del ricorrente non bastano a dimostrare un arbitrio nella valutazione delle prove. Da un lato, quand’anche ciò fosse, il fatto che egli non conosca la signora TEST_1 non basta ad inficiarne la dichiarazione secondo cui, quando era a casa dei coniugi PC 1, la donna ha “
visto e sentito il signor RI 1 insultare e spaventare le bambine
” (AI2 citato al consid. 5 della sentenza impugnata). D’altro lato, nemmeno i soltanto pretesi dissapori fra il qui ricorrente e il signor TEST_2 sono determinanti nella misura in cui non basta azzardare l’esistenza di vaghe conflittualità per inficiare il valore probante di una testimonianza e nella misura in cui, peraltro, le dichiarazioni del teste confermano quelle della parte civile e, anche se soltanto indirettamente, quelle della signora TEST_1.
Anche su questo punto, dunque, il ricorso è da respingere.
4.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza.
Non si assegnano ripetibili | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,011 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
94bc0a5e-2798-5239-951c-d37181fa93ef | in fatto ed in diritto
che a seguito della querela 16/20.08.2007 sporta da IS 1 nei confronti di _ per le ipotesi di reato di diffamazione e di abuso di impianti di telecomunicazioni, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale a carico della querelata sfociato nel decreto di non luogo a procedere (non motivato) 3.10.2007 emanato dall’allora sostituto procuratore pubblico Chiara Borelli (inc. NLP _);
che considerato come le parti non hanno richiesto la motivazione scritta entro dieci giorni dalla sua notificazione ex art. 185 cpv. 1 CPP TI, il predetto decreto è regolarmente passato in giudicato;
che con decisione 23.04.2009 l’allora Camera dei ricorsi penali (ora Corte dei reclami penali) ha accolto (ai sensi dei considerandi) l’istanza 1/9.04.2009 presentata da IS 1, mediante la quale ha chiesto di poter visionare l’incarto penale in questione, autorizzando l’istante ad esaminare i relativi atti presso il Ministero pubblico e a fotocopiare i documenti di cui necessita (inc. CRP _);
che il 6.05.2009 IS 1 ha visionato, presso il Ministero pubblico, gli atti dell’incarto penale in questione (AI 12);
che con la presente istanza IS 1 domanda nuovamente a questa Corte di poter visionare gli atti del citato incarto penale (in particolare i tabulati telefonici) e di poter eventualmente fotocopiare i documenti;
che considerato come IS 1 è già stato parte al procedimento nel frattempo archiviato e che l’allora Camera dei ricorsi penali lo aveva già autorizzato a visionare l’incarto penale NLP _, questa Corte ha deciso di non interpellare il procuratore pubblico e _ per presentare eventuali osservazioni;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di querelante) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – nonostante il qui istante abbia omesso di precisare i motivi che stanno alla base della sua richiesta come esatto dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dalla costante prassi di questa Corte – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 ad ottenere l’autorizzazione a visionare gli atti dell’incarto penale NLP _, poiché il procedimento penale nel frattempo archiviato l’ha interessato personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che egli già nel 2009 aveva ottenuto, su sua richiesta, un’autorizzazione in tal senso da parte dell’allora Camera dei ricorsi penali
(inc. CRP _);
che in siffatte circostanze IS 1 è autorizzato ad esaminare presso questa Corte l’incarto penale NLP _, concordando i tempi di accesso con i collaboratori della cancelleria, compatibilmente con i loro impegni;
che egli è, se del caso, autorizzato a fotocopiare i documenti di cui necessita;
che l’istanza è accolta ai sensi delle surriferite considerazioni;
che non si prelevano tassa di giustizia, essendo IS 1 già stato parte al procedimento penale di cui all’incarto NLP _ nel frattempo archiviato. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,013 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
951f83b7-a683-5e8f-a76f-5ba56eb0c986 | in fatto: A.
Con sentenza del 15 settembre del 1992 la Corte delle assise criminali in Mendrisio ha riconosciuto _ e _ autori colpevoli, tra l'altro, di tentata rapina aggravata per fatti avvenuti il 17 dicembre 1991 in una villa a _, proprietà di _, condannandoli a 3 anni e 6 mesi, rispettivamente a 8 anni e 9 mesi di reclusione, e all'espulsione dalla Svizzera per 15 anni. Un ricorso introdotto da _ alla Corte di cassazione e di revisione penale è stato respinto con sentenza del 20 aprile 1993. Adito con ricorso per cassazione, il Tribunale federale ha stabilito il 15 marzo 1994 che _ si era reso colpevole di tentata rapina aggravata a norma dell'art. 139 n. 2 vCPP anziché dell'art. 139 n. 3 vCP, lasciando invariata nondimeno la commisurazione della pena (DTF 120 IV 113).
B.
Nel tentativo di rapina _ aveva coinvolto anche _, a quel tempo informatore della polizia, indicandolo come la persona che gli aveva indicato la villa e che gli aveva procurato il fucile per passare all'atto insieme con _. _ è quindi stato arrestato il 27 dicembre 1991 ed è rimasto in carcere fino al 10 gennaio 1992. Con sentenza del 10 maggio 2001 la presidente della Corte delle assise correzionali di Mendrisio lo ha poi riconosciuto colpevole di complicità in tentata rapina aggravata (art. 139 n. 1
bis
vCP) per avere aiutato _ nella preparazione e nell'organizzazione del colpo. Inoltre lo ha riconosciuto colpevole di truffa per avere, in correità con _, occultato nel 1987 un'Alfa Romeo intestata allo stesso _ (per smontarla o alterarne il numero di telaio) affinché questi ne denunciasse fittiziamente il furto e ottenesse con inganno astuto prestazioni assicurative, come in effetti avvenne. _ è stato prosciolto invece dalle altre imputazioni contenute nell'atto di accusa dell'8 maggio 1992 e in quello aggiuntivo del 12 febbraio 2001. In applicazione delle pena, la presidente della Corte ha inflitto a _, previo riconoscimento dell'attenuante del lungo tempo trascorso, 10 mesi di detenzione (computato il carcere preventivo sofferto) sospesi condizionalmente con un periodo di prova di due anni.
C.
Contro la sentenza predetta _ ha inoltrato il 15 maggio 2001 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 20 giugno successivo, egli chiede di essere prosciolto dall'accusa di complicità in tentata rapina aggravata e di ridurre la pena irrogatagli a 2 mesi di detenzione (computato il carcere preventivo sofferto) per il reato di truffa. Nelle sue osservazioni del 25 giugno 2001 il Procuratore pubblico propone di dichiarare il ricorso inammissibile, subordinatamente di respingerlo nel merito. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto, non destinato a rimettere in causa l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove (art. 288 cpv. 1 lett. a e 295 CPP). Problemi del genere sono sindacabili unicamente se il giudizio impugnato denota gli estremi dell'arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. ac CPP). Arbitrario non significa tuttavia discutibile o finanche erroneo, bensì manifestamente insostenibile o in aperto contrasto con gli atti (DTF 126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4a). Per motivare una censura di arbitrio non basta quindi criticare la decisione impugnata, né contrapporle una propria versione dei fatti, per quanto preferibile essa appaia. Occorre invece spiegare per quale ragione l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sarebbero manifestamente insostenibili, si trovino in chiaro contrasto con gli atti o contraddicano in modo urtante il sentimento di giustizia e dell'equità (DTF125 II 10 consid. 3a, 124 IV 86 consid. 2a, 123 I 1 consid. 4a, 122 I 61 consid. 3a). Secondo giurisprudenza, inoltre, una sentenza incorre nell'annullamento quando essa è arbitraria non solo nella motivazione, ma anche nel risultato (DTF 125 II 129 consid. 5b, 124 II 166 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4a, 122 I 253 consid. 6c con rinvii).
2.
Il ricorrente rimprovera alla presidente della Corte di assise di avere violato l'art. 18 cpv. 2 CP e, di riflesso, l'art. 139 n. 1
bis
vCP, poiché egli non ha agito con la consapevolezza di favorire _ nell'esecuzione della progettata rapina in danno di _. La mancanza del presupposto soggettivo comporterebbe perciò la sua assoluzione dal reato imputatogli. Ora, quel che l'autore di un reato sa o non sa, quello che vuole o l'eventualità delittuosa cui egli consente è un problema legato all'accertamento dei fatti e alla valutazione delle prove (DTF 121 IV 92 consid. 2b). Come si è appena visto, la Corte di cassazione e di revisione penale è abilitata a rivedere gli accertamenti di prima sede solo con cognizione circoscritta all'arbitrio (consid. 1).
3.
Sostiene anzitutto il ricorrente che _ non aveva attacchi con la malavita, come _; era un soggetto con problemi finanziari, ma incensurato e apparentemente incapace di compiere una rapina a mano armata. Tant'è che il commissario _ ha confermato come egli non lo avesse avvertito del pericolo proprio perché reputava _ inoffensivo, convinto com'era che il fucile sarebbe stato semplicemente trafugato in Italia. Ricorda altresì che _ gli ha deliberatamente mentito, anche per evitare richieste di partecipazione alla refurtiva, in particolare quando gli ha raccontato che le persone “interessate alle ville” erano suoi amici italiani, quando gli ha chiesto un'arma da portare in Italia per conto di terzi e quando ha indicato in _ la persona che avrebbe dovuto attraversare il confine. Tutto ciò escluderebbe la sua consapevolezza.
In realtà l'argomentazione testé riassunta non è idonea a motivare un ricorso per cassazione fondato sul divieto dell'arbitrio. Il ricorrente si diffonde per vero in considerazioni sue, ma non si confronta con gli elementi che hanno indotto la prima Corte a ritenere che egli non potesse ignorare il vero motivo per cui _ si era rivolto a lui: conoscere i luoghi adatti a perpetrare un colpo (sentenza, pag. 10 in fondo, 11 e 12 in alto) e procurarsi un fucile con precise caratteristiche (sentenza, pag. 12, 13 e 14). Al ricorrente incombeva di spiegare come, dove e perché su questi punti la prima giudice sarebbe incorsa, oltre che in presunti errori di valutazione, in sbagli o in mancanze qualificate che facciano apparire il suo ragionamento non solo come opinabile, ma come palesemente indifendibile, ovvero arbitrario. Appellatorio nella concezione e nell'impostazione, in proposito il ricorso si dimostra pertanto inammissibile.
4.
Nel seguito del memoriale il ricorrente enuncia circostanze oggettive che, a mente sua, escludono la sua consapevolezza circa le reali intenzioni di _. Se non che, una volta ancora egli fa un uso improprio di un rimedio giuridico straordinario ancorato al divieto dell'arbitrio. Anziché affrontare i singoli accertamenti della prima Corte che intende contestare, spiegando perché essi sarebbero chiaramente insostenibili, egli percorre proprie vie giungendo a conclusioni diverse grazie alla personale ricostruzione e valutazione di fatti e prove. Come detto, ciò non è lecito. Certo, il ricorso per cassazione soggiace a presupposti che non mancano di rigore. Tuttavia non si può trattare a tale stregua un allegato che si presenta come un atto di appello, tanto meno ove sia introdotto da una avvocato, ossia da un professionista consapevole dei limiti cui un simile mezzo di impugnazione è sottoposto per legge (CCRP, sentenza del 5 ottobre 2001 in re Ministero Pubblico e A. contro R., consid. 9).
5.
Il ricorrente insiste nell'affermare di non avere neppure preso in considerazione la possibilità teorica che _ potesse compiere una rapina nel _. Anzi, costui avrebbe fatto il possibile per allontanare da sé ogni sospetto. Una volta di più l'interessato si limita però ad affermare il proprio punto di vista senza sostanziare alcun arbitrio, trascurando che la Corte di cassazione e di revisione penale non è una giurisdizione di appello. Donde l'inammissibilità dell'argomentazione.
6.
Ricordata la sua collaborazione con la polizia cantonale dal 1988 al 1989, richiamati i rapporti del 29 dicembre 1991 e del 14 settembre 1998 del commissario _, evocate le dichiarazioni dello stesso commissario al dibattimento, il ricorrente critica la conclusione della prima giudice, stando alla quale l'attività di informatore e il modo con cui questa era gestita non configurano una scriminante legale né extralegale, ma solo un motivo per attenuare la pena. Ulteriormente l'imputato si avvale nondimeno di accertamenti fattuali e di valutazioni probatorie diverse da quelle su cui si fonda la sentenza. Invece di spiegare perché sarebbero arbitrarie le particolareggiate considerazioni in base alle quali la prima Corte ha ritenuto che egli ha agito a titolo personale nell'illegalità e non come agente infiltrato – foss'anche con metodi censurabili – per ottenere agganci al fine di lottare contro il crimine organizzato senza fini di lucro (sentenza, pag. 18–20), egli persiste nel ribadire il proprio punto di vista e la propria valutazione sul suo modo di comportarsi di fronte alle iniziative e alle sollecitazioni di _. Già si è rilevato tuttavia che per sostanziare una censura di arbitrio non basta insorgere contro la decisione impugnata contrapponendo una propria versione dei fatti, per quanto preferibile essa possa apparire, ma occorre illustrare perché l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove della Corte di assise sarebbero manifestamente insostenibili. Il ricorso non adempie tale premessa.
7.
Il ricorrente sottolinea e ripete che la prima giudice è giunta al convincimento contrario sulla base di considerazioni errate, così come di ragionamenti che non tengono conto delle particolari condizioni in cui egli ha agito. Ma nel motivare la doglianza egli trascura di nuovo il divario che separa un ricorso per cassazione fondato sul divieto dell'arbitrio da un atto di appello. Pur dipartendosi questa volta – sia pure in modo affrettato – dalle considerazioni che hanno spinto la prima giudice a non dar credito alla sua versione, segnatamente alla sua conclamata buona fede, egli non lamenta alcun arbitrio (termine al quale l'impugnativa nemmeno accenna) né allega argomentazioni tali da far apparire arbitraria la sentenza nel suo risultato, nella misura in cui essa attesta la sua consapevolezza di trovarsi coinvolto in un progetto di rapina, e ciò non come agente infiltrato e nemmeno come informatore autorizzato. Di natura chiaramente appellatoria, il ricorso va perciò dichiarato ancora una volta inammissibile. Allo stesso esito sono destinate le critiche che il ricorrente muove alla sentenza impugnata, laddove la prima giudice lo ha definito un informatore non sempre fedele (sentenza, pag. 19). Egli tende infatti a rendere verosimile una soluzione alternativa a lui più favorevole, senza però sostanziare arbitrio di sorta.
8.
Infine il ricorrente si diffonde sulla commisurazione della pena, come pure sul riparto delle spese processuali. Egli affronta i temi, però, dando per scontato il suo proscioglimento dall'imputazione di complicità in rapina aggravata. Dato quanto precede, ciò non è il caso, sicché le critiche cadono nel vuoto. Ne discende, per finire, che il ricorso – di indole palesemente appellatoria – si rivela del tutto inammissibile. Incorre pertanto in un sindacato di irricevibilità.
9.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,001 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
95436fd9-a2d5-5017-a96f-339ac6e99d9a | in fatto
a
. Con decisione 7.4.2005 la Corte delle assise criminali ha dichiarato IS 1 (_) autore colpevole di, tra l’altro, duplice omicidio intenzionale (“
per avere intenzionalmente ucciso i genitori _ e _, colpendoli ripetutamente dapprima alla testa con un bastone e poi con un coltello, mirando alle parti vitali, a _, il _
”) e, avendo agito in stato di scemata responsabilità ed avendo dimostrato sincero pentimento, lo ha condannato alla pena di sette anni di reclusione, pena sospesa giusta l’art. 43 vCP per dare luogo all’internamento in applicazione dell’art. 43 n. 1 cpv. 2 vCP, ordinato contestualmente (inc. _).
b
. Con scritto 11.11.2013 il giudice Mauro Ermani, presidente supplente della Commissione, preso atto dell’istanza 4.10.2013 del giudice dei provvedimenti coercitivi Claudia Solcà, agente quale giudice dell’applicazione della pena, concernente la procedura di rivalutazione della misura di internamento a’ sensi dell’art. 64 cpv. 1 CP, ha informato IS 1 che l’istanza sarebbe stata esaminata dalla Commissione composta dal giudice Mauro Ermani, presidente supplente, da Giorgio Battaglioni, capo della divisione della giustizia, dal procuratore pubblico Chiara Borelli, dall’avv. Goran Mazzucchelli e dal dr. med. Rafael Traber. Gli ha assegnato un termine di cinque giorni per comunicare se intendeva esercitare il diritto di ricusazione nei confronti dei predetti membri ed avvalersi della facoltà di essere sentito dalla Commissione stessa.
c
. Con istanza 18/19.11.2013 IS 1 ha chiesto la ricusazione del procuratore pubblico Chiara Borelli, membro supplente della Commissione in sostituzione di Moreno Capella.
Il membro supplente avrebbe interrogato, quale sostituto procuratore pubblico, le sorelle ed il cognato di IS 1 nell’ambito del noto procedimento penale, per cui sarebbero adempiuti i motivi di ricusazione a’ sensi dell’art. 56 lit. b/f CPP.
d
. Con decisione 26.11.2013 la Commissione (composta dal giudice Mauro Ermani, da Giorgio Battaglioni, dal procuratore pubblico Chiara Borelli, dall’avv. Goran Mazzucchelli e dal dr. med. Rafael Traber) ha respinto detta istanza di ricusazione: il procuratore pubblico Chiara Borelli era intervenuto nel procedimento penale in maniera marginale e, soprattutto, non aveva sostenuto l’accusa nei suoi confronti.
e
. Con gravame 5/6.12.2013 IS 1 ha postulato l’annullamento della decisione e la ricusazione del procuratore pubblico Chiara Borelli.
f
. Con sentenza del 16.12.2013 (inc. CRP _) questa Corte ha annullato la decisione 26.11.2013 della Commissione, rinviando l’incarto per nuova decisione.
g
. Con decisione del 20.12.2013 la Commissione ha respinto l’istanza di ricusazione del procuratore pubblico Chiara Borelli in quanto il suo intervento nel procedimento penale relativo al reclamante era stato solo marginale, e soprattutto non aveva sostenuto l’accusa, con riferimento alla sentenza del TF 6B_358/2008.
h
. Con nuovo gravame 7/8.1.2014 RE 1 postula che la citata decisione sia annullata e che il procuratore pubblico Chiara Borelli sia ricusato quale membro supplente della Commissione.
i
. La Commissione ha rinunciato a presentare osservazioni, mentre il procuratore pubblico ha ricordato quale fosse stata la sua partecipazione nel procedimento a carico del reclamante, sostenendo che la stessa fosse marginale e che in ogni modo non avesse sostenuto l’accusa.
j
. Le parti non hanno replicato e duplicato. | in diritto
1
. 1.1.
La competenza di questa Corte a decidere i gravami presentati contro le decisioni in materia di ricusazione dei membri della Commissione è stata ammessa, in applicazione dell’art. 80 cpv. 2 LTF, nella precedente decisione del 16.12.2013 relativa al gravame presentato da questo reclamante (punto 4, inc. CRP _).
1.2.
IS 1 si aggrava contro la decisione 20.12.2013 della Commissione che ha respinto la sua istanza di ricusazione nei confronti del procuratore pubblico Chiara Borelli, membro supplente della Commissione.
Il reclamo, inoltrato il 7/8.1.2014, è tempestivo (siccome presentato nel termine di dieci giorni di cui all’art. 396 cpv. 1 CPP).
IS 1, condannato nei cui confronti è pendente la procedura di rivalutazione della misura d’internamento a’ sensi dell’art. 64 cpv. 1 CP, nel cui contesto è stata interpellata la Commissione, è legittimato a reclamare in applicazione dell’art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica della decisione della Commissione che non ha accolto la sua istanza di ricusazione a carico di un membro che reputa parziale.
Le esigenze di forma e motivazione del gravame sono rispettate.
Il reclamo è quindi ricevibile in ordine.
2
. 2.1.
Il reclamante invoca anzitutto il caso di ricusazione previsto all’art. 56 lit. b CPP, applicabile a chi ha partecipato alla medesima causa in altra veste, segnatamente come membro di un’autorità, patrocinatore di una parte, perito o testimone.
Si ricorda che il procuratore pubblico è parte al procedimento (art. 104 cpv. 1 lit. c CPP) e dirige il procedimento durante l’istruzione (art. 61 lit. a CPP).
Il reclamante ritiene che il motivo di ricusa valga non solo per chi è stato delegato ad assumere il caso, ma anche per ogni persona supplente.
Il reclamante invoca pure l’art. 56 lit. f CPP, adducendo motivi di prevenzione, oggettivi: il procuratore pubblico che ha concorso alla sua condanna vorrebbe ora far parte della Commissione che deve formulare un preavviso al giudice dei provvedimenti coercitivi relativo alla misura adottata in seguito alla medesima condanna.
Dal canto suo il procuratore pubblico di cui è chiesta la ricusazione precisa di essere intervenuto quale sostituto procuratore pubblico, a sostegno del procuratore pubblico, non avendo la competenza per assumere simile procedimento. Ricorda di aver partecipato passivamente, la notte dei fatti, a un verbale del qui reclamante, unitamente al procuratore pubblico, e di aver interrogato tre testimoni il giorno seguente, in quanto il procuratore pubblico titolare dell’inchiesta era impossibilitato.
Ritiene di non aver partecipato attivamente all’istruzione del procedimento, di non aver presenziato al dibattimento e di non essere intervenuto attivamente in sostegno del procuratore titolare. La sua partecipazione sarebbe pertanto stata marginale e non avrebbe in ogni caso sostenuto l’accusa, con riferimento alla giurisprudenza del TF.
2.2.
Giusta gli art. 6 n. 1 CEDU e 30 cpv. 1 Cost. nelle cause giudiziarie ognuno ha il diritto di essere giudicato da un tribunale fondato sulla legge, competente nel merito, indipendente e imparziale.
La garanzia del diritto ad un giudice imparziale vieta l'influsso sulla decisione di circostanze estranee al processo, che potrebbero privarla della necessaria oggettività a favore o a pregiudizio di una parte (sentenze TF 1B_305/2010 del 25.10.2010 e 1B_264/2009 del 18.11.2009; DTF 134 I 238, consid. 2.1; 131 I 24, consid. 1.1; 126 I 68 consid. 3a): a chiunque sia sottoposto a influenze di tal genere non può essere riconosciuta la qualità di “
giusto mediatore
” (DTF 135 Ia 14).
Sebbene la semplice affermazione di parzialità basata sui sentimenti soggettivi di una parte non sia sufficiente a fondare un dubbio legittimo, non occorre che il giudice sia effettivamente prevenuto:
basta la constatazione oggettiva di circostanze concrete idonee a suscitare l'apparenza di una prevenzione e a far sorgere un rischio di parzialità, per giustificare la sua ricusazione (sentenze TF 1B_285/2012 del 20.12.2012 consid. 3.1; 4A_672/2011 del 31.1.2012, parzialmente pubblicata in DTF 138 I 1 consid. 2.2; 6B_556/2010 del 18.1.2011; 1B_305/2010 del 25.10.2010 e 1B_264/2009 del 18.11.2009; DTF 134 IV 289 consid. 6.2.1; sentenza TPF BB.2011.23 del 14.3.2011)
.
L’imparzialità del giudice è presunta
–
in modo refragabile
–
per non rendere illusoria l'organizzazione regolare della competenza dei tribunali e per non svuotare del proprio contenuto la garanzia di un giudice costituzionale (ZK StPO
–
A. J. KELLER
, art. 56 CPP n. 11; Y. DONZALLAZ, Loi sur le Tribunal fédéral, Commentaire, art. 34 LTF n. 533-535;
N. SCHMID,
Handbuch des schweizerischen Strafprozessrechts
, p. 192-193 n. 509
).
La ricusazione riveste un carattere eccezionale, per non intralciare l’ordinato e ordinario funzionamento della giustizia: deve essere ammessa solo in presenza di motivi gravi ed oggettivi che permettano di dubitare dell'imparzialità del giudice (Commentario CPP
–
M. MINI, art. 56 CPP n. 10).
Sotto il profilo oggettivo occorre ricercare se il magistrato ricusato offra le necessarie garanzie per escludere ogni legittimo dubbio di parzialità; sono considerati, in tale ambito, anche aspetti di carattere funzionale e organizzativo e viene posto l'accento sull'importanza che possono rivestire le apparenze stesse. Una parte (al procedimento) può personalmente risentire certi atteggiamenti del magistrato come determinati da parzialità ma è decisivo sapere se le sue apprensioni soggettive possano considerarsi oggettivamente giustificate (sentenza TF 1B_264/2009 del 18.11.2009, consid. 2.3; DTF 134 I 238, consid. 2.1.; 131 I 24 consid. 1.1.; sentenza TPF BB.2011.23 del 14.3.2011).
Il principio dell'indipendenza è ripreso dall'art. 4 CPP e concerne tutte le autorità penali di cui agli art. 12 e 13 CPP.
2.3.
L'art. 56 CPP
–
che concretizza i diritti fondamentali di cui agli art. 29 cpv. 1, 30 cpv. 1 Cost e 6 n. 1 CEDU
–
si applica allo stesso modo sia alle autorità penali giudicanti sia a quelle non giudicanti preposte al procedimento penale.
Di principio, non è ammissibile né si giustifica, che gli interessi personali (art. 56 lit. a CPP) oppure il coinvolgimento personale per precedenti attività professionali (art. 56 lit. b CPP) o per vincoli familiari (art. 56 lit. d ed e CPP) non conducano alla ricusazione del magistrato inquirente o del funzionario di polizia al pari del giudice, così che i motivi di cui alle lettere a-e valgono per la polizia, per il pubblico ministero e per l'autorità penale delle contravvenzioni, alla stregua del giudice.
Per contro nel caso di una prevenzione fondata sugli “
altri motivi
”, di cui all'art. 56 lit. f CPP, è necessario operare una distinzione a dipendenza della diversa situazione o del diverso grado di funzione dell'autorità coinvolta. In effetti, la dottrina ritiene che, a dipendenza delle circostanze, non risulta essere appropriato esigere dal funzionario di polizia, nell'ambito dei suoi compiti di indagine, lo stesso riserbo e la stessa equidistanza di quelli richiesti al giudice (ZK StPO
–
A. J. KELLER, art. 56 CPP n. 3 e 7-8).
2.4.
Il testo dell'art. 56 lit. b CPP fonda, in maniera generale, un motivo di ricusazione allorquando il magistrato abbia partecipato alla medesima causa in altra veste, segnatamente come patrocinatore di una parte, oltre che come membro di un'autorità, perito o testimone. Trattasi di un motivo che va oltre le esigenze poste dall'art. 6 n. 1 CEDU, da un lato, perché ha allargato la cerchia di persone che ne sono interessate e, dall'altro lato, perché il fatto stesso di aver partecipato al medesimo procedimento è considerato per sé stesso motivo di parzialità, contrariamente a quanto fin qui ritenuto dalla giurisprudenza europea (CR CPP - J.-M. VERNIORY, art. 56 CPP n. 15).
Per partecipazione al medesimo procedimento, ai sensi della norma di cui è parola, è da intendere l'essere intervenuti nello stesso con funzioni diverse. È il caso, fra l'altro, dell'avvocato che accede alla magistratura: egli non può giudicare la causa in cui egli in precedenza ha funto da patrocinatore di una parte (CR CPP - J.-M. VERNIORY, art. 56 CPP n. 19).
Per la dottrina, accertata l'identità del procedimento, la ricusazione deve avvenire in modo meccanico senza dar luogo a ulteriori disquisizioni. Il fatto che il magistrato non abbia giocato che un ruolo accessorio o non abbia avuto che pochi contatti con una delle parti o con l'oggetto della causa sono elementi privi di pertinenza (Y. DONZALLAZ, op. cit., art. 34 LTF n. 547).
2.5.
L'art. 56 lit. f CPP - che in quanto clausola generale e indeterminata gioca un ruolo residuo per i motivi di ricusazione non già compresi alle lettere da a ad e (CR CPP - J.-M. VERNIORY, art. 56 CPP n. 27; sentenza TF 1B_243/2011 dell'8.7.2011 consid. 3.1.) - al pari dell'art. 34 cpv. 1 lit. e LTF, impone a chi opera in seno ad un'autorità penale di ricusarsi se potrebbe avere una prevenzione nella causa per altri motivi, segnatamente a causa di rapporti di amicizia o d’inimicizia con una parte o con il suo patrocinatore.
Un rapporto di vicinanza tra colui che opera in seno ad un'autorità penale e una parte (o il di lei patrocinatore), che va oltre la misura usuale su un piano sociale può oggettivamente fondare sospetto di parzialità. Al proposito il testo di legge elenca in modo esemplificativo i rapporti di amicizia o di inimicizia (che devono sussistere nella persona attiva nell'autorità penale, mentre che è ininfluente se gli stessi sentimenti vengono nutriti dalla parte o dal suo patrocinatore). Simpatia ("
Zuneigung
") o avversione ("
Abneigung
") vengono considerati motivi di ricusazione se rimarchevoli ("
ausgeprägt
"), ovverossia quando sussistono rilevanti attriti personali o un grave disaccordo, ritenuto che devono essere dei motivi oggettivi a definire una certa intensità del rapporto (BSK StPO - M. BOOG, art. 56 CPP n. 39). In altre parole il sospetto di parzialità e il rischio di prevenzione non devono essere valutati in funzione dei sentimenti personali di una parte bensì devono fondarsi su criteri oggettivi (DTF 127 I 196 consid. 2; F. RIKLIN, StPO Kommentar, art. 56 CPP n. 4).
È altresì data prevenzione ai sensi dell'art. 56 lit. f CPP quando il rapporto di colui che opera in seno ad un'autorità penale con l'oggetto della causa è, dal profilo oggettivo, tale che l'esito del procedimento per il membro dell'autorità penale non è più libero (N. SCHMID, Praxiskommentar, art. 56 CPP n. 14).
2.6.
Nella sentenza in cui ha ammesso la possibilità della ricusazione dei membri della Commissione per l’esame dei condannati pericolosi (DTF 134 IV 289 ss.), il TF ha avuto modo di stabilire che la presenza, in seno alla Commissione, di un giudice che aveva precedentemente condannato la medesima persona, ma in altri procedimenti sfociati in condanne a pene privative della libertà, non era tale da far sorgere dubbi riguardo alla sua imparzialità nella procedura relativa alla liberazione condizionale.
Riguardo al procuratore pubblico, il TF ha per contro ritenuto problematica la presenza nella Commissione di un procuratore pubblico che in precedenza aveva assunto la veste di accusatore pubblico nel medesimo procedimento, in quanto in tale funzione è assurto a vera e propria controparte dell’accusato.
È dato motivo di ricusazione qualora il procuratore pubblico, membro della Commissione, abbia sostenuto l’accusa contro il detenuto nei processi sfociati in condanne a pene privative della libertà di cui chiede di esser liberato condizionalmente; non è data ricusazione se il procuratore pubblico ha esercitato l’azione pubblica in altri procedimenti conclusi con un proscioglimento, un abbandono, una condanna a pene ormai scontate, prescritte o non più esecutive per altri motivi.
In una successiva sentenza, il TF ha ribadito gli stessi concetti (sentenza 6B_26/2013 del 14.3.2013 consid. 2.2. e 2.3.).
3
. 3.1.
Nel presente caso, abbiamo a che fare con una situazione diversa rispetto a quelle analizzate dal TF nella surriferita decisione.
3.2.
L’allora sostituto procuratore pubblico, Chiara Borelli, durante un periodo di picchetto, era intervenuto sul luogo del delitto la sera stessa dei fatti, unitamente al procuratore pubblico responsabile dell’inchiesta, che ha proceduto all’audizione del qui reclamante.
Il giorno successivo, l’allora sostituto procuratore pubblico ha interrogato tre persone (parenti prossime del qui reclamante), data l’impossibilità del procuratore pubblico titolare di procedervi direttamente.
Per il seguito, non ha potuto (date le limitate competenze a suo tempo riconosciute ai sostituti procuratori pubblici) o dovuto occuparsi del procedimento penale sfociato nella condanna del qui reclamante indicata al punto a. del presente giudizio.
3.3.
L’allora sostituto procuratore pubblico, la sera del 16.2.2004 e il giorno successivo, era intervenuto nella medesima causa. Il procedimento penale conseguente a quei fatti è sfociato nel giudizio 7.4.2005 e nell’adozione della misura (internamento) la cui rivalutazione è oggetto della procedura pendente presso il giudice dei provvedimenti coercitivi e nella quale la Commissione è chiamata ad esprimere un proprio parere.
3.4.
Il 16.2.2004 e il 17.2.2004 l’allora sostituto procuratore pubblico era intervento quale ausiliare del procuratore pubblico Moreno Capella, responsabile del procedimento. Si tratta di un'altra veste rispetto a quella di membro supplente della Commissione.
3.5.
Con riferimento alla giurisprudenza del TF citata, si deve constatare che, nel presente caso, Chiara Borelli per un verso non sia intervenuta in altro procedimento a carico del qui reclamante (ciò che escluderebbe la ricusazione) ma nella medesima causa, e per altro verso nella medesima causa non abbia sostenuto l’accusa al dibattimento (ciò che, diversamente, comporterebbe la ricusazione).
Ella si trova in una situazione intermedia: intervenuta nella medesima causa, in altra veste, a sostegno del procuratore pubblico, ma senza sostenere l’accusa al dibattimento.
3.6.
Un’interpretazione restrittiva della giurisprudenza del TF esclude la sua ricusazione.
Diverso è sostenere l’accusa al dibattimento, più in generale esercitare l’azione pubblica (mansioni queste svolte, in concreto, dal procuratore pubblico Moreno Capella), un’altra cosa è intervenire, all’inizio del procedimento, quale ausiliare del procuratore titolare del procedimento.
3.7.
A sostegno della mancata ricusazione milita, in generale, la funzione di pubblico ministero nel CPP, ed in particolare, il testo dell’art. 104 cpv. 1 lit. c CPP.
3.7.1.
Nel corso del procedimento penale il pubblico ministero cambia la propria funzione.
Nella procedura preliminare, il pubblico ministero dirige il procedimento ed interviene in posizione sovrana rispetto all'imputato.
Nondimeno egli è tenuto al rispetto del principio della verità materiale ancorato all'art. 6 CPP che gli fa obbligo di raccogliere d'ufficio tutte le prove necessarie per il giudizio, sia riguardo al reato sia riguardo all'imputato (cpv. 1), indipendentemente dalle domande o dalle dichiarazioni o dall'atteggiamento passivo dei partecipanti al processo.
Ciò comporta per le autorità di perseguimento penale il compito non solo di raccogliere le prove a carico dell'imputato bensì anche quello di verificare con la medesima cura gli elementi a suo discarico (cpv. 2) [Messaggio 21.12.2005, FF 2006 p. 1036; Commentario CPP - P. BERNASCONI, art. 6 CPP n. 1-3; ZK StPO - A. J. KELLER, art. 16 CPP n. 7]. In altre parole, secondo quanto voluto dal legislatore, in questa fase del procedimento, il pubblico ministero deve assumere una posizione neutrale nei confronti dell'imputato e delle altre parti.
Ciononostante nella procedura preliminare il procuratore pubblico deve partire da un'ipotesi accusatoria: nel diritto procedurale penale svizzero (sia prima e sia dopo l'entrata in vigore l'1.1.2011 del nuovo Codice di diritto processuale penale svizzero) vige infatti il cosiddetto principio "
in dubio pro duriore
", secondo cui il magistrato inquirente dispone l'abbandono del procedimento soltanto in caso di evidente impunità rispettivamente di assenza manifesta di un presupposto processuale (sentenze TF 1B_123/2011 dell'11.7.2011 consid.
7. 1B_46/2011 dell'1.6.2011 consid. 4.; 1B_1/2011 del 20.4.2011 consid. 4.; ZK StPO - A. J. KELLER, art. 56 CPP n. 36; HAUSER / SCHWERI / HARTMANN, Schweizerisches Strafprozessrechts, 2a. ed., n. 1375).
Con la promozione dell'accusa la posizione del procuratore pubblico cambia, segnatamente per rapporto all'imputato.
In questa fase il pubblico ministero non è più tenuto a mantenere una posizione neutrale rispetto alle parti. Nondimeno egli rimane sottoposto al principio della correttezza processuale ("
Prinzip der Fairness
") come pure sottostà al divieto dell'arbitrio ("
Willkürverbot
") [ZK StPO - A. J. KELLER, art. 16 CPP n. 7-12 e art. 56 CPP n. 36-37].
3.7.2.
Questa diversa funzione è resa in modo plastico dall’art. 104 cpv.1 lit. c CPP, che qualifica il procuratore pubblico di parte solo nella procedura dibattimentale e in quella di ricorso. Solo da quel momento il procuratore pubblico assurge a vera e propria controparte dell’accusato, per riprendere le parole del TF (DTF 134 IV 296).
3.7.3.
Analogo cambiamento di funzione del procuratore pubblico era previsto dal previgente CPP-TI (in vigore al momento dell’intervento dell’allora sostituto procuratore pubblico), che il CPP ha preso quale modello.
Come ricorda L. MARAZZI (Il Giar, L’arbitro nel processo penale, Lugano 2001, p. 9), la posizione del procuratore pubblico cambiava dopo l’emanazione dell’atto d’accusa. Il magistrato inquirente durante l’inchiesta deve imparzialmente raccogliere tutte le prove, incluse quelle a favore dell’accusato, mentre in qualità di magistrato requirente rappresenta gli interessi dello Stato ed è allora parte a pieno titolo.
3.8.
L’intervento dell’allora sostituto procuratore pubblico, Chiara Borelli, dev’essere qualificato di iniziale, ausiliario, non di parte.
Iniziale perché era intervenuto nella fase delle informazioni preliminari e della promozione dell’accusa, in cui abbiamo detto quale fosse (e sia) il ruolo del pubblico ministero.
Ausiliario, a sostegno del procuratore pubblico che ha assunto il procedimento e che ha poi sostenuto l’accusa. L’allora sostituto procuratore pubblico non poteva, e neppure avrebbe potuto, assumere, personalmente, la competenza di condurre il procedimento a carico di RE 1.
Non di parte, perché, allora (CPP-TI) come ora (CPP), il pubblico ministero assurge al ruolo di parte a tutti gli effetti solo nella fase dibattimentale e in quella di ricorso.
3.9. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,014 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
95935208-9a69-58e5-989d-649b9f44b725 | in fatto ed in diritto
che a seguito di un controllo avvenuto a _, il 10.08.2013, in occasione del quale IS 1 è stato trovato in possesso di 9.40 grammi di marijuana (successivamente sequestrata), è stato aperto un procedimento penale a suo carico per l’ipotesi di reato di contravvenzione alla LStup (inc. NLP _) sfociato nel decreto di non luogo a procedere 7.01.2014 (NLP _) emanato dal procuratore pubblico Arturo Garzoni (mediante il quale l’imputato è stato formalmente ammonito con contestuale confisca e distruzione della sostanza stupefacente in questione);
che avverso il suddetto decreto non è stato presentato reclamo a questa Corte giusta i combinati art. 310 cpv. 2 e 322 cpv. 2 CPP: il medesimo è dunque passato in giudicato;
che con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Ministero pubblico a questa Corte – l’avv. PR 1 chiede, in nome e per conto del suo assistito, la trasmissione, in copia, dei verbali di polizia di cui al summenzionato procedimento penale, allegando la relativa procura (doc. CRP 1.a e doc. CRP 1.b);
che, come esposto in entrata, il procuratore pubblico non si è opposto alla richiesta;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di imputato) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – nonostante abbia omesso di precisare i motivi alla base della sua richiesta come esatto dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dalla costante giurisprudenza di questa Corte – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 (rispettivamente del suo patrocinatore) in virtù della citata disposizione cantonale ad ottenere la trasmissione, in copia, del rapporto di contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti del 5.11.2013 (in cui è contenuto anche il verbale d’interrogatorio 27.08.2013 dell’imputato, AI 1), poiché il procedimento penale nel frattempo archiviato l’ha interessato personalmente in veste di parte (imputato);
che a ciò aggiungasi che dall’incarto penale in questione emerge che l’avv. PR 1 è stato presente all’interrogatorio dell’imputato dinanzi alla polizia (AI 1 – inc. NLP _
);
che di conseguenza il predetto rapporto viene trasmesso, in copia, al patrocinatore di IS 1 unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stato parte al procedimento penale nel frattempo archiviato. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,014 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
9602812d-a716-5e23-9699-f0b69a6262a4 | in fatto: A.
Con decreto di accusa del 4 marzo 2003 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di appropriazione indebita, denuncia mendace e infrazione aggravata alla legge federale concernente la dimora e il domicilio degli stranieri per essersi appropriato la mattina del 1° maggio 2000, quale gerente dell'Osteria _, di fr. 25'000.– a lui affidati, prelevati dalla cassaforte posta al piano cantina dell'esercizio pubblico, e per avere denunciato come autore del furto _, benché lo sapesse innocente. All'accusato il Procuratore pubblico ha imputato altresì di avere, in veste di gerente, favorito il soggiorno illegale tra il gennaio e il 18 maggio 2000, in correità con _, di almeno otto donne provenienti dall'America latina e dai paesi dell'Est europeo, le quali avevano lavorato come prostitute nel locale senza permesso perché entrate in Svizzera senza il alcun visto. In applicazione della pena, il Procuratore pubblico ha condannato _ a 90 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente per 2 anni, dedotto il carcere preventivo sofferto, e a una multa di fr. 3'000.–.
B.
Statuendo su opposizione agli addebiti di appropriazione indebita e di denuncia mendace, con sentenza del 15 marzo 2004 il presidente della Pretura penale ha confermato entrambe le imputazioni e la pena contemplata nel decreto di accusa.
C.
Contro la sentenza predetta _ ha introdotto il 18 marzo 2004 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta del 26 aprile 2004 egli chiede di essere prosciolto dalle accuse di appropriazione indebita e di denuncia mendace. Il ricorso non ha formato oggetto di intimazione. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288
lett. a e b CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono sindacabili unicamente qualora la sentenza impugnata denoti estremi di arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche erroneo, bensì apertamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura a norma dell'art. 288 lett. c CPP non basta dunque criticare la sentenza impugnata né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di arbitrio. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con rinvii).
2.
Il presidente della Pretura penale ha esordito rilevando che i capi d'imputazione litigiosi (appropriazione indebita e di denuncia mendace) trovano conferma su una serie di indizi e in numerose contraddizioni frutto delle diverse versioni dei fatti fornite dall'accusato durante l'istruttoria e al dibattimento (consid. 6). Ciò premesso, egli ha accertato che quel 1° maggio 2000 nella cassaforte dell'esercizio pubblico si trovava effettivamente la somma di fr. 25'000.– (consid. 6a), mentre non ha creduto all'imputato quando affermava che _, il quale nemmeno possedeva le chiavi d'entrata dello stabile, si era visto scoperto in flagranza di reato e aveva tolto fulmineamente le chiavi dalla serratura della cassaforte (consid. 6b e 6c). Il primo giudice ha poi definito strano che l'imputato ricordasse solo al dibattimento di avere notato una persona entrare nel locale della cassaforte e finanche illogico che, pur avendo scorto tale persona, costui avesse atteso 5 o 10 minuti prima di intervenire (consid. 6d). Inverosimile egli ha ritenuto altresì la versione dell'accusato, stando al quale _ aveva tolto la corrente per disinserire l'impianto di videosorveglianza allo scopo di commettere il furto, giacché l'imputato si trovava in ufficio con la porta aperta e avrebbe dovuto vedere accesa almeno per qualche istante la luce all'entrata della tromba delle scale, luce che scatta automaticamente, mentre in aula ha dichiarato che nel momento in cui aveva sentito un rumore la luce era spenta (consid. 6e).
Oltre a ciò, Il presidente della Pretura penale ha ritenuto poco credibile che la cassetta con la registrazione delle immagini, rinvenuta dalla polizia a casa di _ (il quale sosteneva di averla scoperta casualmente il giorno prima nella cantina dell'esercizio pubblico), fosse stata nascosta da _ dopo essere salito nel locale di videosorveglianza, del quale non aveva le chiavi, poiché egli era uscito dal bar (consid. 6f). E illogico il primo giudice ha ritenuto inoltre che l'imputato non avesse trattenuto _ nel locale cassaforte per paura, pur avendo parlato, gridato e inveito contro di lui per 10 o 15 minuti, né avesse partecipato alla discussione avvenuta fuori del locale pubblico dopo l'arrivo di _ (consid. 6g). Per di più, sulla videoregitrazione non figura per nulla _, mentre si vede l'imputato a parecchie riprese nel giorno in cui si è verificato l'ammanco e lo si vede finanche togliere un'agenda nera dalla cassaforte, estrarne la busta nella quale _ aveva riposto il danaro e infilarsene il contenuto nella tasca anteriore sinistra dei pantaloni (consid. 6h). Infine il giudice ha ritenuto non provato, riferendosi al preteso volume del mazzetto di banconote e al fatto che la sera precedente _ avrebbe portato via del denaro, che le banconote destinate a pagare la locazione e i fornitori fossero tutte da fr. 100.–, poiché l'indicazione di _ era generica, per tacere del fatto che l'imputato poteva avere prelevato parte del denaro “nel periodo di oscuramento della registrazione” (consid. 6i).
3.
Nel suo ricorso l'interessato non contesta che l'istruttoria ha messo in luce indizi a sostegno della sua colpevolezza, ma chiede di valutare “con pari oggettività” – in applicazione del principio
in dubio pro reo
– anche quelli a suo favore, riproponendosi di esporre nel memoriale elementi concreti e argomenti idonei a insinuare ragionevoli dubbi sulla propria colpevolezza (ricorso, pag. 2, consid. 3). Sta di fatto però che una censura di arbitrio, per altro unicamente accennata, si trova solo alla fine dell'esposto, laddove genericamente pretende che gli indizi di innocenza sono numerosi, concreti, tanti e tali da lasciare insopprimibili dubbi, sicché non tenendone conto il primo il giudice sarebbe caduto in arbitrio (pag. 5, consid. 10).
Che un argomento del genere basti a motivare un ricorso per cassazione è a dir poco opininabile. Sia come sia, si volesse da ciò prescindere, l'esito del ricorso non muterebbe per le considerazioni in appresso.
4.
A parere del ricorrente, sussistono indizi concreti che quel mattino del 1° maggio 2000 la cassaforte non contenesse l'importo di fr. 25'000.–, ma che il danaro fosse custodito altrove da _ il quale, dopo la telefonata di quel giorno, aveva lasciato evolvere gli eventi nella prospettiva di trarne vantaggio. A sostegno di tale asserzione egli descrive quanto registrato dalla videocassetta n. 4 il giorno del 30 aprile 2000 relativamente alle operazioni di costui nel locale cassaforte, registrazione la quale dimostra chiaramente a suo avviso che quegli aveva asportato una cospicua somma di danaro senza menzionare conteggi né giustificare il prelievo. Ora, il primo giudice non ha ritenuto impossibile il prelievo di _ la sera prima del furto, ma ha soggiunto che le entrate mensili dell'esercizio pubblico superavano fr. 50'000.– e che quindi _ poteva avere “prelevato una parte dei soldi lasciando in loco la somma necessaria per i pagamenti, come da lui dichiarato” (consid. 6i). In proposito il ricorrente non solleva alcuna censura di arbitrio, limitandosi a definire non convincente l'opinione dal presidente della Pretura. Ciò non è sufficiente per rimettere in discussione l'accertamento in questione, onde l'inammissibilità del ricorso.
5.
Il ricorrente taccia di macchinose e poco credibili le argomentazioni del primo giudice circa la sottrazione imputatagli. Al riguardo il presidente della Pretura ha accertato, in base alle immagini della telecamera, che alle ore 10:38:23 l'accusato aveva tolto un'agenda nera dalla cassaforte, ne aveva estratto la busta nella quale _ aveva riposto il danaro, ne aveva preso il contenuto e se lo era infilato nella tasca anteriore sinistra dei pantaloni (consid. 6h in fine). Il ricorrente si limita a obiettare che il mero passaggio della registrazione non permette di affermare che egli abbia messo in tasca la voluminosa somma di fr. 25'000.–, composta di banconote da fr. 100.–. Così argomentando, nondimeno, egli non fa che opporre alla conclusione del primo giudice opinioni proprie, come se si rivolgesse a una corte munita di pieno potere cognitivo anche sulla valutazione delle prove. Quanto alla taglia delle banconote, il presidente della Pretura ha rilevato che quella indicata da _ era puramente generica e non si riferiva specificatamente al caso in esame, a prescindere dal fatto che l'imputato poteva avere preso parte del denaro durante il periodo di oscuramento del video (consid. 6i). Certo, il ricorrente manifesta sorpresa e adombra ipotesi macchinose, ma non sostanzia in che consisterebbe l'arbitrio. Anche su questo punto il ricorso, nettamente appellatorio, si rivela improponibile.
6.
Il ricorrente reputa una volta ancora poco convincenti le considerazioni che figurano nella sentenza impugnata sull'apertura della cassaforte e sulle chiavi. Quanto a ciò, il primo giudice ha rilevato che nessuna prova suffraga l'ipotesi, stando alla quale _ sarebbe ancora stato in possesso di tali chiavi, sicché un'apertura senza scasso sarebbe potuta avvenire solo digitando il codice, conosciuto solo dall'accusato e da _, il quale però al momento dell'ammanco non si trovava nell'esercizio pubblico (consid. 6b). Il ricorrente fa valere che, al momento di consegnare la gestione del locale, _ non aveva consegnato la chiave né a lui né a _, asserendo di averla perduta, onde “il dubbio che _ sia stato in possesso della chiave del portellone principale”. Se non che, una censura di arbitrio non può sorreggersi a dubbi. Così motivato, il ricorso denota palesemente la sua spiccata indole appellatoria.
7.
Nel seguito il ricorrente si diffonde sulla possibilità di accesso che _ aveva allo stabile. Seppure a titolo abbondanziale, il primo giudice ha accertato che costui non era in possesso delle chiavi d'entrata del locale, alle tre porte di accesso essendo stati sostituiti i cilindri delle serrature in concomitanza con il passaggio di gestione. E che egli fosse entrato da una finestra appariva poco plausibile, poiché l'imputato avrebbe potuto vedere la sua vettura ferma sul piazzale, senza contare che _ ignorava l'esistenza del denaro nella cassaforte. Anzi, quegli era ben conscio che un'azione del genere avrebbe provocato l'intervento della magistratura con il rischio, vista l'attività svolta
dall'esercizio pubblico, di un'altra chiusura forzata e di perdere un introito mensile di fr. 15'000.– (consid. 6c). Anche al proposito il ricorrente si limita a formulare tesi possibilistiche, esprimendo perplessità sul convincimento del primo giudice ed esponendo i rischi cui sarebbe andato incontro egli medesimo perpetrando l'illecito, ma senza avanzare argomento alcuno che abbia parvenza di una censura di arbitrio. Ne segue l'ulteriore irricevibilità del ricorso.
8.
Per quanto riguarda il noto quadro elettrico, il ricorrente dissente dalle conclusioni cui è giunto il primo giudice, asserendo che _ avrebbe sicuramente potuto disattivare la corrente. Nulla egli oppone tuttavia laddove il presidente della Pretura penale ritiene illogico che egli, pur avendo visto una persona entrare nel locale della cassaforte, abbia atteso 5 o 10 minuti prima di intervenire (consid. 6d in fine). Insufficientemente motivato, il ricorso va dichiarato una volta di più inammissibile.
9.
Infine il ricorrente sostiene che, per quanto _ possa essersi impossessato della videocassetta (rinvenuta dalla polizia nel suo appartamento), ciò non esclude il furto da parte di _. Il primo giudice ha rilevato nondimeno che, fosse stato davvero _ l'autore del furto, mal si comprenderebbe come costui sia potuto salire nel locale di videosorveglianza (del quale non aveva le chiavi) per nascondere la cassetta, l'imputato medesimo affermando che costui aveva lasciato il bar senza avere le chiavi per rientrarvi. D'altra parte – ha soggiunto il primo giudice – “se _ avesse in precedenza effettivamente tolto la corrente, non aveva motivo di asportare la cassetta in quanto non era stato registrato niente nel momento in cui lui si sarebbe trovato ad armeggiare con la cassaforte” (consid. 6f). Nessuna critica di arbitrio il ricorrente allega, su questo punto, che possa inficiare il ragionamento lineare del presidente della Pretura. Anche su quest'ultimo punto il ricorso sfugge pertanto a un giudizio di merito.
10.
Sulla condanna per denuncia mendace il ricorrente non spende, in sé, alcuna parola. La questione non assume di conseguenza portata propria. Gli oneri del giudizio odieno seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 combinato con l'art. 9 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,004 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
96215622-9278-547d-9335-1695de596205 | in fatto
a.
Con esposto 20/22.2.2012 RE 1 ha sporto querela nei confronti di PI 1, dal quale è separata legalmente dal 2009, per titolo di diffamazione, calunnia e violazione del segreto professionale, in relazione al contenuto delle osservazioni 31.12.2011/5.1.2012 che lo stesso ha presentato presso questa Corte nell’ambito di un procedimento penale pendente tra le parti (cfr. inc. CRP _).
Lo scritto di cui sopra ha il seguente tenore: “
(...). Faccio presente che l’istante
(ndr: RE 1)
presenta un profilo psicologico labile, inaffidabile, in relazione ad una caratteropatia narcisistico-paranoide, il tutto associato ad una mania persecutoria. (...).
” (osservazioni 31.12.2011/5.1.2012 di PI 1).
b.
Con decisione 7.3.2012 il magistrato inquirente ha decretato il non luogo a procedere in capo al suddetto procedimento penale, in mancanza dei presupposti oggettivi e soggettivi dei reati ipotizzati in sede di querela (NLP _).
c.
Con tempestivo gravame RE 1 chiede l’annullamento del decreto impugnato e l’apertura di un “
procedimento penale
” a carico di PI 1 (reclamo 20/21.3.2012, p. 2).
La reclamante contesta la conclusione alla quale è giunto il magistrato inquirente, sostenendo che il querelato è stato ufficialmente anche suo medico curante. A riprova di ciò la stessa allega al reclamo delle fatture nonché delle ricette ad opera di PI 1.
La stessa ritiene di essere stata calunniata, diffamata e che il querelato “
abbia violato gravemente il segreto tra medico-paziente. La circostanza che nel contempo vi sia una relazione matrimoniale, non autorizza il medico ad esporre pubblicamente dichiarazioni ‘di chiara configurazione tecnico-medica’
” (reclamo 20/21.3.2012, p. 2). | in diritto
1.
1.1.
Giusta i combinati art. 310 cpv. 2 e 322 cpv. 2 CPP le parti possono impugnare, entro dieci giorni (art. 396 cpv. 1 CPP), il decreto di non luogo a procedere dinanzi alla giurisdizione di reclamo.
Con il gravame si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l'eccesso e l'abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l'accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e l'inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta e all’art. 385 CPP per la motivazione.
In particolare il reclamo deve indicare i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP)
.
1.2.
Il gravame, inoltrato il 20/21.3.2012 alla Corte dei reclami penali, competente ex art. 62 cpv. 2 LOG, contro il decreto di non luogo a procedere 7.3.2012 (NLP _), è tempestivo
.
Le esigenze di forma e di motivazione sono rispettate
.
RE 1, quale accusatrice privata, è pacificamente legittimata a reclamare ex art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica del giudizio
.
Il reclamo è – di conseguenza – ricevibile in ordine
.
2.
Il reclamo contro il decreto di non luogo a procedere è accolto, segnatamente, in presenza di sufficienti indizi di reato (art. 309 cpv. 1 lit. a CPP), se (contrariamente al giudizio del procuratore pubblico) sono adempiuti gli elementi costitutivi di un reato o i presupposti processuali (art. 310 cpv. 1 lit. a CPP), qualora non sono intervenuti impedimenti a procedere (art. 310 cpv. 1 lit. b CPP) o quando non si giustifica di rinunciare all’azione penale per uno dei motivi di cui all’art. 8 CPP (art. 310 cpv. 1 lit. c CPP)
.
Si ricorda che l’azione penale - per principio - è essenzialmente pubblica (art. 7 cpv. 1 CPP) e, come tale, esercitata dal procuratore pubblico, per cui non può essere lasciata all’arbitrio o al sentimento soggettivo delle parti, ma deve fondarsi su oggettivi, concreti e sufficienti elementi indizianti. In questo senso non basta una diversa interpretazione delle risultanze da parte del reclamante, ma occorre la dimostrazione della verosimiglianza di alto grado circa altra conclusione che merita approfondimento
.
3.
3.1.
A carico di PI 1 sono innanzitutto stati ipotizzati i reati di diffamazione giusta l’art. 173 cifra 1 CP [secondo cui è punito chiunque, comunicando con un terzo, incolpa o rende sospetta una persona di condotta disonorevole o di altri fatti che possano nuocere alla reputazione di lei o divulga una tale incolpazione o un tale sospetto (BSK Strafrecht II – F. RIKLIN, 2. ed., art. 173 CP n. 1 ss.)] e calunnia giusta l’art. 174 cifra 1 CP [secondo cui è punito chiunque, comunicando con un terzo e sapendo di dire cosa non vera, incolpa o rende sospetta una persona di condotta disonorevole o di altri fatti che possano nuocere alla reputazione di lei o, sapendo di dire cosa non vera, divulga una tale incolpazione o un tale sospetto (BSK Strafrecht II – F. RIKLIN, op. cit., art. 174 CP n. 1 ss.)].
3.2.
L’onore protetto giusta l’art. 173 CP è il diritto di ognuno di non essere considerato una persona da disprezzare (BSK Strafrecht II – F. RIKLIN, op. cit., art. 173
CP
n. 5 ss.
; S. TRECHSEL, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Kurzkommentar, 2. ed., art. 173
CP
n. 1
).
Gli art. 173 ss. CP proteggono l’onore personale, la reputazione e il sentimento di essere un uomo d’onore, ossia di comportarsi secondo le regole e gli usi riconosciuti. La norma tutela l'onore, che è uno dei diritti della personalità, da esternazioni di terzi suscettibili di provocare disprezzo – ossia pregiudizio alla considerazione sociale – per comportamenti o particolarità individuali moralmente riprovevoli (
B. CORBOZ, Les infractions en droit suisse, Volume I, 2. ed., art. 173 CP
n. 2 a 8). Sfuggono a tale protezione, per contro, quelle espressioni che, senza farla apparire spregevole, offuscano la reputazione di cui una persona gode nel proprio ambito professionale o politico o l’opinione che essa ha di sé stessa (StGB PK –
S. TRECHSEL / V. LIEBER, Zurigo/S. Gallo 2008, n. 1 ss. ad
vor
art. 173 CP;
BSK Strafrecht II – F. RIKLIN, op. cit., n. 5 ss. ad
vor
art. 173 CP; DTF 119 IV 44 consid. 2a, 117 IV 27 consid. 2c; sentenza del Tribunale federale 6B_600/2007 del 22.2.2008).
Se l'allegazione sia tale da nuocere alla reputazione di una persona è una questione da decidere non secondo il senso che possono averle dato quelli che l'hanno sentita, ma secondo il senso che essa ha in base ad un'interpretazione oggettiva, ovvero secondo il senso che, nelle circostanze concrete, le attribuisce l'uditore o il lettore non prevenuto
(cfr. DTF 128 IV 53, 119 IV 44; REP. 1995, 9;
B. CORBOZ, op. cit., art. 173 CP n. 42; S. TRECHSEL, op. cit., art. 173 ss. CP n. 11; StGB PK – S. TRECHSEL / V. LIEBER, op. cit., n. 11 ad
vor
art. 173 CP).
L’intenzionalità si deve riferire all’affermazione diffamante ed alla presa di conoscenza da parte del terzo; il dolo eventuale è sufficiente. Non è invece necessario un particolare
“animus iniurandi”
, bastando che l’autore sia consapevole del fatto che le sue affermazioni possano nuocere alla reputazione della persona offesa e che ciò nonostante le abbia proferite
(cfr. BSK Strafrecht II – F. RIKLIN, op. cit., art. 173
CP
n. 7 s.
).
3.3.
Oggetto della querela penale 20/22.2.2012 sono le osservazioni 31.12.2011/5.1.2012 che PI 1 ha inviato a questa Corte nell’ambito di un procedimento penale pendente tra le parti (inc. CRP _).
La reclamante ritiene lesivo del suo onore penalmente protetto giusta gli art. 173 ss. CP, in particolare, il seguente passaggio (querela penale 20/22.2.2012, p. 2)
: “
(...).
Faccio presente che l’istante
(ndr: RE 1)
presenta un profilo psicologico labile, inaffidabile, in relazione ad una caratteropatia narcisistico-paranoide, il tutto associato ad una mania persecutoria. (...)
”.
Ora, come detto al considerando precedente, per determinare se un’affermazione sia lesiva dell’onore non ci si deve fondare sul senso che le dà la persona interessata, ma sul senso che nelle circostanze concrete le attribuisce un destinatario non prevenuto, tenendo conto del contesto (interpretazione oggettiva) nel quale la stessa è stata espressa.
La lettura integrale dello scritto incriminato permette di dire che il querelato ha cercato di portare la sua versione dei fatti, nell’ambito di un procedimento penale nel quale lui è stato, tra gli altri, querelato/denunciato sempre da RE 1 per titolo di vie di fatto e aggressione.
Le affermazioni riportate nello scritto non conferiscono l’impressione che a RE 1 manchino quelle qualità di carattere che la fanno apparire degna di rispetto
.
Nella valutazione della valenza di un’esternazione, deve come detto essere considerato anche il contesto in cui essa è stata proferita, poiché un’identica espressione può avere valenze diverse a dipendenza dell’ambito in cui essa è stata fatta. Nel caso concreto le osservazioni del querelato sono pervenute a codesta Corte, la quale ha dovuto determinarsi
sul procedimento penale pendente tra le parti nell’ambito dell’inc. CRP _.
Lo scritto è pertanto stato inviato ad una cerchia ristretta di persone perfettamente coscienti del particolare contesto in cui le affermazioni esposte sono state formulate, segnatamente i rapporti alquanto tesi tra gli ex-coniugi [cfr., in analogia, la giurisprudenza di cui alla sentenza 2.9.2009 dell’allora Corte di cassazione e di revisione penale in re G.S., inc. _, confermata dall’Alta Corte il 22.12.2009 (inc. 6B_906/2009)].
Il decreto impugnato è quindi, sotto tale aspetto, meritevole di tutela.
4.
4.1.
A carico di PI 1 viene poi ipotizzato il reato di violazione del segreto professionale giusta l’art. 321 cifra 1 CP secondo cui gli ecclesiastici, gli avvocati, i difensori, i notai, i revisori tenuti al segreto professionale in virtù del Codice delle obbligazioni, i medici, i dentisti, i farmacisti, le levatrici, come pure gli ausiliari di questi professionisti, che rivelano segreti a loro confidati per ragione della loro professione o di cui hanno avuto notizia nell’esercizio della medesima sono puniti, a querela di parte, con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.
Sono parimenti puniti gli studenti che rivelano un segreto di cui hanno avuto notizia nel corso dei loro studi.
La rivelazione del segreto è punibile anche dopo la cessazione dell’esercizio della professione o dopo la fine degli studi.
Ai sensi della cifra 2 di tale disposizione, la rivelazione non è punibile, quando sia fatta col consenso dell’interessato o con l’autorizzazione scritta data, a richiesta di chi detiene il segreto, dall’autorità superiore o dall’autorità di vigilanza.
4.2.
La lista delle professioni enumerate è esaustiva. L’infrazione presuppone l’esistenza di un segreto, concernente un fatto, che non deve essere già noto. Deve inoltre esserci un interesse a che il segreto resti confidenziale (B. CORBOZ, op. cit., art. 321 CP n. 19 e ss.).
La persona che esercita una delle professioni enumerate all’art. 321 cifra 1 CP, deve essere venuta a conoscenza del segreto nell’ambito di tale professione. Ciò che comporta due ipotesi: qualcuno confida un segreto alla persona in quanto la stessa esercita una delle professioni menzionate oppure si tratta di un segreto che il professionista apprende nell’esercizio delle sue funzioni, anche all’insaputa del cliente (B. CORBOZ, op. cit., art. 321 CP n. 25 e ss.).
Tramite il consenso dell’interessato, il segreto può essere reso accessibile. Tale consenso dev’essere dato dalla persona titolare del segreto, segnatamente colui che ha un interesse al mantenimento dello stesso e che non deve necessariamente essere la persona che ha comunicato l’informazione (DTF 97 II 370). Tale diritto alla levata del segreto è strettamente personale. Il consenso non è subordinato ad alcuna esigenza di forma; può essere espresso, tacito o risultare da atti concludenti.
L’atto delittuoso consiste quindi a rendere il segreto accessibile ad una persona non autorizzata. In ragione del loro dovere di mantenere il segreto, le persone menzionate all’art. 321 cifra 1 CP si trovano in una posizione di garante e possono commettere l’infrazione anche per omissione. Il segreto deve essere custodito anche nei confronti di un’autorità, salvo l’autorità disciplinare e le ipotesi di cui all’art. 321 cifra 3 CP. Il fatto che il terzo non autorizzato sia lui stesso tenuto a mantenere il segreto non esclude la commissione dell’infrazione (B. CORBOZ, op. cit., art. 321 CP n. 67 e ss.).
Tale infrazione può essere commessa unicamente intenzionalmente. L’intenzione, anche sotto forma di dolo eventuale, deve riguardare tutti i fatti che rendono il comportamento illecito. Si tratta dei fatti che danno all’informazione il suo carattere segreto, che fondano la qualità professionale prevista dall’art. 321 cifra 1 CP, che creano il legame necessario tra il segreto e la professione ed infine che realizzano la rivelazione ad una persona non autorizzata. Se il segreto è stato reso accessibile per negligenza, il comportamento non è quindi punibile (B. CORBOZ, op. cit., art. 321 CP n. 80 e ss.).
4.3.
Presupposto oggettivo della disposizione di cui all’art. 321 CP è quindi il fatto di svelare un segreto ad uno dei professionisti indicati e nell’ambito della loro professione o di cui gli stessi hanno avuto conoscenza nell’esercizio della stessa o in occasione dei loro studi.
Se l’informazione è comunicata agli stessi in quanto persone private, l’art. 321 CP non trova applicazione (PC CP -
M. DUPUIS / B. GELLER / G. MONNIER / L. MOREILLON / C. PIGUET / C. BETTEX / D. STOLL, art. 321 CP n. 26 e ss).
Ora, dopo il passaggio incriminato, PI 1 specifica che “
a tale conclusione giungo dopo anni di convivenza con laRE 1, pluriannuale terapia di coppia in comune, nonché grazie alle mie nozioni professionali
” (osservazioni 31.12.2011/5.1.2012).
In siffatte circostanze, questa Corte non può che confermare la conclusione alla quale è giunto il magistrato inquirente secondo cui “
le incriminate dichiarazioni, seppur di chiara configurazione tecnico-medica, non si fondano sulla circostanza che tra querelato e querelante vi fosse un rapporto professionale, bensì sul fatto che i due fossero coniugi
” (decreto di non luogo a procedere 7.3.2012, p. 2, NLP _).
Per stessa ammissione della reclamante infatti, unitamente all’ex-marito, quest’ultima ha seguito una terapia di coppia presso i dr. med. _ e _ (cfr. verbale di interrogatorio 26.5.2011 di RE 1, p. 4, in rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 29.11.2011, AI 8, inc. MP _).
In tale ambito, quindi in veste privata e non di medico curante dell’ex-moglie, PI 1 è venuto a conoscenza di quanto indicato nelle osservazioni incriminate, come da lui stesso confermato.
Il fatto poi che il querelato abbia curato la reclamante - durante il loro matrimonio - per delle malattie generiche ed ordinarie, quali ad esempio il raffreddore e/o l’influenza, come risulta dai documenti allegati al presente reclamo, non significa che lo stesso sia il suo medico curante per quanto riguarda questioni psicologiche, e che lo stesso sia quindi – in tale ambito – venuto a conoscenza di informazioni coperte dal segreto professionale.
In queste circostanze, in assenza del presupposto oggettivo si deve necessariamente confermare il decreto di non luogo a procedere anche per il reato di cui all’art. 321 CP.
5.
Il gravame è respinto. Tassa di giustizia e spese sono poste a carico dell’insorgente, soccombente. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,012 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
96eb23e7-6b28-50a6-8a97-73f8fe1e5580 | in fatto: A.
Con sentenza del 14 aprile 2000 il presidente della Corte delle assise correzionali di Lugano ha riconosciuto _ autore colpevole di ripetuto furto, consumato e tentato e ripetuto danneggiamento. Egli ha, in estrema intesi, accertato che il soggetto, a scopo di indebito profitto, ha sottratto in 11 occasioni, rispettivamente ha tentato di sottrarre in 3 occasioni, diverse cose mobili e valori altrui e che in occasione di due di questi furti egli ha anche danneggiato cose mobili altrui. Richiamata la sua recidiva specifica (art. 67 CP) e riconosciutagli la scemata responsabilità (art. 11 CP), il presidente della Corte delle assise correzionali lo ha condannato a 12 mesi di detenzione (computato il carcere preventivo sofferto) da espiare, a valere quale pena parzialmente aggiuntiva a quella di 15 giorni di detenzione inflittagli il 3 agosto 1998 e a quella di 2 giorni di arresto inflittagli il 10 gennaio 2000. Lo ha inoltre condannato a pagare fr. 195.– a _ e fr. 461.– a _ a titolo di risarcimento del danno. Ha infine disposto la confisca di quanto sequestrato.
B.
Contro la sentenza di assise _ ha inoltrato il 18 aprile 2000 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 24 maggio successivo, egli chiede di essere riconosciuto soltanto colpevole di reati di poca entità consumati e tentati, per avere sottratto un CD dal negozio _ il 26 gennaio 200 e per avere in 3 altre occasioni tentato di sottrarre diverse cose e valori di poco valore, di furto per avere sottratto un importo di fr. 1'000.– dalla Casa Parrocchiale di _ e di furto d'uso per avere sottratto allo scopo di utilizzare una bicicletta marca Mondia. Chiede inoltre che gli venga anche riconosciuta l'attenuante della grave angustia e che gli sia, per finire, inflitta una condanna pari al carcere preventivo sofferto.
C.
Con osservazioni del 5 giugno 2000 il Procuratore pubblico ha chiesto la reiezione del ricorso. Identica conclusione è stata proposta dalla parte civile _ con scritto 8 giugno 1995. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorrente fa carico al presidente della Corte delle assise correzionali di avere violato il diritto federale per aver indistintamente applicato alla fattispecie l'art. 139 CP, ossia per avere ritenuto che le singole fattispecie prospettate nel punto 1 dell'atto di accusa andassero punite come furto, rispettivamente come tentato furto ai sensi della citata norma. A suo giudizio, una conclusione del genere è errata, poiché in più di un'occasione egli ha conseguito una refurtiva di poco conto, cioè inferiore a fr. 300.–, che costituisce la soglia che differenzia il furto (art. 139 CP) dal reato patrimoniale di poca entità (art. 172
ter
CP, punibile unicamente a querela di parte e meno severamente, trattandosi di contravvenzione. Facendo al riguardo difetto la querela da parte del leso, egli deve di conseguenza essere prosciolto dai reati menzionati ai punti 1.1. 1.2, 1.3, 1.5, 1.7, 1.8, 1.9 e 1.10 dell'atto di accusa, il valore degli oggetti sottratti non superando fr. 300.– a torto. L'art. 172 ter CP (reati di poca entità) sarebbe entrato in linea di conto, se del caso, solo se egli avesse mirato fin dall'inizio e ogni qualvolta a una sottrazione di poco valore o a un danno di lieve entità (DTF 122 IV 156 consid. 2a), in ogni modo non superiore a fr. 300.– (DTF 121 IV 261 consid. 2d). Determinate al riguardo non è pertanto il risultato ottenuto, bensì l'intenzione dell'autore (CCRP, sentenza del 22 dicembre 1998 in re J. consid. 2; v.
Corboz
, Les principales infractions, art. 139, pag. 115). Ora, stando alla sentenza impugnata, ogni qualvolta il ricorrente penetrava, con o senza scasso, in un'abitazione o in'un automobile altrui, era alla ricerca del più ampio bottino possibile, anche quando ha trovato poco o nulla da sottrarre (sentenza, pag. 8). Nel gravame non viene però spesa una sola parola di critica su questo accertamento, vincolante – comunque sia – per la Corte di cassazione e di revisione penale, riservato il caso di arbitrio (art. 288 lett. c CPP). Ne discende che nella misura in cui il ricorrente chiede il proscioglimento dal reato di ripetuto furto, rispettivamente di tentato furto con riferimento all'art. 172
ter
CP il ricorso deve essere disatteso, siccome manifestamente infondato per non dire temerario.
2.
Nel suo prolisso esposto, il ricorrente pretende di avere compiuto i reati illustrati nei punti 1.8, 1.9. e 1.10 dell'atto di accusa senza rendersi conto di quanto stava facendo, essendo egli a quel momento sotto l'influsso di farmaci. Dalla sentenza impugnata risulta però che, nonostante l'ingerimento di un medicamento prescrittogli dal proprio medico, l'accusato era consapevole del proprio agire, prova ne è che nei verbale del 15 febbraio 2000 egli si ricordava di quanto aveva fatto e che egli al momento dell'arresto è stato trovato in possesso di una chiave per quadri elettrici, di un coltello con lama seghettata e di un tagliavetro, ossia dello strumentario tipico del ladro scassinatore (sentenza, pag. 8). Di nuovo egli non si confronta però con tali considerazioni.
3.
Riferendosi al punto 1.8 dell'atto di accusa, il ricorrente rileva che il primo giudice abbia ritenuto che il furto dell'estintore dal veicolo di _ sia stato perpetrato con scasso. Dal rapporto di inchiesta di polizia –egli precisa – risulta però che per questa fattispecie non sia stato perpetrato alcun scasso del veicolo; vi è stato comunque un danneggiamento all'autoradio, non però quantificato e comunque inferiore a fr. 300.–. Mancando la querela, egli deve essere pertanto a suo giudizio prosciolto anche da questo reato. A tale richiesta non può essere dato seguito. _ ha sporto denuncia/querela nei confronti del ricorrente non soltanto per furto, ma anche per danneggiamento (act.5/ annesso). Ci si potrebbe invero chiedere se il danneggiamento alla radio (poco importa con quale mezzo sia stato effettuato; v. dispositivo n. 2 della sentenza) fosse effettivamente inferiore a fr. 300.– e quindi se, oggettivamente, non si trattava di un reato di poca entità. Anche in questo caso il ricorrente non ha però preteso di aver voluto contenere i danni al momento di compiere il furto dell'estintore, conditio sine qua non per applicare l'art. 172 ter CP al posto dell'art. 144 CP (DTF 122 IV citata).
4.
Il ricorrente si diffonde con dovizia di particolari sulla condanna per furto e danneggiamento compiuti nei confronti di _ (punto 1.10 dell'atto di accusa). Ancora una volta egli dimostra di non avere corretta nozione dell'art. 172 ter CP, ossia trascura che determinante al riguardo non è il risultato ottenuto, ma l'intenzione dell'autore, cioè la sua volontà di limitare il valore della refurtiva e l'entità del danno conseguente al danneggiamento di cose altrui. D'altro canto risulta anche evidente la natura appellatoria delle critiche ricorsuali, in particolari di quelle intese a prospettare valori patrimoniali meno importanti rispetto a quelli indicati nell'atto di accusa.
5.
Richiamato il principio
in dubio pro reo
, il ricorrente chiede di essere condannato per furto d'uso ai sensi dell'art. 94 n. 3 LCS, anziché per furto, in relazione alla sottrazione della bicicletta indicata nel punto 1.13 dell'atto di accusa. La richiesta non è seria. Basti rilevare che davanti al primo giudice il ricorrente ha ammesso i fatti così come precisati nell'atto di accusa (sentenza, pag. 7) e in particolare che egli non ha mai preteso – né davanti al Procuratore pubblico, né nel corso del pubblico dibattimento – di avere sottratto la bicicletta con l'intenzione di usarla transitoriamente.
6.
Il ricorrente si duole infine del fatto che il primo giudice non gli abbia riconosciuto la grave angustia ai sensi dell'art. 64 CP per i reati compiuti il 14 e il 15 febbraio 2000 a causa della sua particolare situazione di disagio personale dovuta agli inevitabili effetti –crisi di astinenza, ricadute, ecc. – conseguenti al tentativo di uscire definitivamente dal mondo della droga messo in atto a partire dal mese di novembre del 1999. Ora, il giudice del merito non ha però trascurato tale aspetto, avendo egli considerato la situazione di disagio del ricorrente nell'ambito della scemata responsabilità (di grado medio per quanto riguarda la scorribanda del 14–15 febbraio 200; v. sentenza, pag. 9). Pretendere ulteriori riduzione di pena, sostenendo di essersi trovato in pratica nello stato di necessità – circostanza giustamente negata dal primo giudice (sentenza, pag. 9) – non è serio. Ancora una volta la sentenza impugnata. equa nel suo esito, sfugge pertanto alla critica ricorsuale.
7.
Discende che il ricorso deve essere disatteso, siccome manifestamente infondato. Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 CP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,000 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
96ee9e73-52bd-54e9-9e7a-841065edc991 | in fatto ed in diritto
1.
Il _, verso le ore _, in territorio di _, sulle rive del fiume _, è avvenuto un incidente ai danni di _ (_), cittadina _, che stava partecipando alla colonia
"_" organizzato dalla IS 1 (di seguito IS 1). Quel giorno
la ragazza è rimasta schiacciata da un masso sul quale era seduta. Il medico intervenuto in loco non ha potuto fare altro che costatarne il decesso.
A seguito di quanto accaduto, è stato aperto d’ufficio un procedimento penale contro ignoti per l’ipotesi di reato di omicidio colposo (art. 117 CP) sfociato nel decreto di non luogo a procedere 3.07.2014 emanato dal procuratore pubblico Moreno Capella (NLP _; ndr. visti gli atti istruttori, il magistrato inquirente avrebbe nondimeno dovuto procedere all’apertura dell’istruzione ed emanare un decreto di abbandono, ma ciò è ininfluente ai fini del giudizio).
Il summenzionato decreto è regolarmente passato in giudicato, non essendo stato impugnato. Il medesimo, dopo la sua crescita in giudicato, è stato tra l’altro inviato alla IS 1 qui istante (AI 32 e AI 34).
2.
Con la presente istanza (redatta in lingua francese) – trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza, a questa Corte – la IS 1, per il tramite dell’avv. PR 1 in qualità di segretario generale di quest’ultima, chiede di poter esaminare gli atti istruttori del surriferito procedimento penale.
A sostegno della sua richiesta l’avv. PR 1 precisa in particolare che la IS 1 organizza numerosi campi di vacanza per ragazzi svizzeri residenti all’estero. Egli, quale segretario generale dal _, è intenzionato a migliorare le misure atte a garantire la sicurezza sui bambini che partecipano ai campi. Vorrebbe quindi esaminare l’incarto penale inerente al decesso di _ per poter riesaminare gli strumenti di sicurezza e la procedura prevista dalla IS 1 in caso di incidenti.
Come esposto in entrata, il magistrato inquirente, visti i motivi alla base della presente richiesta, preavvisa favorevolmente la richiesta.
Questa Corte ha rinunciato ad interpellare gli eredi della vittima, poiché la IS 1, dopo il passaggio in giudicato del NLP _, ha ricevuto una copia del predetto decreto.
3.
L
’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
In casu – visti i motivi apportati nella presente istanza – è, di principio, dato un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG da parte della IS 1 (rispettivamente dell’avv. PR 1), che prevale sugli interessi personali della vittima e dei suoi eredi, poiché lo scopo della richiesta è quello di voler migliorare le misure di sicurezza nei confronti dei bambini che partecipano ai campi organizzati dalla stessa IS 1.
Giova inoltre rilevare che dal NLP _ risulta che la fattispecie in esame è stata segnalata agli Uffici cantonali competenti per i corsi d’acqua e la geologia cantonale e all’autorità cantonale preposta alla sicurezza dei fiumi. Dall’incontro con il presidente di quest’ultima autorità è emerso che
"
(...) la presenza di massi e sassi apparentemente stabili e innocui ai margini dei fiumi ticinesi è un effettivo pericolo e questo merita effettivamente di essere considerato già nella campagna 2014 per la sicurezza dei corsi d’acqua del cantone
"
(decreto di non luogo a procedere 3.07.2014, NLP _, p. 9, AI 32).
Ciò è sufficiente per ammettere un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG.
Di conseguenza, l’avv. PR 1 è autorizzato ad esaminare presso questa Corte tutti gli atti istruttori dell’incarto NLP _ (composto da un raccoglitore blu), concordando i tempi di accesso con i collaboratori della cancelleria, compatibilmente con i loro impegni.
Il legale è, se del caso, autorizzato a fotocopiare gli atti utili alle sue incombenze.
Va da sé che l’avv. PR 1 è legato al segreto d’ufficio/professionale.
5.
L’istanza è accolta ai sensi del precedente considerando. La tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico di chi le ha occasionate. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,014 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
97ba0aa2-cf07-52fa-b7d7-b138d2f8d5fa | in fatto ed in diritto
che a seguito dell’improvviso decesso di PI 2 (_) nella propria abitazione, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale nell’ambito del quale il 29.03.2012 il procuratore pubblico ha incaricato l’Istituto di medicinale legale di _ a esperire un’autopsia sulla salma allo scopo di stabilire le cause e il momento del decesso, le circostanze nelle quali è avvenuto e la presenza di lesioni/patologie e ogni altro elemento utile all’inchiesta (inc. AI 1 e AI 2, inc. NLP _);
che con la presente istanza – trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza, a questa Corte – l’istante, già medico curante della persona deceduta, chiede di poter essere informata riguardo al risultato dell’autopsia effettuata su quest’ultima;
che a suffragio della sua richiesta precisa che il suo decesso l’ha molto sorpresa e turbata e vuole dunque conoscerne le cause per giustificare la sua morte improvvisa all’età di 47 anni;
che, come esposto in entrata, il procuratore pubblico non ha presentato osservazioni in merito;
che
l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente istanza – è certamente dato un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG da parte del medico istante, essendo la richiesta stata formulata sostanzialmente a fini scientifici/professionali per approfondire le proprie conoscenze mediche riguardo all’improvviso decesso di una ex paziente;
che in siffatte circostanze la relazione (definitiva) medico legale sugli accertamenti necroscopici eseguiti sulla salma di PI 2 (nata il _ e deceduta il _) del 17.07.2012 (AI 7) viene trasmessa, in copia, all’istante unitamente alla presente decisione;
che l’istante, quale medico, è ovviamente tenuto al segreto professionale;
che vista la particolarità della fattispecie, si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,012 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
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97ef2d4a-b82a-526d-955f-f3465535157e | in fatto ed in diritto
1.
A seguito dell’infortunio occorso il _, a _, ai danni dell’_ IS 1 (_),
il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale (inc. MP _) sfociato nel decreto di accusa _ mediante il quale il procuratore pubblico Antonio Perugini ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale _ siccome ritenuto colpevole di violazione delle regole dell’arte edilizia giusta l’art. 229 cpv. 1 CP "
per avere, nella sua veste di direttore della ditta _ di _, intenzionalmente trascurato di far rispettare le regole riconosciute dall’arte, in particolare di far montare dei parapetti di protezione sul tetto dello stabile sul quale stavano lavorando gli operai da lui diretti, mettendo così in pericolo la vita e l’integrità di quest’ultimi, come infatti avvenne con la caduta da ca. 6,5 metri di uno di loro
", così come di lesioni colpose gravi giusta l’art. 125 CP "
per avere negligentemente cagionato al suo operaio IS 1, le gravi lesioni corporali documentate nel certificato medico _ della Clinica _ di _, a seguito della sua caduta dall’altezza di 6,5 metri dove si trovava a lavorare su un cantiere da lui diretto, e ciò a causa della volontaria scelta di omettere il montaggio dei prescritti parapetti di protezione
", ed ha proposto la sua condanna alla pena pecuniaria di novanta aliquote da CHF 180.-- cadauna, per complessivi CHF 16’200.--, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni e al pagamento della tassa di giustizia e delle spese (DA _).
Con sentenza (motivata) _ (statuendo sull’opposizione interposta il 21/22.10.2008 dall’accusato, per il tramite del suo patrocinatore) il giudice della Pretura penale Giovanni Celio ha dichiarato _ autore colpevole di violazione per negligenza delle regole dell’arte edilizia ex art. 229 cpv. 2 CP e di lesioni colpose gravi ex art. 125 cpv. 2 CP e l’ha parimenti prosciolto dall’accusa di violazione intenzionale delle regole dell’arte edilizia (art. 229 cpv. 1 CP). L’ha quindi condannato alla pena pecuniaria (ridotta) di sessanta aliquote da CHF 180.-- ciascuna, per un ammontare complessivo di CHF 10’800.--, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, alla multa di CHF 1’000.-- (mancante nel decreto di accusa) e al pagamento della tassa di giustizia e delle spese (inc. _).
L’11.06.2010 l’accusato ha inoltrato dichiarazione di ricorso avverso la predetta sentenza. La sentenza motivata è stata intimata alle parti il 24.06.2010. Entro il termine di venti giorni dalla sua intimazione, non è stata però presentata la motivazione del ricorso. Con decreto 31.08.2010 il giudice della Pretura penale ha quindi dichiarato definitiva la sentenza _ (inc. _). L’incarto penale è pertanto stato archiviato.
Giova rilevare che nell’ambito del summenzionato procedimento penale il 25/26.05.2009 l’avv. PR 1 ha comunicato alla Pretura penale di aver assunto il patrocinio di IS 1, mentre il 25/28.05.2009 quest’ultimo si è costituito parte civile (ai sensi del previgente CPP TI).
2.
Con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dalla Pretura penale a questa Corte – l’avv. PR 1, richiamando il procedimento penale di cui sopra nell’ambito del quale ha patrocinato IS 1 in qualità di vittima/parte civile (ai sensi del previgente CPP TI), postula l’autorizzazione a visionare tutti gli atti dell’incarto, senza però indicare i motivi che stanno alla base della sua richiesta.
Come esposto in entrata, la Pretura penale non ha formulato osservazioni in merito.
Questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare le altre parti nel procedimento penale di cui all’incarto _ della Pretura penale, nel frattempo archiviato, essendo il qui istante stato parte (in qualità di parte civile ai sensi del previgente CPP TI) al medesimo.
3.
3.1.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
3.2.
Nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di parte civile ai sensi del previgente CPP TI) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo.
C
ome ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10).
Inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994, p. 19).
Lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG.
4.
Nella fattispecie in esame – nonostante l’avv. PR 1 abbia omesso di precisare i motivi alla base della sua richiesta – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 e, di riflesso, del suo patrocinatore, in applicazione dell’art. 62 cpv. 4 LOG, ad ottenere l’autorizzazione ad esaminare l’incarto _, nel frattempo archiviato, poiché il procedimento penale l’ha interessato personalmente in veste di parte.
Va inoltre rilevato che dalla copia della procura datata 22.05.2009, prodotta agli atti in sede di Pretura penale, risulta che IS 1 aveva conferito procura all’avv. PR 1 riguardo all’infortunio sul lavoro occorsogli il _, a _, allo scopo di rappresentarlo in sede penale, ma anche in sede amministrativa, assicurativo sociale e di responsabilità civile (AI 8 – inc. _). Non è dunque escluso che il legale necessiti di eventuale documentazione del procedimento penale in questione per tutelare gli interessi di IS 1 in altra sede.
In siffatte circostanze l’avv. PR 1 è autorizzato – per motivi di economia e di praticità (avendo il suo studio legale sede a _) – presso questa Corte, ad esaminare tutti gli atti istruttori dell’incarto _ della Pretura penale, concordando i tempi e le modalità di accesso con i collaboratori della cancelleria, compatibilmente con i loro impegni.
Egli è, se del caso, autorizzato a fotocopiare i documenti utili per le sue incombenze.
5.
L’istanza è accolta ai sensi del precedente considerando. Si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stato parte al procedimento penale di cui all’incarto _, nel frattempo archiviato. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,015 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
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9818019a-7725-5823-bcfc-a361b54b21ad | in fatto: A.
Il 10 gennaio 2000
_ si è recato presso la carrozzeria _ di _ per ritirare quattro cerchi della propria automobile, consegnati nel dicembre precedente per la verniciatura. A quel momento è sorta una discussione accesa sul prezzo: _ chiedeva fr. 300.–, mentre _ era disposto a pagare non più di fr. 100.–. A dire del primo, durante la lite _lo ha colpito alla tempia sinistra con un martello, facendolo cadere per terra e battere la parte destra del volto, procurandosi ferite attestate in un certificato medico del giorno successivo dal dott. _. _ ha negato di avere colpito _ con un martello, sostenendo di avergli solo dato una sberla poiché l'altro l'aveva raggiunto con un pugno e l'aveva preso per il collo. _ ha ammesso che in seguito al manrovescio _ era caduto a terra, soggiungendo però che quest'ultimo aveva allora afferrato un martello, ma egli glielo aveva tolto di mano, colpendolo con un calcio nel fondoschiena. Dopo di che egli si era allontanato e aveva gettato l'arnese all'esterno dell'officina.
B.
Con decreto di accusa del 19 luglio 2000 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di lesioni semplici e lo ha condannato alla pena di tre giorni di detenzione, sospesi condizionalmente per 2 anni. _ è stato rinviato a far valere le sue pretese davanti al foro civile. Statuendo su opposizione, con sentenza del 24 ottobre 2000 il Pretore della giurisdizione di Locarno-Campagna ha assolto invece l'imputato.
C.
Contro il giudizio del Pretore la parte civile _ ha introdotto il 25 ottobre 2000 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta del 16 novembre 2000 egli chiede la conferma del decreto di accusa e il versamento di fr. 6'520.– oltre interessi in rifusione del danno. Con scritto del 24 novembre 2000 il Procuratore pubblico ha comunicato di rinunciare a osservazioni. Nelle sue osservazioni del 12 dicembre 2000 _ propone di respingere il ricorso. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto, non destinato a rimettere in causa l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove (art. 288 cpv. 1 lett. a e 295 cpv. 1 CPP). Problemi del genere sono sindacabili unicamente se il giudizio impugnato denota gli estremi dell’arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c CPP). Arbitrario, tuttavia, non significa semplicemente discutibile, opinabile o finanche erroneo (DTF 125 I 166 consid. 2a, 124 I 247 consid. 5), bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo o in urto palese con il sentimento di giustizia ed equità (Rep. 1990 pag. 352 consid. 1, pag. 360 consid. 2.2a; sulla nozione di arbitrio: DTF 126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 124 I 316 consid. 5a, 123 I 5 consid. 4a, 121 I 114 consid. 3a, 120 Ia 40 consid. 4b). Una sentenza poi incorre nell’annullamento quando è arbitraria nel suo esito, e non soltanto nella motivazione (DTF 126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 123 I 5 consid. 4a, 122 II 130 consid. 2a, 122 I 253 consid. 6c, 61 consid. 3a, 120 Ia 369 consid. 5a).
2.
Nella sentenza impugnata il Pretore ha accertato che al dibattimento neppure il querelante aveva saputo spiegare in che modo egli fosse stato colpito alla parte sinistra del volto, confermando di essersi procurato le lesioni alla mucosa boccale e alla parte destra cadendo su una specie di saldatrice. D'altro lato egli non risultava nemmeno essere stato colpito con un martello. Per converso, il primo giudice ha escluso la legittima difesa invocata dall'imputato, il quale non constava essere stato aggredito dal querelante né con un pugno né con una presa per il collo. Quanto al fatto di cagionare un taglio alla bocca, ciò configura una lesione semplice, ma il Pretore ha negato anche tale ipotesi, l'imputato non potendo dirsi avere agito con dolo, nemmeno eventuale. In effetti – ha spiegato il primo giudice – l'imputato ha bensì colpito il querelante con una sberla, ma non per causare una lesione e nemmeno potendo prevedere che per una semplice sberla l'antagonista cadesse per terra ferendosi su un arnese di lavoro.
3.
Il ricorrente evoca alcuni passaggi dai verbali istruttori e sostiene che a torto il Pretore ha negato in concreto l'intenzionalità dell'azione. A suo avviso il primo giudice non poteva scartare senza arbitrio l'eventualità che l'imputato potesse ragionevolmente prendere in considerazione la possibilità di un ferimento. Intanto – egli afferma – non risulta che egli si sia procurato la ferita cadendo sulla saldatrice, poiché quando egli si trovava accasciato a terra l'imputato lo aveva ancora colpito con ripetuti calci. La contusione può quindi essere stata provocata dai calci e dalle sberle. In ogni modo, quand'anche l'ecchimosi al volto sia dovuta alla caduta sulla saldatrice, non si può seriamente sostenere che colpendo una persona con calci e sberle all'interno di un'officina non ci si possa rendere conto che la vittima possa rovinare su un oggetto contundente. In realtà – continua il ricorrente – l'imputato ha agito con deliberata intenzione, tant'è che quando egli era a terra l'imputato aveva ancora infierito su di lui.
4.
L'argomentazione del ricorrente, oltre a esaurirsi in una critica più che altro appellatoria del giudizio impugnato, si fonda su elementi nuovi. Dagli atti non risulta in effetti che egli sia stato colpito con calci al volto e al fondoschiena. Inoltre il ricorrente disconosce che la lesione semplice ravvisata dal Pretore si riconduce al taglio della mucosa boccale causata dal colpo del capo contro la saldatrice, non da sberle. E nel ricorso egli non dimostra che quest'ultimo accertamento sia arbitrario, tanto meno se si pensa che al dibattimento egli aveva chiaramente ammesso di essersi procurato la ferita alla bocca e alla parte destra del volto cadendo su un utensile di lavoro. Per quanto riguarda l'aspetto soggettivo del reato, giova ricordare che quanto l’autore sa o ignora, quello che egli vuole o l’eventualità delittuosa cui egli consente è un dato di fatto, come tale vincolante per la Corte di cassazione e di revisione penale (DTF 122 IV 160, consid. 2b, 118 IV 124 consid. 1, 174 consid. 4, 117 IV 165 consid. 2c, 116 IV 145 consid. 2c, 115 IV 223; CCRP, sentenza del 17 dicembre 1997 in re W., consid. 4). Il ricorrente si limita a ribadire l'intenzionalità della controparte sostenendo che, quando egli giaceva a terra immobile, l'imputato lo aveva colpito con reiterati calci. Quanto egli avrebbe avuto dimostrare, invece, era che costui gli ha dato una sberla con l'intenzione di ferirlo, eventualità che il Pretore ha scartato. Infine, per quanto concerne il dolo eventuale, il ricorrente si limita di nuovo a contrapporre alla conclusione del Pretore, stando al quale non vi sono elementi per sostenere che l'imputato avesse preso in considerazione la possibilità di un ferimento, la tesi secondo cui colpendo una persona con una sberla in una carrozzeria non si può ignorare che essa possa battere il capo contro un oggetto pericoloso. Il Pretore tuttavia ha escluso simile evenienza in concreto, non ritenendo prevedibile, secondo il normale andamento delle cose, che una persona di quasi 90 kg, alta 1.85 m, possa cadere a terra solo per una sberla. Il che è vero. Ancora una volta perciò il ricorso è destinato all'insuccesso.
5.
Il Pretore ha escluso una condanna del querelato per lesioni colpose o vie di fatto in ossequio all'art. 250 cpv. 1 CPP, non essendogli tali imputazioni state indicate prima della discussione, né formulate dal Procuratore pubblico o dalla parte civile. Secondo l'art. 250 cpv. 1 CPP, in effetti, se dai dibattimenti risulta che il fatto riveste un carattere giuridico diverso, punito con pena uguale o meno grave di quella prevista nell'atto di accusa (rispettivamente nel decreto di accusa), l'accusato non può essere condannato sulla base della mutata imputazione se la stessa non gli è stata indicata prima della discussione. Tale disposto non può tuttavia ostacolare l'applicazione del diritto federale (CCRP, sentenza del 6 dicembre 2000 in re B. e T. consid. 2d con riferimentro agli art. 214 e 215 v CPP). La Corte di cassazione e di revisione penale potrebbe quindi rinviare gli atti in prima sede perché si indichi all'accusato la mutata imputazione e si riprenda il processo. A tale riguardo potrebbero entrare in linea di conto, come ha rilevato lo stesso Pretore, le ipotesi di lesioni colpose o di vie di fatto (con riferimento alla sberla inflitta dall'imputato all'antagonista). Se non che, a quest'ultimo riguardo la contravvenzione sarebbe ormai prescritta (art. 126 in relazione con l'art. 109 CP), onde l'inutilità di un rinvio. Riguardo alle lesioni colpose (art. 125
cpv. 1 CP), che presuppongono la negligenza dell'autore, il Pretore ha escluso tale requisito, non ritenendo prevedibile – come detto – che una persona di quasi 90 kg, alta 1.85 m, possa rovinare a terra solo per una sberla. Il che risponde senz'altro alla comune esperienza. Nemmeno il ricorrente, del resto, spiega quali elementi idonei a suffragare un'imprevidenza colpevole dell'imputato potrebbero emergere da un nuovo processo. Un rinvio degli atti al Pretore si rivelerebbe dunque, già sin d'ora, privo di senso.
6.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 e 9 cpv. 1 CPP). Il ricorrente rifonderà inoltre alla controparte, che ha presentato osservazioni al ricorso tramite un legale, una congrua indennità per ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,001 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
988452a7-58ae-5823-9653-7f3a3d6e9758 | in fatto ed in diritto
che con la presente istanza – trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza, a questa Corte in applicazione dell’art. 62 cpv. 4 LOG, unitamente agli incarti penali MP _, MP _, MP _, MP _ e MP _ – il IS 1 (in seguito IS 1), con riferimento all’inchiesta fiscale speciale (ex art. 190 ss. LIFD) condotta dai collaboratori dell’Amministrazione federale delle contribuzioni a carico di _ e di _ chiede di poter consultare gli atti degli incarti penali inerenti, tra gli altri, a PI 2 così come gli atti riguardanti le seguenti società con sede a _, segnatamente _, _, _, _, _, _, _, _, _, _, _ e la _, _;
che a suffragio della sua richiesta l’IS 1 precisa che a carico di _ e di _ sussisterebbero sospetti di gravi infrazioni fiscali perpetrate nell’ambito della gestione delle predette società, avendo in particolare occultato
"
(...) all’autorità fiscale l’entità delle prestazioni valutabili in denaro corrisposte, violando così la legge federale del 14 dicembre 1990 sull’imposta federale diretta (...) e causando un mancato incasso all’erario di importi molto elevati
"; gli stessi si sarebbero inoltre "
(...) serviti di numerosi rendiconti falsi commettendo così il reato di frode fiscale (art. 186 LIFD)
" e che
"
(...). Principalmente i presunti reati fiscali riguarderebbero la mancata registrazione contabile di cifre d’affari e quindi di utili
"
(istanza 12.03./17.04.2012, p. 2, doc. 1.a);
che, come esposto in entrata, il procuratore generale si è rimesso al prudente giudizio di questa Corte;
che PI 2, dal canto suo, non ha presentato osservazioni;
che
l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che
il capo del Dipartimento federale delle finanze può autorizzare l’Amministrazione federale delle contribuzioni a svolgere un’inchiesta in collaborazione con le amministrazioni cantonali delle contribuzioni, se esistono sospetti giustificati di gravi infrazioni fiscali, d’assistenza o d’istigazione a tali atti (art. 190 cpv. 1 LIFD);
che sono considerate gravi infrazioni fiscali in particolare la sottrazione continuata di importanti somme d’imposta (art. 175 e 176 LIFD) e i delitti fiscali [art. 186 LIFD (frode fiscale) e art. 187 LIFD (appropriazione indebita d’imposte alla fonte)] (art. 190 cpv. 2 LIFD);
che le autorità della Confederazione, dei Cantoni, dei distretti, dei circoli e dei Comuni comunicano, su richiesta alle autorità incaricate dell’esecuzione della LIFD, ogni informazione necessaria per la sua applicazione (art. 195 LIFD in relazione all’art. 112 cpv. 1 frase 1 LIFD);
che l’art. 112 cpv. 1 LIFD si prefigge di favorire la collaborazione più ampia possibile tra le autorità (decisione TF 2C_806/2011 del 20.03.2012 consid. 3; DTF 134 II 318 consid. 6.1.);
che inoltre l’allora Camera dei ricorsi penali (dall’1.01.2011 Corte dei reclami penali), con riferimento a istanze di ispezione degli atti presentate dalla _, _, e in base al previgente art. 27 CPP TI e alla giurisprudenza del Tribunale federale, aveva stabilito quanto segue:
"
Non essendo di regola l’autorità fiscale parte ad un procedimento penale (tranne che nei casi di frode fiscale), ma sostanzialmente terzo, la decisione relativa ad una sua richiesta di informazioni riguardo ad un incarto penale compete a questa Camera in virtù dell’art. 27 cpv. 1 CPP (decisione CRP 4.7.2006, inc. 60.2006.99; decisione TF 2C_443/2007 del 28.7.2008).
Questa Camera non solo decide l’ammissibilità o meno della richiesta, ma è competente pure per fissare le modalità di ispezione degli atti (art. 27 cpv. 2 CPP), applicando a titolo analogetico il criterio dell’utilità potenziale (in base al quale la cooperazione va rifiutata unicamente se gli atti richiesti non appaiono in alcun modo in rapporto con l’infrazione perseguita e sono manifestamente inadeguati a far procedere l’inchiesta), sviluppato nell’ambito di applicazione della AIMP. In questo senso si è espresso il TF (decisione 2C_443/2007 del 28.7.2008, cons. 6):
"
D'altronde l'autorità rogata e le relative istanze di ricorso devono certo
esaminare la necessità, per l'applicazione della legge, dell'informazione e dei documenti sollecitati. La valutazione dell'effettiva rilevanza di
tali dati per l'imposizione fiscale delle persone coinvolte è però eviden
temente di competenza dell'autorità di tassazione, esperiti tutti i ne
cessari accertamenti in quest'ottica (cfr., per analogia, DTF 129 II 484
consid. 4.1; 128 II 407 consid. 5.2.1; 127 II 142 consid. 5a).
Come già in passato, l'autorità fiscale può utilizzare le informazioni ap
prese nella consultazione di un incarto penale anche contro terze per
sone non coinvolte nel procedimento e sulla cui situazione fiscale ini
zialmente non vi era alcuna necessità di approfondimento. Essa può
inoltre aver accesso anche a documentazione coperta dal segreto
bancario, nella misura in cui la stessa è stata ottenuta o sequestrata in
modo legittimo nell'ambito del procedimento penale (DTF 124 II 58
consid. 3; sentenza
2A.28/1997
del 20 novembre 1998, in: StE 1999 B
92.13 n. 5, consid. 2a).
La giurisprudenza pone comunque dei Iimiti
al diritto di esame da par
te dell'autorità fiscale. In particolare, è escluso che quest'ultima possa
domandare di aver accesso agli atti di un procedimento allo scopo di
condurre un'azione di ricerca generale, senza aver motivo di supporre
che la legge non sia stata applicata correttamente. L'obbligo di colla
borazione non permette infatti al fisco di consultare indistintamente e
senza obiettivo concreto tutti i documenti di un'altra autorità (DTF 124
II 58 consid. 3d e 3e; sentenza
2A.406/1995
del 14 marzo 1996, in:
ASA 65 pag. 649, consid. 5b)
";
che gli stessi principi valgono oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che tenuto conto di quanto sopra esposto, nella fattispecie in esame – ritenuti in particolare i motivi addotti dall’IS 1 nella sua richiesta, la finalità per cui è chiesta la compulsazione degli atti degli incarti penali inerenti a PI 2 – si deve, di principio, ammettere l’esistenza di un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG da parte dell’autorità istante che prevale sugli interessi personali di PI 2 ad esaminare gli atti degli incarti penali nel frattempo archiviati inerenti a quest’ultimo e trasmessi dal Ministero pubblico a questa Corte, e ciò limitatamente agli incarti MP _, MP _ e MP _, potendo essere potenzialmente utili ai fini delle sue incombenze;
che di conseguenza – dopo la crescita in giudicato della presente decisione – questa Corte autorizza un funzionario dell’IS 1 ad esaminare, presso il Ministero pubblico di Lugano, gli atti degli incarti penali MP _, MP _ e MP _, concordando i tempi di accesso con il procuratore generale John Noseda, compatibilmente con i suoi impegni;
che il funzionario è, se necessario, autorizzato a fotocopiare i documenti utili ai fini delle sue incombenze;
che, per contro, per quanto concerne gli incarti penali MP _ e MP _ non viene concesso l’accesso all’IS 1, poiché il loro contenuto esula dalla fattispecie in esame;
che l’istanza è accolta ai sensi delle suddette considerazioni;
che stante la natura della richiesta, si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,012 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
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98995b3d-f746-5267-9b9f-12dfe90cbade | Con decreto d’accusa del 7 settembre 2005 (DA 3276/2005) il procuratore pubblico ha ritenuto RI 1 autore colpevole di truffa, per avere, a _, nei mesi di novembre-dicembre 2002 e novembre-dicembre 2003, in correità con la moglie_, agendo in qualità di organi o di dirigenti effettivi della _, ripetutamente ingannato con astuzia i funzionari del PC 1 compilando i formulari “Rapporti sulle ore perse a causa d’intemperie” con dati inveritieri, segnatamente indicando su tali formulari che il personale dell’azienda aveva perso delle ore a seguito di intemperie che avevano impedito il normale svolgimento del lavoro di 7 operai per 12 giorni nel corso del mese di novembre 2002 e per 5 giorni nel corso del mese di novembre 2003, mentre in realtà il personale dell’azienda risultava impiegato al 100%, ovvero per 8 ore al giorno, rispettivamente aveva potuto svolgere almeno qualche ora di lavoro su altri cantieri o all’interno, oppure era assente dal posto di lavoro per altri motivi, segnatamente per motivi di formazione o motivi personali, facendo altresì sottoscrivere questi formulari inveritieri al personale e sottoponendoli alla cassa disoccupazione del PC 1, inducendola a versare alla _ indennità per orario ridotto in realtà non dovute per i mesi di novembre 2002 e novembre 2003 di complessivi fr. 19
663.95.
Il procuratore pubblico ha ritenuto RI 1 colpevole anche di lesioni semplici (per avere, 13 gennaio 2005, a _, colpito CIVI 2 con calci e pugni), danneggiamento (per avere, ancora il 13 gennaio 2005, a _, tamponato intenzionalmente con la sua l’autovettura di CIVI 2) e minaccia (per avere, sempre il 13 gennaio 2005, a _, minacciato di morte CIVI 2).
In applicazione della pena, il procuratore pubblico ha proposto la condanna dell’accusato alla pena di 75 giorni di detenzione, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di 2 anni.
Il magistrato d’accusa ha inoltre condannato RI 1 a rifondere alla parte civile PC 1 in solido con la moglie, fr. 19
663.95
a titolo di risarcimento e lo ha condannato al pagamento della tassa e spese giudiziarie per complessivi fr. 400.–.
Al decreto di accusa RI 1 ha interposto opposizione.
B.
Con decreto d’accusa 7 settembre 2005 (DA 3277/2005) il procuratore pubblico ha ritenuto _ autrice colpevole di truffa per avere commesso, in correità con RI 1, le stesse azioni descritte nel decreto di accusa emesso a carico del marito RI 1 (DA 3276/2005), nelle stesse circostanze di luogo e di tempo. Ne ha proposto, quindi, la condanna alla pena di 40 giorni di detenzione, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di 2 anni.
Il magistrato d’accusa ha, inoltre, condannato la donna a rifondere alla parte civile PC 1,
in solido con RI 1, l’importo di fr. 19
663.95
a titolo di risarcimento e al pagamento della tassa e spese giudiziarie per complessivi fr. 200.–.
_ ha interposto opposizione al decreto di accusa.
Al dibattimento, l’imputata ha ritirato l’opposizione.
È evidentemente a seguito di un errore che in sentenza è stato riportato che, visto il ritiro dell’opposizione, “
il procedimento penale aperto dal Ministero pubblico nei suoi confronti è divenuto privo d’oggetto ed è stato stralciato dai ruoli”
. In realtà, infatti, il ritiro dell’opposizione ha avuto quale effetto che il DA emanato nei confronti della donna è cresciuto in giudicato (act. 7), mettendo fine al procedimento penale aperto dal Ministero Pubblico.
C.
Statuendo sull’opposizione di RI 1, con sentenza del 26 settembre 2007 il giudice della Pretura penale lo ha dichiarato autore colpevole di truffa e danneggiamento, mentre lo ha prosciolto dalle imputazioni di lesioni semplici, vie di fatto e minaccia. Il giudice lo ha, quindi, condannato alla pena pecuniaria di 45 aliquote giornaliere di fr. 200.– cadauna per un totale di fr. 9
000.–, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni.
Il primo giudice lo ha inoltre condannato al pagamento di una multa di fr. 1
500.– che, in caso di mancato pagamento, verrà commutata in una pena detentiva di 15 giorni. Le tasse e le spese giudiziarie sono state poste a carico dell’accusato in ragione di fr. 1
204.–, mentre fr. 176.– a carico dello Stato.
Il giudice ha, inoltre, rinviato PC 2 al foro civile per le pretese di tale natura ed ha dichiarato priva di oggetto la pretesa civile fatta valere dal PC 1.
D.
Contro la sentenza appena citata, RI 1 ha introdotto il 28 settembre 2007 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta, presentata il 29 ottobre 2007, egli postula, in via principale, il suo totale proscioglimento e, quindi, l’annullamento della sentenza impugnata.
In subordine, chiede che, nell’eventualità di una condanna, gli venga inflitta un’aliquota giornaliera di fr. 30.–.
Con osservazioni 19 e 26 novembre 2007, il procuratore pubblico e la parte civile PC 2 propongono di respingere il ricorso. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288
lett. a e b CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata, né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 173 consid. 3.1 pag. 178, 128 I 273 consid. 2.1 pag. 278).
2.
In relazione alla condanna per truffa, il ricorrente sostiene che il primo giudice è caduto in arbitrio accertando la sua consapevolezza circa il carattere indebito delle richieste di indennità per intemperie, da un lato poiché avrebbe dedotto dalle emergenze istruttorie fatti che non potevano essere dedotti, d’altra parte poiché non avrebbe valutato nel loro complesso le deposizioni dei testi ma di esse avrebbe ritenuto soltanto le dichiarazioni che potevano essere lette a suo carico e non quelle – secondo lui preponderanti – che andavano a suo favore.
Motivando tale censura, il ricorrente sostiene, dapprima, che dalla dichiarazione della moglie secondo cui la decisione di far capo alle indennità per intemperie era stata presa da entrambi il giudice della Pretura penale non poteva dedurre – se non arbitrariamente – che egli fosse pure al corrente delle di lei manovre fraudolente o che addirittura abbia collaborato alla loro messa in atto.
In secondo luogo, il ricorrente sostiene che il primo giudice non ha considerato nel loro insieme le dichiarazioni dei testi di cui si è limitato a riportare i passaggi che indicano – seppur in modo non chiarissimo – un suo coinvolgimento dimenticando che dalle altre deposizioni emerge con chiarezza che era la moglie il
deus ex machina
dell’imbroglio
e dimostra la sua estraneità agli illeciti.
Sempre secondo il ricorrente, il giudice è, inoltre, caduto in arbitrio non considerando debitamente, nella valutazione delle testimonianze, il sentimento di inimicizia maturato nei suoi confronti dagli operai che lo avrebbero accusato a causa del loro licenziamento e non dando il giusto risalto al fatto ch’egli era soprattutto un “uomo di cantiere” e che la contabilità e la gestione amministrativa della ditta era di competenza esclusiva della moglie.
A riprova della sua estraneità ai fatti egli allega che, quando per un corto periodo (da maggio a ottobre 2003) lui si era occupato di persona delle “giornaliere”, non è stato registrato nulla di irregolare per quanto attiene alle indennità per intemperie.
Infine – conclude il ricorrente – al dibattimento nemmeno sono stati sentiti tutti i testi da lui proposti per dimostrare la sua estraneità ai fatti (ricorso, pag. 3-12).
2.1.
Appurati i presupposti oggettivi del reato di truffa – non contestati dal prevenuto – il giudice della Pretura penale ha proceduto alla verifica di quelli soggettivi, analizzando le dichiarazioni degli operai coinvolti e della moglie dell’imputato per concludere che, dall’insieme delle testimonianze, emergeva “
la volontà di RI 1 di voler presentare delle domande di indennità per intemperie per mezzo di moduli contenenti indicazioni non corrette, sì da permettere alla ditta _, di cui egli era presidente, di arricchirsi indebitamente , nella misura in cui non aveva diritto alle note indennità, giacché i suoi operai erano stati impiegati altrove o erano assenti dal lavoro per altre ragioni durante i giorni asseritamente indicati come di intemperie”
(sentenza, pag. 17).
a)
Come detto, il giudice della Pretura penale ha fondato il proprio convincimento, dapprima, sulle deposizioni di _, _ e _, tre ex dipendenti della società, ritenendo, in particolare, indizianti la consapevolezza di RI 1 le seguenti dichiarazioni:
- _ ha riferito che RI 1 era presente quando _ gli aveva chiesto di firmare un formulario contenente indicazioni
“fuorvianti”
per la cassa di disoccupazione, in particolare in cui venivano indicati più giorni di sospensione del lavoro a causa di pioggia di quelli realmente successi.
- _ ha ammesso di avere indicato dei giorni di pioggia nelle tabelle nonostante gli operai della ditta avessero regolarmente lavorato seguendo le disposizioni date in tal senso da RI 1.
- _ ha affermato che, in alternativa al capo-cantiere, era RI 1 che impartiva agli operai precise direttive in merito alla registrazione degli orari di lavoro e che questi ha, inoltre, partecipato, verso la fine di novembre
/inizio dicembre 2002, ad una riunione in occasione della quale erano state rifatte delle “giornaliere” secondo le indicazioni dei titolari della società.
b)
Il primo giudice ha, poi, fondato il suo convincimento circa la consapevolezza di RI 1 sulle dichiarazioni della moglie. In particolare, il giudice ha rilevato come la moglie del prevenuto abbia dichiarato che lei allestiva i moduli sulla base, oltre che dei documenti che le venivano consegnati dagli operai e dal capocantiere, delle istruzioni verbali che le dava il marito che supervisionava anche la parte amministrativa della società.
Ritenuto, quindi, come le dichiarazioni della moglie dell’imputato collimassero con quanto riferito dagli ex dipendenti _, _ e _ (quest’ultimo in particolare avendo esplicitamente riferito della riunione tenutasi a fine novembre/inizio dicembre 2002) e ritenuto come l’imputato stesso avesse dichiarato di conoscere la procedura per ottenere le indennità per intemperie dalla cassa di disoccupazione, in quanto inoltre egli stesso per un certo periodo si era occupato dell’allestimento delle tabelle “presenza operai”, il giudice ha concluso per il pieno coinvolgimento di RI 1 nella truffa ai danni del PC 1I (sentenza, pag. 9-18 consid. 8-14).
2.2.
Quanto l’autore di un reato sa, vuole o accetta è un dato di fatto (DTF 128 I 177 consid. 2.2 pag. 183, 128 IV 53 consid. 3a pag. 63, 125 IV 242 consid. 3c pag. 252, 119 IV 1 consid. 5a pag. 3, 110 IV 20 consid. 2 pag. 22, 74 consid. 1c pag. 77 con rinvii). Pertanto, le constatazioni del primo giudice relative al foro interiore di un soggetto – cioè, ciò che la persona sapeva, si proponeva, aveva l’intenzione di fare o immaginava, lo stato psichico nel quale essa ha agito, la sua cognizione piena o ridotta di
commettere un illecito – possono essere criticate davanti alla Corte di cassazione e di revisione penale solo per arbitrio
(cfr., sul piano federale:
Schweri,
Le pourvoi en nullité à la Cour de cassation pénale du Tribunal fédéral, in: FJS 748C pag. 67 in basso per analogia, sempre sul piano federale:
Wiprächtiger
in: Geiser/Münch, Prozessieren vor Bundesgericht, vol. I, 2a edizione, pag. 226 n. 6.99 con i richiami alla nota 182;
Corboz
, Le pourvoi en nullité à la Cour de cassation du Tribunal fédéral, in: SJ 113/1991 pag. 94 con la nota n. 246).
2.3.
Il caso in esame pone da una parte la tesi dell’accusa, avallata dal primo giudice, secondo cui RI 1 sapeva, in quanto con essa concertate, delle azioni truffaldine della moglie, dall’altra la tesi ricorsuale intesa a negare ogni sua partecipazione alle azioni truffaldine della moglie.
a)
Il ricorrente in sostanza si limita a contrapporre il suo parere a quello del primo giudice. In un ricorso per cassazione fondato sul divieto dell’arbitrio non basta prospettare un diverso accertamento dei fatti o una diversa valutazione delle prove, per quanto preferibili appaiano, ma occorre spiegare perché, accertando i fatti e valutando le prove come descritto nella sentenza, la Corte di merito sia trascesa in un risultato insostenibile.
Ora, pretendere di sostenere l’arbitrio affermando che dalla dichiarazione della moglie secondo cui la decisione di far capo alle indennità per intemperie é stata presa da entrambi non può essere dedotto ch’egli fosse al corrente delle manovre fraudolente della consorte, non è serio poiché denota un approccio all’analisi delle emergenze istruttorie volutamente e strumentalmente riduttivo.
Infatti, se è vero che emerge dagli atti (dalla dichiarazioni della moglie di RI 1 e da quelle degli operai sentiti e, in particolare, dagli stralci di verbali riportati nel ricorso) che era la donna ad occuparsi materialmente delle richieste d’indennizzo alle autorità, questo non basta a dimostrare l’arbitrio nell’accertamento del giudice della Pretura penale secondo cui marito e moglie hanno agito di concerto.
In effetti, dagli atti emerge anche con chiarezza – così come il giudice di prime cure ha accertato – che la donna allestiva i formulari per la richiesta sulla base della documentazione che le veniva consegnata (dagli operai e dai capocantiere) e delle “
istruzioni verbali di mio marito RI 1”
(verbale d’interrogatorio del 19 febbraio 2004 di _, pag. 2 a metà, act. 6 MP).
Con altrettanta chiarezza dagli atti (in particolare, dal verbale 19 febbraio 2004 di _, confermato l’8 marzo 2004, act. 11 MP, pag. 3 e 4) emerge che, se in generale della parte amministrativa si occupava in prima persona la donna, questo lavoro veniva comunque fatto “
sempre con l’avvallo
” del marito (verb. citato pag. 2 in fine), che la decisione di chiedere le indennità per intemperie spettava a lei e al marito (pag. 3 in fine, pag. 9) e che i rapporti giornalieri venivano “
controllati ed eventualmente corretti
” da lei e dal marito (pag. 5). Perché sulla base di questi accertamenti il primo giudice avrebbe arbitrariamente dedotto che l’imputato sapeva che sono stati inviati al PA 1 formulari fasulli per ottenere indebite indennità per maltempo, il ricorrente non lo ha né sostanziato né tanto meno debitamente motivato.
b)
Ma il giudice non si è basato solo sulle dichiarazioni della moglie. Egli ha infatti circostanziato le responsabilità del qui imputato anche sulla base delle citate testimonianze di alcuni ex dipendenti della società.
Se è vero – come detto – che dalle citate testimonianze emerge che ad occuparsi della redazione/correzione dei formulari era principalmente _, questo non rende ancora arbitrario l’accertamento del primo giudice della consapevolezza e della partecipazione del marito, ritenuto che gli stessi testi hanno, nel contempo, reso dichiarazioni che permettono di accertare – senza arbitrio – che il ricorrente era al corrente del raggiro ai danni del PC 1
_ ha chiaramente affermato che, quando firmò il formulario per intemperie del mese di novembre 2002, era presente anche RI 1 (verbale di interrogatorio del 28 gennaio 2004, act. 1 MP pag. 2; sentenza, pag. 12 consid. 10) ed ha anche affermato che la _ era gestita dall’imputato mentre la moglie fungeva soltanto da segretaria (act. 1 pag. 3).
Dove il ricorrente scorga, in quel verbale, il ruolo di
deus ex machina
di _, non è dato di capire e il ricorrente non l’ha esplicitato.
La pretesa inimicizia con RI 1 non è stata né comprovata, né tanto meno circostanziata con esempi e riferimenti concreti che avrebbero dovuto indurre il giudice a soppesare con cautela questa dichiarazione.
Per quanto attiene alla dichiarazione di _, il ricorrente si limita a sostenere che al dibattimento _ avrebbe “
expressis verbis
” smentito che RI 1 era presente alla riunione di inizio dicembre 2002. Tuttavia, dal verbale del dibattimento nulla di tutto ciò emerge.
Nemmeno dal verbale di interrogatorio del 3 marzo 2004 risulta che _ abbia dichiarato che “
ad occuparsi di tutto”
fosse _ (act. 10 MP). Anzi, l’ex dipendente ha dichiarato che RI 1 dirigeva la _ (pag. 1), che il suo superiore è RI 1 unitamente a _ (pag. 1), che questi ultimi impartivano gli ordini in punto all’orario di lavoro e le giornaliere (pag. 2), che all’inizio di dicembre 2002 tutti i dipendenti erano stati convocati dai coniugi Gallo per rifare le giornaliere (pag. 3) e che di solito la decisione di rimanere sul cantiere spettava a RI 1 e _ (pag. 4). Certo, _ ha affermato anche che della contabilità e della gestione degli stipendi si occupava _, che a lei venivano consegnate le giornaliere e che raccoglieva le firme da apporre sui formulari (pag. 1, 2, 3), ma questo ancora non significa, come pretestuosamente sostenuto dal ricorrente, che lei da sola si occupava
“di tutto”
escludendo il marito. Anzi. Inoltre, il contrario – e, cioè che era il marito il vero dirigente dell’azienda – emerge con chiarezza da tutte le audizioni testimoniali.
Lo stesso discorso vale per le dichiarazioni rilasciate da _ durante l’interrogatorio del 20 febbraio 2004 (act. 8).
Invocare una pretesa inimicizia dei tre ex dipendenti nei suoi confronti è – come detto – affermazione che non trova riscontro da nessuna parte, dalle loro dichiarazioni non trasparendo alcun astio nei suoi confronti.
Nemmeno aiuta il ricorrente nella dimostrazione dell’arbitrio nell’accertamento del giudice della sua consapevolezza dell’inganno il richiamo al suo essere un semplice gessatore con conoscenze quasi nulle degli aspetti amministrativi. Infatti, queste affermazioni sono smentite – oltre che dai testi – dalla sua stessa dichiarazione di essersi occupato personalmente delle richieste nei mesi da maggio a novembre 2003.
c)
Nemmeno sono di sussidio alla tesi ricorsuale le dichiarazioni dei testi che, secondo RI 1 avrebbero chiaramente indicato nella moglie l’unica artefice del raggiro ai danni della Cassa di disoccupazione.
_ (verbale d’interrogatorio del 19 febbraio 2004, act. 7 MP) ha infatti dichiarato, come gli altri, che a dirigere la ditta era RI 1 (pag. 1): pertanto, la dichiarazione secondo cui era la moglie ad occuparsi delle questioni contabili (compresa la raccolta dei formulari firmati che a lei andavano consegnati) non è, certamente, sufficiente a dimostrare che RI 1 era totalmente estraneo ai fatti di cui al DA .
Lo stesso vale per le dichiarazioni di _ e _ (20 febbraio 2004 e 3 marzo 2004 , act. 8 e 9 MP).
Da queste dichiarazioni non emerge nulla che possa contrastare le dichiarazioni dei testi _, _ e _. Al contrario, correttamente interpretate, le loro dichiarazioni altro non fanno che confermare le altre. Come detto, il fatto – dato per acquisito anche dal giudice di prima istanza – che era alla moglie del titolare che andavano consegnate le giornaliere e che era con lei che si discuteva delle eventuali correzioni non basta, ancora, ad escludere la responsabilità di RI 1 – solidamente accertata sulla base delle numerose emergenze istruttorie citate – ritenuto, poi, che, ad ogni modo, singole incongruenze e imprecisioni, singole insufficienze istruttorie non bastano a dimostrare l’arbitrarietà dell’apprezzamento complessivo del materiale raccolto, apprezzamento in cui il giudice di prima istanza gode di ampia libertà.
Infine, va detto che dall’appunto inerente il rifiuto del primo giudice di sentire alcuni testi proposti, il ricorrente non conclude nulla: in particolare, non pretende che il giudice abbia anticipatamente apprezzato le prove offerte in modo arbitrario (ricorso, pag. 11).
Ciò ritenuto, su questo punto, il ricorso, nella misura in cui è ammissibile, va decisamente respinto.
3.
Per quanto attiene alla condanna per danneggiamentoRI 1 sostiene, dapprima, che il suo proscioglimento dalle imputazioni di lesioni semplici, vie di fatto e minaccia, dimostrerebbe la malafede di PC 2, “
personaggio violento”
, che “
si era preso a botte il giorno prima con un altro operaio”
. Continua rilevando come il comportamento tenuto da PC 2 quel giorno sia indicativo
“di una chiara predeterminazione per potersi costruire una fattispecie diversa dalla realtà” e come sia “chiaramente un indizio di malafede”
(ricorso, pag. 12 e 13).
Il ricorrente continua il suo esposto rilevando, in punto al tamponamento, di essere lui stesso vittima dell’agire di PC 2, che si era immesso con la propria auto in retromarcia
“sulla pubblica via”
senza accertarsi se questa fosse sgombra.
Egli sostiene, che i testimoni sentiti non sono attendibili: la prima (_) non avrebbe fatto altro che favorire un “compaesano”, la seconda (_) avrebbe invece cambiato versione al dibattimento affermando di avere visto l’auto di PC 2 fare retromarcia, mentre nel suo primo interrogatorio avrebbe affermato di avere visto PC 2 fermo dentro nell’auto.
Rileva, inoltre, come i lievi danni causati alla Fiat Punto di PC 2 depongono contro la dinamica dell’incidente ritenuta dal primo giudice secondo cui quest’autovettura sarebbe stata catapultata dopo l’impatto con la Fiat Panda dell’imputato – secondo quanto ritenuto dal giudice – per due o tre metri contro il portone della casa dei vicini: se così fosse stato, i danni sarebbero ben più gravi.
Precisa, ancora, come il non avere avanzato pretese contro il denunciante è dovuto al fatto che allo stadio attuale è lui ad essere prevenuto per il danneggiamento.
In aggiunta, sostiene che dare peso alle dichiarazioni _ secondo le quali RI 1 si sarebbe vantato con lui di avere sfondato l’auto di PC 2, con cui avrebbe delle vertenze giudiziarie in sospeso, indica come le prove a suo carico siano “
assolutamente misere
” ritenuto che il teste ha riferito di un “
sentito dire
” e che “
il sentito dire non è mai stato un elemento di prova sufficiente”
(ricorso, pag. 13-15).
a)
Il primo giudice ha ricostruito la dinamica dell’incidente sulla base delle dichiarazioni di due testimoni oculari (_ e _) che hanno riferito di avere visto chiaramente RI 1 avventarsi con la propria auto contro quella di PC 2 che, a causa dell’impatto, é andata a sbattere contro il garage di un vicino. Inoltre, entrambe le testimoni hanno dichiarato che la vittima era visibilmente spaventata e disperata per i danni subìti (sentenza, pag. 21-22 consid. 17-18). Queste dichiarazioni – ha precisato il giudice – sono state confermate anche al dibattimento. In particolare, è stato confermato che l’auto di PC 2 era sulla proprietà _, davanti al loro garage (o
“perlomeno non era completamente in strada”
) e non, come sostenuto dal prevenuto, sulla carreggiata, che questi – così ha ribadito _ al dibattimento – ha chiaramente manovrato l’auto “
per virare a destra e cozzare contro l’auto di PC 2
” e che, per evitare di essere a loro volta investite dall’auto di PC 2, le testimoni hanno dovuto spostarsi (sentenza, pag. 23 consid. 18). Dalla dinamica riferita dalle testimoni e dai danni sulle autovetture, che ne hanno confermato la plausibilità, il primo giudice ha raggiunto l’intimo convincimento anche in punto all’intenzionalità di RI 1 di tamponare volontariamente, virando a destra, l’autovettura di PC 2 che
“stava per immettersi”
sulla strada (sentenza, pag. 24 consid. 19). Le due donne hanno inoltre precisato di avere visto RI 1, prima del tamponamento, visibilmente alterato e minaccioso nei confronti di PC 2 (la teste _ Manfreda ha addirittura riferito che RI 1
“voleva chiaramente picchiare il ragazzo”
e che la moglie dell’imputato esortava PC 2 ad andarsene altrimenti
“questa volta RI 1 ti ammazza”
; verbale di interrogatorio del 7 maggio 2005, allegato act. 7 inc. DA 3276/2005 MP).
Il ricorrente non si confronta con gli accertamenti del giudice sopra riassunti ma altro non fa che contrapporre la propria versione dei fatti e i propri apprezzamenti a quelli del primo giudice con una serie di considerazioni e di deduzioni alternative, come se la Corte di cassazione e di revisione penale fosse un’autorità di appello abilitata a rivedere liberamente anche gli accertamenti di fatti e la valutazione delle prove.
Così formulato, il ricorso non adempie nemmeno lontanamente i requisiti di un ricorso per cassazione fondato sul divieto dell’arbitrio ed è, in questa sede, improponibile.
Esso deve, perciò, essere dichiarato inammissibile.
Va, comunque, rilevato che, sulla base degli accertamenti riassunti al considerando precedente, il primo giudice poteva ritenere, senza arbitrio, che l’intenzione dell’imputato fosse quella di danneggiare l’auto di PC 2. Del resto, se la sua intenzione non fosse stata questa e, quindi, se il tamponamento fosse stato solo un banale incidente della circolazione, non si capisce perché non egli si sia fermato per definire, dal punto di vista assicurativo, le responsabilità della collisione ma si è, invece, allontanato (verbale di interrogatorio del 7 maggio 2005 di _, allegato act. 7 inc. DA 3276/2005 MP, pag. 2; verbale di interrogatorio del 7 maggio 2005 di _, allegato act. 7 inc. DA 3276/2005 MP, pag. 2; sentenza, pag. 25 in alto consid. 19).
Anche gli attriti tra i due contendenti e i rispettivi comportamenti prima e dopo la collisione sono stati accertati e vagliati dal giudice della pretura penale (sentenza, pag. 24 e 25 consid. 19), per cui nessun rimprovero può essere mosso al primo giudice nemmeno a questo riguardo.
Infine, e a titolo abbondanziale, si rileva come _ – la cui deposizione è stata considerata dal giudice di prima istanza soltanto quale ulteriore elemento di sostegno della tesi accusatoria – non abbia deposto di “
un sentito dire
” ma abbia, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, dichiarato che “
l’imputato si è vantato con lui di avere sfondato l’auto a un dipendente con il quale aveva avuto una lite” (
sentenza pag. 24 consid. 18). _ ha, quindi, riferito di quanto lo stesso imputato ha detto a lui direttamente, cioè di un fatto (le parole dell’imputato) di cui lui ha avuto direttamente conoscenza. Non di un “
sentito dire”
. Non v’è, infine, nulla in atti che indichi che il primo giudice abbia valutato in modo arbitrario il valore probante di tale testimonianza che ha, in sostanza, soltanto aggiunto forza probante ad una serie di altre precise e concordanti emergenze istruttorie.
4.
Il ricorrente, per finire, contesta la commisurazione delle aliquote giornaliere rimproverando al giudice della Pretura penale di essersi basato sulle precedenti tassazioni per fissare l’aliquota giornaliera in fr 200.– senza considerare l’attuale peggioramento della sua situazione economica.
Non potendo approfondire maggiormente la situazione finanziaria attuale dell’imputato in assenza di notifiche di tassazioni più recenti, il primo giudice avrebbe dovuto fissare in fr. 30.– l’aliquota giornaliera, prestando fede alle sue dichiarazioni facenti stato di un’entrata mensile di fr. 3
000/3
500.– (ricorso, pag. 16).
Anche questa censura va respinta, in quanto il ricorrente non ha fornito documentazione alcuna che potesse avvalorare una diminuita sua capacità finanziaria rispetto a quella attestata dalle precedenti tassazioni (sentenza, pag. 28-29 consid. 22).
Va, comunque, precisato che, qualora la pena pecuniaria oggi sospesa condizionalmente (per un periodo di prova di 2 anni) dovesse divenire esecutiva, nella misura in cui effettivamente, l’aliquota giornaliera fosse davvero sproporzionata rispetto alla sua situazione finanziaria, egli potrà chiedere al giudice dell’esecuzione della pena (GIAP) di ridurla (art. 36 cpv. 3 CP e art. 339 cpv. 1 lett. a CPP).
Il ricorso va, anche su questo punto, respinto.
5.
Gli oneri del ricorso seguono la soccombenza del ricorrente (art. 15 cpv. 1 CPP), che rifonderà a sua volta alla parte civile PC 2, che ha presentato osservazioni al ricorso per il tramite di un legale, un’indennità di fr. 700.– a titolo di ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,008 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
98acef68-e69d-5cd6-b508-ceb394dc883d | in fatto ed in diritto
che con sentenza _ (passata in giudicato il 17.06.2005) la Corte delle assise criminali di _ ha condannato il dr. med. IS 1 alla pena di due anni di detenzione (computato il carcere preventivo sofferto) per titolo di truffa e falsità in documenti (inc. TPC _);
che
con la presente istanza – completata su richiesta di questa Corte con scritto 15/16.10.2012 – IS 1 chiede che
la PI 3 venga formalmente e direttamente autorizzata a trasmettergli la corrispondenza intercorsa con il Ministero pubblico nell’ambito del procedimento penale di cui all’incarto MP _ nel frattempo archiviato (doc. 1), avendo richiesto la propria cartella clinica "
(...) con tutta la corrispondenza intrattenuta con il Ministero pubblico, nell’ambito di un processo di ricostruzione della propria persona con la necessità di disporre di tutti i tasselli ritenuti significativi a tale scopo
" (doc. 1, istanza 5/11.10.2012 e doc. 3, scritto 15/16.10.2012);
che l’istante, unitamente al presente gravame, ha prodotto copia dello scambio epistolare intercorso con il procuratore pubblico Arturo Garzoni e la PI 3, da cui emerge in particolare che il 13.08.2012 il dr. med. IS 1 ha postulato alla PI 3 la trasmissione della sua cartella clinica, e che la _ stessa l’ha in particolare informato che tra gli atti vi è della corrispondenza con il Ministero pubblico di _ nell’ambito del procedimento penale di cui all’incarto MP _ (doc. 1.c e doc. 1.d);
che il magistrato inquirente (interpellato dal patrocinatore del qui istante) ha confermato in particolare che nell’ambito del procedimento penale (inc. MP _) sfociato nella decisione di condanna _ (inc. TPC _) a carico del dr. med. IS 1, l’allora procuratore pubblico Marco Bertoli aveva avuto uno scambio epistolare con la PI 3 (in particolare durante il suo ricovero in stato di detenzione) e che la relativa documentazione è stata allegata all’incarto penale MP _ (doc. 1.b);
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare le altre parti, essendo stato il qui istante parte (quale accusato) al procedimento penale nel frattempo archiviato;
che l
’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (quale accusato) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo
;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che, nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta – è pacifico l’interesse giuridico legittimo ex art. 62 cpv. 4 LOG del dr. med. IS 1 ad ottenere, in copia, la corrispondenza epistolare che vi è stata tra la PI 3 e il Ministero pubblico nell’ambito del procedimento penale di cui all’incarto MP _ sfociato nella sentenza di condanna _ (inc. TPC _), considerato come il procedimento penale lo ha interessato personalmente in veste di parte (accusato) e ritenuto inoltre che egli necessita di questa documentazione nel processo di ricostruzione della sua persona;
che di conseguenza questa Corte autorizza la PI 3 di _ a trasmettere direttamente al dr. med. _, rispettivamente al suo patrocinatore avv. PR 1, la corrispondenza intercorsa con il Ministero pubblico nell’ambito del procedimento penale di cui all’incarto MP _;
che non si prelevano tassa di giustizia e spese, essendo stato l’istante parte al procedimento penale di cui all’incarto MP _ nel frattempo archiviato. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,012 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
98d474f8-2c62-5e6f-9900-985021d00b5c | in fatto ed in diritto
che il _ l’allora presidente della Corte delle assise correzionali di Lugano, giudice Agnese Balestra-Bianchi, ha emanato una sentenza di condanna, tra l’altro, a carico di IS 1 – detenuto dall’11.03.2008 al 2.04.2008 – in cui lo ha ritenuto coautore colpevole di aggressione in relazione ai fatti accaduti a _, l’_, lo ha prosciolto dall’imputazione di omissione di soccorso, e lo ha in particolare condannato alla pena detentiva di sedici mesi (da dedursi il carcere preventivo sofferto), sospesa condizionalmente per un periodo di prova di quattro anni (inc. TPC _);
che la summenzionata sentenza è passata in giudicato il _;
che con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Tribunale penale cantonale a questa Corte – IS 1 postula la trasmissione, in copia, della citata sentenza;
che a sostegno della sua domanda egli precisa di necessitarne una copia nell’ambito della procedura di naturalizzazione, essendo stata richiesta dal Servizio naturalizzazione (doc. CRP 1.a);
che, come esposto in entrata, il Tribunale penale cantonale non ha presentato osservazioni in merito;
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare le altre parti del procedimento penale in questione, nel frattempo archiviato, essendo il qui istante stato parte (in qualità di accusato ai sensi del previgente CPP TI) al medesimo;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di accusato ai sensi del previgente CPP TI) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994, p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, della sentenza di condanna _ (inc. TPC _), passata in giudicato, poiché il procedimento penale l’ha interessato personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che egli necessita copia della sentenza in questione nell’ambito della procedura di naturalizzazione che lo concerne personalmente (cfr., al proposito, copia scritto 7.03.2014 annessa all’istanza 17/18.03.2015, doc. CRP 1.a);
che di conseguenza la sentenza richiesta viene trasmessa, in copia, all’istante unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stato parte al procedimento penale di cui all’incarto TPC _, nel frattempo archiviato. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,015 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
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98ef6aeb-dcdf-5fd8-9ff2-a01c1fa1d851 | in fatto ed in diritto
che a seguito dell’interrogatorio di IS 1, cittadina _, tenutosi dinanzi alla polizia il 20.01.2011
, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale (inc. MP _) sfociato nel decreto di accusa 28.02.2011 mediante il quale il procuratore pubblico ha posto l’imputata in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale siccome ritenuta colpevole di ripetuta infrazione alla LF sugli stranieri ed esercizio illecito della prostituzione ed ha proposto la sua condanna alla pena pecuniaria di novanta aliquote da CHF 30.--cadauna, corrispondenti a complessivi CHF 2'700.--, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, alla multa di CHF 2'000.-- e al pagamento della tassa di giustizia e delle spese, e meglio come descritto nel DA _;
che il suddetto decreto è passato in giudicato il 28.03.2011;
che con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Ministero pubblico a questa Corte – l’avv. PR 1 comunica anzitutto di rappresentare gli interessi di IS 1 nell’ambito di un procedimento amministrativo di ricongiungimento familiare;
che la sua assistita lo ha informato del fatto che anni fa essa sarebbe stata oggetto di un procedimento penale verosimilmente sfociato in un DA, di cui non è però più in grado di ricordare e di illustrarne gli estremi;
che, richiamando l’art. 102 CPP (per analogia trattandosi di un incarto penale archiviato), il patrocinatore chiede di trasmettergli, se del caso, il relativo incarto (in particolare il rapporto di polizia e l’eventuale decisione del Ministero pubblico);
che, come esposto in entrata, il procuratore pubblico non si è opposto alla richiesta;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stata l’istante parte (in qualità di imputata) nel procedimento nel frattempo terminato, essa deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta e il contenuto del procedimento penale sfociato nel DA _ (passato in giudicato) – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 rispettivamente del suo patrocinatore giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, dell’intero incarto penale in questione [rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 24.01.2011 (AI 1), estratto del casellario giudiziale 16.02.2011 (AI 2), scritto 18.02.2011 della Sezione della popolazione (AI 3), elenco atti del 9.08.2013 e decreto di accusa 28.02.2011 (DA _)], poiché il procedimento penale nel frattempo archiviato l’ha interessata personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che il suo patrocinatore necessita della surriferita documentazione nell’ambito di un procedimento amministrativo di ricongiungimento familiare;
che di conseguenza gli atti dell’incarto penale DA _ (già incarto MP _) vengono trasmessi, in copia, al patrocinatore di IS 1 unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo la qui istante già stata parte al procedimento penale nel frattempo archiviato. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,013 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
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98f26957-e5dc-51c7-82bf-58deea06aa92 | in fatto ed in diritto
che nel 2004
il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale (inc. MP _) sfociato nel decreto di accusa 16.08.2005 (DA _);
che il suddetto decreto è passato in giudicato il 19.09.2005;
che con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Ministero pubblico a questa Corte – l’IS 1, per il tramite del suo capoufficio ad interim chiede, per quanto interessa la competenza di questa Corte, la trasmissione del surriferito decreto di accusa (doc. 1.a);
che a sostegno della sua richiesta precisa che la famiglia _ ha presentato una domanda per l’adozione di un minore: per approfondire la necessaria indagine sociale per l’ottenimento del certificato d’idoneità per l’affidamento di un minore in vista di adozione necessiterebbe, con sollecitudine, copia del citato documento, allegando parimenti la relativa autorizzazione a raccogliere informazioni in tal senso (doc. CRP 1.a);
che, come esposto in entrata, PI 2 non si oppone alla richiesta; il procuratore generale, dal canto suo, si rimette al prudente giudizio di questa Corte;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che l’IS 1 è
l’Autorità centrale cantonale cui deve rivolgersi chi è intenzionato ad adottare un fanciullo per ottenere la necessaria autorizzazione all'adozione (www.ti.ch);
che l’Autorità centrale cantonale richiede, tra l’altro, un estratto del casellario giudiziale allo scopo di verificare che i futuri genitori adottivi non siano stati condannati per un reato incompatibile con l’adozione rispettivamente che non sia in corso una procedura per un simile reato (L’adozione in Svizzera, p. 15, scaricabile dal sito internet www.ejpd.admin.ch);
che ciò posto, appare pacifico l’interesse giuridico legittimo dell’IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, del decreto di accusa 16.08.2005 (DA _) emanato a carico di PI 2 allo scopo di approfondire la necessaria indagine sociale per l’ottenimento del certificato d’idoneità per l’affidamento di un minore in vista di adozione da parte di quest’ultimo e di sua moglie, in particolare per verificare se la condanna da lui subita nel 2005 sia incompatibile con l’adozione;
che a ciò aggiungasi che PI 2 non si è opposto alla richiesta;
che di conseguenza il DA _ richiesto viene trasmesso, in copia, all’autorità istante unitamente alla presente decisione;
che stante la natura della richiesta, si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,013 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
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9954b079-8161-505a-8884-6964a465bf35 | in fatto ed in diritto
che a seguito della denuncia/querela sporta il 19.02.2008 da PI 2 (_) nei confronti di _ in relazione ai fatti avvenuti a _, il 17.02.2008, presso il Ristorante _, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale a carico di quest’ultimo sfociato nella sentenza di condanna 23.12.2008 emanata dal presidente della Corte delle assise correzionali di _, giudice Claudio Zali [nell’ambito della quale _ è stato, tra l’altro, ritenuto autore colpevole di ripetute lesioni semplici, in parte commesse mediante oggetto pericoloso, per avere "
(...) a _, il 17 febbraio 2008, intenzionalmente cagionato un danno al corpo ed alla salute di PI 2, colpendolo ripetutamente e violentemente al volto ed al corpo con pugni e calci nonché oggetti pericolosi; (...)
" (sentenza 23.12.2008, p. 7, inc. TPC _)];
che la predetta sentenza è cresciuta in giudicato l’8.01.2009;
che
con la presente istanza la tutrice di PI 2 (_operante presso l’Ufficio del tutore ufficiale del circondario della Commissione tutoria regionale _) chiede, in nome e per conto del suo pupillo, la trasmissione, in copia, della denuncia e del rapporto di polizia inerente all’aggressione da lui subita, poiché necessari per ottenere il rimborso da parte della Cassa malati avendo egli subito delle lesioni che hanno comportato una degenza in ospedale;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato PI 2 parte (quale parte lesa ai sensi del CPP TI) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo
;
che
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame è pacifico l’interesse giuridico legittimo dell’istante ex art. 62 cpv. 4 LOG, rispettivamente della sua tutrice, ad ottenere copia
della documentazione richiesta
, poiché il procedimento penale ha interessat
o
PI 2 personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che egli ha bisogno di tali documenti per far valere le sue pretese presso la cassa malati in relazione a quanto accaduto il 17.02.2008;
che di conseguenza l’intero rapporto di segnalazione 19.02.2008 (in cui è contenuta anche la denuncia/querela sporta da PI 2 durante il suo verbale d’interrogatorio 19.02.2008) e il rapporto di complemento e d’inchiesta di polizia giudiziaria 14.08.2008 – quest’ultimo però limitatamente ai fatti accaduti il 17.02.2008 ai danni di PI 2, e ciò a tutela degli interessi delle altre parti coinvolte, considerato come il medesimo riguarda anche altre fattispecie che esulano dalla presente richiesta – vengono trasmessi, in copia, all’istante unitamente alla presente decisione;
che vista la natura dell’istanza, si rinuncia al prelievo di
tassa di giustizia e delle spese. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,011 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
995a3cab-0ca9-58f5-9868-97ee0303d4ae | in fatto
a.
RE 1 (_1960), cittadino italiano, in data 20.07.2011 è stato condannato dalla Corte delle assise criminali di _ - tenuto conto di una lieve scemata imputabilità - alla pena detentiva di due anni e sei mesi da espiare (dedotto il carcere preventivo e quello di sicurezza sofferti). Egli è stato ritenuto colpevole di numerosi reati, commessi - in parte in correità con terzi - tra il settembre 2008 e il marzo 2011, e meglio coazione, ripetuto furto, ripetuto danneggiamento, ripetuta violazione di domicilio, infrazione alla LF sugli stupefacenti, conducenti senza l'assicurazione di responsabilità civile, minacce, vie di fatto, ripetuta contravvenzione alla LF sugli stupefacenti e guida nonostante la revoca (inc. TPC 72.2011.39 e 72.2010.98).
Sentenza questa passata in giudicato.
b.
Arrestato in Svizzera due volte e rimasto in carcere preventivo dal 23.10.2008 al 7.11.2008 e dal 21.03.2011 al 21.04.2011, mentre dal 22.04.2011 in carcere di sicurezza, RE 1 ha iniziato l'espiazione della pena il 20.07.2011. Il 3.01.2012 raggiungerà il 1/3 dell'espiazione della pena; il 4.06.2012 la metà della pena da espiare; il 3.11.2012 i 2/3 per la liberazione condizionale, mentre in data 4.09.2013 terminerà di espiare la propria pena (cfr. calcolo esecuzione, doc. 3, inc. GPC _).
c.
Con decisione 29.09.2011 il giudice dei provvedimenti coercitivi (GPC) Edy Meli, sedente in materia di applicazione della pena, vista la sentenza di condanna 20.07.2011 della Corte delle assise criminali, ritenuto "
che l'interessato è cittadino italiano e che verosimilmente sarà oggetto di procedura di revoca del permesso di dimora e che al momento della scarcerazione vi è la concreta possibilità che debba lasciare il territorio elvetico, considerato altresì che egli vanta una lunga serie di precedenti penali in Italia (...)
" ha ordinato il collocamento (iniziale) di RE 1 in sezione chiusa "
in considerazione del pericolo di fuga e di recidiva
" (decisione 29.09.2011 del GPC, p. 2).
d.
Contro tale decisione insorge RE 1 con reclamo 5/7.10.2011.
Egli contesta l'esistenza di un pericolo di fuga, asserendo di essere al beneficio di un valido permesso di dimora e di convivere da sei anni con la compagna _, residente in Svizzera da 20 anni. Sottolinea come il nostro Paese sia diventato "
la mia unica casa e il mio desiderio e
[recte: è]
unicamente quello di stare con la mia compagna e di sposarla appena possibile
", mentre esclude nel modo più assoluto una sua intenzione di trasferirsi in Italia o in qualsiasi altro paese (reclamo 5/7.10.2011, p. 1).
Pur riconoscendo "
che la mia biografia non da più tanta speranza in quanto in passato ero spesso soggetto al consumo di droge
[recte: droghe]
, che sono state, in fine, la raggione per il mio comportamento inaccettabile
", contesta altresì il pericolo di recidiva. Asserisce al proposito di essersi totalmente disintossicato in carcere e di non avere "
più nessuna intenzione di tornare a delinquere. Essendo finalmente e per la prima volta completamente
«
pulito
»
ho potuto mettere la mia testa a posto e non desidero più altro che vivere i miei giorni con pace e serenita come tutte le altre persone
" (reclamo 5/7.10.2011, p. 2).
e.
Delle ulteriori argomentazioni, così come delle osservazioni 30.11./1.12.2011 del giudice dei provvedimenti coercitivi si dirà - laddove necessario - nei considerandi che seguono.
Giova qui nondimeno rilevare che con decisione 7.10.2011 - nel frattempo passata in giudicato - l'Ufficio della migrazione di Bellinzona ha revocato a RE 1 il permesso di dimora "B" CE/AELS, intimandogli di lasciare il nostro territorio al momento della sua scarcerazione (decisione 7.10.2011 dell'Ufficio della migrazione, Bellinzona, doc. 6, inc. GPC _).
A metà novembre 2011 è inoltre stato approvato il Piano d'esecuzione della sanzione penale che il qui reclamante è chiamato ad espiare (PES, doc. 7, inc. GPC _). | in diritto
1.
1.1.
Il Codice di diritto processuale penale svizzero (Codice di procedura penale, CPP), in vigore dall'1.01.2011, all'art. 439 cpv. 1 CPP lascia ai Cantoni la facoltà di designare le autorità competenti per l'esecuzione delle pene e delle misure e di stabilire la relativa procedura.
Il Canton Ticino ha adottato il 20.04.2010 la Legge sull'esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti (LEPM), entrata in vigore l'1.01.2011, che all'art. 10 cpv. 1 lit. h conferisce al giudice dell'applicazione della pena - funzione questa attribuita in Ticino dall'1.01.2011 al nuovo giudice dei provvedimenti coercitivi giusta l'art. 73 LOG - la competenza, fra l'altro, a decidere il collocamento iniziale del condannato ex art. 76 CP.
Contro tale decisione, conformemente all'art. 12 cpv. 1 lit. b LEPM, è data facoltà al condannato e al Ministero pubblico di interporre reclamo ai sensi degli art. 393 e seguenti CPP alla Corte dei reclami penali.
1.2.
Con il reclamo ex art. 393 ss. CPP si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l'eccesso e l'abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l'accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e/o l'inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato entro 10 giorni per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all'art. 390 CPP per la forma scritta ed all'art. 385 CPP per la motivazione.
La persona o l'autorità che lo interpone deve indicare, in particolare, i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP).
1.3.
Il gravame, inoltrato il 5/7.10.2011, contro la decisione 29.09.2011 del giudice dei provvedimenti coercitivi intimata lo stesso giorno è quindi tempestivo.
Le esigenze di forma e motivazione del reclamo sono rispettate.
RE 1 - quale condannato, destinatario della decisione impugnata che lo tocca direttamente, personalmente e attualmente nei suoi diritti - è pacificamente legittimato a reclamare giusta l'art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all'annullamento o alla modifica del giudizio.
Il reclamo è quindi, nelle predette circostanze, ricevibile in ordine.
2.
2.1.
Giusta l'art. 76 CP le pene detentive sono scontate in un penitenziario chiuso o aperto (cpv. 1). Il detenuto è collocato in un penitenziario chiuso o in un reparto chiuso di un penitenziario aperto se vi è pericolo che si dia alla fuga o vi è da attendersi che commetta nuovi reati (cpv. 2).
L'art. 19 del Regolamento sull'esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti del 6.03.2007 (REPM, in vigore dal 9.03.2007), relativo al regime ordinario, stabilisce che l'esecuzione della pena in uno stabilimento chiuso, nel quale le misure di sicurezza sono elevate, è la forma di esecuzione ordinaria quando al detenuto non possono essere concesse altre forme di esecuzione in grado di evitare in particolare la fuga o pericoli a terzi (cpv. 1). L'esecuzione della pena avviene ininterrottamente nello stabilimento. Il trattamento, che ha come scopo finale il reinserimento sociale, è fondato su una graduale concessione di libertà tendente alla responsabilizzazione progressiva del carcerato, sulla base di un piano individuale di esecuzione della pena (cpv. 2). Una persona condannata può scontare la pena privativa di libertà in maniera totale o parziale in uno stabilimento aperto, ossia in una struttura che dispone di misure di sicurezza ridotte per quanto concerne l'organizzazione, il personale e la costruzione, se questa sua collocazione non provoca pericoli alla comunità, evita il ripetersi di azioni delittuose e non vi è rischio di fuga (cpv. 3).
Infine nel Regolamento delle strutture carcerarie del Cantone Ticino, adottato il 15.12.2010 e in vigore dall'1.01.2011, l'art. 3 cpv. 3 precisa che il carcere penale La Stampa è, tra l'altro, destinato all'incarcerazione di persone maggiorenni poste in esecuzione di pena o di misura o di internamento (lit. a). La persona incarcerata viene ammessa al regime ordinario qualora motivi di sicurezza non vi si oppongano (art. 40 cpv. 1 prima frase).
2.2.
Con quale intensità debba sussistere il pericolo di fuga o il rischio che il detenuto commetta nuovi reati richiesto dall'art. 76 cpv. 2 CP, non può essere espresso in generale e in astratto ma dipende dalle circostanze. Tali due criteri non sono cumulativi (cfr. Messaggio concernente la modifica del Codice penale svizzero del 21.09.1998 pubblicato in FF 1999 p. 1669 ss., p. 1793).
Conformemente alla giurisprudenza federale il rischio di fuga deve essere analizzato in funzione di un insieme di circostanze quali la gravità dei reati, il carattere dell'interessato, la sua morale, le sue risorse, i suoi legami con lo Stato che lo persegue come pure i suoi contatti con l'estero, che fanno apparire un tale rischio non solo possibile ma probabile (sentenza TF 1B_626/2011 del 25.11.2011, consid. 3.1.; 1B_423/2010 del 17.01.2011, consid. 5.1. e 1B_195/2010 del 13.07.2010, consid. 8.1.; DTF 125 I 60). La dottrina ha inoltre precisato che un alto pericolo di fuga è dato in particolare allorquando l'interessato non dispone di alcuna rete di relazioni ("
Beziehungsnetz
") con il nostro Paese, ovverossia quando egli non ha alcun legame con la Svizzera, ciò che è da presupporre per i cosiddetti turisti del crimine ("
Kriminaltouristen
") e per i condannati sprovvisti di un valido permesso di soggiorno o di dimora (BSK Strafrecht I, 2a. ed. – B.F. BRÄGGER, art. 76 CP n. 4).
3.
Nel caso in esame, con decisione 7.10.2011 - passata in giudicato - l'Ufficio della migrazione di Bellinzona, vista la condanna pronunciata il 20.07.2011 dalla Corte delle assise criminali, ha revocato a RE 1 il permesso di dimora "B" CE/AELS intimandogli di lasciare il nostro territorio al momento della sua scarcerazione.
Nato e cresciuto in Italia dove ha frequentato le scuole dell'obbligo (elementari e medie), egli ha poi svolto diversi lavori, facendo un po' di tutto, tra cui l'idraulico, l'elettricista e il meccanico.
Nondimeno già da ragazzino è incappato in problemi con la giustizia, trascorrendo alcuni mesi in carcere per furti.
Nel 1980, ventenne, egli si è trasferito in _ dove nel 1984 si è unito in matrimonio con una donna da cui ha avuto nel 1986 una figlia che non ha riconosciuto. Tra il 1987 e il 1991 egli è stato attivo nella Legione straniera, nel 1992 sarebbe stato a _ e - come si evince dalla sentenza 20.07.2011 della Corte delle assise criminali (p. 19) - egli avrebbe poi "
girato in più parti del mondo spendendo quello che avevo guadagnato in legione straniera
". Nondimeno egli avrebbe trascorso diversi anni in carcere in Italia. Infatti l'estratto dal casellario giudiziale italiano fa stato di una lunga lista di suoi precedenti per furto, porto di armi, rapina, minaccia e tentato omicidio. L'ultima scarcerazione risale al giugno del 2006 ed è nel 2006, all'età di 46 anni, che RE 1 è giunto in Svizzera.
Ottenuto il suddetto permesso di dimora, egli ha lavorato per poco più di un anno e mezzo quale autista per una ditta privata e nel seguito, saltuariamente, per una società di taxi. Dall'autunno 2008 egli è andato in assistenza pubblica e dall'ottobre 2008 ha iniziato a perpetrare una serie di furti, in parte in correità, tra l'altro, con due cittadini stranieri residenti nel locarnese, e protrattisi sino al febbraio 2011, malgrado che il 23.10.2008 fosse stato arrestato una prima volta subendo 16 giorni di detenzione preventiva.
Il legame affettivo che RE 1 vanta, è con una cittadina straniera, a suo dire residente in Svizzera da una ventina di anni. Con la stessa egli non avrebbe nondimeno convissuto nel medesimo appartamento, bensì avrebbero "
preso in locazione due appartamenti separati al fine di percepire un importo maggiore dall'assistenza
" (sentenza 20.07.2011 della Corte delle assise criminali, p. 20). Al beneficio dell'assistenza pubblica sia lui sia la compagna, con quest'ultima egli ha condiviso i consumi di sostanze stupefacenti. Consumi di droga di RE 1 che, in base alla sentenza di condanna 20.07.2011, risalgono al maggio 2009 e che hanno influito sul suo comportamento delittuoso, come riconosciuto da lui stesso (cfr. reclamo 5/7.10.2011, p. 2) e come accertato in tale sentenza penale avendo la Corte giudicante ammesso una lieve scemata imputabilità.
Senza la possibilità di lecitamente soggiornare sul nostro territorio e, di riflesso, di inserirsi professionalmente rispettivamente di continuare a beneficiare delle prestazioni assistenziali, privo di legami familiari importanti e stabili nel nostro Paese atti a dargli un sostegno personale ed economico, con la prospettiva di dover espiare (qualora non fossero adempiuti i presupposti per la liberazione condizionale) ancora quasi due anni di carcere, con difficoltà finanziarie e problemi di tossicodipendenza, il pericolo che egli si dia alla fuga e quindi alla latitanza è non solo possibile bensì altamente probabile.
Il suo vissuto, peraltro, evidenzia come egli abbia intrattenuto legami oltre che nel suo paese d'origine, anche in altre nazioni - come la _ -, e come egli, per sua stessa ammissione, abbia girovagato in più parti del mondo. Egli d'altronde nel nostro paese, giuntovi ad un'età matura e dopo lunghi periodi di carcerazione, non ha saputo o voluto integrarsi in un tessuto sociale e professionale onesto, bensì pur lontano dagli ambienti criminogeni dove fino ad allora aveva vissuto, ha preferito "
una vita fatta di espedienti, non lontana da compagnie malavitose come il mondo della droga
" (sentenza 20.07.2011 della Corte delle assise criminali, p. 36).
In tale situazione, allo stato attuale, non solo il pericolo di fuga è altamente probabile - che già da solo giustifica il collocamento in sezione chiusa a tenore dell'art. 76 cpv. 2 CP - bensì anche quello di ricadere nell'attività delittuosa e nel consumo di sostanze stupefacenti.
Il Piano d'esecuzione della sanzione penale elaborato nell'ottobre/novembre 2011, approvato dalle competenti autorità a metà novembre 2011 e a cui il reclamante ha aderito in data 11.11.2011, prevede d'altronde una fase iniziale dell'esecuzione della sanzione penale da eseguirsi nella sezione chiusa con regolari controlli dell'astinenza di RE 1 dal consumo di sostanze illecite e di medicamenti non prescritti.
Visto tutto quanto sopra la decisione del giudice dei provvedimenti coercitivi qui impugnata, merita di essere tutelata.
4.
Il reclamo è respinto. La tassa di giustizia e le spese, contenute al minimo per tener conto delle sue condizioni economiche, sono poste a carico del qui reclamante, soccombente. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,011 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
99dc1166-1614-5d6f-8776-7db5e18f381f | in fatto ed in diritto
1.
Il 17.02.2014 il procuratore pubblico Andrea Pagani ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale PI 2 siccome ritenuto autore colpevole – tra l’altro – di elusione di provvedimenti per accertare l’incapacità alla guida giusta l’art. 91a cpv. 1 LCStr
"
per essersi intenzionalmente opposto, a _, in data _, alla prova del sangue, al prelievo delle urine e ad un esame medico completivo per la determinazione dell’inattitudine alla guida ordinati dall’autorità, malgrado l’avvertimento sulle possibili conseguenze penali del suo rifiuto
"
ed ha proposto la sua condanna come descritto nel DA _.
Il citato decreto è regolarmente passato giudicato, non essendo stato impugnato.
2.
Con la presente istanza il IS 1 domanda la trasmissione, in copia, del summenzionato decreto di accusa, essendo pendente un ricorso concernente la revoca della licenza di condurre di sua competenza riguardante la persona di PI 2.
Questa Corte ha rinunciato ad interpellare PI 2 per presentare eventuali osservazioni in merito alla richiesta in considerazione della conferma della decisione di principio emanata il 29.04.2009 dalla (allora) Camera dei ricorsi penali (inc. CRP _), come si vedrà in seguito.
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 vCPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
Nella presente fattispecie è certamente data una connessione tra il procedimento penale sfociato nel decreto di accusa 17.02.2014 (DA _, passato in giudicato), e ciò in particolare con riferimento al reato di cui all’art. 91a cpv. 1 LCStr (secondo cui è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria il conducente di un veicolo a motore che intenzionalmente si oppone o si sottrae a una prova del sangue, a un'analisi dell'alito o a un altro esame preliminare disciplinato dal Consiglio federale, che è stato ordinato o che si doveva supporre lo sarebbe stato, o a una visita di controllo medico completiva, oppure elude lo scopo di tali provvedimenti) e il procedimento amministrativo pendente presso il IS 1 (inc. _) inerente alla revoca della licenza di condurre di PI 2.
Dagli incarti penali MP _ e MP _ emerge che il _ PI 2 è stato fermato dalla Polizia alla guida dell’autovettura _ targata TI _ per un normale controllo della circolazione stradale. Sulla sua persona e all’interno della sua automobile sono stati trovati 3 grammi lordi di marijuana. Il medesimo, dinanzi alla polizia, ha dichiarato spontaneamente di aver consumato quella mattina marijuana. Egli si è nondimeno opposto alla prova del sangue e al prelievo delle urine. La sua licenza di condurre è stata sequestrata e trasmessa all’Ufficio giuridico della Sezione della circolazione (inc. MP _ e inc. MP _).
Il decreto di accusa richiesto può pertanto essere utile ai fini del procedimento amministrativo in materia di revoca della licenza di condurre a carico di PI 2 pendente presso l’autorità istante.
La presente istanza è dunque fondata su un interesse giuridico legittimo in applicazione dell’art. 62 cpv. 4 LOG.
Di conseguenza il DA _ richiesto viene trasmesso, in copia, all’autorità istante unitamente alla presente decisione.
5.
Giova al proposito ricordare che in data 29.04.2009 l’allora Camera dei ricorsi penali (dall’1.01.2011 Corte dei reclami penali), in base al previgente art. 27 CPP TI, aveva emanato una decisione di principio, mediante la quale – richiamando in particolare gli art. 16 ss. LCStr (riguardanti la revoca della licenza di condurre), la ONC, l’art. 10 cpv. 1 LALCStr (secondo cui contro le decisioni amministrative adottate in prima istanza dal Dipartimento competente, riservato l’art. 11, è dato ricorso al Consiglio di Stato entro 15 giorni dall’intimazione) e la (previgente) LPAmm – ha concesso un’autorizzazione di principio a favore del IS 1 per ottenere direttamente dal Ministero pubblico rispettivamente dalla Magistratura dei minorenni, copia delle decisioni penali passate in giudicato emanate nell’ambito della circolazione stradale, dimostrando nondimeno che è pendente un ricorso amministrativo concernente la revoca della licenza di condurre o altre infrazioni stradali, di sua competenza (inc. CRP _).
Ad oggi, non vi è alcun motivo per discostarsi dalla surriferita decisione di principio, il cui contenuto va pertanto confermato anche sotto la vigenza dell’art. 62 cpv. 4 LOG.
6.
Stante la natura della presente istanza, non si prelevano tassa di giustizia e spese. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,014 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
99e5212e-0a1c-593c-a6b3-9f9b05ac3f1a | ritenuto che – su richiesta 31.08.2012 di questa Corte – il 10/11.09.2012 il reclamo è stato tradotto in lingua italiana;
richiamate le osservazioni 12/13.09.2012 del procuratore pubblico, mediante le quali propone la reiezione del gravame, rimettendosi parimenti al giudizio di questa Corte;
rilevato che RE 1 ha rinunciato a presentare osservazioni di replica;
letti ed esaminati gli atti;
considerato
in fatto
a.
Con decreto 13.07.2012, preso atto dell’opposizione interposta in data 12.09.2011 dall’imputato per il tramite del suo allora difensore, avv. _, e richiamato l’art. 355 cpv. 3 lit. c CPP, il procuratore pubblico ha deciso di annullare il decreto di accusa DAC _ (cfr., al proposito, AI 8). Il magistrato inquirente, visti gli art. 352 ss. CPP, ha parimenti posto in stato di accusa dinanzi alla Corte delle assise correzionali di _ RE 1 siccome ritenuto colpevole di grave infrazione alle norme della circolazione, di violazione dell’Ordinanza per gli autisti (OLR1) e di diffamazione ed ha proposto la sua condanna alla pena pecuniaria di centocinque aliquote da CHF 30.-- cadauna, corrispondenti a complessivi CHF 3'150.--, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di cinque anni, alla multa di CHF 1'000.--, al pagamento della tassa di giustizia e delle spese giudiziarie e alla revoca del beneficio della sospensione condizionale concesso alle pene pecuniarie di quindici aliquote giornaliere da CHF 100.-- ciascuna per complessivi CHF 1'500.-- e di sessanta aliquote giornaliere da CHF 40.-- ciascuna per complessivi CHF 2'400.-- decretate nei suoi confronti dal Kreis-präsident _ _ il 4.05.2009 e dall’Untersuchungsamt _, _ _ il 6.04.2010, e meglio come ivi descritto (DAC _) (AI 15).
b.
Al suddetto decreto di accusa il 18/19.07.2012 RE 1, sempre per il tramite del suo allora patrocinatore, ha interposto formale opposizione. Il legale ha contestualmente informato il procuratore pubblico di non rappresentare più il suo assistito nel prosieguo del procedimento (AI 17).
Il 20/23.07.2012 il nuovo patrocinatore di RE 1, avv. PR 1, in nome e per conto del suo assistito, ha inoltrato (un’ulteriore) opposizione al DAC _, chiedendo parimenti di poter visionare gli atti (AI 18).
c.
Il 23.07.2012 il procuratore pubblico, vista l’opposizione interposta il 18/19.07.2012 al DAC _ del 13.07.2012, ha citato RE 1 a comparire il 21.08.2012, alle ore 14:00, dinanzi a lui presso il Ministero pubblico di _, per essere interrogato in veste di imputato, con l’avvertenza che in caso di mancata e ingiustificata comparizione, l’opposizione è considerata ritirata (art. 355 cpv. 2 CPP) e che conseguentemente il decreto di accusa passerà in giudicato. In fondo alla citazione è stato menzionato l’art. 205 CPP (per esteso) (AI 19).
La citazione è stata inviata direttamente all’imputato, ma non al suo patrocinatore (AI 19).
d.
Il 31.07.2012 il procuratore pubblico, per il tramite della sua segretaria, ha inviato all’avv. PR 1, come da sua richiesta, in copia, gli atti istruttori riguardanti il procedimento penale del suo assistito RE 1 (AI 21).
e.
Il 22.08.2012 il procuratore pubblico, richiamando l’art. 355 cpv. 2 CPP, ha deciso che l’opposizione interposta da RE 1 è considerata ritirata e che, dopo il passaggio in giudicato della decisione, il decreto di accusa DAC _ del 13.07.2012 sarà definitivo (DAC _) (AI 23).
Il magistrato inquirente ha in particolare evidenziato che RE 1 non si è presentato il 21.08.2012 presso il Ministero pubblico per essere interrogato in veste di imputato nell’ambito dell’opposizione da lui interposta avverso il DAC _ e che non ha apportato alcuna giustificazione per la sua mancata comparizione (decadenza dell’opposizione del 22.08.2012, p. 1, AI 23).
f.
Con il presente reclamo (trasmesso, per competenza, a questa Corte in lingua tedesca e poi, su richiesta, il suo testo è stato tradotto in italiano) RE 1 chiede di annullare i dispositivi 1 e 2 della decisione 22.08.2012 e di far proseguire il procedimento penale dinanzi al procuratore pubblico in relazione alla sua opposizione, nell’ambito del quale verrà sentito come imputato.
Il reclamante sostiene che il 21.08.2012 era ammalato e per questo motivo non è stato in grado di giustificare la sua assenza e di partecipare al suo interrogatorio. Chiede quindi che gli venga concesso un nuovo termine in modo tale da poter presenziare al suo interrogatorio dinanzi al procuratore pubblico, adducendo che in caso contrario si sarebbe alla presenza di una violazione del diritto di essere sentito e di una denegata giustizia. A suffragio della sua richiesta ha prodotto un certificato medico (cfr., al proposito, doc. 2 annesso al reclamo
28/31.08.2012
).
Egli afferma inoltre che il procedimento avviato nei suoi confronti per titolo di diffamazione sarebbe da revocare per desistenza della querela. Ha al proposito prodotto una convenzione pattuita e sottoscritta il 27.08.2012 da RE 1 e da _, da cui emerge in particolare che quest’ultima ha dichiarato di ritirare la querela 27.04.2012 presentata nei confronti di RE 1 per titolo di diffamazione (doc. 3 annesso al reclamo
28/31.08.2012).
g.
Come esposto in entrata, il procuratore pubblico propone la reiezione del gravame, rimettendosi parimenti al giudizio di questa Corte. Sostiene in particolare che il reclamante non avrebbe minimamente giustificato al Ministero pubblico la sua mancata comparsa alla citazione del 21.08.2012, e ciò nemmeno in forma scritta o telefonicamente il giorno seguente (considerato come dal certificato medico prodotto non risultava più essere impedito quel giorno). Evidenzia inoltre che nemmeno il suo legale ha segnalato il suo impedimento, essendo stato informato della citazione del suo assistito, poiché il 31.07.2012 gli sono stati trasmessi tutti gli atti istruttori. Delle sue ulteriori argomentazioni si dirà, laddove necessario, in seguito.
Il reclamante – interpellato da questa Corte – ha rinunciato a formulare osservazioni di replica. | in diritto
1.
1.1.
Giusta l’art. 393 cpv. 1 lit. a CPP il reclamo può essere interposto – entro il termine di dieci giorni – contro le decisioni e gli atti procedurali della polizia, del pubblico ministero e delle autorità penali delle contravvenzioni, eccettuati i casi in cui è espressamente escluso dal CPP o quando è prevista un’altra impugnativa.
Con il gravame, da introdurre davanti alla giurisdizione di reclamo (art. 20 cpv. 1 lit. b CPP), ovvero – in Ticino – alla Corte dei reclami penali (art. 62 cpv. 2 LOG), si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l’eccesso e l’abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l’accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e l’inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta ed all’art. 385 CPP per la motivazione.
Esso deve indicare – in particolare – i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP).
1.2.
Il gravame, inoltrato il 28/31.08.2012 (tradotto in lingua italiana, su richiesta di questa Corte, il 10/11.09.2012) contro la decisione 22.08.2012 emanata dal procuratore pubblico in applicazione dell’art. 355 cpv. 2 CPP, è tempestivo e proponibile.
RE 1 è pacificamente legittimato a reclamare ex art. 382 cpv. 1 CPP avendo, in qualità di imputato e destinatario della decisione, un interesse giuridicamente protetto al suo annullamento o alla sua modifica (cfr., al proposito anche BSK StPO – F. RIKLIN, art. 355 CPP n. 2; ZK StPO – C. SCHWARZENEGGER, art. 355 CPP n. 2; N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 355 CPP n. 5;
Commentario CPP – P. BERNASCONI, art. 355 CPP n. 5).
Le esigenze di forma e motivazione del gravame sono rispettate.
Il reclamo è quindi nelle predette circostanze ricevibile in ordine.
2.
2.1.
2.1.1.
L’art. 355 cpv. 1 CPP prevede che se è fatta opposizione il pubblico ministero assume le ulteriori prove necessarie al giudizio dell’opposizione medesima.
Se, pur essendo stato citato a un interrogatorio, l’opponente ingiustificatamente non compare, l’opposizione è considerata ritirata (art. 355 cpv. 2 CPP).
Non si entra dunque nel merito dell’opposizione, non viene nemmeno svolta una procedura contumaciale e il decreto di accusa viene quindi confermato (Messaggio concernente l’unificazione del diritto processuale penale del 21.12.2005, p. 1194 s.).
L’art. 355 cpv. 2 CPP è applicabile anche in caso di inosservanza del termine da parte dell’imputato giusta l’art. 93 CPP (N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 355 CPP n. 4).
2.1.2.
Vi è inosservanza del termine quando una parte non compie tempestivamente un atto procedurale oppure non compare a un’udienza (art. 93 CPP).
Un ritardo di qualche minuto nel comparire a un’udienza potrebbe essere sufficiente per ammettere un’inosservanza, ma occorre comunque evitare un formalismo eccessivo nell’applicazione di questa norma (N. SCHMID, op. cit., art. 93 CPP n. 1; ZK StPO – D. BRÜSCHWEILER, art. 93 CPP n. 1; CR CPP – D. STOLL, art. 93 CPP n. 8).
È pacifico che si è alla presenza di inosservanza allorquando la parte coinvolta e il suo patrocinatore non si presentano all’udienza (BSK StPO – C. RIEDO, art. 93 CPP n. 12).
I motivi alla base dell’inosservanza sono irrilevanti. La questione della colpa assume un ruolo importante nell’ambito, se del caso, della richiesta di restituzione del termine (art. 94 cpv. 1 CPP). Le conseguenze dell’inosservanza sono sancite dalle diverse disposizioni del CPP (N. SCHMID, op. cit., art. 93 CPP n. 2 e 3; ZK StPO – D. BRÜSCHWEILER, art. 93 CPP n. 2 e 3; BSK StPO – C. RIEDO, op. cit., art. 93 CPP n. 5 e 16) e dipendono dunque dallo stadio della procedura e dalle disposizioni applicabili (CR CPP – D. STOLL, art. 93 CPP n. 4).
La persona che deve compiere un atto procedurale o comparire a un’udienza deve essere in ogni caso informata anticipatamente sulle conseguenze dell’inosservanza, in modo tale da non subire pregiudizi processuali per ignoranza (ZK StPO – D. BRÜSCHWEILER, art. 93 CPP n. 3).
2.1.3.
Chi è oggetto di una citazione emessa da un’autorità penale deve darvi seguito (art. 205 cpv. 1 CPP). Chi è impedito di dar seguito a una citazione deve comunicarlo senza indugio all’autorità citante; l’impedimento va motivato e per quanto possibile provato (art. 205 cpv. 2 CPP) (cfr., tra tanti, BSK StPO – S. ARQUINT, art. 205 CPP n. 1 ss.).
In caso di una mancata comparsa ingiustificata, il CPP prevede nei diversi stadi procedurali anche la decadenza del diritto processuale (
prozessualer Rechtsverlust
): ciò vale anche nell’ambito della procedura in caso di opposizione (art. 355 cpv. 2 CPP) (BSK StPO – S. ARQUINT, art. 205 CPP n. 9).
2.2.
Ora, il 23.07.2012 il reclamante, a seguito dell’opposizione interposta il 18/19.07.2012 al DAC _, per il tramite del suo allora patrocinatore, è stato citato dal procuratore pubblico a comparire il 21.08.2012, alle ore 14:00, presso il Ministero pubblico di _, per essere interrogato in veste di imputato, conformemente all’art. 355 cpv. 1 CP.
Egli è stato parimenti avvertito che in caso di mancata e ingiustificata comparizione, l’opposizione è considerata ritirata (art. 355 cpv. 2 CPP) e che conseguentemente il decreto di accusa passerà in giudicato. In fondo alla citazione è stato richiamato anche l’art. 205 CPP (cfr., al proposito, considerando 2.1.3. della presente decisione). Il reclamante è stato dunque informato anticipatamente sulle conseguenze dell’inosservanza del termine in caso di mancata comparsa al suo interrogatorio presso il Ministero pubblico di _ (con lo scopo, come visto poc’anzi, di evitare di subire eventuali pregiudizi processuali per ignoranza) secondo i dettami di legge.
La citazione è stata poi inviata direttamente all’imputato.
Il suo nuovo patrocinatore, avv. PR 1, è stato messo al corrente della sua citazione al più tardi al momento in cui ha ricevuto gli atti istruttori dell’incarto DAC _ [in cui era inclusa anche la citazione del 23.07.2012 (AI 19)], trasmessigli dal Ministero pubblico il 31.07.2012. Questa circostanza non è stata contestata dal legale.
Il 22.08.2012 il magistrato inquirente ha deciso che l’opposizione interposta dal qui reclamante è considerata ritirata e che, dopo il passaggio in giudicato della decisione, il decreto di accusa DAC _ del 13.07.2012 sarà definitivo, e ciò in ossequio a quanto sancito dall’art. 355 cpv. 2 CPP.
A motivazione della sua decisione il procuratore pubblico ha in particolare evidenziato che il reclamante non ha dato seguito alla sua citazione, poiché non si è presentato il giorno 21.08.2012 presso il Ministero pubblico di _ e non ha apportato alcuna giustificazione per la sua mancata comparizione.
Il reclamante, dal canto suo, (soltanto) in questa sede sostiene che il giorno della sua citazione (21.08.2012) era ammalato. Per questo motivo egli non è stato in grado di giustificare la sua assenza e di partecipare al suo interrogatorio.
A sostegno della sua tesi ha prodotto un certificato medico allestito dal dr. med. _, medico FMH medicina interna
. Da questo certificato datato 23.08.2012 emerge che RE 1 è stato visitato dal medico il 27.08.2012 e che era inabile al lavoro, per malattia, nella misura del 100% dal 20.08.2012 al 21.08.2012
(cfr., al proposito, doc. 2 annesso al reclamo
28/31.08.2012).
Il medico, verosimilmente per una svista, ha indicato delle date erronee: nel caso in cui la visita del paziente fosse avvenuta il 27.08.2012, il certificato non può essere stato allestito il 23.08.2012, rispettivamente se il certificato fosse stato allestito il 23.08.2012, la visita non può aver avuto luogo il 27.08.2012, ma lo stesso giorno del suo allestimento.
Sia come sia, colui che è impedito di dar seguito a una citazione deve comunicarlo senza indugio ("
unverzüglich
", "
sans délai
") all’autorità istante, ovverossia in casu al magistrato inquirente (art. 205 cpv. 2 CPP; considerando 2.1.3. della presente decisione).
Il qui reclamante avrebbe dunque dovuto comunicare al procuratore pubblico, per iscritto o telefonicamente, di non essere in grado di presenziare al suo interrogatorio, al più tardi, il 22.08.2012, il primo giorno in cui era nuovamente abile al lavoro dopo la sua malattia (cfr. doc. 2 annesso al reclamo
28/31.08.2012), e non soltanto nell’ambito del presente reclamo. A ciò aggiungasi che egli era (ed è tutt’ora) assistito da un legale, il quale, a sua volta, avrebbe potuto informare il procuratore pubblico in tal senso, essendo stato messo al corrente della citazione del suo assistito con l’invio, il 31.07.2012, degli atti istruttori da parte del Ministero pubblico (AI 21).
Infine, non essendo RE 1 (e tantomeno il suo patrocinatore) comparso dinanzi al magistrato inquirente come ordinato dalla citazione, è data inosservanza del termine (BSK StPO – C. RIEDO, art. 93 CPP n. 12).
Alla luce di quanto sopra esposto, nella fattispecie in esame si è alla presenza di una mancata e ingiustificata comparsa da parte di RE 1, che ha quale conseguenza la decadenza del diritto processuale (cfr. considerando 2.1.3. della presente decisione).
A ragione dunque il procuratore pubblico, in applicazione dell’art. 355 cpv. 2 CPP, ha deciso di non entrare nel merito dell’opposizione, considerandola ritirata, e ha parimenti deciso che – dopo il passaggio in giudicato della decisione 22.08.2012 – il decreto di accusa DAC _ sarà confermato.
Sotto questo profilo il reclamo deve essere respinto.
3.
Il reclamante sostiene che il procedimento penale avviato nei suoi confronti per titolo di diffamazione sarebbe da revocare per desistenza della querela. Ha al proposito prodotto una convenzione sottoscritta il 27.08.2012 – ovverossia quattro giorni dopo la ricezione della decisione di decadenza dell’opposizione del 22.08.2012 (reclamo 28/31.08.2012, p. 2) – dallo stesso reclamante e da _, alla presenza dell’avv. PR 1, da cui emerge in particolare che quest’ultima ha effettivamente dichiarato di ritirare la querela 27.04.2012 presentata nei confronti di RE 1 per titolo di diffamazione (doc. 3 annesso al reclamo
28/31.08.2012).
Giova al proposito ricordare che il 13.07.2012 il procuratore pubblico ha posto il reclamante in stato di accusa dinanzi alla Corte delle assise correzionali di _ siccome ritenuto colpevole, tra l’altro, di diffamazione giusta l’art. 173 CP
"
per avere, il 25 febbraio 2010 a _, reso sospetta di condotta disonorevole o di altri fatti tali da nuocere alla reputazione di _, in particolare per averla tacciata di ladra, alcolizzata e spacciatrice di droga, durante una comunicazione telefonica con il suo datore di lavoro
" (decreto di accusa 13.07.2012, p. 2, DAC _, AI 15).
Considerato come il qui reclamante ha impugnato presso questa Corte la decisione di decadenza dell’opposizione ex art. 355 cpv. 2 CPP avente quale oggetto il citato DAC _, quest’ultimo non è (ancora) passato in giudicato (cfr., al proposito, il dispositivo no. 2 della decisione 22.08.2012, AI 23).
Ne consegue che, preso atto della convenzione datata 27.08.2012 avente quale oggetto il ritiro della querela presentata il 27.04.2012 da _ nei confronti di RE 1 per titolo di diffamazione giusta l’art. 173 CP (AI 12), in applicazione dell’art. 33 cpv. 1 CP (secondo cui il querelante può desistere dalla querela finché non sia stata pronunciata la sentenza cantonale di seconda istanza) e dell’art. 304 cpv. 2 CPP (che prevede in particolare che il ritiro della querela richiede la forma scritta o la forma orale a verbale), il decreto di accusa 13.07.2012 (DAC _) emanato dal procuratore pubblico Antonio Perugini deve essere annullato limitatamente al reato di diffamazione, che deve essere conseguentemente stralciato.
Ciò non ha però alcuna ripercussione sulla pena, in quanto quella prevista nel DAC _ qui modificato corrisponde alla pena precedentemente proposta con il DAC _ del 31.08.2011 avverso il quale era stata interposta opposizione il 12.09.2011 (AI 8 e AI 15).
4.
Il reclamo è parzialmente accolto ai sensi del precedente considerando. Per il resto il reclamo è respinto. La tassa di giustizia e le spese sono poste a carico del reclamante, parzialmente soccombente. Non si assegnano ripetibili. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,012 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
9a14a8fb-f7db-5f8c-a790-f58c355f45ac | in fatto: A.
Con sentenza del 23 ottobre 1995 il Pretore del Distretto di Lugano ha sciolto per divorzio il matrimonio contratto il 27 febbraio 1997 da _ e da _, obbligando il marito a versare alla moglie una rendita mensile indicizzata di fr. 1'935.– sino al 30 giugno 1997, di fr. 2'440.– dal 1° luglio 1997 al 25 ottobre 2006, di seguito ridotta a fr. 1'300.– da pagarsi vita natural durante, e alla figlia _ un contributo alimentare, pure indicizzato, di fr. 800.– al mese sino al 30 giugno 1997. La I Camera civile del Tribunale di appello ha confermato la decisione del Pretore il 6 ottobre 1997. Il 19 luglio 1999 _ ha sporto querela contro l'ex marito poiché questi da febbraio 1998 le aveva versato unicamente fr. 1'400.– al mese invece dell'importo dovuto, indicizzato.
B.
Con decreto di accusa del 28 settembre 2000 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di trascuranza degli obblighi di mantenimento, imputandogli di avere omesso di versare alla ex moglie _ parte dei contributi alimentari stabiliti nella sentenza di divorzio, benché ne avesse i mezzi o potesse averli, accumulando arretrati da febbraio 1998 sino ad agosto 1999 per fr. 17'100.–. Ne ha pertanto proposto la condanna alla pena di 15 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente per 2 anni. Statuendo sull'opposizione, con sentenza del 28 settembre 2000 il Pretore del Distretto di Riviera ha prosciolto _ dall'accusa, respingendo integralmente pure le pretese della parte civile.
C.
Contro il giudizio del Pretore _ ha inoltrato la dichiarazione di ricorso per cassazione il 3 ottobre 2000. Nella successiva motivazione scritta del 2 novembre 2000 essa ha chiesto la conferma del decreto di accusa e la condanna della controparte al versamento di fr. 17'100.– oltre accessori. Non sono state chieste osservazioni al ricorso. | Considerando
in diritto: 1.
L'art. 217 cpv. 1 CP punisce, a querela di parte, con la detenzione chiunque non presta gli alimenti o i sussidi che gli sono imposti dal diritto di famiglia, benché abbia o possa avere i mezzi di farlo. Presupposto per l'applicazione della norma in questione è che l'autore disponesse dei mezzi per adempiere il proprio obbligo o potesse conseguirli. In difetto di questi presupposti non si può dar luogo ad una condanna. Non è comunque necessario che il debitore disponga dei mezzi per fornire integralmente la prestazione, ma è sufficiente che avrebbe potuto versare più di quanto abbia effettivamente fatto. E per stabilire se egli avrebbe potuto adempiere anche solo parzialmente l'obbligo alimentare, occorre rifarsi ai principi derivanti dall'art. 93 LEF, ovvero determinare, per il periodo in questione e in ogni caso sull'arco di più mesi, l'insieme delle entrate del debitore e delle spese necessarie (corrispondente al minimo di esistenza). Qualora è appurato che il debitore non disponeva dei mezzi necessari per dare seguito all'obbligo contributivo, occorre ancora chiedersi se avrebbe potuto conseguirli. Sia la determinazione della situazione finanziaria del debitore che lo stabilire se avrebbe avuto la possibilità di conseguire i mezzi necessari rientrano nell'ambito dell'apprezzamento delle prove e dell'accertamento dei fatti (cfr. per tutto
Corboz
, Les principales infractions, 1997, pag. 293 segg.). E a tal proposito è bene ricordare che il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto, non destinato a rimettere in causa l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove (art. 288 cpv. 1 lett. a CPP; Rapporto della Commissione speciale per l’esame del CPP del 9 novembre 1994, pag. 83 segg.). Problemi del genere sono sindacabili unicamente se il giudizio impugnato denota gli estremi dell’arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c CPP). Arbitrario non significa tuttavia opinabile o finanche erroneo, bensì chiaramente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo o in urto palese con il sentimento di giustizia ed equità (
Rep
. 1990 pag. 352 consid. 1, pag. 360 consid. 2.2a; sulla nozione di arbitrio: DTF 126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 124 I 316 consid. 5a, 123 I 5 consid. 4a, 121 I 114 consid. 3a, 120 Ia 40 consid. 4b).
2.
Il Pretore ha accertato –e peraltro non era controverso– che nel periodo preso in considerazione nel decreto di accusa l'imputato aveva percepito un salario mensile di fr. 5'000.–/5'500.–, corrispondente in sostanza a quello di fr. 5'000.– determinato dal Pretore, e che l'importo dei contributi alimentari, stabiliti nella sentenza di divorzio, ammontava a fr. 2'440.– indicizzati. Determinante –a mente del primo giudice– era la circostanza che il 24 febbraio 1997 l'Ufficio di esecuzione e fallimenti di Riviera, sulla base del verbale interno allestito il 16 dicembre 1996, aveva staggito una quota mensile di fr. 1'400.– da destinare al creditore procedente, ossia all'Ufficio del sostegno sociale e dell'inserimento, subrogato nei diritti di _. Ciò non poteva significare altro che _ in quel momento, applicando i criteri dell'art. 93 LEF, disponeva di un'eccedenza pignorabile di soli fr. 1'400.– al mese, corrispondenti alla differenza tra il salario di fr. 5'688.– e il minimo di esistenza di fr. 4'280.–. Importo che il debitore aveva regolarmente versato all'Ufficio da febbraio 1997 a febbraio 1998. Stando agli accertamenti del Pretore, anche a partire dal mese di febbraio 1998 la situazione del debitore, il quale, decaduti gli effetti del pignoramento, aveva continuato a versare direttamente all'ex consorte l'importo mensile di fr. 1'400.–, non era cambiata. In effetti, né dagli atti né al dibattimento erano emersi elementi tali da suffragare una sua diversa e maggiore disponibilità finanziaria rispetto all'anno precedente. Ne faceva del resto stato la circostanza che, ottenuto il trasferimento del posto di lavoro da Lugano a Bellinzona con il 1° ottobre 1999, questi aveva iniziato a versare l'importo di fr. 2'440.–, grazie ad un aumento della disponibilità dovuto alla diminuzione delle spese, stabilite dall'Ufficio di esecuzione e fallimenti in fr. 1'150.– al mese. Per concludere il Pretore ha rilevato che l'accusato aveva sempre cercato di far fronte ai propri obblighi contributivi, tentando ripetutamente e infruttuosamente di trovare degli accordi con l'Ufficio del sostegno sociale e dell'inserimento e con l'ex consorte, ma in ogni caso versando regolarmente quanto gli era possibile (cfr. per tutto sentenza consid. 5, 6, 13 e 14).
3.
Nel proprio gravame la ricorrente contesta che la controparte si sia trovata nell'oggettiva impossibilità di versare il contributo alimentare stabilito dal giudice. Essa sostiene che le difficoltà finanziarie asserite dalla controparte non riguardano il periodo oggetto del procedimento in questione, che la sentenza del Pretore, confermata integralmente dalla I Camera civile del Tribunale di appello, ha la priorità sul pignoramento effettuato dall'Ufficio di esecuzione e fallimenti di Riviera e che, lavorando a Lugano, egli avrebbe potuto e dovuto spostare il domicilio, diminuendo le spese. A suo dire, il querelato aveva ripreso a versare l'importo di fr. 2'440.– non perché aveva trasferito il posto di lavoro da Lugano a Bellinzona, ma solo a seguito di un rigoroso ed energico intervento del proprio patrocinatore. Se non che, argomentando in questo modo, la ricorrente misconosce i limiti cognitivi della Corte di cassazione e di revisione penale. In effetti, inutilmente si cerca nel ricorso una anche solo implicita censura di arbitrio. Intanto va detto che essa non dimostra né pretende in alcun modo che l'accertamento del Pretore, secondo il quale anche a partire dal mese di febbraio 1998 la disponibilità del querelato fosse differente da quella dell'anno precedente (consid. 13, pag. 9), sia arbitraria. Inoltre, a parte il fatto che secondo giurisprudenza seppure risalente a parecchi anni or sono, ma comunque richiamata di recente (ZR 1948, n. 156, menzionato in:
Trechsel
, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Kurzkommentar, 2
a
edizione, 1997, n. 12 ad art. 217 CP) non può riconoscersi la possibilità di incidere sul minimo vitale per alimenti dovuti al coniuge divorziato, nulla le impediva di promuovere una procedura esecutiva nei confronti del debitore già da febbraio 1998 e di aggravarsi contro il verbale di pignoramento, qualora avesse ritenuto che non potessero computarsi le spese di trasferta e al querelato dovesse imporsi il trasferimento del domicilio da Biasca a Lugano. Né, infine, ella censura siccome arbitrario l'accertamento del Pretore, per il quale non vi era prova che il querelato –impiegato dello Stato– potesse incrementare in qualche modo le proprie entrate, mediante reddito del lavoro o d'altra fonte. Mera illazione di parte è poi l'asserzione che egli ha iniziato a versare fr. 2'440.– al mese da ottobre 1999 non per il trasferimento del posto di lavoro da Lugano a Bellinzona –come accertato dal Pretore– ma per un intervento incisivo del patrocinatore. Fatte queste premesse, regge alle doglianze della ricorrente la conclusione del Pretore, secondo il quale non risulta comprovato l'elemento oggettivo della disponibilità dei mezzi da parte dell'accusato. Si rende pertanto superflua la disanima della sussistenza del presupposto soggettivo dell'intenzione, anche solo nella forma del dolo eventuale.
4.
Gli oneri del presente giudizio seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,000 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
9a3f172f-0f19-57c8-ac40-2fc1fac63e7d | in fatto ed in diritto
che il 9.11.2011 il procuratore pubblico Andrea Pagani ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale IS 1 siccome ritenuto colpevole di vie di fatto in relazione ai fatti accaduti a Cevio, il 28.09.2011, ai danni di _ ed ha proposto la sua condanna alla multa di CHF 300.--, al pagamento della tassa di giustizia e delle spese giudiziarie, rinviando l’accusatrice privata (_) al competente foro per eventuali pretese di natura civile, e meglio come descritto nel DA _ (inc. MP _);
che il citato decreto è passato in giudicato il 12.12.2011;
che
con la presente istanza – completata su richiesta di questa Corte con scritto 21/22.06.2012 – IS 1 chiede la trasmissione, in copia, del rapporto di polizia dell’incarto MP _;
che a suffragio della sua richiesta precisa di necessitare di copia della denuncia/querela presentata da _ e del verbale d’interrogatorio di _ da produrre quali prove durante l’udienza che si terrà il 5.07.2012 presso la Pretura di _ (inc. _);
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare _, essendo stato il qui istante parte (quale imputato) al procedimento penale sfociato nel DA _ (inc. MP _) passato in giudicato;
che l
’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (quale imputato) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo
;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che, nella fattispecie in esame, è pacifico l’interesse giuridico legittimo ex art. 62 cpv. 4 LOG dell’istante ad ottenere copia
della documentazione richiesta
, poiché il procedimento penale di cui all’incarto MP _ sfociato nel DA _ (passato in giudicato) lo ha interessato personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che egli necessita di tale documentazione nell’ambito del procedimento civile di cui all’incarto _ della Pretura di _;
che va in ogni modo precisato che nell’ambito del procedimento penale in questione non è stato interrogato _, di cui il qui istante ha chiesto il verbale d’interrogatorio;
che di conseguenza, la denuncia/querela 28/30.09.2011 (AI 1) e il rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 2.11.2011 (AI 4) dell’incarto penale MP _, vengono trasmessi, in copia, all’istante unitamente alla presente decisione;
che non si prelevano tassa di giustizia e spese, essendo stato l’istante parte al procedimento penale di cui all’incarto MP _ nel frattempo archiviato. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,012 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
9a5175ff-1f99-5d3a-ba34-d82a411ebdfe | in fatto:
che con decreto di accusa del 26 agosto 2002 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di omicidio colposo, proponendone la condanna a 30 giorni di detenzione con due anni di sospensione condizionale della pena, per avere, come uno dei docenti responsabili di una passeggiata al lago cui partecipavano 13 studenti della Scuola _, concorso il 28 agosto 2001 a cagionare per imprevidenza colpevole l'annegamento di _ (nato il _ 1986), avvenuto il 28 agosto 2001 a _ (Comune di _);
che, statuendo su opposizione al decreto di accusa, con sentenza del 29 aprile 2004 emanata nelle forme contumaciali il giudice della Pretura penale ha confermato l'imputazione, riducendo tuttavia la pena a 20 giorni di detenzione con il beneficio della sospensione condizionale per due anni;
che contro tale sentenza _ ha introdotto il 30 aprile 2004 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale;
che nella motivazione scritta del ricorso, presentata il 3 giugno 2004, egli chiede il suo proscioglimento e la conseguente riforma della sentenza impugnata o, in subordine, l'annullamento della sentenza medesima e il rinvio degli atti alla Pretura penale per nuovo giudizio;
che il ricorso non è stato intimato per osservazioni;
e considerando | in diritto:
che il ricorrente è stato giudicato in contumacia (art. 277 cpv. 1 CPP) siccome rimasto assente al processo, quantunque – come ha accertato il primo giudice – regolarmente citato (verbale del dibattimento, pag. 2);
che all'inizio del dibattimento il difensore non risulta avere contestato la regolarità della citazione, né avere chiesto un rinvio del processo;
che egli si è limitato, in effetti, a produrre una lettera di quello stesso 29 aprile 2004 in cui comunicava al giudice l'impossibilità, per il suo assistito, di presenziare all'udienza, non avendo costui mezzi sufficienti per finanziare la trasferta dagli Stati Uniti alla Svizzera e trovandosi per di più “una persona a lui vicina” in gravi condizioni di salute;
che, tuttavia, il giudice non ha dispensato l'accusato dal comparire in aula, né ha riconosciuto in qualche modo giustificata l'assenza (art. 277 cpv. 1 con riferimento all'art. 274 CPP);
che, secondo costante giurisprudenza, in caso di sentenza contumaciale il ricorso per cassazione è proponibile solo contro la dichiarazione di contumacia, ovvero sulla questione di sapere se il giudice abbia deciso a ragione o a torto di procedere in assenza dell'accusato (Rep. 1982 pag. 194 con la sentenza del Tribunale federale parzialmente riprodotta in calce; CCRP, sentenza del 9 gennaio 2003 in re J. con riferimenti);
che non è dato ricorso per cassazione, invece, contro la sentenza come tale (CCRP, loc. cit.; DTF 122 I 36 consid. 2 pag. 37, 121 IV 340 consid. 1a pag. 341);
che all'accusato è data nondimeno la facoltà di chiedere in ogni momento, entro sei mesi nei casi di competenza della Pretura penale (art. 277 cpv. 3 CPP) ed entro il termine di prescrizione dell'azione penale nei casi di competenza delle Corti di assise (art. 316 cpv. 1 CPP), la revoca del giudizio pronunciato in assenza e lo svolgimento del processo con rito ordinario (CCRP, loc. cit.; analogamente: sentenza del 15 luglio 2003 in re G.);
che, per quanto avvertito alla fine del processo circa il limitato potere cognitivo della Corte di cassazione e di revisione penale nel caso di giudizi in assenza (verbale del processo, pag. 3), il ricorrente non muove censure contro la dichiarazione di contumacia, ma insorge contro la sentenza di primo grado lamentando arbitrio nell'accertamento dei fatti e violazioni del diritto federale;
che in condizioni del genere il ricorso si rivela d'acchito inammissibile;
che gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 CPP con rinvio all'art. 9 cpv. 1 CPP);
in applicazione dell'art. 291 cpv. 1 CPP
e vista sulle spese la tariffa giudiziaria, | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,004 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
9a5e00e9-3d59-599d-89c6-b8b25b075b64 | in fatto: A.
Con decreto di accusa del 3 agosto 2005 il sostituto procuratore pubblico ha dichiarato RI 1 autore colpevole di ripetuta coazione mancata, ripetuta ingiuria, abuso di impianti di telecomunicazioni e disobbedienza a decisioni dell’autorità proponendone la condanna a venti giorni di detenzione sospesi condizionalmente per un periodo di prova di tre anni nonché al pagamento della tassa di giustizia e delle spese giudiziarie.
Statuendo sull’opposizione, con sentenza del 26 aprile 2007 il giudice della Pretura penale ha sostanzialmente confermato le imputazioni e ha dichiarato RI 1 autore colpevole di ripetuta coazione tentata, ripetuta ingiuria e disobbedienza a decisioni dell’autorità, condannandolo ad una pena pecuniaria di 20 aliquote giornaliere di fr. 30.– ciascuna per un totale di fr. 600.–, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di 3 anni, nonché a una multa di fr. 600.– (fissando in sei giorni la pena detentiva in caso di mancato pagamento). Il giudice ha inoltre condannato RI 1 a rifondere alle parti civili PC 1 e PC 2, in solido, fr. 7
849.45 per spese di patrocinio, oltre che al pagamento delle tasse e spese giudiziarie. Per ulteriori pretese il giudice ha rinviato le parti civili al competente foro. Il giudice della Pretura penale ha inoltre preso formalmente atto della prescrizione del reato di abuso di impianti di telecomunicazione.
Con sentenza del 2 luglio 2007 questa Corte ha respinto in quanto ammissibile il ricorso per cassazione presentato da RI 1 nei confronti della sentenza pretorile (inc. 17.2007.31).
B.
Contro la sentenza appena citata RI 1 è insorto al Tribunale federale con ricorso in materia penale, sussidiariamente ricorso in materia costituzionale, postulando in via principale il suo proscioglimento da ogni accusa, subordinatamente l’annullamento della sentenza contestata.
Con sentenza del 17 dicembre 2008 il Tribunale federale ha parzialmente accolto in quanto ammissibile il ricorso in materia penale presentato da RI 1,
annul
lando la sentenza impugnata e rinviando la causa all’autorità can
tonale per nuovo giudizio nei sensi dei considerandi
(sentenza 6B_477/2007).
Ciò ripristina la litispendenza del processo davanti a questa Corte. | Considerando
in diritto:
1.
Secondo l’art. 107 cpv. 2 LTF se il Tribunale federale
accoglie il ricorso, giudica esso stesso nel merito o rinvia la causa all’autorità inferiore affinché pronunci una nuova decisione. Può anche rinviare la causa all’autorità che ha deciso in prima istanza.
Nel caso in cui il Tribunale federale annulli una sentenza e rinvii la causa per nuovo giudizio all’autorità cantonale, quest’ultima deve porre a fondamento della propria decisione i considerandi di diritto della sentenza di cassazione (art. 277
ter
cpv. 2 vPP).
Benché gli articoli 66 vOG e
277
ter
capoverso 2 vPP non siano stati ripresi nella nuova normativa federale, è evidente che l’autorità cui la causa è rinviata deve, per principio, fondare la nuova decisione sui considerandi della decisione del Tribunale federale (
Messaggio concernente la revisione totale dell’organizzazione giudiziaria federale del 28 febbraio 2001
, FF
2001 3901). I punti che non sono stati toccati rimangono acquisiti (DTF 121 IV 109 consid. 7 pag. 128 con richiami).
2.
Nella misura in cui questa Corte aveva dichiarato inammissibili le censure di arbitrio volte dal ricorrente all’accertamento dei fatti e alla valutazione delle prove da parte del giudice delle Pretura penale, la sentenza del 2 luglio 2007 ha quindi acquisito carattere definitivo, il ricorso in materia penale presentato da RI 1 su questi punti al Tribunale federale essendo stato a sua volta dichiarato in gran parte inammissibile (sentenza 6B_477/2007, consid. 2.1, 2.2, 3.1, 3.2 e 3.3) o infondato (consid. 4.5). A tale riguardo il sindacato del primo giudice non può più, dunque, essere rimesso in discussione.
Nemmeno in diritto può essere più discussa la condanna – in quanto tale – sia inerente il reato principale di coazione (art. 181 CP; consid. 4) sia quelle inerenti le fattispecie meno gravi di ingiuria (art. 177 CP; consid. 5) e disobbedienza a decisioni dell’autorità (art. 292 CP, consid. 6). Nemmeno la pretesa violazione della garanzia a un equo processo ai sensi dell’art. 6 CEDU nonché della
lex mitior
, può essere più discussa (consid. 7).
3.
Per contro, l’Alta Corte ha ritenuto che
la censura relativa al rifiuto di ordinare una perizia volta a determinare l’imputabilità del ricorrente non attiene alla violazione del diritto di essere sentito, bensì alla violazione del diritto penale. A ragione – ha proseguito il Tribunale Federale – il ricorrente, oltre ad avere invocato il diritto di essere sentito, si è prevalso in questo ambito della violazione dell’art. 20 CP. Infatti, stabilito come il referto della dr.ssa _ non sia una perizia, il TF si è posto il quesito di sapere se il giudice fosse tenuto a ordinare una valutazione psichiatrica dell’accusato sulla base del diritto penale (consid. 3.4).
a)
Riassunta la giurisprudenza relativa all’art. 20
CP (v. art. 13 vCP), in particolare in punto a sapere quando il giudice deve ordinare una perizia atta a definire l’imputabilità dell’autore (consid. 3.4.1), l’Alta Corte federale ha stabilito che nella fattispecie il giudice della Pretura penale non poteva “non nutrire dei dubbi sull’imputabilità del ricorrente”. Il comportamento dell’imputato lasciava infatti inferire la presenza di una patologia che si riflette in una mania di persecuzione (disturbo della personalità con tratti paranoici). Il primo giudice avrebbe dovuto quindi ordinare una perizia per accertare l’imputabilità dell’accusato, e non, come ha fatto, valutarla egli stesso sulla base degli atti in suo possesso, sentendo e interrogando personalmente l’imputato. In casi simili – ha spiegato l’Alta Corte – l’art. 20 CP impone al giudice di avvalersi di una perizia, non potendo procedere egli stesso a una valutazione per appianare i propri dubbi e determinare se e in che misura l’autore sia capace di valutare il carattere illecito dei suoi atti e di agire secondo tale valutazione (consid. 3.4.2).
b)
Analizzando le censure sulla commisurazione della pena (art. 47 CP), il Tribunale federale ha ricordato la giurisprudenza relativa all’attenuazione della pena ex art. 19 CP (incapacità e scemata imputabilità) e 48 lett. c CP (
in casu
profonda prostrazione), ed ha analizzato la correlazione tra la scemata responsabilità e lo stato di profonda prostrazione e
vocando una sentenza non pubblicata del 7 giugno 1999 (6S.283/1999), dove l’Alta Corte si è pronunciata sulla relazione tra gli art. 11 e 113 vCP. In quel caso il TF ha statuito che solo una scemata imputabilità derivante da cause diverse da quelle considerate per ritenere la realizzazione dell’omicidio passionale poteva giustificare l’applicazione cumulativa degli art. 11 e 113 vCP. Altrimenti, il medesimo motivo di attenuazione della pena sarebbe stato preso in considerazione due volte.
La Corte federale ha per finire deciso che questa giurisprudenza può essere trasposta anche al caso qui in esame. Di conseguenza, se risulterà che il ricorrente ha agito in uno stato di scemata imputabilità da ricondurre alle medesime cause che hanno indotto il giudice di prima istanza a riconoscergli l’attenuante specifica dello stato di profonda prostrazione, la pena irrogatagli non potrà subire ulteriori riduzioni, come ritenuto da questa Corte. Per contro, se le cause sono diverse, il giudice dovrà ricommisurare la pena e ridurla in applicazione dell’art. 19 cpv. 2 CP (consid. 8).
c)
Poiché non è stato ancora accertato sulla base di una perizia se, al momento di agire, il ricorrente era capace di valutare il carattere illecito dei fatti rimproveratigli e di agire secondo tale valutazione e – in caso negativo – per quali ragioni, il Tribunale federale ha per questo motivo parzialmente accolto il ricorso di RI 1, annullato la sentenza di primo grado e rinviato la causa all’istanza inferiore, la quale dovrà ordinare una perizia per determinare l'imputabilità di RI 1 ed eventualmente ricommisurare la pena.
4.
Giusta l'art. 296 cpv. 1 CPP, in caso di accoglimento del ricorso la Corte di cassazione e di revisione penale riforma la sentenza quando ha sufficienti elementi per il nuovo giudizio. In caso contrario rinvia la causa alla competente Corte del merito, composta di altri giudici e giurati, a meno che la cassazione sia stata pronunciata unicamente per insufficiente motivazione della sentenza o che il primo giudice debba unicamente ricommisurare la pena (art. 296 cpv. 2 CPP). Nella fattispecie questa Corte non può procedere essa medesima all’accertamento richiesto dal Tribunale federale. La causa va pertanto rinviata alla Pretura penale e affidata a un altro giudice per le incombenze ai sensi dei considerandi.
5.
Poiché il ricorrente risulta vincente solo parzialmente (mancato allestimento di una perizia e conseguente violazione dell’art. 20 CP), gli oneri del giudizio odierno vanno posti a carico del ricorrente in ragione di 3⁄4 e allo Stato in ragione di 1⁄4 (art. 15 cpv. 2 CPP). Lo Stato rifonderà inoltre al ricorrente fr. 500.– a titolo di ripetibili ridotte. Sugli oneri di primo grado il giudice della Pretura penale statuirà in esito alla nuova sentenza. | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,009 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
9a6dd33b-f256-583d-9d71-4e86c9160df4 | in fatto
a.
Con sentenza 28.10.2014 il Tribunale penale federale, con procedura abbreviata (art. 358 ss. CPP), ha riconosciuto RE 1 (_1971) autore colpevole di rapina, furto d’uso di un veicolo, guida senza licenza di circolazione, senza autorizzazione o senza assicurazione per la responsabilità civile, infrazione aggravata alla LF sugli stupefacenti, tentata infrazione alla LF sulle armi e ricettazione, e lo ha condannato ad una pena detentiva di 4 anni, dedotto il carcere preventivo sofferto (dal 30.7.2013 al 28.10.2014), oltre al pagamento di una multa di CHF 500.-- (inc. TPF SK.2014.31).
Il Tribunale penale federale ha designato il Cantone Ticino quale cantone d’esecuzione ex art. 74 LOAP.
La sentenza è passata in giudicato.
b.
Il giudice dei provvedimenti coercitivi, sedente in materia di applicazione della pena, dovendosi determinare sul collocamento iniziale di RE 1, con decisione 19.1.2015 ha ordinato il collocamento di quest’ultimo in sezione chiusa.
In particolare il giudice ha ritenuto concreto il rischio di fuga del reclamante, essendo egli cittadino straniero e senza alcun legame rilevante con il nostro territorio. Inoltre, visto il di lui passato recidivistico in Italia, ha altresì concluso per l’esistenza di un concreto rischio di recidiva.
Nel medesimo giudizio il magistrato, dedotti 456 giorni di carcere preventivo e ritenuto che l’esecuzione della pena ha avuto inizio il 28.10.2014, ha determinato i seguenti termini di espiazione della pena:
1/3 27.11.2014
1/2 29.07.2015
2/3 28.03.2016
Fine pena 28.07.2017.
c.
Contro tale decisione insorge RE 1 con reclamo 22/23.1.2015.
Egli contesta di non avere legami con il nostro territorio ed evidenzia che a _ risiedono la sua ex moglie e la loro figlia comune di 13 anni di età, come pure, in un appartamento contiguo il loro figlio ventunenne. Figli questi con i quali egli assevera di avere contatti regolari (telefonici e con visite in carcere). Inoltre, nell’anno precedente il suo arresto, egli sostiene di avere vissuto a _ presso la sua attuale compagna. Delle precedenti carcerazioni subite in Italia, pone in risalto il buon comportamento tenuto in detenzione e il percorso rieducativo fatto, a suo avviso ottimo, avendo egli ottenuto dapprima dei congedi, poi gli arresti domiciliari e quindi un periodo in affidamento ai servizi sociali. Dal suo ultimo rilascio in Italia rileva come siano passati 8 anni prima di incorrere nell’arresto nel nostro paese. Infine pone in evidenza la collaborazione fornita agli inquirenti e la serietà dei suoi buoni propositi per il futuro.
d.
Il giudice dei provvedimenti coercitivi non formula osservazioni particolari, a seguito del reclamo, e nemmeno il Presidente della Corte penale del Tribunale penale federale, né il Ministero pubblico della Confederazione. | in diritto
1
. 1.1.
I
n applicazione dell’art. 74 della Legge federale sull’organizzazione delle autorità penali della Confederazione del 19.3.2010 (LOAP, RS 173.71), il Tribunale penale federale, al punto 6 del dispositivo della sentenza 28.10.2014 (inc. TPF SK.2014.31), ha incaricato il Cantone Ticino di eseguire le pene e misure pronunciate in tale giudizio.
1.2.
Il Codice di diritto processuale penale svizzero (Codice di procedura penale, CPP), all'art. 439 cpv. 1 CPP, lascia ai Cantoni la facoltà di designare le autorità competenti per l'esecuzione delle pene e delle misure e di stabilire la relativa procedura.
Il Canton Ticino ha adottato il 20.4.2010 la Legge sull'esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti (LEPM), entrata in vigore l'1.1.2011. L'art. 10 cpv. 1 lit. h di detta legge conferisce al giudice dell'applicazione della pena - funzione questa attribuita in Ticino dall'1.1.2011 al nuovo giudice dei provvedimenti coercitivi giusta l'art. 73 LOG - la competenza, fra l'altro, a decidere il collocamento iniziale del condannato ex art. 76 CP.
Contro tale decisione, conformemente all'art. 12 cpv. 1 lit. b LEPM, è data facoltà al condannato e al Ministero pubblico di interporre reclamo ai sensi degli art. 393 e seguenti CPP alla Corte dei reclami penali.
1.3.
Con il reclamo ex art. 393 ss. CPP si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l'eccesso e l'abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l'accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e/o l'inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato entro 10 giorni per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all'art. 390 CPP per la forma scritta ed all'art. 385 CPP per la motivazione.
La persona o l'autorità che lo interpone deve indicare, in particolare, i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP).
1.4.
Il gravame, inoltrato il 22/23.1.2015, contro la decisione 19.1.2015 del giudice dei provvedimenti coercitivi, notificata il 20.1.2015, è tempestivo.
Le esigenze di forma e motivazione del reclamo sono rispettate.
RE 1
, quale condannato e
destinatario della decisione impugnata che lo tocca direttamente, personalmente e attualmente nei suoi diritti, è pacificamente legittimato a reclamare giusta l'art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all'annullamento o alla modifica del giudizio.
Il reclamo è quindi, nelle predette circostanze, ricevibile in ordine e proponibile.
2.
2.1.
Giusta l'art. 76 CP le pene detentive sono scontate in un penitenziario chiuso o aperto (cpv. 1). Il detenuto è collocato in un penitenziario chiuso o in un reparto chiuso di un penitenziario aperto se vi è pericolo che si dia alla fuga o vi è da attendersi che commetta nuovi reati (cpv. 2).
L’art. 377 cpv. 1 CP prevede l’obbligo per i Cantoni di istituire e
gestire i penitenziari e i reparti di penitenziario per detenuti che scontano la pena in regime chiuso e aperto, nonché in semiprigionia e in lavoro esterno.
In precedenza, l’art. 397bis cpv. 3 vCP prevedeva che, il Consiglio federale, su proposta dell’autorità cantonale competente, poteva emanare disposizioni speciali circa la separazione degli stabilimenti del Cantone del Ticino.
Una simile norma non è stata adottata nella revisione della parte generale del Codice penale entrata in vigore l’1.1.2007.
Pure è stata abbandonata la distinzione, posta dal precedente art. 37 cifra 2 vCP, tra stabilimenti per condannati primari e quelli per recidivi, per cui le nuove norme del CP impongono ai Cantoni di gestire soltanto due tipi di stabilimenti, segnatamente quelli chiusi e quelli aperti, e tra questi ultimi anche stabilimenti o reparti di stabilimenti per detenuti in regime di semiprigionia e di lavoro esterni (art. 77b e 76 CP i.c.c. art. 377 cpv. 1 CP, BSK Strafrecht I
−
B. F. BRÄGGER, op. cit., art. 76 CP n. 2).
2.2.
Interpretato
e contrario
il testo dell’art. 76 cpv. 2 CP, si ha che di regola il detenuto deve essere collocato in un penitenziario aperto (ove si intende uno stabilimento “aperto” o “semiaperto”), a meno che sussita il pericolo che egli si dia alla fuga oppure vi sia il rischio che egli commetta nuovi reati.
In altre parole, è sufficiente che sia adempiuto uno di questi due criteri (unici criteri determinanti) per ordinare il collocamento di un detenuto in un penitenziario chiuso o in un reparto chiuso di un penitenziario aperto. Il rischio di fuga e il rischio di recidiva non devono essere realizzati cumulativamente (cfr. Messaggio concernente la modifica del Codice penale svizzero del 21.09.1998, pubblicato in FF 1999 p. 1669 ss., p. 1793; BSK Strafrecht I – B.F. BRÄGGER, 3a. ed., art. 76 CP n. 8).
A livello cantonale
−
oltre l’applicazione del Concordato sull’esecuzione delle pene privative di libertà e delle misure concernenti gli adulti e i giovani adulti nei cantoni latini del 10.4.2006 (Concordato latino sulla detenzione penale degli adulti)
−
l'art. 19 del Regolamento sull'esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti del 6.3.2007 (REPM, in vigore dal 9.3.2007), relativo al regime ordinario, stabilisce che l'esecuzione della pena in uno stabilimento chiuso, ossia in uno stabilimento in cui le misure di sicurezza sono elevate, è la forma di esecuzione ordinaria quando al detenuto non possono essere concesse altre forme di esecuzione in grado di evitare in particolare la fuga o pericoli a terzi (cpv. 1).
L'esecuzione della pena avviene ininterrottamente nello stabilimento. Il trattamento, che ha come scopo finale il reinserimento sociale, è fondato su una graduale concessione di libertà tendente alla responsabilizzazione progressiva del carcerato, sulla base di un piano individuale di esecuzione della pena (cpv. 2).
Il cpv. 3 della medesima norma prevede inoltre la possibilità per il condannato di espiare la pena privativa della libertà, in maniera totale o parziale, in uno stabilimento aperto (ossia in una struttura che dispone di misure di sicurezza ridotte per quanto concerne l'organizzazione, il personale e la costruzione) se questa sua collocazione non provoca pericoli alla comunità, evita il ripetersi di azioni delittuose e non vi è rischio di fuga.
L'art. 3 del Regolamento delle strutture carcerarie del Cantone Ticino del 15.12.2010, in vigore dall'1.1.2011, precisa che il carcere penale “La Stampa” è, tra l’altro, destinato all’incarcerazione di persone maggiorenni poste in esecuzione di pena o di misura o di internamento (cpv. 3 lit. a). Esso stabilisce inoltre che sono strutture chiuse “La Farera” e “La Stampa” (cpv. 4) mentre “Lo Stampino” e il “Navarazz” sono strutture aperte (cpv. 5). Queste ultime sono in particolare destinate all'incarcerazione di: a) persone in esecuzione di pene eseguite in regime di lavoro esterno; b) persone in esecuzione di pene eseguite in forma di semiprigionia; c) persone in esecuzione di pene di breve durata eseguite per giorni; d) persone in esecuzione di pena che non presentano un rischio di fuga e per le quali non vi è da attendersi che commettano nuovi reati (cpv. 6).
La persona incarcerata viene ammessa al regime ordinario qualora motivi di sicurezza non vi si oppongano (art. 40 cpv. 1 prima frase).
2.3.
Con quale intensità debba sussistere il pericolo di fuga o il rischio che il detenuto commetta nuovi reati posto dall'art. 76 cpv. 2 CP, non può essere espresso in generale e in astratto ma dipende dalle circostanze. Tali due criteri, come visto più sopra, non sono cumulativi
(Messaggio concernente la modifica del Codice penale svizzero del 21.9.1998, op. cit., p. 1793).
Per ammettere l'esistenza di un pericolo di fuga o di recidiva non occorre certamente che siano state intraprese manovre concrete in tal senso, bensì è sufficiente che sia riconoscibile l'esistenza di detti rischi (BSK Strafrecht I
−
B. F. BRÄGGER, op. cit., art. 77b CP n. 9).
2.3.1.
Conformemente alla giurisprudenza federale il rischio di fuga deve essere valutato in considerazione dell’insieme delle circostanze proprie al detenuto, quali per esempio le sue condizioni di vita (“
Lebensumstände
”), i legami familiari (“
familiäre Bindungen
”), la sua situazione professionale e finanziaria (“
berufliche und finanzielle Situation
”), nonché le sue relazioni all’estero (“
Kontakte zum Ausland
”). Infatti non si può concludere sull’esistenza di questo rischio solo sulla base di una possibilità astratta di fuga. Occorre piuttosto che vi sia una certa probabilità, fondata su concreti motivi, che il detenuto posto in libertà si sottragga all’esecuzione della pena, dandosi alla fuga (sentenze TF 6B_432/2012 del 26.10.2012, consid. 3.; 6B_254/2012 del 18.6.2012 consid. 3.; 6B_577/2011 del 12.1.2012 consid. 2.1. e 2.2.). Il
quantum
della pena che gli resta da espiare da solo non basta per ammettere il rischio di fuga. Può tuttavia essere considerato, unitamente ad altre circostanze, quale indizio di una possibile fuga (sentenza TF 6B_432/2012 del 26.10.2012 consid. 3.; DTF 125 I 60). Un rischio acuto di fuga viene ammesso in special modo dalla dottrina, quando l’interessato non intrattiene in Svizzera una rete di relazioni, ovverossia quando egli non dispone di legami con il nostro paese. Ciò che di principio viene presunto per i cosiddetti turisti del crimine (“
Kriminaltouristen
”) e per i condannati senza un valido permesso di soggiorno o di domicilio (
BSK Strafrecht I
−
B. F. BRÄGGER, op. cit., art. 76 CP n. 4).
2.3.2.
Per quanto attiene al pericolo di recidiva il testo di legge non richiede espressamente, che i reati di cui si teme la reiterazione siano di una determinata gravità. Occorre tuttavia ragionevolmente partire da tale presupposto (BSK Strafrecht I
−
B. F. BRÄGGER, op. cit., art. 77b CP n. 9). Infatti per la dottrina detti reati devono essere di una certa rilevanza, stante che nel pericolo di recidiva non entra in considerazione la (prospettata) commissione di semplici contravvenzioni (S. TRECHSEL et al., Schweizerisches StGB, Praxiskommentar, art. 76 CP nota 3).
3.
3.1.
Nel presente caso, il giudice dei provvedimenti coercitivi ha collocato il reclamante in sezione chiusa in considerazione, a suo avviso, dell’esistenza di un pericolo di fuga, stante la cittadinanza straniera (_) del qui reclamante e l’assenza di legami rilevanti con il territorio elvetico. Il giudice ha altresì concluso per l’esistenza di un rischio di recidiva, avuto riguardo al passato recidivistico di RE 1 in _, per reati, fra cui la rapina e il traffico d’armi, e considerato come l’ivi espiazione della pena non abbia avuto “
effetto dissuasivo quo alla commissione di reati
” (decisione 19.1.2015 del giudice dei provvedimenti coercitivi, consid. 3.).
Dal canto suo il reclamante, in buona sostanza, contesta di non avere legami con il nostro territorio, stante la presenza della ex moglie e dei due figli, di 13 rispettivamente 21 anni, con cui manterrebbe contatti telefonici regolari. Sostiene inoltre di avere in _ positivamente svolto il proprio percorso rieducativo e di non avere più delinquito negli ultimi 8 anni precedenti l’arresto in Ticino.
3.2.
In base al recente Piano dell’esecuzione della pena (PES) allestito nell’aprile 2015, si ha che RE 1, cittadino italiano, oggi alla soglia dei 44 anni, è cresciuto in una zona poco distante dal confine svizzero, spesso teatro di eventi di cronaca nera, in seno ad una famiglia numerosa (6 fratelli). La sua infanzia è stata caratterizzata dalle difficoltà. I genitori avrebbero usato le maniere forti nei confronti dei figli, mentre i familiari da parte della madre avrebbero avuto precedenti penali. All’età di 14 anni RE 1 sarebbe quindi uscito di casa, per poi vivere nel precariato, così che ha finito per imboccare la via del crimine. Poco più che ventenne ha conosciuto la donna con la quale poi si è unito in matrimonio e dalla quale ha avuto due figli, che risiedono attualmente a _. Il figlio, oggi ventunenne, conduce vita autonoma, e la figlia tredicenne vive con la madre. Dopo il divorzio dalla madre, egli ha conosciuto l’attuale sua compagna, che risiede a _ e che gli ha spesso reso visita in carcere.
In possesso della sola licenza di scuola media, nel suo paese d’origine, egli ha svolto vari lavori tra cui il carpentiere e il parrucchiere.
In Svizzera non beneficia di alcun permesso di soggiorno. Nei suoi confronti non risulta tuttavia sia stata emanata sinora alcuna decisione di allontanamento.
In Italia RE 1 vanta diversi precedenti penali fra il 1991 e il 2006. Tra questi spiccano ben 4 condanne tra il 1994 e il 2006 per rapine commesse nelle regioni del Piemonte e della Lombardia fra il 1993 e il 2000 in concorso con reati inerenti la detenzione illegale di armi e/o di munizioni come pure la ricettazione, oltre che una condanna per associazione per delinquere nel 2002, per le quali gli sono state comminate pene detentive varianti tra 1 anno e i 5 anni di reclusione, oltre multe per alcune migliaia di Euro. Pene detentive che gli sono poi state ridotte per aver ottenuto la liberazione anticipata così come per aver beneficiato dell’indulto.
Il PES non contempla l’avvio del regime progressivo sino alla liberazione condizionale “
considerata la natura del reato e la recidiva
” (PES p. 8 sub punto 12), così che dalla fase 1 della sezione chiusa passa direttamente alla fase 4 della liberazione condizionale, qualora il progetto di rientro in Italia (lavoro e alloggio) sia stato ben definito e siano stati raggiunti gli obiettivi posti nella fase 1 (scelta ed elaborazione di un progetto professionale, definizione di un’attività di tempo libero, modellismo, creazione di una rete di riferimento positiva, sviluppo delle relazioni famigliari primarie e del suo ruolo, responsabilità e doveri genitoriali verso i figli, rivisitazione e rielaborazione del passato e delle scelte), come pure egli abbia tenuto un buon comportamento ed abbia accettato di lasciare la Svizzera.
Contro il mancato inserimento nel PES del regime progressivo, il reclamante si è opposto, osservando che “
la mia capacità introspettiva, nonché i forti agganci famigliari sul territorio, siano elementi che prevalgono sul rischio di recidiva
” (PES p. 10).
Visti i suoi precedenti difficilmente RE 1 avrà la possibilità di lecitamente soggiornare sul nostro territorio e, di riflesso, di inserirsi professionalmente nel nostro tessuto sociale.
Per quanto visto sopra e da ciò che risulta dagli atti, il centro degli interessi del reclamante è e rimane l’Italia, suo paese d’origine, dove è cresciuto ed ha sempre risieduto, e dove
−
al di là dei suoi soggiorni in carcere
−
ha svolto le sue attività lavorative.
In Svizzera egli non ha risieduto per svolgere un lavoro onesto ma vi è, in buona sostanza, venuto per delinquere, trafficando illecitamente in seno ad una banda marijuana e hashish nel maggio/luglio 2013 e perpetrando in correità la rapina ai danni di un distributore di benzina a _ a fine luglio 2013.
La Corte penale del Tribunale penale federale, nella sua sentenza del 28.10.2014, ha in particolare rilevato la gravità delle infrazioni commesse dal reclamante avuto riguardo al suo ruolo di primo piano specialmente “
per quanto attiene al reato principale di rapina, avendo egli partecipato attivamente a tutta la fase organizzativa, segnatamente effettuando diversi sopralluoghi e, infine, circostanza ancor più grave, avendo egli aggredito fisicamente il gerente colpendolo al volto, avendolo immobilizzato e altresì minacciato di morte
” (sentenza TPF del 28.10.2014, p. 10). La Corte ha poi aggiunto che “
assumono inoltre particolare rilevanza l’infrazione aggravata alla legge federale sugli stupefacenti e la tentata infrazione alla legge federale sulle armi, che denotano, in capo al qui imputato, una non trascurabile propensione a delinquere
” (sentenza TPF del 28.10.2014, p. 10).
La presenza sul nostro territorio della ex moglie e dei due figli
−
situazione esistente anche al momento dell’agire illecito del reclamante e rimasta immutata
−
anche agli occhi di questa Corte, non appare un legame di intensità tale da scongiurare il pericolo che egli si dia alla fuga o possa commettere altri reati. Infatti con l’ex coniuge
−
da cui è divorziato da anni
−
e con la figlia adolescente, comunque egli non conviveva prima del suo arresto in Ticino mentre che il figlio ormai maggiorenne conduce vita autonoma. La loro vicinanza non l’hanno ad ogni modo trattenuto dal delinquere.
Neppure l’aver risieduto nell’ultimo anno a _ con la sua attuale compagna, pure di origine italiana, secondo quanto da lui sostenuto “
per avvicinarmi di più ai miei figli
”, quantunque fosse comprovato, costituisce in qualche modo uno stretto legame con il nostro territorio atto ad evitare i pericoli di cui si è detto. Invero l’appartamento a _ è servito ad ospitare i correi, tutti residenti in Italia, la notte precedente la rapina a _, mentre che la sua compagna, di fatto, ha pure partecipato in tale rapina in qualità di “palo” e in parte di autista, venendo condannata alla pena detentiva di 2 anni e 6 mesi, di cui 2 anni sospesi per un periodo di 3 anni e 6 mesi da espiare, da cui è stato poi dedotto il carcere preventivo sofferto di pari periodo (sentenza TPF SK.2014.11 del 27.5.2014). Pertanto essa si trova attualmente a piede libero e risiede nelle vicinanze del confine svizzero, mantenendo stretti contatti con il qui reclamante.
In conclusione stante la nazionalità straniera del qui reclamante, la sua personalità, i suoi precedenti penali, la sua difficile situazione economica, i suoi legami stretti con il suo paese d’origine in cui ancora non è stato elaborato un progetto concreto di rientro con una concreta prospettiva lavorativa come previsto nel PES, a fronte dell’assenza di un possibile inserimento sociale sul nostro territorio, e visti altresì i suoi contatti con l’ambiente malavitoso radicatosi sulla fascia di confine con la Svizzera (come emerge dalla sentenza 28.10.2014 del Tribunale penale federale), è in concreto alta la probabilità che egli possa darsi alla latitanza per sottrarsi al resto di pena, come pure che egli venendosi a trovare in una situazione di precarietà, nonostante le sue responsabilità di padre ultraquarantenne, possa tornare a delinquere onde procurarsi di che sostentarsi. Saranno pure trascorsi diversi anni dalla sua ultima carcerazione in Italia, come assevera il reclamante, ciò non toglie che le precedenti condanne, i passati periodi di detenzione e l’aver beneficiato di liberazioni anticipate e riduzioni di pena, non sono stati un monito sufficiente per impedirgli di ricadere nel crimine, venendo nel nostro paese a commettere infrazioni giudicate gravi.
In tali circostanze la decisione del giudice dei provvedimenti coercitivi qui impugnata, merita tutela.
4.
Il reclamo è respinto. La tassa di giustizia e le spese, sono poste a carico del qui reclamante, soccombente. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,015 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
9a9a2db4-ba63-52fe-a6c2-60e8deeb099c | in fatto ed in diritto
1.
A seguito della denuncia 4.10.2005 e – per quanto interessa la fattispecie in esame – della denuncia sporta il 12.01.2006 da IS 1 e da _ nei confronti di _ per titolo di truffa (riguardo alla cessione della gestione di un esercizio pubblico, ove a loro mente il denunciato avrebbe sottaciuto che lo stabile in cui lo stesso si trovava fosse di proprietà di terzi, così come l’inventario), il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale a carico di quest’ultimo sfociato, tra l’altro, nel decreto di non luogo a procedere 9.03.2009 emanato dall’allora procuratore pubblico Giuseppe Muschietti (NLP _ – inc. MP _ / _).
2.
Con la presente istanza IS 1 chiede copia del surriferito
decreto di non luogo a procedere (NLP _), avendo smarrito tale documento ed essendogli stato richiesto dall’Ufficio di tassazione.
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.1.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
Nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (quale denunciante) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo
.
Come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.3.1987, ad art. 8 p. 10). Inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19).
Lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG.
5.
Nella fattispecie in esame è pacifico l’interesse giuridico legittimo dell’istante ex art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere copia
del decreto di non luogo a procedere 9.03.2009 (NLP _)
, poiché l’ha interessato personalmente in veste di parte.
A ciò aggiungasi che IS 1 ha bisogno di tale documento, essendogli stato richiesto dall’Ufficio di tassazione.
Di conseguenza il
decreto di non luogo a procedere 9.03.2009 (NLP _)
viene trasmesso, in copia, all’istante unitamente alla presente decisione.
6.
L’istanza è accolta ai sensi del surriferito considerando. La tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico di chi le ha occasionate. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,011 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
9aa2687e-c246-5ba4-ab78-629f7396dabe | in fatto ed in diritto
che il 25.03.2013, durante un controllo e la perquisizione del bagaglio di _, quest’ultimo è stato trovato in possesso di un telefono cellulare marca _ che risultava essere stato rubato;
che da accertamenti effettuati dalla Polizia è emerso che in data 20.06.2012 IS 1, cognata di _, ha denunciato presso la Gendarmeria territoriale di _ che il citato telefono cellulare le sarebbe stato sottratto;
che di conseguenza è stato aperto un procedimento penale a carico di _ per le ipotesi di reato di furto, sub. ricettazione sfociato nel decreto di non luogo a procedere 21.05.2013 emanato dal procuratore pubblico, non essendo emersi elementi costitutivi dei reati ipotizzati (NLP _);
che il magistrato inquirente ha parimenti deciso il dissequestro del telefono cellulare in questione a favore di IS 1 (essendo di sua proprietà) dopo il passaggio in giudicato del decreto (decreto di non luogo a procedere 21.05.2013, p. 2 e 3, NLP _);
che avverso il suddetto decreto non è stato presentato reclamo a questa Corte giusta i combinati art. 310 cpv. 2 e 322 cpv. 2 CPP;
che il medesimo è dunque passato in giudicato;
che con la presente richiesta IS 1 chiede di ottenere la trasmissione, in copia, del suo verbale d’interrogatorio 26.03.2013, essendo quel giorno stata convocata dalla Polizia per rispondere ad una serie di domande in relazione al furto del suo telefono cellulare (doc. 1.a);
che, come esposto in entrata, il procuratore pubblico non si è opposto alla richiesta;
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare _, essendo la qui istante stata parte [in qualità di accusatrice privata (cfr., al proposito, scritto PP 15/16.07.2013, doc. 1)] al procedimento penale di cui all’inc. NLP _, nel frattempo archiviato;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stata l’istante parte [in qualità di accusatrice privata (cfr., al proposito, scritto PP 15/16.07.2013, doc. 1)] nel procedimento nel frattempo terminato, essa deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame appare adempiuto l’interesse giuridico legittimo della qui istante giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, dei suoi verbali d’interrogatorio del 26.03.2013 e del 30.03.2013, poiché il procedimento penale nel frattempo archiviato l’ha interessata personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che il procuratore pubblico non si è opposto alla richiesta;
che di conseguenza i verbali d’interrogatorio del 26.03.2013 e del 30.03.2013 di IS 1 vengono trasmessi, in copia, a quest’ultima unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stata parte al procedimento penale nel frattempo archiviato. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,013 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
9b36a375-5476-5764-8f48-404e5841e12e | in fatto ed in diritto
che con decisioni 3.12.2014 (inc. CRP _) e 11.12.2014 (inc. CRP _) questa Corte, in applicazione dell’art. 62 cpv. 4 LOG, ha accolto le richieste 26/27.11.2014 e 5/9.12.2014 presentate da IS 1, qui istante, mediante le quali ha trasmesso a quest’ultimo copia della sentenza 3.09.2010 e del relativo verbale del dibattimento 2/3.09.2010 (inc. TPC _), copia della sentenza 5.09.2011 e del relativo verbale del dibattimento 2.09.2011 (con gli allegati) (inc. TPC _) e copia della sentenza 16.12.2013 e del relativo verbale del dibattimento 16.12.2013 (con gli allegati) (inc. TPC _);
che con la presente richiesta IS 1 postula nuovamente la trasmissione della summenzionata documentazione, poiché
"
(...) sono andate perse o non sono arrivate al destinatario che si trova fuori dalla Svizzera
", affermando parimenti di aver spedito le copie richieste ad una (non meglio specificata) Corte per posta A e che non appena riceverà i documenti qui richiesti li rispedirà alla predetta autorità per posta raccomandata (doc. CRP 1);
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare le altre parti ai summenzionati procedimenti penali nel frattempo archiviati [cfr., nel dettaglio, le decisioni 3.12.2014 (inc. CRP _) e 11.12.2014 (inc. CRP _) alla cui lettura si rimanda per brevità], essendo il qui istante stato parte (in qualità di imputato) ai medesimi;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di imputato) nei procedimenti nel frattempo terminati, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994, p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – viste le precedenti decisioni di questa Corte di cui agli incarti CRP _ e _ il cui contenuto viene richiamato integralmente in questa sede – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, della postulata documentazione, poiché i procedimenti penali, nel frattempo archiviati, l’hanno interessato personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che l’istante necessita di questa documentazione per presentarla dinanzi ad una (non meglio precisata) Corte estera;
che di conseguenza
la sentenza 3.09.2010 e il relativo verbale del dibattimento 2/3.09.2010 (inc. TPC _), la sentenza 5.09.2011 e il relativo verbale del dibattimento 2.09.2011 (con gli allegati) (inc. TPC _) e infine la sentenza 16.12.2013 e il relativo verbale del dibattimento 16.12.2013 (con gli allegati) (inc. TPC _)
vengono (ri)trasmessi, in copia, al qui istante unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo il qui istante già stato parte ai suddetti procedimenti penali nel frattempo archiviati. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,015 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
9b8f41df-753f-5162-bb3f-a3d790d0424d | in fatto: A.
Il 6 agosto 1998 _, in gita con la moglie e il figlio sulla vetta del _, ha deciso di scendere il primo tratto a piedi, fino alla _. In attesa del trenino che li riportasse a _, essi sono entrati nel ristorante omonimo e hanno ordinato due caffè, pagando la consumazione con una banconota da Lit. 50'000 al marito della gerente _, il quale ha restituito Lit. 40'000 e qualche spicciolo in moneta svizzera. In quel mentre essi hanno udito la gerente esprimere apprezzamenti ingiuriosi, del genere “soliti italiani morti di fame”. A dire di _, uscito dal locale egli si è seduto su una panchina in attesa del trenino, salvo poi rientrare nel ristorante per chiedere spiegazioni sul tasso di cambio applicato. Egli sostiene che la gerente lo ha allora insultato pesantemente e, per reazione, egli ha battuto un pugno sul bancone del bar, facendo cadere per terra alcuni piattini. Sempre a detta di _, a quel momento _ lo ha afferrato per la giacca, intenzionata a non non lasciarlo uscire senza fargli pagare i danni ed egli, nel divincolarsi, l'aveva leggermente colpita. Secondo _, invece, il diverbio era nato dal fatto che _ aveva reclamato in modo violento per il cambio applicato, nonostante nel locale si trovasse un cartello indicante che non si accettavano pagamenti in lire. Per questo motivo egli si era adirato e aveva picchiato forte sul bancone, facendo cadere piattini e bicchieri. A questo punto essa gli aveva afferrato un braccio per impedirgli di partire senza risarcire il danno, me egli le aveva inferto un pugno al costato, provocandole le lesioni constatate in un certificato medico rilasciato il 7 agosto 1998 dal dott. _.
B.
Con decreto di accusa dell'8 marzo 1999 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di lesioni semplici e di danneggiamento, condannandolo a una multa di
fr. 400.–. _, costituitasi parte civile, è stata rinviata a far valere le sue pretese davanti al foro competente. Statuendo su opposizione di entrambe le parti, con sentenza del 5 dicembre 2000 il Pretore del Distretto di Lugano, sezione 4, ha prosciolto _ dall'accusa di lesioni semplici, infliggendogli una multa di fr. 200.– per danneggiamento.
C.
Contro la sentenza predetta _ ha presentato il 6 dicembre 2000 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta del 9 gennaio 2001 essa chiede la conferma del decreto di accusa e il pagamento di di 2'390.– in rifusione del danno, del torto morale e delle spese di patrocinio. Il ricorso è stato oggetto di intimazione al Procuratore pubblico unicamente per quanto riguarda le spese processuali. Quest'ultimo non ha èerò presentato osservazioni (vedi suo scritto del 7 febbraio 2001). | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto, non destinato a rimettere in causa l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove (art. 288 cpv. 1 lett. a e 295 cpv. 1 CPP). Problemi del genere sono sindacabili unicamente se il giudizio impugnato denota gli estremi dell’arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c CPP). Arbitrario non significa tuttavia opinabile o finanche erroneo, bensì chiaramente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo o in urto palese con il sentimento di giustizia ed equità (Rep. 1990 pag. 352 consid. 1, pag. 360 consid. 2.2a; sulla nozione di arbitrio: DTF 126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 124 I 316 consid. 5a, 123 I 5 consid. 4a, 121 I 114 consid. 3a, 120 Ia 40 consid. 4b).
2.
Il Pretore ha accertato che, in concreto, tutto traeva origine da un banale litigio sul tasso di cambio applicato a un importo modesto, ma che in seguito a ciò le parti erano trascese. Quanto alle versioni dei fatti, esse erano contrastanti e mancavano riscontri oggettivi che permettessero di ricostruire con precisione l'accaduto. Da un lato non appariva credibile che l'imputato fosse rientrato nel bar dopo avere udito le ingiurie della gerente solo per informarsi pacificamente sul tasso di cambio, mal comprendendosi come mai chi desideri evitare fastidi torni sul luogo dell'offesa e pretenda di ottenere soddisfazione battendo pugni sul piano del bar. Dall'altro la versione della querelante si contraddiceva con quella del testimone di _, allora frequentatore abituale del ritrovo pubblico: l'una asseriva infatti di essere stata percossa mentre ingiungeva all'imputato di non lasciare il bar senza pagare i danni, mentre l'altro dichiarava addirittura che l'imputato si era diretto verso la gerente, dietro il bancone, colpendola al costato.
Ciò premesso, il primo giudice ha ritenuto che l'imputato ha commesso tutt'al più vie di fatto, poiché quel giorno la querelante non aveva detto alla polizia di avere sofferto particolare dolore, la sua preoccupazione essendo quella di farsi pagare il danno. Inoltre essa si è recata dal medico solo il giorno dopo, mentre se avesse patito un gran male si sarebbe rivolta al pronto soccorso. Infine il certificato medico attesta unicamente ciò che diceva la paziente, senza che il dott. _ riscontrasse ematomi, tumefazioni o lesioni cutanee, tanto da rinunciare a esami più approfonditi. Quanto all'altro certificato medico prodotto dalla querelante, della dott. _, esso non indica nemmeno la data della visita e si limita anch'esso a riportare quanto dichiarava la paziente, ossia che non stava bene e che era in stato depressivo, ma senza alcun accertamento scientifico. In definitiva, di fronte all'ammissione della querelante che ammetteva di avere preso il querelato per un braccio, il primo giudice ha ritenuto più verosimile che l'imputato le avesse inferto il colpo divincolandosi. Se non che – ha soggiunto il Pretore – il reato di vie di fatto era ormai caduto in prescrizione assoluta, onde la sentenza di assoluzione.
3.
La ricorrente rimprovera al Pretore di essersi sospinto in un arbitrario accertamento dei fatti ritenendo che il 6 agosto 1998 essa non abbia preteso di sentire alcun male. Essa invoca il rapporto di polizia, da cui risulta che quel giorno essa aveva un braccio fasciato per una contusione asseritamente subìta nel litigio e fa valere di essersi recata solo l'indomani dal medico perché, trattandosi di un colpo ricevuto alle costole, il dolore si era manifestato solo durante la notte. Arbitrariamente il Pretore si sarebbe perciò sostituito al dottor _, il quale ha stilato il certificato basandosi sulle proprie constatazioni e indicando in modo preciso ove essa lamentava dolori rilevanti. Arbitrariamente il Pretore non avrebbe dato credito al certificato della dottoressa _, la quale ha formulato la propria diagnosi riferendola all'aggressione. A torto, quindi, il Pretore avrebbe negato gli estremi delle lesioni semplici e derubricato l'illecito in vie di fatto. Ciò risulterebbe inattendibile anche considerando che l'imputato era rientrato nel locale dopo decina di minuti con fini aggressivi, visto il pugno sferrato sul bancone, che all'arrivo della polizia essa portava un braccio al collo, che da parte sua non risultava essere intervenuta provocazione alcuna, che l'imputato si era divincolato con violenza sproporzionata e che, infine, la differenza di mole fisica tra lei e l'imputato è manifesta.
4.
Gli argomenti testé riassunti impongono di precisare che per incorrere nell’annullamento nell'ambito di un ricorso per cassazione una sentenza deve essere arbitraria non solo nella motivazione, ma anche nel suo risultato (DTF 126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 123 I 5 consid. 4a, 122 II 130 consid. 2a, 122 I 253 consid. 6c, 61 consid. 3a, 120 Ia 369 consid. 5a). In concreto la ricorrente contrappone il proprio punto di vista a quello del Pretore come se argomentasse davanti a un'autorità munita di pieno potere cognitivo non solo in diritto, ma anche nell'accertamento dei fatti. Ciò è inammissibile. Alla ricorrente incombeva di spiegare come, dove e perché il primo giudice sarebbe incorso, oltre che in presunti errori, in sbagli qualificati. In realtà essa non spende una parola per contestare l'accertamento del Pretore, secondo cui all'arrivo della polizia essa nemmeno aveva preteso di essere stata colpita con un pugno (sentenza, consid. 4). A suffragio della propria versione dell'accaduto essa si vale inoltre di un fatto che non risulta dal giudizio impugnato, ossia che l'agente di polizia intervenuto sul posto avrebbe constatato che lei aveva un braccio fasciato. Che ciò fosse da ascrivere a una contusione riportata nella lite non risulta però dagli atti e contrasta anzi con quanto si legge nella querela penale e nel certificato del dottor _, ove le lesioni sono riferite al torace, rispettivamente a una costola (act. 1, pag. 2 con annesso).
Per di più, la ricorrente assevera di essere stata colpita con un pugno e di avere trattenuto l'imputato solo per evitare altri danni, ma non spiega perché sarebbe arbitraria la conclusione del Pretore, secondo cui l'imputato l'ha colpita mentre si liberava dalla presa. Certo, essa sottolinea la forza e l'impeto usato nei suoi confronti, ma non spiega perché il primo giudice sia caduto nell'arbitrio ritenendo che se davvero essa avvertiva dolore, non v'era ragione perché essa non si recasse subito al pronto soccorso. Del resto essa non pretende che il dolore si sia manifestato durante la notte, ma solo che durante la notte esso si è acuito. Né i certificati medici appaiono idonei a dimostrare l'arbitrarietà dell'accertamento, per cui la ricorrente è stata colpita dall'imputato che si divincolava: quello del dottor _ conferma se mai che la ricorrente ha subìto un colpo e quello della dottoressa _ attesta uno stato depressivo, ma senza indagarne la causa. Carente di motivazione idonea a suffragare il preteso arbitrio nell'accertamento dei fatti da parte del primo giudice, il gravame si rivela pertanto irricevibile.
5.
La ricorrente chiede altresì che l'imputato, riconosciuto dal Pretore autore colpevole di danneggiamento, sia condannato a versarle fr. 3'390.– in risarcimento del danno materiale, del torto morale e delle spese di patrocinio. A suo dire il Pretore avrebbe dovuto applicare la legge federale concernente l'aiuto alle vittime di reati (RS 312.5) e fissare il risarcimento del danno sulla base del proprio prudente criterio, in applicazione dell'art. 42 cpv. 2 CO. Ora, in concreto il primo giudice ha rinviato la ricorrente a far valere le sue pretese davanti al foro civile. Contro tale rinvio non è dato però alcun rimedio sul piano cantonale (art. 267
cpv. 1 seconda frase CPP). Al proposito il ricorso si rivela quindi, una volta ancora, inammissibile.
6.
La ricorrente censura di arbitrio infine la condanna al pagamento di un terzo della tassa di giustizia e delle spese dell'intero procedimento, sottolineando che l'imputato è stato prosciolto dall'accusa di vie di fatto per intervenuta prescrizione dell'azione penale e non per cause a lei imputabili. Il Pretore ha motivato la ripartizione assumendo che la lite si concludeva in sostanziale parità, con la condanna dell'imputato per danneggiamento, ma con il proscioglimento dall'imputazione di lesioni semplici. Donde l'addebito di un terzo degli oneri processuali a ciascuna delle parti, mentre la rimanenza è stato posto a carico dello Stato.
a)
Nei processi di azione privata le spese
possono
essere messe a carico del querelante in caso di desistenza, di abbandono del procedimento o di assoluzione (art. 9 cpv. 3 CPP), mentre nei processi di azione pubblica le spese sono addebitate allo Stato anche in tali casi (art. 9 cpv. 4 CPP). Per converso, le spese vanno sempre poste a carico del procedente, tanto nei processi di azione privata quanto nei processi di azione pubblica, se il querelante o la parte civile ha provocato il procedimento “con dolo o per negligenza grave” (art. 9 cpv. 5 CPP). Il perseguimento per lesioni semplici secondo l'art. 123 n. 1 CP avviene solo a querela di parte. In caso di proscioglimento quindi le spese “possono”, ma non devono necessariamente essere caricate alla parte civile. L'art. 9 cpv. 3 CPP è, come si è accennato, una norma potestativa. Imperativo è soltanto l'art. 9 cpv. 5 CPP.
b)
I criteri in base ai quali la parte civile può essere tenuta a sopportare le spese di un procedimento concluso per desistenza, abbandono o assoluzione non figurano nella legge. Il rapporto della Commissione speciale per l'esame del CPP sul messaggio 11 marzo 1987 e sul messaggio aggiuntivo
bis
del 9 luglio 1992 del Consiglio di Stato concernenti la revisione totale del CPP precisa quanto segue: “Il principio è che chi ha provocato con una denuncia avventata o con un comportamento leggero e negligente un procedimento penale a carico di un terzo, può essere condannato a pagare tutte o una parte delle spese cagionate” (Raccolta dei verbali del Gran Consiglio, sessione ordinaria autunnale 1994, vol. 2, pag. 1223). Nessuno pretende che nella fattispecie la ricorrente abbia provocato il procedimento con dolo o per negligenza grave. La questione è dunque di sapere se essa abbia provocato il procedimento “con una denuncia avventata o con un comportamento leggero e negligente”. In caso contrario le spese vanno assunte dallo Stato.
c)
Nella fattispecie riesce impossibile scorgere avventatezza o leggerezza nella denuncia della ricorrente. Intanto è fuori discussione che costei ha subìto una botta, tanto che lo stesso Pretore ha riconosciuto l'imputato “colpevole di vie di fatto” (sentenza, consid. 4, pag. 5 in alto). Oltre a ciò, la ricorrente non ha sporto querela solo per lesioni semplici, ma – sussidiariamente – anche per vie di fatto. Non si può dunque rimproverarle di avere agito con avventatezza o con leggerezza solo per non essere stata in grado, nella querela, di qualificare con precisione l'illecito dal profilo giuridico. In concreto non soccorrevano dunque i presupposti per addebitarle gli oneri processuali, come ha fatto il Pretore. Su questo punto il ricorso è fondato e la sentenza impugnata va riformata (art. 296 cpv. 1 CPP), nel senso che il terzo delle spese caricato dal primo giudice alla parte civile va assunto dallo Stato.
7.
Gli oneri del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente nella misura in cui il gravame è irricevibile, che può equamente essere stimato in tre quarti; devono invece essere poste a carico dello Stato per il resto, ovvero per quanto riguarda le spese di prima sede (art. 15 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,001 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
9b923bbd-bba6-5776-a062-cd6adb74309f | 000.–, con l’avvertenza che la stessa dev’essere pagata entro 3 mesi, ritenuto che in caso di mancato pagamento, sarà commutata in arresto (art. 49 n. 3 vCP). Ha dipoi rinviato la parte civile (PC 1) al competente foro civile per ogni sua pretesa. Al decreto di accusa, RI 1 ha sollevato opposizione.
Con decreto di accusa dell’11 dicembre 2006 il Sostituto Procuratore pubblico ha ritenuto RI 1 autore colpevole di contravvenzione alla legge federale sugli stupefacenti, per avere, senza essere autorizzato, nel periodo da maggio 2006 al 13 novembre 2006, acquistato per il proprio consumo personale e consumato un imprecisato quantitativo di cocaina, ma almeno 42 g, sostanza acquistata nella misura di 40 g da _ al prezzo di fr. 120.– il grammo e nella misura di 2 grammi da cittadini africani non meglio identificati. In applicazione della pena, egli ne ha proposto la sua condanna a una multa di
fr. 400.–, con l’avvertenza che la stessa deve essere pagata entro 3 mesi, ritenuto che in caso di mancato pagamento, sarà commutata in arresto (art. 49 n. 3 vCP). Al decreto di accusa RI 1 ha sollevato opposizione.
B.
Statuendo sull’opposizione, con sentenza del 31 maggio 2007 il giudice della Pretura penale ha dichiarato RI 1 autore colpevole di disobbedienza a decisioni dell’autorità e di ripetuta contravvenzione alla legge federale sugli stupefacenti, condannandolo a una multa di fr. 1
400.–, con l’avvertenza che in caso di mancato pagamento la pena detentiva sostituiva è fissata in 14 giorni (art. 106 cpv. 2 CP). Respinte le richieste risarcitorie di PC 1, parte civile, egli ha condannato RI 1 a corrispondere alla stessa parte civile fr. 500.– a titolo di ripetibili.
C.
Contro tale sentenza RI 1 ha inoltrato il 4 giugno 2007 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi scritti del gravame, presentati il 10 luglio successivo, egli chiede in via principale l’accertamento della nullità della sentenza impugnata per tardiva notifica e, in via subordinata, il proscioglimento dall’imputazione di disobbedienza a decisioni dell’autorità.
D.
Con scritto del 7 agosto 2007 il Procuratore pubblico che ha emanato il primo decreto di accusa ha chiesto la conferma della sentenza impugnata. Con osservazioni del 16 agosto 2007 il Sostituto Procuratore pubblico che ha emanato il secondo decreto di accusa ha chiesto la reiezione del ricorso. La medesima conclusione è stata postulata dalla parte civile PC 1 con osservazioni del 17 agosto 2007. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorrente sostiene in primo luogo che durante il dibattimento egli avrebbe comunicato che si sarebbe trasferito a _ entro pochissimi giorni. Aveva spiegato ai presenti che avrebbe iniziato una nuova professione quale cuoco e gerente in un ristorante con piano bar con vista mare a _, sull’isola citata. La stessa dichiarazione di ricorso inoltrata contro la sentenza impugnata, prosegue il ricorrente, indica come sua residenza _. Sennonché, obietta il ricorrente, da un contatto telefonico avuto con il suo avvocato non risulta che la sentenza di primo grado gli sia stata notificata tramite consolato elvetico a _, e ciò nonostante che le persone presenti al dibattimento, gli avevano fatto gli auguri per la sua nuova attività. Neppure successivamente è risultato che egli abbia ricevuto la sentenza nel luogo ove si era nel frattempo stabilito. La sentenza all’indirizzo del patrocinatore, che aveva comunicato la sua assenza per il periodo 20–30 giugno 2007 – rileva il ricorrente – è stata intimata il 26 giugno 2007 (act. 2 annesso al ricorso), per essere ritirata dalla collaboratrice dell’ avv. _, cui era stata spedita. Quanto al fatto che la busta contenente la sentenza pretorile rechi la data 20 giugno 2007, puntualizza il ricorrente, la circostanza si riferisce verosimilmente al giorno in cui la decisione è pervenuta all’ufficio postale di Lugano 1. In quella data però, egli rileva, la busta non era presente nella casella; non è da escludersi, a suo giudizio, che l’avviso di ricezione sia stato inserito per errore dalla Posta in un’altra casella e solo successivamente in quella del collega del suo patrocinatore. Comunque sia, egli obietta, la sentenza impugnata è stata intimata (
recte
: ritirata) il 26 giugno 2007; a fare stato è perciò tale data. Dopo aver premesso che giusta l’art. 7 cpv. 1 CPP l’intimazione delle sentenze penali avviene per invio postale o per mezzo di usciere o della polizia e che giusta l’art. 7 cpv. 2 CPP tornano applicabili per analogia le disposizioni del codice di procedura civile (CPC), segnatamente gli art. 120–126 CPC, il ricorrente ricorda che, in base all’art. 122 CPC, se il destinatario è assente dal Cantone, ma è noto il luogo ove egli si trova, gli atti giudiziari possono essere notificati nei modi consentiti dai regolamenti postali o per il tramite dell’Autorità giudiziaria del luogo, riservate le disposizioni dei Trattati, mentre che – in base all’art. 123 cpv. 1 CPC – qualora il destinatario sia assente dal Cantone e la sua residenza sia ignota, la notifica avviene mediante pubblicazione sul Foglio Ufficiale. Ricordato una volta di più che la sua dimora e la sua attività ex art. 120 cpv. 2 CPC si trovano a _, come da lui indicato al processo, egli insiste nel far valere che la sua assenza dal Cantone era notoria, il che imponeva di fare capo, per la notifica della sentenza, unicamente agli art. 122 e 123 CPC. Il ricorrente sostiene che “a prescindere dal fatto che non è dato sapere come intenda avvenire l’intimazione all’accusato” che ha ricevuto nel frattempo la copia della sentenza tramite lo studio dell’avv. _, “l’art. 276 cpv. 3 CPP impone la notifica delle motivazioni della sentenza penale entro 20 giorni sotto pena di nullità”. Trattasi, sempre secondo il ricorrente, di un termine perentorio, il cui mancato rispetto comporta la nullità della sentenza stessa (art. 276 cpv. 3 CP). Orbene, conclude il ricorrente, non solo “non è dato sapere come intenda avvenire la notificazione” all’accusato a _ ai sensi degli art. 122ss CPC, ma è pure “assodato che la sentenza impugnata è stata ritirata il 26 giugno 2006”, ossia oltre il citato termine di 20 giorni prescritto dall’art. 276 cpv. 3 CPP. Evidente quindi l’errore di procedura nell’intimare la decisione oltre tale termine. Basti considerare – puntualizza il ricorrente – i principi che regolano gli invii delle disdette di lavoro e di locazione, ove fa stato la data di ricezione e non di spedizione.
2.
Nella misura in cui il ricorrente richiama gli art. 120 segg. CPC (v. art. 7 cpv. 2 CPP) per dolersi delle modalità con le quali è stata intimata (a lui medesimo) la sentenza impugnata, il ricorso sfugge a ogni disamina di merito e va perciò dichiarato inammissibile. Giacché dalla pretesa disattenzione di tali norme da parte della cancelleria della Pretura penale, segnatamente dell’art. 122 CPC, rispettivamente – dandosene il caso – dell’art. 123 CPC, il ricorrente per finire non trae alcuna conclusione, ossia non pretende che sia da invalidare la notifica della sentenza avvenuta al suo domicilio di _ . Il motivo di nullità egli lo ravvisa invece solo nel fatto che la Pretura penale ha notificato la decisione impugnata al suo patrocinatore oltre il termine perentorio previsto dall’art. 276 cpv. 3 CPP (v. richiesta di giudizio principale). Le considerazioni sui principi che regolano la notificazione degli atti giudiziari nel procedimento civile si rivelano infruttuose. In effetti, che nella dichiarazione di ricorso del 4 giugno 2004 il patrocinatore del ricorrente accenni al fatto – non ravvisabile negli atti del processo – che l’accusato risieda a _ non basta, poiché non solo non ha indicato alcun preciso recapito del mandante (e ciò nemmeno al momento di presentare il ricorso), ma nemmeno ha chiesto che la sentenza gli fosse intimata in quel luogo. Egli si è invece limitato a chiedere che la sentenza fosse spedita allo studio dell’avv. _, data la sua assenza dal 20 al 30 giugno 2007. Del resto, dal preteso vizio di procedura, il ricorrente non ha tratto pregiudizio di sorta, ove solo si consideri che egli ha comunque potuto impugnare, per tramite il suo patrocinatore, la sentenza di primo grado, di cui ha peraltro potuto prendere conoscenza – almeno in copia – presso il citato studio legale. Nella misura in cui il ricorrente pretende invece di ravvisare un motivo di nullità nel mancato rispetto da parte della Pretura penale del termine di 20 giorni imposto dall’art. 276 cpv. 3 CPP per notificare alle parti – una volta che il giudice ha proceduto alla comunicazione orale dei dispositivi del suo giudizio – le motivazioni della sentenza, sotto pena di nullità, segnatamente per avere il patrocinatore ricevuto la sentenza solo il 26 giugno 2007 o tutt’al più il 20 giugno 2007 e, quindi, oltre il citato termine, il ricorso non manca di disinvoltura. Difeso da un avvocato, al ricorrente non può infatti sfuggire che, per stabilire se la Pretura penale ha rispettato il termine di 20 giorni concessole dal codice di rito per notificare alle parti la motivazione della propria decisione, non ci si deve dipartire dal giorno in cui la parte interessata ha ricevuto la sentenza, ma – evidentemente – dal giorno in cui la stessa decisione è stata consegnata alla posta per essere notificata agli interessati. E nella fattispecie la sentenza impugnata è stata spedita il 19 giugno 2007 (v. annesso 3 al ricorso), ossia al diciannovesimo giorno a partire dalla comunicazione orale dei dispositivi della sentenza stessa, avvenuta il 31 maggio 2007. Fosse pertinente l’obiezione del ricorrente, ossia che determinante al riguardo è il
dies
di consegna effettiva alla parte interessata della raccomandata, per non incorrere nel rischio di vedersi annullata la propria decisione, l’autorità giudicante si vedrebbe costretta a intimare le sentenze – sia quelle pretorili, che quelle delle Corti di assise – ben prima della scadenza del termine di 20 giorni (art. 276 cpv. 3 e 263 cpv. 1 CPP) rispettivamente di 30 giorni (art. 263 cpv. 2 CPP), in modo da far sì che l’interessato la riceva prima dello spirare del relativo termine. Il che costituirebbe una assurdità (CCRP, sentenza del 26 ottobre 2007, inc.n. 17.2007.62, consid. 2; CCRP, sentenza dell’11 febbraio 2008, inc.n.17.2008.3 consid. 2).
3.
Secondo il ricorrente la condanna per disobbedienza a decisione dell’autorità sarebbe conseguente a una errata applicazione del diritto sostanziale (art. 288 lett. a CPP), rispettivamente a un arbitrario accertamento dei fatti (art. 288 lett. c CPP). A quest’ultimo riguardo, giova ricordare che arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371), ritenuto altresì che secondo giurisprudenza, per essere annullata, una sentenza deve essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (cfr. DTF 133 I consid. 3.1 pag. 153).
4.
Stando alla sentenza impugnata, il 21 maggio 1996 è stata iscritta a registro di commercio la ditta _, con sede nell’allora comune di _, che ha tra l’altro quale scopo la gestione, la compravendita di bar, ristoranti, ecc. e in cui l’accusato figurava quale socio e gerente della società con diritto di firma individuale, unitamente ad altre due persone. Il 12 aprile 2004 la ditta è stata dichiarata sciolta d’ufficio, poiché priva di recapito (art. 88a e 86 ORC). Di conseguenza, l’accusato è stato iscritto quale socio, gerente e liquidatore della società, con firma individuale (sentenza, pag.4).
Con decisione 28 aprile 2003, sempre stando a quanto riportato in sentenza, la II Camera civile del Tribunale di appello, in parziale accoglimento dell’appello 11 novembre 2002 presentato da PC 1 contro la sentenza del Pretore del Distretto di _, del 29 ottobre 2002, ha condannato la _ a riversare la somma di fr. 20
000.– sul libretto di risparmio nominativo , intestato a PC 1, della _, oltre interessi usuali applicati dalla banca per tali libretti a far tempo dal 17 dicembre 1998 (sentenza, pag. 4). Adito su ricorso della _, con sentenza del 6 ottobre 2003 il Tribunale federale ha respinto il gravame (sentenza, pag. 4). Il 1° aprile 2004, PC 1 ha spiccato un precetto esecutivo civile nelle forme previste dagli art. 488 segg. CPC, chiedendo la condanna della società a riversare la somma di fr. 20
000.– oltre accessori sul citato libretto di risparmio, citando quale titolo di credito le sentenze della II Camera civile del Tribunale di appello e del Tribunale federale (sentenza, pag. 5). Con sentenza resa nel corso del mese di agosto 2004, passata in giudicato, la Pretura del Distretto di _, ha respinto l’opposizione dell’escussa; a tale decisione è poi seguito il decreto esecutivo del 17 settembre 2004, con cui la stessa Pretura ha fatto ordine alla _ di riversare quanto stabilito nelle citate sentenze, il tutto sotto le comminatorie dell’art. 292 CP (sentenza, pag. 5). Con scritto di data 22 settembre 2004 RI 1, nella sua qualità di socio gerente e liquidatore della _, ha comunicato alla Pretura che aveva preso atto della decisione del 17 settembre 2004 e che la società era stata liquidata senza attivi (sentenza, pag. 5). Al che è seguita la lettera 27 settembre 2004 del patrocinatore del creditore, con cui ha ingiunto alla ditta, per il tramite dell’avv. _, di eseguire la prestazione in rassegna entro e non oltre cinque giorni, pena l’avvio di un procedimento penale. Ricevuto uno scritto dell’avv. _ con cui questi comunicava la sua estraneità alla fattispecie, con lettera del 10 ottobre 2005 PC 1 ha ribatito la propria pretesa, per poi presentare, il 24 ottobre successivo, denuncia penale al Ministero pubblico nei confronti, tra l’altro, della _ e del suo socio gerente e liquidatore RI 1. Da qui il decreto di accusa che ci occupa, al quale l’accusato ha sollevato opposizione, come visto, senza successo, il giudice della Pretura penale avendo confermato l’imputazione di disobbedienza a decisioni dell’autorità.
5.
Nel chiedere il proscioglimento dall’imputazione, il ricorrente obietta anzitutto di avere indicato che la società non disponeva di liquidi e neppure di entrate, ciò che è del resto logico, poiché la società liquidata non dispone più dell’esercizio pubblico. Anzi, vi sono ancora in sospeso delle fatture derivanti da contratti di fornitura. L’argomento non gli giova. Nel vagliare la questione, il giudice della Pretura penale ha ritenuto che tale tesi non potesse essere seguita, già per il solo fatto che dagli atti non risulta che la società fosse priva di liquidità, né tanto meno che fosse oberata di debiti, la stessa essendo del resto stata sciolta d’ufficio e posta in liquidazione unicamente poiché priva del necessario recapito, ai sensi dell’art. 88a e 86 ORC e non per altro motivo (sentenza, pag. 12). Perché tale convincimento sarebbe arbitrario, il ricorrente per ora non solo non spiega, ma nemmeno pretende. Non può perciò che discenderne l’inammissibilità del rimedio.
6.
Il ricorrente sostiene, poi, che la parte civile ha fatto emettere un precetto esecutivo civile, evitando così scientemente di far capo alle vie ordinarie della Legge federale sull’esecuzione e sul fallimento. Giacché tramite la procedura scelta dal creditore, la società veniva obbligata a pagare. La sua condanna, egli rileva, risiede perciò nel fatto che egli ne risponde personalmente quale organo. Il motivo per il quale la parte civile non abbia voluto emettere un precetto esecutivo ordinario, sempre secondo il ricorrente, è semplice; sapeva perfettamente che la ditta non aveva liquidi e che una procedura di fallimento non avrebbe portato a nulla. Per questa ragione egli ha preferito coinvolgere l’organo della ditta, aggirando però le norme della LEF, volte a garantire la parificazione dei debitori davanti a una procedura fallimentare. Non facendo propria la tesi difensiva, conclude il ricorrente, il primo giudice ha violato il diritto federale. Anche in questo caso il ricorrente si avvale di argomenti del tutto inadatti allo scopo. Giacché il primo giudice ha ben spiegato perché non si doveva far capo alla procedura esecutiva ordinaria, rilevando che la prestazione richiesta alla _, – consistente nell’obbligo di riversare su un libretto di risparmio una determinata somma di denaro – non rientra nel novero di quelle per le quali si applica esclusivamente la LEF e che, del resto, la società escussa non ha nemmeno impugnato la sentenza che sarebbe stata a suo giudizio emanata in dispregio della LEF. Indugiare oltre sulle questioni sollevate nel ricorso in questo specifico contesto, non ha perciò senso, dato che il tema del contendere ha trovato definitiva e corretta soluzione nella procedura esecutiva civile a monte. Manifestamente infondato, il ricorso non può che essere disatteso.
7.
Nei punti 2.4, 2.5 e 2.6 del ricorso, il ricorrente ritorna sull’argomento, secondo cui mancavano e mancano tuttora le finanze, per poi asserire che il tentativo di fargli pagare di tasca propria un debito della società collide anche con il Codice delle obbligazioni, rispettivamente con i diritti e le responsabilità degli organi di una società; rileva quindi che non si poteva e non si può tentare di aggirare l’art. 802 CO, obbligando in pratica un organo a pagare di tasca propria un presunto creditore della società. Infine il ricorrente fa valere che in realtà le autorità inquirenti e il giudice hanno sovvertito l’onere – che loro incombeva – di provare la colpevolezza, rispettivamente l’innocenza dell’imputato. In altri termini, essi non si sarebbero attivati per sovvertire o contraddire l’affermazione secondo cui la società non deteneva nessun bene, trascurando pure il fatto che il fratello si è assunto la responsabilità al posto dell’accusato e che l’imputato, non giurista, non aveva motivi per non fidarsi del fratello avvocato. Questi lo tranquillizzò in merito al fatto che il precetto civile era indirizzato alla società (peraltro neppure indicata correttamente), col che l’assenza del dolo (eventuale) era data anche dal fatto che non vi era neppure più l’unica fonte di entrata: la locazione dell’esercizio pubblico.
Ancora una volta il ricorrente argomenta in modo improprio, ossia dimenticando che di fronte all’accertamento di non poco conto, secondo cui non risulta che la società fosse priva di liquidità, né tanto meno oberata da debiti – visto che la stessa era stata sciolta d’ufficio e posta in liquidazione per motivi estranei alla sua solvibilità – egli non può semplicemente disquisire a ruota libera con considerazioni di chiara connotazione appellatoria e finanche fuori tema; specie nella misura in cui, nonostante la citata chiara presa di posizione del giudice sulle condizioni economiche della società, egli si propone di uscire dall’impasse sostenendo semplicemente che non spettava a lui, ma al Procuratore pubblico o perfino al giudice della Pretura penale stesso dimostrare il contrario, ossia che la ditta poteva invece dar seguito all’ordine tassativo impostogli dall’autorità sotto comminatoria dell’art. 292 CP nonostante la conclamata illiquidità. Né giova al ricorrente appellarsi all’arbitrio – peraltro solo alla fine del suo inconcludente esposto e di passata – dato che nel memoriale ricorsuale vengono sorvolati i principi che regolano un procedimento conseguente all’applicazione dell’art. 292 CP; procedimento che non consente un libero riesame della fattispecie a monte dell’imputazione. Certo, formalmente l’ordine del giudice civile era stato impartito alla _ e non al qui ricorrente. Il primo giudice ha però spiegato, peraltro correttamente, perché per finire spettava allo stesso accusato – unico organo della società – eseguire l’ordine in nome e per conto della ditta (sentenza, pag. 12). Sennonché, il ricorrente non si confronta con questa argomentazione.
8.
Da quanto precede, nella limitata misura in cui è ammissibile il ricorso deve essere respinto, siccome manifestamente infondato. Gli oneri processuali seguono la soccombenza, ossia sono posti a carico del ricorrente (art. 15 cpv. 1 in combinazione con l’art. 9 cpv. 1 CPP), che rifonderà a PC 1, che ha presentato osservazioni al ricorso tramite un avvocato, fr. 1
000.– per ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,008 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
9bb7bd76-3969-5ed1-98a1-93658b014ac9 | in fatto: A.
Con decreto di accusa del 14 luglio 2003 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _, assistente di cura presso il “Centro _ ” del Comune di _, autore colpevole di vie di fatto aggravate per avere, tra la fine del 2001 e il luglio del 2002:
a)
inflitto ripetuti pizzicotti, provocando urla di dolore,
b)
inferto reiterate ginocchiate alle gambe,
c)
afferrato con una mano e stretto con una morsa al fianco destro,
d)
dato spintoni e strattonato,
e)
percosso con un calcio alle natiche e
f)
colpito in un'occasione al viso con una ciabatta scagliata da pochi metri
l'ospite dell'istituto _ (1922-2003), infermo e incapace di difendersi. In applicazione della pena, egli ha proposto la condanna di _ a trenta giorni d'arresto sospesi condizionalmente per un anno. L'accusato è stato prosciolto invece dall'imputazione di molestie sessuali verso colleghe di lavoro per mancanza di valida querela, subordinatamente per insufficienza di prove. Il 23 luglio 2003 _ ha sollevato opposizione al decreto di accusa. Statuendo sull'opposizione, con sentenza del 5 novembre 2003 il giudice della Pretura penale ha confermato le imputazioni e la proposta di pena.
B.
Contro la sentenza appena citata _ ha introdotto il 6 novembre 2003 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione del gravame, presentata il 5 dicembre successivo, egli lamenta vizi essenziali di procedura e si duole di arbitrio, rimproverando al primo giudice di non avere accertato quando sarebbero avvenuti i fatti ascrittigli nel decreto di accusa (capi d'imputazione compresi dalla lett. a alla lett. e), rispettivamente di essere caduto in arbitrio omettendo di accertarne la prescrizione (capo d'imputazione enunciato alla lett. f). Invitato a esprimersi, con osservazioni del 9 gennaio 2004 il Procuratore pubblico propone di respingere il ricorso in quanto ammissibile. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorrente fa valere anzitutto, in ordine, che “contrariamente allo spirito e alle lettere dell'art. 184 CPP il Procuratore pubblico non [gli] ha mai comunicato la promozione dell'accusa” (memoriale, punto I.1). Ora, il ricorso per cassazione fondato su vizi essenziali di procedura è dato, purché l'irregolarità sia stata eccepita “non appena possibile” (art. 288 lett. b CPP, cui rinvia l'art. 278 CPP). In concreto il ricorrente afferma che i diritti derivantigli dagli art. 57, 60, 61 e 62 CPP (partecipazione della difesa all'assunzione delle prove in sede predibattimentale) sono stati “vanificati e irrisi” da nove mesi di “indagini sotterranee”, al termine delle quali egli è stato interrogato una sola volta dal Procuratore pubblico, il 23 giugno 2003. Sta di fatto però ch'egli non risulta avere sollevato tale critica prima d'ora. Nulla si evince al riguardo dal verbale del dibattimento né, per avventura, dalla sentenza impugnata. Già di primo d'acchito l'argomentazione si rivela quindi irricevibile.
Si aggiunga che, ad ogni modo, la censura risulterebbe infondata. Certo, l'art. 184 cpv. 1 CPP dispone che ove il Procuratore pubblico, esaminata la denuncia e gli atti delle informazioni preliminari, trovi motivi sufficienti per promuovere l'accusa, “vi provvede sollecitamente con comunicazione formale all'accusato e alle parti, e procede all'istruzione del processo”. Se non che, trattandosi di emanare un decreto di accusa, egli non è tenuto ad aprire alcuna istruzione formale. Al contrario: l'art. 207
a
CPP prevede esplicitamente che “il decreto di accusa può essere formulato a qualsiasi stadio del procedimento, in specie dopo le informazioni preliminari, senza promuovere l'accusa e senza procedere all'istruzione formale” (lett. a). Il ricorrente evoca “lo spirito della revisione legislativa voluta nel Parlamento nel 1994”, ma disconosce che il legislatore è intervenuto dopo di allora proprio per “abolire l'obbligatorietà dell'istruzione prima dell'emanazione di un decreto di accusa, ripristinando parzialmente la situazione procedurale vigente prima della riforma globale del CPP” (Raccolta dei verbali del Gran Consiglio, anno parlamentare 1998–1999, vol. 2, pag. 1495 in basso). Né ciò lede, in antitesi a quanto egli crede, il principio della parità delle armi, poiché sollevando opposizione al decreto di accusa il prevenuto può far valere tutti i suoi mezzi di difesa davanti a un giudice indipendente e imparziale, munito di pieno potere cognitivo.
È appena il caso di ricordare, per di più, che nella misura in cui si duole di non avere potuto assistere agli interrogatori di polizia il ricorrente non ha subìto alcun pregiudizio. Se appena l'accusato o il suo difensore ne fanno richiesta, invero, i verbali di siffatti interrogatori possono essere usati nei confronti dell'accusato medesimo solo dopo essere stati “chiariti dinanzi al magistrato”, ossia davanti al Procuratore pubblico o – dandosi il caso – al giudice della Pretura penale (art. 61 cpv. 3 CPP;
Rusca/Salmina/ Verda
, Commento del CPP, Lugano 1997, n. 21 in fine ad art. 61). In concreto il ricorrente ha fruito di tale possibilità, appunto, quando è stato sentito dal Procuratore pubblico il 23 giugno 2003 (act. 18). Si ricordi poi che davanti al Procuratore pubblico il prevenuto può sempre chiedere l'assistenza di un difensore, salvo contrarie esigenze d'inchiesta (art. 61 cpv. 1 CPP). Asserire quindi che nel caso specifico “tutti i diritti della difesa (...) sono stati semplicemente vanificati e irrisi dalla procedura adottata dal magistrato inquirente” è, a dir poco, fuori luogo.
2.
In ordine il ricorrente sostiene altresì che il giudice della Pretura penale ha limitato i suoi diritti di difesa accettando che la testimone a carico _, chiamata a deporre dal Procuratore pubblico, rifiutasse senza giustificazione (art. 121 CPP) di precisare se avesse lasciato l'impiego presso il “Centro _ ” perché impressionata dai maltrattamenti subìti da _ o – piuttosto – perché segnata da un'infelice relazione sentimentale con un dipendente dell'istituto stesso (memoriale, punto I.2). La doglianza è una volta ancora irricevibile. Nel verbale del dibattimento non figura che il primo giudice abbia respinto domande della difesa, né che la testimone abbia declinato di rispondere a domande della difesa, né che la difesa abbia censurato alcunché (pag. 2 in basso). Dalla sentenza impugnata si desume unicamente che nel corso dell'audizione il patrocinatore dell'accusato aveva “cercato, pur solo accennandone e limitandosi a una vaga allusione, di condurre il motivo delle dimissioni a una problematica relazione sentimentale [della testimone] con un dipendente della cucina” (pag. 17, consid. 7.2), ma non che la testimone abbia rifiutato di deporre o che la difesa abbia sollevato un qualsivoglia incidente. Non sono date quindi, su questo punto, le premesse dell'art. 288 lett. b CPP.
3.
Ancora in ordine il condannato rimprovera al primo giudice di non avere ordinato, al dibattimento, che i testimoni sentiti lasciassero l'aula, impedendo così una loro riassunzione (memoriale, punto I.3). Ora, a norma dell'art. 244 cpv. 3 CPP “le parti hanno (...) diritto di richiedere che determinati testimoni siano allontanati, dopo il loro esame, dalla sala di udienza, per esservi chiamati più tardi ed esaminati di nuovo da soli o in confronto con altri testimoni”. Dal verbale del dibattimento si evince che il mattino del 4 novembre 2003, dopo l'escussione di _, _, _ e _, l'accusato ha preteso l'allontanamento di costoro, ma che il giudice ha respinto la domanda “alla luce del principio della pubblicità delle udienze e considerato che non sarà disposta alcuna ulteriore audizione dei testi, già sentiti peraltro a più riprese nell'ambito dell'istruttoria preliminare” (pag. 3 in fondo). Sollevata tempestivamente, la censura in esame è quindi proponibile. Ciò non toglie che in realtà essa non sia in alcun rapporto con l'ordine del processo. Il ricorrente assevera che la decisione del primo giudice gli ha precluso “l'accertamento di quei fatti e di quelle circostanze che risultano sostanziali per l'accertamento delle infrazioni contestate (...), in particolare per quanto attiene alla corretta collocazione temporale degli stessi” (memoriale, pag. 6 verso l'alto). Il primo giudice ha spiegato chiaramente, tuttavia, perché non ha fatto uscire i testimoni dall'aula. Né il ricorrente assume che testimoni, i quali non siano più chiamati a deporre, debbano lasciare la sala (l'art. 122 cpv. 1 in fine CPP, per altro, non prevede nulla del genere). Mal si intravedono perciò vizi di procedura.
Diversa è la questione di sapere se il primo giudice abbia respinto a torto l'eventuale riassunzione dei quattro testimoni, rifiutando con arbitrio di procedere ad accertamenti di rilievo per la sentenza. L'interrogativo tuttavia non riguarda eventuali vizi di procedura, bensì la valutazione delle prove. La giurisprudenza ha già avuto modo di precisare che una parte ha diritto per principio all'assunzione (o alla riassunzione) delle prove offerte, tanto in una causa civile quanto in un procedimento penale o amministrativo, ma che l'autorità può rinunciare ad assumere (o a riassumere) quei mezzi istruttori il cui presumibile risultato non porterebbe elementi di rilievo (“apprezzamento anticipato delle prove”: DTF 124 I 211 consid. 4a, 122 V 162 consid. 1d, 122 II 469 consid. 4a, 121 I 306 consid. 1b, 120 Ib 229 consid. 2b). Sapere se il primo giudice abbia scartato a ragione l'utilità di risentire i quattro testimoni è un quesito che attiene perciò – si ripete – alla valutazione delle prove, non alla forma del processo. E sotto questo profilo il ricorrente non indica quali circostanze essenziali il giudice avrebbe omesso di accertare, né spiega perché i testimoni non potessero essere interrogati subito sul momento in cui avevano fatto le loro constatazioni. Ne segue, una volta ancora, l'inconsistenza del ricorso.
4.
Nel merito il ricorrente muove critiche alla sentenza impugnata per quanto riguarda l'accertamento dei fatti, affermando che al momento della condanna l'episodio rubricato alla lett. f dell'atto di accusa era ormai prescritto e che il primo giudice è giunto a una conclusione contraria apprezzando le prove con arbitrio (memoriale, punto II.1). Ora, il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288 lett. a e b CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono sindacabili unicamente qualora la sentenza impugnata denoti estremi di arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche erroneo, bensì apertamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura a norma dell'art. 288 lett. c CPP non basta dunque criticare la sentenza impugnata né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di arbitrio. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con rinvii).
a)
Il ricorrente non nega “l'episodio della pantofola” narrato da _ (lett. f del decreto di accusa, appunto), ma eccepisce ch'esso è avvenuto nell'estate del 2001 e non nel maggio del 2002, come ha accertato il giudice della Pretura penale. Egli rileva che la testimone aveva cominciato la sua attività al “Centro _ ” nel luglio del 2000, era passata a prestare servizio al secondo piano dell'istituto nel maggio del 2001 e per finire aveva lasciato l'impiego nel settembre del 2002. Raccontando di fatti accaduti quando si trovava “da qualche tempo” al secondo piano, essa si riferiva pertanto – secondo il ricorrente – a circostanze verificatesi ancora nel 2001. Nel maggio del 2002 inoltre la stagista non risulta essere stata di turno con lui “per rifare il letto all'ospite _ ”, di modo che solo un'indagine più approfondita avrebbe permesso al giudice di accertare l'intervenuta prescrizione (memoriale, punto II.1).
L'argomentazione potrebbe essere dichiarata una volta ancora irricevibile. Per valersi dell'art. 288 lett. c CPP, in effetti, non basta lamentare arbitrio. Occorre anche illustrare in che cosa l'arbitrio consista. Il ricorrente si limita a contrapporre il proprio punto di vista a quello del primo giudice, ma non spiega perché, valutando liberamente la testimonianza di _, il primo giudice avrebbe tratto conclusioni – oltre che erronee – insostenibili, destituite di fondamento serio e oggettivo o in aperto contrasto con gli atti. L'interessato motiva il ricorso per cassazione con tesi meramente appellatorie, come se si rivolgesse a un'autorità munita di pieno potere cognitivo anche nell'apprezzamento delle prove, dimenticando che per dimostrare estremi di arbitrio non basta allegare una diversa versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre illustrare perché la sentenza impugnata offenderebbe finanche il sentimento di giustizia ed equità. In questa prospettiva il ricorso è del tutto carente.
b)
Giovi soggiungere che, comunque sia, nel caso in esame la valutazione della testimonianza è esente da arbitrio. Il giudice della Pretura penale ha accertato che “_ non ha mai avuto tentennamenti nel precisare il periodo in cui è avvenuto l'episodio”, verificatosi quando essa era “già da qualche tempo” al secondo piano, dopo avere trascorso “circa un anno” al primo. Che i “piani di lavoro” del maggio 2002 non prevedessero turni della stagista in coppia con l'accusato – ha proseguito il giudice – poco importa. Intanto perché i documenti in questione sono meri “canovacci di massima” scritti a matita, spesso pasticciati, rigati e incompleti. Inoltre perché una tirocinante può essere chiamata a collaborare anche in modo estemporaneo ai compiti più disparati, come quello di rifare un letto (mansione che dura al massimo due minuti). Infine perché non risultava che nel maggio del 2001 la testimone e l'accusato avessero lavorato insieme. Anzi, ammesso e non concesso che fossero di qualche attendibilità, i piani di lavoro del maggio 2001 nemmeno figuravano agli atti (sentenza impugnata, consid. 8 e 9).
Di fronte alle argomentazioni del ricorrente la motivazione testé riassunta resiste senz'altro alla critica. L'accusato non contesta, in effetti, che la testimone “non ha mai avuto tentennamenti” sul periodo in cui si è verificato l'episodio. Del resto, se l'interessata ha cominciato a lavorare per l'istituto nel luglio del 2000, è passata a prestare servizio al secondo piano nel maggio del 2001 e ha assistito all'evento “dopo qualche tempo”, la conclusione del primo giudice, stando al quale l'episodio si è verificato nel maggio del 2002, appare senz'altro verosimile. A maggior ragione se si pensa che nel suo primo verbale di polizia, del 23 dicembre 2002, l'interessata aveva situato il fatto proprio “nel maggio del corrente anno” (sentenza impugnata, pag. 23 in alto). Il ricorrente fa risalire genericamente l'accaduto all'estate del 2001, ma solo perché l'episodio è avvenuto “dopo qualche tempo” rispetto al maggio del 2001. Ciò non basta lontanamente per mettere in dubbio la deposizione della testimone. Circa i “piani di lavoro”, il ricorrente non contesta trattarsi di minute disordinate e lacunose, salvo definirle “documenti ufficiali” (memoriale, pag. 7 in fondo), ciò che nulla muta all'inaffidabilità dei brogliacci. Ed egli non spende una parola nemmeno sulla motivazione del primo giudice, conforme alla comune esperienza, per cui una stagista può essere chiamata in ogni momento a rifare un letto, senza che ciò figuri necessariamente su piani di lavoro. Nel risultato l'accertamento del primo giudice appare perciò del tutto condivisibile.
5.
Sempre per quanto attiene all'accertamento dei fatti, il ricorrente assevera che il primo giudice sarebbe caduto in arbitrio omettendo di situare nel tempo le accuse elencate dalla lett. a alla lett. e del decreto. E siccome tutti i capi d'imputazione (compreso quello della lett. f, esaminato poc'anzi) si esauriscono in contravvenzioni, il termine biennale di prescrizione previsto dall'art. 109 vCP (nella versione in vigore fino al 30 settembre 2002: v. RU 2002 pag. 2988) si era già compiuto – egli sostiene – al momento in cui il giudice della Pretura penale ha statuito (memoriale, punto II.2).
a)
I pizzicotti che facevano urlare di dolore _ (decreto di accusa, lett. a) – e che l'accusato più non contesta – risalgono, secondo l'accertamento contenuto nella sentenza impugnata, al periodo compreso tra il luglio del 2000 e il settembre del 2002 (consid. 3.1 in principio). Il ricorrente sostiene che “la teste _ non ha mai saputo collocare nel tempo in modo preciso queste infrazioni” e che quanto ha riferito _ è “assolutamente non credibile”, essendosi egli limitato a ripetere le affermazioni di _ (memoriale, pag. 8). A parte il fatto però che il ricorrente non invoca arbitrio di sorta, ciò che basterebbe per dichiarare l'asserto irricevibile, l'accertamento del primo giudice è senz'altro sostenibile. È vero che _ non ha specificato quando aveva visto l'accusato dare pizzicotti ad _ (act. 10, verbale del 23 dicembre 2002, pag. 2; act. 12, pag. 3 nel mezzo), tuttavia la testimone ha preso servizio al secondo piano del “Centro _ ” – stando a quanto lo stesso ricorrente assume – nel maggio del 2001, lasciando poi l'impiego nel settembre del 2002. Anche a voler essere più precisi, le constatazioni della testimone si situano pertanto fra il maggio del 2001 e il settembre del 2002. _ ha visto la stessa cosa nel maggio-giugno del 2002 (act. 11, verbale del 26 maggio 2003, pag. 1). Che le dichiarazioni di quest'ultimo coincidano con quelle di _ non è sicuramente motivo di sospetto, ma – se mai – indice di credibilità. Tanto più ove si consideri che in aula i due testimoni non risultano essersi scostati da quanto già avevano detto agli inquirenti. Il lasso di tempo indicato nel decreto di accusa (tra la fine del 2001 e il luglio del 2002) risulta perciò assolutamente verosimile.
b)
Le “ginocchiate sulle gambe” rubricate alla lett. b del decreto di accusa sono state notate da _ “qualche mese” prima del novembre 2002 (consid. 3.2 in principio). Ricondurre il fatto al luglio del 2002 non è quindi arbitrario. Il ricorrente invero contesta tali maltrattamenti, ricordando che _ non si è presentata in aula a testimoniare, che quanto costei ha dichiarato agli inquirenti figura in due semplici verbali di polizia sottratti al vaglio del contraddittorio e che la fedefacenza di simili dichiarazioni è nulla, l'infermiera in questione non essendo di alcuna attendibilità. La prima parte dell'argomentazione è finanche irricevibile. Per tacere del fatto che il ricorrente ha avuto modo di “chiarire” i due verbali di polizia davanti al Procuratore pubblico – come detto (sopra, consid. 1 in fine) – il 23 giugno 2003, l'art. 229 cpv. 2 CPP concede all'accusato dieci giorni di tempo per opporsi all'uso di risultanze istruttorie predibattimentali, termine che il giudice impartisce non appena ricevuto l'atto di accusa o l'opposizione al decreto d'accusa. In concreto il giudice della Pretura penale ha fissato il termine di dieci giorni con ordinanza del 30 luglio 2003. Il Procuratore pubblico ha chiesto il 14 agosto 2003 l'escussione – fra altri – di _. La richiesta è stata comunicata all'accusato, che si è limitato a postulare l'audizione di ulteriori testimoni. È possibile che a quel momento egli non avesse motivo per opporsi all'uso dei due verbali di polizia, contando sul fatto che in ogni modo l'interessata sarebbe stata sentita in aula. Dopo avere visto però, il mattino del 4 novembre 2003, che costei era assente ingiustificata, egli avrebbe dovuto – se non insistere per l'assunzione della prova – almeno significare la sua opposizione all'uso dibattimentale dei verbali. Invece egli ha semplicemente dichiarato, d'intesa con il Procuratore pubblico, di rinunciare alla testimone (verbale del dibattimento, pag. 3 nel mezzo). Non può quindi dolersi ora del fatto che il giudice si sia fondato sui verbali in questione ai fini del giudizio (art. 288 lett. b CPP).
Quanto all'attendibilità dei due verbali, mal si comprende quale nesso intercorra tra il licenziamento con effetto immediato di _ l'11 marzo 2003 da parte del Municipio di _ (act. 9) per omessa somministrazione di cure a determinati ospiti e la veridicità delle dichiarazioni di lei. Il solo fatto che l'interessata non assolvesse diligentemente il proprio compito ancora non significa che quanto essa ha raccontato alla polizia prima del suo licenziamento fosse inveritiero (act. 10, verbale del 5 novembre 2002). Tanto meno ove si consideri ch'essa ha confermato pienamente le sue affermazioni ancora in seguito (act. 11, verbale del 6 maggio 2003). Il ricorrente sostiene che l'interessata soffre di allucinazioni, come risulterebbe dal “diario” manoscritto allegato all'esposto che il 19 settembre 2002 _, marito di lei, ha inviato alla polizia (e dal quale ha poi preso avvio l'inchiesta: act. 2). In realtà gli appunti autografi dell'interessata contengono pesanti accuse a vari dipendenti dell'istituto (act. 11, allegato 1), ma ciò non basta lontanamente per indiziare allucinazioni. Né il ricorrente asserisce che _ avesse motivi di inimicizia nei suoi confronti. Anzi, sentito nell'ambito dell'inchiesta interna promossa dal Municipio di _, egli si è limitato a dichiarare che tale infermiera non si era “integrata nel gruppo” e di non avere con lei “alcun contatto particolare” (act. 10A, verbale del 1° ottobre 2002, pag. 4 verso il basso). Non è dato a dividere quindi perché essa avrebbe dovuto affermare il falso quando ha dichiarato il 5 novembre 2002 di averlo visto, qualche mese prima, colpire con il ginocchio gli arti inferiori di _.
c)
La testimone _ ha scorto l'accusato afferrare da tergo l'anziano (che stava mangiando) al fianco destro e stringere la presa con forza, provocando urla di dolore (decreto di accusa, lett. c), tra il maggio e il giugno del 2002 (sentenza impugnata, consid. 3.3). A torto il ricorrente fa carico quindi al primo giudice di non avere situato l'episodio nel tempo. Egli obietta altresì che la deposizione di _ non è credibile, ma non spende una parola al riguardo, salvo pretendere che quanto ha raccontato la testimone e quanto ha evocato _ (sopra, lett. a) coincidono, sicché egli è stato condannato due volte per lo stesso fatto. In realtà dei due accadimenti coincide il periodo (tra maggio e giugno del 2002), ma non la descrizione. _ ha visto l'accusato stringere violentemente l'anziano al fianco destro e ingiuriarlo con rabbia a denti stretti (act. 11, verbale del 24 aprile 2003, pag. 2). _ invece ha notato l'accusato afferrare _ sotto la scapola sinistra, “dandogli un pizzicotto molto forte, girando nel contempo la mano” e pronunciare altri insulti (act. 11, verbale del 26 maggio 2003, pag. 2 in alto). Del resto, _ non ha preteso che _ avesse assistito alla scena, mentre _ ha dichiarato di essere stato visto dall'accusato, il quale tuttavia non si è scomposto. Non solo il primo giudice non è quindi caduto in arbitrio distinguendo tra i due episodi, ma il suo apprezzamento resiste anche a libero esame.
d)
Gli spintoni e gli strattoni menzionati alla lett. d del decreto di accusa sono stati notati da _ (la quale ha preso servizio al secondo piano dell'istituto, come detto, nel maggio del 2001, per poi andarsene nel settembre del 2002), da _ (la quale ha lavorato al secondo piano dell'istituto come donna delle pulizie “per circa due anni” dal 2000 al 2002: act. 11, verbale del 24 aprile 2003, pag. 2 in alto) e da _, al dibattimento (sentenza impugnata, consid. 3.4). È vero che il primo giudice non ha proceduto ad accertamenti più precisi sul periodo incriminato, di modo che su questo punto le deposizioni di _ e di _ appaiono temporalmente troppo generiche per sorreggere il decreto di accusa. È anche vero però che le constatazioni di _ rientrano senz'altro nel lasso di tempo cui si riferisce il decreto di accusa (tra la fine del 2001 e il luglio del 2002). E le dichiarazioni di lei sono esplicite, di modo che nella misura in cui si fonda su tale deposizione la sentenza impugnata sfugge a censure di arbitrio.
e)
Il calcio alle natiche formante oggetto del capo d'imputazione rubricato alla lett. e del decreto di accusa è stato constatato, una volta ancora, da _ (sentenza impugnata, consid. 3.5), nel quadro delle circostanze da lei evocate fra il maggio del 2001 e il settembre del 2002. Il ricorrente non contesta più il fatto, limitandosi a ritenerlo prescritto. Il tema della prescrizione, di diritto, sarà trattato nondimeno al considerando che segue. Per quanto riguarda l'accertamento temporale dei fatti, la sentenza impugnata risulta in ultima analisi scevra da arbitrio.
6.
Al dibattimento l'accusato non ha eccepito la prescrizione con riferimento ai capi d'imputazione elencati dalla lett. a alla lett. e del decreto d'accusa, limitandosi a far valere l'argomento per “l'episodio della pantofola” alla lett. f (sentenza impugnata, consid. 9 in principio). Il divieto di nuove censure in cassazione non riguarda però l'applicazione del diritto sostanziale (art. 288 lett. a CPP), diversamente da quanto prevede l'art. 288 lett. b CPP per i vizi di forma. Inoltre la prescrizione va rilevata d'ufficio (DTF 116 IV 81 in fondo, 97 IV 157 in basso). Ora, l'art. 72 n. 2 cpv. 2 vCP, applicabile fino al 30 settembre 2002 (v. RU 2002 pag. 2996), stabiliva che la prescrizione assoluta dell'azione penale interveniva quando il termine ordinario di prescrizione fosse superato, in caso di contravvenzione, “col decorso di un termine pari al doppio della durata normale”. L'azione penale prescrivendosi, sempre in caso di contravvenzione, nel lasso di un anno (art. 109 vCP), la prescrizione assoluta subentrava quindi due anni dopo il compimento dell'infrazione. Il termine continuava a decorrere anche in pendenza di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale, data la natura non esclusivamente cassatoria del rimedio (art. 290 cpv. 1 e 296 cpv. 1 CPP; sulla disciplina in altri Cantoni v.
Trechsel
, StGB, Kurzkommentar, 2a edizione, n. 9 delle note preliminari all'art. 70).
a)
Di principio la prescrizione comincia a decorrere il giorno in cui è stato commesso il reato (art. 71 cpv. 1 vCP, corrispondente al nuovo art. 71 lett. a CP). Se le vie di fatto compiute dal ricorrente fossero considerate singolarmente come infrazioni a sé stanti, di conseguenza, tutto quanto precede di oltre due anni l'emanazione dell'odierna sentenza – e non solo l'emanazione della sentenza impugnata, come crede il ricorrente – sarebbe prescritto. L'art. 71 cpv. 2 e 3 vCP (identico al nuovo art. 71 lett. b e c CP) riserva tuttavia l'eventualità in cui il reato sia stato “eseguito mediante atti successivi” (nel qual caso la prescrizione decorre solo dal giorno in cui è stato compiuto l'ultimo atto) o sia “continuato per un certo tempo” (nel qual caso la prescrizione decorre solo dal giorno in cui è cessata la continuazione). Quest'ultima ipotesi (“reato permanente”) è estranea alla fattispecie, giacché vie di fatto non protraggono nel tempo una situazione illegale (nozione ed esempi di reati permanenti in: v.
Müller
, Basler Kommentar, StGB I, Basilea 2003, n. 20 ad art. 71;
Trechsel
, op. cit., n. 5 ad art. 71 CP). Giova approfondire invece l'ipotesi di un reato eseguito “mediante atti successivi”, poiché se così fosse le vie di fatto compiute dal ricorrente costituirebbero un tutt'uno.
b)
Il Tribunale federale ha rinunciato in DTF 117 IV 408 alla figura giuridica del “reato continuato”. La questione di sapere se e a quali condizioni una pluralità di infrazioni debba essere considerata alla stregua di un'unità va decisa ormai, caso per caso, sulla base di criteri oggettivi in ognuno degli ambiti in cui prima si applicava la vecchia nozione. Ciò premesso, più infrazioni formano un'unità commessa “mediante atti successivi” – sicché la prescrizione comincia a decorrere solo il giorno in cui è stato commesso l'ultimo atto (art. 71 cpv. 2 vCP, rispettivamente art. 71 lett. b CP) – qualora esse siano della stessa indole, siano commesse a pregiudizio dello stesso bene giuridico e configurino un comportamento illecito durevole (senza che sia dato un “reato permanente” nell'accezione degli art. 71 cpv. 3 nCP e 71 lett. c CP), contemplato esplicitamente o implicitamente dalla previsione di reato applicabile in concreto. La giurisprudenza ha ammesso la riunione di più infrazioni in una sola entità commessa “mediante atti successivi” in caso di amministrazione infedele (DTF 117 IV 414 consid. 2g), trascuranza degli obblighi di mantenimento (DTF 118 IV 328 consid. 2b), reati doganali (DTF 119 IV 80 consid. 2d/cc), atti sessuali con fanciulli da parte un docente di scuola elementare (DTF 120 IV 9 consid. 2c/cc), bancarotta semplice (DTF 123 IV 196), appropriazione indebita (se commessa in violazione di un unico dovere permanente: DTF 124 IV 8 consid. 3a) e corruzione (DTF 126 IV 143 consid. 1c). L'ha negata invece in caso di accettazione di doni (DTF 118 IV 309 consid. 2c), delitti contro l'onore (DTF 119 IV 199 consid. 2), truffa (quantunque perpetrata nel quadro di un rapporto d'affari fondato anche sulla fiducia: DTF 124 IV 61) e appropriazione indebita (se commessa in violazione di più doveri indipendenti: DTF 127 IV 56 consid. 1d).
c)
Che pizzicotti dati per malanimo configurino vie di fatto (tanto più ove lascino ematomi), alla stessa stregua di ginocchiate, prese dolorose ai fianchi, calci e colpi inferti con oggetti di qualche peso non è contestato – a ragione – neppure dal ricorrente (
Roth
in: Basler Kommentar, StGB II, Basilea 2003, n. 3 e 5 in fine ad art. 126;
Corboz
,
Les principales infractions en droit suisse
, vol. I, Berna 2002, n. 12 e 15 ad art. 126 CP). Meno palese è la punibilità di semplici spintoni o strattoni, che in casi normali potrebbero costituire anche semplici rudezze o rozzezze senza rilievo penale. Secondo giurisprudenza, nondimeno, costituisce via di fatto ogni comportamento aggressivo che, suscettibile di ledere l'integrità fisica senza arrecare danni alla salute, ecceda quanto è socialmente e generalmente ammesso o tollerato dall'uso (
Corboz
, op. cit., n. 2 e 4 ad art. 126 CP). Nel giudicare l'atto vanno considerati, quindi, anche l'età delle parti e l'ambiente in cui il fatto è avvenuto (
Corboz
, op. cit., n. 8 ad art. 126 CP). Spintoni o strattoni trascurabili in determinate circostanze possono assumere rilievo penale, in specie, ove connotino una violazione di doveri professionali o di sorveglianza (
Roth
, op. cit., n. 3 ad art. 126 CP). Se si pensa che in concreto _ (classe 1922) era affetto da cecità parziale, denotava problemi psichici e andava assistito negli spostamenti (sentenza impugnata, consid. 2), poiché era di equilibrio precario (loc. cit., consid. 3.4 in fine) e talvolta era persino difficile farlo camminare, è indubbio che pure gli spintoni e gli strattoni dell'accusato configurino vie di fatto. Tanto più che il ricorrente avrebbe dovuto vigilare, come assistente di cura, sull'incolumità dell'anziano a lui affidato.
d)
Nelle circostanze descritte gli atti commessi dall'accusato risultano tutti della stessa indole e tutti compiuti a pregiudizio della medesima vittima. Tutti inoltre si iscrivono nello stesso contesto, in spregio delle cure che il ricorrente doveva – come assistente – prestare all'anziano (onde, per altro, l'aggravante dell'art. 126 cpv. 2 CP: cfr.
Roth
, op. cit., n. 8 ad art. 126 CP). E il ricorrente era costantemente vincolato all'infermo da un dovere professionale unico (che gli derivava dal rapporto d'impiego con il Comune di _), tant'è che _, quando gli era affidato, non sapeva difendersi ed era alla sua mercé. Ne discende che l'insieme delle vie di fatto cui si riferisce il decreto di accusa raffigura giuridicamente un'unità e che la prescrizione biennale, cominciata a decorrere solo con l'ultimo atto, non si compirà prima del luglio 2004 (due anni dopo l'ultimo atto imputato al ricorrente nel decreto d'accusa). Anche in proposito il ricorso è destinato dunque alla reiezione.
7.
Un problema di carattere più generale potrebbe risiedere nel fatto che, per quanto riguarda i capi d'imputazione enunciati alla lett. a (pizzicotti), alla lett. b (ginocchiate) e alla lett. d (spintoni) nel decreto di accusa la sentenza impugnata non contiene alcun accertamento, nemmeno per ordine di grandezza, circa l'entità delle percosse. Tutto si ignora sul numero – almeno approssimativo – dei pizzicotti, delle ginocchiate e degli spintoni subìti dall'anziano nei sette mesi intercorsi tra la fine del 2001 e il luglio del 2002. Dato che il ricorrente non censura la commisurazione della pena (art. 63 CP), ad ogni modo, la questione non dev'essere approfondita né incombe alla Corte di cassazione e di revisione penale intervenire d'ufficio.
8.
Gli oneri del giudizio odierno seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 combinato con l'art. 9 cpv. 1 CPP). La richiesta di gratuito patrocinio contenuta nel ricorso va sottoposta al Giudice dell'istruzione e dell'arresto, solo competente a decidere e a fissare la retribuzione del legale (art. 26 cpv. 1 e 2 Lag). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,004 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
9c176532-f9e6-5346-993c-2e9850a900fe | in fatto ed in diritto
1.
Il 17.04.2009, verso le ore 17:00, è stato rinvenuto nella propria abitazione il corpo esanime di _ (_). A seguito di ciò, il procuratore pubblico Amos Pagnamenta ha ordinato l’autopsia sulla salma della vittima allo scopo di verificare l’esatta causa del decesso. Il relativo rapporto è giunto, via fax, al Ministero pubblico il 5.02.2010. I periti sono giunti alla conclusione che _, con grande verosimiglianza, sarebbe deceduto per cause naturali (cfr. referto autoptico stampato definitivamente il 31.08.2011). L’incarto penale è stato archiviato il medesimo giorno (inc. NLP _)
2.
Con la presente istanza – trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza, a questa Corte – il dr. med. IS 1, già medico curante della persona deceduta, chiede di ottenere copia del surriferito referto autoptico. A suffragio della sua richiesta precisa di essere stato contattato telefonicamente dalla madre di _, la quale vorrebbe ottenere maggiori informazioni riguardo alla causa del suo decesso.
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
Nella fattispecie in esame è adempiuto un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG del medico istante ad ottenere copia
del referto autoptico inerente a _
, già suo paziente, considerato che la sua richiesta è stata formulata sostanzialmente per orientare la madre sulla causa del decesso del figlio.
Di conseguenza, il referto autoptico richiesto, viene trasmesso, in copia, al medico istante unitamente alla presente decisione. Lo stesso è evidentemente tenuto al segreto professionale ed è autorizzato solo a fornire delucidazioni alla madre del defunto figlio riguardo alla causa del suo decesso.
5.
L’istanza è accolta ai sensi del surriferito considerando. Si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, considerata la particolarità della fattispecie. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,011 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
9c255f1c-f834-5011-9be1-129360e8b4cc | in fatto: A.
Il 14 novembre 2001, alle ore 12.50, è avvenuto sull'autostrada A2 in territorio di _, al chilometro 26.375 in direzione sud, un incidente della circolazione avente quale protagonista _, conducente di una Mercedes “C 280” targata _. Secondo il rapporto di polizia, l'interessata circolava sulla corsia di sorpasso a una velocità, stimata da un testimone, di circa 170 km/h. Nell'abbordare una curva piegante leggermente a sinistra, essa si era trovata la corsia ostruita da un altro veicolo che stava compiendo un regolare sorpasso. Al che essa aveva frenato bruscamente e si era spostata a destra, ma aveva urtato la fiancata sinistra di un autocarro Daf che procedeva sulla normale corsia di marcia a una velocità (registrata dal cronotachigrafo) di 90 km/h. Era così rimbalzata a sinistra, collidendo violentemente con lo spartitraffico, e aveva terminato la corsa in posizione di contromano sulla corsia di sorpasso. Interrogata dagli agenti, _ non era stata in grado di spiegare l'accaduto, asserendo di non ricordare nulla e che al momento dell'incidente aveva “visto tutto bianco, presumibilmente a seguito di un malore”.
B.
Con decreto di accusa del 9 dicembre 2002 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autrice colpevole di infrazione grave alle norme della circolazione e l'ha condannata a 10 giorni di detenzione, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di 2 anni, e a una multa di fr. 1'000.–. Statuendo su opposizione, con sentenza del 30 maggio 2003 il giudice della Pretura penale ha confermato l'imputazione, ma ha limitato la pena a una multa di fr. 1'000.–. A mente sua non risultavano dagli atti elementi che comprovassero la velocità di 170 km/h tenuta dall'accusata, anche se quest'ultima circolava sicuramente “ad una velocità inadeguata sia in rapporto alle proprie condizioni fisiche che ai vigenti limiti”.
C.
Contro la sentenza appena citata _ ha presentato lo stesso 30 maggio 2003 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta del 14 luglio 2003 essa chiede di essere prosciolta dall'accusa e di riformare in tal senso il giudizio impugnato. Con osservazioni del 28 luglio 2003 il Procuratore pubblico propone di respingere il ricorso. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288
lett. a e b CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono sindacabili unicamente qualora la sentenza impugnata denoti estremi di arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche erroneo, bensì apertamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura a norma dell'art. 288 lett. c CPP non basta dunque criticare la sentenza impugnata né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di arbitrio. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con rinvii).
2.
In concreto il giudice della Pretura penale ha accertato che quel 14 novembre 2001 l'accusata aveva seriamente compromesso la sicurezza del traffico e che solo per un caso fortuito l'incidente non aveva avuto conseguenze più gravi. In effetti, benché fosse a digiuno da giorni e in ansia per gli avvenimenti che avevano colpito il suo paese d'origine (ove si trovano i suoi parenti), essa si era posta alla guida del mezzo e circolava a una velocità inadeguata, certamente superiore al limite consentito (120 km/h), non riuscendo per finire a controllare il veicolo di fronte a un ostacolo che occupava la sua corsia. Quanto al preteso malore, esso non trovava conferma in alcuna attestazione, nonostante l'accusata fosse stata trasportata in ambulanza al pronto soccorso e sia stata visitata in seguito dal medico di fiducia. Onde, per finire, gli estremi dell'art. 90 n. 2 LCStr.
3.
La ricorrente definisce i predetti accertamenti arbitrari poiché in contrasto con gli atti di causa e fondati unilateralmente su talune prove ad esclusione di tutte le altre. Asserisce in primo luogo di avere unicamente dichiarato che nei giorni precedenti l'infortunio essa aveva mangiato poco e aveva forse subìto un piccolo mancamento, ma mai di essere stata a digiuno da giorni. L'accertamento del giudice del merito, secondo cui al momento del sinistro la ricorrente era a digiuno da due giorni poiché in ansia per gli avvenimenti occorsi nel suo paese d'origine senza poter telefonare ai propri parenti (consid. 2) trova conforto però nel certificato rilasciato il 26 febbraio 2002 dal dott. _, il quale attesta che durante la consultazione del 19 novembre 2001 la paziente gli aveva riferito di essere digiuna dal giorno prima, circostanza che poteva “senz'altro essere la causa della perdita dei sensi”. Anche se l'interessata non ha mai dato per certo una perdita dei sensi, limitandosi a supporre un piccolo mancamento (rapporto di polizia, pag. 4). L'accertamento del primo giudice, stando al quale l'accusata si era messa alla guida del veicolo nonostante fosse a digiuno da un paio di giorni non è quindi arbitrario.
4.
Secondo la ricorrente non è provato che essa abbia superato la velocità consentita di 120 km/h, unico dato certo essendo i 90 km/h tenuti dall'autocarro condotto da _. Anche su questo punto l'argomentazione è destinata all'insuccesso. Il primo giudice ha fondato il proprio convincimento sulle dichiarazioni di _, la quale aveva dichiarato agli inquirenti che essa circolava a 120 km/h e che la Mercedes della ricorrente sopraggiungeva a velocità sostenuta, tanto che ella si era spostata con la sua Fiat “Punto GT” sulla corsia di destra per lasciarla passare (verbale 14 novembre 2001 annesso al rapporto di polizia). L'accertamento del giudice del merito, per il quale l'accusata circolava a una velocità certamente superiore al limite consentito è quindi esente da arbitrio. Né la ricorrente spiega perché _ non sarebbe credibile. Anzi, nella misura in cui asserisce che nessuno sarebbe tanto sprovveduto da dichiarare alla polizia un eccesso di velocità, quasi che la testimone viaggiasse oltre i limiti, essa ammette involontariamente di avere superato a sua volta i 120 km/h autorizzati.
5.
La ricorrente sostiene poi che il giudice ha dato arbitrariamente per acquisita la presenza di un terzo veicolo, più lento, che le aveva ostruito la corsia di sorpasso e l'aveva indotta a una brusca frenata, facendole perdere la padronanza del veicolo. Essa invoca le dichiarazioni di _, conducente del camion, il quale ha riferito che il traffico era scarso e che davanti a lui non c'era veicolo alcuno, né sulla corsia di marcia né su quella di sorpasso, salvo una vettura alcune centinaia di metri più avanti (verbale del 14 novembre 2001 annesso al rapporto di polizia). Il primo giudice ha creduto però a _, del tutto estranea all'accaduto, la quale nel suo verbale del 14 novembre 2001 aveva esplicitamente dichiarato davanti alla polizia, sotto giuramento, che la conducente della Mercedes aveva continuato la corsa sulla corsia di sorpasso finché si era trovata dinanzi un furgone rosso che stava superando il piccolo autocarro bianco condotto da _. Ciò l'aveva indotta a una brusca frenata con conseguente perdita di padronanza del veicolo (sentenza, pag. 6 in alto). Del resto, _ si è limitato a dichiarare quanto aveva potuto scorgere davanti a lui, il che non esclude la presenza del furgone rosso in fase di sorpasso, tanto meno ove si consideri che in quel momento egli aveva udito la brusca frenata e stava fissando il retrovisore sinistro, dove gli era apparsa la Mercedes che sbandava e che lo ha urtato più o meno a metà della fiancata sinistra (verbale citato, del 14 novembre 2001).
6.
A parere della ricorrente è arbitraria la conclusione del primo giudice, il quale ha ravvisato gli estremi dell'art. 90 n. 2 LCStr nella circostanza che essa si trovava in uno stato di spossatezza inidoneo alla guida. In realtà il giudice del merito ha ravvisato la grave violazione delle norme della circolazione nel fatto che – come si è visto – la ricorrente, pur essendo a digiuno da giorni e in stato di seria preoccupazione, si era messa alla guida e circolava a una velocità eccessiva, sicuramente superiore al consentito (sentenza, consid. 5). Anzi, la stessa ricorrente ha ottenuto che il dott. _ certificasse come essa fosse digiuna dalla vigilia dell'incidente (sopra, consid. 3), ragione per cui mal si comprende come essa possa ora sostenere che l'accertamento sul suo stato fisico al momento dell'infortunio sia arbitrario. Per il resto ella non pretende che, sulla base degli accertamenti di cui si è detto, il primo giudice abbia violato il diritto federale, per cui la questione non merita di essere vagliata ulteriormente.
7.
Da ultimo la ricorrente ribadisce che unica causa del sinistro è stato un malore e si duole che gli inquirenti non abbiano acquisito agli atti le risultanze delle verifiche mediche, né abbiano sentito per lo meno uno dei soccorritori giunti sul posto. Se non che, il primo giudice ha escluso l'ipotesi di un malore accertando come la ricorrente nella situazione di pericolo avesse frenato violentemente, al punto da bloccare le ruote (sentenza, pag. 6 in alto). Il che è confermato dalle dichiarazioni di _, la quale ha visto da tergo la Mercedes frenare, e di _, il quale ha udito “una forte frenata”. Perché sarebbe arbitrario ascrivere tale manovra alla presenza di un veicolo più lento, sulla corsia di sorpasso, la ricorrente non illustra. Si limita a opporre che, secondo la normale esperienza, un improvviso piccolo malore può portare un conducente ad azionare involontariamente i freni. Se non che, nel caso concreto si è trattato di una brusca frenata, che per comune esperienza non è opera di un conducente colto da malore o mancamento improvviso. Per altro, la ricorrente neppure spiega come il personale sanitario avrebbe potuto attestare che essa era stata vittima di un malore o da un piccolo mancamento se non, come ha fatto il dott. _ nel suo certificato, fondandosi sulle dichiarazioni di lei medesima. Anche su quest'ultimo punto il ricorso si rivela pertanto infondato.
8.
Gli oneri del giudizio odierno seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 combinato con l'art. 9 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,004 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
9c2bd8de-6178-5c4e-b51a-c76b633bea86 | in fatto
a.
In data 11.2.2015 la Corte delle assise criminali ha riconosciuto RE 1 (_1965) autore colpevole di ripetuta truffa (consumata e tentata), ripetuta falsità in documenti, conseguimento fraudolento di una falsa attestazione, omissione della contabilità e, con procedura abbreviata (art. 358 ss. CPP), lo ha condannato alla pena detentiva di 2 anni e 6 mesi, di cui 2 anni di detenzione sospesi condizionalmente per un periodo di prova di 2 anni, e 6 mesi di detenzione da espiare.
La sentenza è passata in giudicato.
b.
Con scritto 30.3.2015 l’Ufficio del giudice dei provvedimenti coercitivi ha invitato l’avv. _, patrocinatore di RE 1 nel processo di merito, a contattarlo entro e non oltre il 20.4.2015, al fine di concordare tempi e modalità di espiazione della pena pronunciata dalla Corte delle assise criminali.
c.
Vista l’impossibilità di determinare con il qui reclamante la data d’inizio d’esecuzione, malgrado siano intercorsi due colloqui telefonici con l’avv. _ (il 20.4.2015 e l’11.5.2015), con decisione 13.5.2015 il giudice dei provvedimenti coercitivi, sedente in materia di applicazione della pena, ha collocato RE 1 in sezione aperta ed ha fissato all’8.6.2015, tra le ore 10.00 e le ore 11.00, l’inizio dell’espiazione della pena detentiva (6 mesi) inflittagli dalla Corte delle assise criminali. Il giudice ha altresì fissato al 7.8.2015 l’espiazione del primo terzo, al 7.9.2015 la metà pena e al 7.12.2015 la data in cui la pena sarà interamente scontata.
d.
Con scritto 21/22.5.2015 RE 1 chiede a questa Corte di “
annullare l’ordine di collocamento, contenuto nel provvedimento del Giudice
”, sostenendo di non essere “
assolutamente in grado di potermi presentare, e questo a causa della mia grave malattia, che peggiora costantemente
”. A sostegno di ciò produce un certificato medico ed uno scritto del dr. med. _.
e.
Il giudice dei provvedimenti coercitivi con scritto 27/28.5.2015 osserva che né il reclamante né il suo patrocinatore “
hanno mai segnalato alcun motivo o documento a sostegno della non carcerabilità di RE 1
”, e nel contempo riconferma il contenuto e le conclusioni della sua decisione di collocamento iniziale.
f.
Il procuratore pubblico e il Presidente della Corte delle assise criminali, rinunciano a presentare delle osservazioni al reclamo e si rimettono al giudizio di questa Corte.
g.
Nel frattempo RE 1 non ha dato seguito alla decisione 13.5.2015 del giudice dei provvedimenti coercitivi e l’8.6.2015 non si è presentato al Settore immatricolazioni del Carcere giudiziario La Farera per l’inizio dell’esecuzione della pena. | in diritto
1.
1.1.
Il Codice di diritto processuale penale svizzero (Codice di procedura penale, CPP), all'art. 439 cpv. 1 CPP, lascia ai Cantoni la facoltà di designare le autorità competenti per l'esecuzione delle pene e delle misure e di stabilire la relativa procedura.
Il Canton Ticino ha adottato il 20.4.2010 la Legge sull'esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti (LEPM), entrata in vigore l'1.1.2011.
Giusta l'art. 10 cpv. 1 LEPM il giudice dell'applicazione della pena - funzione esercitata in Ticino dall'1.1.2011 dal nuovo giudice dei provvedimenti coercitivi giusta l'art. 73 LOG - è competente, fra l'altro, a decidere il collocamento iniziale del condannato ex art. 76 CP (lit. h) e le deroghe alle forme di esecuzione ex art. 80 CP (lit. h), come pure ad emanare nei confronti del condannato l’ordine di esecuzione (lit. k) previsto dall’art. 439 cpv. 4 CPP.
Contro tali decisioni, conformemente all'art. 12 cpv. 1 lit. b LEPM, è data facoltà al condannato e al Ministero pubblico di interporre reclamo ai sensi degli art. 393 e seguenti CPP alla Corte dei reclami penali.
1.2.
Con il reclamo ex art. 393 ss. CPP si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l'eccesso e l'abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l'accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e/o l'inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato entro 10 giorni per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all'art. 390 CPP per la forma scritta ed all'art. 385 CPP per la motivazione.
La persona o l'autorità che lo interpone deve indicare, in particolare, i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP).
1.3.
Il gravame, inoltrato il 21/22.5.2015, contro la decisione 13.5.2015 del giudice dei provvedimenti coercitivi, notificata il 14.5.2015, è tempestivo.
Le esigenze di forma e motivazione del reclamo sono rispettate.
L'art. 382 cpv. 1 CPP stabilisce che contro una decisione sono legittimate a ricorrere le parti che hanno un interesse giuridicamente protetto all'annullamento o alla modifica della stessa.
Un interesse è giuridicamente protetto se, fra l'altro, è attuale. In altre parole la lesione sostenuta dal reclamante è attuale se espleta ancora i suoi effetti al momento della presentazione del gravame (M. MINI, Commentario al CPP, art. 382 CPP n. 8).
La censura deve di regola ancora persistere al momento della decisione da parte dell’autorità di reclamo (ZK StPO
−
V. LIEBER, art. 382 CP n. 13).
In concreto, il termine dell’8.6.2015
−
stabilito dal giudice dei provvedimenti coercitivi entro il quale il reclamante è/era tenuto a presentarsi al Servizio immatricolazioni del penitenziario per dare inizio all’esecuzione della pena inflittagli
−
è nel frattempo trascorso (infruttuoso) e l’impugnativa è priva di effetto sospensivo, nemmeno richiesto. Ciomalgrado permane un interesse attuale al presente reclamo.
Infatti, onde attuare la pretesa punitiva dello Stato, è necessario che, alle persone che si oppongono all’esecuzione della pena detentiva o della misura privativa della libertà pronunciata in una sentenza passata in giudicato, l’espiazione delle stesse venga loro imposta mediante coercizione da parte dello Stato. L’ordine di esecuzione di cui all’art. 439 cpv. 4 CPP costituisce di conseguenza la norma a livello federale che fornisce assistenza giudiziaria nel caso di condannati giudicati con sentenza passata in giudicato (“
bildet somit
die
bundesrechtliche Rechtshilfenorm für rechtskräftig verurteilte Personen
”) [BK
−
StPO, B. F. BRÄGGER, 2a. ed., art. 439 CPP n. 23).
Lo spirare della data d’inizio dell’esecuzione stabilita dal giudice dei provvedimenti coercitivi nulla muta al carattere di ordine di esecuzione della decisione di collocamento del 13.5.2015, contro cui si aggrava il reclamante chiedendone l’annullamento davanti a questa Corte, che deve verificarne la legittimità.
RE 1, quale
condannato e persona contro la quale è diretto l’ordine di esecuzione
che lo tocca direttamente, personalmente e attualmente nei suoi diritti, è legittimato a reclamare giusta l'art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all'annullamento o alla modifica del giudizio.
Il reclamo è quindi, nelle predette circostanze, ricevibile in ordine e proponibile.
2.
Nella decisione 13.5.2015, qui impugnata, il giudice dei provvedimenti coercitivi, in assenza di indicazioni utili da parte del reclamante, ha fissato all’8.6.2015 l’inizio dell’esecuzione della pena, rendendo attento quest’ultimo che, per l’attuazione dell’ordine di esecuzione, qualora non vi fosse dato seguito, avrebbe potuto far diramare un mandato di ricerca.
I
l giudice ha altresì ordinato il collocamento in sezione aperta, ritenuta la tipologia dei reati perpetrati da RE 1 e considerato come egli sia domiciliato in Svizzera.
Il reclamante chiede in questa sede “
di annullare l’ordine di collocamento, contenuto nel provvedimento del Giudice
”, in ragione di un’asserita grave malattia che peggiorerebbe costantemente e che gli impedirebbe − come in concreto ha fatto − di presentarsi in carcere alla data stabilita per l’inizio dell’esecuzione della pena. Egli sostiene in particolare che “
la mia attuale situazione psichica e fisica, non permette attualmente una carcerazione. Secondo le affermazioni dei miei medici, una carcerazione potrebbe avere gravi conseguenze
” (reclamo 21/22.5.2015).
A
sostegno delle sue dichiarazioni produce lo scritto 11.5.2015 del dr. med. _, abilitato in medicina generale FMH e medicina psicosomatica, al quale egli si è rivolto per un sostegno psichiatrico. In detto scritto il dr. med. _ invita la psichiatra e psicoterapeuta, dr. med. _, di prendere in cura il reclamante
−
al quale viene diagnosticata “
ansia con claustrofobia e depressione
” nonché “_
non più misurabile
” per il quale si trova in cura antivirale da circa un anno presso un altro medico
−
siccome “
da 5-6 mesi si sente depresso e da pochi mesi è molto ansioso, esce con fatica di casa. Da poche settimane non sopporta la gente e non riesce ad entrare nel lift
” (scritto 11.5.2015 del dr. med. _).
Il reclamante produce altresì il certificato medico di data 11.5.2015, pure del dr. med. _, in cui quest’ultimo attesta un’inabilità al lavoro al 100% per motivi di salute (malattia) per il periodo dall’1 al 21.5.2015.
3.
3.1.
In materia di esecuzione delle pene detentive,
l'art. 76 CP prevede che esse siano scontate in un penitenziario chiuso o aperto (cpv. 1). Il detenuto è collocato in un penitenziario chiuso o in un reparto chiuso di un penitenziario aperto se vi è pericolo che si dia alla fuga o vi è da attendersi che commetta nuovi reati (cpv. 2).
L’art. 80 cpv. 1 CP dispone inoltre che alle norme in materia di esecuzione − fra cui l’art. 76 CP − può essere derogato a favore del detenuto, tra l’altro, qualora il suo stato di salute lo richieda (lit. a).
Infine per l’art. 92 CP l’esecuzione di pene e misure può essere interrotta per gravi motivi.
Quest’ultima norma sancisce in particolare il principio dell’esecuzione ininterrotta di tutte le pene detentive e delle misure privative della libertà. Ciò nell’interesse pubblico di difendere la credibilità del sistema penitenziario e il rispetto dell’effettività delle pene in un’ottica di prevenzione generale e speciale, in quanto lo Stato deve assicurare l’esecuzione delle pene conformemente al loro scopo di risocializzazione e di espiazione (nella prospettiva di un comportamento corretto in libertà tendente a evitare il rischio di recidiva), tenendo conto del bisogno di protezione della società, senza tuttavia mettere in pericolo la vita e l’integrità corporale, fisica e psichica dei detenuti (DTF 136 IV 97 consid. 5.2.2.1.). Si tratta quindi di operare in concreto una ponderazione dei vari interessi, pubblici e privati, che si contrappongono (BSK Strafrecht I
− C. KOLLER, 3a. ed., art. 92 CP n. 10).
Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale l’interesse pubblico all’esecuzione delle condanne cresciute in giudicato ed il principio dell’uguaglianza limitano notevolmente il margine di apprezzamento delle autorità di esecuzione circa il differimento a data indeterminata dell’esecuzione di una pena. Esecuzione che comporta sempre per l’interessato un male, che l’uno può sopportare meglio di un altro (decisioni TF 6B_606/2013 del 27.9.2013 consid. 1.2.; 6B_377/2010 del 25.5.2010 consid. 2.1.; DTF 108 Ia 69).
Di principio il trattamento e la cura di un detenuto devono essere assicurati nell’ambito dell’esecuzione della pena, se del caso, adattata a quanto necessario. Un eccezione a tale principio non è possibile se non quando la malattia è di natura tale da comportare l’incapacità totale di subire un’incarcerazione di durata indeterminata o quantomeno di lunga durata, e se la liberazione s’impone a tal punto che il bisogno di cure e di guarigione prevale sugli scopi perseguiti dall’esecuzione della pena. Allorquando un trattamento medico idoneo è compatibile con la carcerazione, l’esecuzione della pena non ha da essere interrotta rispettivamente differita (decisione TF 6B_249/2009 del 26.5.2009 consid. 2.1.; DTF 106 IV 321; 103 IB 184; CR Code pénal I
−
B. VIREDAZ/A. VALLOTTON, art. 80 CP n. 2 e Y. BENDANI art. 92 CP n. 17).
La mera possibilità che la vita o la salute del condannato possano essere messe in pericolo non è manifestamente sufficiente per il differimento dell’esecuzione della pena a tempo indeterminato. È necessario che sia altamente probabile che l’esecuzione della pena metta in pericolo la vita o la salute del condannato. Anche in questo caso si deve procedere ad una ponderazione degli interessi, considerando, oltre alle indicazioni mediche, la natura e la gravità del reato commesso e la durata della sanzione. Più gravi sono i fatti e la sazione inflitta, più è importante la pretesa punitiva dello Stato, rispetto al pericolo per la vita o per la salute (decisioni TF 6B_606/2013 del 27.9.2013 consid. 1.2.; 6B_377/2010 del 25.5.2010 consid. 2.1.).
In altre parole il rinvio o l’interruzione può essere concesso, per gravi motivi di salute, solo in via eccezionale e a titolo sussidiario, qualora non siano sufficienti, per rapporto al caso concreto, altre forme d’esecuzione ex art. 80 CP o altri alleggerimenti di pena (CR Code pénal I
−
Y. BENDANI, art. 92 CP n. 5; BSK Strafrecht I
−
C. KOLLER, op. cit., art. 92 n. 11); come pure deve essere inefficace o impossibile il trattamento medico impartito all’interno del penitenziario (DTF 136 IV 97 consid. 5.2.1.) o in una struttura ospedaliera o in una comunità (CR Code pénal I
−
Y. BENDANI, art. 92 CP n. 18).
3.2.
In base al Regolamento delle strutture carcerarie del Cantone Ticino del 15.12.2010, nel nostro cantone le strutture carcerarie si compongono di: La Farera, quale carcere giudiziario, La Stampa, quale carcere penale, Lo Stampino, quale sezione aperta del carcere penale e del Naravazz, quale carcere aperto (art. 2).
Giusta l’art. 8 del medesimo Regolamento, applicabile anche alle persone che si presentano su convocazione per espiare una pena privativa di libertà, esse devono, fra l’altro, presentarsi in condizioni di salute idonee alla carcerazione (lit. d) e produrre eventuali certificati medici attestanti un handicap, uno stato di salute problematico o la necessità di assumere medicinali particolari o di osservare un regime alimentare particolare.
L’art. 27 di detto Regolamento dispone inoltre che alla Farera e alla Stampa, la persona incarcerata è sottoposta a visita medica generale nella settimana che segue la sua entrata (cpv. 1). Tutte le persone incarcerate, che soffrono di problemi di salute o che sono sottoposte ad un trattamento medico, sono tenute a segnalarlo al momento dell’incarcerazione, eventualmente presentando il relativo certificato medico. Sono visitate dal personale competente del Servizio medico nel più breve termine (cpv. 2).
L’assistenza medica, medico-dentaria e psichiatrica è garantita dai medici designati dalle strutture carcerarie (art. 28 cpv. 2).
4.
4.1.
Nel caso in esame RE 1, ha fatto valere problemi di salute soltanto in sede di reclamo.
In occasione del processo davanti alla Corte delle assise criminali tenutosi l’11.2.2015, seppure in forma abbreviata e durato una quindicina di minuti, egli è comparso assistito dal proprio difensore di fiducia, senza lamentare particolari problemi di salute, pur essendo già a quel momento affetto da _. Al più tardi in quella data egli ha avuto la conferma della pena inflittagli, segnatamente che dei 2 anni di detenzione comminatigli, 6 mesi dovevano essere espiati, ritenuto tuttavia che, trattandosi di procedura abbreviata, giusta i disposti dell’art. 360 CPP, già in precedenza aveva dato la sua adesione alle proposte di pena formulate dal procuratore pubblico.
Tramite il difensore di fiducia, contattato in via epistolare a fine marzo 2015 e telefonicamente il 20.4.2015 dall’Ufficio del giudice dei provvedimenti coercitivi onde stabilire la data d’inizio dell’esecuzione della pena detentiva (allegati 2 e 3, inc. GPC _), egli ancora nulla ha segnalato. Soltanto in occasione di un secondo contatto telefonico svoltosi ancora tra l’Ufficio del giudice dei provvedimenti coercitivi e l’avv. _ l’11.5.2015 − data, si rileva, pure della visita di RE 1 presso lo studio del dr. med. _ − il legale, in base a una nota d’incarto interna (allegato 4, inc. GPC _), ha segnalato di non essere riuscito a farsi dare una data di inizio dal cliente e “
che è caduto un po’ in depressione
”, pertanto ha ritenuto che “
la cosa migliore è mandare una decisione con data di inizio stabilita da noi
(Ufficio del giudice dei provvedimenti coercitivi, ndr)”. In quel contatto telefonico già veniva indicato che l’inizio dell’esecuzione sarebbe avvenuto di lì a 3 settimane/1 mese. Ed in effetti due giorni dopo tale telefonata, il giudice dei provvedimenti coercitivi ha emanato la decisione di collocamento 13.05.2015 fissando all’8.6.2015 la data d’inizio dell’espiazione della pena.
Stante che un certificato medico, secondo costante giurisprudenza del Tribunale federale, non assurgendo a mezzo di prova bensì a semplice allegazione di parte (decisione TF 6B_377/2010 del 25.5.2010 consid. 2.6.), deve essere valutato con prudenza, in concreto il certificato medico 11.5.2015 del dr. med. _ attesta una semplice inabilità lavorativa al 100% “
per motivi di salute (malattia)
” durante una ventina di giorni in un periodo (1.5 - 21.5.2015) per’altro precedente la prevista data di inizio dell’espiazione della pena. In nulla esso può quindi influire sulla carcerabilità del qui reclamante, su cui il medico interpellato nemmeno si esprime. Nemmeno nello scritto di medesima data lo stesso medico si pronuncia a tale proposito. In nessun modo vi si certifica un
probabilità alta che la vita o la salute del condannato
sia messa in pericolo in caso di
esecuzione della pena. Il dr. med. _
, interpellato dal reclamante per un sostegno psichiatrico, si è limitato ad indirizzarlo presso una collega psichiatra e psicoterapeuta, per una presa a carico. In tale scritto egli attesta semplicemente una diagnosi di ansia con claustrofobia e depressione, oltre il _ (sotto cura antivirale presso un altro medico da all’incirca un anno), riportando di sentimenti di depressione nel qui reclamante esistenti negli ultimi 5-6 mesi (dunque pure precedenti il procedimento penale di merito) nonché di più recenti stati ansiosi, per i quali quest’ultimo faticherebbe ad uscire di casa e ancora più recentemente non sopporterebbe la gente e non riuscirebbe ad entrare nel lift. Ciò sulla base di quanto riferitogli da RE 1 stesso, al di fuori di uno specifico approfondimento medico, tant’è che non vengono precisati i motivi scatenanti di detti sentimenti depressivi ed ansiosi, né tantomeno vengono posti in relazione con la prevista espiazione di pena.
Dei 4 medicamenti indicati come terapia, soltanto un farmaco, il _, contenente il principio attivo duloxetina, serve a trattare la depressione e il disturbo d’ansia generalizzato. Lo stesso gli è stato prescritto nella dose di una capsula di 30 mg al giorno.
In tali circostanze allo stato attuale e per quanto risulta agli atti, il qui reclamante non presenta in alcun modo problemi di salute di una gravità tale da metterne in pericolo la vita o la sua salute così da richiedere l’interruzione o il differimento a tempo indeterminato dell’inizio dell’espiazione ai sensi della giurisprudenza più sopra descritta. Ciò ove più si pensi alla brevità della pena detentiva che il reclamante è chiamato ad espiare (6 mesi) e il collocamento in regime aperto deciso dal giudice dei provvedimenti coercitivi nella sentenza qui impugnata.
Nulla pertanto osta a che l’attuale terapia farmacologica così come un eventuale trattamento psichiatrico di tipo ambulatoriale possano essere continuati rispettivamente iniziati nel corso dell’esecuzione della pena detentiva, per il tramite del servizio psichiatrico delle strutture carcerarie o, se del caso, presso uno specialista di fiducia.
In conclusione l’ordine di esecuzione non può essere annullato e il reclamo ha da essere respinto.
La tassa di giustizia e le spese sono poste a carico del reclamante, soccombente.
4.2.
Il giudice dei provvedimenti coercitivi ha fissato per il giorno 8.6.2015 l’inizio dell’esecuzione della pena, nel frattempo spirato infruttuoso.
Egli è dunque chiamato a fissare una nuova data (giorno e ora) di inizio di detta espiazione nonché stabilire i nuovi termini dell’esecuzione.
Nella nuova decisione egli avrà altresì cura di ordinare che la visita medica di entrata, di cui all’art. 27 del
Regolamento delle strutture carcerarie del Cantone Ticino, avvenga il medesimo giorno in cui RE 1 è tenuto a presentarsi al servizio immatricolazioni del penitenziario. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,015 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
9cbc58b5-f6c1-5fb4-a100-69ca2e3cf29a | in fatto ed in diritto
che il 28.11.2005, in territorio di _, si è verificato un incidente della circolazione stradale avente quali protagonisti _, conducente del veicolo _ _ targato _ e _ (_), che era in sella al suo velocipede marca _;
che il ciclista, a seguito dell’impatto, è stato ricoverato presso l’Ospedale Regionale di _ ove è purtroppo deceduto il 6.12.2005 (inc. DA _);
che di conseguenza il Ministero pubblico ha avviato, d’ufficio, la raccolta delle informazioni preliminari ai sensi del CPP TI nei confronti di _ sfociate nel decreto di accusa 17.07.2006 emanato dall’allora sostituto procuratore pubblico Marisa Alfier, che lo ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale siccome ritenuto colpevole di omicidio colposo ed ha proposto la sua condanna alla pena di 60 giorni di detenzione, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, al pagamento della tassa di giustizia e delle spese giudiziarie, rinviando le parti civili PI 2, _ (_), _ (_) e _ (_) al competente foro civile, e meglio come ivi descritto;
che il 9.02.2010 il presidente della Pretura penale, richiamando l’opposizione 19.07.2009 delle parti civili interposta al suddetto decreto d’accusa e preso atto del ritiro 9.02.2010 della predetta opposizione, ha stralciato dai ruoli il procedimento di cui all’incarto _;
che il decreto di accusa 17.06.2006 (DA _) è quindi passato in giudicato il medesimo giorno (9.02.2010);
che presso la IS 1 è pendente una procedura civile ordinaria di cui all’incarto _ promossa il 31.05.2010 da PI 2, _, _ e _ (tutti patr. da: avv. PR 1, _) contro PI 6, _ (patr. da: avv. PR 2, _), e ciò – con tutta probabilità – in relazione all’incidente della circolazione stradale di cui si è detto poc’anzi (copia scritto 25.01.2012, inc. _, doc. 1.a);
che il 25.01.2012 il pretore aggiunto della IS 1, avv. _, richiamando il verbale di udienza preliminare di medesima data e le prove ivi notificate dalle parti e ammesse con la relativa ordinanza, ha (erroneamente) ordinato al Ministero pubblico, in applicazione dell’art. 215 CPC TI, di voler mettere a disposizione della Pretura l’incarto penale MP _ (corrispondente all’incarto DA _);
che, come esposto, in entrata il procuratore pubblico ha trasmesso, per competenza, a questa Corte la suddetta domanda, a valere quale istanza ex art. 62 cpv. 4 LOG, preavvisando favorevolmente la richiesta;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha nella sostanza ripreso il testo del previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che come ricordato dalla prassi di questa Corte, in caso di richiesta da parte di autorità giudiziarie tendente ad ottenere documenti di un incarto penale, la giurisprudenza ammette la richiesta se: (i) si riferisce a procedimenti ancora pendenti presso l'autorità richiedente; (ii) è compatibile con il codice di rito applicabile a quel procedimento; (iii) è formulata dal titolare dell’autorità giudiziaria richiedente. Inoltre deve essere dato un legame di pertinenza dell’incarto richiamato con quello richiamante;
che nel caso in esame – nonostante la Pretura istante abbia omesso di precisare quale sia il legame di pertinenza dell’incarto penale richiamato con quello richiamante – dalla lettura dell’incarto penale appare data una connessione tra il procedimento civile ordinario di cui all’incarto _ pendente presso la Pretura istante e il procedimento penale di cui all’incarto DA _ sfociato, come visto, nel decreto di accusa 17.07.2006 (DA _), passato in giudicato il 9.02.2010, poiché entrambi i procedimenti sono stati avviati a causa dell’incidente accaduto il 28.11.2005;
che a ciò aggiungasi che le parti civili ai sensi del CPP TI dell’incarto penale richiamato corrispondono agli attori della
causa civile ordinaria appellabile di cui all’incarto _
, mentre _ (nei confronti del quale è stato emanato il citato decreto di accusa), al momento dell’incidente, aveva la sua polizza d’assicurazione
"
Responsabilità Civile Auto
" presso
la _, la quale è parte convenuta al predetto procedimento civile (AI 5 – inc. DA _);
che è quindi adempiuto un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG;
che di conseguenza l’incarto penale DA _ viene trasmesso, in originale, alla Pretura istante unitamente alla presente decisione, con l’obbligo di restituirlo direttamente al Ministero pubblico a procedimento civile concluso;
che l’istanza è accolta ai sensi delle surriferite considerazioni;
che la tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico della Pretura istante, che a sua volta le addosserà alle parti in base alle norme del CPC;
che, con riferimento anche a precedenti istanze d’ispezione degli atti presentate dalla IS 1, si auspica comunque una motivazione più dettagliata e completa da parte sua nelle future richieste ex art. 62 cpv. 4 LOG come esatto dalla costante giurisprudenza di questa Corte [non essendo sufficiente domandare la trasmissione dell’incarto richiamato senza nemmeno precisare il legame di pertinenza di quest’ultimo con quello richiamante (cfr. ordinanza 25.01.2012, inc. _)]. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,012 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
9ce05ecd-cb0b-51a9-b014-9bd840c57eee | in fatto: A.
Con decreto d’accusa del 12 dicembre 2006 (DA 4801/2006) il procuratore pubblico ha riconosciuto RI 1 autrice colpevole di delitto contro la Legge federale contro la concorrenza sleale per avere a _ , nel periodo novembre/dicembre 2004 – luglio 2005, in correità con RI 2, agito in modo sleale sfruttando un segreto d’affari di cui è venuta a conoscenza in modo illecito. Prima della sua partenza, l’imputata avrebbe sottratto temporaneamente un’agenda contenente dati confidenziali (contatti, clienti) della PC 1, trascrivendone i dati, sfruttandoli successivamente nell’ambito di un’attività concorrenziale alla società. Essa avrebbe inoltre incitato la segretaria _ a consegnarle informazioni e documentazione riservate (in specie fotografie di immobili, piantine di immobili e di mappali) al fine di sfruttarle nell’ambito della sua nuova attività concorrenziale a quella della PC 1. Ne ha pertanto proposto la condanna a 10 giorni di detenzione, pena sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, ed ha rinviato le parti civili al competente foro per le richieste di risarcimento.
Con decreto d’accusa del 12 dicembre 2006 (DA 4802/2006) il procuratore pubblico ha riconosciuto RI 2 autrice colpevole di delitto contro la Legge federale contro la concorrenza sleale per avere a _ , nel periodo febbraio 2005 – luglio 2005, in correità con RI 1, agito in modo sleale sfruttando un segreto d’affari di cui è venuta a conoscenza in modo illecito. E meglio, per avere sfruttato i dati confidenziali contenuti in un’agenda della PC 1 precedentemente trascritti da RI 1 nell’ambito di un’attività concorrenziale a quella della società e incitato in diverse occasioni la segretaria _ a consegnarle informazioni e documentazione riservate (in specie fotografie di immobili, piantine di immobili e di mappali) in possesso della PC 1, al fine di sfruttarle nell’ambito di un’attività concorrenziale.
Il procuratore pubblico l’ha inoltre ritenuta autrice colpevole di diffamazione (per avere, a _ nel corso del mese di luglio 2005, incolpato PC 2 di condotta disonorevole e di fatti che nuocciono alla sua reputazione e meglio per avere, parlando di lui con _, dichiarato che è “un imbroglione”, “uno che frega la gente”) e ingiuria (per avere, a _ , nel corso del mese di luglio 2005, offeso l’onore di PC 2, tacciandolo, parlando di lui con _ di “figlio di puttana”). Ne ha pertanto proposto la condanna a 15 giorni di detenzione, pena sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, ed ha rinviato le parti civili al competente foro per le richieste di risarcimento.
Al decreto di accusa RI 1 e RI 2 hanno presentato opposizione.
B.
Statuendo sulle opposizioni, con sentenza del 12 ottobre 2007 il giudice della Pretura penale ha in parte confermato i capi d’imputazione (l’infrazione contro la LF contro la concorrenza sleale è stata confermata solo per il capo di accusa 1.2. del DA 480/2006 a carico di RI 1 e solo per il capo di accusa 3.2. del DA 4802/2006 a carico di RI 2), condannando RI 1 alla pena pecuniaria di 5 aliquote giornaliere di fr. 60.– per un totale di fr. 300.– (sospesa condizionalmente per 2 anni) e alla multa di fr. 500.–, mentre RI 2 alla pena pecuniaria di 5 aliquote di fr. 40.– per un totale di fr. 200.– (sospesa condizionalmente per 2 anni) e alla multa di fr. 500.–. Le parti civili sono state rinviate a far valere le loro pretese di risarcimento davanti al competente foro.
C.
Contro la sentenza appena citata RI 1 e RI 2 hanno introdotto il 16 ottobre 2007 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nelle motivazioni scritte, entrambe del 26 novembre 2007, esse chiedono la loro assoluzione e la riforma in tal senso della sentenza impugnata. In via subordinata, RI 2 chiede che l’incarto venga rinviato ad un nuovo giudice per un nuovo giudizio. Con osservazioni del 28 dicembre 2008 il procuratore pubblico propone di respingere i ricorsi. Nelle loro osservazioni dell’8 gennaio 2008 PC 1 e PC 2 formulano identica proposta. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288
lett. a e b CPP). L’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata, né contrapporle una propria versione dell’accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev’essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 173 consid. 3.1 pag. 178).
I. Sul ricorso di RI 1.
2.
RI 1 esordisce rimproverando al giudice di avere parificato il suo agire a quello di RI 2, e ciò nonostante i testimoni sentiti abbiano individuato in quest’ultima “l’agente trainante” e, per quanto concerne la commisurazione della pena, nonostante RI 2 sia stata riconosciuta colpevole, oltre che di delitto contro la LCSl, anche di diffamazione e ingiuria (ricorso, pag. 3 punto 2).
Ora, con il rimprovero rivolto al giudice di averla accomunata a RI 2 nonostante che quest’ultima abbia commesso altri due reati, la ricorrente muove critiche immotivate, quindi inammissibili in un ricorso per cassazione, dove non basta prospettare un diverso accertamento dei fatti o una diversa valutazione delle prove, per quanto preferibili appaiano, ma occorre spiegare perché, accertando i fatti e valutando le prove come descritto nella sentenza, il giudice della Pretura penale sia trasceso in un risultato insostenibile, quindi arbitrario. Il ricorso è lungi d’averlo fatto. In nessun punto dell’esposto, del resto, è stata contestata (come tale) la commisurazione della pena. Il ricorso si rivela pertanto su questo punto inammissibile.
3.
Nel merito,
la ricorrente sostiene di essere, sì, venuta a conoscenza di “indeterminati clienti e oggetti in vendita”, ma di non poter essere responsabilizzata per questo poiché non era stato convenuto un divieto di concorrenza che glielo avrebbe potuto impedire.
L’acquisizione delle informazioni è avvenuta, quindi, in modo lecito, nell’ambito della sua attività lavorativa presso PC 1. Al proposito, la ricorrente rileva, poi, come la lista che è stata acquisita agli atti non permetta di comprendere quali oggetti siano stati resi noti all’imputata nell’ambito della sua attività e quali no. Rileva inoltre come la “stragrande maggioranza degli oggetti” non fosse di pertinenza della PC 1 nella misura in cui erano pure pubblicati su altri siti internet.
La ricorrente sottolinea, inoltre, che la “cerchia dei clienti” non fa parte “dell’elenco esplicativo di quelli che possono essere considerati segreti commerciali o di affari”. Oltretutto – sempre a dire della ricorrente –, non le si può imputare di avere sfruttato o comunicato a terzi segreti di fabbrica o affari, in quanto essa non ha concluso nessun affare nè incassato commissioni riconducibili a vendite di immobili concluse grazie alle informazioni ottenute dalla segretaria della PC 1 (ricorso, pag. 3-6).
a)
Dopo avere ricostruito la vicenda in relazione all’agire RI 1
, RI 2 nonchè della segretaria _
, il giudice della Pretura penale ha rilevato che le informazioni provenienti dalla PC 1 e comunicate da _ alle due accusate non costituivano fatti notori (“
offenkundig
”): i dati riportati nella tabella e riconosciuti dal direttore PC 2 al dibattimento e dai testimoni sentiti non erano accessibili (“
zugänglich
”) a chiunque, tant’è che per ottenerli le imputate hanno dovuto coinvolgere una dipendente della PC 1
Il giudice ha precisato inoltre che, secondo la dottrina, un fatto può essere considerato notorio (e quindi non segreto) soltanto quando è conosciuto da un numero indeterminato di persone (“
unbestimmbarern Anzahl von Personen
”), mentre gli oggetti “contrassegnati in blu sulla tabella” erano accessibili soltanto ad una cerchia limitata di persone. Sempre facendo riferimento alla dottrina, il giudice della Pretura penale ha inoltre spiegato che il presupposto della segretezza è dato anche se un’informazione è nota solo a un numero limitato di persone. La PC 1, società immobiliare d’intermediazione, aveva – ha precisato il primo giudice – un evidente interesse a mantenere confidenziali (“in sede”) le informazioni. Il giudice ha dato, inoltre, per “assodato” che PC 2 aveva preteso dai suoi dipendenti il rispetto della confidenzialità e riservatezza dei dati, necessità questa – ha concluso – tipica dell’attività di intermediazione immobiliare (sentenza, pag. 5-10).
b)
Secondo l’art. 23 cpv. 1 della Legge federale contro la concorrenza sleale (LCSl) – che presuppone l’intenzione, essendo sufficiente il dolo eventuale – chiunque, intenzionalmente, si rende colpevole di concorrenza sleale ai sensi degli articoli 3, 4, 4a, 5 o 6 è punito, a querela di parte, con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.
Lo scopo della LCSl è di garantire, nell’interesse di tutte le parti interessate, una concorrenza leale e inalterata (art. 1 LCSl). Di conseguenza, è sleale nonché illecito qualsiasi comportamento o pratica d’affari lesivo delle norme della buona fede, che influisce sui rapporti tra concorrenti o tra fornitori e clienti (art. 2 LCSl), o che è destinata a influenzarli (sentenza del Tribunale federale 6P.36/2000 del 5 luglio 2000, consid. 6d e riferimenti).
Agisce in modo sleale, segnatamente, chiunque sfrutta o comunica ad altri segreti di fabbrica o di affari che ha spiato o di cui è venuto a conoscenza in altro modo illecito (art. 6 LCSl). La slealtà è funzione del modo in cui si è venuti a conoscenza del segreto. La dottrina ha, in particolare, dedotto dal testo dell’art 6 LCSI che l’applicazione di tale disposto richiede un comportamento attivo dell’autore (“chi ha spiato” o “è venuto a conoscenza in modo illecito”): illegittimo e quindi sleale è, per esempio, intraprendere un’indagine (“
Auskundschaftung
”), cioè una ricerca consapevole di informazioni sapendo di fare qualche cosa di illegittimo, per esempio tramite una violazione di domicilio (
C. Baudenbacher
, Lauterkeitsrecht: Kommentar zum Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb (UWG), Basilea 2001
,
n. 57 ad art. 6 LCSl). È, tuttavia, data illiceità anche quando il concorrente non ha intrapreso alcuna indagine, ma è venuto a conoscenza del segreto in circostanze dalle quali può riconoscere che non è autorizzato a farne uso e a trasmetterlo a terzi (
C. Baudenbacher
, op. cit., n. 60 ad art. 6 LCSl e rif.).
Per contro, in linea di principio, i dati di cui si ha avuto notizia nell’ambito di un rapporto contrattuale sono da considerarsi acquisiti in modo lecito e, pertanto, non soggiacciono alla disposizione di cui all’art. 6 LCSl (sentenza del Tribunale federale 6P.137/2006 del 23 novembre 2006, consid. 6; C. Baudenbacher, op. cit., n. 3 e 59 ad art. 6 LCSl) nemmeno se le parti hanno concordato delle clausole di divieto di concorrenza sleale, valido anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro. In tal caso, solo una sanzione civile fondata sulla clausola generale dell’art. 2 LCSl entrerebbe in linea di conto (sentenza del Tribunale federale 6B_672/2007 del 15 aprile 2008, consid. 3.2; sentenza del Tribunale federale 6P.137/2006 del 23 novembre 2006, consid. 6).
La definizione di segreto della LCSl corrisponde a quella dell’art. 162 CP (
R. Von büren/E. Marbach
, Immaterialgüter- und Wettbewerbsrecht, 2. ed., Berna 2002, n. 1103; C. Baudenbacher, op. cit.
,
n. 30 e n. 86 ad art. 6 LCSl). Un fatto è segreto se non è né pubblicamente conosciuto né pubblicamente accessibile e per il quale esiste un interesse legittimo (di un commerciante o un fabbricante) a conservarne l’esclusività (DTF 103 IV 283;
M. Amstutz/M. Reinert
, in: Basler Kommentar, StGB II, edizione 2007
, art. n. 11 ad art. 162 CP;
G. Stratenwerth/G. Jenny
, Schweizerisches Strafrecht, Besonderer Teil I, Straftaten gegen Individualinteressen, 6a edizione, Berna 2003, § 22 n. 3
).
I segreti di fabbrica e quelli commerciali sono segreti che possono incidere sul risultato commerciale. Il segreto di fabbrica ingloba informazioni tecniche e comprende piani, ricette, procedure, ecc., mentre quello commerciale si riferisce all’organizzazione dell’impresa, alla pubblicità, al modo di calcolo dei prezzi, ecc. (DTF 103 IV 284;
M. Amstutz/M. Reinert
, op. cit., n. 15 ad art. 162 CP)
c)
Nel caso in esame è stato accertato che RI 1 sia RI 2 non sono venute a conoscenza della lista degli immobili in modo lecito, ma tramite la segretaria _, la quale oltre ad avere riconosciuto le proprie responsabilità – non opponendosi, tra l’altro, al decreto d’accusa emesso nei suoi confronti – si è detta pentita per quanto commesso. Quest’ultima – ha rilevato il primo giudice – ha riferito di “avere passato” sia a RI 1 sia a RI 2 “alcuni immobili o clienti sotto banco”. Stando agli accertamenti, lo scopo dell’operazione era quello di percepire le commissioni dall’eventuale intermediazione, che sarebbero state suddivise tra le tre donne (sentenza, pag. 8 consid. 5). Il giudice ha accertato inoltre, per quanto necessario, che PC 2 aveva preteso dai suoi dipendenti confidenzialità e riservatezza in punto ai dati in possesso della ditta, ciò che è stato disatteso da tutte e tre le donne: la segretaria quando era ancora alle dipendenze della ditta, RI 1 e RI 2 poco dopo averla lasciata (anche se quest’ultima non è mai stata alle dipendenze della società ma ha collaborato saltuariamente con il direttore PC 2; sentenza, pag. 5-6 consid. 1 e 2). _ aveva reso attento il direttore della PC 1 che le tre donne si apprestavano a fargli “concorrenza, utilizzando indirizzi e contatti” che _ avrebbe dato loro, allo scopo di ricavarne un profitto con le transazioni che avrebbero portato a termine (verbale di interrogatorio del 13 ottobre 2005 di PC 2, pag. 4; sentenza pag. 6 consid. 2). Il giudice ha inoltre accertato che la lista consegnata dalle due donne a _ era stata allestita con lo stesso metodo usato dalla PC 1 e che alcuni di questi oggetti, presenti anche sulla lista del direttore, erano riferiti a clienti per cui la società non ha mai reso pubblici gli intenti (sentenza, pag. 7 consid. 2).
d)
RI 1 non ha negato di avere ricevuto la lista da _. Del resto, nemmeno la cosa è stata negata da RI 2.
La qui ricorrente si limita a contestare che le informazioni deducibili da tale lista siano riservate, in quanto da chiunque reperibili su internet.
Con queste considerazioni, RI 1 si diparte dagli accertamenti – di senso contrario – del primo giudice senza, però, nemmeno tentare di sostenerne e motivarne l’arbitrarietà. Al proposito, va comunque rilevato che – al di là delle lacune ricorsuali – il primo giudice ha posto a sostegno dei suoi accertamenti, le dichiarazioni di _ che, estraneo “alle dinamiche PC 1”, ha avuto accesso alle informazioni soltanto grazie alle due ricorrenti rilevando, per esempio, come l’uomo sia venuto a conoscenza anche dell’esistenza del “cliente bulgaro” con cui il direttore della PC 1 intratteneva delle trattative “assolutamente riservate” che soltanto chi lavorava per PC 1 poteva conoscere (sentenza, pag. 8 consid. 4).
Le argomentazioni difensive secondo cui l’acquisizione delle informazioni sarebbe avvenuta durante l’impiego presso la società (ricorso, pag. 4) e sarebbe, quindi, lecita, non bastano a far apparire arbitrari gli accertamenti di senso contrario del primo giudice. Questi, infatti, fanno ampio riferimento alle dichiarazioni di _, ritenute fedefacenti poiché – contrariamente a quelle di entrambe le ricorrenti – rimaste immutate nel tempo e poiché, in sostanza, supportate dalle altre emergenze istruttorie.
Secondo le dichiarazioni della stessa _, è stata lei, quando le ricorrenti già non lavoravano (o collaboravano) più per la PC 1, a passare “sottobanco” alle due donne le informazioni e la documentazione su immobili o clienti “interessanti”.
Nemmeno il riferimento all’assenza di una clausola contrattuale di divieto di concorrenza è di giovamento alla tesi ricorsuale nella misura in cui le informazioni sono state ottenute quando già le due ricorrenti più non erano dipendenti o collaboratrici della PC 1.
Infine, nemmeno può essere condiviso l’assunto ricorsuale secondo il quale la cerchia dei clienti non farebbe parte “dell’elenco esplicativo di quelli che possono essere considerati segreti commerciali o di affari”: la lista in parola non è una semplice elencazione di nominativi di clienti (in quanto composta da immobili che devono essere venduti per conto di clienti e contenente anche informazioni tecniche sulle proprietà in vendita) e le informazioni ivi contenute, se sfruttate (v. di seguito consid. e), avrebbero permesso alle ricorrenti di trarre un profitto a scapito della società detentrice delle informazioni esclusive.
e)
Ritenuto non arbitrario l’accertamento pretorile secondo cui l’acquisizione delle informazioni sia da parte di RI 1 che di RI 2 è avvenuta in modo illecito, va ora esaminato se effettivamente le due donne abbiano
sfruttato
le informazioni ricevute.
Secondo la ricorrente, vi sarebbe sfruttamento delle informazioni ricevute soltanto se essa avesse incassato delle commissioni vendendo gli immobili che figuravano sulla lista, ciò che invece non sarebbe mai avvenuto. La tesi ricorsuale non è fondata.
Lo sfruttamento ai sensi dell’art. 6 LCSl è inteso quale processo, messa in atto o utilizzo delle informazioni illecitamente acquisite (C.
Baudenbacher
, op. cit., n. 63-72 ad art. 6 LCSl; sentenza del Tribunale federale 6P.137/2006 del 23 novembre 2006, consid. 6). Il fatto che le due ricorrenti non abbiano tratto profitto dal loro agire è irrilevante, nella misura in cui esse hanno, comunque, fatto uso delle informazioni illecitamente ottenute nell’ambito di un progetto che prevedeva, proprio, l’utilizzo delle informazioni sulla clientela, in parte esclusiva e in parte no, con cui la PC 1 intratteneva i contatti.
Il ricorso va, pertanto, respinto.
4.
Quanto alla richiesta di assistenza giudiziaria e gratuito patrocinio (ricorso, pag. 6), competente a decidere è il Giudice dell’istruzione e dell’arresto (art. 26 cpv. 1 Lag) cui l’istanza viene trasmessa.
II. Sul ricorso di RI 2.
Concorrenza sleale
5.
La ricorrente insorge contro l’ammissione da parte del primo giudice dell’audizione testimoniale di PC 2 affermando che, essendo questi titolare della PC 1, non avrebbe potuto essere sentito come teste ma, semmai, come parte lesa.
Sostiene come il pretore penale sia incorso in arbitrio ritenendo tardiva la sua opposizione all’audizione (presentata solo al dibattimento) poiché – afferma – non gli era possibile conoscere prima la posizione di PC 2 in seno alla società (ricorso, pag. 2-3 punto 1).
a)
L’audizione quale teste di PC 2 è stata predisposta (act. 8 e 16 inc. 10.2007.6) su richiesta della stessa difesa (act. 9 inc. 10.2007.7). Soltanto in aula, RI 2 ne ha chiesto l’estromissione in quanto il direttore avrebbe assunto anche “il ruolo di parte” (verbale del dibattimento, pag. 3).
Preso atto dell’opposizione, il giudice ha respinto l’eccezione, da un lato, perché tardiva ma, soprattutto, perché ha ritenuto che l’audizione come teste di PC 2 non contrastava con alcuna norma del CPP ritenuto che la sua posizione nell’ambito della PC 1 sarebbe stata considerata nella valutazione della sua deposizione (verbale del dibattimento, pag. 3).
b)
Giusta l’art 139 CPP, alla deposizione della parte lesa sono applicabili le disposizioni concernenti i testimoni, con l’eccezione che essa viene sentita senza giuramento o promessa salvo che ad istanza dell’accusato e nell’interesse della sua difesa.
Pertanto, la decisione del pretore di sentire PC 2 non urta nessuna norma di procedura se non nella misura in cui a lui è stato deferito il giuramento e/o la promessa solenne senza – e va da sé, vista l’opposizione – richiesta in tal senso delle accusate (art. 139 cpv. 2 CPP; verbale del dibattimento, pag. 4 in alto).
Tuttavia, questa inosservanza – così come la qualifica formale non corretta di teste – non ha leso nessun diritto della difesa e, pertanto, essa non basta a sostenere la tesi ricorsuale, ritenuto come, poi, correttamente, nella valutazione della portata probatoria della testimonianza di PC 2 il pretore ne abbia considerato la posizione in seno alla PC 1 (“pur avendo una portata probatoria limitata”; sentenza, pag. 6 consid. 2).
Ciò detto, senza che sia necessario esprimersi sulle argomentazioni relative alla contestazione della valutazione sulla tempestività della censura, il ricorso va, su questo punto, respinto.
6.
Secondo la ricorrente, il primo giudice avrebbe arbitrariamente rifiutato l’audizione testimoniale di _ la cui audizione avrebbe permesso di dimostrare che i fatti che le erano contestati corrispondevano a “un comportamento concordato da tempo” con PC 2. Infatti, impiegata quale segretaria prima di _ e di RI 1, _ avrebbe potuto riferire sull’esatto “meccanismo messo in atto” da PC 2 e RI 2, sulla dinamica dei fatti e sullo scambio delle informazioni, che coincidevano “esattamente” con quelli riferiti dalla stessa _ (ricorso, pag. 3-4 punto 2).
a)
Con scritto 31 gennaio 2007, RI 2 ha chiesto che al dibattimento venisse assunta l’audizione testimoniale di _ osservando che essa avrebbe potuto “definire quali erano le abituali modalità di informazione che avvenivano traPC 2 e RI 2” (act. 9 inc. 10.2007.7).
Il giudice della Pretura penale ha rifiutato di sentire _ affermando che la sua audizione non avrebbe potuto chiarire i fatti oggetto del procedimento, “non essendo essenziale stabilire le abituali modalità d’informazione tra PC 2 e RI 2” (act. 16 inc. 10.2007.6).
b)
Il diritto di essere sentito, sancito esplicitamente dall’art. 29 cpv. 2 Cost., assicura – tra l’altro – la facoltà di assumere le prove formalmente e tempestivamente offerte (DTF
129 II 497
consid. 2.2 pag. 504
, 126 I 15
consid. 2a/aa pag. 16 e sentenze citate, 115 Ia 8 consid. 2b pag. 11 con citazioni), compresa quella di interrogare i testi a carico e a discarico (DTF116 Ia 289 consid. 3 pag. 291 con richiami). In tale prospettiva, esso consacra le stesse garanzie processuali dell'art. 6 par. 3 lett. d CEDU e le sua inosservanza comporta la cassazione della sentenza impugnata già per motivi di forma, senza riguardo al merito (DTF 116 Ia 52 consid. 2 pag. 54 con richiami). Il Tribunale federale ha però avuto modo di stabilire che, se per un verso – e per principio – l'imputato ha diritto all'assunzione delle prove offerte, per altro verso l'autorità può rinunciare a quei mezzi istruttori il cui presumibile risultato non porterebbe elementi di rilievo (“apprezzamento anticipato delle prove”: DTF 125 I 127 consid. 6c/cc pag. 135, 417 consid. 7b pag. 430, 124 I 208 consid. 4 pag. 211, 122 V 157 consid. 1d pag. 162 con rinvio al principio enunciato in DTF 106 Ia 162 consid.
2b;
Hauser/Schweri/Hartmann
, Schweizerisches Strafprozessrecht,
Basilea/Ginevra/Monaco 2005,
6a edizione, § 54 n. 1 e § 55 n. 8 seg.).
Entro tali limiti l'apprezzamento anticipato delle prove non viola la garanzia di un equo processo consacrata dall'art.
6 CEDU (
Miehsler/Vogler
in: Internationaler Kommentar zur Europäischen Menschenrechtskonvention, nota 367 ad art. 6 con rimandi).
c)
La decisi
one del pretore di rinunciare all’audizione della teste _ è il frutto di una valutazione anticipata delle prove che resiste – contrariamente alla tesi ricorsuale – alla censura di arbitrio. È del tutto sostenibile la valutazione del primo giudice secondo cui l’audizione dell’ex segretaria della PC 1 – stando a quello che verosimilmente avrebbe dichiarato (ricorso, pag. 3 punto 2) – non avrebbe presumibilmente portato elementi di rilievo per il chiarimento della fattispecie sulla quale egli era chiamato a pronunciarsi. In effetti, il giudice ben poteva ritenere che, di fronte alle altre emergenze probatorie (v. consid. 3), il sapere di presunti accordi intercorsi tra RI 2 e PC 2 in un periodo precedente a quello in esame non avrebbe permesso di far luce sui fatti puntuali posti alla base dell’accusa di infrazione alla LF sulla concorrenza sleale. Il ricorso va, pertanto, su questo punto, respinto.
7.
Secondo la ricorrente, prove della sua colpevolezza non ce ne sarebbero. Il giudice l’avrebbe arbitrariamente condannata sulla base di “fumose affermazioni” di PC 2, _ e _. In sostanza, nessuno avrebbe provato l’esistenza di “segreti” (informazioni riservate, oggetti esclusivi, ecc.) né distinto quali degli oggetti figuranti sulla lista sarebbero “passati” nell’ambito della “solita” collaborazione con il direttore della società e quali invece senza autorizzazione, ossia “di nascosto”. Nemmeno – aggiunge la ricorrente – sarebbe stata fornita la prova che un qualsiasi cliente di PC 2 sia stato “scavalcato” dalle coimputate né che, perlomeno, abbiano tentato di farlo. Nemmeno il caso “bulgaro”, unico “tentativo probatorio”, poggerebbe su basi solide (ricorso, pag. 4-5 punto 3).
Così com’è formulato, l’assunto è improponibile. A prescindere dal fatto che – come si è spiegato (consid. 3) – il primo giudice ha fondato il suo convincimento soprattutto sulle dichiarazioni rese in aula dalle due coimputate e dai testi (sentenza, pag. 7 consid. 3), la ricorrente sorvola completamente sui motivi che hanno indotto il giudice a ritenere, da una parte, del tutto credibili le testimonianze di PC 2, _ e _ e, dall’altra, esclusiva la vendita di alcuni oggetti di cui le due erano venute a conoscenza grazie alle informazioni passate loro “sotto banco” dalla segretaria (per il dettaglio si rimanda a quanto già discusso per RI 1; consid. 3). Un ricorso per cassazione non è un atto di appello in cui la difesa può limitarsi a esporre la propria opinione come se ripetesse l’arringa davanti a un altro giudice. È un rimedio giuridico in cui l’interessato deve censurare con adeguata motivazione vizi specifici o errori qualificati. Per doglianze come quelle testé riassunte non v’è spazio.
8.
La ricorrente ribadisce di non avere né sfruttato né spiato informazioni. Le notizie sono giunte a sua conoscenza in modo illecito e, d’altronde, gli oggetti sulla lista non erano “segreti di affari” poiché, oltre ad essere reperibili su internet, almeno per alcuni PC 2 collaborava con altre fiduciarie. Sostiene, poi, come si sarebbe dovuto stabilire – per un giudizio corretto – quali degli oggetti sulla lista erano esclusivi o confidenziali e quali no. Rileva inoltre come nel caso di specie nemmeno sia stato stipulato un “contratto di esclusiva” che avrebbe permesso di incassare la mercede di intermediazione anche qualora la vendita si perfezionasse grazie all’intervento di terze persone. RI 2 conclude affermando di avere sempre agito “nella consapevolezza di una collaborazione con PC 1-PC 2”. Secondo la ricorrente, il primo giudice, per finire, avrebbe violato il principio
in dubio pro reo
, in quanto “dubbi rilevanti e insopprimibili” avrebbero dovuto fargli pronunciare la sua assoluzione (ricorso, pag. 7-10 punti 5-6).
a)
I temi esposti sono gli stessi già sollevati nel suo ricorso da RI 1 per cui si rimanda a quanto rilevato e deciso al consid. 3. Comunque sia, il memoriale denota chiara indole appellatoria, estranea a un ricorso per cassazione fondato sul divieto dell’arbitrio. Un ricorso per cassazione non è un atto di appello diretto a un’autorità munita di pieno potere cognitivo anche sulle questioni di fatto. La ricorrente non può, in altri termini, limitarsi a contrapporre il suo punto di vista a quello del primo giudice. Carente di motivazione, al riguardo il memoriale va dichiarato una volta ancora inammissibile.
b)
Infine, la ricorrente ha sostenuto una violazione del principio
in dubio pro reo,
inteso come regola riferita alla valutazione delle prove. Non sostanziata, la critica andrebbe dichiarata d’acchito inammissibile. Comunque sia, non si può certo affermare che in concreto il primo giudice abbia condannato la ricorrente quantunque una valutazione non arbitraria delle prove lasciasse sussistere dubbi rilevanti sulla sua colpevolezza (DTF 127 I 38 consid. 2a pag. 41, 124 IV 86 consid. 2 pag. 88, 120 Ia 31 consid. 2a pag. 38). Anche su questo punto, il ricorso è destinato pertanto all’insuccesso.
Diffamazione e ingiuria
9.
Per quanto riguarda la condanna per diffamazione e ingiuria, la ricorrente sostiene che il giudice della Pretura penale, prevenuto nei suoi confronti, avrebbe arbitrariamente accertato i fatti posti a base della sentenza. Questi l’avrebbe condannata fondandosi unicamente sulle dichiarazioni di _ in netto contrasto con le sue, la quale ha riferito di avere sentito l’imputata insultare PC 2 con epiteti quali “imbroglione”, “uno che frega la gente” e “figlio di puttana”.
La ricorrente ammette unicamente di avere insultato PC 2 “direttamente” durante un colloquio telefonico (fatto questo non sfociato in una querela) e rileva come le affermazioni di _ siano “prive di fondamento, non credibili e assurde”. Condannandola sulla base di questa sola testimonianza, il giudice avrebbe commesso arbitrio: non è ammissibile venire condannati “solo perché l’ha detto _” (ricorso, pag. 5-6 punto 4).
Sebbene il primo giudice abbia motivato la condanna per ingiuria e diffamazione in modo molto sbrigativo, la motivazione non può ancora dirsi carente. Egli – come ricorda la stessa ricorrente – ha raggiunto la convinzione della colpevolezza dell’imputata sia sulla base delle dichiarazioni rese da _ in sede di interrogatorio di polizia e confermate, poi, al dibattimento. Il giudice ha, quindi, potuto verificare e valutare in aula l’attendibilità della testimone che ha sostenuto anche con convinzione – raggiunta dopo avere sentito l’imputata e averne valutato le dichiarazioni, in particolare l’ammissione della stessa di aver tacciato di “stronzo” PC 2 – secondo cui RI 2 è “persona particolarmente portata agli insulti” (sentenza, pag. 10-11 consid. 11).
L’ampio potere discrezionale del primo giudice non permette a questa Corte di sindacare, oltremodo, il suo apprezzamento. In particolare, non lo permette a fronte di censure appellatorie e insufficientemente motivate.
Nemmeno
il richiamo al principio
in dubio pro reo
è di ausilio alla ricorrente nella misura in cui tale precetto ha, in questa sede, se riferito alla
valutazione delle prove
, la stessa portata del divieto dell’arbitrio (DTF 127 I 38 consid. 2a pag. 41, 124 IV 86 consid. 2a pag. 88, 120 Ia 31 consid. 2d pag. 38).
Il ricorso va, pertanto, anche su questo punto, dichiarato inammissibile.
III. Sulle spese e le ripetibili
10.
Gli oneri del giudizio odierno seguono la soccombenza delle ricorrenti, che rifonderanno alle parti civili PC 1 e PC 2, i quali hanno presentato osservazioni per il tramite di un avvocato, un’indennità di fr. 500.– ciascuno a titolo di ripetibili. | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,009 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
9d00ed20-2cbb-5891-b641-be23e4fc9826 | in fatto: A.
Con decreto d'accusa del 7 aprile 2003 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autrice colpevole di ingiuria per avere, nell'ottobre del 2001, offeso a _ l'onore di _ (1984) e _ (1986), tacciando queste ultime con epiteti come “troiette”, “puttana” e “troia”. In applicazione della pena, egli ha proposto la condanna di _ a una multa di fr. 150.–. Al decreto di accusa l'interessata ha fatto opposizione. Statuendo il 26 giugno 2003 senza dibattimento, il giudice della Pretura penale ha dichiarato l'opposizione irricevibile, poiché tardiva, e ha accertato il passaggio in giudicato del decreto d'accusa.
B.
Contro la sentenza appena citata _ è insorta il
21 luglio 2003 con un ricorso per cassazione in cui chiede che sia accertata la tempestività dell'opposizione, che sia annullata la sentenza impugnata e che siano rinviati gli atti a un altro giudice della Pretura penale per nuova decisione, previo dibattimento. Il Procuratore pubblico ha comunicato il 4 agosto 2003 di rimettersi al giudizio della Corte di cassazione e di revisione penale. D. F. (madre di St. F. e S. F.), costituitasi parte civile, è rimasta silente. | Considerando
in diritto: 1.
Di norma un ricorso per cassazione va preceduto da una dichiarazione di ricorso, da inoltrare al giudice che ha emesso la sentenza nei 5 giorni seguenti la comunicazione orale dei dispositivi (art. 289 cpv. 1 CPP, cui rinvia l'art. 278 cpv. 2). In concreto non è avvenuta alcuna “comunicazione orale dei dispositivi”, poiché il giudice della Pretura penale ha statuito senza dibattimento. Esigere una dichiarazione di ricorso nelle circostanze descritte non avrebbe quindi alcun senso.
2.
Secondo l'art. 208 cpv. 1 lett. e CPP sia l'accusato sia la parte civile possono introdurre opposizione a un decreto d'accusa per scritto entro 15 giorni dall'intimazione del decreto medesimo, senza di che le proposte contenute nel medesimo acquisiscono forza di giudicato. Quanto alle intimazioni, l'art. 7 CPP stabilisce che esse avvengono per invio raccomandato o per mezzo di usciere (cpv. 1), in applicazione analogica delle disposizioni del Codice di procedura civile (cpv. 2). Di regola una notificazione avviene dunque per raccomandata, con o senza ricevuta di ritorno, conformemente ai regolamenti postali (art. 124 cpv. 1 CPC). Alle persone domiciliate nel Cantone Ticino la notifica si compie mediante consegna dell'atto al destinatario, nel luogo in cui la persona dimora o svolge la sua attività, oppure al suo rappresentante; in caso di assenza, il plico è rimesso a una persona adulta della sua famiglia o a un suo impiegato (art. 120 CPC).
3.
In DTF 127 I 31 consid. 2a/aa pag. 34 il Tribunale federale ha avuto modo di ricordare che una decisione spedita per raccomandata si reputa notificata al momento in cui è consegnata al destinatario, oppure – se non è stato possibile recapitarla – alla scadenza dei sette giorni durante i quali il plico rimane depositato all'ufficio postale, sempre che il destinatario potesse aspettarsi la notifica (cfr. anche DTF 123 II 492 cpv. 1 lett. consid. 1 pag. 493). Il termine di giacenza previsto dall'art. 169 cpv. 1 lett. d ed e dell'ordinanza (1) della legge sul servizio delle poste e del 1° settembre 1967 è stato invero abrogato con l'entrata in vigore dell'ordinanza delle poste del 29 ottobre 1997 (OPA), segnatamente dal relativo art. 13 OPA. Il termine di giacenza di sette giorni è stato ripreso però nelle condizioni generali del servizio postale. Mantiene perciò tutte le sue caratteristiche (DTF 127 I 31 consid. 2b pag. 34; CCRP, sentenza del 27 marzo 2003 in re S., consid. 3).
4.
Nella fattispecie il giudice della Pretura penale ha ricordato che il Ministero pubblico ha intimato il decreto di accusa alle parti il
7 aprile 2003. Al più presto – egli ha soggiunto – l'accusata ha ricevuto l'atto perciò il giorno dopo, 8 aprile 2003, sicché il termine utile per presentare opposizione è scaduto il 23 aprile 2003. Datata 24 aprile 2003 e spedita l'indomani, l'opposizione era dunque tardiva. Tale ragionamento è viziato alla base. Come sottolinea la ricorrente, il plico raccomandato contenente il decreto d'accusa a lei destinato è rimasto in giacenza all'ufficio postale per sette giorni, fino al 15 aprile 2003, quando è stato ritirato (si veda la distinta delle raccomandate prodotta dal Ministero pubblico). E siccome il termine per proporre opposizione è cominciato a decorrere il giorno dopo il ritiro, l'opposizione inviata il 25 aprile 2003 è manifestamente tempestiva. Ne discende che la sentenza impugnata dev'essere annullata.
5.
In caso di accoglimento del ricorso gli atti vanno rinviati alla Corte del merito, “composta da altri giudici e giurati, a meno che la cassazione sia stata pronunciata unicamente per insufficiente motivazione della sentenza o che il primo giudice debba unicamente ricommisurare la pena” (art. 296 cpv. 2 CPP). Di per sé gli atti del processo andrebbero trasmessi pertanto a un altro giudice della Pretura penale. Se appena si considera però che in concreto il primo giudice non ha nemmeno esaminato l'opposizione, ritenendola tardiva, non è il caso di chiamare un altro giudice a statuire in materia. Tanto meno ove si pensi che il medesimo giudice potrebbe essere chiamato finanche, soccorrendone le premesse, a ricommisurare la pena.
6.
Gli oneri processuali seguirebbero il vicendevole grado di soccombenza (art. 15 combinato con l'art. 9 CPP). Dato nondimeno che la ricorrente esce sconfitta su un punto meramente accessorio (rinvio degli atti al medesimo giudice anziché a un altro giudice), si può prescindere dal riscuotere la trascurabile quota di spese che andrebbe a suo carico. Visto l'esito del gravame, lo Stato rifonderà inoltre alla ricorrente un'equa indennità per ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,003 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
9d0e5ef2-a1c2-589d-92b2-912e1765b491 | in fatto: A.
Con decreto di accusa del 18 dicembre 2001 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di tentata truffa, proponendone la condanna a 90 giorni di detenzione e all'espulsione dalla Svizzera per tre anni (pene sospese condizionalmente per due anni), oltre che al pagamento di una multa di fr. 5'000.–. L'atto è stato intimato per raccomandata lo stesso giorno al domicilio dell'accusato, il quale però non lo ha ritirato, sicché dopo i sette giorni di giacenza il plico è stato rinviato dall'ufficio postale di _ al Ministero pubblico (31 dicembre 2001). Quello stesso 18 dicembre 2001 il decreto è stato intimato per raccomandata anche al patrocinatore d'ufficio dell'accusato, avv. _. Il 21 dicembre 2001 quest'ultimo ha spedito all'assistito, per raccomandata, copia del decreto unitamente a una lettera in cui riassumeva – in tedesco – il contenuto dell'atto e indicava i rimedi giuridici. Nemmeno tale invio però è stato ritirato durante il periodo di giacenza, di modo che la busta è tornata al legale (7 gennaio 2002). L'avvocato _ ha quindi ripetuto l'invio per posta semplice.
B.
Il 27 febbraio 2002 _ ha chiesto al Ministero pubblico la restituzione del termine per presentare opposizione, affermando di avere potuto prendere conoscenza del decreto di accusa solo il 7 gennaio 2002, dopo il suo rientro dall'Iran, e di avere subito incaricato l'avv. _ di introdurre opposizione. Se non che, il legale sarebbe rimasto passivo. Con sentenza del 13 dicembre 2002 la presidente della Corte delle assise correzionali di Lugano ha respinto l'istanza, ritenendola tardiva e comunque infondata nel merito.
C.
Contro la sentenza di assise _ ha inoltrato il 7 gennaio 2003 un ricorso in lingua tedesca alla Corte di cassazione e di revisione penale. Con decreto del 14 gennaio successivo il presidente della Corte gli ha assegnato un temine di 20 giorni per tradurre il memoriale in italiano, ciò che il ricorrente ha fatto il 5 febbraio successivo. Nei motivi l'interessato chiede che l'istanza di restituzione in intero sia accolta e che egli sia reintegrato nel termine per presentare opposizione al decreto di accusa. Il ricorso non ha formato oggetto di intimazione. | Considerato
in diritto: 1.
Secondo l'art. 287 cpv. 1 CPP il Procuratore pubblico, l'accusato e il suo difensore possono interporre ricorso per cassazione contro tutte le sentenze di merito emanate dalle Corte penali. In concreto il rimedio non è diretto contro una sentenza di merito, bensì contro la mancata restituzione del termine per introdurre opposizione a un decreto di accusa. Questa Corte ha già avuto modo di ritenere, nondimeno, che un ricorso per cassazione proposto da un condannato contro una sentenza con cui il Pretore dichiara irricevibile per tardività la sua opposizione al decreto di accusa è ammissibile, poiché tale decisione – pur non essendo di merito – pone fine al procedimento penale (CCRP, sentenza del 16 agosto 2000 in re W.). Non vi motivo per scostarsi da tale orientamento nella fattispecie, ove con la decisione impugnata il Pretore – pur nell'ambito di una restituzione dei termini (art. 21 e 22 CPP) – ha statuito per finire sulla ricevibilità dell'opposizione al decreto di accusa, ossia su un presupposto processuale che, se negato (come in concreto), pone fine al procedimento (CCRP, sentenza del 20 dicembre 2000 in re S.);
2.
Secondo l'art. 21 CPP la restituzione di un termine può essere concessa se la parte o sul suo patrocinatore prova di non avere potuto rispettare la scadenza “perché impedita senza sua colpa, o per forza maggiore, segnatamente per malattia, assenza scusabile, servizio pubblico o militare o per altre ragioni importanti”. L'istanza va presentata, sotto pena di decadenza, entro dieci giorni dalla cessazione dell'impedimento (art. 22 cpv. 1 CPP). Nel caso specifico l'accusato non pretende di essere stato impedito dall'introdurre tempestiva opposizione per forza maggiore o per una delle ragioni enunciate all'art. 21 CPP, ma per la negligenza imputabile al suo patrocinatore d'ufficio, sollecitato invano a impugnare il decreto di accusa. Del resto – egli soggiunge – il difensore avrebbe dovuto intraprendere di sua iniziativa tutto il possibile per rispettare il termine di 15 giorni previsto dalla legge, salvo essere certo che l'accusato avrebbe desistito. In mancanza di ciò, avrebbe dovuto almeno inoltrare opposizione a titolo cautelativo. Rimanendo inoperoso, il legale ha privato l'accusato di una difesa adeguata, in violazione degli art. 8 Cost. e 6 CEDU.
3.
La presidente della Corte delle assise correzionali ha respinto l'istanza già per motivi d'ordine. Essa ha rilevato anzitutto che secondo l'art. 7 CPP l'intimazione degli atti processuali avviene per posta oppure per mezzo di usciere o della polizia, in applicazione analogica di quanto dispone il Codice di procedura civile. Per consolidata giurisprudenza un rinvio raccomandato si reputa notificato, in caso di mancato ritiro da parte del destinatario, il settimo e ultimo giorno di giacenza presso l'ufficio postale. Non essendo stato ritirato, nel caso specifico il decreto di accusa doveva ritenersi notificato il settimo giorno di giacenza. L'opposizione formulata con scritto del 27 febbraio 2002 risultava perciò intempestiva, come tardiva si dimostrava l'istanza di restituzione in intero proposta quello stesso giorno. Una richiesta a tal fine andava presentata in effetti – sotto pena di decadenza – entro 10 giorni dalla cessazione dell'impedimento (art. 22 cpv. 1 CPP), ciò che l'interessato ammetteva essere intervenuto solo il 7 gennaio 2002 al momento del suo rientro dall'estero, dopo di che aveva potuto prendere conoscenza del decreto.
4.
Il ricorrente non si confronta con la motivazione testé riassunta né pretende di avere introdotto l'istanza di restituzione in intero tempestivamente. Quanto a un'eventuale negligenza del suo precedente legale, nell'istanza medesima egli affermava ancora di avere sollecitato invano l'avvocato _ ad attivarsi, a presentare opposizione (e quindi implicitamente, a postulare la restituzione del termine). Nel ricorso egli critica unicamente l'operato del suo ex legale al momento della ricezione del decreto di accusa. A parte ciò, l'istanza in esame – proposta il 27 febbraio 2002 – andrebbe considerata tardiva quand'anche si volesse ritenere che l'impedimento ad agire sia cessato il 16 gennaio 2002 (due giorni dopo il passaggio in giudicato del decreto di accusa, avvenuto il 14 gennaio 2002). A quel momento infatti il ricorrente ha inviato al suo legale di allora un fax in cui comunicava di avere preso conoscenza del decreto di accusa e incaricava il patrocinatore stesso di presentare opposizione. Anche dipartendosi da tale ipotesi, per vero, il termine di 10 giorni previsto dall'art. 22 CPP è stato ampiamente superato. Anzi, la tardività della domanda risulta ancor più evidente ove si consideri che in una lettera del 7 febbraio 2002 indirizzata all'avv. _ per sapere se fossero stati intrapresi passi in vista di ottenere un risarcimento per ingiusta carcerazione preventiva, il nuovo patrocinatore del ricorrente dava per acquisita l'opposizione al decreto di accusa, pretendendosi così informato al riguardo. Se appena avesse egli verificato ciò (per esempio interpellando il Ministero pubblico), egli avrebbe scoperto che l'informazione era inveritiera ancor prima che l'avv. _ glielo comunicasse per scritto il 22 febbraio successivo. Ne discende che, comunque sia, il ricorso si rivela palesemente infondato.
5.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza del ricorrente (art. 15 cpv. 1 con rinvio all'art. 9 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,003 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
9d1de052-239b-5cd1-ad5b-0ad820544f97 | in fatto
a.
In data 14.9.2009 l’_ (in seguito _) ha presentato un esposto per titolo di truffa e amministrazione infedele, in relazione al contratto di acquisizione delle azioni della società _ (in seguito _), stipulato in data 13.12.2008 e sottoscritto da un lato da _, in qualità di venditore, e dall’altro da _ e da RE 1 per conto di _, acquirente (inc. MP _).
Il procedimento è stato promosso, tra gli altri, nei confronti di _, _ e RE 1. Le ipotesi di reato sono state estese ai reati di infedeltà nella gestione pubblica, corruzione attiva e corruzione passiva.
b.
Con decisione 20.3.2012 il magistrato inquirente ha decretato l’abbandono, tra gli altri, nei confronti di RE 1, per il titolo di corruzione passiva, per mancanza di elementi sufficienti “
a sostanziare l’accettazione di un possibile comportamento costitutivo di reato
”
(decreto di abbandono 20.3.2012, p. 6, ABB _).
L’abbandono non è stato impugnato ed è cresciuto in giudicato.
c.
Con istanza di indennizzo 16.3.2012, RE 1 chiede al magistrato inquirente che gli venga riconosciuta ai sensi dell’art. 429 CPP un’indennità complessiva di CHF 330'929.25, per spese legali (CHF 54'729.25), danno economico (CHF 271'200.--) e torto morale (CHF 5'000.--).
d.
Con decisione 22.3.2012 il procuratore generale ha parzialmente accolto l’istanza di indennizzo, riconoscendo un’indennità di CHF 39'639.20 per spese legali.
Ha negato il risarcimento del danno economico, legato al licenziamento avvenuto in data 19.10.2009 del reclamante in seno all’_, in quanto tale nocumento non sarebbe in nesso di causalità adeguato con il procedimento penale.
Anche il risarcimento del torto morale è stato negato, in quanto RE 1 avrebbe “
oggettivamente violato, con negligenza grossolana, i propri doveri di funzionario dirigente di _, sottoscrivendo addirittura un contratto neppure letto e omettendo di assumere la benché minima informazione sui contenuti degli accordi che concludeva (con firma vincolante) a nome di un ente di diritto pubblico
” (decisione 22.3.2012, p. 2, inc. MP _).
Delle ulteriori motivazioni addotte dal procuratore generale a sostegno della sua decisione si dirà, laddove necessario, in corso di motivazione.
e.
Con il presente tempestivo gravame RE 1 chiede l’annullamento della succitata decisione e che gli venga riconosciuto un indennizzo pari alla somma di CHF 328'888.60, oltre interessi, per spese legali (CHF 52'688.60), danno economico (CHF 271'200.--) e torto morale (CHF 5'000.--).
Per quanto riguarda il risarcimento delle spese legali, il reclamante non contesta in questa sede la prima riduzione operata dal magistrato inquirente circa alcuni atti di assistenza legale antecedenti l’avvio degli atti di indagine nei suoi confronti (reclamo 30.3/2.4.2012, p. 3).
In merito alla riduzione della seconda posta di spesa legale, circa un intervento di patrocinio precedente un’istanza di abbandono da 7 ore a 3 ore, RE 1 sostiene che “ | all’epoca si trattava di presentare una richiesta che fosse fondata in fatto ed in diritto, il che presuppone il riesame integrale di tutto il fascicolo processuale, che era ed è assai voluminoso e complesso, (...): il previsto atto procedurale richiedeva pertanto una conoscenza assolutamente approfondita di tutti gli atti del procedimento allora disponibili, allorché il qui reclamante (ed il sottoscritto patrocinatore) in corso di inchiesta ovviamente non avevano avuto accesso agli atti concernenti altri prevenuti (...); pertanto la richiesta di riconoscimento di un dispendio di 7 ore ed un quarto viene integralmente mantenuta
” (reclamo 30.3/2.4.2012, p. 3-4).
Contesta parimenti la riduzione del saggio orario da CHF 400.-- a CHF 300.--, precisando che la prassi utilizzata dall’allora Camera dei ricorsi penali, ed avallata dal TF, fissa una tariffa oraria minima, ma non una massima. Ritiene che proprio la complessità della fattispecie richiedeva specifiche conoscenze di carattere economico, al fine di poter impostare una corretta difesa dell’avv. RE 1, ciò che a suo dire giustifica un saggio orario di CHF 400.--.
Per quanto riguarda le altre poste di danno, l’avv. RE 1 contesta la conclusione alla quale è giunto il procuratore generale, sostenendo che lo stesso avrebbe stravolto il senso dell’art. 430 CPP rifiutando l’indennizzo in quanto l’imputato avrebbe provocato in modo illecito e colpevole l’apertura del procedimento penale.
Il reclamante ritiene che tale norma, secondo la dottrina più autorevole, parla di comportamenti processuali e non il semplice fatto di raccontare bugie o il rifiuto di collaborare.
In siffatte circostanze, lo stesso ritiene che nessun rimprovero di tale genere gli può essere addebitato, non avendo “
alcuna colpa sia per l’apertura del procedimento, avviato da un esposto di _ del 14 settembre 2009 e che ha dovuto subire, a partire dall’interrogatorio iniziale durato 18 ore, sia per il seguito del procedimento, nel quale ha adempiuto a tutte le richieste di comparizione del magistrato, senza mai nulla eccepire od obiettare
” (reclamo 30.3/2.4.2012, p. 9).
Conclude affermando quindi che il requisito legale del comportamento processuale illecito e riprovevole fa totalmente difetto, “
ragion per cui la querelata decisione, che si basa su elementi materiali relativi alla fattispecie penale e non a comportamenti processuali è del tutto errata e codesta Corte la deve conseguentemente riformare
” (reclamo 30.3/2.4.2012, p. 9).
in diritto
1.
1.1.
Giusta l’art. 393 cpv. 1 lit. a CPP il reclamo può essere interposto contro le decisioni e gli atti procedurali della polizia, del pubblico ministero e delle autorità penali delle contravvenzioni, eccettuati i casi in cui è espressamente escluso dal Codice o quando è prevista un’altra impugnativa.
Con il gravame, da introdurre davanti alla giurisdizione di reclamo (art. 20 cpv. 1 lit. b CPP), ovvero – in Ticino – alla Corte dei reclami penali (art. 62 cpv. 2 LOG), si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l’eccesso e l’abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l’accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e l’inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta ed all’art. 385 CPP per la motivazione.
Esso deve indicare – in particolare – i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP).
1.2.
Il gravame è stato inoltrato il 30.3/2.4.2012 contro la decisione 22.3.2012 del procuratore generale che accoglie parzialmente la richiesta di indennizzo 16.3.2012.
Le esigenze di forma e motivazione del reclamo sono rispettate, fatto salvo quanto indicato al consid. 6.
RE 1
,
quale imputato il cui procedimento è stato abbandonato ex art. 429 cpv. 1 CPP, è pacificamente legittimato a reclamare ex art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica del giudizio
.
Il reclamo è – di conseguenza – ricevibile in ordine
.
2.
2.1.
Giusta l’art. 429 cpv. 1 CPP, se è pienamente o parzialmente assolto o se il procedimento nei suoi confronti è abbandonato, l’imputato ha diritto a:
a. un’indennità per le spese sostenute ai fini di un adeguato esercizio dei suoi diritti procedurali;
b. un’indennità per il danno economico risultante dalla partecipazione necessaria al procedimento penale;
c. una riparazione del torto morale per lesioni particolarmente gravi dei suoi interessi personali, segnatamente in caso di privazione della libertà.
2.2.
La norma stabilisce una responsabilità causale dello Stato, chiamato a rispondere della totalità del danno che presenta un nesso causale (ai sensi del diritto della responsabilità civile) con il procedimento penale conclusosi con un decreto di abbandono o con un’assoluzione, anche in assenza di colpa o di irregolarità da parte delle autorità penali (Messaggio del 21.12.2005 concernente l’unificazione del diritto processuale penale,
in FF 2006,
p. 1231; N. SCHMID, Handbuch des schweizerischen Strafprozessrechts, p. 829 n. 1804; N. SCHMID, Schweizerische StPO, Praxiskommentar, art. 429 CPP n. 6; CR CPP – C. MIZEL / V. RÉTORNAZ, art. 429 CPP n. 21; BSK StPO – S. WEHRENBERG / I. BERNHARD, art. 429 CPP n. 6; Commentario CPP - M. MINI, art. 429 CPP n. 1).
2.3.
Nel merito, agli art. 429 e ss. CPP si ritrovano molti dei principi generali applicati sino al 31.12.2010 con gli art. 317 e ss. CPP TI, tutti peraltro mutuati dalle norme sulla responsabilità del CO (cfr. sentenza 31.1.2011 inc. CRP _).
Di principio, la giurisprudenza prolata sotto l’egida delle norme precedentemente in vigore mantiene, pertanto, la sua validità.
3.
Il procedimento nei confronti di RE 1, apertosi nel corso del 2009, è stato abbandonato in data 20.3.2012 mediante un decreto di abbandono,
quindi vigente il nuovo diritto processuale penale
(ABB _).
Dall’1.1.2011 RE 1 ha rivestito quindi la qualità di
imputato
, applicabile a chiunque è indiziato, incolpato o accusato di un reato in una denuncia, in una querela o, da parte di un’autorità penale, in un atto procedurale (art. 111 cpv. 1 CPP).
RE 1 va dunque ritenuto
imputato
nei cui confronti il procedimento è stato abbandonato a’ sensi dell’art. 429 cpv. 1 CPP.
Lo stesso ha quindi diritto a ottenere un’indennità nella forma della rifusione delle spese di patrocinio, del risarcimento del danno economico e della
riparazione del torto morale conseguenti al procedimento penale.
4.
4.1.
Ai sensi dell’art. 430 cpv. 1 CPP l’autorità penale può ridurre o non accordare l’indennizzo o la riparazione del torto morale se: l’imputato ha provocato in modo illecito e colpevole l’apertura del procedimento penale o ne ha ostacolato lo svolgimento (a.); l’accusatore privato è tenuto a indennizzare l’imputato (b.); o le spese dell’imputato sono di esigua entità (c.).
4.2.
Come nel diritto della responsabilità civile, esistono dei casi, tre previsti dal CPP, di esclusione o di riduzione dell’indennità e della riparazione del torto morale.
Le ipotesi previste dall’art. 430 CPP sono esaustive (
CR CPP – C. MIZEL / V. RÉTORNAZ, art. 430 CPP n. 1).
Il primo caso (lit. a.) permette di ridurre o escludere l’indennità o la riparazione se l’imputato prosciolto ha provocato in modo illecito e colpevole l’apertura del procedimento o ne ha ostacolato lo svolgimento. Siffatto comportamento esclude in generale qualsiasi obbligo di indennizzo o di riparazione del torto morale da parte dello Stato. Se invece la colpa è lieve, può entrare il linea di conto una riduzione dell’indennizzo o della riparazione del torto morale (
Messaggio del 21.12.2005 concernente l’unificazione del diritto processuale penale, op. cit., p. 1232; BSK StPO – S. WEHRENBERG / I. BERNHARD, art. 430 CPP n. 9 ss.).
Per la nozione di illecito e di colpevole si può far riferimento alle analoghe nozioni utilizzate all’art. 41 CO. Illecito è un agire che viola delle regole di comportamento scritte o non dell’ordinamento giuridico (
Commentario CPP – M. MINI, art. 430 CPP n. 2 e riferimenti).
Il giudice deve riferirsi ai principi generali della responsabilità per atti illeciti, fondare il suo giudizio su fatti incontestati o chiaramente stabiliti e prendere in considerazione ogni norma giuridica, appartenente al diritto federale o cantonale, pubblico, privato o penale, scritto o non scritto, per determinare se il comportamento in questione giustifichi la riduzione dell'indennità (decisione TF 6B_87/2012 del 27.4.2012; 1P.212/2006 del 10.4.2007).
Il secondo e terzo caso permettono di ridurre o escludere l’indennità o la riparazione se, rispettivamente, l’accusatore privato è tenuto ad indennizzare l’imputato e se le spese di quest’ultimo sono di lieve entità (
Commentario CPP – M. MINI, art. 430 CPP n. 3 e 4).
4.3.
La decisione che riduce o esclude l’indennizzo deve indicare per quale ragione la colpa dell’imputato ha prolungato inutilmente l’inchiesta o è stata all’origine della stessa. Gli elementi caratterizzanti tale colpa devono figurare in maniera chiara. Non basta quindi affermare, senza altre precisazioni, che l’imputato ha avuto un comportamento moralmente condannabile o biasimevole.
Il
rifiuto o la riduzione dell’indennità sono compatibili con la Costituzione (art. 32 cpv. 1 Cost.) e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 6 cifra 2 CEDU) quando l’interessato ha provocato l’apertura del procedimento penale o ne ha complicato lo svolgimento con un comportamento colpevole sotto il profilo del diritto civile, lesivo di una regola giuridica, e che è in rapporto di causalità con l’importo imputatogli (decisione TF 6B_87/2012 del 27.4.2012; 1P.212/2006 del 10.4.2007).
Deve infatti esservi un nesso causale fra la violazione di norme giuridiche, da una parte, e l’apertura dell’indagine o l’intralcio a quest’ultima, dall’altra parte. La condotta in questione deve avere fatto sorgere, secondo il corso ordinario delle cose e l’esperienza della vita, il sospetto di un comportamento punibile tale da giustificare l’apertura di un procedimento penale.
La presunzione d’innocenza, garantita dall’art. 6
cifra
2 CEDU e 10 cpv. 1 CPP, dev’essere rispettata. La riduzione o l’esclusione di indennizzo non deve infatti lasciare intendere che l’imputato prosciolto sia colpevole delle infrazioni che gli sono state addebitate (
CR CPP – C. MIZEL / V. RÉTORNAZ, art. 430 CPP n. 4).
4.4.
Anche in caso di riduzione/esclusione dell’indennizzo non v’è motivo di scostarsi dalla giurisprudenza sviluppata dall’allora Camera dei ricorsi penali sino al 31.12.2010.
Prima dell’entrata in vigore del nuovo CPP, avvenuta in data 1.1.2011, era l’art. 319a cpv. 1 CPP-TI che prevedeva che l’indennità poteva essere negata o ridotta nel caso di colpa grave esclusiva o concolpa dell’accusato prosciolto. Questa norma formalizzava la giurisprudenza dell’allora CRP in applicazione dell’art. 44 cpv. 1 CO, che permette al giudice di escludere o ridurre il risarcimento se il danneggiato ha consentito nell’atto dannoso o se le circostanze, per le quali egli è responsabile, hanno contribuito a cagionare od aggravare il danno od a peggiorare altrimenti la posizione dell’obbligato, segnatamente
se l’accusato ha determinato per sua colpa l’apertura dell’inchiesta o la sua incarcerazione oppure ancora ha intralciato lo svolgimento della procedura (
R. HAUSER / E. SCHWERI / K. HARTMANN, Schweizerisches Strafprozessrecht, 6. ed., § 109 n. 10).
Lo scopo era ed è ancora quello di evitare che lo Stato, e di riflesso i contribuenti, debbano sopportare i costi di una procedura penale aperta in seguito al comportamento riprovevole di un accusato (decisioni dell’allora Camera dei ricorsi penali 14.3.2006 in re V.P., inc. 60.2004.395; 13.1.2006 in re E.P., inc. 60.2005.76; 14.3.2006 in re C.G., inc. 60.2003.421; 10.7.2006 in re M.B., inc. 60.2005.344; 28.6.2006 in re A.B., inc. 60.2005.240; 24.7.2006 in re F.F., inc. 60.2005.424).
Il diritto civile non scritto vieta infatti di creare una situazione tale da causare un danno ad altri senza prendere le necessarie precauzioni (DTF 126 III 113): i costi diretti ed indiretti di una procedura penale, compresa l’indennità che deve eventualmente essere rifusa all’accusato prosciolto (ora imputato assolto), costituiscono certamente un danno per la collettività (decisione TF 1P.301/2002 del 22.7.2002).
5.
5.1.
Ora, ai sensi dell’art. 429 cpv. 1 lit. a CPP, come detto l’imputato assolto ha diritto innanzitutto a un’indennità per le spese sostenute ai fini di un adeguato esercizio dei suoi diritti procedurali.
Così come nella prassi ticinese relativa all’art. 317 CPP TI, anche secondo il nuovo diritto processuale penale svizzero, lo Stato si assume le spese per un patrocinatore di fiducia soltanto se il patrocinio era necessario a causa della complessità del caso sotto il profilo materiale o giuridico e se il volume di lavoro, e di conseguenza l’onorario dell’avvocato, erano giustificati (Messaggio del 21.12.2005 concernente l’unificazione del diritto processuale penale, op. cit., p. 1231; Commentario CPP - M. MINI, art. 429 CPP n. 5; N. SCHMID, Schweizerische StPO, Praxiskommentar, art. 429 CPP n. 7; BSK StPO – S. WEHRENBERG / I. BERNHARD, art. 429 CPP n. 13).
Secondo la giurisprudenza sviluppata fino al 31.12.2010, dalla quale come detto non v’è motivo di scostarsi, la necessità della presenza di un difensore nasceva quindi quando gli interessi dell’indiziato erano colpiti in misura importante e la fattispecie presentava difficoltà di fatto e di diritto che superavano le sue capacità e che quindi rendevano necessaria la presenza di un patrocinatore.
In ambito penale, ciò era segnatamente il caso laddove ci si doveva attendere l’irrogazione di una pena la cui durata escludeva la sospensione condizionale della stessa o l’assunzione di misure privative della libertà personale (decisione TF 1B_172/2007 del 2.10.2007).
Nei casi in cui la verosimile aspettativa di pena era di pochi mesi si dovevano considerare le difficoltà giuridiche e fattuali della procedura, alle quali l’interessato non era in grado di far fronte (per es. la complessità delle questioni giuridiche e procedurali, la facoltà di difendersi efficacemente nella procedura) [decisione TF 1B_186/2007 del 31.10.2007].
Nel caso di evidenti reati minori (“
Ba
gatelldelikte
”), ove entrava in considerazione solo una multa o una pena pecuniaria / pena privativa della libertà di poco conto, era negato il diritto costituzionale ad un patrocinatore (decisione TF 1B_172/2007 del 2.10.2007; M. RUSCA / E. SALMINA / C. VERDA, Commento del Codice di procedura penale ticinese, art. 49 CPP TI n. 18 ss. ; B. CORBOZ, Le droit constitutionnel à l'assistance judiciaire, in SJ 2003 II p. 67 ss.).
5.2.
L’avv. RE 1, è stato denunciato, unitamente ad altre persone, dall’_ in data 14.9.2009, nella sua qualità di consulente giuridico della stessa, nell’ambito della sottoscrizione (avvenuta il 13.12.2008) del contratto di acquisizione delle azioni della società _. Le ipotesi di reato formulate nell’esposto penale erano truffa, amministrazione infedele, poi estese a infedeltà nella gestione della cosa pubblica, corruzione passiva e corruzione attiva.
Tali reati, contro il patrimonio, contro i doveri d’ufficio e professionali e relativi alla corruzione, punibili con pene detentive anche fino a cinque anni, erano tali da poter, qualora fossero stati confermati gli indizi, incidere in modo importante sul futuro professionale e quindi economico di RE 1.
Le circostanze concrete imponevano pertanto la presenza di un legale, e ciò anche se RE 1 è lui stesso di formazione avvocato.
Peraltro, l’esigenza di una difesa nei casi che possono compromettere l’esercizio di una professione sottoposta ad autorizzazione è stata ancora di recente ribadita dal TF (cfr. decisione TF 1B_605/2011 del 4.1.2012).
Nella fattispecie la presenza di un difensore esterno ai fatti e non coinvolto come lo stesso avv. RE 1, era pertanto necessaria, ritenuto come gli interessi di quest’ultimo avrebbero potuto essere colpiti in misura importante.
5.3.
Vanno quindi esaminate le poste relative alle note d’onorario riguardanti la difesa di RE 1 che il procuratore generale ha ridotto nella decisione impugnata e che quindi il reclamante ha contestato in questa sede.
5.3.1.
Per quanto riguarda l’esposizione di 7 ore e 15 min relative alla preparazione di una richiesta di abbandono al Ministero pubblico, ridotta dal magistrato inquirente a 3 ore, si rileva che il reclamante nel proprio gravame non sostanzia in modo sufficiente il dispendio orario per tale atto procedurale. Lo stesso non accenna neppure ad un riferimento di data relativo a tale atto, e neppure a che posizione corrisponderebbe tale scritto nella nota d’onorario.
Dalla nota d’onorario 9.3.2010, allegata all’istanza di indennizzo 16.3.2012, risulta in data 8.1.2010 un colloquio con cliente di 45 min, in data 10.1.2010 la redazione di una lettera al Ministero pubblico per 210 min e in data 11.1.2010 la redazione di un’istanza di abbandono per 180 min. Tali tre posizioni hanno una durata complessiva di 435 min, pari a 7 ore e 15 min.
Tuttavia, questa Corte, dopo attenta lettura dell’elenco atti, ha esaminato l’AI 262, relativo ad uno scritto (12.1.2010) all’allora procuratore generale di 8 pagine con allegati, corrispondente verosimilmente alla posizione 11.1.2010 “redatto istanza abb.” per 180 min elencata nella nota d’onorario di cui sopra. Non si capisce invero a che atto corrisponde la posizione “redatto lettera al Ministero pubblico” del 10.1.2010 di 210 min.
Considerato, come riportato sopra, che il reclamante non precisa tali aspetti e non fornisce alcun riferimento alla nota d’onorario nonché agli atti procedurali in questione, e visto come vi sia un divieto di
reformatio in pejus
(art. 391 CPP), questa Corte ritiene giustificato confermare la decisione del procuratore generale e ammettere un dispendio orario di 3 ore, in luogo delle 7 ore e 15 min postulate.
5.3.2.
5.3.2.1.
Anche per quanto attiene la tariffa oraria esposta di CHF 400.--/ora, la tesi del reclamante non merita accoglimento.
Secondo la prassi sino al 31.12.2010, l’allora
Camera dei ricorsi penali verificava la conformità della nota d’onorario al principio regolamentato all’art. 15a cpv. 2 LAvv, secondo cui per la determinazione dell’onorario l’avvocato ha riguardo alla complessità ed all’importanza del caso, al valore ed all’estensione della pratica, alla sua competenza professionale ed alla sua responsabilità, al tempo ed alla diligenza impiegati, alla situazione personale e patrimoniale delle parti, all’esito conseguito ed alla sua prevedibilità.
Questa Corte quindi – in ragione di detta norma e anche in applicazione del nuovo diritto – ammette onorari corrispondenti ad una regolare, ordinata e ragionevole conduzione del mandato, applicando criteri corrispondenti a quanto mediamente praticato, lasciando a carico del patrocinato la parte riconducibile ad una specifica scelta del patrocinatore.
Va detto quindi che, in altre parole, l’onorario a tempo è stabilito prendendo quale parametro un avvocato sperimentato nel diritto penale, tenuto conto di un ragionevole margine di oscillazione connesso con le particolarità del caso.
A partire dal 2001, il Consiglio di moderazione aveva fissato la remunerazione, a dipendenza della complessità della fattispecie, a CHF 250.-- orari per i casi più semplici, senza stabilire un limite massimo, importo che l’allora CRP ha continuato a riconoscere, anche dopo l’abrogazione della TOA, quale onorario, minimo, nell’ambito dell’istanza di indennità per ingiusto procedimento giusta gli art. 317 ss. CPP-TI [onorario ritenuto non arbitrario dal Tribunale federale (decisione TF 6B_194/2008 dell’11.8.2008, considerando 3.3.2)].
5.3.2.2.
In siffatte circostanze ed alla luce di quanto sopra, questa Corte non può che confermare la conclusione alla quale è giunto il procuratore generale, avendo lo stesso accordato una tariffa oraria di CHF 300.--/ora, vista la complessità della fattispecie, in luogo dell’usuale tariffa di CHF 250.--/ora (la differenza restando a carico dell’avv. RE 1).
5.4.
La decisione impugnata va pertanto confermata per quanto attiene la rifusione delle spese legali.
6.
RE 1
chiede inoltre la rifusione di un’indennità per il danno economico risultante dalla partecipazione necessaria al procedimento penale (cfr. art. 429 cpv. 1 lit. b CPP).
6.1.
La valutazione del danno economico si fa secondo le regole applicate in materia di responsabilità civile. La prova del nesso di causalità tra la procedura penale ed il danno economico non deve essere sottoposta ad esigenze troppo elevate. Ci si limiterà dunque all’alta verosimiglianza (CR CPP – C. MIZEL / V. RÉTORNAZ, art. 429 CPP n. 41).
Il danno economico ai sensi dell’art. 429 CPP può essere così composto: incapacità di guadagno; il caso particolare della perdita di salario o di rendite in caso di detenzione prima del giudizio; danno al futuro economico e altri elementi del danno economico.
6.2.
Nella decisione impugnata il procuratore generale ha negato il risarcimento del postulato danno economico di CHF 271'200.--, in quanto lo stesso non sarebbe in nesso di causalità adeguata con il procedimento penale, posto come RE 1 avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni da _ prima dell’apertura del procedimento penale (decisione 22.3.2012, p. 2).
6.3.
Ora, nel reclamo che qui ci occupa, RE 1 non contesta tale conclusione del procuratore generale ma si limita a contestare l’esclusione del risarcimento ai sensi dell’art. 430 CPP, operata invece dal magistrato inquirente unicamente per quanto attiene la riparazione del torto morale (cfr. reclamo 30/3.2.4.2012, p. 7-9).
Il reclamante non spende infatti una parola circa il postulato danno economico, segnatamente sul fatto di essere stato - a suo dire - costretto a dimissionare da _ alla fine di agosto 2009, e sulle conseguenti difficoltà professionali che avrebbe incontrato in seguito. Nel reclamo, lo stesso neppure afferma che tale danno economico sarebbe da ricondurre all’apertura del procedimento penale.
In queste circostanze, su questo punto, il reclamo è irricevibile e la questione non merita quindi ulteriori approfondimenti.
A titolo abbondanziale questa Corte rileva che il risarcimento del danno economico andava in ogni caso escluso in applicazione dell’art. 430 CPP, come si dirà al considerando seguente.
7.
RE 1 chiede infine la
riparazione del torto morale per lesioni particolarmente gravi dei suoi interessi personali (art. 429 cpv. 1 lit. c CPP).
7.1.
La riparazione del torto morale è concessa regolarmente se l’imputato è stato posto in carcerazione preventiva o di sicurezza (Messaggio del 21.12.2005 concernente l’unificazione del diritto processuale penale, op. cit., p. 1231).
L’accusato che non è stato oggetto di un provvedimento restrittivo della libertà personale può ottenere un’indennità per torto morale unicamente se prova, o rende almeno verosimile, che, a seguito dell’esecuzione di “
altri atti istruttori
” (quali ad esempio perquisizioni, sequestri, ecc.) o per il solo fatto di essere stato oggetto di un procedimento penale, egli ha subito una grave violazione della sua personalità. Lo Stato non è infatti tenuto al versamento di un’indennità per torto morale a tutti coloro che hanno subito un pregiudizio in ragione di un procedimento penale, ma soltanto a coloro che sono stati gravemente lesi nei loro diritti della personalità (
N. SCHMID, Schweizerische StPO, Praxiskommentar, art. 429 CPP n. 10 e 11).
Quanto alla determinazione dell’ammontare dell’indennità, essa è lasciata al potere d’apprezzamento del giudice ed è stabilità in funzione della gravità della lesione alla personalità, conformemente agli art. 43, 44 e 49 CO. L’art. 49 CO prevede che un’indennità è concessa nel caso in cui la gravità dell’offesa alla personalità lo giustifichi e questa non sia stata riparata in altro modo. È necessario tenere conto delle circostanze del caso concreto, in particolare del pregiudizio recato all’integrità fisica, psichica o alla reputazione dell’accusato, della gravità dell’accusa, del numero di persone venute a conoscenza dei fatti, come pure della situazione famigliare e professionale dell’accusato.
7.2.
Nella presente fattispecie il procuratore generale nella decisione impugnata ha negato la riparazione del torto morale ai sensi dell’art. 430 CPP, in quanto, nel caso specifico, l’avv. RE 1 “
ha oggettivamente violato, con negligenza grossolana, i propri doveri di funzionario dirigente di _, sottoscrivendo addirittura un contratto neppure letto e omettendo di assumere la benché minima informazione sui contenuti degli accordi che concludeva (con firma vincolante) a nome di un ente di diritto pubblico
” (decisione 22.3.2012, p. 2). A ragione.
7.3.
7.3.1.
Dagli atti risulta che l’avv. RE 1 era impiegato presso l’_ in qualità di responsabile della consulenza giuridica. Lo stesso è intervenuto attivamente nelle trattative e nella conclusione del contratto di acquisizione delle azioni della società _, sottoscritto dallo stesso mediante l’apposizione della sua firma.
In merito a tale negozio giuridico, è stato lo stesso reclamante, nell’ambito dell’istruttoria, a sostenere di non avere capito i documenti sottoscritti, e ciò a causa delle sue lacune linguistiche, tecniche e contabili (cfr. decreto di abbandono 20.3.2012, p. 5 con riferimenti agli AI, ABB _). Lo stesso ha inoltre ammesso di aver sottoscritto il contratto in questione senza nemmeno leggerlo e come detto senza capirne la portata ed il contenuto.
Ora, ai sensi dell’art. 321a cpv. 1 CO il lavoratore deve eseguire con diligenza il lavoro assegnatogli e salvaguardare con fedeltà gli interessi legittimi del datore di lavoro.
In queste circostanze si deve ritenere che l’avv. RE 1 ha assunto comportamenti contrari in generale al diritto, in particolare contrari alla diligenza ed alla fedeltà nei rapporti di lavoro ed illeciti quindi ai sensi del diritto civile.
Se da un lato è vero che il procedimento penale è stato aperto a seguito dell’esposto 14.9.2009 di _, dall’altro è anche vero che se il reclamante avesse adoperato maggior diligenza nell’esecuzione dei suoi compiti in seno tale istituto, non avrebbe sottoscritto un contratto di tale portata non capendone il contenuto e non avrebbe quindi causato alcun danno ad un ente di diritto pubblico.
A ragione quindi il magistrato inquirente ha negato la riparazione del torto morale ai sensi dell’art. 430 CPP, posto come il reclamante con il suo comportamento negligente abbia violato i propri doveri, e provocato quindi l’apertura del procedimento penale.
Nella fattispecie non si può neppure ritenere che la colpa di RE 1 sia lieve, a maggior ragione se si pensa che il reclamante è avvocato di professione ed era alle dipendenze di _ proprio come responsabile della consulenza giuridica. Chi, se non lui, doveva comprendere la portata del contratto in questione e consigliare in maniera adeguata l’azienda per cui lavorava.
7.3.2.
Anche dal profilo formale la decisione impugnata rispetta l’obbligo di motivazione esposto al cons. 4.3.
La stessa indica infatti in modo chiaro il motivo per cui è stata esclusa la riparazione del torto morale.
La decisione 22.3.2012 del procuratore generale è quindi meritevole di tutela.
8.
In conclusione questa Corte rileva che se non ci fosse stato il divieto di
reformatio in pejus
previsto dall’art. 391 cpv. 2 CPP, il criterio di esclusione ex art. 430 CPP sarebbe stato applicato anche alle spese legali. Ci si chiede infatti perché il magistrato inquirente non abbia escluso anche la rifusione di tale posta di danno.
9.
Il gravame, per quanto ricevibile, è respinto. Spese e tasse di giustizia sono poste a carico dell’avv. RE 1, soccombente. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,012 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
9d5a06e4-104b-51ab-abd7-7d27874accaf | in fatto ed in diritto
1.
A carico di PI 2 è stato aperto un procedimento penale (inc. MP _) sfociato nel decreto di accusa 15.12.2008 emanato dall’allora procuratore pubblico Luca Maghetti (DA _). Il predetto decreto è passato in giudicato il 19.01.2009.
2.
Con la presente istanza la IS 1 (di seguito IS 1) chiede, in applicazione dell’art. 30 della LF del 22 marzo 1974 sul diritto penale amministrativo (DPA), di poter accedere – tra gli altri – agli atti dell’incarto penale DA _ (recte: DA _) (già inc. MP _) riguardante PI 2.
A sostegno della sua richiesta precisa che presso la IS 1 è stato aperto un procedimento penale amministrativo nei confronti di diverse persone del Canton _ e _ per sospetto di infrazione alla Legge federale sui medicamenti e i dispositivi medici (Legge sugli agenti terapeutici, LATer, RS 812.21) in relazione al commercio all’ingrosso di medicamenti / alla violazione di norme GDP. Secondo le informazioni fornite dal _ cantonale diversi incarti penali, tra cui quello riguardante PI 2, potrebbero contenere informazioni utili per il procedimento penale amministrativo in questione. Il _ cantonale ticinese si occuperà dell’ispezione degli atti e di fotocopiare gli atti necessari per la IS 1.
3.
Come esposto in entrata, il procuratore pubblico si è rimesso al giudizio di questa Corte. PI 2, dal canto suo, dopo aver richiesto ulteriori delucidazioni e preso atto del contenuto della replica della IS 1 [mediante la quale la predetta autorità ha in particolare comunicato che
"
(...) Dalle informazioni ottenute dal _ cantonale ticinese, gli atti richiesti potrebbero contenere delle informazioni importanti per lo svolgimento di un procedimento penale aperto dall’Istituto per sospetto d’infrazione alla legge sugli agenti terapeutici (...) nei confronti di diverse persone domiciliate nel cantone _ e _, ma non nei confronti del Signor PI 2
"
, che
"
(...) secondo l’art. 3 num. 15 dell’ordinanza concernente la comunicazione di decisioni penali cantonali (RS 312.3), le autorità cantonali sono obbligate a comunicare all’Istituto tutte le sentenze e tutte le decisioni amministrative di carattere penale emanate in applicazione della LATer
" e che "
La sentenza alla quale si riferiscono gli atti richiesti non ci è tuttavia mai stata
comunicata" (replica 17/18.04.2013, p. 1 e 2)],
con le sue osservazioni di duplica autorizza la IS 1 a visionare i suoi atti.
Il procuratore generale ha rinunciato a formulare osservazioni di duplica.
4.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
5.
5.1.
IS 1
è l'autorità centrale svizzera di sorveglianza per gli agenti terapeutici. In qualità di ente di diritto pubblico della Confederazione, con sede a _, esso è autonomo nella sua organizzazione e gestione e dispone di fondi propri. IS 1 fa parte del Dipartimento federale dell'interno ed ha iniziato la sua attività il 1°.01.2002 con l’entrata in vigore della
LATer
. A tutela della salute delle persone e degli animali, IS 1 si assicura che i medicamenti e i dispositivi medici siano efficaci e sicuri. La valutazione approfondita degli agenti terapeutici comprende il riconoscimento tempestivo di nuovi rischi e la realizzazione rapida di misure riguardanti la sicurezza. IS 1 informa puntualmente in modo mirato gli specialisti e il pubblico sui problemi e le nuove conoscenze nel settore degli agenti terapeutici.
Le competenze di IS 1 sono in particolare l'omologazione di medicamenti, le autorizzazioni di esercizio per la fabbricazione e il commercio all'ingrosso nonché le ispezioni, la sorveglianza del mercato di medicamenti e dispositivi medici, il controllo del traffico degli stupefacenti, gli esami analitici di laboratorio sulla qualità del medicamento e l'attività legislativa e la normalizzazione (cfr. _; cfr. anche la LATer).
5.2.
La LATer prevede delle disposizioni penali [cfr., al proposito, art. 86 LATer ss.; Messaggio concernente una legge federale sui medicamenti e i dispositivi medici (Legge sugli agenti terapeutici, LATer) del 1°.03.1999, 99.020, p. 3060 ss.].
Giusta l’art. 90 cpv. 1 LATer il perseguimento penale nell’ambito della competenza della Confederazione è condotto dalla IS 1 in virtù delle disposizioni della DPA.
La IS 1 può dunque condurre inchieste (che esigono conoscenze tecniche approfondite) ed emanare decreti e decisioni penali. Nella misura in cui sono dati gli estremi per infliggere una pena o per ordinare una misura privativa della libertà, il giudizio spetta al tribunale (art. 21 cpv. 1 DPA) [Messaggio concernente una legge federale sui medicamenti e i dispositivi medici (Legge sugli agenti terapeutici, LATer) del 1°.03.1999, 99.020, p. 3063].
I servizi della Confederazione e dei Cantoni competenti per l’esecuzione della LATer provvedono allo scambio di dati sempre che l’esecuzione della LATer lo esiga (art. 63 cpv. 1 LATer).
Il Consiglio federale può prevedere la comunicazione di dati a altre autorità o organizzazioni qualora l’esecuzione della LATer lo esiga (art. 63 cpv. 2 LATer).
Le autorità amministrative della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni devono prestare assistenza, nell’espletamento dei loro compiti, alle autorità incaricate del procedimento e del giudizio in materia di cause penali amministrative; esse devono segnatamente comunicare loro tutte le informazioni occorrenti e concedere loro di prendere visione degli atti ufficiali che possono avere importanza per il procedimento penale (art. 30 cpv. 1 DPA).
Giusta l’art. 30 cpv. 2 DPA l’assistenza può essere negata soltanto quando vi si oppongano importanti interessi pubblici, segnatamente la sicurezza interna o esterna della Confederazione o dei Cantoni, ovvero quando essa pregiudichi notevolmente l’autorità richiesta nell’esecuzione dei suoi compiti. I segreti confidati giusta gli articoli 171–173 CPP devono essere serbati. Del rimanente, in materia d’assistenza sono applicabili gli articoli 43–48 CPP (art. 30 cpv. 3 DPA). Gli organismi con compiti di diritto pubblico sono tenuti, nell’ambito di questi compiti, a prestare la stessa assistenza delle autorità (art. 30 cpv. 4 DPA).
Non va del resto dimenticato che le autorità cantonali comunicano tutte le sentenze, decisioni amministrative di carattere penale e dichiarazioni di non doversi procedere emanate in applicazione, tra l’altro, della LATer all’IS 1 (art. 3 cifra 15 dell’Ordinanza concernente la comunicazione di decisioni penali cantonali del 10.11.2004, RS 312.3).
Infine, l’allora Camera dei ricorsi penali – dall’1.01.2011 Corte dei reclami penali – nella decisione 16.02.2010 (inc. CRP _) aveva stabilito che IS 1, essendo un’autorità penale di perseguimento giusta l’art. 90 LATer, non doveva ricorrere alla procedura prevista dall’art. 27 CPP TI (ora art. 62 cpv. 4 LOG) in relazione alla richiesta di poter accedere agli atti di un procedimento penale pendente a carico di diverse persone per contravvenzione aggravata alla LATer [
"
(...). Nel presente caso, in base all’art. 90 della Legge federale sui medicamenti e i dispositivi medici, l’istante è l’autorità competente per il perseguimento penale delle violazioni della surriferita legge. Trattandosi di un’autorità penale di perseguimento, non deve ricorrere alla procedura prevista dall’art. 27 CPP, ma ha diritto di accedere agli atti e ricevere copia dei medesimi, in quanto necessario per l’adempimento delle sue attribuzioni penali. (...)
"
(decisione 16.02.2010, p. 2, consid. 4., inc. CRP _)].
5.3.
Alla luce di quanto sopra esposto, richiamate in particolare le competenze conferite alla IS 1 e le suddette disposizioni, questa Corte con decisione 24.05.2013 (inc. CRP _) ha ritenuto di dover emanare una decisione di principio, statuendo quanto segue:
"
La Corte
dei reclami penali riconosce, di principio, alla IS 1 – quale autorità di perseguimento penale giusta l’art. 90 cpv. 1 LATer – un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG per poter esaminare (e se, del caso, fotocopiare) gli atti di procedimenti penali conclusi utili ai fini delle sue incombenze direttamente presso le autorità penali ticinesi (ovverossia presso il Ministero pubblico, il Tribunale penale cantonale, la Pretura penale, la Corte di appello e di revisione penale e questa Corte), senza dover ricorrere di volta in volta alla procedura ex art. 62 cpv. 4 LOG, dimostrando nondimeno l’esistenza di una connessione tra i suoi obblighi di competenza (in applicazione della LATer) e i fatti oggetto del procedimento penale concluso (di cui chiede la compulsazione degli atti).
Va da sé che la compulsazione degli atti deve avvenire nel rispetto del segreto professionale (art. 61 LATer).
In caso di dubbio, la IS 1 può presentare a questa Corte un’istanza ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG rispettivamente le autorità penali ticinesi coinvolte possono trasmettere la richiesta, per competenza, a questa Corte in applicazione della predetta disposizione
"
(decisione 24.05.2013, p. 5, inc. CRP _).
6.
Per quanto interessa la fattispecie in esame, la IS 1 può dunque rivolgersi direttamente al Ministero pubblico, autorità alla quale viene ritornata, per evasione, la presente istanza.
7.
Stante la funzione dell’istante e la finalità della richiesta, non si prelevano tassa di giustizia e spese. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,013 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
9d675785-6bf2-5a59-80ec-42be8ab39067 | in fatto ed in diritto
1.
La mattina del _, verso le ore 09:30, a _, il nipote di
†_
(_) ha rinvenuto nell’appartamento di quest’ultimo il suo corpo esanime (cfr. rapporto di costatazione 14.01.2009, inc. MP _). A seguito di quanto accaduto, l’allora sostituto procuratore pubblico Margherita Lanzillo ha ordinato l’autopsia sulla salma della vittima allo scopo di verificare l’esatta causa del decesso (scritto 27.12.2008, inc. MP _). Il 9.03.2009 è stato allestito il relativo rapporto (ricevuto dal Ministero pubblico il 16.03.2009): i periti sono giunti alla conclusione che la causa del decesso di
†_
sia da ricondurre ad un impiccamento (referto autoptico 9/16.03.2009, p. 8, inc. MP _). L’incarto penale è stato archiviato il 18.03.2009 (scritto 18.03.2009, inc. MP _).
2.
Con la presente istanza – trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza, a questa Corte – IS 1 (quale unico erede del defunto
†_
), per il tramite del suo patrocinatore avv. PR 1, chiede copia degli atti
del surriferito procedimento penale, segnatamente del referto autoptico,
richiamando contestualmente lo scritto 18.03.2009 dell’allora procuratore pubblico (in cui aveva, tra l’altro, avvertito gli eredi della defunta vittima che gli atti potevano essere consultati, previo appuntamento, presso il Ministero pubblico) e il certificato ereditario 8.06.2011 della _ (attestante che egli è effettivamente l’unico erede di
†_
)
(doc. 1.a).
Come esposto in entrata, il procuratore pubblico non ha formulato osservazioni in merito.
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
Nella fattispecie in esame è adempiuto un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG da parte dell’erede istante a conoscere l’esatta causa del decesso di suo zio.
Di conseguenza il referto autoptico 9/16.03.2009 viene trasmesso, in copia, al patrocinatore dell’istante unitamente alla presente decisione (come richiesto).
Questa Corte autorizza inoltre l’avv. PR 1, rispettivamente IS 1, ad esaminare e, se del caso, a fotocopiare gli altri atti dell’incarto penale MP _ presso il Ministero pubblico, concordando i tempi di accesso con il procuratore pubblico Margherita Lanzillo.
5.
L’istanza è accolta ai sensi del surriferito considerando. La tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico di chi le ha occasionate. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,011 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
9d9ef0d9-0389-5d1a-a152-3d97d1bec343 | in fatto
a.
Con atto d’accusa 6.5.2008, l’allora procuratore pubblico
Manuela Minotti Perucchi ha posto in stato d’accusa dinanzi alla Corte delle assise criminali PI 26 e PI 27 per i titoli di reato di truffa, falsità in documenti ed appropriazione indebita
(ACC _).
b.
In data 15.2.2013, la Corte delle assise criminali ha condannato gli imputati alle pene di ventiquattro mesi di detenzione per PI 26 e di venti mesi di detenzione per PI 27, siccome ritenuti colpevoli di truffa aggravata, appropriazione indebita e falsità in documenti (sentenza 15.2.2013, p. 17, inc. TPC _). Entrambi gli imputati sono stati condannati ad un risarcimento equivalente in favore dello Stato di CHF 450'000.-- ciascuno (dispositivo 5.1.2. e 5.2.2.), ed a versare, in solido, ai ventisette accusatori privati importi per complessivi CHF 2'969'191.10. La Corte delle assise criminali ha inoltre confiscato
“(...) prestazioni assicurative della polizza d’assicurazione sulla vita (...) presso la _; conto di libero passaggio (...) presso _; fr. 146'517.55 depositati presso il Tribunale penale (...)”
di spettanza di PI 26 e
“(...) fr. 211'700.-- depositati presso il Tribunale penale (...)”
di spettanza di PI 27. I risarcimenti compensatori di cui ai dispositivi 5.1.2. e 5.2.2. sono stati assegnati, previo soddisfacimento di tasse e spese di giustizia,
“(...) in favore degli accusatori privati proporzionalmente ai crediti loro riconosciuti ai dispositivi 8.3
[PI 24]
,8.4
[PI 25]
, 8.12
[_]
, 8.25
[RE 1]
e 8.26
[RE 1]
(...)”
(sentenza 15.2.2013, p. 19, inc. TPC _).
La sentenza 15.2.2013 è passata in giudicato.
c.
Con scritto 16.9.2013 il presidente della Corte delle assise criminali, giudice Marco Villa, ha disposto le assegnazioni a favore di ulteriori cinque accusatori privati oltre quelli già riconosciuti nella sentenza 15.2.2013, che si erano annunciati dopo l’emanazione di quest’ultima (scritto 16.9.2013, inc. TPC _).
d.
Contro tale decisione sono insorti, fra gli altri, i qui reclamanti
contestando nella sostanza le modalità di assegnamento adottate dal presidente della Corte. A loro dire le assegnazioni disposte nella sentenza di merito del 15.2.2013 avrebbero acquisito forza di cosa giudicata, e sarebbero state, di conseguenza, vincolanti, e non ulteriormente modificabili. Inoltre, nessuna cessione a favore dello Stato sarebbe intervenuta da parte di altri accusatori privati. I reclamanti hanno inoltre censurato una violazione del diritto di essere sentito.
e.
Con sentenza 8.10.2013 questa Corte ha accolto i gravami sopraindicati annullando la decisione 16.9.2013 in quanto adottata dal solo presidente della Corte delle assise criminali, e non dalla stessa. Ha inoltre constatato una violazione del diritto di essere sentito in quanto il presidente, prima di prendere la propria decisione, non aveva intimato le richieste di assegnazione e non aveva dato, almeno a chi aveva già avanzato simili richieste precedentemente, la possibilità di esprimersi (sentenza 8.10.2013, inc. CRP _).
f.
Dopo aver accordato a tutti gli accusatori privati un termine per confermare la cessione allo Stato della quota relativa al loro credito nei confronti di PI 26 e PI 27 (scritto 6.12.2013, doc. 36, inc. TPC _), e dopo aver ricevuto gli scritti di risposta, la Corte delle assise criminali ha emanato la decisione di assegnazione 18.2.2014. La Corte ha affermato che i valori confiscati al momento del passaggio in giudicato della sentenza di merito 15.2.2013 ammontavano a CHF 358'217.55. Ha inoltre informato che
“(...) con scritto 23.7.2013 della _ Assicurazioni, le prestazioni assicurative relative alla polizza vita (...) di pertinenza di PI 26 non sono esigibili e che neppure lo sono attualmente gli averi della previdenza professionale presso Banca _ (...), sempre di pertinenza di PI 26 (...)”
e che
“(...) i condannati si sono impegnati a proseguire i versamenti al Tribunale penale cantonale per il risarcimento degli accusatori privati e, facendo fede ai loro impegni, hanno versato ad oggi (...) l’ulteriore importo di fr. 51'200.- (...)”
(decisione 18.2.2014, p. 3). La Corte delle assise criminali ha inoltre citato la dottrina e la giurisprudenza in merito all’art. 73 CP (assegnamenti al danneggiato) affermando che
“(...) dal momento che né in sede d’istruttoria né in sede dibattimentale vi è stata debita informazione sul contenuto dell’art. 73 CP alle parti lese sprovviste di rappresentante legale, le richieste degli AP (...), con cessione allo Stato della relativa quota del loro credito, vanno accolte e, pertanto, anche a loro va assegnato proporzionalmente al loro credito l’importo disponibile al momento del passaggio in giudicato della sentenza (...). (...) al momento del suo passaggio in giudicato la sentenza 15.2.2013 non era in tutti i suoi punti esecutiva, stante l’impegno di versamenti futuri – nel frattempo effettivamente avvenuti – da parte dei condannati e stante la non esigibilità delle prestazioni assicurative relative alla polizza vita e degli averi della previdenza professionale di PI 26 (...)”
(decisione 18.2.2014, p. 5 s., inc. TPC _). La Corte ha dunque proceduto all’assegnazione dell’importo confiscato ad ogni singolo accusatore privato per la quota parte di sua spettanza.
g.
Contro tale decisione insorgono nuovamente, fra gli altri, RE 1 e RE 1. A loro dire la decisione impugnata violerebbe l’art. 73 CP, nella misura in cui, la sentenza di merito del 15.2.2013 sarebbe regolarmente passata in giudicato e sarebbe diventata esecutiva. In particolare sarebbe diventato esecutivo il dispositivo che attribuiva i risarcimenti equivalenti agli unici cinque accusatori privati, fra cui gli stessi reclamanti, che avrebbero validamente e tempestivamente formulato istanza di assegnazione. Al contrario la Corte non avrebbe attribuito loro l’importo complessivo di CHF 358'217.55 disponibile al momento del passaggio in giudicato della sentenza. Essi chiedono in conclusione che quest’ultimo importo sia assegnato ai cinque, fra cui gli stessi reclamanti, accusatori privati, riconosciuti nella sentenza di merito del 15.2.2013. Per contro, che l’importo supplementare di CHF 51'200.--, maturato dopo il 15.2.2013, sia assegnato a tutti gli accusatori privati istanti (cfr. reclami 28.2./3.3.2014).
h.
Delle ulteriori argomentazioni, così come delle successive osservazioni, si dirà, se necessario, in corso di motivazione. | in diritto
1.
1.1.
L’art. 73 cpv. 3 CP dispone che i Cantoni debbano prevedere una procedura semplice e rapida per decidere sugli assegnamenti qualora non fosse possibile deciderli nella sentenza penale. Il testo di questo capoverso è sostanzialmente identico a quello del previgente art. 60 cpv. 3 vCP. È più che probabile che l’entrata in vigore del Codice di procedura penale federale (CPP) abbia di fatto reso superfluo detto capoverso. Di modo che, per determinare le norme procedurali applicabili, ci si deve orientare sul CPP.
1.2.
Nella presente fattispecie, questa Corte ritiene applicabili le norme degli art. 363 ss. CPP, relative alle decisioni giudiziarie indipendenti successive (
N. Schmid
, StPO Praxiskommentar, 2. ed., art. 378 CPP n. 2). Caratterizzando in tal modo la procedura, la via d’impugnazione è quella del reclamo a questa Corte (Commentario CPP –
M. Mini
, art. 393 CPP n. 18).
1.3.
I gravami, inoltrati il 28.2./3.3.2014, sono dunque tempestivi e proponibili. Le esigenze di forma e di motivazione sono rispettate. RE 1 e RE 1, quali accusatori privati, sono pacificamente legittimati a reclamare ex art. 382 cpv. 1 CPP, avendo un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica del giudizio (BSK StPO – M. ZIEGLER, art. 382 CPP n. 4; PC CPP – L. MOREILLON / A. PEREIN–REYMOND, art. 382 CPP n. 5).
I reclami sono, nelle predette circostanze, ricevibili in ordine.
2.
2.1.
Giusta l’art. 73 CP se in seguito a un crimine o a un delitto, alcuno patisce un danno non coperto da un’assicurazione e si deve presumere che il danno o il torto morale non saranno risarciti dall’autore, il giudice assegna al danneggiato, a sua richiesta, fino all’importo del risarcimento o dell’indennità per torto morale stabiliti giudizialmente o mediante transazione: a. la pena pecuniaria o la multa pagata dal condannato; b. gli oggetti e i beni confiscati o il ricavo della loro realizzazione, dedotte le spese; c. le pretese di risarcimento; d. l’importo della cauzione preventiva prestata. Il giudice può tuttavia ordinare questi assegnamenti soltanto se il danneggiato cede allo Stato la relativa quota del suo credito.
2.2.
Conformemente al testo di legge, gli assegnamenti sono concessi al danneggiato unicamente a sua richiesta. Quando più danneggiati possono pretendere un risarcimento, è dovere di ciascuno di loro farne domanda al giudice competente. Quest’ultimo dovrà tener conto unicamente dei danneggiati che avranno espressamente formulato la richiesta sulla base dell’art. 73 CP. La dottrina sostiene che il giudice deve rendere attento il danneggiato alla possibilità offerta dall’art. 73 CP, almeno nei casi in cui quest’ultimo non ha delle conoscenze giuridiche sufficienti o non è assistito da un avvocato. Anche la giurisprudenza ammette un dovere di informazione da parte del giudice quando il danneggiato non è pratico nella materia giuridica o non è assistito da un patrocinatore (cfr. decisione TF 6B_659/2012 dell’8.4.2013; sentenza TF 6B_190/2010 del 16.7.2010; BSK Strafrecht I – F. BAUMANN, 3. ed., art. 73 CP n. 20).
In virtù del principio dell’economia processuale l’assegnamento deve essere deciso, di principio, già nella sentenza penale (art. 73 cpv. 3 CP a contrario). I Cantoni devono prevedere una procedura semplice e rapida nel caso in cui gli assegnamenti non fossero possibili già nella sentenza penale (art. 73 cpv. 3 CP). Una tale procedura è possibile nel caso in cui il danneggiato, che postula l’assegnamento giusta l’art. 73 CP, si annunci posteriormente. Per esempio nel caso in cui la confisca degli oggetti e i beni ai sensi degli artt. 69-72 CP sia già stata ordinata o quando la pena pecuniaria o la multa pagata dal condannato sia già stata acquisita dall’autorità competente. Una decisione ulteriore è tuttavia possibile nel caso in cui i beni in questione non siano già stati oggetto di una decisione di assegnamento, cresciuta in giudicato, in favore di altri danneggiati (decisione TF 6B_53/2009 del 24.8.2009).
3.
3.1.
La Corte delle assise criminali al dispositivo 13 della sentenza di merito del 15.2.2013 ha deciso che
“(...) i risarcimenti compensatori di cui ai dispositivi 5.1.2
[CHF 450'000.--]
e 5.2.2
[CHF 450'000.--]
sono assegnati, previo soddisfacimento di tassa e spese di giustizia,
in favore degli accusatori privati proporzionalmente ai crediti loro riconosciuti ai dispositivi 8.3
[PI 24]
,8.4
[PI 25]
, 8.12
[_]
, 8.25
[RE 1]
e 8.26
[_]
(...)”
(sentenza 15.2.2013, p. 19, inc. TPC _).
Con scritti 9.3.2013 di PI 17 e PI 18, 20.2.2013 di PI 14, 28.3.2013 di PI 6 e 12.9.2013 di PI 8, gli accusatori privati chiedevano l’assegnazione, a loro favore, dei risarcimenti compensatori di cui ai dispositivi 5.1.2 e 5.2.2 (doc. 1/2/3/6, inc. TPC _).
A seguito di tali richieste il presidente della Corte delle assise criminali ha deciso di procedere all’assegnazione di quanto confiscato anche agli accusatori privati sopraindicati che avevano fatto richiesta dopo l’emanazione della sentenza di merito (decisione 16.9.2013, doc. 7, inc. TPC _).
3.2.
A seguito della sentenza 8.10.2013 di questa Corte, che annullava la predetta decisione 16.9.2013, il presidente della Corte delle assise criminali ha invitato tutti gli accusatori privati o i loro rappresentanti a confermare, nel termine di dieci giorni, la cessione allo Stato della quota relativa al loro credito nei confronti di PI 27 e di PI 26 (così come stabilito nella sentenza 15.2.2013 della Corte delle assise criminali), attirando la loro attenzione sul fatto che
“(...) in mancanza di una loro dichiarazione di cessione del credito allo Stato l’assegnazione non può essere ordinata (...)”
(scritto 6.12.2013, doc. 36, inc. TPC _).
È così che (oltre ai cinque accusatori privati che si erano annunciati prima dell’emanazione della sentenza di merito della Corte delle assise criminali ed ai cinque del 9.3.2013, 20.2.2013, 28.3.2013 e 12.9.2013) altri dieci accusatori privati hanno fatto richiesta di assegnazione giusta l’art. 73 CP (scritti doc. 38, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 57, inc. TPC _).
Con decisione 18.2.2014 la Corte delle assise criminali ha precisato che
“(...) i valori confiscati al momento del passaggio in giudicato della sentenza ammontavano a fr. 358'217.55, di cui fr. 146'517.55, di pertinenza di PI 26 (...) e fr. 211'700.- di pertinenza di PI 27 (...)”
; ha evidenziato che
“(...) visto lo scritto 23.7.2013 della _ Assicurazioni, le prestazioni assicurative relative alla polizza vita (...) di pertinenza di PI 26 non sono esigibili e che neppure lo sono attualmente gli averi della previdenza professionale presso Banca _ (...) sempre di pertinenza di PI 26 (...)”
; ha ricordato che
“(...) i condannati si sono impegnati a proseguire i versamenti al Tribunale penale cantonale per il risarcimento degli accusatori privati e, facendo fede ai loro impegni, hanno versato ad oggi (...) l’ulteriore importo di fr. 51'200.- di cui fr. 20'000.- PI 26 e fr. 31'200.- PI 27 (...)”
(decisione 18.2.2014, p. 3, doc. TPC 60, inc. TPC _). La Corte ha ribadito che per gli accusatori privati PI 25, PI 24, RE 1 e RE 1
“(...) le rispettive richieste di assegnazione, ribadite in questa sede, sono già state decise con la sentenza 15.2.2013, passata in giudicato (...)”
. Di conseguenza
“(...) dal momento che né in sede d’istruttoria né in sede dibattimentale vi è stata debita informazione sul contenuto dell’art. 73 CP alle parti lese sprovviste di rappresentante legale le richieste (...)”
degli ulteriori accusatori privati
“(...) con cessione allo Stato della relativa quota del loro credito, vanno accolte e, pertanto, anche a loro va assegnato proporzionalmente al loro credito l’importo disponibile al momento del passaggio in giudicato della sentenza (punti 11.1.3 e 11.2.1 del dispositivo) (...)”
(decisione 18.2.2014, p. 5 s., doc. 60, inc. TPC _).
Alla luce di quanto precede la Corte delle assise criminali ha dunque suddiviso l’importo confiscato al punto 11 del dispositivo della sentenza 15.2.2013 tra i quindici accusatori privati annunciatisi (oltre a RE 1, RE 1, PI 24 e PI 25) per la quota parte di loro spettanza in funzione delle altre indennità riconosciute in sentenza.
4.
4.1.
La Corte
delle assise criminali sostiene dunque che non essendovi stata una debita informazione da parte del giudice, né in sede di istruttoria, né in sede dibattimentale, agli accusatori privati sprovvisti di patrocinatore in merito ai loro diritti derivanti dall’art. 73 CP, le loro richieste, avvenute dopo il passaggio in giudicato della sentenza di merito, del 15.2.2013, devono essere accolte. L’importo disponibile al momento del passaggio in giudicato di quest’ultima ammontava a CHF 358'217.55; somma di denaro da suddividere dunque, a mente dell’autorità giudicante, fra diciotto accusatori privati.
4.2.
Tale tesi non può tuttavia essere condivisa da questa Corte.
La Corte
delle assise criminali si riferisce al fatto che, giusta la giurisprudenza e la dottrina, il giudice deve rendere attenta la parte lesa in merito alle possibilità offerte dall’art. 73 CP, almeno nel caso in cui quest’ultima non possa fare affidamento sulle sue conoscenze giuridiche o sull’aiuto di un avvocato. Come indicato il Tribunale federale prevede infatti il dovere di assistenza del giudice nel caso di danneggiati inesperti non patrocinati (cfr. sentenza TF 6B_659/2012 dell’8.4.2013). L’assegnazione deve tuttavia essere ordinata contemporaneamente alla decisione di merito giusta l’art. 73 cpv. 3 CP, come è avvenuto nel caso in esame. Un’assegnazione posteriore può infatti essere effettuata unicamente nel caso in cui non sia già avvenuta alcuna assegnazione passata in giudicato in favore di altri danneggiati (sentenza TF 6B_53/2009 del 24.8.2009 consid. 2.6; sentenza TF 6B_659/2012 dell’8.4.2013 consid. 3.1.) o se i beni pervengono dopo. Nel caso in esame nella sentenza 15.2.2013 la Corte delle assise criminali assegnava a PI 24, PI 25, RE 1 e RE 1 i risarcimenti compensatori (punto 13). La sentenza è passata in giudicato. Pertanto, contrariamente a quanto sembra sostenere l’autorità di merito, il fatto che né in sede di istruttoria né in sede dibattimentale vi è stata una debita informazione alle parti lese in merito ai loro diritti, è irrilevante: determinante è il solo carattere definitivo ed esecutivo della decisione di assegnazione ai cinque accusatori privati, ossia la sentenza di merito 15.2.2013 della Corte delle assise criminali. RE 1 e RE 1 hanno dunque diritto alle assegnazioni derivanti dai beni confiscati. Tale giudizio si impone anche per garantire una certa sicurezza del diritto ed evitare che i danneggiati che hanno fatto valere le proprie pretese durante la procedura si vedano diminuire il loro risarcimento, dopo la crescita in giudicato della sentenza, da ulteriori accusatori privati annunciatisi successivamente.
4.3.
Al contrario, come rettamente rilevato dalla Corte delle assise criminali,
“(...) gli importi maturati posteriormente al passaggio in giudicato della sentenza ovvero dopo il 15.2.2013 vanno assegnati a tutte le parti istanti proporzionalmente al loro credito nel frattempo ceduto allo Stato (...)”
(sentenza 18.2.2014, p. 6). Pertanto i versamenti effettuati posteriormente al 15.2.2013, che ammontano a CHF 51'200.--, devono essere assegnati a tutti gli accusatori privati annunciatisi e di conseguenza anche a RE 1 ed a RE 1. Al momento del passaggio in giudicato della sentenza di merito 15.2.2013 tale importo non era infatti ancora stato assegnato, anche perché non ancora confiscato.
5.
I gravami sono accolti. La decisione di assegnazione 18.2.2014 è annullata e gli atti rinviati alla Corte delle assise criminali affinché emani una nuova decisione tenendo conto dei considerandi precedenti. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,014 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
9da362c2-e0ad-5b7e-905b-3cbe9c420add | in fatto: A.
Con sentenza del 25 ottobre 2000 la Corte delle assise criminali in Lugano ha riconosciuto _ autore colpevole di ripetuta amministrazione infedele, ripetuta truffa per mestiere, ripetuta falsità in documenti e contravvenzione alla legge cantonale sull'esercizio delle professioni di fiduciario. Riferendosi alla prima imputazione, la Corte di assise ha – in estrema sintesi – accertato che nel periodo ottobre 1994/maggio 1995, per fine di lucro e indebito profitto, il soggetto ha danneggiato suoi clienti nella gestione patrimoniale dei loro averi, in particolare 8 clienti in relazione all'acquisto di 250'000 titoli interactive _ Inc (_) per un importo complessivo di US$ 1'050'000.–– e 6 clienti in relazione all'acquisto di 93'000 titoli _ Inc Port (_) per un importo complessivo di US$ 213'535.– senza la necessaria autorizzazione dei clienti e andando oltre il mandato di gestione che gli era stato affidato, ritenuto che i titoli si sono poi svalutati rapidamente con una perdita quasi totale; ha pure accertato che nel corso del 1996 il soggetto ha raccolto US$ 276'640.– da 5 clienti prospettando l'acquisto di titoli della società _ Corporation. Riferendosi alla seconda imputazione, la prima Corte ha accertato che _, singolarmente o in correità con altre persone, e per procacciare a sé o ad altri un indebito profitto, ha ripetutamente ingannato con astuzia almeno 30 suoi clienti investitori, affermando cose false o dissimulando cose vere, oppure confermandone subdolamente l'errore, inducendoli in tal modo ad atti pregiudizievoli al patrimonio proprio o altrui, in particolare che egli ha raccolto dai clienti fondi per complessivi fr. 4'204'000.– creando un pregiudizio finale (dedotti cioè i rimborsi) di almeno fr. 3'368'000.–. Riferendosi alla terza imputazione, la Corte di assise ha accertato che _, singolarmente o in correità e al fine di nuocere al patrimonio o ad altri diritti di clienti investitori e al fine di procacciare a sé o ad altri un indebito profitto, ha ripetutamente formato documenti falsi o alterato documenti veri e attestato e fatto attestare in documenti, contrariamente alla verità, fatti di importanza giuridica, e che ha fatto uso a scopo di inganno di tali documenti in relazione a contratti di amministrazione fiduciaria e a contratti per operazioni di finanziamento stipulati a partire dal 15 marzo 1995.
In applicazione della pena, la Corte delle assise criminali ha condannato _ a 3 anni di reclusione (computato il carcere preventivo sofferto). Lo ha inoltre condannato a versare alla parti civili gli importi di cui al dispositivo n. 4 della sentenza. Ha infine ordinato la confisca ex art. 59 n. 1 CP di diversi beni patrimoniali costituenti provento di reato.
B.
Contro la sentenza di assise il Procuratore pubblico ha inoltrato il 30 ottobre 2000 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 5 dicembre successivo, egli chiede che la pena a carico di _ sia aumentata in quanto arbitrariamente mite. Una dichiarazione di ricorso contro la sentenza di assise, segnatamente contro il dispositivo di confisca, è stata proposta da _ Inc. e da _ (Suisse) SA. Nei rispettivi gravami del 5 dicembre 2000, essi chiedono la revoca della confisca disposta sui conti della Banca _, Lugano.
C.
Non sono state chieste osservazioni sui ricorsi. | Considerando
in diritto: I. Sul ricorso del Procuratore pubblico
1.
Il ricorrente fa carico alla prima Corte di avere irrogato a _ una pena eccessivamente mite rispetto alla indubbia gravità oggettiva delle imputazione per le quali è stato condannato e, in particolare, rispetto alla colpa, anche essa grave. Ritiene tra l'altro che i primi giudici abbiano dimostrato ingiustificata indulgenza nel valutare l'incidenza di circostanze attenuanti, come la scemata responsabilità e la volontà di emendamento del condannato e la durata della carcerazione preventiva.
a)
Il giudice commisura la pena alla colpa del reo tenendo conto dei motivi a delinquere, della vita anteriore e delle condizioni personali di lui (art. 63 CP). La gravità della colpa è il criterio fondamentale per la fissazione della pena. A tale riguardo entrano in considerazione numerosi fattori: movente e circostanze esterne, intensità del proposito (determinazione) o della negligenza, risultato ottenuto, assenza di scrupoli, modi di esecuzione del reato, entità del pregiudizio arrecato volontariamente, durata o reiterazione dell'illecito, ruolo in seno a una banda, recidiva, difficoltà personali o psicologiche e così via. Per quanto riguarda l'autore, in particolare, occorre considerare la sua situazione familiare e professionale, l'educazione ricevuta e la formazione seguita, l'integrazione sociale, gli eventuali precedenti penali e la reputazione in genere. Anche il comportamento dopo la perpetrazione del reato entra in linea di conto, compresa la collaborazione con gli inquirenti e la volontà di emendamento (DTF
124 IV 47 consid. 2d con rinvio a DTF
117 IV 112 consid. 1 e 116 IV 289 consid. 2a). Criteri ispirati alla parità di trattamento con casi analoghi hanno invece una portata relativa (DTF 124 IV 47 consid. 2c), mentre esigenze di prevenzione generale svolgono solo un ruolo di second'ordine (DTF
118 IV 350 consid. 3g).
b)
Nella commisurazione della pena il giudice di merito usufruisce di ampia autonomia quando valuta l'importanza di ogni singolo fattore. Egli deve indicare nondimeno quale peso attribuisce ai vari elementi considerati, non necessariamente in cifre o in percentuali, ma in modo che l'autorità di ricorso possa – pur rispettando la sua latitudine di apprezzamento – seguire il suo ragionamento e controllare l'applicazione della legge (
Queloz
, Commentaire de la jurisprudence du Tribunal fédéral en matière de fixation et de motivation de la peine in
: RPS 116/1996 pag. 136 segg.). Sapere se la pena risponda a tali esigenze e rientri nei limiti edittali è una questione di diritto, che va quindi esaminata liberamente dalla Corte di cassazione e di revisione penale; nella commisurazione della pena, per contro, la Corte di cassazione e di revisione penale interviene solo – come il Tribunale federale – ove il giudice di merito sia stato esageratamente severo o esageratamente mite, al punto di cadere nell'eccesso o nell'abuso del potere di apprezzamento (DTF
123 IV 162 consid. 2a con richiami) .
c)
Nella fattispecie la Corte di assise ha inflitto al ricorrente 3 anni di reclusione, rilevando anzitutto l'oggettiva gravità dei reati commessi dal soggetto, determinata dalla ripetitività delle operazioni truffaldine commesse per mestiere lungo un ragguardevole arco di tempo, dall'entità dei denari sottratti, come pure dal sistematico abuso del particolare rapporto di fiducia instauratosi con la maggior parte dei clienti. Sotto questo profilo – ha osservato la prima Corte – sarebbe giustificata una pena più severa rispetto a quella effettivamente irrogata. Se non che, hanno soggiunto i primi giudici, la pena proposta dal Procuratore pubblico (4 anni e 6 mesi di reclusione) è eccessivamente severa, ove si consideri soltanto la sentenza emessa il 21 febbraio 2000 dalla Corte delle assise criminali nel caso della _ SA, con la quale i due imputati – cui era stata comunque riconosciuta la collaborazione prestata e il pentimento manifestato nei confronti delle vittime – erano stati condannati a 3 anni e 10 mesi di reclusione per reati ben più gravi. Vagliando l'aspetto soggettivo, la Corte di merito ha considerato a favore dell'imputato la sua scemata responsabilità ex art. 11 CP di grado da lieve a medio; al riguardo essa ha tra l'altro rilevato che l'attitudine processuale del soggetto nel corso dell'inchiesta volta a negare la realtà e, come tale, censurabile poiché indizio di totale mancanza di volontà di collaborare, risulta per finire scusabile proprio grazie alla citata circostanza attenuante. Come ulteriore elemento a favore del prevenuto, i primi giudici hanno altresì considerato che egli non ha utilizzato il provento delle malversazioni per finanziare un tenore di vita sfarzoso, che egli ha per contro persino dato fondo alla sue preesistenti risorse nel tentativo di risarcire le vittime, sacrificando la casa di abitazione ipotecata in misura superiore alle sue possibilità di rimborso degli interessi, e l'avere di cassa pensione, che avrebbe invece potuto tenere per sé. La Corte di assise ha pure considerato la durata della carcerazione preventiva sofferta pari a circa 17 mesi, segnatamente l'angoscia derivata dalla prolungata assenza di riscontri certi sul momento in cui essa avrebbe preso termine (sentenza, pag. 29 segg.).
Già d'acchito la sentenza impugnata risulta motivata in modo da escludere eccesso o abuso del potere di apprezzamento nell'esito (condanna a 3 anni di reclusione) al quale la prima Corte è giunta vagliando la fattispecie sia dal profilo oggettivo, sia dal profilo soggettivo. Anzitutto, contrariamente a quanto preteso dal Procuratore pubblico, la prima Corte non ha trascurato la gravità oggettiva dei reati e il danno causato alle vittime e, tantomeno, l'aggravante derivante dal fatto che il prevenuto abbia, tra l'altro, commesso ripetuta truffa per mestiere (sentenza, pag, 30). Nel valutare questi lati negativi, essa ha nondimeno considerato che, in fin dei conti, dall'indebito profitto conseguito, il ricorrente non ha tratto significativi vantaggi, nel senso che egli non ha mutato apprezzabilmente il proprio tenore di vita, segnatamente non ha condotto una vita sfarzosa; anzi, per finire egli ha persino dato fondo alla sue preesistenti risorse, compresi gli averi della cassa pensione (sentenza, pag. 31). Con ciò la Corte di merito ha quindi statuito correttamente, ossia ha considerato sia le circostanze sfavorevoli, sia le circostanze favorevoli al prevenuto, riconoscendogli anche gli sforzi compiuti per risarcire le vittime.
e)
Il ricorrente dissente da queste considerazioni, rimproverando al prevenuto un'attitudine diversa. Egli però non sostanzia alcun arbitrio al riguardo, (art. 288 lett. c CPP), ossia non dimostra perché i primi giudici avrebbero errato manifestamente concludendo nel modo riportato nella sentenza impugnata, ovvero ponendo in risalto le buone intenzioni del condannato. Nemmeno può essere fatto carico alla Corte di merito di essere caduta nell'eccesso o nell'abuso del potere di apprezzamento nel vagliare l'incidenza della scemata responsabilità del prevenuto. Che al momento dei fatti _ abbia agito in stato di scemata responsabilità da lieve a media risulta attestato dal perito giudiziario dott. _ (act. 174 pag. 21 seg.). Che l'attitudine ostruzionista per non dire provocatoria dello stesso prevenuto nel corso dell'istruttoria – circostanza che ha senz'altro complicato e allungato l'inchiesta e, di riflesso, ha determinato poca comprensione al momento di formulare la richiesta di pena all'attenzione della Corte di assise – dipendeva però (anche) da turbe psicologiche, poteva essere accertato senza arbitrio dai primi giudici sulla base dello stesso referto peritale (act. 174 pag. 12 in fondo). Certo, la sentenza impugnata non determina il grado di responsabilità del soggetto con riferimento a ogni singola infrazione commessa, ossia non riprende ad litteram quanto riferito dal perito, e cioè che si è trattato di scemata responsabilità lieve all'inizio e di scemata responsabilità lieve–media verso e durante la fine del periodo che entra in considerazione (act. 174, pag. 22). Tale constatazione è però ininfluente. Decisivo, a ben vedere, è che la sentenza impugnata resista alla critica nel suo esito, ossia che la condanna a 3 anni di reclusione, tenuto conto di tutte le circostanze – sia aggravanti, sia attenuanti – sia ancora sostenibile. Ciò che è il caso nella fattispecie, dato che l'aggravante considerata con particolare insistenza dal Procuratore pubblico – mancata collaborazione con conseguente incremento degli oneri istruttori – risulta in ogni modo temperata dalla indubbia scemata responsabilità che ha colpito il soggetto a partire dal 1996 (act. 174, pag. 22 ). D'altro canto la stessa Corte di assise ha compreso la critica del Procuratore pubblico, rilevando che, senza la circostanza attenuante dell'art. 11 CP, avrebbe considerato l'attitudine processuale del prevenuto come elemento a suo sfavore nella commisurazione della pena (sentenza, pag, 31 in alto). Infine, non può nemmeno essere rimproverato alla Corte delle assise criminali di avere conferito peso sproporzionato al carcere preventivo sofferto dal prevenuto, dato che è stata la sua reticenza a prolungarne la durata. Egli trascura infatti di nuovo i vincolanti accertamenti della sentenza impugnata, che riconducono la richiamata attitudine per l'appunto anche allo stato di scemata responsabilità. Il confronto con il caso _ SA risulta, per finire, appropriato; in quel procedimento i prevenuti erano stati infatti condannati a una pena di soli 10 mesi superiore per reati ben più gravi e per indebiti profitti ben più consistenti. È vero che X. e Y. avevano collaborato, al contrario dell'imputato nel presente procedimento; come visto, di questo comportamento egli non era però totalmente responsabile. Ben si può convenire con la Corte di assise che, nella fattispecie, si tratta di pena mite. Contrariamente a quanto preteso dal Procuratore pubblico, con un giudizio di tale indole la prima Corte non ha però ancora ecceduto o abusato nel proprio potere di apprezzamento.
2.
Ne discende che il ricorso – che parte tra l'altro dalla erronea premessa che avendo il Magistrato inquirente già tenuto conto di eventuali circostanze attenuanti nella sua proposta di pena, la Corte di assise non avrebbe dovuto dar prova di ulteriore clemenza (ricorso, punto 2.1.1) – deve essere disatteso siccome infondato, senza ulteriori formalità (art. 291 cpv. 1 CPP).
II. Sul ricorso di _ Inc.
3.
Il ricorrente insorge contro il provvedimento della confisca disposto dalla Corte delle assise criminali sui conti no. _, intestato a _, no. _, intestato a _ e _, e no. _intestato a _. Egli richiama, in estrema sintesi, una precedente procedura esecutiva promossa nei confronti di _ sulla base di una sentenza contumaciale pronunciata da una Corte distrettuale del Texas che ha riconosciuto il soggetto colpevole di truffa, condannandolo a un risarcimento a suo favore di US$ 10'000'000.– rispettivamente US$ 20'000'000.–, procedura che è sfociata nel sequestro LEF degli averi oggetto del contestato provvedimento confiscatorio e nel rigetto dell'opposizione interposta al relativo precetto esecutivo dallo stesso _. Rileva altresì che si è pure proceduto al sequestro penale dei medesimi conti nell'ambito del procedimento penale promosso contro _. Nel merito egli fa valere che se è vero che gli averi sui conti confiscati derivano da reati penali, tali infrazioni non sono quelle imputabili a _, ma concernono l'attività truffaldina di _. Occorre, in altri termini, secondo il ricorrente, distinguere tra i due procedimenti penali.
4.
Giusta l'art. 287 cpv. 1 CPP il Procuratore pubblico, l'accusato e il suo difensore possono interporre ricorso per cassazione contro tutte le sentenze di merito delle Corti penali. La parte civile invece può interporre ricorso per cassazione soltanto contro una sentenza di assoluzione (art. 287 cpv. 2 CPP).
5.
Il ricorrente non è né accusato, né parte civile nel procedimento oggetto della sentenza impugnata. Egli è soltanto – stando al tenore del ricorso – un terzo colpito dalla confisca ordinata dalla Corte di assise, la quale ha ritenuto che le somme confluite sui conti presso la Banca _ di Lugano siano provento di reato e attengano ai clienti di _ (sentenza, consid. 19.2). Già per questo solo motivo – mancata costituzione di parte civile – al ricorrente fa difetto la legittimazione ricorsuale davanti alla Corte di cassazione e di revisione penale. Invero, il ricorrente fa valere di essersi costituito il 25 agosto 1995 parte civile, ma come ammesso nello stesso gravame (pag. 3), tale atto concerne il procedimento penale promosso contro _ (cfr. doc. D ), tuttora pendente. Il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile. Un giudizio del genere è stato peraltro preso in considerazione dallo stesso ricorrente, ove si consideri che contro la sentenza di assise egli ha inoltrato due dichiarazioni di ricorso, una alla Corte di cassazione e di revisione penale (art. 289 cpv. 1 CPP), una alla Corte di cassazione penale del Tribunale federale ex art. 272 PP (possibile soltanto contro una sentenza cantonale definitiva).
6.
È vero che anche decisioni di confisca possono essere impugnate con ricorso per cassazione. La Corte di cassazione e di revisione penale ha infatti riconosciuto tale facoltà sia all'imputato colpito da un provvedimento del genere con la sentenza di merito (caso classico), sia alla persona colpita da un provvedimento confiscatorio ordinato in un cosiddetto procedimento autonomo ex art. 350 cpv. 2 CPP (in cui è parte la persona colpita dal provvedimento). La Corte di cassazione e di revisione penale non ha per contro riconosciuto legittimazione ricorsuale alla parte considerata soltanto come un terzo colpito dal provvedimento, cui la Corte di assise ha assegnato un termine per fare valere le proprie ragioni giusta la procedura di cui all'art. 350 cpv. 4 CPP (CCRP, sentenza del 18 novembre 1998 in re C. consid. 3). A maggior ragione al ricorrente deve essere preclusa la facoltà di ricorrere ex art. 287 ss. CPP in una fattispecie, come la presente, in cui la Corte di assise (cfr. sentenza, consid. 19.3) non ha peraltro nemmeno proceduto all'assegnazione proporzionale dei beni alle parti lese ex art. 60 cpv. 1 lett. b CP, rilevando che ciò sarà possibile unicamente quando saranno chiarite le pregiudiziali questioni di diritto civile (art. 60 cpv. 3 CP e 350 cpv. 4 CPP). Essa si è infatti soltanto limitata a confiscare quanto – a suo giudizio – costituisce provento di reato ex art. 59 n. 1 CP (consid. 19.2 della sentenza impugnata). D'altro canto, si fosse anche costituita parte civile, la legittimazione ricorsuale non risulterebbe automaticamente scontata alla luce dell'art. 287 cpv. 2 CPP, che consente soltanto ricorsi contro sentenze assolutorie. Tale questione può comunque essere lasciata indecisa, alla luce delle considerazioni che precedono.
III. Sul ricorso di _ (Suisse) SA
7.
La ricorrente impugna a sua volta il dispositivo di confisca, limitatamente al conto no. _presso la Banca _, Lugano, facendo anche essa valere diritti prevalenti sull'attivo confiscato e contestando in ogni modo che i valori confluiti su quel conto (colpito anche da un sequestro LEF) costituiscano provento di reato. Se non che, come per _ Inc., alla ricorrente fa difetto la qualità di parte ex art. 287 ss CPP, già perché essa – come si vedrà in appresso – non si è costituita parte civile nel presente procedimento.
8.
È vero che la ricorrente richiama tra l'altro la costituzione di parte civile contenuta nella denuncia penale del l'11 agosto 1995 sporta nei confronti di _. Tale atto non figura però negli atti dell'incarto relativo al presente procedimento penale, ossia all'atto di accusa 121/2000 (cfr. peraltro l'atto di accusa, ove la ricorrente non figura nemmeno indicata come parte lesa). Dalla distinta degli atti nemmeno risulta che la ricorrente si sia costituita parte civile in un altro momento, segnatamente con raccomandata 11 giugno 1999 al Procuratore pubblico (d'altro canto la diretta interessata non è stata nemmeno in grado di indicare il relativo numero di rubrica del citato atto). Magari la ricorrente allude alla notizia di reato figurante come doc. C nel parallelo ricorso di _ (che comunque non figura negli atti del procedimento penale contro _). Fosse quello l'allegato, la sostanza delle cose non muterebbe. Da quell'atto, risulta che essa aveva allora informato il Ministero pubblico di costituirsi parte civile nel procedimento penale che verrà aperto nei confronti di _ ("eventualmente terze persone che hanno collaborato con lo stesso o l'hanno aiutato a commettere le azioni che verranno nel seguito succintamente descritte"). Cosa essa intendesse con la locuzione "eventualmente" e più precisamente a quali persone essa indirettamente si riferiva non è chiaro, ritenuto comunque che non depongono a favore della pretesa costituzione di parte civile la totale assenza negli atti del procedimento (Acc. 121/2000) di riscontri attestanti il coinvolgimento della ricorrente e, in particolare, l'improvviso interesse manifestato all'ultimo momento in un procedimento (quello contro _) per mesi ignorato (per di più tramite un'avvocata dello studio legale che patrocina anche alcuni creditori di _ interessati almeno in parte alla stessa somma; sentenza, consid. 19.1).
Sia come sia, la questione non ha ragione di essere vagliata oltre. Con dichiarazione di ricorso presentata il 27 ottobre 2000 sia alla Corte di cassazione e di revisione penale, sia al Tribunale federale (cui è stato inoltrato ricorso per cassazione motivato), la precedente patrocinatrice della ricorrente ha chiarito l'arcano, ossia ha esplicitamente precisato che la sua mandante non è parte alla procedura ACC 121/2000 (procedimento a carico di _) e che essa è titolare di diritti sui beni depositati sui conti suddetti ai sensi dell'art. 59 cpv. 2 CP. Per questa ragione essa ha chiesto alla Corte di assise di non procedere alla contestata confisca (richiesta, come visto, respinta dalla Corte, che ha comunque richiamato l'attenzione su eventuali diritti di terzi ex art. 60 CP e sulla procedura di cui all'art. 350 cpv. 4 CPP). Che la ricorrente non abbia inteso partecipare al presente procedimento risulta peraltro pure dallo scritto 20 ottobre 2000 inviato al presidente della Corte di assise, in cui ha manifestato l'opposizione alla confisca vantando diritti prevalenti; nell'indicare l'oggetto della pratica, essa ha messo di nuovo in relazione la costituzione di parte civile con l'inc. n. _, cioè con la denuncia sporta nei confronti di _ (cfr. doc. 2/dibattimento). Nel ricorso proposto dal nuovo patrocinatore, la ricorrente trascura però tali scritti (in cui non si contestava peraltro nemmeno che si tratti di provento di reato), che vanno nella direzione esattamente contraria a quanto ora preteso. Di costituzione di parte civile non vi è peraltro traccia nemmeno nello scritto 27 settembre 2000 (v. doc. 34. successivo all'atto di accusa). Proposto con leggerezza, ovvero contraddicendo quanto addotto dal precedente patrocinatore, il ricorso deve di conseguenza essere anche esso dichiarato inammissibile senza ulteriori formalità (at. 291 cpv. 1 CPP). Per il resto si richiamano le argomentazioni esposte nel gravame che precede.
IV. Sulle spese
9.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,000 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
9e10bbb1-db90-5376-be9f-a6dce31985d1 | in fatto: A.
Con sentenza del 28 luglio 2000 la Corte delle assise criminali in Lugano ha riconosciuto _ autore colpevole di ripetuta violenza carnale per avere, la notte del 12 ottobre 1999, ripetutamente costretto _ a subire la congiunzione fisica nel di lei appartamento a Lugano, dopo averla resa inetta a resistere usando violenza e minaccia. _ è stato riconosciuto inoltre autore colpevole di ripetuta minaccia per avere ripetutamente incusso spavento alla donna, in particolare tra il mese di agosto e il 26 ottobre del 1999, minacciando di ucciderla qualora lo avesse lasciato o non avesse fatto quello che lui voleva.
Oltre a ciò l'imputato è stato riconosciuto colpevole di ripetute vie di fatto per avere, nel medesimo periodo, percosso la donna in varie occasioni, strattonandola, tirandole i capelli e colpendola con sberle, in specie prendendola il 26 ottobre 1999 per i capelli, gettandola a terra, afferrandola per il collo con entrambe le mani e procurandole le lesioni descritte nei certificati medici agli atti. _ è stato prosciolto invece dall'accusa di violenza carnale in relazione a un rapporto sessuale avuto con la vittima la sera del 9 ottobre 1999 e dell'imputazione di sequestro di persona per i fatti accaduti la notte del 12 ottobre 1999.
In applicazione della pena, la Corte delle assise criminali ha condannato _ a 4 anni di reclusione (computato il carcere preventivo sofferto) e all'espulsione dal territorio svizzero per 15 anni. Lo ha inoltre condannato a versare a _, costituitasi parte civile, fr. 20'000.– a titolo di indennità per torto morale e fr. 7'901.25 per ripetibili.
B.
Contro la sentenza di assise _ ha inoltrato il 31 luglio 1999 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 5 settembre 2000, egli chiede di essere assolto da tutte le accuse o quanto meno, in subordine, di moderare la pena privativa della libertà, di rinunciare all'espulsione o di ridurne se non altro la durata. Nelle sue osservazioni del 2 ottobre 2000 il Procuratore pubblico ha proposto di respingere il ricorso. Identica stessa conclusione è stata formulata da _ il 2 ottobre 2000.
C.
Al dibattimento del 20 febbraio 2001 il ricorrente si è confermato nelle proprie allegazioni, illustrandole ulteriormente. Il Procuratore pubblico e la parte civile hanno di nuovo postulato la conferma della sentenza impugnata. | Considerato
in diritto: 1.
A mente del ricorrente la condanna si fonderebbe su un arbitrario accertamento dei fatti e su un'arbitraria valutazione delle prove (art. 288 cpv. 1 lett. c CPP). Arbitrario non significa tuttavia discutibile, contestabile o finanche erroneo, bensì manifestamente insostenibile o in aperto contrasto con gli atti (DTF126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4a), Per motivare una censura di arbitrio non basta quindi criticare la decisione impugnata, né contrapporle una propria versione dei fatti, per quanto essa appaia preferibile. Occorre invece spiegare per quale ragione l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sarebbero manifestamente insostenibili, si trovino in chiaro contrasto con gli atti o contraddicono in modo urtante il sentimento di giustizia e dell'equità (DTF125 II 10 consid. 3a, 124 I 86 consid. 2a, 123 I 1 consid. 4a, 122 I 61 consid. 3a). Secondo giurisprudenza, inoltre, una sentenza incorre nell'annullamento quando essa è arbitraria non solo nella motivazione, ma anche nel risultato (DTF125 II 129 consid. 5b, 124 II 166 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4a, 122 I 253 consid. 6 c e rinvii). Il Tribunale federale ha avuto modo di stabilire, per contro, che una valutazione unilaterale dei mezzi di prova viola il divieto dell'arbitrio (DTF del 25 settembre 2000 in re S., consid. 3b con riferimento a DTF inedita del 20 gennaio 2000 in re S., consid. 3b).
2.
Facendo propria la versione dei fatti descritta dalla vittima nella denuncia riportata nel verbale di polizia del 28 ottobre 1999 (annesso all'act. 7), la Corte di assise ha accertato che nel corso del 1997 _, lontana dalla propria famiglia, sola e senza amici, si era innamorata del ricorrente, al punto da essere convinta di avere trovato l'uomo con cui sposarsi. Ma ciò era praticamente impossibile, l'imputato essendo già coniugato e con prole. Data poi la differenza di etnia, cultura, religione e mentalità, e data in particolare l'indole autoritaria del ricorrente, le condizioni di una normale convivenza si sono deteriorate. Sempre più stanca ed esaurita anche per il gran lavoro svolto, _ aveva finito così per decidere di lasciare il compagno, soprattutto dopo il giugno del 1999, quando l'imputato era rientrato in Albania per due settimane, dandole modo di riassaporare la libertà e di riprendere una vita normale. Tanto più che la donna era delusa per il mancato matrimonio (sentenza, pag. 32–34). Tornato dall'Albania, da dove aveva inutilmente tentato di farsi spedire la somma di fr. 4'000.–, il ricorrente si è dato a numerose telefonate che hanno fatto sospettare a _ l'esistenza di relazioni con altre donne. Ne è seguita una nuova delusione, che l'ha indotta a minore disponibilità sessuale, per altro buona fino al maggio del 1999, nonostante le fosse talvolta difficile assecondare i frequenti desideri del compagno. La donna ha comunque acconsentito ad avere rapporti con lui anche nel maggio del 1999, subito dopo avere subìto un intervento chirurgico al collo dell'utero (sentenza, pag. 35).
Nell'estate del 1999 – hanno continuato i primi giudici – _ ha detto al ricorrente di voler troncare la relazione. Egli non ha affatto apprezzato ed è passato a vie di fatto e minacce nel caso in cui essa non fosse tornata sulla propria decisione. Le ha persino proposto il matrimonio, dicendole di essere venuto a sapere che, se avesse sposato una donna con permesso di domicilio, egli avrebbe potuto ottenere un permesso di dimora, il suo permesso di candidato all'asilo essendo in procinto di scadere. L'ha finanche invitata a ritirare le carte per il matrimonio. Nel settembre del 1999, non riuscendo più a sopportare la situazione né i suoi frequenti desideri sessuali del compagno, _ ha invitato quest'ultimo ad andarsene, ciò che egli ha fatto, assentendosi da casa per un paio di settimane. La sera del 9 ottobre 1999 egli è tuttavia ricomparso senza preavviso, offrendo alla donna un anello e un braccialetto come impegno di matrimonio. Vedendosi rifiutare i doni, egli ha infilato alla donna l'anello e il braccialetto con la forza, al che essa si è ribellata, ma egli l'ha portata in camera, dove si è congiunto carnalmente con lei nonostante lei lo pregasse di lasciarla stare (sentenza, pag. 35 e 36).
La sera di lunedì 11 ottobre 1999 i due hanno di nuovo litigato. In un crescendo di tensione – ha rilevato la prima Corte – il ricorrente ha percosso e insultato l'amica, tentando di congiungersi carnalmente con lei sul divano, ma senza riuscirvi poiché essa ha reagito con una pedata. A quel momento egli l'ha portata con forza nella camera da letto, ha chiuso la porta lasciando la chiave nella toppa e si è spogliato. Adirato per essere stato apostrofato come “figlio di puttana”, egli l'ha spintonata sul letto e l'ha minacciata di morte, le ha tolto con forza i pantaloni, l'ha spogliata completamente, le ha immobilizzato le mani dietro la nuca e le ha legato le caviglie con un paio di pantaloni. Sebbene essa si divincolasse e lo supplicasse di non infierire, dicendogli che altrimenti non lo avrebbe mai perdonato, egli le ha impedito ogni movimento con il peso del proprio corpo e poi l'ha penetrata. Durante la notte egli ha compiuto altre due congiunzioni carnali, fin quando ha slegato la donna ormai inerme, verso le quattro del mattino. Quindi l'ha lasciata dormire per un paio d'ore, ma al risveglio l'ha violentata di nuovo. Egli ha poi sostenuto di essersi comportato in tal modo per dimostrare la propria forza e il suo potere di fronte alla decisione di lei di lasciarlo (sentenza, pag. 36 e 37). Nonostante l'accaduto, l'indomani _ si è recata ugualmente al lavoro, ma era anchilosata, con i fianchi, le braccia e soprattutto le gambe doloranti. Ai colleghi di lavoro, che le domandavano se non stesse bene, essa ha raccontato versioni diverse par paura e per vergogna. Rientrata a casa, il ricorrente le ha chiesto scusa ed essa lo ha perdonato, accettando di proseguire la convivenza (sentenza, pag. 37).
A causa di persistenti dolori, il 14 ottobre 1999 un collega di lavoro si è offerto di accompagnare _ da un medico a _. Se non che, durante il tragitto i due sono incorsi in un incidente stradale e la donna ha battuto il capo. Trasportata all'ospedale per accertamenti, i sanitari hanno riscontrato uno stato neurologico normale, senza lesioni esterne visibili, e per finire hanno prescritto un antidolorifico per i dolori alla gamba, di cui la donna si lamentava da giorni. Ai sanitari _ non ha raccontato nient'altro. Essa è quindi rimasta a casa, immobilizzata a letto fino a domenica 17 ottobre 1999, accudita dal ricorrente che si dimostrava gentile e premuroso. Al dott. _ che l'ha visitata essa non ha accennato a violenze. Nemmeno alla conoscente _, che l'aveva chiamata per telefono, essa ha detto alcunché. Soltanto alla vicina _ essa ha confidato il 15 ottobre 1999 che il ricorrente la picchiava, che lei aveva deciso di lasciarlo e che il dolore alle gambe era la conseguenza dei colpi subìti (sentenza, pag. 37 e 38).
Pur debilitata dalle botte e dai postumi dell'incidente, a dispetto di un'apparente normalità _ si era nondimeno convinta a troncare definitivamente ogni rapporto con il convivente. Mercoledì 20 ottobre 1999 essa gli ha perciò consegnato una busta contenente denaro, invitandolo ad andarsene una volta per tutte. Egli ha preso i soldi e se n'è andato, ma la domenica successiva (24 ottobre 1999) è tornato, chiedendole di preparargli il pranzo. Essa si è rifiutata e nel pomeriggio ha portato nell'appartamento di via _, in cui risiedeva il prevenuto, alcuni indumenti e generi alimentari. Questi l'ha di nuovo minacciata e strattonata per i capelli. Impaurita, essa ha lasciato i luoghi (sentenza, pag. 38). Nella serata di lunedì 25 ottobre 1999 – hanno soggiunto i primi giudici – _ ha fatto sostituire la serratura del proprio appartamento. Accortosi di ciò, l'indomani il ricorrente l'ha raggiunta sul posto di lavoro, minacciandola nel caso in cui essa intendesse davvero lasciarlo. Quella stessa sera egli l'ha raggiunta a casa, sottraendole le chiavi dell'appartamento e passando a vie di fatto. Rimasta sola, _ ha chiesto aiuto alla datrice di lavoro (_), che l'ha accompagnata all'ospedale per accertamenti. Durante la trasferta essa ha detto di avere subito violenza, ma ai medici ha taciuto, limitandosi poi a denunciare _ per vie di fatto. Vincendo la paura, a casa dei coniugi _ che l'hanno ospitata, essa ha raccontato tutto. Sollecitata a reagire, essa ha finalmente sporto denuncia, non senza difficoltà. Il 27 ottobre 1999 la donna si è di nuovo recata al pronto soccorso dove, oltre ai lividi del giorno prima, le sono stati riscontrati un'insorgenza e una dolenzia al metatarso della mano destra, come pure altri lividi alle cosce. Nel pomeriggio essa è stata sottoposta a un esame ginecologico, in esito al quale non è stato constatato alcun postumo di violenza (sentenza, pag. 39 e 40).
3.
Motivando le ragioni che l'hanno indotta ad accreditare la denuncia, la Corte di assise ha rilevato anzitutto che la versione della vittima è attendibile poiché univoca, costante e lineare, sebbene in aula la donna sia stata colta da malore e si sia dovuto rinviare il suo interrogatorio al giorno successivo. A parere dei primi giudici, _ è credibile anche se ai sanitari che l'hanno visitata essa non ha specificato le date delle violenze carnali e nella cronistoria della denuncia non è stata precisa. Secondo la Corte, tuttavia, l'esposto non è stato presentato subito e la denunciante versava in uno stato di profonda prostrazione, con sensi di vergogna e con la paura di non essere creduta. Ricordate le confidenze di lei a _ la sera del 26 ottobre 1999 ed escluso che la denuncia fosse un atto di vendetta, i primi giudici hanno sottolineato come la donna sia ritenuta da tutti – persino dall'imputato – una persona generalmente sincera. La Corte ha ricordato anche il profilo della donna tracciato dal suo psichiatra, secondo cui essa è un soggetto con normali capacità di percezione della realtà, che non travisa i fatti, che sa attribuire il giusto valore alle cose della vita, che non è né dissociata né psicotica, che possiede capacità di intendere, di volere e di analizzare la realtà, che tende forse ad amplificare emotivamente, ma senza nulla aggiungere. La Corte di assise ha pure ricordato che la vittima aveva deposto il vero anche nel procedimento a carico dell'ex marito per tentato omicidio e ripetute lesioni semplici (sentenza, pag. 25 a 27).
Stando i primi giudici, il racconto della donna sui fatti antecedenti e successivi a quelli denunciati trova inoltre riscontro in altre risultanze istruttorie. Vari testimoni hanno ripetuto infatti che nelle settimane precedenti le violenze _ aveva cambiato comportamento, era divenuta triste, incline al pianto, agitata, ansiosa e irritabile, appariva affaticata e sofferente, confermando altresì che il ricorrente non intendeva assolutamente essere lasciato. Che costui non abbia per nulla gradito la fine della relazione risultava anche dal fatto che dopo essersi assentato per circa due settimane, egli aveva ripetutamente telefonato all'amica. Inoltre egli si era adirato per la sostituzione della serratura alla porta d'entrata dell'appartamento e si era rifiutato di restituire le chiavi, nonostante le insistenze della donna. La credibilità di lei risultava inoltre avvalorata dalla teste _, la quale ha dichiarato di avere sentito la sera del 9 ottobre 1999, dopo che l'imputato era rimasto assente 15 giorni, il trambusto proveniente dalla contigua camera da letto, in particolare il pianto di _ che ripeteva “Lasciami stare, lasciami stare”. E proprio in quel frangente, ha rilevato la Corte, l'uomo ha imposto all'amica un rapporto sessuale.
Secondo i giudici di merito il racconto della denunciante trova ulteriore supporto nelle testimonianze dei colleghi di lavoro, i quali hanno riferito come nei giorni successivi il 12 ottobre 1999 essa lamentasse forti dolori alle gambe, in particolare a quella sinistra, tanto da zoppicare e da trascinarsi a fatica. Tali dolori non erano affatto riconducibili a una patologia preesistente o aggravata dall'attività lavorativa, come asseriva l'imputato, bensì a cause esterne. D'altro canto, sempre secondo la sentenza impugnata, _ non ha saputo dare alcuna spiegazione che mettesse in dubbio il racconto della donna. Quanto al fatto poi che essa abbia sottaciuto ai colleghi le vere ragioni delle sofferenze, tale circostanza era da ricondurre al perdono. I primi giudici hanno pure richiamato la testimonianza del collega di lavoro _, nella misura in cui questi ha riferito che due mesi prima dei fatti _ era cambiata assai, era diventata più stanca, frustra e si lamentava di continuo. Anche la sostituzione del cilindro della porta di entrata, avvenuta la sera del 25 ottobre 1999, costituisce – secondo la Corte – un ulteriore riscontro dell'esasperazione e della paura accumulata dalla donna. Infine, la Corte di assise ha ricordato che i pantaloni indossati dalla vittima la sera della grave violenza denotano un'asola sfilacciata e la cerniera lampo rotta (sentenza, pag. 27 a 29).
Per contro, a mente dei primi giudici, l'imputato non è risultato credibile, nonostante abbia mantenuto in aula un comportamento rispettoso, confermando l'immagine di persona educata e garbata descritta da diversi testimoni e dalla stessa parte civile, con riferimento comunque ad altri momenti. Non soltanto egli ha fornito giustificazioni inverosimili sulla destinazione data al suo passaporto e alla sua carta di identità, non sapendo spiegare nemmeno l'esatta destinazione di certi suoi viaggi in Italia, ma egli ha anche negato al dibattimento di essere sposato, come aveva dichiarato alle autorità dell'asilo e agli inquirenti. Secondo la Corte di assise, la totale mancanza di sincerità dell'imputato trova conferma inoltre nella testimonianza della vicina _ su quanto da lei udito la sera del 9 ottobre 1999. Per di più il ricorrente risulterebbe smentito da altre circostanze, in particolare dal comportamento tenuto la sera del 26 ottobre 1999, durante la quale egli ha effettivamente percosso la convivente procurandole lividi sul collo. La Corte ha escluso infatti che la donna si sia procurata essa medesima le ferite per inavvertenza, come pretendeva l'imputato. Indiziante in senso negativo risulterebbe poi la circostanza che il ricorrente ha insistentemente negato, mentendo, di non avere accettato la decisione della convivente di lasciarlo. La Corte non ha dimenticato le testimonianze che descrivono il ricorrente come una persona corretta e non collerica, ma ha soggiunto che tali testimonianze poco importano, poiché contrastano con altri riscontri, dai quali traspare un altro carattere dell'accusato, in particolare quando egli si sente offeso (sentenza, pag. 29 a 32).
4.
Alla Corte di assise il ricorrente rimprovera anzitutto di avere trascurato la circostanza che egli conviveva con la vittima nello stesso appartamento da tre anni, ciò che è essenziale per farsi un'idea dei rapporti esistenti tra i due. Egli assevera dipoi che in sé l'episodio del 26 ottobre 1999 va considerato come un alterco di coppia, che non ha comportato alcuna conseguenza fisica, ove si consideri che le piccole escoriazioni riportate dalla vittima erano già sparite il giorno dopo. Ricordato che nell'appartamento vi erano ancora i suoi indumenti e suoi effetti personali, egli sottolinea di avere in ogni modo restituito la chiave alla donna, chiave che è poi stata ritrovata nella cassetta delle lettere.
a)
Per quanto riguarda l'accaduto della sera del 26 ottobre 1999, il ricorrente è stato ritenuto colpevole di vie di fatto giusta l'art. 126 CP per avere afferrato il collo di _ con entrambe le mani, dopo averle tirato i capelli e averla fatta cadere per terra, procurandole un'escoriazione e un ematoma sul lato destro del collo e tre ematomi sulla parte interna delle gambe, all'altezza del ginocchio (sentenza, pag. 39 e 43). Il ricorrente non censura tali accertamenti di arbitrio, né fa carico ai primi giudici di avere violato il diritto federale ritenendolo autore colpevole di vie di fatto. Su questo punto il ricorso è dunque inconsistente.
b)
D'altro lato è vero che i primi giudici hanno considerato l'episodio in questione anche come indizio circa la credibilità della vittima (in particolare circa la fondatezza delle accuse da lei rivolte al ricorrente di averle usato violenza già precedentemente) e come esempio di nuova manifestazione di sopruso conseguente alla decisione della compagna di lasciarlo. La prima Corte ha ricordato che la sera del 25 ottobre 1999 _ aveva fatto sostituire il cilindro della porta d'entrata dell'appartamento, a comprova del fatto che si sentiva ancora minacciata; il che aveva palesemente contrariato l'uomo, che la sera dopo era passato a vie di fatto (sentenza, pag. 29). Come si è visto, il ricorrente sottolinea che le parti convivevano da circa tre anni e assevera che il litigio di quella sera era un ordinario diverbio di coppia. Da solo l'argomento non è decisivo. Più che ricordare il periodo di convivenza, il ricorrente avrebbe dovuto far valere che le circostanze riportate nella sentenza impugnata – sostituzione del cilindro da parte della vittima e conseguente sua decisa reazione la sera del 26 ottobre 1999 – non potevano spingere i primi giudici a trarre significative conclusioni sui reati più gravi (ripetuta violenza carnale). Il provvedimento adottato dalla vittima per impedire l'accesso del ricorrente nel suo appartamento e il diverbio del 26 ottobre 1996 potevano, in altri termini, confortare una situazione di conflitto tra i soggetti conseguente alla decisione della donna di separarsi: non potevano però far presumere che a monte di tale situazione vi fossero i gravi abusi sessuali oggetto della denuncia. Per spingersi sino a tanto, la prima Corte avrebbe dovuto fornire altre e ben più serie ragioni. Ciò che essa non ha fatto, come si vedrà in appresso.
5.
Il ricorrente si sofferma sul suo stato civile, rilevando di avere detto chiaramente che sua moglie ha chiesto il divorzio nel paese di origine. Soggiunge che _ sapeva che egli è sposato, ciò che la Corte ha ignorato.
a)
Ora, i primi giudici hanno rilevato che l'imputato ha contratto matrimonio nel maggio del 1984 con una sua connazionale, _, che da essa ha avuto tre figlie, che durante la sua audizione a Chiasso il 22 novembre 1995 (verbale allestito nell'ambito della procedura della domanda di asilo) egli ha dichiarato di essere coniugato, e che nei verbali davanti alla polizia e al Procuratore pubblico egli ha dichiarato la stessa cosa. Invitato nel corso del dibattimento a chiarire come avrebbe potuto tenere fede alla promessa di matrimonio verso la denunciante, egli si è contraddetto, dichiarando prima di avere introdotto domanda di divorzio o di separazione e poi, incalzato dalle domande della presidente della Corte, di essere stato convenuto dalla moglie in una causa di stato, senza essere in grado di indicare però in che fase essa si trovi. In mancanza di riscontri oggettivi sulla procedura di divorzio, per finire i primi giudici hanno accertato che il ricorrente è tuttora coniugato, come aveva dichiarato l'imputato medesimo alle autorità dell'asilo e agli inquirenti (sentenza, pag. 5 e 6). Essi non hanno mancato tuttavia di criticare tale comportamento, pregiudizievole per la credibilità del soggetto (sentenza, pag. 30).
b)
Il ricorrente dissente da ciò, rimproverando alla Corte di assise di avere trascurato che la vittima sapeva fin dall'inizio del suo stato civile; non è perciò condivisibile – egli afferma – che la relazione sia finita per tale ragione. In realtà la prima Corte non ha mancato di accertare che _ aveva ottenuto informazioni sullo stato civile del ricorrente dall'ufficio stranieri allorquando si era informata in merito alla prassi vigente per sposare un kossovaro. Appreso che egli era sposato con prole, e messa a confronto con il diniego di lui che l'assicurava del contrario, ossia di non essere sposato e di non avere figli, _ gli ha creduto. Sarebbero quindi stati gli inquirenti in occasione dell'interrogatorio del 28 ottobre 1998 a dirle la verità, provocandole profonda inquietudine (sentenza, pag. 13). Per finire tuttavia la prima Corte non ha considerato tale circostanza come causa essenziale della rottura della relazione. L'ha sì richiamata, ma accanto e ad altre ben più importanti ragioni, come la mancanza di libertà, la differenza di cultura, la profonda gelosia e l'autoritarismo dell'imputato (sentenza, pag. 33). Formulata nel modo citato, la critica alla sentenza impugnata si rivela perciò vana.
c)
Nel corso del pubblico dibattimento davanti a questa Corte il ricorrente è tornato con insistenza sull'argomento, ritenendolo un dato di rilievo per valutare la credibilità della vittima. Non gli si può dare torto, giacché _ sapeva perfettamente sin dal 1997 che l'imputato era sposato. È vero che in aula essa ha tentato di minimizzare la cosa, forse perché soggettivamente preferiva credere alle assicurazioni dell'imputato (trascrizione della cassetta n. 6, pag. 10 e 11). Di fronte alla precisa informazione ricevuta nel 1997 su sua esplicita richiesta dall'Ufficio degli stranieri (ossia da un'autorità competente), che escludeva la possibilità di matrimonio con l'imputato, le giustificazioni addotte dalla donna in risposta alle incalzanti domande della difesa per dimostrare la sua buona fede lasciano a dir poco perplessi. L'affermazione della prima Corte, secondo cui _ avrebbe appreso del vero stato civile del ricorrente soltanto al momento dell'apertura dell'inchiesta penale (28 ottobre 1999 e non 1998, come erroneamente figura nella sentenza impugnata) va perciò ridimensionata assai. Come detto, la donna aveva già da tempo seri motivi per non credere all'amico.
d)
Ciò posto, dalla menzogna dibattimentale sullo stato civile, da tempo noto alla vittima (e che per diverso tempo l'ha tollerato), la prima Corte non poteva nemmeno trarre conclusioni significative. Certo, un atteggiamento del genere non onora il soggetto; a meno di incorrere in arbitrio, un simile contegno non poteva tuttavia costituire un elemento di rilievo nella ricostruzione dei fatti che hanno spinto la vittima a sporgere denuncia per ripetuta violenza carnale. Per di più, la prima Corte doveva porsi anche qualche serio interrogativo sulla assoluta credibilità della vittima, dopo che questa aveva cercato di far credere di non avere avuto contezza fino al 1999 dello stato civile del suo compagno.
6.
Riferendosi al suo carattere, il ricorrente assevera di essersi sempre comportato correttamente nei confronti di terzi. La prima Corte in effetti non ha mancato di richiamare le testimonianze che lo descrivono come una persona controllata, gentile, corretta e capace di sentimenti di profonda umanità (sentenza, pag. 8 e 9). Nonostante tale quadro rassicurante, i primi giudici hanno nondimeno precisato che l'imputato rimane inaffidabile, avendo mentito su più punti, segnatamente sul suo stato civile al dibattimento, sull'uso e sulla destinazione data al suo passaporto e alla sua carta di identità, su quanto è accaduto la sera del 26 ottobre e sul fatto di non avere accettato la decisione dell'amica di lasciarlo. Il ricorrente non si confronta con siffatte motivazioni, limitandosi a precisare che egli non è un padre padrone. Con ciò egli non allega tuttavia un argomento rilevante.
7.
Il ricorrente adduce che quanto figura a pag. 8 della sentenza di assise sul conto della denunciante è stato considerato in modo arbitrario, la donna essendosi più volte contraddetta nei suoi racconti e nei suoi comportamenti. A suo avviso non si può dar credito a una persona che ha riferito allo psichiatra di essere stata picchiata dal padre, mentre al dibattimento ha raccontato di essere stata percossa dalla madre. La critica non manca di una certa consistenza. La stessa Corte ha ricordato infatti che la donna ha escluso di essere stata picchiata dal padre, contraddicendo quando risulta dalla cartella clinica dello psichiatra (dott. _), secondo cui durante i colloqui essa aveva raccontato di essere stata percossa dal padre e dai fratelli. A infierire su di lei, secondo la versione dibattimentale, sarebbe stato invece un solo fratello e, in un'occasione, la madre. Ora, un'imprecisione del genere potrebbe anche apparire di poca importanza. La prima Corte però ha considerato il ricorrente non credibile proprio perché talune sue dichiarazioni sono state smentite dalle risultanze istruttorie (sentenza, pag. 32 segg.). Eppure essa ha scorto incongruenze e imprecisioni anche nel racconto della donna. Già si è visto che al dibattimento _ non ha confermato per intero quanto riferito allo psichiatra (sentenza, pag. 8). Inoltre essa ha confuso le date delle pretese violenze carnali, in particolare davanti ai sanitari che l'hanno visitata. Motivo di perplessità essa ha pure fornito, come si è visto, minimizzando l'informazione ricevuta dall'Ufficio degli stranieri sullo stato civile del prevenuto. Mal si capisce perché le contraddizioni dell'imputato siano state sistematicamente valutate come indizi di inaffidabilità (senza nemmeno chiedersi se, in fin dei conti, esse abbiano attinenza con la fattispecie a giudizio), e perché invece le contraddizioni della querelante dovessero trovare sistematica giustificazione (sentenza, pag. 26). Il problema è di sapere, nelle condizioni descritte, se la prima Corte abbia valutato la credibilità delle parti cadendo in un'arbitraria disparità di trattamento. Va ricordato che una valutazione unilaterale dei mezzi di prova viola il divieto dell'arbitrio (sopra, consid. 1 in fine). Sulla questione si tornerà oltre.
8.
Il ricorrente ricorda che all'interrogatorio del 20 marzo 2000 (act. 101) il dott. _ ha dichiarato di non avere rinvenuto segni di violenza o lividi sul corpo della donna e che quest'ultima non aveva detto di avere subito maltrattamenti. Essa lo aveva fatto invece riferendosi al marito _; in quel caso il dott. _ ha riferito di avere visto segni e lividi sul collo della paziente. La Corte di assise, rileva il ricorrente, non ha considerato tale precisazione. Ora, la sentenza impugnata menziona la visita del dott. _ a casa della denunciante, costretta a letto dopo l'incidente del 14 ottobre 1999, e riconosce che la donna non ha riferito delle violenze, lasciando credere che i dolori di cui soffriva erano la conseguenza dell'infortunio stradale (sentenza, pag. 37 e 38; cfr. anche la trascrizione della deposizione in aula del dott. _ oggetto di registrazione, cassetta n. 2, pag. 8). Secondo la Corte ciò era dovuto al sentimento di vergogna e di paura della vittima. Essa dimentica però che il dott. _ aveva anche riferito di non avere constatato segni di violenza. Il fatto è che la prima Corte non ha accertato nemmeno il contrario, limitandosi a rilevare che la donna soffriva di dolori lancinanti alle gambe e che, parlando il 15 ottobre 1999 con la vicina _, essa aveva attribuito il male alle percosse e violenze subìte (sentenza, pag. 38). La Corte di assise ha rilevato invero che secondo diversi colleghi di lavoro nei giorni successivi il 12 ottobre 1999, ossia dopo le pretese violenze carnali, _ lamentava davvero forti dolori alla gambe, in particolare alla gamba sinistra, tanto da zoppicare e da trascinarsi a fatica, finché il 14 ottobre 1999 il collega di lavoro _ l'ha accompagnata dal medico. Non si trattava dei soliti dolori di cui la donna di tanto in tanto soffriva, come sostiene il ricorrente, ma di qualche cosa di grave, attribuibile unicamente a un causa esterna. L'imputato – ha soggiunto la prima Corte – non ha peraltro saputo fornire alcuna ragione plausibile che mettesse in dubbio la credibilità della vittima (sentenza, pag. 28).
Anche se solo più avanti, il ricorrente contesta qualsiasi relazione tra i dolori alle gambe della denunciante e un suo comportamento. Rileva che all'interrogatorio del 30 marzo 2000 il dott. _ non soltanto ha riferito che in occasione della visita a domicilio del 15 ottobre 1999 la vittima non gli aveva riferito di pretese violenze fisiche subìte, ma che anche nelle successive visite del 18 e del 20 ottobre 1999 essa non ha adombrato ipotesi del genere. Ricordato di avere visitato la donna per l'ultima volta il 18 gennaio 2000, il dott. _ – soggiunge il ricorrente – ha riferito che in quell'occasione _ non soltanto non lo ha incolpato di particolari violenze, ma non ha nemmeno fatto cenno alla denuncia sporta. Il rilievo non è del tutto fuori luogo. Desta invero perplessità che durante il consulto del 18 gennaio 2000 (quando il prevenuto si trovava già in carcere) la donna non abbia detto chiaramente al medico che l'imputato le usava violenza a fini sessuali (act. 101; v. anche la deposizione dibattimentale trascritta, cassetta n. 2, pag. 13).
9.
Richiamata la cartella clinica del dott. _, il ricorrente si duole di arbitrio per avere i primi giudici trascurato i seri problemi psichiatrici di cui la donna soffriva. La Corte però non ha mancato di affrontare tale aspetto, ricordando proprio il parere espresso in aula dallo psichiatra dott. _ sull'indole della vittima e in particolare le sue conclusioni sostanzialmente positive, pur avendo definito la donna come un soggetto dalla personalità istrionica (sentenza, pag. 10 e 11). Il ricorrente considera poi particolarmente grave il fatto che _ non abbia riferito al suo psichiatra l'interruzione di gravidanza subìta nel corso del 1997. Anche tale rilievo non è fuori luogo. Da persona lodata dai primi giudici per la propria trasparenza, ci si sarebbe potuti per lo meno attendere che essa riferisse al suo psichiatra un fatto del genere (sentenza, pag. 11). Tanto più che quando si è trattato di valutare la credibilità del prevenuto la Corte di merito non ha mancato di mostrarsi severa e rigorosa anche su circostanze estranee alla fattispecie.
10.
Nei punti 13,14 e 15 del ricorso il ricorrente critica la sentenza impugnata per avere i primi giudici trascurato di rilevare come _ lo abbia ingannato facendo uso di anticoncezionali, per avergli rimproverato di essersi fatto mantenere e di avere spinto l'amica a dimezzare il proprio capitale. Del tutto appellatorio e carente di una sostanziata censura di arbitrio, al proposito il ricorso va dichiarato inammissibile.
11.
Secondo il ricorrente non può essere ritenuta credibile la versione della vittima sulle pretese violenze, se appena si pensa che essa si è confusa sulle date nonostante in aula abbia assicurato di non poter dimenticare l'accaduto. L'obiezione non manca di peso. Visitata alle ore 14.30 del 27 ottobre 1999 all'Ospedale _, _ ha dichiarato tra l'altro ai medici del reparto di ginecologia di avere subito violenze sessuali il 18 e 20 ottobre 1999 (act. 4). Qualche ora prima, ai sanitari del Pronto soccorso dello stesso ospedale che le avevano riscontrato alcune lesioni di poco conto, essa aveva detto di avere subito violenza il 20 ottobre 1999 (act. 3). Durante la visita della sera prima (26 ottobre 1996) ai medici del Pronto soccorso, essa non aveva fatto invece cenno alcuno a violenze carnali. Solo nel verbale di polizia del 28 ottobre 1999 essa ha dichiarato che la notte del 12 ottobre 1999 il convivente l'aveva violata addirittura quattro volte (sentenza, pag. 16). Nella denuncia scritta del 27 ottobre 1999, per contro, essa aveva ancora sostenuto che il ricorrente aveva abusato di lei la sera di lunedì 18 ottobre 1999 (act. 1). È vero che la prima Corte di assise ha giustificato tali incongruenze con il fatto che la denuncia non è stata presentata subito e che al momento delle visite in ospedale, come pure al momento del colloquio con il suo legale, la vittima si trovava in stato di prostrazione, si vergognava e si sentiva in colpa per l'accaduto. Essa provava anche paura perché, visti i trascorsi con l'ex marito, pensava di non essere creduta, tant'è che chi l'ha assistita ha dovuto convincerla a sporgere formale denuncia. Inoltre, secondo la Corte di assise, in seguito la donna ha mantenuto una versione dei fatti costante (sentenza, pag. 26).
In realtà l'argomentazione della Corte desta più di un interrogativo. Anche tenendo conto delle giustificazioni addotte dai primi giudici, invero, riesce difficile credere che una vittima di violenze e umiliazioni come quelle descritte nel verbale del 28 ottobre 1999 non sia più in grado, due settimane dopo, di indicare ai medici – e in particolare al ginecologo – il momento in cui tali delitti siano avvenuti. Le approssimazioni della denunciante, sulla cui credibilità la prima Corte ha insistito fino a convincersi della di lei versione, risulta persino inspiegabile ove si consideri che il 27 ottobre 1999, quando ha dichiarato le pretese violenze, la donna non è stata visitata all'improvviso, ma dopo essere stata sottoposta la sera prima a cure da parte dei sanitari del Pronto soccorso e, stando alla sua stessa versione dei fatti, dopo avere confidato l'accaduto alla datrice di lavoro _ che la stava accompagnando proprio la sera del 26 ottobre 1999 al Pronto soccorso (sentenza, pag. 39). _ aveva quindi avuto il tempo di riordinare le idee prima di raccontare ai medici dell'accaduto. Per di più la sommaria narrazione della vittima al ginecologo non corrisponde con quanto essa ha riferito poi agli inquirenti, ai quali ha detto di avere diffidato il convivente che, se avesse abusato di lei, essa non lo avrebbe mai perdonato (sentenza, pag. 17). Ora, chi non perdona, a breve termine almeno ricorda.
12.
Il ricorrente rileva pure che se la sera dell'11 ottobre 1999 fosse scoppiata una lite, la vicina avrebbe sicuramente sentito qualche cosa, come la sera del 9 ottobre precedente. Non a torto. Si pensi che la Corte di assise ha ritenuto credibile _ anche perché la testimone _ ha dichiarato di avere udito la sera del 9 ottobre 1999 (quando il ricorrente era rientrato dall'Albania) del trambusto provenire dalla contigua camera da letto della vittima e di avere sentito la donna implorare piangente “Lasciami stare, lasciami stare” (sentenza, pag. 28). Da ciò la prima Corte ha ritenuto provato che quella sera il ricorrente aveva imposto un rapporto sessuale all'amica, come quest'ultima aveva dichiarato nel verbale del 28 ottobre 1999, ma ha nondimeno prosciolto l'imputato dall'accusa di violenza carnale (per un fatto che in un primo momento il Procuratore pubblico non aveva nemmeno considerato), ritenendo non provato che costui abbia agito nella consapevolezza di attentare alla libertà della vittima (sentenza, pag. 41 e 42). Per contro, sempre secondo la Corte di assise, è dimostrato che la notte dall'11 al 12 ottobre successivo l'imputato ha costretto la vittima a subire ripetute congiunzioni carnali per sette ore di seguito (sentenza, pag. 42). La prima Corte non si domanda tuttavia come mai quella notte la testimone non abbia sentito la donna reagire o lamentarsi, tanto più che la denunciante ha subìto sevizie ben più gravi rispetto a tre giorni prima. La Corte non tenta nemmeno una spiegazione: non ha accertato che la vicina fosse assente né che la vittima fosse nell'impossibilità di reagire o di lamentarsi, come aveva fatto invece il 9 ottobre. Tutto ciò lascia a dir poco stupiti.
13.
Il ricorrente evoca quanto accaduto al dibattimento il giorno in cui _ avrebbe dovuto essere sentita, ricordando come essa sia stata colta da malore, salvo tornare in aula il giorno dopo e apparire sorridente, tranquilla, a comprova della sua indole istrionica. Puramente appellatorio, in proposito il ricorso non contiene alcuna sostanziata censura di arbitrio e va dichiarato inammissibile. Inammissibile il gravame si rivela anche nella misura in cui il ricorrente contesta che la decisione della donna di lasciarlo risalirebbe al settembre del 1999, dato che essa non è mai stata precisa al riguardo. Ancora una volta il ricorrente si limita infatti a precisare lo svolgimento dei fatti, senza dimostrare alcun arbitrio. Ulteriormente inammissibile è il ricorso – ancora una volta appellatorio – in merito alla testimonianza Campana, in particolare sulla sua rilevanza ai fini del giudizio di colpevolezza (si veda anche il consid. 12).
14.
Secondo il ricorrente la sentenza impugnata non può essere condivisa neppure ove considera come indizio a favore della credibilità della vittima la dolenzia alle gambe lamentata dopo la pretesa violenza dell'11-12 ottobre 1999. La critica è fondata. La prima Corte ha rilevato al riguardo che i noti dolori agli arti non erano da ascrivere alla patologia di cui soffriva la vittima, che lavorava spesso in piedi, ma a fattori esterni (sentenza, pag. 28). Che la denunciante non avesse confidato ai colleghi di lavoro le vere cause del male, secondo i giudici del merito, è riconducibile al fatto che nel frattempo essa aveva perdonato il ricorrente. Anzi, negando le autentiche origini del male, l'imputato avrebbe
reiterato nel suo contegno inaffidabile (sentenza, pag. 28). Ciò è manifestamente insostenibile. L'asserzione della prima Corte, in effetti, non trova alcun conforto agli atti, nemmeno nella deposizione del dott. _ (act. 101 e testimonianza dibattimentale trascritta, pag. 8), cui la ricorrente non aveva riferito quanto ha poi detto agli inquirenti. Si aggiunga che a pag. 28 della sentenza impugnata i primi giudici sono addirittura incorsi in una svista manifesta, asserendo che la vittima non aveva voluto svelare ai colleghi di lavoro la verità, avendo perdonato l'amico. In realtà, essa ha perdonato il ricorrente soltanto la sera del lunedì successivo, una volta rientrata a casa e dopo avere parlato con i colleghi di lavoro (sentenza, pag. 17). Certo, più avanti la prima Corte ha operato – non senza contraddirsi – accertamenti diversi, rilevando che la vittima non ha raccontato la verità ai colleghi di lavoro per paura e per vergogna (sentenza, pag. 37). Sia come sia, l'accertamento citato rimane arbitrario.
15.
Alla prima Corte il ricorrente rimprovera anche di avere qualificato come indizio a suo carico la sostituzione del cilindro il giorno 25 ottobre 1999 da parte della denunciante. Nel consid. 4 già si è visto tuttavia che tale accorgimento connota se mai un indizio sull'intenzione della parte civile di interrompere la relazione sentimentale con il prevenuto; non basta invece a costituire, a meno di trascendere in arbitrio, una prova delle pretese violenze carnali. Il ricorrente fa inoltre carico alla Corte di avere trascurato che, come ha ammesso la denunciante all'interrogatorio del 30 dicembre 1999, in casa entrambi erano soliti indossare training e pantofole, onde l'impossibilità che la sera dell'11 ottobre 1999 la denunciante si sia vista strappare pantaloni di velluto. La donna, ha insistito il ricorrente nel corso del dibattimento davanti a questa Corte, nemmeno è stata in grado di riconoscere i pantaloni che le sarebbero stati strappati. Il fatto che la donna di regola indossasse il training non significa tuttavia che essa non potesse indossare i pantaloni al momento in cui è scoppiata la lite che ha preluso alle asserite violenze carnali. Alla Corte di assise essa ha per altro riferito che indossava proprio i pantaloni verdi sequestrati dalla polizia (trascrizione della sua testimonianza in aula, cassetta n.7, pag. 2; cfr. anche il verbale del 29 ottobre 1999, in cui essa ha spiegato che i pantaloni sequestrati poco prima erano quelli da lei indossati al momento dei fatti). Essa non ha quindi ammesso di non essere in grado di riconoscere i pantaloni: in precedenza, ossia agli inquirenti, si era limitata a riferire di non ricordarsi con quali pantaloni fosse stata legata (sentenza, pag. 17). Quanto all'accertamento della Corte di assise, secondo cui i pantaloni indossati quella sera dalla vittima presentano un asola sfilacciata e la cerniera lampo rotta, si può convenire che di per sé l'indizio depone a sfavore dell'imputato, i segni riscontrati sul capo di abbigliamento essendo compatibili con la dinamica dei fatti descritta dalla vittima. L'asola sfilacciata e la cerniera lampo rotta sono stati riscontrati però due settimane dopo i fatti (act. 7). Considerando lo stato dei pantaloni al momento del sequestro del 29 ottobre 1999 (act. 7) come indizio a carico del prevenuto, la Corte di assise ha perduto di vista tale circostanza. Mal si capisce dipoi perché all'interrogatorio del 18 ottobre 1999 _ non abbia consegnato lei stessa i pantaloni agli inquirenti, destinati ad accreditare la sua versione dei fatti. Tutto ciò suscita ulteriori perplessità.
16.
A parere del ricorrente la versione della denunciante sull'accaduto dell'11-12 ottobre 1999 è poco credibile, la congiunzione carnale non essendo potuta avvenire come essa pretende. In effetti non si comprende come il ricorrente avrebbe consumato il primo atto di violenza carnale se ha costretto la donna “a incrociare le gambe” (sentenza, pag. 37). Considerato che in seguito il ricorrente avrebbe slegato la vittima prima di abusare nuovamente di lei, il problema può rimanere irrisolto. Se però ci si domanda come mai una donna vittima di orribile violenza non sia stata in grado di indicare al ginecologo la data del crimine, si torna a quanto esposto al consid. 11. Anche quando rimprovera ai primi giudici di avere conferito peso soverchio al fatto che egli ha dato indicazioni imprecise sulla sorte del suo passaporto, il ricorrente muove una doglianza fondata. Certo, al dibattimento egli si è contraddetto quando è stato chiamato a spiegare come mai il 17 giugno 1998 egli abbia mostrato alla frontiera un passaporto che, stando a sue stesse dichiarazioni, doveva essere nelle mani di un passatore (sentenza, pag. 7). Inoltre egli ha mentito quando in aula ha cercato di convincere la Corte che stava divorziando dalla moglie. Ciò dimostra la scarsa sincerità del soggetto, ma non basta a trarre significative conclusioni di colpevolezza su fatti ben più gravi, come le violenze carnali denunciate dalla parte civile. Nella misura infine in cui il ricorrente insiste sul fatto che il dolore alle gambe della donna già sussisteva prima dell'11-12 ottobre 1999, si è spiegato poc'anzi che, salvo cadere in arbitrio, la prima Corte non poteva trarre significative conclusioni dalle condizioni fisiche in cui si trovava la vittima nei giorni successivi al 12 ottobre 1999 (consid. 14).
17.
Se ne conclude, in ultima analisi, che la condanna per ripetuta violenza carnale pronunciata dalla Corte delle assise criminali a carico del ricorrente poggia su un arbitrario accertamento dei fatti e su un'arbitraria valutazione delle prove. L'indizio principale sul quale la Corte ha fondato il proprio convincimento di colpevolezza, ossia la credibilità della vittima, trova insufficiente conferma nelle risultanze del processo. Si ricordi che nel descrivere i fatti la denunciante è caduta in imprecisioni e incongruenze di non poco conto, non attribuibili semplicemente al precario stato psicologico in cui essa, secondo la Corte di merito, si trovava. A tre riprese, benché ormai libera da pressioni, condizionamenti, paure e sentimenti di vergogna (visita medica la mattina del 27 ottobre 1999, visita ginecologica dell'indomani pomeriggio, denuncia scritta di quello stesso giorno), essa non ha saputo indicare con chiarezza il giorno in cui sarebbe stata seviziata, pur avendo dichiarato che non avrebbe mai dimenticato gli abusi e che mai avrebbe perdonato il convivente. Né essa ha saputo spiegare perché, rimasta in balia di un violentatore per sette ore, essa abbia poi inopinatamente perdonato costui. A dire il vero neppure si capisce perché, a dispetto delle inaudite violenze subite (che non trovano precedenti nella giurisprudenza cantonale), delle umiliazioni e addirittura di un'interruzione di gravidanza impostale dall'imputato, sposato con tre figlie, essa abbia deciso di continuare la convivenza. Di fronte ad accuse tanto gravi la prima Corte non poteva limitarsi, senza cadere in arbitrio, ad accertare i fatti richiamando l'opinione di un collega di lavoro della denunciante su episodi anteriori alle pretese violenze, come il fatto che la donna era diventata più stanca e sciupata (sentenza, pag. 28). Ben altro occorreva per valutare la credibilità di una denuncia simile o, quanto meno, occorreva far capo alla stessa severità usata per valutare la credibilità dell'imputato. Palesemente unilaterale, la sentenza impugnata si sospinge un una chiara disparità di trattamento, al punto da risultare manifestamente iniqua.
D'altro canto ulteriori episodi, ricordati dal ricorrente nel corso del dibattimento davanti a questa Corte, avrebbero dovuto spingere la prima Corte a valutare con prudenza la versione dei fatti della vittima. In aula essa aveva riferito ai primi giudici, invero, di non aver potuto conferire liberamente con il dott. _ durante la visita del 15 ottobre 1999 (trascrizione relativa alla cassetta n. 8, pag. 1). Lo stesso medico l'ha però contraddetta, dichiarando al processo che durante la visita il ricorrente si era discretamente ritirato in una stanza contigua (trascrizione relativa alla cassetta n. 2, pag. 8). Inoltre, chiamata a spiegare perché essa non aveva riconsegnato all'imputato il braccialetto e l'anello che questi le avrebbe regalato come pegno d'amore la sera delle violenze, _ si è limitata a giustificare la sua azione, asserendo che non aveva avuto tempo per recarsi in banca, ove i preziosi erano depositati (trascrizione relativa alla cassetta n. 7, pag. 19 e 20). Ora, è difficile capire come una donna brutalmente e reiteratamente violentata conservi pegni del genere, né essa pretende di aver voluto conservare quel regalo a tacitazione del torto subìto. Se poi si pensa che il 24 ottobre 1999 essa ha portato nell'appartamento di via _ (ove il prevenuto dimorava) prosciutto e vino (sentenza, pag. 17 e 21), ma non gli effetti personali dell'imputato (salvo alcuni indumenti), pur asserendo di avere già deciso nel suo intimo di troncare definitivamente la relazione (sentenza, pag. 38), il suo comportamento appare tutt'altro che lineare.
18.
Volendo riesaminare equanimemente gli atti del processo, l'esito cui è giunta la Corte non può essere confermato. Il cambiamento di umore denotato dalla vittima prima dell'11 ottobre 1999 poteva se mai indiziare una convivenza viepiù difficile e sofferta, ma non crimini di violenza carnale. Nemmeno cumulato alla dolenzia alle gambe manifestata dalla denunciante nei giorni successivi al 12 ottobre 1999, alla luce in particolare dei certificati medici agli atti e della deposizione del dott. _, che ha visitato la denunciante il 15 ottobre 1999 (sentenza, pag. 28). Quanto poi ha riferito la testimone _ sui fatti del 9 ottobre 1999 (sentenza, pag. 28) costituisce tutt'al più un elemento a discarico del ricorrente, dalla testimonianza evincendosi che la denunciante non era solita subire in silenzio, senza neppure lamentarsi in maniera percettibile. Il richiamo alla sostituzione della serratura all'entrata dell'appartamento prova – come detto – che la donna era intenzionata a lasciare il prevenuto, ma nulla più. Che, per finire, l'imputato abbia negato l'evidenza sul suo comportamento tenuto la sera del 26 ottobre 1999 può influire negativamente nel commisurare la pena di vie di fatto che ne è derivato. Non poteva seriamente spingere la prima Corte, però, ad affermare che tale era finanche la circostanza più gravemente indiziante (sentenza, pag. 31). Come la prima Corte non poteva seriamente affermare che il rifiuto di essere messo alla porta da parte dell'imputato indiziasse precedenti violenze carnali.
19.
Ne segue che in applicazione dell'art. 296 cpv. 1 CPP il ricorrente dev'essere prosciolto dall'accusa di ripetuta violenza carnale. Dopo quanto si è visto, infatti, un rinvio degli atti a un'altra Corte di assise per nuovo giudizio su questa imputazione si rivelerebbe d'acchito infruttuoso, non intravedendosi quali elementi potrebbero portare in un nuovo processo a una conclusione diversa. In mancanza di sufficienti riscontri oggettivi, cade anche l'accusa di ripetuta minaccia. Rimane invece l'imputazione per vie di fatto conseguente all'accaduto del 26 ottobre 1999, i sanitari del Pronto soccorso avendo constatato subito dopo la colluttazione le escoriazioni descritte nel certificato medico agli atti. D'altro canto su questo punto il ricorrente nemmeno insiste nelle contestazioni (memoriale, pag. 25). Per quanto riguarda invece le altre vie di fatto, la condanna risulta ancora una volta fondata su un arbitrario accertamento dei fatti e su un'arbitraria valutazione delle prove. Non essendo possibile, come si è illustrato, accertare i fatti dell'11-12 ottobre 1999 così come figurano nella denuncia della vittima, nemmeno può entrare in considerazione l'ipotesi di un sequestro di persona, accantonato dai primi giudici perché considerato “assorbito” dal reato di violenza carnale (sentenza, pag. 42). Gli elementi raccolti non bastano in effetti per concludere che il ricorrente abbia privato la vittima della libertà chiudendo a chiave la camera da letto, come la denunciante ha preteso.
20.
Quanto alla pena da infliggere per il reato di vie di fatto conseguentemente all'accaduto della sera del 26 ottobre 1999, giova ricordare che l'art. 126 cpv. 1 CP prevede l'arresto o la multa. Tenuto conto delle circostanze specifiche, favorevoli (incensuratezza) e sfavorevoli al prevenuto (mancanza di pentimento) si giustifica una condanna al pagamento di una multa di fr. 200.–. Con l'assoluzione dai i reati più gravi cadono le pretese della parte lesa (art. 272 CPP), che va rinviata al foro civile per eventuali pretese connesse al reato di vie di fatto (art. 276 cpv. 1 CPP). Considerato inoltre che si tratta di una pena pecuniaria conseguente a una contravvenzione, si deve prescindere dal provvedimento dell'espulsione (art. 55 cpv. 1 CPP).
21.
Gli oneri processuali di prima sede, connessi ai reati più gravi, seguono la soccombenza pressoché integrale dello Stato (art. 9 cpv. 3 e 4 CPP). Per quanto riguarda il giudizio di seconda sede, gli oneri sono posti a carico del ricorrente nella proporzione di un ventesimo e a carico dello Stato per il resto (art. 15 cpv. 1 CPP). Al ricorrente va inoltre riconosciuta un'indennità di fr. 2'000.– a titolo di ripetibili ridotte per il ricorso per cassazione. Quanto alle ripetibili per il patrocinio di prima sede, in mancanza di riscontri che ne consentano la quantificazione il ricorrente è rinviato alla procedura degli art. 317 segg. CPP. | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,001 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
9eab1267-f023-5e41-8f9f-b2af89d6a083 | in fatto: A.
Il 28 agosto 2000, durante una seduta del Consiglio comunale di _ dedicata alla discussione del messaggio municipale n. 7 riguardante una richiesta della _SA intesa a ottenere l'autorizzazione all'uso temporaneo della particella n. _ RFD di _, il consigliere comunale _ è intervenuto domandandosi tra l'altro se si poteva ancora avere fiducia in un consiglio di amministrazione (quello della _ SA), che a più riprese aveva dimostrato di non saper fare gli interessi degli azionisti, e manifestando espliciti dubbi sulla posizione dell'amministratore delegato, _ (act. 16 annesso alla lettera 19 gennaio 2001, pag. _). Quest'ultimo, rispondendo agli interrogativi di _, si è così espresso in un'intervista apparsa sul quotidiano _
del 30 agosto 2000 (annesso ad act. 1):
E la poca trasparenza?
La _ è della massima trasparenza, i conti sono pubblici, tutto il resto è calunnia. Non accetto che proprio un personaggio del calibro di _, pregiudicato e attualmente alle prese con la giustizia per aggressione a pubblico ufficiale, venga a farci la morale lanciando accuse del tutto prive di fondamento.
B.
In seguito a querela sporta il 13 settembre 2000 da _, con decreto di accusa dell'11 dicembre 2000 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di diffamazione per quanto dichiarato al quotidiano
_
, in particolare per avere detto che _ è un “pregiudicato e attualmente alle prese con la giustizia”, senza che tali affermazioni fossero giustificate da un qualsiasi interesse pubblico o da un altro motivo sufficiente. In applicazione della pena, egli ha proposto la condanna dell'accusato a una multa di fr. 300.–. Statuendo su opposizione, con sentenza dell'8 marzo 2001 il Pretore della giurisdizione di Locarno-Città ha ritenuto _ autore colpevole di diffamazione limitatamente all'epiteto “pregiudicato” figurante nel noto articolo di giornale. Gli ha inflitto di conseguenza una multa ridotta a fr. 100.–.
C.
Contro la sentenza appena citata _ ha introdotto il 12 marzo 2001 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta, presentata il 9 aprile successivo, egli chiede di essere prosciolto dall'accusa di diffamazione previa ammissione alla prova della verità. Il Procuratore pubblico ha comunicato il 17 aprile 2001 di rinunciare a osservazioni, limitandosi a postulare la reiezione del ricorso. Nelle sue osservazioni del 26 aprile 2001 _, costituitosi parte civile, formula la medesima proposta. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorrente rimprovera al Pretore di avere violato il diritto federale per averlo ritenuto colpevole di diffamazione benché il termine di “pregiudicato” da egli rivolto al denunciante sia vero e non sussistano valide ragioni per rifiutargli la prova della verità. Egli sostiene di non avere divulgato un'informazione che non sia giustificata dall'interesse pubblico e di non essersi espresso in quel modo per fare maldicenza. Inoltre l'accusato va ammesso per principio alla prova della verità. Questa può essere rifiutata solo in casi eccezionali. E in concreto soltanto ragioni ben più consistenti avrebbero consentito al Pretore di negargli tale diritto.
2.
Chiunque, comunicando con un terzo, incolpa o rende sospetta una persona di condotta disonorevole o di altri fatti che possano nuocere alla reputazione di lei, chiunque divulga una tale incolpazione o un tale sospetto, è punito, a querela di parte, con la detenzione sino a sei mesi o con la multa (art. 173 n. 1 CP). Nella fattispecie il ricorrente non contesta – a ragione – che l'appellativo di “pregiudicato” leda l'onore del destinatario (DTF 69 IV 165 consid. 1). Egli sembra affermare che si tratta di un cosiddetto
gemischtes Werturteil
, ma giustamente il primo giudice non ha condiviso tale opinione, l'epiteto potendosi riferire solo a una persona condannata penalmente per avere commesso reati (cfr. DTF
69 IV 165, in cui tale locuzione è stata esaminata nel quadro dell'art. 173 CP). Occorre pertanto esaminare se il ricorrente vada ammesso a provare di avere detto o divulgato una cosa vera.
3.
Secondo l'art. 173 n. 2 CP il colpevole non incorre in alcuna pena se prova di avere detto o divulgato cose vere oppure prova di avere avuto seri motivi di considerarle vere in buona fede. Tale facoltà gli è preclusa nondimeno se le imputazioni sono state proferite o divulgate senza essere giustificate dall'interesse pubblico o da un altro motivo sufficiente, prevalentemente nell'intento di fare della maldicenza, in particolare quando si riferiscono alla vita privata o familiare. Nella fattispecie il primo giudice ha ritenuto che l'imputato non aveva motivo sufficiente per dare del “pregiudicato” a _, nulla giustificando di rievocare un fatto risalente a 35 anni addietro. Il Pretore ha ritenuto invece che, se non in virtù dell'art. 19 CP (errore sui fatti), il ricorrente poteva essere ammesso a provare la veridicità dell'altra affermazione, secondo cui _ era inquisito a quel momento per aggressione a pubblico funzionario. Dato che lo stesso imputato era stato reso sospetto di comportamento dubbio nella gestione della _ SA, il ricorrente era legittimato a rendere attenta l'opinione pubblica della poca credibilità dell'avversario, soggetto a procedimento penale. E siccome _ ammetteva ciò, l'imputato aveva recato la prova della verità, onde il suo proscioglimento parziale.
4.
Conformemente all'art. 173 n. 3 CP la prova liberatoria può essere esclusa solo se, cumulativamente, l'autore ha agito principalmente per fare della maldicenza, senza motivi sufficienti (DTF
116 IV 31 consid. 3, 208 consid. b, 101 IV 294 consid. 2, 98 IV 95 consid. a, 89 IV 191 consid. 1, 82 IV 93 consid. 2). Tale presupposto va chiarito d'ufficio, fermo restando che l'ammissione alla prova delle verità costituisce la regola (
Schubarth
, Kommentar zum schweizerischen Strafrecht, Besonderer Teil, vol. 3, n. 69 e 70 ad art. 173 CP). L'autore va perciò ammesso alla prova della verità nel caso in cui ha agito per motivi sufficienti quand’anche si sia prefisso anzitutto di fare maldicenza (DTF
116 IV 38, 89 IV 191 consid. 1), come pure nel caso in cui, pur non avendo un valido motivo per proferire l'affermazione lesiva, non abbia avuto l'intenzione di fare prevalentemente della maldicenza (DTF
116 IV 38;
Corboz
, Les principales infractions, Berna 1997, n. 56 ad art. 173 CP). Sapere per quale motivo l'autore ha agito è una questione di fatto (
Corboz
, op, cit., n. 58 ad art. 173 CP), che la Corte di cassazione e di revisione penale può esaminare solo sotto il ristretto profilo dell'arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c e 295 CPP), ritenuto che arbitrario non significa opinabile, ma palesemente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo o in urto palese con il sentimento di giustizia ed equità (DTF
126 I 208 consid. 4, 174 consid. 2g, 125 I 168 consid. 2a). Sapere se l'autore ha avuto motivo sufficiente per proferire o divulgare una determinata affermazione è per contro una questione di diritto (
Corboz
, loc. cit.), che la Corte di cassazione e di revisione penale esamina con pieno potere cognitivo (art. 288 cpv. 1 lett. a CPP).
5.
L'art. 173 n. 3 CP esclude la prova della verità quando le imputazioni sono state proferite o divulgate – come detto – senza essere giustificate dall'interesse pubblico o da altro motivo sufficiente. L'autore deve essere ammesso alla prova liberatoria, quindi, non solo quando ha agito nell'interesse pubblico, ma anche quando può fondarsi su un altro motivo sufficiente, ad esempio per fare un favore a una persona che chiede informazioni pertinenti ai fini di una causa civile (DTF
89 IV 192 consid. 2 e 3). L'esistenza di un motivo sufficiente non è escluso neanche quando l'affermazione tocca la vita privata o familiare (DTF
81 IV 284 consid. 5). Se può valersi di un motivo sufficiente, l'autore deve poter provare la verità anche se il motivo per cui ha agito non era la ragione più importante, sempre che esso non costituisca un mero pretesto (DTF
82 IV 98). Di regola, in ogni modo, non vi è motivo sufficiente per rendere noto a terzi che una persona ha subìto una vecchia condanna (DTF
71 IV 128); tenendo conto delle circostanze del caso concreto, nondimeno, il Tribunale federale ha deciso diversamente nel caso di precedenti a carico di un avvocato (DTF
69 IV 167 consid. 2) o di un capo della polizia (DTF
101 IV 293).
Per escludere la prova liberatoria l'art. 173 n. 3 CP esige altresì che l'autore abbia agito prevalentemente nell'intento di fare della maldicenza, in particolare riferendosi alla vita privata o familiare. Quest'ultima precisazione ha portata relativa. Impone al giudice maggiore severità, in ogni modo, ove si tratti di ammettere un motivo sufficiente per rivelare i fatti attinenti alla vita privata e familiare, come pure nel valutare l'assenza di un volontà preponderante di nuocere (
Corboz
, op. cit., n. 62 ad art. 173 CP con riferimento a
Frei
, Der Entlastungsbeweis nach Art. 173 Ziff. 2 und 3 StGB und sein Verhältnis zu den Rechtfertigungsgründen, Berna 1975, pag. 64;
Schubarth
, op. cit., n. 71 ad art. 173 CP).
6.
Il ricorrente afferma che ne va dell'interesse generale quando si tratta di rivelare fatti correlati alla vita politica e che interessano l'opinione pubblica, soprattutto quando i fatti riguardano persone che occupano cariche pubbliche o svolgono attività di carattere al pubblico. Se l'intenzione di fare della maldicenza può essere presunta qualora si divulghino circostanze lesive dell'onore riguardanti la vita privata di singoli cittadini (come informazioni riguardanti antecedenti penali), non altrettanto si può dire nel caso in cui i fatti riguardino personaggi pubblici, come avvocati, comandanti di polizia e uomini politici. In tale ipotesi sarebbe dato – secondo il ricorrente – un interesse pubblico alla divulgazione, tanto più nella presente fattispecie, ove lo stesso querelante ha reso sospetto il querelato di condotta disonorevole.
a)
Richiamati gli interrogatori in sede istruttoria e al dibattimento, il Pretore ha ritenuto non sussistere motivo sufficiente perché l'imputato evocasse, nelle circostanze del caso, un precedente penale risalente a circa 35 anni prima. Né egli ha ravvisato un nesso tra gli interrogativi sulla gestione della _ SA sollevati da _ durante la seduta del Consiglio comunale e la condanna da questi scontata decenni prima. Secondo il Pretore l'imputato non aveva serio motivo per ricordare tale episodio, legato alla vita privata del soggetto, non bastando a tal fine la carica di consigliere comunale rivestita dal querelante e, pertanto, il suo ruolo pubblico, tanto meno considerando che non ci si trovava nemmeno in un clima di campagna elettorale. Al contrario: l'interesse pubblico o privato invocato dall'imputato costituiva un semplice pretesto per fare della maldicenza (sentenza, pag. _). A ciò ha concorso la genericità del termine “pregiudicato”, atta a ingenerare nel lettore dubbi di ogni sorta, mentre a nulla sussidiava il fatto che la condanna di _ fosse già stata riportata dalla stampa nel 1997 e che prima di allora i rapporti tra le parti non fossero tesi (sentenza, pag. _).
b)
Come si è premesso, occorre cautela nell'ammettere che l'autore abbia avuto un motivo sufficiente per divulgare fatti lesivi dell'onore riguardanti la sfera privata e familiare di un terzo, sicché la mancanza di una preponderante volontà di nuocere va ammessa con riserbo. La carica di consigliere comunale del querelante come pure il luogo, il contesto e il clima politico in cui l'operato del ricorrente quale amministratore delegato della _ SA è stato criticato ancora non bastavano per giustificare la rievocazione pubblica di una condanna subìta dal querelante oltre 30 anni prima. Nelle circostanze descritte dalla sentenza impugnata, vincolanti per la Corte di cassazione e di revisione penale, la conclusione del Pretore risulta corretta. Il ricorrente ha profittato, in sostanza, della diatriba politica legata alla gestione della _ SA per muovere al querelante un attacco d'ordine personale, facendolo passare per “pregiudicato” agli occhi del pubblico ma senza dire che la condanna era stata cancellata dal casellario giudiziale almeno vent'anni addietro. Ciò non lo abilita alla prova della verità. I casi giudicati dal Tribunale federale in DTF
69 IV 167 (precedenti di un avvocato) e DTF
101 IV 293 (precedenti di un capo della polizia) sono diversi. La carica di consigliere comunale (e di deputato al Gran Consiglio) ricoperta dal querelante, pur connessa alla natura, alla portata e alla concludenza dell'intervento in Consiglio comunale, non bastavano perché il ricorrente rivangasse sulla stampa un fatto attinente alla sfera privata dell'avversario, la cui pubblica diffusione non era più sorretta da alcun interesse generale. Certo, l'imputato aveva reagito in tal modo anche per i toni provocatori usati dal consigliere comunale, ma ciò giustificava se mai una risposta per le rime, non un'affermazione come quella proferita.
7.
Il ricorrente rileva che, come ha accertato il Pretore, le parti si conoscono da oltre vent'anni e che fino all'agosto del 2000 non vi erano tra loro particolari attriti, sicché la controversia trae origine unicamente dall'intervento in Consiglio comunale nell'agosto del 2000. Dall'assunto però egli non deduce alcunché, donde l'inammissibilità dell'argomento. Il ricorrente sottolinea poi che pure nei suoi confronti sono stati portati attacchi, tramite il settimanale _, che i relativi articoli si riferiscono proprio alla _ SA e che – contrariamente alla sua affermazione nei confronti del querelante – quella adombrata nei confronti di lui è falsa poiché egli stato assolto già in sede istruttoria nel “caso _ ”, mentre per gli altri episodi (_e furto alla _ SA) non vi sono nemmeno inchieste in corso. Se non che, ancora una volta egli non sostanzia alcuna conclusione.
8.
Valendosi degli art. 32, 33 e 34 CP il ricorrente sostiene che, nei casi di diffamazione in cause civili e penali, la parte chiamata a difendersi può anche rilanciare accuse suscettibili di ledere l'onore della controparte, che nel caso in esame _ lo ha duramente attaccato in Consiglio comunale il 28 agosto 2000 e che egli si è difeso rispondendo all'offesa con l'intervista apparsa due giorni dopo. L'argomento cade nel vuoto. Nelle circostanze già descritte, come ha rilevato il Pretore, l'art. 32 CP (secondo cui non costituisce reato l'atto che è imposto dalla legge o dal dovere d'ufficio o professionale, ovvero che la legge dichiara permesso o non punibile) non entra in considerazione, né il ricorrente spiega perché esso sarebbe applicabile. A ragione il Pretore ha considerato altresì che non soccorrono nemmeno gli estremi della legittima difesa (art. 33 CP) – né quelli dello stato di necessità (art. 34 CP) – poiché nella migliore ipotesi si tratterebbe solo di un eccesso difensivo, che consentirebbe solo un'attenuazione della pena. Del discorso provocatorio in Consiglio comunale il Pretore ha comunque tenuto conto nella commisurazione della pena (sentenza, pag. _). Al ricorrente non giova nemmeno la sentenza pubblicata in DTF
118 IV 248, secondo cui l'imputato che nel quadro di un processo penale contesti dichiarazioni a suo carico non si rende – in linea di principio – colpevole di offesa all'onore e può invocare l'art. 32 CP, ancorché nella misura in cui si limiti a quanto sia necessario e pertinente, senza ricorrere cioè a formulazioni inutilmente lesive e offensive. Già si è rilevato però che, dando genericamente a _ del “pregiudicato”, il ricorrente ha leso inutilmente la sfera privata di lui. Ancora un volta il ricorso è destinato perciò all'insuccesso.
9.
Il ricorrente si sofferma sui motivi in base ai quali il Pretore lo ha prosciolto dall'accusa di diffamazione per avere affermato che _ è alle prese con la giustizia, avendo egli avuto sufficienti motivi per reagire in quel modo di fronte all'opinione pubblica, dopo che il consigliere comunale lo aveva reso sospetto di comportamenti dubbi nella gestione della _ SA. Tale ragionamento, secondo il ricorrente, deve valere anche per l'altra affermazione. L'assunto non può essere condiviso. Rendendo noto che il querelante era alle prese con la giustizia per aggressione a pubblico ufficiale, il ricorrente ha divulgato per lo meno la notizia di un procedimento in corso, così come il consigliere comunale lo aveva incolpato di comportamenti sospetti tenuti a quel momento (pag. _). Non è perciò fuori luogo sostenere che, date le circostanze, egli poteva ritenersi legittimato a porre in dubbio a sua volta la rettitudine comportamentale del querelante, fondandosi su un fatto coevo (ancorché attinente alla sua vita privata). La condanna subìta da _ risaliva invece a 35 anni prima e non era nella benché minima relazione con la polemica innescata dal consigliere comunale.
10.
Secondo il ricorrente poco importa che il noto precedente penale risalga a 35 anni or sono, dovendo valere per un uomo politico ciò che vale per un avvocato o un comandante di polizia. Già si è detto che tali paragoni sono infruttuosi. Considerato il riserbo di cui il giudice penale deve dar prova quando è chiamato a valutare se sussistono valide ragioni per divulgare fatti lesivi dell'onore attinenti alla vita privata e familiare di una persona, la carica di consigliere comunale (o di deputato al Gran Consiglio) ancora non consente che si definisca genericamente come “pregiudicato” un uomo condannato 35 anni prima. È vero che in DTF
69 IV 165 il Tribunale federale ha ritenuto di interesse pubblico conoscere le condanne subìte da un avvocato che esercita ancora la professione. Si trattava di un caso però in cui il patrocinatore incolpato di avere precedenti penali (risalenti a qualche anno prima) esercitava l'attività di avvocato senza formazione particolare, senza essere al beneficio di un'autorizzazione cantonale, senza aver prestato cauzione e senza essere soggetto, come gli avvocati patentati, alla sorveglianza del Gran Consiglio. Costui ha potuto riprendere l'attività dopo avere riottenuto la
bürgerliche
Ehrefähigkeit
di cui era stato privato. In una situazione del genere risultava giustificato l'interesse del cliente a conoscere eventuali precedenti di quel patrocinatore, il quale esercitava in condizioni che non consentivano di determinarsi sulla sua probità. In DTF
101 IV 292 lo stesso Tribunale federale ha ammesso alla prova della verità una persona che aveva evocato un procedimento penale a carico di un comandante di polizia. All'accusato è stato riconosciuto il diritto di provare la verità del fatto, benché il procedimento penale a carico del comandante si fosse concluso con un abbandono per insufficienza di prove. Data l'importante funzione allora rivestita dal querelante, ha spiegato il Tribunale federale, sussisteva un interesse pubblico a che l'inquisito potesse essere sanzionato almeno in via disciplinare o amministrativa. Nella presente fattispecie, per contro, fa difetto un interesse del genere.
11.
Il ricorrente postula l'annullamento della sentenza impugnata anche perché carente di motivazione su punti essenziali. A torto. Riassunta la dottrina e la giurisprudenza in materia di diffamazione, il primo giudice ha esposto in modo diffuso le ragioni che lo hanno indotto a negare la prova della verità per quanto riguarda l'affermazione secondo cui _ è un “pregiudicato”. Soggiunge il ricorrente che anche la falsa accusa di amministrazione infedele nel “caso _ ” mossa nei suoi confronti appartiene al passato ed è finita in un non luogo a procedere. Mal si comprende tuttavia perché ciò dovrebbe comportare l'annullamento della sentenza impugnata. Il ricorrente fa valere inoltre di avere proferito il termine “pregiudicato” nel quadro di un contesto politico, che egli nemmeno era presente alla seduta del Consiglio comunale durante la quale era stato attaccato, sicché non poteva rispondere in quella sede e ha dovuto farlo con l'intervista. La giustificazione non regge, ove appena si consideri che, proprio perché non costretto a improvvisare la sua difesa, il ricorrente aveva a disposizione il tempo necessario per ponderare la sua reazione. Quanto al contesto politico, ciò non giustifica – come si è spiegato – l'attacco alla sfera privata. Certo, il ricorrente asserisce che il termine “pregiudicato” è stato usato unicamente in reazione all'analoga affermazione del querelante, e ciò anche per fatti che appartenevano al passato. Tuttavia, e non giova ripetersi, il tono provocatorio (ma non penalmente reprensibile: decreto di non luogo a procedere emanato il 4 dicembre 2000 dal Procuratore pubblico) usato dal querelante non giustificava siffatta razione. Si trattava tutt'al più di eccesso di legittima difesa.
12.
Il ricorrente si diffonde infine sulle considerazioni che hanno indotto il Pretore a ritenere che dai suoi interrogatori non emerge un motivo sufficiente perché si esprimesse in quel modo. Dal testo integrale dell'intervista e dal verbale di interrogatorio del 31 ottobre 2000 – egli pretende – risulta in realtà come egli abbia sostenuto che le affermazioni di _ sono state fatte in un clima politico, che la sua reazione costituisce una risposta agli attacchi e che il senso della sua posizione va inteso come rifiuto di accettare la morale da parte di “certa gente”. L'argomentazione è inconsistente, dato che per difendersi egli non doveva far capo a un'affermazione del genere. Secondo il ricorrente non si può dire nemmeno che egli si sia espresso in quel modo nell'intento prevalente di fare maldicenza. Si è già addotto però che quanto l'autore di un reato sa o non sa, quanto vuole o l'eventualità cui egli acconsente è un problema legato all'accertamento dei fatti (sopra, consid. 4). Senza cadere in arbitrio, il Pretore ha desunto l'intenzione di fare prevalentemente della maldicenza dall'interesse pubblico usato come pretesto per attaccare il querelante nella sfera privata, dalla voluta genericità dell'affermazione “pregiudicato” e dal fatto che la notizia della condanna era già stata divulgata dalla stampa nel 1997, sicché non serviva riesumarla se non per maldicenza, i rapporti tra le parti non essendo particolarmente tesi prima di allora (sentenza, pag. _).
13.
Se ne conclude che, nella misura in cui è ammissibile, il ricorso va disatteso. Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 CPP). _, che ha presentato osservazioni al ricorso per il tramite di un legale, ha diritto a un'indennità per ripetibili. | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,002 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
9fc793b4-b5fe-50f3-be37-ccbbffb0f7e6 | in fatto ed in diritto
1.
A seguito di una segnalazione da parte delle autorità preposte per sospetto di matrimonio fittizio, è stato aperto un procedimento penale in particolare a carico di PI 3 e di PI 2, unitisi in matrimonio il _ a _, in _, per varie ipotesi di reato, sfociato dapprima, da un lato, nel decreto di accusa 22.05.2013, mediante il quale il procuratore pubblico Moreno Capella ha posto in stato di accusa dinanzi alla
Pretura penale PI 3 siccome ritenuta colpevole di soggiorno illegale e attività lucrativa senza autorizzazione e inganno nei confronti delle autorità, e meglio come descritto nel DA _, e dall’altro lato nel decreto di accusa 22.05.2013 mediante il quale il medesimo magistrato inquirente ha posto in stato di accusa PI 2 siccome ritenuto colpevole di inganno nei confronti delle autorità, e meglio come descritto nel DA _.
Lo stesso giorno il procuratore pubblico ha inoltre emanato un decreto di accusa a carico della sorella di PI 3) siccome ritenuta colpevole di incitazione all’entrata e/o soggiorno illegale (DA _) e un decreto di accusa a carico del marito di quest’ultima siccome ritenuto colpevole di incitazione all’entrata e/o al soggiorno illegale e di impiego di stranieri sprovvisti di permesso (DA _).
A seguito dell’opposizione interposta da tutti i quattro imputati, il 1°.04.2014 il giudice della Pretura penale ha riunito i summenzionati procedimenti penali, poiché alla base delle imputazioni principali degli accusati vi erano i medesimi fatti.
Con sentenza 20.06.2014 il giudice della Pretura penale ha in particolare ritenuto PI 3 autrice colpevole di soggiorno illegale e attività lucrativa senza autorizzazione
e per inganno nei confronti dell’autorità "
per avere ingannato le autorità incaricate dell’esecuzione della Legge federale sugli stranieri, fornendo dati falsi o tacendo fatti essenziali e ottenendo, in tal modo, per sé il rilascio di un permesso di soggiorno stabile, e meglio per avere in data 24.9.2012 ottenuto il permesso di dimora per stranieri per ricongiungimento famigliare con il marito PI 2, valido fino all’11.8.2013 (...) ben sapendo che il matrimonio era fittizio e unicamente finalizzato all’ottenimento del permesso di dimora
" e l’ha condannata di conseguenza (inc. _).
Ha inoltre ritenuto PI 2 autore colpevole di inganno nei confronti delle autorità "
per avere, in data _, contratto matrimonio con una cittadina straniera nell’unico intento di eludere le disposizioni in materia di ammissione e di soggiorno degli stranieri e di procurarsi un indebito arricchimento, e meglio, per aver, _ (_), il _ contraendo matrimonio con PI 3, richiedendo e ottenendo il permesso di dimora in Svizzera per ricongiungimento famigliare, ingannato i funzionari delle autorità amministrative preposte al riconoscimento degli atti di stato civile al rilascio di permessi di soggiorno per stranieri, il tutto altresì finalizzato al compenso mensile di CHF
200/300 versatogli in particolare da _
", lo ha condannato al pagamento delle tasse e spese giudiziarie, ma lo ha mandato esente da pena (cfr., nel dettaglio, sentenza 20.06.2014, inc. _).
Il 22.09.2014 la Corte di appello e di revisione penale ha stralciato dai ruoli il procedimento, ritenuto che PI 3 dopo l’annuncio di appello presentato il 26.06.2014 avverso la summenzionata sentenza, non ha inoltrato alcuna dichiarazione scritta di appello ai sensi dell’art. 399 cpv. 3 CPP.
2.
Con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dalla Pretura penale a questa Corte – la IS 1 domanda la trasmissione dell’incarto penale _
,
essendo stato ammesso il suo richiamo dal pretore il 17.03.2015 ai fini dell’istruttoria della causa a procedura di annullamento del matrimonio di cui all’incarto _ promossa in data 29.10.2014 dalla _, _, _, contro PI 2, _, e PI 3, _.
Come esposto in entrata, la Pretura penale non ha presentato osservazioni in merito alla presente richiesta.
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha nella sostanza ripreso il testo del previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
Come ricordato dalla prassi di questa Corte, in caso di richiesta da parte di autorità giudiziarie tendente ad ottenere documenti di un incarto penale, la giurisprudenza ammette la richiesta se:
(i) si riferisce a procedimenti ancora pendenti presso l'autorità richiedente;
(ii) è compatibile con il codice di rito applicabile a quel procedimento;
(ii) è formulata dal titolare dell’autorità giudiziaria richiedente.
Inoltre deve essere dato un legame di pertinenza dell’incarto richiamato con quello richiamante.
4.
Nella fattispecie in esame – stante l’oggetto della vertenza civile (richiesta di annullamento del matrimonio), nonché il contenuto e l’esito dell’incarto penale richiamato (alla cui base vi è un matrimonio fittizio) – è certamente data una connessione tra la causa civile pendente presso la Pretura istante e il procedimento penale sfociato nella sentenza di condanna 20.06.2014 emanata, tra gli altri, a carico di PI 2 e di PI 3.
In effetti alla base di entrambi i procedimenti vi è la medesima fattispecie, e meglio il matrimonio fittizio contratto tra questi ultimi il _, in _, allo scopo di eludere le norme in materia di soggiorno degli stranieri.
Gli atti istruttori e l’esito del procedimento penale sono indubbiamente rilevanti ai fini dell’istruttoria e del giudizio civile. È quindi dato un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG.
Di conseguenza l’incarto _ della Pretura penale (composto da quattro cartellette bianche) viene trasmesso, in originale, alla Pretura istante unitamente alla presente decisione, con l’obbligo di restituirlo direttamente alla predetta autorità, al più tardi, a procedimento civile concluso.
5.
L’istanza è accolta ai sensi del precedente considerando. La tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico della Pretura istante, che a sua volta le addosserà alle parti in base alle norme del CPC. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,015 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
9ffb502c-99af-5de4-9bcb-5a53b00b8784 | in fatto: A.
Nel tardo pomeriggio del 12 luglio 2000 _ si è presentato alla dogana autostradale di Chiasso Brogeda, proveniente dall'Italia, a bordo di un'Opel “Omega” con targhe _ intestate a lui e alla moglie. Viaggiava solo. In seguito a un minuzioso controllo le guardie di confine hanno scoperto che dentro la ruota di scorta, nel baule dell'automobile, si trovavano 10 pacchetti contenenti circa 5 kg di sostanza stupefacente, rivelatasi essere eroina. _ è stato arrestato. L'indomani gli agenti hanno proceduto a una seconda perquisizione del veicolo e sotto il piano del lunotto hanno rinvenuto altri 10 sacchetti contenenti altri 5 kg circa di eroina. Le analisi hanno consentito di accertare che la sostanza era pura nella misura del 34.6 per cento. Il peso della droga è risultato essere di 9'966.78 g, corrispondenti a 3'348 g di prodotto puro.
B.
Interrogato la sera stessa dell'arresto, _ ha dichiarato di avere raggiunto il Kosovo il 5 luglio proveniente dalla Svizzera, di avere compiuto lo stesso tragitto nell'andata e nel ritorno (Ancona–Igoumeniza, Macedonia, Kosovo) e di possedere un cellulare Siemens “C25” lasciatogli da un asilante rientrato un mese prima nel Kosovo. Ha negato però di sapere che nell'automobile fosse stata occultata droga. Sentito dal GIAR e
reinterrogato dalla polizia, egli ha confermato le sue dichiarazioni, salvo precisare la data della partenza da Thun (la sera del
5 luglio 2001) e riferire di essere giunto in Kosovo, da suo padre, verso la mezzanotte del giorno successivo. Anche in quell'occasione egli si è dichiarato estraneo al traffico di eroina. In un altro verbale, in cui non ha escluso di avere lasciato la Svizzera la sera del 6 luglio 2001, egli ha ammesso nondimeno di sapere che stava trasportando “qualche cosa” nel veicolo quando è partito dal Kosovo, segnatamente pacchetti rigidi confezionati con nastro adesivo, riconoscendo di presumere che si trattava di merce pericolosa. Per finire egli ha dato atto di sapere che alla partenza (martedì 11 luglio 2001) nell'auto era stata nascosta sostanza che immaginava trattarsi di droga e che sapeva dei pacchetti rigidi celati nel pneumatico di scorta, pur ignorando il tipo e la quantità di stupefacente. Ha sostenuto di non sapere, invece, che fosse stata nascosta droga anche sotto il lunotto dell'auto.
C.
Con sentenza dell'11 aprile 2001 la Corte delle assise criminali in Lugano ha riconosciuto _ autore colpevole di violazione aggravata della legge federale sugli stupefacenti per avere consapevolmente detenuto, trasportato e importato dal Kosovo in Svizzera circa 10 kg di eroina pura nella misura del 34.6 per cento, passando dalla Grecia e dall'Italia. In applicazione della pena, essa lo ha condannato a 7 anni e 6 mesi di reclusione (computato il carcere preventivo sofferto) e all'espulsione dalla Svizzera per 10 anni, pena sospesa condizionalmente, quest'ultima, con un periodo di prova di 5 anni. Infine ha disposto la confisca di quanto sequestrato.
D.
Contro la sentenza di assise _ ha inoltrato il 12 aprile 2001 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 23 maggio successivo, egli chiede di essere prosciolto dall'imputazione relativa al traffico di droga (circa 5 kg) nascosta sotto il piano del lunotto della sua automobile, con conseguente ricommisurazione della pena; in via subordinata egli postula il rinvio degli atti a una nuova Corte di assise per ricommisurazione della pena. Nelle sue osservazioni del 5 giugno 2001 il Procuratore pubblico propone di respingere il ricorso. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto, non destinato a rimettere in causa l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove (art. 288 cpv. 1 lett. a e 295 CPP). Problemi del genere sono sindacabili unicamente se il giudizio impugnato denota gli estremi dell'arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c CPP). Arbitrario non significa tuttavia discutibile, contestabile o finanche erroneo, bensì manifestamente insostenibile o in aperto contrasto con gli atti (DTF 126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4a). Per motivare una censura di arbitrio non basta quindi criticare la decisione impugnata, né contrapporle una propria versione dei fatti, per quanto preferibile essa appaia. Occorre invece spiegare per quale ragione l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sarebbero manifestamente insostenibili, si trovino in chiaro contrasto con gli atti, contraddicano in modo urtante il sentimento di giustizia e dell'equità (DTF 125 II 10 consid. 3a, 124 IV 86 consid. 2a, 123 I 1 consid. 4a, 122 I 61 consid. 3a) o si riconducano a un apprezzamento unilaterale dei mezzi istruttori (DTF inedita del 25 settembre 200 in re S., consid. 3b con riferimento a DTF inedita dl 20 gennaio 2000 in re S. consid. 3b). Secondo costante giurisprudenza, inoltre, una sentenza incorre nell'annullamento quando è arbitraria non solo nella motivazione, ma anche nel risultato (DTF 125 II 129 consid. 5b, 122 II 166 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4a, 122 I 253 consid. 6c con rinvii).
2.
Il ricorrente rimprovera alla Corte delle assise criminali di essere trascesa in arbitrio accertando che egli sapeva di trasportare in Svizzera circa 10 kg di eroina. La sua consapevolezza – egli spiega – riguardava soltanto la droga (non necessariamente eroina) nascosta nella ruota di scorta, non quella occultata nel piano del lunotto dell'automobile. Ora, quanto l'autore di un reato sa o non sa, quanto vuole o l'eventualità delittuosa cui egli consente è un problema legato all'accertamento dei fatti e alla valutazione delle prove (DTF 121 IV 92 consid. 2b). Come si è appena visto, la Corte di cassazione e di revisione penale è abilitata a rivedere i relativi accertamenti solo con cognizione circoscritta all'arbitrio.
a)
Riassunte le ammissioni rilasciate durante l'istruttoria e al processo, il ricorrente sostiene che a torto i primi giudici gli hanno imputato di non avere più messo in dubbio la consapevolezza di trasportare droga, di essersi messo al volante sapendo che nell'automobile erano stati occultati quasi 10 kg di eroina e di avere affrontato il viaggio lungo e pericoloso. A suo parere un accertamento del genere è insostenibile alla luce degli atti processuali, segnatamente delle sue univoche e costanti dichiarazioni. In realtà la prima Corte non ha mancato di rilevare che il ricorrente ammetteva soltanto una parte degli addebiti rivoltigli, ossia la consapevolezza di trasportare droga nascosta nella ruota di scorta (sentenza, pag. 12). Ha soggiunto però che svariate ragioni inducevano a non credergli e a ritenere invece che egli sapesse anche della droga celata sotto il piano del lunotto. Perché tali ragioni, diffusamente illustrate (sentenza, consid. 5), sarebbero manifestamente insostenibili, il ricorrente non spiega. Il ricorso si dimostra perciò inammissibile, il ricorrente non confrontandosi con le motivazioni dei primi giudici.
Certo, dal verbale del dibattimento non risulta che l'imputato abbia ammesso tutto quanto figura nella sentenza di assise e non abbia più messo in dubbio di sapere che stesse trasportando 10 kg di eroina. Egli ha riferito che i fornitori (_e _) gli avevano mostrato o messo in mano cinque o sei pacchetti che egli immaginava contenere droga e che quando si è messo in viaggio verso la Svizzera egli credeva appunto di trasportare nella ruota di scorta soltanto quei pacchetti (verbale, pag. 6). Ciò non giova però al ricorrente. Consapevole di trasportare nell'automobile droga che due sconosciuti gli avevano esibito e consegnato senza formalità in circostanze inusuali, ovvero di sera e fuori di un bar in un imprecisata località del Kosovo (verbale del processo, pag. 6), sia come sia egli non poteva seriamente avere disconosciuto la presenza di una quantità imprecisata di sostanza stupefacente, segnatamente di eroina. D'altro canto egli non tenta nemmeno di spiegare perché una conclusione del genere sarebbe arbitraria.
b)
Il ricorrente fa carico alla prima Corte di avere banalizzato l'episodio centrale della vicenda, e cioè l'incontro da egli avuto con Jimmy in un esercizio pubblico presso la periferia di _
(Kosovo). Ricordati nuovamente i verbali da lui resi, egli insiste nel far valere che i primi giudici potevano accertare soltanto che egli sapeva di trasportare materiale pericoloso, ma non di che materiale si trattasse, e che in ogni modo egli era conscio di detenere, trasportare e importare in Svizzera solo quanto visto, toccato e nascosto da _
e compagni nella ruota di scorta. Egli ribadisce di non avere immaginato di trasportare altre confezioni, di essersi limitato a toccare 5 o 6 pacchetti mostratigli proprio da _, sapendo o comunque presumendo che tale gesto avrebbe lasciato sugli stessi pacchetti le sue impronte, esponendosi così al rischio di sentirsi dire che i pacchetti occultati a sua insaputa nel piano sotto il lunotto della sua automobile riportassero le sue impronte.
Ancora una volta il ricorrente fa un uso improprio del rimedio straordinario del ricorso per cassazione fondato sul divieto d'arbitrio. Egli persiste infatti nel riproporre la propria versione del fatti e la propria valutazione delle prove senza tentare di spiegare perché la diversa conclusione alla quale sono giunti i primi giudici sulla base delle argomentazioni (invero non poche) enunciate nel considerando 5 della sentenza impugnata sarebbe manifestamente insostenibile, ovvero arbitraria. Ai fini di una censura di arbitrio occorre designare con precisione, in primo luogo, qual è l'accertamento contestato. Il processo per cassazione non è infatti la continuazione del processo di assise. Non basta quindi invocare verbali istruttori e dolersi di arbitrio pretendendo che la Corte di merito li abbia ignorati o non li abbia debitamente considerati. Anche su questo punto il ricorso si dimostra pertanto inammissibile.
c)
Più oltre il ricorrente definisce la sentenza impugnata come la conseguenza di un arbitrario esercizio del potere di apprezzamento delle prove da parte della Corte di assise. Se non che, egli trascura di sostanziare la doglianza. Donde, una volta ancora, l'inammissibilità del gravame.
3.
Afferma il ricorrente che l'arbitrario accertamento dei fatti da parte dei primi giudici comporta un'errata applicazione del diritto, in specie dell'art. 63 CP sulla commisurazione della pena. Il rilievo è senza portata pratica, dal momento che – come si è visto – in merito all'accertamento dei fatti e all'apprezzamento delle prove il ricorrente non ha motivato a sufficienza l'impugnazione, non sostanziando nel debito modo critiche di arbitrio.
4.
A parere del ricorrente era essenziale stabilire, in diritto, se il suo agire fosse consapevole e cosciente; era perciò compito della Corte di assise motivare in modo scrupoloso il proprio convincimento, suscettibile di influire sull'applicazione dell'art. 63 CP. Nemmeno in quest'ambito egli corrobora tuttavia il proprio pensiero. Richiamato il principio accusatorio e il principio dell'immutabilità dell'atto di accusa che governano la procedura penale, egli assume che le norme del diritto federale vengono applicate erroneamente e a pregiudizio del condannato ove un giudice riconosca la colpevolezza di un accusato senza il conforto di adeguati accertamenti processuali. Se non che, a prescindere dal fatto che il ricorrente invoca fuori luogo i citati precetti, che regolano altre evenienze, egli nemmeno tenta di spiegare dove risiederebbe il preteso arbitrio. Ciò che comporta, di nuovo, l'inammissibilità del ricorso.
5.
Il ricorrente insiste nel sostenere che la sua condanna doveva essere pronunciata in base ai soli fatti non arbitrariamente accertati, ovvero ponendolo oggettivamente e soggettivamente a beneficio della versione a lui più favorevole. Rileva che nessun accertamento corretto è stato operato sulla sua consapevolezza di trasportare quantitativi di sostanza pericolosa, rispettivamente di droga oltre a quella da lui ammessa. Quali siano gli accertamenti non corretti e perché essi siano manifestamente insostenibili egli però non specifica. Ciò non lascia spazio per esaminare la censura sotto il profilo dell'applicazione del principio
in dubio
pro reo
, invocato genericamente nel ricorso.
6.
Secondo il ricorrente la sentenza impugnata non sarebbe nemmeno sufficientemente motivata, ove si consideri che i primi giudici non si sono domandati se gli abbia agito per dolo eventuale. La critica non è seria. Nel considerando 5 i primi giudici hanno esposto doviziosamente le ragioni che li hanno indotti a ritenere che il ricorrente sapesse fin dalla sua partenza dal Kosovo di trasportare non soltanto la quantità di droga da lui ammessa, ma anche quella nascosta sotto il lunotto dell'auto. In simili condizioni gli incombeva di analizzare tali apprezzamenti e di illustrare partitamente perché esse denoterebbero gli estremi dell'arbitrio. In ciò egli ha mancato appieno. Carente non è quindi la sentenza di assise, adeguatamente motivata, ma tutt'al più il ricorso per cassazione, introdotto con leggerezza, come se si trattasse di un atto di appello.
7.
Da ultimo il ricorrente si duole dell'entità della pena irrogatagli, che egli giudica eccessiva per rapporto ad altre pene pronunciate dalle Corti ticinesi in casi analoghi. Ora, il principio della parità di trattamento nella commisurazione della pena può essere invocato solo nelle rare ipotesi in cui pene determinate in modo di per sé conforme all'art. 63 CP diano luogo a un'obiettiva disuguaglianza; il confronto tra imputati o con processi analoghi suole invece essere infruttuoso, ogni caso dovendo essere giudicato in base alle sue individualità oggettive e soggettive, ciò che comporta implicitamente una certa disuguaglianza (DTF 123 IV 150;
Corboz
, La motivation de la peine, in: ZBJV 131/1995 pag. 12 seg.; cfr. anche DTF 124 IV 47 consid. 2c). Ne segue che in materia di parità di trattamento la Corte di cassazione e di revisione penale interviene solo – come il Tribunale federale – quando il giudice del merito abbia ecceduto o abusato del suo potere di apprezzamento, dando luogo a disparità flagranti (DTF inedita del 6 marzo 1998 in re M. consid. 4b in fine).
Nella fattispecie il ricorrente richiama due precedenti, ossia una sentenza emanata il 30 novembre 2000 dalla Corte delle assise criminali in Mendrisio nella causa Z., in cui il prevenuto – che aveva rifiutato di collaborare – è stato condannato a 10 anni e 6 mesi di reclusione per avere trasportato in Svizzera 20 kg di eroina e una sentenza emessa recentemente da un tribunale confederato, in cui un kosovaro si è visto infliggere 13 anni di reclusione per un traffico di 90 kg di eroina. Se non che, richiami del genere non seguiti da una circostanziata disamina dei casi e dei motivi che sorreggono le condanne (comunque più severe di quella impugnata) sono inadatti allo scopo, giacché la Corte di cassazione e di revisione penale non è un'autorità munita di pieno potere cognitivo in materia di commisurazione della pena. L'ammissibilità del ricorso non è pertanto data nemmeno su questo punto, tanto meno ove si pensi che il ricorrente non spende una parola sulle numerose considerazioni che hanno spinto la prima Corte a pronunciare la pena a suo carico (sentenza, consid. 6).
8.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,001 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
a049bc1b-363c-51bd-b5bf-3e0ffbecd054 | in fatto ed in diritto
che in data 8.10.2010 la Corte delle assise criminali ha emanato una sentenza di condanna a carico di una persona dichiarandola, tra l’altro, autore colpevole di tentato omicidio intenzionale riguardo ai fatti avvenuti "
il _ a _ ai danni di PI 3
" e di un’altra persona e lo ha condannato alla pena detentiva di otto anni (da dedursi il carcere preventivo sofferto) (inc. TPC _);
che la suddetta sentenza è cresciuta in giudicato il 30.11.2010;
che nell’ambito di quel procedimento penale PI 3, in relazione a quanto accaduto il _, aveva assunto la veste di parte civile ai sensi del CPP TI;
che con la presente istanza –
trasmessa, per competenza, a questa Corte
– la IS 1 (di seguito IS 1), richiamando il suo scritto 20.06.2011 indirizzato al Ministero pubblico, chiede la trasmissione degli atti
del surriferito procedimento penale per la consultazione e per una presa di posizione riguardo a quanto accaduto ai danni del suo assicurato PI 3,
allegando contestualmente copia dell’avviso d’infortunio allestito il 15.02.2011 da quest’ultimo, il cui contenuto risulta essere in connessione con quanto successo quel giorno
(doc. 1.a);
che
l
’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che con decisione del 14.2.2007 l’allora Camera dei ricorsi penali (dall’1.01.2011 Corte dei reclami penali) ha stabilito che occorre riconoscere, di principio, alle compagnie di assicurazioni chiamate a intervenire in relazione a fatti oggetto di un procedimento penale, un interesse giuridico legittimo a conoscere l’esito del procedimento, e ad accedere agli atti, senza dover ricorrere di volta in volta alla procedura dell’art. 27 CPP TI, e ciò riguardo a richieste in connessione con incidenti stradali, lesioni o vie di fatto, incendi o anche furti e altri reati patrimoniali (cfr., nel dettaglio, decisione 14.2.2007, inc. CRP 60.2007.23);
che la compagnia istante deve in ogni modo indicare in quale veste interviene, per conto di chi, dimostrando l’esistenza di una connessione tra i suoi doveri legali o contrattuali ed i fatti oggetto del procedimento penale;
che nella fattispecie in esame è, di principio, adempiuto un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG da parte della IS 1 a conoscere i fatti accaduti il _, a _, ai danni del proprio assicurato PI 3;
che a giudizio di questa Corte il contenuto della sentenza 8.10.2010 (inc. TPC _) è sufficiente per l’istante ai fini delle sue incombenze;
che considerato che la sentenza riguarda anche altre fattispecie per le quali è stato condannato l’imputato e altre parti civili ai sensi del CPP TI, la stessa viene trasmessa alla qui istante in forma anonimizzata, e ciò a tutela degli interessi delle parti coinvolte nel procedimento penale nel frattempo archiviato;
che alla luce di quanto sopra esposto la sentenza 8.10.2010 (inc. TPC _) viene trasmessa – in forma anonimizzata – alla IS 1 unitamente alla presente decisione;
che la tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico di chi le ha occasionate. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,011 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
a07a7c57-d94f-5881-abc2-855b80fc4fb6 | in fatto
a.
In data 16.3.2010 a _ il veicolo di RE 1 è stato fermato per un controllo di routine da una pattuglia di polizia. Durante gli accertamenti, sul sedile posteriore gli agenti hanno trovato delle banconote in valuta svizzera per un ammontare di CHF 91'324.-- unitamente ad uno scontrino non datato. Al momento del fermo, dopo essere stato interpellato in merito alla provenienza di questo denaro, RE 1 ha sostenuto di essersi recato poco prima presso il Chiosco _ SA a _ (di seguito Chiosco) e di averli cambiati da Euro in franchi svizzeri per conto di una non meglio precisata società fiduciaria (cfr. verbale d’interrogatorio 16.3.2010, allegato 1 al Rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria del 20.5.2010, p. 1, AI 1, inc. MP _).
b.
Il giorno stesso, 16.3.2010, RE 1 è stato interrogato in merito alla provenienza di questo denaro. Il reclamante ha sostenuto che la somma di Euro cambiata in CHF proveniva da suoi risparmi, modificando la versione resa al momento del fermo. Nel corso dell’interrogatorio, RE 1 è stato informato che il procuratore pubblico aveva ordinato il sequestro dei CHF 91'324.-- fintanto che non ne fosse stata chiarita l’esatta provenienza (verbale d’interrogatorio 16.3.2010, p. 4, AI 7). Nel corso della medesima giornata, la polizia ha effettuato una perquisizione domiciliare, rinvenendo e sequestrando 1 grammo di cocaina, 41 grammi di hashisch e 11 grammi di marijuana (verbale d’interrogatorio 16.3.2010, p. 5, AI 1).
c.
Il giorno seguente l’avvenuto sequestro della somma, la polizia, su autorizzazione di RE 1, si è recata presso il Chiosco, consegnando la somma di CHF 91'234.-- e ottenendo Euro 63'000.-- in cambio. Ha così potuto recuperare le medesime banconote consegnate dal reclamante il giorno prima, fino ad un valore di Euro 47'000.--: ciò ha permesso di effettuare l’analisi delle banconote con l’apparecchio “ionscan” alfine di determinare eventuali contaminazioni con sostanze stupefacenti (cfr. Rapporto 20.5.2010, allegato 13, AI 1). Per il restante valore di Euro 16'000.-- non è invece stato possibile recuperare le medesime banconote, poiché erano già state utilizzate per l’attività di cambio (cfr. verbale interrogatorio 17.3.2010 del gerente del Chiosco, p. 1, allegato 13 al Rapporto 20.5.2010, AI 1).
d.
In data 24.3.2010, RE 1 è stato nuovamente interrogato dalla polizia in relazione al possesso della somma di CHF 91'324.--. Egli ha nuovamente cambiato la versione sulla provenienza di tale importo, precisando che non si sarebbe trattato di suoi risparmi, bensì di denaro appartenente ad una persona di cui però non ha voluto fare il nome (verbale d’interrogatorio 24.3.2010, p. 1, AI 1). Gli atti sono poi stati trasmessi il 20/21.5.2010 al procuratore pubblico, ritenuto che dall’inchiesta preliminare di polizia non è stato possibile accertare l’origine del denaro sequestrato (dichiarazione 24.3.2010, allegato 10 al Rapporto 20.5.2010, AI 1).
e.
Con decreto 30.3.2012, il magistrato inquirente ha decretato l’apertura dell’istruzione penale, prospettando per RE 1 i reati di ricettazione, riciclaggio di denaro e contravvenzione alla LF sugli stupefacenti (AI 2).
f.
In data 3.5.2012, il segretario giudiziario, su delega del procuratore pubblico, ha interrogato l’imputato, il quale ha fornito la seguente ulteriore versione in merito alla provenienza del denaro sequestrato:
“Si tratta del restante dei fondi di pertinenza di mia moglie che ella aveva ricevuto nell’ambito del divorzio dal precedente marito“
(verbale d’interrogatorio 3.5.2012, p. 2, AI 7). Come richiesto dal magistrato inquirente, RE 1 ha prodotto in data 17.7.2012 varia documentazione comprovante, a suo dire, l’origine del denaro oggetto d’inchiesta (AI 11).
g.
Dopo aver chiuso l’istruzione il 16.8.2012 ed aver assegnato il 31.8.2012 quale termine per presentare
“eventuali istanze probatorie”
e per
“(...) formulare eventuali pretese d’indennizzo e di torto morale (artt. 429 ss. CPP), producendo la documentazione a sostegno della richiesta”
(decreto di chiusura dell’istruzione 16.8.2012, AI 12), con decreto 10.9.2012 il procuratore pubblico ha abbandonato il procedimento, siccome a distanza di due anni dall’apertura dell’inchiesta
“(...) le indagini esperite non hanno permesso di stabilire l’origine illecita dei fondi qui in disamina, non essendo stato dimostrato un legame tra tali averi ed un’eventuale attività criminosa perpetrata dall’imputato medesimo o da terze persone”
(ABB _, p. 3).
Il magistrato inquirente non ha assegnato risarcimenti ex art. 429 CPP, ritenuto che i presupposti per l’assegnazione non sarebbero dati e considerato che nel termine assegnato l’imputato non ha formulato pretese d’indennizzo e di torto morale. Ha infine decretato la revoca del sequestro
“di quanto menzionato nel verbale di sequestro 16.03.2010 ore 15:00 della Polizia giudiziaria nei confronti di RE 1, e meglio (art. 320 cpv. 2 CP): dell’importo di CHF 91'324.-- (nel frattempo convertiti in Euro 63'200.--)”
e ordinato la restituzione di tale importo all’imputato (ABB _, p. 4).
h.
Con gravame 21/24.9.2012 RE 1 postula la restituzione della somma di CHF 91'324.-- in luogo di Euro 63'200.-- e inoltre che gli venga accordato un indennizzo di CHF 7'000.--
quale risarcimento per il procedimento penale subito (reclamo 21/24.9.2012, p. 4). A suo dire, egli avrebbe acconsentito a procedere con il cambio da franchi svizzeri in Euro colto da ansia e poiché riteneva che il tutto si sarebbe risolto in breve tempo:
“(...). Si aspettava, dopo le verifiche del caso, di poter effettuare subito il cambio da euro a franchi svizzeri, non dopo quasi 2 anni”
(reclamo 21/24.9.2012, p. 3). Sostiene che non tutte le banconote sarebbero state indispensabili per le operazioni d’indagine e per esperire le prove di
“strining”
e del controllo del numero di serie.
RE 1 aggiunge di non comprendere per quale ragione egli debba oggi, dopo la restituzione di 63'200.-- Euro, subire un cambio sfavorevole, quando originariamente la somma posta sequestro era in valuta CHF. Egli afferma di aver collaborato alle indagini di polizia fattivamente e spontaneamente, ciò malgrado ha dovuto attendere quasi 2 anni e mezzo per l’esito del procedimento, senza poter disporre del proprio denaro e senza che gli sia stata restituita la somma originaria di CHF 91'324.--.
i.
Delle osservazioni del magistrato inquirente, si dirà – se necessario – in seguito. | in diritto
1.
1.1.
Le parti possono impugnare entro dieci giorni il decreto di abbandono dinanzi alla giurisdizione di reclamo (art. 322 cpv. 2 CPP).
Con il gravame si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l'eccesso e l'abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l'accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e l'inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta e all’art. 385 CPP per la motivazione.
In particolare il reclamo deve indicare i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP)
.
1.2.
Il gravame – inoltrato il 21/24.9.2012 – contro la
decisione 10.9.2012 del procuratore pubblico, notificata l’11.9.2012, con cui ha abbandonato il procedimento penale a carico dell’imputato e non ha assegnato alcun indennizzo ex art. 429 CPP (ABB _), è tempestivo.
Le esigenze di forma e di motivazione sono rispettate
.
RE 1
,
quale imputato nei cui confronti il procedimento è stato abbandonato, è pacificamente legittimato a reclamare ex art. 382 cpv. 1 CPP, avendo un interesse giuridicamente protetto all’annullamento o alla modifica del giudizio che ha negato pretese a’ sensi dell’art. 429 CPP
.
Il reclamo è, nelle predette circostanze, ricevibile in ordine.
2.
2.1.
Il reclamante chiede la restituzione della somma di CHF 91'324.-originariamente sequestrata in luogo di Euro 63'200.-- e che gli sia accordato un indennizzo di CHF 7'000.-- quale risarcimento per il procedimento penale subito (reclamo 21/24.9.2012, p. 4).
2.2.
Giusta l’art. 429 cpv. 1 CPP, se è pienamente o parzialmente assolto o se il procedimento nei suoi confronti è abbandonato, l’imputato ha diritto a:
a. un’indennità per le spese sostenute ai fini di un adeguato esercizio dei suoi diritti procedurali;
b. un’indennità per il danno economico risultante dalla partecipazione necessaria al procedimento penale;
c. una riparazione del torto morale per lesioni particolarmente gravi dei suoi interessi personali, segnatamente in caso di privazione della libertà.
L’autorità penale esamina d’ufficio le pretese dell’imputato. Può invitare l’imputato a quantificarle e comprovarle (art. 429 cpv. 2 CPP).
L’indennizzo e la riparazione del torto morale possono essere ridotti o rifiutati a determinate condizioni (art. 430 CPP).
2.3.
L’art. 429 CPP
fonda una responsabilità causale dello Stato, indipendente quindi da una colpa delle autorità penali (BSK StPO – S. WEHRENBERG / I. BERNHARD, art. 429 CPP n. 6; ZK StPO – Y. GRIESSER, art. 429 CPP n. 2; N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 429 CPP n. 6; Commentario CPP – M. MINI, art. 429 CPP n. 1; Messaggio del 21.12.2005 concernente l’unificazione del diritto processuale penale, FF 2006 p. 1231), chiamato a rispondere della totalità del danno [spese di patrocinio, danno economico e torto morale (Commentario CPP – M. MINI, art. 429 CPP n. 4 ss.)] cagionato all’imputato (cfr., sul concetto di imputato, BSK StPO – S. WEHRENBERG / I. BERNHARD, art. 429 CPP n. 8; N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 429 CPP n. 2 s.).
Il nocumento deve presentare un nesso causale, ai sensi del diritto della responsabilità civile, con il procedimento penale (BSK StPO – S. WEHRENBERG / I. BERNHARD, art. 429 CPP n. 9; Commentario CPP – M. MINI, art. 429 CPP n. 1; Messaggio del 21.12.2005 concernente l’unificazione del diritto processuale penale, p. 1231) conclusosi con un decreto di abbandono oppure anche di parziale abbandono o, ancora, con un’assoluzione totale oppure soltanto parziale (ZK StPO – Y. GRIESSER, art. 429 CPP n. 3; N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 429 CPP n. 1/4; Commentario CPP – M. MINI, art. 429 CPP n. 3).
Le autorità penali devono pronunciarsi d’ufficio sulle pretese di indennizzo e di riparazione del torto morale, come peraltro stabilisce esplicitamente l’art. 429 cpv. 2 CPP (decisione TF 1B_475/2011 dell’11.1.2012 consid. 2.2.; decisione 1.9.2011 di questa Corte in re F.C., consid. 5.2., inc. CRP _).
Gli art. 317 ss. CPP TI prevedevano una normativa analoga, con principi mutuati
dalle norme sulla responsabilità del CO. Di principio, dunque, la giurisprudenza dell’allora Camera dei ricorsi penali prolata sotto l’egida delle norme precedentemente in vigore mantiene la sua validità anche in merito agli art. 429 ss. CPP
(cfr. sentenza 31.1.2011, inc. CRP _)
.
2.4.
Il procedimento penale promosso nei confronti di RE 1, imputato a’ sensi dell’art. 111 cpv. 1 CPP, è stato abbandonato con decreto 10.9.2012.
Il procuratore pubblico non gli ha accordato un’indennità per danno economico (art. 429 cpv. 1 lit. b CPP) poiché, a suo dire,
“il pregiudizio asseritamente subito dal reclamante non sembra rientrare nella definizione di danno economico, di cui all’art. 429 cpv. 1 lit. b CPP”
(osservazioni del procuratore pubblico 3.10.2012, p. 6) e neppure un’indennità per spese di patrocinio, ritenuto che il caso
“non presentava per l’imputato difficoltà particolari, sia dal profilo fattuale, sia da quello giuridico”
, per cui non si imponeva l’intervento di un difensore e di conseguenza un indennizzo per l’assistenza (osservazioni 3.10.2012, p. 4).
2.5.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il decreto di abbandono deve esprimersi anche su eventuali indennizzi. Il magistrato inquirente deve ingiungere alle parti che potrebbero vantare pretese risarcitorie, di notificarle e questo in ossequio al diritto di essere sentite. L’autorità penale, prima di emanare una decisione, deve altresì richiedere all’imputato di quantificare e documentare le sue pretese giusta l’art. 318 cpv. 1 in fine CPP (sentenza CRP del 30.5.2011 inc. _; sentenza CRP del 1.9.2011 inc. _).
Qualora l’imputato dovesse omettere di inoltrare e documentare eventuali richieste di risarcimento, il procuratore pubblico deve comunque esprimersi d’ufficio sulle pretese che può decidere sulla base degli atti in suo possesso (Commentario CPP, M. MINI, art. 429 CPP n. 8).
2.6.
Nella presente fattispecie, il 16.8.2012 il magistrato inquirente, rispettando gli obblighi previsti dalla citata giurisprudenza, ha comunicato alle parti, giusta l’art. 318 cpv. 1 CPP, l’imminente chiusura dell’istruzione penale (AI 12). Ha indicato che, sulla base delle risultanze di fatto e di diritto, si prospettava l’emanazione di un decreto di abbandono. Ha inoltre segnalato che eventuali istanze probatorie potevano essere presentate entro il 31.8.2012 e che, entro lo stesso termine, potevano essere consultati gli atti presso il Ministero pubblico e formulate eventuali pretese d’indennizzo e di torto morale.
Da parte sua, RE 1, assistito dal proprio legale, entro il termine fissato non ha dato alcun seguito all’invito ricevuto.
Il procuratore pubblico, dopo aver constatato che nel termine impartito l’imputato non aveva formulato alcuna pretesa di risarcimento, ha comunque evidenziato che
“(...) l’imputato non abbia diritto ad alcun indennizzo, ai sensi dell’art. 429 CPP, non essendone adempiuti i presupposti di applicazione”
(ABB _, p. 3).
2.7.
Ne discende che la procedura seguita dal magistrato inquirente è corretta. Resta ora da valutare se la sua decisione di non concedere alcun indennizzo a RE 1 sia giustificata in relazione alle due poste dei danni.
2.8.
Per quanto riguarda la pretesa di CHF 7'000.--, la stessa non merita approfondimento già in ordine. Infatti non solo il reclamante non ha avanzato pretesa alcuna nella procedura prevista dall’art. 318 CPP, ma neppure nel reclamo - ove pure avanza questa pretesa quale “
risarcimento per il procedimento penale subito
” (reclamo 21/24.9.2012, p. 4) - si è degnato di dettagliarla, giustificarla e documentarla come gli incombe.
In simile situazione non si giustifica un esame d’ufficio della pretesa in quanto tale. Resta pertanto da esaminare la seconda posta di danno.
3.
3.1.
Ai sensi dell’art. 430 cpv. 1 CPP l’autorità penale può ridurre o non accordare l’indennizzo o la riparazione del torto morale se: l’imputato ha provocato in modo illecito e colpevole l’apertura del procedimento penale o ne ha ostacolato lo svolgimento (a.); l’accusatore privato è tenuto a indennizzare l’imputato (b.); o le spese dell’imputato sono di esigua entità (c.).
3.2.
Il primo caso (lit. a. dell’art. 430 cpv. 1 CPP), il solo che entri in linea di conto nella fattispecie, permette di ridurre o escludere l’indennità o la riparazione se l’imputato prosciolto ha provocato in modo illecito e colpevole l’apertura del procedimento o ne ha ostacolato lo svolgimento.
Medesimo concetto è formulato all’art. 426 cpv. 2 CPP, che consente di addossare le spese del procedimento, in tutto o in parte, all’imputato assolto o destinatario di un decreto di abbandono.
Siffatto comportamento esclude in generale qualsiasi obbligo di indennizzo o di riparazione del torto morale da parte dello Stato. Se invece la colpa è lieve, può entrare il linea di conto una riduzione dell’indennizzo o della riparazione del torto morale (
Messaggio del 21.12.2005 concernente l’unificazione del diritto processuale penale, FF 2006, p. 1232; BSK StPO – S. WEHRENBERG / I. BERNHARD, art. 430 CPP n. 9 ss.)
.
3.3.
Per la nozione di illecito e di colpevole si può far riferimento alle analoghe nozioni utilizzate all’art. 41 CO. Illecito è un agire che viola delle regole di comportamento scritte o non dell’ordinamento giuridico (Commentario CPP – M. MINI, art. 430 CPP n. 2 e riferimenti).
Come ricordato dalla giurisprudenza del TF, il giudice deve riferirsi ai principi generali della responsabilità per atti illeciti, fondare il suo giudizio su fatti incontestati o chiaramente stabiliti e prendere in considerazione ogni norma giuridica, appartenente al diritto federale o cantonale, pubblico o privato, scritto o non scritto, per determinare se il comportamento in questione giustifichi la riduzione dell'indennità (decisione TF 6B_87/2012 del 27.4.2012; 1P.212/2006 del 10.4.2007).
Il
rifiuto o la riduzione dell’indennità sono compatibili con la Costituzione (art. 32 cpv. 1 Cost.) e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 6 cifra 2 CEDU) quando l’interessato ha provocato l’apertura del procedimento penale o ne ha complicato lo svolgimento con un comportamento colpevole sotto il profilo del diritto civile, lesivo di una regola giuridica, e che è in rapporto di causalità con l’importo imputatogli (decisione TF 6B_87/2012 del 27.4.2012; 1P.212/2006 del 10.4.2007).
Deve esservi un nesso causale fra la violazione di norme giuridiche, da una parte, e l’apertura dell’indagine o l’intralcio a quest’ultima, dall’altra parte. La condotta in questione deve avere fatto sorgere, secondo il corso ordinario delle cose e l’esperienza della vita, il sospetto di un comportamento punibile tale da giustificare l’apertura di un procedimento penale.
3.4.
La riduzione/esclusione dell’indennizzo nel CPP corrisponde alla giurisprudenza sviluppata dall’allora Camera dei ricorsi penali sino al 31.12.2010 con la vigenza del CPP TI.
Prima dell’entrata in vigore del nuovo CPP, avvenuta in data 1.1.2011, era l’art. 319a cpv. 1 CPP-TI che prevedeva che l’indennità poteva essere negata o ridotta nel caso di colpa grave esclusiva o concolpa dell’accusato prosciolto. Questa norma formalizzava la giurisprudenza dell’allora CRP in applicazione dell’art. 44 cpv. 1 CO, che permette al giudice di escludere o ridurre il risarcimento se il danneggiato ha consentito nell’atto dannoso o se le circostanze, per le quali egli è responsabile, hanno contribuito a cagionare od aggravare il danno od a peggiorare altrimenti la posizione dell’obbligato, segnatamente se l’accusato ha determinato per sua colpa l’apertura dell’inchiesta o la sua incarcerazione oppure ancora ha intralciato lo svolgimento della procedura (R. HAUSER / E. SCHWERI / K. HARTMANN, Schweizerisches Strafprozessrecht, 6. ed., § 109 n. 10).
Lo scopo era ed è ancora quello di evitare che lo Stato, e di riflesso i contribuenti, debbano sopportare i costi di una procedura penale aperta in seguito al comportamento riprovevole di un accusato (decisioni dell’allora Camera dei ricorsi penali 14.3.2006 in re V.P., inc. 60.2004.395; 13.1.2006 in re E.P., inc. 60.2005.76; 14.3.2006 in re C.G., inc. 60.2003.421; 10.7.2006 in re M.B., inc. 60.2005.344; 28.6.2006 in re A.B., inc. 60.2005.240; 24.7.2006 in re F.F., inc. 60.2005.424).
Il diritto civile non scritto vieta infatti di creare una situazione tale da causare un danno ad altri senza prendere le necessarie precauzioni (DTF 126 III 113): i costi diretti ed indiretti di una procedura penale, compresa l’indennità che deve eventualmente essere rifusa all’accusato prosciolto (ora imputato assolto), costituiscono certamente un danno per la collettività (decisione TF 1P.301/2002 del 22.7.2002).
3.5.
Nel caso concreto, per quanto attiene al danno relativo al cambio della valuta, il reclamante, incappato in un controllo e trovato in possesso di un’importante somma di denaro, pur sapendo e disponendo della documentazione atta a comprovare l’origine lecita dei fondi, ha preferito fornire una prima versione inveritiera e poco credibile dei fatti, che conseguentemente ha provocato l’apertura del procedimento a suo carico.
Egli aveva certo il diritto di tacere o di non dire la verità: non viene certo punito per questo sul piano penale. Tuttavia, l’imputato che, pur sapendo e potendo documentare la provenienza lecita dei fondi, tace o dice cose non vere, assume la responsabilità di questi suoi atti in relazione all’apertura, all’evoluzione e alla continuazione del procedimento.
L’aver taciuto l’origine lecita (e documentabile) dei fondi, l’aver fornito una prima versione non vera e poco credibile, ha cagionato l’apertura del procedimento e la conseguente perquisizione: quanto trovato nella vettura e a casa sua, così come le ulteriori diverse versioni, hanno ovviamente protratto il procedimento.
Con questo suo atteggiamento, certo consentitogli, ha colpevolmente cagionato l’apertura del procedimento e il protrarsi del medesimo, assumendosi in tal modo la responsabilità dei danni che ne sono derivati. Di conseguenza egli deve sopportare gli inconvenienti che questo suo atteggiamento ha ingenerato, come pure i costi di patrocinio e la differenza di cambio realizzatasi nel tempo.
Analogamente alla persona che, per esempio, a torto si autoaccusa di un incendio, comportando l’apertura di un procedimento a suo carico, anche il qui reclamante, decidendo di non fornire immediatamente le spiegazioni e i documenti sulla provenienza lecita del denaro, ha generato e protratto il procedimento a suo carico. Una simile soluzione è ammessa anche dalla dottrina (
BSK StPO – S. WEHRENBERG / I. BERNHARD, art. 430 CPP n. 12-13
), oltre che dalla giurisprudenza già menzionata.
A ragione quindi il magistrato inquirente ha negato qualsiasi indennizzo ai sensi dell’art. 430 CPP, posto come il reclamante con il suo comportamento abbia concorso alla realizzazione dei fatti che hanno portato all’apertura del procedimento penale.
La decisione del procuratore pubblico di non assegnare alcun risarcimento ex art. 429 CPP é pertanto meritevole di tutela nel merito.
3.6.
Nell’ottica dell’art. 429 CPP, ci si può interrogare a sapere se una differenza di cambio, insorta nel tempo, possa assurgere a danno risarcibile.
Nel caso concreto, occorre rilevare come il cambio da CHF in Euro sia avvenuto subito e con il consenso del reclamante. In tempi brevi é pure stato effettuato l’esame sulle banconote recuperate.
Il reclamante quindi, già a quel momento, avrebbe potuto chiedere il cambio della somma in franchi svizzeri. Avrebbe anzi dovuto richiederlo, in applicazione del principio della buona fede e del principio del diritto della responsabilità civile, in base al quale il danneggiato (anche ipotetico) deve contenere il possibile danno.
Come esposto al punto precedente, l’art. 430 CPP esclude in ogni caso la rifusione dell’importo preteso.
4.
Il gravame è respinto. Tassa di giustizia, spese e ripetibili sono poste a carico dell’insorgente, soccombente. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,012 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
a0a2bb28-6e3a-575b-9e65-b75aaefe98b1 | in fatto: A.
Nell’ottobre del 2007 RI 1 ha affittato a RI 2 un appartamento di sua proprietà situato a _.
Alla fine del rapporto di locazione, nel febbraio del 2008, ritenuto che il conduttore non ha mai corrisposto al locatore le pigioni dovute, è sorta tra le parti una vertenza civile inerente la liberazione del deposito cauzionale.
B.
In data 16 novembre 2008, nell’ambito della suddetta vertenza, RI 1 ha inviato al Pretore di _ un allegato di risposta nel quale egli ha affermato che
“è lui
(ndr.: RI 2)
che mi ha sfruttato e che è delinquente e imbroglione (o meglio truffatore). Truffatore perché tra l’altro firmava impegni contrattuali e locazioni che sapeva già di non poter pagare con le sue
entrate e anche perché si fa prestare (...) somme dell’ordine di fr. 1'000.-”.
C.
Preso atto di queste affermazioni, in data 4 aprile 2009, RI 2 ha sporto querela contro RI 1 per i titoli – tra gli altri – di calunnia, ingiuria e diffamazione.
Con decreto d’accusa 8 giugno 2009, il procuratore pubblico ha dichiarato RI 1 colpevole di ingiuria, proponendo la sua condanna alla pena pecuniaria – sospesa condizionalmente per un periodo di due anni – di fr. 300.- (corrispondente a 5 aliquote da fr. 60.-) e ad una multa di fr. 200.-.
Contro il decreto di accusa il prevenuto ha sollevato tempestiva opposizione.
D.
Nel frattempo, con decreto d’accusa 19 gennaio 2009, anche RI 2, querelato da RI 1, è stato dichiarato colpevole di diffamazione per aver riferito a terze persone che il querelante si era più volte introdotto nel suo appartamento in sua assenza ed a sua insaputa, sottraendo documentazione relativa al contratto di locazione e rendendosi così autore di violazione di domicilio e furto.
Anche in questo caso il prevenuto ha sollevato tempestiva opposizione.
E.
Dopo il dibattimento – durante il quale al prevenuto è stata prospettata, ai sensi dell’art. 250 CPP, anche l’accusa di diffamazione – con sentenza del 12 gennaio 2010, il giudice della Pretura penale, statuendo su entrambe le opposizioni, ha dichiarato RI 1 autore colpevole di diffamazione per avere, tramite lo scritto indirizzato alla Pretura di _, incolpato e reso sospetto RI 2 di condotta disonorevole nuocendo così alla sua reputazione.
Egli lo ha, pertanto, condannato alla pena pecuniaria indicata nel decreto d’accusa e al pagamento di una multa fr. 100.-, oltre al pagamento della tassa e spese di giustizia di complessivi fr. 780.-.
Anche la condanna di RI 2 per il reato di diffamazione è stata confermata dal giudice della Pretura penale.
F.
Avverso la predetta sentenza è insorto RI 1 con dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e revisione penale di data 12 gennaio 2010.
Nella motivazione scritta, presentata il 12 febbraio 2010, egli postula l’annullamento della sentenza impugnata e il proprio proscioglimento dall’accusa di diffamazione.
G.
Il ricorso non ha fatto oggetto d’intimazione. | Considerando
in diritto: 1.
RI 1 esordisce affermando di non aver scritto la frase incriminata per “
fare della pura maldicenza, ma per difendermi nella causa civile promossa dal RI 2 e per parlare chiaro col pretore facendo notare come lo stesso firmava contratti che già sapeva di non poter pa
gare”.
In sostanza, così argomentando, il ricorrente sostiene che la frase incriminata era giustificata dal suo diritto di allegare i fatti.
1.1.
Il giudice della Pretura penale ha dapprima rilevato che lo scritto in questione, ha leso in maniera grave l’onore di RI 2 che è stato tacciato di
“delinquente”
,
“imbroglione”
e
“truffatore”
(sentenza, consid. 10 pag. 8).
Passando, poi, all’esame dell’esistenza di un motivo giustificativo giusta l’art. 14 CP il primo giudice, dopo aver ricordato i presupposti per i quali, nell’ambito di un procedimento giudiziario, una parte o il suo avvocato possono appellarsi al dovere procedurale di allegare i fatti, ha concluso che
“nel caso in esame manca la buona fede (...), manca la pertinenza e manca soprattutto il fatto di aver formulato le detrazioni chiarendo che si tratta di mere ipotesi di parte”
(sentenza, consid. 13 pag. 10).
1.2.
Si rende colpevole di diffamazione giusta l'art. 173 cifra 1 CP chiunque, comunicando con un terzo, incolpa o rende sospetta una persona di condotta disonorevole o di altri fatti che possano nuocere alla reputazione di lei come pure chiunque divulga una tale incolpazione o un tale sospetto. La diffamazione può essere commessa mediante dichiarazioni orali, scritti, immagini, gesti o qualunque altro mezzo (art. 176 CP).
Le norme penali di cui agli art. 173 segg. CP tutelano l'onore personale, la reputazione e il sentimento di essere un uomo d'onore, ossia di comportarsi secondo le regole riconosciute. L'onore protetto dal diritto penale è concepito in modo generale come un diritto al rispetto. Questo diritto risulta leso da affermazioni idonee ad esporre la persona interessata al disprezzo nella sua veste di uomo (DTF 132 IV 112 consid. 2.1). Determinante per stabilire se un'asserzione sia lesiva della reputazione di una persona non è il senso che quest'ultima le attribuisce, bensì l'impressione globale che essa, secondo un'interpretazione oggettiva, suscita nell'uditore o nel lettore medio non prevenuto considerate le circostanze concrete del caso (DTF 131 IV 160 consid. 3.3.3). Nel valutare, in particolare, se un testo sia diffamatorio, occorre esaminare non solo le espressioni utilizzate, prese separatamente, ma anche il senso generale che risulta dal testo nel suo complesso (cfr. sentenza del TF del 22 dicembre 2009 6B_906/2009 consid. 2.1; sentenza del TF del 14 maggio 2002 6S.664/2001 consid. 1a; DTF 128 IV 53 consid. 1a).
La norma presuppone che l’autore si rivolga, direttamente o indirettamente, ad un terzo, che è di principio qualsiasi persona che non coincide con l’autore o con la vittima: ad esempio, quindi, di principio anche i familiari o un’autorità giudiziaria (Riklin, in: Basler Kommentar, Strafrecht II, Basilea 2007, n. 6 ad art. 173 CP; CP; Corboz, Les infractions en droit suisse, Volume I, Berna 2002, n. 32 ad art. 173 CP)
In virtù dell'art. 173 cifra 2 CP, il colpevole non incorre in alcuna pena se prova di avere detto o divulgato cose vere oppure prova di avere avuto seri motivi di considerarle vere in buona fede. Le prove liberatorie di tale norma entrano in considerazione solo ove l'impunità non risulti già da un fatto giustificativo, come ad esempio l'atto permesso dalla legge (cfr. sentenza del TF del 22 dicembre 2009 6B_906/2009 consid. 2.2; DTF 131 IV 154 consid. 1.3.1). Giusta l'art. 14 CP, chiunque agisce come lo impone o lo consente la legge si comporta lecitamente anche se l'atto in sé sarebbe punibile secondo il codice penale o un'altra legge.
La giurisprudenza ha già avuto modo di stabilire che, nell'ambito di una procedura giudiziaria, le dichiarazioni lesive dell'onore espresse da una parte o dal suo patrocinatore sono giustificate dal diritto di perorare la propria causa e dai doveri a questo relativi, risultanti dalla Costituzione e dalla legge, purché esse siano pertinenti, non esorbitino da quanto necessario, non siano inutilmente offensive e non vengano diffuse in mala fede e purché semplici ipotesi siano designate come tali (cfr. sentenza del TF del 22 dicembre 2009 6B_906/2009 consid. 2.2; DTF 131 IV 154 consid. 1.3.1). Alle parti va in sostanza riconosciuta una certa libertà di retorica che permette loro anche l'esternazione di valutazioni un po' esagerate o addirittura provocatorie, nella misura in cui le loro dichiarazioni non appaiano completamente prive di pertinenza o inutilmente offensive (cfr. sentenza del TF del 22 dicembre 2009 6B_906/2009 consid. 2.2; sentenza 6S.453/2004 del 2 maggio 2005, consid. 4.1 concernente un avvocato).
1.3.
Nel caso in esame, la sentenza impugnata resiste alla critica ricorsuale. Innanzitutto è pacifico, e il ricorrente invero nemmeno contesta, che lo scritto nel quale RI 1 taccia RI 2 di
“delinquente e imbroglione (o meglio truffatore)”
è oggettivamente suscettibile di nuocere alla reputazione di quest’ultimo, ritenuta la palese connotazione moralmente negativa degli epiteti in esso contenuti.
Ciò posto, occorre ancora esaminare se le dichiarazioni di RI 1 possono essere considerate giustificate ai sensi dell’art. 14 CP.
Nell’operare questa valutazione va, innanzitutto, considerato che le dichiarazioni incriminate sono state enunciate da RI 1 nell’ambito di una causa giudiziaria in materia di locazione che lo opponeva al RI 2. Più precisamente, il ricorrente, con lo scritto in questione, prendeva posizione sull’istanza della parte civile che, sostenendo l’esistenza di difetti nell’appartamento (segnatamente il malfunzionamento del riscaldamento), si opponeva alla liberazione, chiesta dal locatore, del deposito cauzionale di fr. 5'000.- a parziale copertura delle pigioni ancora scoperte.
Anche ammettendo, come visto, che nell’ambito di un procedimento giudiziario le parti devono poter perorare la loro causa e godono, in quest’ottica, di una certa libertà di retorica, si osserva come, in concreto, non si possa ritenere che le affermazioni proferite dal ricorrente fossero pertinenti all’oggetto del contendere né che fossero necessarie per far valere i suoi diritti. Ai fini della causa, ovvero ai fini dell’ottenimento della liberazione del deposito cauzionale, non aveva, infatti, alcun senso sostenere che RI 2 era un truffatore
“perché tra l’altro firmava impegni contrattuali per locazioni che sapeva già di non poter pagare e si fa prestare somme dell’ordine di fr. 1000.- con l’intenzione di non restituirli”
e un delinquente
“perché ha denunciato un furto inesistente accusandomi dolosamente”
(cfr. risposta 14 gennaio 2009 di RI 1 all’istanza di RI 2, allegata al rapporto d’inchiesta della polizia giudiziaria, pag. 4). Per ottenere la liberazione del deposito – richiesta peraltro già accolta in sede di Ufficio di conciliazione in materia di locazione – RI 1 doveva semplicemente limitarsi a ribadire che le pigioni non erano ancora state pagate e che gli asseriti difetti al riscaldamento, in realtà, non esistevano. In questo contesto, la questione delle qualità personali e dell’onestà del locatario è, infatti, totalmente irrilevante.
In siffatte circostanze gli epiteti utilizzati dal ricorrente appaiono, perciò, inutilmente offensivi e, come tali, non possono essere giustificati dal suo diritto di far valere in giudizio la propria opinione.
Ne discende che, su questo punto, il ricorso dev’essere disatteso.
2.
Rilevando di non aver agito
“per fare della pura maldicenza”
RI 1 contesta pure le conclusioni del primo giudice inerenti la sua ammissione alle prove liberatorie.
2.1.
Determinandosi sull’ammissione del ricorrente alle prove liberatorie, il primo giudice ha, dapprima, osservato che dalla lettura del testo e dall’atteggiamento assunto in aula da RI 1 – che ha a più riprese ripetuto gli epiteti del suo allegato scritto – emerge
“che all’origine del loro impiego vi era la primaria volontà di fare della maldicenza e di mettere in cattiva luce il suo ex inquilino”
. In effetti – spiega il pretore –
“gli stessi non erano assolutamente necessari per esprimere le sue argomentazioni di diritto in merito alla controversia giudiziaria aperta a seguito del contratto di locazione, ma sono la mera espressione della sua rabbia per non essere stato pagato”
. A mente del primo giudice,
“pur essendo comprensibile che il mancato pagamento dei canoni di locazione porti ad un esacerbamento delle relazioni personali, dal punto di vista del diritto penale non è giustificabile far capo a termini come quelli utilizzati dal signor RI 1”
(sentenza, consid. 11 pag. 9).
Quanto all’esistenza di un sufficiente interesse pubblico o privato, il pretore ha rilevato che,
“essendo le denigrazioni state formulate dal signor RI 1 semplicemente per mettere in cattiva luce l’ex inquilino”
, non è ipotizzabile che egli abbia agito per meglio far comprendere al pretore i fatti che avrebbe dovuto giudicare (sentenza, consid. 12 pag. 10).
2.2.
L’art. 173 cifra 2 CPS prevede che il colpevole di diffamazione non incorre in alcuna pena se prova di avere detto o divulgato cose vere (prova della verità) oppure prova di avere avuto seri motivi di considerarle vere in buona fede (prova della buona fede).
La prova liberatoria può, tuttavia, essere negata se l'autore ha proferito o divulgato le affermazioni lesive dell'onore senza che queste fossero giustificate dall'interesse pubblico o da un altro motivo sufficiente, prevalentemente nell'intento di fare della maldicenza, in particolare quando si riferiscono alla vita privata o alla vita di famiglia (art. 173 cifra 3 CP).
Determinare se l’autore deve essere ammesso o meno alla prova della verità è una questione di diritto che il giudice esamina d'ufficio (DTF 132 IV 116 consid. 3.1; Corboz, op. cit., n. 68 ad art. 173 CPS).
L’interesse pubblico o privato invocato dall’autore deve essere oggettivamente sufficiente a giustificare l’utilizzo delle allegazioni incriminate e deve costituire il movente che lo ha spinto a formularle (cfr. sentenza del TF del 10 settembre 2003 6S.171/2003 consid. 2.3; Hurtado Pozo, Droit pénal, Partie spéciale II, Zurigo 1998 pag. 36 n. 129 e seg.). Ciò è il caso, ad esempio, per le dichiarazioni della moglie rilasciate in una procedura di divorzio e relative al fatto che il marito ha avuto rapporti sessuali con una ragazza (DTF 96 IV 56), per le informazioni concernenti un candidato per un posto di lavoro fornite al datore di lavoro (DTF 81 IV 283) o per quelle fornite ad un commerciante e relative alla solvibilità di un suo cliente (DTF 71 IV 130).
Per contro, non vi è motivo sufficiente per rendere noto a terzi che una persona ha subìto molto tempo prima una condanna penale (DTF 71 IV 131), anche se il Tribunale federale, considerate le particolarità della fattispecie, ha deciso diversamente nel caso di precedenti a carico di un avvocato (DTF 69 IV 165 consid. 2) o di un capo della polizia (DTF 101 IV 291).
L’intento di fare della maldicenza (
animus iniuriandi
) è invece ammesso quando l’autore agisce con l’obiettivo finale di offendere o umiliare la vittima, di sparlare sulla sua persona o di altrimenti danneggiarla (Trechsel, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Zurigo 2008, ad art. 173 n. 25; Donatsch, Strafrecht III, Delikte gegen den Einzelnen, 9a edizione, Zurigo 2008, pag. 365 e seg.).
I due requisiti – mancato interesse pubblico o privato e prevalente intenzione di fare maldicenza – devono ricorrere cumulativamente (DTF 132 IV 116, 116 IV 31 consid. 3 pag. 38, 101 IV 292 consid. 2; sentenza del Tribunale federale 6S.493/2006 del 28 dicembre 2006, consid. 2).
2.3.
Emerge dal considerando 1.3 come le affermazioni incriminate, contenute nell’allegato consegnato al giudice civile, non hanno nessuna pertinenza con l’oggetto discusso davanti alla Pretura di _, sicché le stesse si rivelano oggettivamente prive di un sufficiente interesse pubblico o privato.
Quanto all’esistenza di un
animus iniuriandi
, si ribadisce che le espressioni utilizzate da RI 1 non erano assolutamente necessarie per sostanziare le sue pretese relative alla liberazione del deposito cauzionale. Non si può, quindi, non giungere alla conclusione che egli, tacciando il suo ex inquilino di
“delinquente”
,
“imbroglione”
e
“truffatore”
e facendo esplicito riferimento a fatti attinenti alla sua vita privata (in particolare alla circostanza per cui prendeva in affitto appartamenti pur sapendo di non poter far fronte al pagamento della pigione e per cui si faceva prestare del denaro pur sapendo di non poter restituirlo), ha agito con l’obiettivo principale di riportare malignità sulla sua persona e di metterlo, così, in cattiva luce agli occhi di chi doveva giudicarlo.
Da quanto precede non si può che concludere che RI 1 ha agito prevalentemente nell’intento di fare della maldicenza e che, pertanto, conformemente all’art. 173 cifra 3 CP egli non può essere ammesso alle prove liberatorie di cui all’art. 173 cifra 2 CP.
Il ricorso deve, perciò, essere respinto.
3.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza e sono posti a carico del ricorrente (art. 15 cpv. 1 in combinazione con l’art. 9 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,010 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
a0dc3222-9630-5a48-993a-efdf6326ce61 | in fatto: A.
Con decreto di accusa 17 marzo 2008, il procuratore pubblico ha riconosciuto RI 1 autrice colpevole di istigazione a favoreggiamento per avere, il 2 maggio 2007, istigato _ a commettere atti di favoreggiamento in favore di _, oggetto di un’inchiesta penale avviata sull’ipotesi di truffa e lesioni semplici in relazione all’esercizio abusivo della professione di operatore sanitario.
In particolare, il procuratore pubblico ha ritenuto RI 1 colpevole di avere, nella sua qualità di difensore di _ e su richiesta di quest’ultimo (all’epoca, in stato di detenzione preventiva), intenzionalmente determinato _ ad occultare mezzi di prova e denaro contante per sottrarli al sequestro degli inquirenti. E meglio, l’avvocatessa è stata considerata colpevole di istigazione a favoreggiamento per avere detto a _ di prendere in consegna, trafugandolo dal domicilio di _ ed occultandolo presso la sua abitazione di _, un armadietto chiuso a chiave, contenente documentazione probatoria e banconote in varie valute per un valore di fr. 80'000.-, nonché di avere dato istruzioni alla moglie di _ di consegnare il predetto armadietto a _, affinché lo trafugasse, occultandolo al proprio domicilio.
Il procuratore pubblico ha, pertanto, proposto la condanna dell’avv. RI 1 alla pena pecuniaria di 70 aliquote giornaliere da fr. 350.- ciascuna (corrispondenti a complessivi fr. 24'500.-), sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, oltre alla multa di fr. 3'000.- e al pagamento di tasse e spese.
B.
Statuendo sull’opposizione presentata dall’accusata il 25 marzo 2008, con sentenza 16 settembre 2009, il giudice della Pretura penale ha confermato il capo d’imputazione contenuto nel decreto d’accusa ed ha condannato RI 1 ad una pena pecuniaria di 60 aliquote giornaliere da fr. 350.- ciascuna, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, alla multa di fr. 3'000.- e al pagamento di tasse e spese.
C.
I fatti rilevanti per il giudizio sono, in estrema sintesi, i seguenti.
1.
Il 23 aprile 2007 _, assistito dall’avv. RI 1, fu sentito per la prima volta dal procuratore pubblico quale indiziato in relazione ad “
ipotesi di reato quali la truffa (art. 146 cpv. 1 CP) e lesioni semplici (art. 123 cifra 1 CP) in relazione all’esercizio abusivo della professione di medico”
(AI2, verbale PP 23.4.2007).
Immediatamente dopo l’interrogatorio, il procuratore pubblico ordinò la perquisizione dell’abitazione di _ e “
di ogni altro vano e spazio a sua disposizione
” nonché il “
sequestro di tutti gli oggetti rinvenuti che potessero avere importanza per l’istruzione del processo, sia come mezzi di prova, sia perché soggetti a confisca o a devoluzione allo Stato
” (AI4).
La perquisizione venne effettuata – alla presenza dell’indagato e del suo patrocinatore – dal procuratore pubblico e da due ispettori di polizia coadiuvati dal Farmacista cantonale e da due rappresentanti del Dipartimento della sanità e socialità.
Venne redatto un verbale di perquisizione e sequestro (allegato al rapporto d’esecuzione, AI5) in cui si legge che “
la perquisizione ha dato esito positivo e tutto il materiale sequestrato è stato menzionato nel verbale di perquisizione e sequestro controfirmato da tutti i presenti
”. Nello stesso verbale si legge ancora che “
al termine della perquisizione, i locali adibiti a studio medico, situati al piano terreno dell’abitazione di _ , sono stati chiusi a chiave e alle porte d’entrata sono stati apposti i sigilli
” (AI5).
Così come risulta da tale verbale, vennero sequestrati oggetti e documentazione trovati nello “
studio nell’abitazione (piano rialzato) balcone chiuso
”, nello “
studio medico (piano terreno)
”, nell’“
appartamento P.T. (separato dal resto e chiuso a chiave)
”, nel corridoio e nella “
camera da letto appartamento personale
” (verbale perquisizione e sequestro menzionato).
Dopo un ulteriore interrogatorio (AI 3), quello stesso giorno _ venne arrestato.
2.
Con lettera 26 aprile 2007 (AI9), il procuratore pubblico comunicò all’avv. RI 1 che il lunedì 30 aprile 2007 avrebbe proceduto a “
perquisire la documentazione posta sotto sequestro a _”
(AI9).
3.
Il 27 aprile 2007 l’avv. RI 1 ebbe un primo colloquio libero con il suo patrocinato: con lui discusse alcuni aspetti pratici della sua carcerazione.
4.
Il 30 aprile 2007 – alla presenza di _, dell’avv. RI 1, della moglie dell’accusato e del di lei fratello – il PP e due agenti di polizia, coadiuvati ancora da due rappresentanti del DSS, procedettero alla prevista seconda perquisizione del “
locale PT adibito a studio”
(su cui erano stati apposti i sigilli al termine della perquisizione del 23 aprile precedente) (AI11 e AI5).
Al termine della perquisizione, venne redatto un verbale di sequestro. In esso si legge, in particolare, che “
il locale PT adibito a studio viene nuovamente sigillato. Tutto quanto si trova all’interno permane sotto sequestro
” (AI11 foglio n. 3).
5.
Il 30 aprile 2007, l’avv. RI 1 ha potuto conferire brevemente con il cliente, prima che questi venisse riaccompagnato in carcere. Durante quel breve colloquio, _ le chiese –
“farfugliando
” e “
con poche parole
” (sentenza impugnata, consid. 4.8, pag. 8) – di nascondere un armadietto in ferro che si trovava nella camera da letto dell’appartamento.
Va, qui, precisato che l’armadietto era stato visto dagli inquirenti durante la perquisizione del 23 aprile 2007. Esso era stato aperto e il suo contenuto era stato esaminato (cfr., in particolare, AI20 pag. 7). Soltanto parte del suo contenuto era stato sequestrato (AI9). Alla fine della perquisizione, l’armadietto era stato lasciato là dove era stato trovato senza alcuna restrizione (in particolare, su di esso non sono stati posti i sigilli) e la sua chiave era stata riposta dagli inquirenti nel nascondiglio dove si trovava prima della perquisizione (nell’intercapedine alta di un armadio in legno nella stessa camera).
6.
L’avv. RI 1 riferì quanto dettole dal cliente alla moglie e al fratello di _ che spostarono l’armadietto dalla camera da letto di _ in un’altra camera dell’appartamento.
Nulla è stato imputato all’avv. RI 1 per questo episodio.
7.
Il giorno seguente – si era al 1° maggio 2007 – l’avv. RI 1 si recò in carcere per incontrare nuovamente il suo assistito.
Il mattino seguente, l’avvocato telefonò a _, amico di _, chiedendogli di spostare l’armadietto di cui s’è detto dall’appartamento di _ al suo domicilio a _, ciò che questi fece quel mattino stesso.
In data 9 maggio 2007, l’armadio venne sequestrato dagli inquirenti nel garage di _.
Al suo interno, oltre a documentazione varia sia di tipo personale che professionale (contratti, polizze assicurative, tessere bancarie, carte di credito, documenti e permessi riferiti a soggiorni e lavori svolti da _) e a vari oggetti, venne ritrovato il corrispettivo di fr. 80'000.- in diverse valute (cfr. AI19).
D.
In data 17 settembre 2009 RI 1 ha inoltrato dichiarazione di ricorso contro la sentenza del primo giudice. Nei motivi del gravame, presentato il 27 ottobre 2009, la ricorrente censura il giudizio impugnato per applicazione errata del diritto federale e per accertamento arbitrario dei fatti.
E.
Con osservazioni 26 novembre 2009, il procuratore pubblico ha postulato la reiezione del ricorso, sostenendo come il gravame sia irricevibile e, in ogni caso, infondato. | Considerando
in diritto:
1.
Il ricorso per cassazione è essenzialmente un rimedio di diritto (art. 288 lett. a e b CPP), ritenuto che l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP) e che arbitrario non significa manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 135 V 2 consid. 1.3; 133 I 149 consid. 3.1; 132 I 13 consid. 5.1; 131 I 217 consid. 2.1; 129 I 173 consid. 3.1 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b; 112 Ia consid. 3). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata, né contrapporle una propria versione dell’accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza deve essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 135 V 2 consid. 1.3; 133 I 149, consid. 3.1; 132 I 13 consid. 5.1; 131 I 217 consid. 2.1; 129 I 8 consid. 2.1; 173 consid. 3.1).
2.
Fra le altre censure proposte, la ricorrente lamenta un’errata applicazione del diritto materiale ai fatti accertati sostenendo che, non essendo stato l’armadietto posto sotto sequestro dopo la perquisizione, il suo successivo spostamento non realizza i presupposti oggettivi del reato di cui all’art. 305 CP.
2.1.
Sulla questione, il primo giudice, dopo avere ricordato alcuni presupposti applicativi del disposto in questione ed avere ripercorso l’iter dell’inchiesta condotta dal procuratore pubblico, ha considerato che dal mancato sequestro dell’armadietto non si poteva dedurre “
che lo stesso non fosse d’interesse per l’istruttoria
” a maggior ragione visto che “
non è compito dell’avvocato difensore stabilire, a pochi giorni dall’arresto del proprio cliente, quali oggetti siano importanti per l’inchiesta e quali no
” (sentenza impugnata, consid. 9.1, pag. 12).
2.2.
Rilevato che la norma direttrice dell’art. 305 CP si riconduce al bene giuridico dell’amministrazione della giustizia, la ricorrente ha osservato che l’intralcio e l’impedimento all’amministrazione della giustizia “
deve essere esaminato ed accertato per rapporto ad una situazione processuale
” e che, pertanto, nel suo caso, il rimprovero “
va esaminato nell’ambito della perquisizione domiciliare cui non ha fatto seguito alcun sequestro penale
” (ricorso pag. 7 e 8) .
Quindi la ricorrente ha sottolineato che, quando una perquisizione domiciliare permette di rinvenire delle prove, ad essa segue, “
in via logica e cronologica”
, il sequestro penale. Precisato che, “
nell’ambito di un’attività investigativa, a dipendenza di una perquisizione, l’autorità penale seleziona, fa l’inventario e mette sotto sequestro ciò che interessa
” e che “
se il lavoro di perquisizione non è ultimato, si procede attraverso sequestri provvisori (dunque, una messa sotto sigillo
”) così da poter esaminare in un secondo tempo le carte e poi decidere della loro destinazione, la ricorrente ha rilevato che, in concreto, al termine delle due perquisizioni effettuate sono stati redatti due inventari degli oggetti sequestrati (di data 23 e 30 aprile 2007) e che in essi non figurava l’armadietto in questione, che nemmeno era stato posto sotto sigillo (ricorso pag. 7 e 8).
Ma non solo.
Al termine, della perquisizione – ha continuato la ricorrente – l’autorità penale ha ridato le chiavi dell’armadietto: “
questa evoluzione processuale ha portato ad attestare la libera disponibilità in ordine all’armadietto da parte dell’avente diritto
” (ricorso pag. 10).
Pertanto – si legge ancora nel ricorso – “
nella misura in cui chi perquisisce non pone sotto sequestro e nemmeno blocca provvisoriamente (attraverso sigillo) quanto perquisito, non possiamo in alcun modo, già sul piano fenomenologico e della condotta tipica, parlare di elusione delle indagini e, in via speculare, di condotta tipica di favoreggiamento o di aiuto a favore dell’accusato
” ritenuto, peraltro, che “
il mancato sequestro è attestazione di disinteresse o indifferenza per rapporto alle carte lasciate nella libera disponibilità dell’accusato
” (ricorso pag. 10).
Al momento in cui è avvenuto l’atto incriminato – ha rilevato ancora la ricorrente – “
l’investigazione era già stata posta in essere
” (ricorso, punti 19-24, pag. 8-9) e una perquisizione non può avvenire “
in modo continuativo, ripetitivo ed indiscriminato
” ritenuto, in particolare, che, quando è stata compiuta una perquisizione e non è stato disposto un sequestro, il rispetto del principio della proporzionalità impone che una seconda perquisizione sia “
mirata e calibrata alla luce di fatti nel frattempo emersi concretamente nell’indagine
” (ricorso, punti 30-31, pag. 11) ed é processualmente irrituale e privo di senso ritenere che una perquisizione possa essere “
fatta e rifatta”
in ogni tempo (ricorso, punto 31, pag. 11-12).
2.3.
L’art. 24 cpv. 1 CP definisce istigatore colui che intenzionalmente determina altri a commettere un crimine o un delitto. L’istigazione consiste nel suscitare in una persona o in una cerchia di persone definite la decisione di compiere un atto determinato. L’istigazione implica un influsso di natura psichica o intellettuale volto alla formazione dell’altrui volontà, ritenuto che qualsiasi comportamento idoneo a provocare la determinazione ad agire – un invito, una proposta, una suggestione, eventualmente anche una semplice richiesta – può costituire mezzo d’istigazione (DTF 128 IV 11 consid. 2a e rif.).
Essendo l’istigazione una forma di partecipazione ad un determinato reato, gli elementi costitutivi oggettivi coincidono con quelli del crimine o delitto provocato: per sapere se vi è stata istigazione al reato di favoreggiamento, occorre dunque riferirsi agli elementi di tale infrazione.
a)
Giusta l’art. 305 CP – che protegge l’amministrazione della giustizia penale – chiunque sottrae una persona ad atti di procedimento penale o all’esecuzione di una pena o di una delle misure previste negli art. 59–61, 63 e 64 CP, è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria (cpv. 1).
È parimenti punibile chi sottrae ad atti di procedimento penale estero o all’esecuzione all’estero di una pena detentiva o di una misura ai sensi degli art. 59–61, 63 o 64 CP una persona perseguita o condannata all’estero per un crimine menzionato nell’art. 101 CP (cpv. 1
bis
).
Se fra il colpevole e la persona favoreggiata esistono relazioni così strette da rendere scusabile la sua condotta, il giudice può prescindere da ogni pena (cpv. 2).
La nozione di “
sottrazione ad atti di procedimento penale
” presuppone che l’autore abbia impedito almeno per un certo periodo di tempo un’azione dell’autorità nel corso di un procedimento penale: l’art. 305 CP é un reato di evento e non di sola messa in pericolo (DTF 117 IV 467 consid. 3; STF 24 luglio 2009, inc. 6B_471/2009, consid. 2.1; Delnon/Rüdy, Basler Kommentar, Vol.
II, n. 22 ad art. 305 CP; Cassani, Commentaire du droit pénal suisse, Code pénal suisse, Partie spéciale, Vol. 9: Crimes ou délits contre l'administration de la justice, Berna 1996, n. 10 ad art. 305 CP).
Tale impedimento si realizza, ad esempio, quando una misura coercitiva del diritto processuale quale l’arresto è ritardata per colpa dell’azione dell’autore (DTF 106 IV 189 consid. 2c; 104 IV 186 consid. 1b; 103 IV 98 consid. 1). Entrano, poi, in considerazione, fra gli altri, la dissimulazione di mezzi di prova, la modifica della situazione di fatto o una descrizione inveritiera di tale situazione, il nascondere o il trasportare in altro luogo o il sostenere finanziariamente la persona ricercata e latitante (STF 24 luglio 2009, inc. 6B_471/2009, consid. 2.1; STF 11 ottobre 2007, inc. 6B_334/2007, consid. 8.1.; Cassani, op. cit., n. 15 ad art. 305 CP; Stefan Trechsel, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Praxiskommentar, Zurigo/S.Gallo 2008, n. 7-9 ad art. 305 CP; Bernard Corboz, Les infractions en droit suisse, vol. II, Berna 2002, n. 28 ad art. 305 CP).
Perché l’art. 305 CP possa trovare applicazione, deve essere dimostrato che l’autore del reato (o il sospetto autore) è stato sottratto per un certo lasso di tempo all’azione della polizia a seguito del comportamento dell’autore (DTF 129 IV 138 consid. 2.1; 117 IV 467 consid. 3; Corboz, op. cit., n. 26 ad art. 305 CP; Cassani, op. cit., n. 13-14 ad art. 305 CP). E’, infatti, necessario che l’autore con il suo comportamento causi – anche solo temporaneamente – un aggravio delle indagini o del perseguimento della persona sospettata (Donatsch/Wohlers, Strafrecht IV, Delikte gegen die Allgemeinheit, 3. ed., § 98, pag. 382). Un semplice atto di assistenza, che turba il procedimento solo in modo passeggero o in maniera insignificante non è dunque sufficiente (STF 24 luglio 2009, inc. 6B_471/2009, consid. 2.1).
Non importa, infine, se al momento del favoreggiamento non sia ancora stata avviata una procedura penale o che nessun procedimento venga mai aperto (Corboz, op. cit., n. 16 ad art. 305 CP e rinvii; Cassani, op. cit., n. 10 ad art. 305 CP; CCRP del 15 dicembre 2005, inc. 17.2003.49, consid. 5a).
b)
Secondo giurisprudenza e dottrina, gli atti del patrocinatore di una persona accusata di avere commesso un reato non possono costituire favoreggiamento nella misura in cui l’avvocato si limita ad assolvere il proprio mandato nel rispetto dei propri doveri deontologici o a consigliare al cliente di esercitare i propri diritti (diritto di tacere, diritto di non testimoniare, diritto di utilizzare i mezzi di ricorso disponibili, eccetera) (STF del 5 giugno 1996, inc. 6S.152/1996, consid. 2b, in: Pladöyer 4/1996 pag. 63-64; Cassani, op. cit., n. 28 ad art. 305 CP). In questi casi, infatti, il patrocinatore – pur cercando di sottrarre il cliente ad una condanna – non fa che esercitare la sua professione in conformità con i diritti riconosciuti alla difesa (Corboz, op. cit., n. 31 ad art. 305 CP). Può sussistere un reato di favoreggiamento unicamente quando l’avvocato si distanzia dalla sua missione, per esempio ostacolando il regolare processo di assunzione delle prove (facendo sparire/asportando dei mezzi di prova) o ostacolando l’espletamento di misure che assicurino i mezzi di prova oppure incitando a false deposizioni oppure, ancora, nascondendo una persona ricercata (Corboz, op. cit., n. 31 ad art. 305 CP e rinvii; Donatsch/Wohlers, op. cit., § 98, pag. 382). Vi è, quindi, favoreggiamento nell’ambito di una difesa penale laddove vengano utilizzati mezzi processualmente inammissibili (Delnon/Rüdy, op. cit., n. 9 ad art. 305 CP). Si rende, ad esempio, colpevole di favoreggiamento il patrocinatore che conserva nel suo studio dei documenti a carico del cliente per evitare che vengano scoperti nel corso di una perquisizione domiciliare (STF del 5 giugno 1996, inc. 6S.152/1996, consid. 2b, in: Pladöyer 4/1996 pag. 63-64).
c)
Il capitolo VI del codice di procedura penale ticinese (art. 157-165 CPP) è consacrato alla perquisizione e al sequestro.
Giusta l’art. 161 CPP, il magistrato deve ordinare il sequestro di tutti gli oggetti che possono avere importanza per l’istruzione del processo come mezzi di prova oppure che possono essere confiscati o devoluti allo Stato (cpv. 1). In particolare il magistrato deve sequestrare gli oggetti, il denaro o gli altri valori di cui l’indiziato o l’accusato è entrato in possesso con il reato o il relativo ricavo (cpv. 2 lett. a) e gli oggetti ed i valori presumibilmente soggetti alla confisca o alla devoluzione allo Stato giusta gli art. 69-72 CPS (cpv. 2 lett. b).
La norma impone al procuratore pubblico di ordinare il sequestro di tutti gli oggetti che possono avere qualche importanza per l'istruzione del processo, sia come mezzi di prova, sia perché soggetti a confisca o a devoluzione allo Stato (sentenza CRP del 15 dicembre 2004, inc. 60.2004.197, consid. 1). Il sequestro, per la sua qualità di provvedimento cautelare, ha lo scopo di acquisire e conservare gli oggetti e i documenti necessari per l’istruzione formale, per le decisioni del magistrato inquirente e per quelle del giudice del merito nella duplice prospettiva – alternativa o cumulativa – della produzione e valutazione delle prove e della decisione di confisca, restituzione o devoluzione, come agli art. 58 ss. CP e 165, 270-271 CPP. In particolare, il sequestro probatorio serve all'acquisizione di mezzi di prova, cioè di tutte quelle cose che direttamente o indirettamente possono portare la prova della fattispecie o chiarire le circostanze (sentenza CRP del 15 dicembre 2004, inc. 60.2004.197, consid. 1). E' sufficiente, perché vi possa essere sequestro, che vi sia una certa probabilità che l'oggetto sia direttamente o indirettamente connesso con la fattispecie penale (sentenza CRP del 15 dicembre 2004, inc. 60.2004.197, consid.
1; R. Hauser / E. Schweri, Schweizerisches Strafprozessrecht, 5. ed., Basilea 2002, § 69 n. 2; G. Piquerez, Procédure pénale suisse, Zurigo 2000, n. 2546).
Frequentemente il sequestro viene preceduto da una perquisizione (Schmid, Strafprozessrecht, 3. ed. Zurigo 1997, § 45 n. 740), di cui è spesso lo scopo e la conseguenza, ma non necessariamente, in quanto i mezzi di prova possono anche essere consegnati volontariamente dai loro detentori. Quindi, seppur ciò avvenga più raramente, è ipotizzabile un ordine di sequestro senza preventiva perquisizione, in particolare nei casi in cui l’oggetto del provvedimento sia stato identificato e localizzato con precisione (Rep. 1997 n. 102, pag. 299; Piquerez, Manuel de procédure pénale suisse, Zurigo 2001, n. 1636).
2.4.
La tesi della ricorrente secondo cui l’impedimento alle indagini deve essere esaminato con riferimento al momento processuale per cui, essendo già stato l’armadietto in questione perquisito il 23 aprile 2008 senza un susseguente suo sequestro (o, almeno, una sua messa sotto sigilli), il suo occultamento non può più, già dal profilo oggettivo, essere costitutivo di favoreggiamento – pur se suggestiva e tentatrice – non può essere condivisa.
Se è vero che il comportamento dell’autorità inquirente (che dopo aver proceduto ad un esame dell’armadietto e della documentazione in esso contenuta non ha ritenuto di doverlo porre sotto sequestro) desta perplessità, va riconosciuto che il CPP non pone limiti temporali al momento in cui un sequestro deve intervenire durante il procedimento d’istruzione. L’art. 161 CPP, che impone al procuratore pubblico di sequestrare tutti gli oggetti che possono avere importanza per l’istruzione del processo come mezzi di prova, non prevede la decadenza della possibilità di sequestrare se questo provvedimento non viene effettuato immediatamente dopo la perquisizione e, pertanto, il mancato sequestro di oggetti nel corso o subito dopo una perquisizione non comporta alcuna conseguenza processuale. Se appare logico – e doveroso per gli inquirenti – che nel caso in cui vengano reperiti mezzi di prova potenzialmente rilevanti nel corso di una perquisizione, essi facciano immediatamente l’oggetto di una misura di sequestro, non è né escluso né vietato dal CPP che un provvedimento di sequestro venga messo in atto
in un secondo tempo (per esempio, nel caso in cui gli inquirenti si rendano conto soltanto in un secondo tempo del valore probatorio di un documento già visto ed esaminato o nel caso in cui esso assuma rilevanza a dipendenza di nuove emergenze istruttorie). Non trova, pertanto, riscontro la tesi difensiva secondo cui “
un armadietto perquisito e non sequestrato
” si trova, già solo per questo e dal profilo oggettivo, “
sostanzialmente al di fuori dell’area normativa del reato di favoreggiamento
”.
Da questo punto di vista, pertanto, il fatto che l’armadietto in questione sia stato perquisito e che, dopo tale perquisizione, esso non sia stato fatto oggetto di un sequestro né sia stato posto sotto sigillo, non basta ad escludere, dal profilo oggettivo, che il suo successivo spostamento sia rilevante dal profilo dell’applicazione dell’art. 305 CP.
Nemmeno basta a sostenerne la tesi, l’argomento sviluppato dalla ricorrente in relazione alla STF 5 giugno 1996 6S.152/1996 (pubblicata a pag. 63 della rivista Plädoyer 4/1996) ritenuto che – così come il primo giudice intendeva – il luogo ove le autorità “
kaum Anlass zur Suche haben
” è quello in cui l’autore del favoreggiamento nasconde le prove, non quello in cui le prove si trovavano in origine (cfr. consid. 2c della sentenza citata).
Nel caso concreto, il fatto che inizialmente – ovvero prima del suo spostamento – l’armadietto fosse accessibile tanto che “
l’accesso si è concretizzato attraverso un atto processuale di perquisizione
” non è rilevante nella misura in cui il suo spostamento presso il garage di _ lo ha, successivamente, reso – almeno momentaneamente – indisponibile e ne ha (almeno teoricamente) ostacolato il reperimento da parte degli inquirenti al momento in cui essi hanno voluto mettere in atto il sequestro.
Senza pertinenza è, dal profilo oggettivo, il fatto che l’oggetto fosse “
nella libera disponibilità del favoreggiato
”: la legge non prevede infatti il contrario per la realizzazione degli elementi costitutivi del reato.
Quanto alla tesi ricorsuale – sviluppata in relazione al denaro trovato nell’armadietto – secondo cui il reato di favoreggiamento non è prospettabile per valori patrimoniali, trattandosi semmai di riciclaggio ai sensi dell’art. 305
bis
CP (ricorso, punti 60-61, pag. 23), si osserva che fra il reato di favoreggiamento ex art. 305 CP (favoreggiamento “personale”) e il reato di riciclaggio di denaro ex art. 305
bis
CP (favoreggiamento “materiale”) esiste un concorso perfetto. Sebbene il bene giuridicamente protetto dalle norme sia lo stesso (ovvero l’amministrazione della giustizia), lo scopo dell’autore del reato e l’atto ostacolato sono diversi nelle due norme: infatti, in un caso l’autore vuole ostacolare l’azione penale contro una persona e nell’altro vuole, invece, ostacolare la confisca del denaro (Graber, Geldwäscherei, Berna 1990, pag. 178; SJZ 89 (1993) n. 13, pag. 232; Cassani, op. cit., ad art. 305
bis
n. 64; Corboz, op. cit., ad art. 305
n. 54 e ad art. 305
bis
n. 61; Stratenwerth, op. cit., § 54 n. 42). I due reati possono pertanto coesistere e il favoreggiamento ex art. 305 CP non è escluso per il semplice fatto che l’oggetto nascosto sia del denaro (per un caso di applicazione, cfr. STF dell'11 ottobre 2007, inc. 6B_334/2007, consid. 8.3).
Nemmeno, in concreto, il reato di favoreggiamento può dirsi escluso dal profilo oggettivo per la pretesa assoluta irrilevanza per l’inchiesta della documentazione contenuta nell’armadietto ritenuto che sul contrario accertamento del primo giudice (sentenza impugnata, consid. 10.2, pag. 15) la ricorrente ha espresso critiche che sono da dichiarare irricevibili in quanto immotivate.
Su questo punto, dunque, il ricorso deve essere respinto.
3.
La ricorrente censura, poi, d’arbitrio l’accertamento riguardo l’oggetto del colloquio che lei ebbe con il proprio patrocinato in carcere durante la visita del 1° maggio 2007.
3.1.
Dopo avere ricordato quanto successo il 30 aprile precedente (consid. 7 della sentenza impugnata), il primo giudice ha accertato che il patrocinatore di _ si è recato in carcere già il giorno successivo – quindi in giorno festivo – rilevando come “
questa premura costituisca un evidente indizio a sostegno del fatto che la stessa abbia fondamentalmente subito voluto informare il cliente di non essere riuscita a trasportare l’armadietto fuori dall’abitazione, così come da lui richiesto il giorno prima
” (sentenza impugnata, consid. 8, pag. 11). Poi, il primo giudice ha proseguito nel suo esposto osservando che “
questo sospetto rasenta la certezza se si considera (...) che, con altrettanta celerità, il mattino del 2 maggio 2007, prima delle 10.00, l’avv. RI 1, per organizzare il trasporto del mobiletto in questione, ha telefonato a _, l’unica persona che, per amicizia, sarebbe stata in grado d’esaudire una richiesta di questo tipo
” (sentenza impugnata, consid. 8, pag. 11).
3.2.
La ricorrente sostiene che, in questo accertamento, il primo giudice ha violato il principio in
dubio pro reo
non considerando le dichiarazioni concordi sue e di _ secondo cui, durante il colloquio del 1. maggio 2007, il detenuto precisò al suo avvocato che “
nell’armadietto vi era documentazione personale che non doveva essere vista dalla moglie e che temeva che la moglie potesse avere accesso alle chiavi
” (verb. RI 1 1.6.2007 pag. 2 e 3). “
Questo passaggio essenziale
“ – precisa la ricorrente – “
è stato completamente trascurato dal giudice penale proprio perché quest’ultimo è stato fuorviato dalle considerazioni/conclusioni in ordine a quanto accaduto il 30 aprile 2007”
ed ha completamente dimenticato che _ “
viveva male lo stato di detenzione e contestava apertamente l’arresto
” tanto che in quei giorni il suo patrocinatore aveva presentato alla CRP reclamo contro l’ordine di arresto.
Su questo punto non si comprende – prosegue la ricorrente – come mai il giudice penale abbia creduto alle sue dichiarazioni circa l’oggetto del colloquio avvenuto in carcere il 27 aprile e il contenuto del breve scambio di parole a _ durante la seconda perquisizione e poi, improvvisamente e senza alcuna motivazione, abbia cambiato rotta e l’abbia ritenuta inattendibile quando ha riferito del colloquio del 1. maggio 2007 (ricorso pag. 13 e 14).
3.3.
Sullo scopo della visita in carcere del 1. maggio 2007, nulla è stato chiesto all’imputata esplicitamente né dagli inquirenti né dal primo giudice che ha ritenuto di poter dedurre dalla premura dimostrata che l’avv. RI 1 aveva deciso di far vista al detenuto esclusivamente per comunicargli di non essere riuscita a nascondere l’armadietto.
L’accertamento è arbitrario.
Se la premura dimostrata può essere considerata, in sé, un indizio, esso non può certamente dirsi univoco. In effetti, la premura dimostrata potrebbe, con pari (se non superiore) dignità, essere vista anche come indiziante una diligenza del patrocinatore nel trattare con il proprio patrocinato la questione della detenzione preventiva, in particolare quella del reclamo presentato in quei giorni contro l’ordine di arresto o come una generica sollecitudine dell’avvocato verso il cliente confrontato per la prima volta con una situazione di estremo disagio quale una carcerazione preventiva.
L’univocità dell’indizio non aumenta neppure se si tiene conto del fatto che l’avv. RI 1 ha chiamato _ il giorno successivo al colloquio nella misura in cui la premura lì dimostrata è parimenti compatibile con la tesi dell’accusata, e cioè con la necessità di spostare al più presto l’armadietto dall’appartamento in cui la moglie continuava a vivere per evitare che questa ne reperisse la chiave (il cui nascondiglio non conosceva, cfr. AI13 pag. 2 e dichiarazioni della moglie di _ in AI24 pag. 5) e riuscisse così ad aprirlo e a venire in possesso di materiale della cui esistenza essa andava – secondo le intenzioni di _ – tenuta all’oscuro.
Riguardo a quanto si dissero avvocato e cliente durante il colloquio, agli atti vi è la dichiarazione dell’imputata che, al riguardo, ha detto quanto segue:
“
in quell’occasione egli mi ha detto che nell’armadietto vi era documentazione personale che non doveva essere vista dalla moglie e che temeva che la moglie potesse avere accesso alle chiavi. Mi ha detto che la moglie non conosceva l’esatta ubicazione delle chiavi. Mi ha chiesto di contattare _ e di chiedergli di portar via l’armadietto”
(AI 24, verbale 1.6.2007 pag. 2 e 3)
Queste dichiarazioni sono state confermate da _ (AI 24 pag. 3).
Dagli atti emerge, poi, che:
-
la moglie di _ non conosceva l’ubicazione della chiave dell’armadietto;
-
che la chiave in questione, dopo la perquisizione dell’armadietto, era stata riposta dall’ispettore _ nel suo nascondiglio (e, cioè, era stata appoggiata sull’intercapedine interna dell’armadio grande della camera da letto in cui dormiva solo _);
-
che la moglie, dopo l’arresto del marito, aveva a lungo ma inutilmente cercato la chiave e che fra i due coniugi è eufemistico dire che non correva buon sangue (AI13 pag. 2; AI24 pag. 5);
-
che l’avv. RI 1 non sapeva cosa contenesse l’armadietto.
In queste condizioni, ritenuto che gli elementi accertati e la versione dei due possono essere visti e composti in un insieme coerente, è arbitrario andare oltre le dichiarazioni citate per concludere, come ha fatto il primo giudice, senza alcun elemento oggettivo a sostegno, che, invece, avvocato e cliente discussero esplicitamente di come sottrarre l’armadietto agli inquirenti.
4.
Contestato siccome arbitrario è, pure, l’accertamento dell’aspetto soggettivo.
4.1.
Sulla questione, il primo giudice ha, dapprima, considerato “
evidente
” che l’avv. RI 1 “
pur sapendo che in quel mobile qualcuno ci aveva già messo le mani, nella sua qualità di giurista (ma anche di persona, viste le modalità della richiesta e lo scetticismo di tutti i presenti il 30 aprile e il 2 maggio 2007), non poteva di certo concludere che lo stesso era stato lasciato nella libera disposizione di _
” (sentenza impugnata, consid. 9.3, pag. 12 e 13). Poi, ha osservato che – nell’ipotesi da lei sostenuta, e cioè nell’ipotesi di una sua buona fede – non si comprende come mai l’avv. RI 1 non abbia chiesto agli inquirenti il permesso di portar via l’armadietto osservando come “
un incontestabile dovere di cautela e prudenza, tenuto conto della particolarità del caso e del fatto che l’armadietto era chiuso, le avrebbe perlomeno imposto di chiedere il permesso al magistrato
” (sentenza impugnata, consid. 9.4, pag. 13).
Il primo giudice ha, poi, osservato come l’avv. RI 1 dovesse sapere che il contenuto dell’armadietto poteva essere rilevante per le indagini, ritenuto come dal suo mancato sequestro non poteva essere dedotto nulla di rilevante visto che, il 30 aprile 2007, “
gli inquirenti si erano infatti essenzialmente concentrati sui locali del pianterreno in cui _ svolgeva la sua attività lucrativa
(sentenza impugnata, consid. 7.4, pag. 11) e perché non spetta al difensore stabilire, “
a pochi giorni dall’arresto del proprio cliente, quali oggetti siano importanti per l’inchiesta e quali no
” (sentenza impugnata, consid. 9.1, pag. 12).
Inoltre, il giudice di prime cure ha ritenuto che non era credibile la versione secondo cui “
il mobiletto conteneva unicamente documentazione personale e riservata che il _ voleva nascondere alla moglie”
(sentenza impugnata, consid. 11, pag. 14) poiché non vi era
“nessun motivo plausibile per il quale quel mobile dovesse essere asportato quel giorno e da quel luogo per tale ragione, considerato che giaceva lì da tempo immemorabile e la moglie di _ avrebbe potuto in ogni tempo accedervi, approfittando ad esempio delle numerose e prolungate assenze all’estero da parte del marito
”: visto che i rapporti fra i coniugi erano irrimediabilmente compromessi, se avesse voluto danneggiare il marito, la moglie avrebbe potuto da tempo aprire l’armadietto ed ispezionarne il contenuto (sentenza impugnata, consid. 11, pag. 14 e 15). Inoltre – ha rilevato il primo giudice – la giustificazione è “
incomprensibile anche per il fatto che _ era stata messa al corrente dell’operazione proprio dall’avv. RI 1 (...) ed ha per di più assistito e collaborato al trasporto del mobiletto
” (sentenza impugnata, consid. 11, pag. 14).
Su queste considerazioni, il primo giudice ha concluso che l’imputata ha agito “
con dolo”
(sentenza impugnata, consid. 12, pag. 15) – in realtà, dolo eventuale – ritenuto che “
poteva e doveva intuire che quell’armadietto fosse importante e da lì non avrebbe dovuto farlo spostare
”
poiché
“
si tratta del resto di un avvocato che, pur non vantando una pluriennale esperienza, non può nemmeno essere considerata come un’alunna al primo anno giudiziario
” (sentenza impugnata, consid. 13, pag. 15).
4.2.
Le conclusioni del primo giudice in relazione alla consapevolezza dell’avv. RI 1 sono censurate sia dal profilo dell’arbitrio, sia dal profilo della qualifica giuridica di dolo eventuale.
Sulla questione, la ricorrente ha, dapprima, affermato che “
non può essere trascurato lo scenario che è stato delineato poiché l’avvenuta perquisizione e il mancato sequestro sono elementi incontrovertibili
” di cui lei era a conoscenza nel momento considerato dall’imputazione penale e che, pertanto, “
anche in forza delle regole di esperienza tanto care al giudice penale
” non le può certamente essere rimproverato di avere creduto che il contenuto dell’armadietto non fosse di alcun interesse per gli inquirenti (ricorso, punto 48, pag. 18).
Sottolineando come il tema centrale non sia quello di verificare se lei ha agito in modo ineccepibile dal profilo deontologico ma, invece, sia quello di tracciare “
una corretta linea di demarcazione tra dolo eventuale e negligenza cosciente
”, la ricorrente rileva come “
lo stesso giudice penale tinga la sua motivazione di elementi che, specificatamente, attingono alla situazione dolosa e non colposa
” (ricorso, punto 49, pag. 18).
Contestando le considerazioni del pretore circa la non credibilità – o meglio, la non plausibilità per l’avvocato RI 1 – di quanto detto da _ durante il colloquio del 1. maggio 2007, la ricorrente sottolinea come ancora una volta il primo giudice non si sia confrontato con le emergenze dell’incarto che per lei costituivano, al momento in cui ha chiesto a _ di spostare l’armadietto, degli importanti fattori di plausibilità del racconto di _. In queste condizioni – conclude la ricorrente – lei poteva confidare sia sul fatto che l’armadietto non contenesse nulla di rilevante per l’inchiesta ma solo documentazione personale che _ voleva impedire giungesse nelle mani della moglie.
Pertanto, tutt’al più il suo comportamento può essere qualificato di negligente ma non di intenzionale, anche in applicazione del principio
in dubio pro reo
(ricorso, punti 52-55, pag. 19-20).
4.3.
Dal profilo soggettivo, l’istigazione presuppone l’intenzionalità, anche soltanto nella forma del dolo eventuale: occorre, quindi, che l’istigatore abbia saputo e voluto, o perlomeno previsto ed accettato, che il suo intervento era idoneo a determinare l’istigato a commettere il reato (DTF 128 IV 11, consid. 2a e rif.; Forster, Basler Kommentar, Vol. I, n. 3 ad art. 24 CP). Un’istigazione commessa per negligenza non è punibile, anche se ha di fatto determinato l’autore principale a commettere intenzionalmente il reato (cfr. DTF 105 IV 330, consid. 1; Forster, op. cit., n. 8 ad art. 24 CP).
a)
Anche il reato di favoreggiamento presuppone il dolo, almeno eventuale (DTF 103 IV 98 consid. 2; CCRP del 15 dicembre 2005, inc. 17.2003.49, consid. 5a; CCRP del 10 febbraio 2004, inc. 17.2002.48, consid.
2a; Corboz, op. cit., n. 40 ad art. 305 CP; Stratenwerth, op. cit., n. 15 pag. 307; Cassani, op. cit., n. 31 ad art. 305 CP; Delnon/Rüdi, op. cit., n. 27 ad art. 305 CP).
Il movente è indifferente. Non è neppure necessario che l’autore conosca
precisamente l’infrazione commessa o l’autore, né che abbia agito allo scopo di ostacolare o ritardare l’azione dell’autorità (contra: Donatsch/Wohlers, op. cit., § 98, pag. 385) (Corboz, op. cit., n. 41 ad art. 305 CP; Cassani, op. cit., n. 32 ad art. 305 CP; Stratenwerth, op. cit., n. 15-16 pag. 307-308). L’autore deve per contro sapere (o accettare l’eventualità) che una persona sia esposta ad atti di procedimento penale o all’esecuzione di una pena o di una misura e deve adottare volontariamente un comportamento che sa essere di natura a sottrarre la persona, almeno temporaneamente, all’azione dell’autorità: l’autore deve volere (o accettare l’idea) che il suo comportamento sottrarrà temporaneamente all’azione della giustizia penale una persona esposta ad un procedimento penale o all’esecuzione di una pena o di una misura (DTF 114 IV
36, consid. 2a; Corboz, op. cit., n. 42 ad art. 305 CP).
b)
Per costante giurisprudenza, quanto l’autore di un reato sa, vuole o accetta è un fatto (DTF 128 I 177 consid. 2.2; 128 IV 53 consid. 3a; 125 IV 242 consid. 3c; 119 IV 1 consid. 5a; 110 IV 20 consid. 2; 74 consid. 1c con rinvii). Gli accertamenti del primo giudice secondo cui una persona ha agito con volontà e consapevolezza o ha consentito all'evento delittuoso vincolano la Corte di cassazione e di revisione penale, che è abilitata a rivederli soltanto con cognizione circoscritta all'arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c CPP; per analogia, sul piano federale: Wiprächtiger in: Geiser/Münch, Prozessieren vor Bundesgericht, vol. I, 2a edizione, pag. 226 n. 6.99 con i richiami alla nota 182; Corboz, Le pourvoi en nullité à la Cour de cassation du Tribunal fédéral, in: SJ 113/1991 pag. 94 con la nota n. 246). Ciò significa che il relativo accertamento può essere censurato solo ove risulti manifestamente insostenibile o in aperto contrasto con gli atti (DTF 124 I 208 consid. 4, 174 consid. 2g, 123 I 5 consid. 4a).
Nell’accertamento dei fatti e nella valutazione delle prove, il giudice dispone di un ampio potere di apprezzamento (DTF 129 I 8 consid. 2.1.; 118 Ia 28 consid. 1b; STF 30.03.2007 6P.218/2006) così che, per motivare l’arbitrio, non è sufficiente criticare la decisione impugnata né è sufficiente contrapporvi una diversa versione dei fatti, per quanto sostenibile o addirittura preferibile. E’, invece, necessario indicare in modo preciso gli elementi che rendono manifestamente insostenibile la valutazione delle prove fatta dal primo giudice. In particolare, è necessario dimostrare che essa si trova in chiaro contrasto con gli atti, si fonda su una svista manifesta o contraddice in modo urtante il sentimento di equità e di giustizia. A questo proposito, è opportuno ricordare che il Tribunale federale ha avuto modo di stabilire che un accertamento dei fatti può dirsi arbitrario se il primo giudice ha manifestamente disatteso il senso e la rilevanza di un mezzo di prova oppure ha omesso, senza fondati motivi, di tener conto di una prova idonea ad influire sulla decisione presa oppure, ancora, se il giudice ha tratto dal materiale probatorio disponibile deduzioni insostenibili oppure ancora se l’accertamento contestato non è sostenuto da alcun elemento probatorio (DTF 129 I 8 consid. 2.1.). Il giudice non incorre, invece, in arbitrio quando le sue conclusioni, pur essendo discutibili, sono comunque sostenibili nel risultato. Per contro, una valutazione unilaterale dei mezzi di prova viola il divieto dell'arbitrio (DTF 133 I 149, 132 III 209 consid. 2.1 pag. 211, 131 I 57 consid. 2 pag. 61, 129 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 e sentenze citate).
Un giudizio di colpevolezza può poggiare, mancando prove materiali inoppugnabili o riscontri peritali decisivi, su indizi (DTF non pubblicata 19 aprile 2002 [1P.20/2002] consid. 3.2). In assenza di prove certe, il giudice può, dunque, fondare il proprio convincimento su una serie di indizi valutati in modo logico, obiettivo e coerente: ricordato che un indizio da solo non può bastare, più elementi valutati nel loro complesso e in modo rigoroso possono essere sufficienti ad escludere il ragionevole dubbio e, quindi, possono costituire un valido fondamento per il convincimento del giudice (cfr. Hans Walder, Der Indizienbeweis in Strafprozess, in RPS 108 (1991) pag. 309 cit., in part., in STF 7.05.2003 6P.37/2003 consid. 2.2).
Il principio
in
dubio pro reo
è un corollario della presunzione di innocenza garantita dagli art. 32 cpv. 1 Cost., 6 par. 2 CEDU e 14 cpv. 2 patto ONU II e disciplina sia la valutazione delle prove sia la ripartizione dell'onere probatorio. Per quanto attiene alla valutazione della prove, il principio
in dubio
pro reo
significa che il giudice penale non può dichiararsi convinto di una fattispecie più sfavorevole all'imputato quando, secondo una valutazione non arbitraria del materiale probatorio, sussistono dubbi sul modo in cui si è verificata la fattispecie medesima. Il principio non impone, cioè, che l'assunzione delle prove conduca ad un assoluto convincimento e semplici dubbi astratti e teorici – sempre possibili – non sono sufficienti ad imporre l’applicazione del principio
in dubio pro reo
. Il principio è, perciò, disatteso soltanto quando il giudice penale (che, come visto, dispone di un ampio potere di apprezzamento) avrebbe dovuto nutrire, dopo un'analisi globale e oggettiva delle prove, rilevanti e insopprimibili dubbi sulla colpevolezza dell'imputato (DTF non pubblicata 13 maggio 2008 [6B.230/2008], consid. 2.1., DTF non pubblicata 19 aprile 2002 [1P.20/2002] consid. 3.2; DTF 127 I 38 consid. 2a pag. 41, 124 IV 86 consid. 2a pag. 88, 120 Ia 31 consid. 4b pag. 40). Sotto questo profilo il precetto
in dubio pro reo
ha la stessa portata del divieto dell'arbitrio (DTF 133 I 149, DTF 120 Ia 31 consid. 4b pag. 40).
c)
Dolo eventuale sussiste quando un autore, pur ritenendo possibile che il suo comportamento possa provocare un determinato evento o un determinato risultato, se ne accomoda e agisce ugualmente, augurandosi tutt'al più che l'evento o il risultato non si verifichi (DTF 134 IV 26 consid. 3.2.2; 125 IV 242 consid. 3c pag. 251 con riferimenti; DTF 133 IV 9 consid. 4.1 pag. 16, 131 IV 1 consid. 2.2 e rinvii). Chi si accomoda di un evento, anche se non lo approva e non lo ricerca, lo accetta: pertanto, lo vuole ai sensi dell’art. 12 cpv. 2 CP (DTF 121 IV 249 consid. 3a pag. 253). Basta – perché il dolo eventuale possa essere ammesso – che l’autore ritenga possibile il realizzarsi dell’atto e se ne accolli il rischio (cfr. 18 cpv. 2 vCP). Non è necessario che l’agente desideri tale evento o lo approvi (DTF 121 IV 249 consid. 3a). Il discrimine tra dolo eventuale e negligenza cosciente può rivelarsi delicato. Infatti, vi è dolo eventuale quando l’autore ritiene possibile che l’evento o il reato si produca e, per il caso, se ne accomoda e v’è, invece, negligenza – e non dolo – quando l’autore, per un’imprevidenza colpevole, agisce presumendo che l’evento, che ritiene possibile, non si realizzi (DTF 130 IV 58 consid. 8.3). Quindi, la differenza tra dolo eventuale e negligenza cosciente risiede nella volontà dell’autore e non nella coscienza (DTF 133 IV 9 consid. 4 pagg. 15 e segg. con giurisprudenza ivi citata).
La nozione di dolo eventuale è giuridica (art. 18 CP). Tuttavia, ritenuto che il dolo (eventuale), quale fatto interiore, può essere accertato solo in base ad elementi esteriori, ne discende che, in quest’ambito, le questioni di fatto e di diritto sono strettamente connesse tra di loro e coincidono parzialmente (DTF 133 IV 1 consid. 4.1 pag. 4). Il quesito giuridico se l’autore abbia agito con dolo eventuale può essere risolto solo valutando i fatti accertati dall’autorità cantonale da cui quest’ultima ha dedotto tale elemento soggettivo. Con riferimento al concetto giuridico di dolo eventuale, la Corte di cassazione e revisione penale (al pari del Tribunale federale) può pertanto esaminare se sono stati valutati correttamente gli elementi esteriori, in base ai quali è stato accertato che l’agente ha preso in considerazione, ossia ha accettato, l’evento o il reato (DTF 130 IV 58 consid. 8.5).
Come visto sopra, in mancanza di confessioni, il giudice può dedurre la volontà dell'interessato fondandosi su indizi esteriori e regole d'esperienza. Può inferire la volontà dell'autore da ciò che questi sapeva, laddove l'eventualità che l'evento si produca era tale da imporsi all'autore, di modo che si possa ragionevolmente ammettere che lo abbia accettato (DTF 133 IV 222 consid. 5.3 pag. 225, 130 IV 58 consid. 8.4). Tra gli elementi esteriori da cui è possibile dedurre che l'agente ha accettato l'evento illecito nel caso che si produca figurano, in particolare, la gravità della violazione del dovere di diligenza e la probabilità, nota all'autore, della realizzazione del rischio. Riguardo il grado di probabilità che l’evento si realizzi, il Tribunale federale ha stabilito che tale probabilità deve poter essere definita, alla luce delle circostanze concrete e dell’esperienza della vita, di un grado elevato poiché il dolo eventuale non può essere ammesso con leggerezza (DTF 133 IV 1 consid. 4.6 pag. 8; DTF 133 IV 9 consid. 4.2.5 pag. 19; STF del 29 gennaio 2008, inc. 6B_519/2007, consid. 3.1 e rif.). Quanto più grande è la violazione e quanto più grande appare il rischio del realizzarsi dell’evento, tanto più fondata risulterà la conclusione che l'agente, malgrado i suoi dinieghi, aveva accettato l'ipotesi che l'evento considerato si realizzasse (DTF 135 IV 12 consid. 2.3.2 con rinvii). Altri elementi esteriori rivelatori possono essere il movente dell'autore e il modo in cui egli ha agito (DTF 125 IV 242 consid. 3c in fine e rinvii). La conclusione per cui l'autore ha accettato il risultato non può tuttavia essere dedotta dal semplice fatto che egli ha agito sebbene fosse consapevole del rischio della sopravvenienza del risultato, in quanto si tratta di un elemento comune al dolo eventuale e alla negligenza cosciente (DTF 130 IV 58 consid. 8.4; STF del 9 aprile 2009, inc. 6B_1004/2008, consid. 3.1).
Va, qui, rilevato che, per la dottrina, ritenute le difficoltà probatorie, nella distinzione tra dolo eventuale e responsabilità colposa il principio
in dubio pro reo
deve essere applicato con speciale rigore (Jenny, Basler Kommentar, I, Basilea 2007, ad art. 12 CP, n. 48 e 56),
4.4.
Nell’accertamento del dolo della ricorrente – che, lo ricordiamo, non sapeva cosa l’armadietto contenesse – assume particolare rilevanza l’accertamento del contenuto del colloquio intercorso fra lei ed il suo cliente durante la visita in carcere del 1. maggio 2007.
Come visto sopra, l’accertamento del primo giudice – peraltro non chiarissimo – secondo cui quella visita in carcere fu finalizzata a delineare la sottrazione dell’armadietto agli inquirenti è arbitraria.
Sulla questione, rimane, dunque, soltanto quanto emerge dalle dichiarazioni concordi della qui ricorrente e di _ secondo cui – come visto sopra – in quell’occasione il cliente chiese all’avvocato di far portare via dall’appartamento coniugale l’armadietto per evitare che il suo contenuto cadesse nelle mani della moglie.
Come evidenziato nel ricorso, quel che qui conta non è tanto la credibilità attuale del racconto di _ quanto la sua plausibilità per la ricorrente sulla base di quel che lei, a quel momento, sapeva della situazione.
Questa plausibilità non va valutata in funzione di considerazioni di natura deontologica o sulla scorta di considerazioni su quanto avrebbe fatto una persona mediamente prudente, ma unicamente in base ai fatti accertati.
Questi si riassumono sinteticamente come segue:
-
fra i coniugi _ vi era una situazione estremamente conflittuale;
-
questa situazione di conflitto era già sfociata in procedimenti giudiziari avviati da un coniuge nei confronti dell’altro nell’ambito dei quali _ era patrocinato dall’avv. RI 1;
-
l’armadietto era posto nella camera da letto occupata solo da _;
-
la chiave dell’armadietto era nascosta in un luogo non conosciuto dalla moglie di _;
-
l’armadietto era stato visto ed aperto durante la perquisizione del 23 aprile 2007;
-
il suo contenuto era stato visionato dagli inquirenti;
-
una parte del suo contenuto era stata sequestrata;
-
l’armadietto era stato richiuso ad opera degli inquirenti e la chiave era stata da loro riposta nel suo abituale nascondiglio.
Sulla base di queste circostanze – a lei evidentemente note – la ricorrente ben poteva ritenere plausibile il racconto di _.
Da un lato, la versione secondo cui le carte ancora contenute nell’armadietto erano solo di natura personale era confermata dal fatto che gli inquirenti avevano esaminato il contenuto dell’armadietto e, dopo avere asportato e sequestrato alcuni documenti, non ne hanno disposto il sequestro attestando con ciò l’indifferenza, per il procedimento penale, del materiale in esso contenuto e non sequestrato.
Su quest’ultimo aspetto, è irrilevante il fatto che, come visto al consid. 2.4, il CPP non impedisca di procedere, in un secondo tempo, al sequestro di un oggetto già noto agli inquirenti. In effetti, visto che il contenuto dell’armadietto era già stato visionato durante la perquisizione del 23 aprile 2007, pretendere che la ricorrente dovesse ipotizzare che, nonostante il suo mancato sequestro, l’armadietto o il suo contenuto potevano essere ancora rilevanti per l’inchiesta significa pretendere che essa dovesse forzatamente contare sull’incompetenza o sulla distrazione o sulla negligenza degli inquirenti, dei due rappresentanti del DSS e del Farmacista cantonale che li hanno coadiuvati nella messa in opera di tale misura istruttoria.
Sbagliate, irrilevanti ed arbitrarie sono, poi, le considerazioni del primo giudice secondo cui l’Ufficio del medico cantonale ha effettuato i propri controlli unicamente per verificare il rispetto di norme igienico-sanitaria. Non può, infatti, essere ragionevolmente preteso che la ricorrente pensasse che a ciò fosse finalizzata la presenza dei rappresentanti del DSS, ritenuto in particolare che questi – che hanno, peraltro, partecipato all’interrogatorio di _, cfr. ad es. verbale di interrogatorio di _ del 23 aprile 2007 – sono, in realtà, intervenuti a fianco degli inquirenti quale loro supporto “specialistico” nell’ambito di una perquisizione domiciliare decisa nel contesto di un’inchiesta ad evidente natura penale, per cui l’esame dell’armadietto da parte della dottoressa _ nell’ambito della perquisizione non ha valenza diversa dall’esame condotto dal procuratore pubblico stesso o da un agente di polizia. Così come rilevato dalla ricorrente, non è possibile in concreto – senza cadere in arbitrio – creare un “doppio binario” (amministrativo e penale) ritenuto, peraltro, che la rappresentante del DSS ha esaminato il contenuto dell’armadietto insieme ad un ispettore di polizia (“
Nel frattempo l’ispettore apre i diversi cassetti della stanza e nella cassettiera contenente mappette appese con documentazione bancaria ed esattoriale, posta tra il cassettone e l’armadio, sono rinvenuti dalla sottoscritta biglietti d’aereo dei recenti viaggi fatti dal signor _ e del denaro contante: diverse banconote da Fr. 1'000.- e altre banconote di divise straniere (non vengono contati). I biglietti aereo sono sequestrati, mentre le banconote sono lasciate nella cassettiera. Non si rileva, né preleva null’altro dalla stanza.
”, cfr. doc. AI 20, rapporto 16 maggio 2007, pag. 7) e che tale suo esame ha, poi, avuto quale esito il sequestro ai sensi dell’art. 161 CPP di parte della documentazione in esso contenuta. Le considerazioni del primo giudice in proposito sono pertanto arbitrarie.
D’altro lato, la necessità di sottrarre tali documenti alla moglie del cliente era resa plausibile dall’esistenza delle vertenze di natura civile che opponevano i due coniugi mentre la necessità di spostare l’armadietto “proprio in quel momento” era data dal fatto che, se sino a quel momento, la moglie non sapeva del nascondiglio della chiave, la forzata assenza di _ dall’appartamento le avrebbe permesso di cercare senza problemi il nascondiglio (ciò che, del resto, essa ha fatto, pur se senza successo).
Queste circostanze di fatto costituivano dei criteri sulla cui base la ricorrente era legittimata a ritenere plausibile il racconto di _ .
La diversa conclusione del primo giudice è arbitraria nella misura in cui egli ha del tutto disatteso le emergenze istruttorie per fondarsi su considerazioni meramente e arbitrariamente soggettive. Prima fra tutte, quella secondo cui non vi sarebbe nessun elemento plausibile per giustificare, in quel momento, lo spostamento del mobiletto visto che esso “
giaceva lì da tempo immemorabile e la moglie di _ avrebbe potuto in ogni tempo accedervi approfittando delle numerose e prolungate assenze all’estero del marito
” e secondo cui se avesse voluto nuocere al marito, la moglie avrebbe da tempo potuto aprire ed ispezionare l’armadietto (sentenza impugnata, consid. 11, pag. 14 e 15). Agli atti – infatti – non solo non vi è nulla in relazione a tali pretese prolungate assenze ma il primo giudice neppure ha considerato il fatto che la camera in cui era posto l’armadietto era occupata dal solo _ e né ha considerato il fatto che non vi sono accertamenti riguardo la sorte della porta della camera (veniva lasciata aperta o veniva chiusa?) durante tali pretese assenze né, soprattutto, vi sono accertamenti sulla sorte della chiave dell’armadietto durante tali pretese assenze (_la portava con sé?). Inoltre, nelle sue valutazioni il primo giudice neppure ha considerato che la chiave dell’armadietto era nascosta in un luogo sconosciuto alla moglie e tanto poco accessibile da non essere stato scoperto nonostante le ricerche che la stessa moglie ha ammesso di avere fatto (AI24 pag. 5 e 6).
Non conferente è, poi, l’appunto del primo giudice riguardo la partecipazione della moglie al trasferimento dell’armadietto: in realtà, la donna si è limitata ad aprire la porta a _ e a lasciare che questi prendesse l’armadietto e lo spostamento del mobiletto non ha comportato lo svelamento alla moglie del nascondiglio della chiave né l’apertura dell’armadietto.
In queste condizioni, è arbitrario accertare che l’avv. RI 1 ha preso in considerazione il fatto che l’armadietto contenesse materiale rilevante per l’inchiesta penale e, ciò nonostante, ha spinto _ a spostarlo e a nasconderlo per sottrarlo agli inquirenti.
Su questo punto, dunque, il ricorso va accolto.
Di conseguenza, la sentenza impugnata va annullata e l’avv. RI 1 va prosciolta dall’imputazione di istigazione a favoreggiamento.
5.
Gli oneri processuali sono posti a carico dello Stato che rifonderà alla ricorrente fr. 1’500.- per ripetibili (art. 15 CPP combinato con l’art. 9 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,010 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
a1034d67-f81e-5f24-8b97-81a8244a344e | in fatto ed in diritto
che a seguito della denuncia/querela sporta da PI 2 nei confronti di IS 1 in relazione ai fatti accaduti a _ il _
, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale (inc. MP _) a carico di quest’ultima per le ipotesi di reato di lesioni semplici, sub. vie di fatto e minaccia, sfociato nel decreto di abbandono _ ("
Abbandono del procedimento senza ulteriori formalità con motivazione sommaria
") per recesso di querela, avendo le parti trovato un accordo (cfr., nel dettaglio, verbale di confronto _, AI 11 – inc. MP _) [ABB _];
che con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Ministero pubblico a questa Corte – IS 1 chiede copia degli sms
"
(...) in formato cartaceo che in data _, ho consegnato al vostro ufficio, (...) come prove della continua persecuzione da parte della Sig _ alla mia persona. (...)
"
(istanza 17.04./12.05.2015, doc. CRP 1.a);
che a sostegno della sua richiesta afferma di aver ricevuto da parte del suo patrocinatore tutti gli atti riguardanti il procedimento penale in questione, eccetto la suindicata documentazione, adducendo parimenti che l’accusatrice privata l’avrebbe nuovamente messa in cattiva luce e di volere essere in possesso dell’intera documentazione per poter intraprendere eventuali passi nei suoi confronti;
che, come esposto in entrata, il magistrato inquirente ha preavvisato favorevolmente la richiesta, precisando parimenti che l’istanza si limita agli allegati del verbale di confronto _;
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare PI 2, accusatrice privata nel procedimento penale di cui all’incarto MP _ sfociato nell’ABB _, nel frattempo archiviato, essendo la qui istante stata parte (in qualità di imputata) al medesimo;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stata l’istante parte (in qualità di imputata) nel procedimento nel frattempo terminato, essa deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994, p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, della documentazione richiesta, poiché il procedimento penale, nel frattempo archiviato, l’ha interessata personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che essa necessiterebbe della documentazione mancante per tutelare i suoi interessi nei confronti di PI 2;
che di conseguenza i doc. 2, doc. 3, doc. 4 e doc. 5 allegati al verbale di confronto _ (AI 11 – inc. MP _) – documenti che sono stati consegnati dalla qui istante al Ministero pubblico durante l’interrogatorio di confronto tenutosi il _ e che contengono diversi messaggi – vengono trasmessi, in copia, alla qui istante unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo la qui istante già stata parte al summenzionato procedimento penale nel frattempo archiviato. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,015 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
a15e6724-70a2-5ee2-9ccc-119493d409e2 | in fatto: A.
Con decreto di accusa del 5 luglio 2000 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di lesioni semplici in danno di _ compiute il 14 maggio 2000 a _. Gli ha imputato, in sostanza, di avere intenzionalmente colpito quest'ultima per strapparle di mano un pallone (che la donna aveva ricuperato in un fondo vicino), facendola cadere per terra e procurandole contusioni varie. In applicazione della pena, egli ha condannato l'accusato a 15 giorni di detenzione sospesi condizionalmente per 2 anni, revocando la sospensione condizionale a una pena di 15 giorni di detenzione inflitta allo stesso _ con un precedente decreto d'accusa, del 15 febbraio 1999. Il decreto del 5 luglio 2000 indicava espressamente (come quello del 15 febbraio 1999) il diritto per il condannato e la parte civile di inoltrare “formale opposizione scritta” al Procuratore pubblico entro 15 giorni dall'intimazione (nel qual caso gli atti sarebbero stati trasmessi al giudice competente per la celebrazione del pubblico dibattimento), l'avvertimento che in mancanza di opposizione il decreto avrebbe acquisito forza di giudicato “senza ulteriori formalità” e la facoltà di chiedere al Giudice dell'istruzione e dell'arresto la nomina immediata di un difensore d'ufficio, eventualmente con il beneficio del gratuito patrocinio.
B.
Il 6 luglio 2000 _ si è rivolto al Giudice dell'istruzione e dell'arresto, cui ha inviato il seguente scritto:
Decreto di accusa per lesioni semplici – richiesta difensore d'ufficio
È mia intenzione inoltrare opposizione contro la decisione in oggetto, ma sono in ristrettezze finanziarie, disponendo solo dello stipendio di apprendista riparatore d'auto, e non so come procedere. Chiedo pertanto che venga nominato un difensore d'ufficio, con gratuito patrocinio, come da art. 208 cpv. 1 lett. f CPP.
Con decisione del 10 luglio 2000 il Giudice dell'istruzione e dell'arresto ha designato all'accusato la lic. iur. _, allora praticante dell'avv. dott. _, quale difensore d'ufficio, trasmettendole copia del fascicolo con la predetta lettera. Nulla è più intervenuto, finché il 14 agosto 2000 il difensore d'ufficio ha comunicato al Procuratore pubblico che la Sezione esecuzione pene e misure aveva invitato il suo assistito a concordare il periodo di espiazione della pena (15 giorni di detenzione), la cui sospensione condizionale era stata revocata con il decreto di accusa, mentre _ considerava lo scritto del 6 luglio 2000 alla stregua di una formale opposizione alla proposta di pena formulata nel decreto stesso.
C.
Il Procuratore generale ha trasmesso gli atti il 18 settembre 2000 alla Pretura del Distretto di Lugano, sezione 4, rilevando che a suo parere non sussisteva alcuna valida opposizione. L'8 maggio 2001 ha avuto luogo il dibattimento, in esito al quale il Pretore ha ritenuto inefficace, come opposizione, la lettera inviata il 6 luglio 2000 dall'imputato al Giudice dell'istruzione e dell'arresto, sicché ha stralciato il procedimento dai ruoli “per assenza di opposizione”, accertando che il decreto di accusa del 5 luglio 2000 era passato in giudicato.
D.
Contro la sentenza appena citata _ ha introdotto il 14 maggio 2001 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta del 18 giugno 2001 egli chiede, in ordine, la restituzione del termine di 20 giorni per integrare la motivazione stessa del ricorso e, nel merito, l'annullamento della sentenza pretorile con rinvio dell'incarto al Pretore competente. Nelle sue osservazioni del 22 giugno 2001 il Procuratore generale propone di respingere il ricorso. La parte civile _ è rimasta silente. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorrente chiede, in ordine, la restituzione del termine per motivare il ricorso (art. 21 CPP), rilevando di avere avuto a disposizione solo sei giorni per lo studio della pratica, l'esame del decreto impugnato e la stesura del ricorso. Richiamando uno scambio di corrispondenza con il Pretore del Distretto di Lugano, sezione 4, e con il presidente della Corte di cassazione e di revisione penale, egli fa valere di essere venuto a conoscenza del contenuto di due precedenti menzionati dal Pretore nel giudizio impugnato (CCRP, sentenze del 5 febbraio 1981 in re P., consid. 2.2, e del 26 luglio 1997 in re P.) solo il 13 giugno 2001, quando erano trascorsi ormai 15 giorni dall'intimazione della sentenza stessa. Non gli sarebbe quindi stato possibile analizzare compiutamente tali decisioni. La restituzione del termine, inoltre, si giustificherebbe con la pena privativa della libertà che, in caso contrario, egli sarebbe chiamato a espiare.
L'art. 21 CPP prevede la restituzione per inosservanza di un termine quando la parte o il suo patrocinatore dimostri di non averlo potuto osservare perché impedita senza sua colpa, o per forza maggiore, segnatamente per malattia, assenza scusabile, servizio pubblico o militare o per altre ragioni importanti. Nella fattispecie il ricorrente ha avuto cinque giorni di tempo per esaminare le due sentenze citate dal Pretore (l'una di 16 pagine dattiloscritte, l'altra di 5). Si tratta di un lasso più che sufficiente per valutarne la portata, tant'è che nel ricorso medesimo l'interessato ammette di avere letto le due pronunce, constatando che “concernono situazioni di fatto assai diverse dalla fattispecie in esame” e “non sono per nulla pertinenti” (memoriale, pag. 8, punto 7.3). In simili circostanze non soccorrono lontanamente gli estremi per una restituzione in intero, istituto di carattere eccezionale i cui requisiti non possono essere vagliati senza severità. L'istanza di restituzione del termine dovendo essere respinta, nulla osta all'emanazione del presente giudizio.
2.
Nella fattispecie il Pretore ha ritenuto che la lettera del 6 luglio 2000 inviata dall'imputato al Giudice dell'istruzione e dell'arresto non costituisse una “formale opposizione” (nel senso dell'art. 210 CPP) al decreto di accusa, sia perché nello scritto l'interessato si limitava a esprimere
l'intenzione
di presentare opposizione, chiedendo a tal fine la nomina di un difensore d'ufficio, sia perché – avesse inteso sollevare “formale opposizione” – egli avrebbe adito il Procuratore pubblico (come figurava sull'indicazione dei rimedi giuridici in calce al decreto di accusa), non il Giudice dell'istruzione e dell'arresto (competente, appunto, per designare un patrocinatore d'ufficio e concedere il beneficio dell'assistenza giudiziaria). Quanto al tempo utile per l'opposizione, esso era dato, la nomina del difensore d'ufficio essendo intervenuta dieci giorni prima che il termine scadesse. Né la situazione poteva risultare equivoca agli occhi del difensore, ove si consideri che nel decreto di nomina il Giudice dell'istruzione e dell'arresto aveva menzionato come oggetto il “procedimento pendente contro l'istante a seguito di decreto di accusa (DAP _/2000)”, senza accenno a opposizione di sorta. Infine lo scritto 14 agosto 2000 del difensore al Procuratore pubblico non poteva interpretarsi come domanda di restituzione del termine (art. 21 CPP), poiché il solo fatto di non compiere un atto credendo in buona fede di averlo già compiuto non basta per giustificare un titolo di restituzione in intero.
3.
A parere del ricorrente lo scritto del 6 luglio 2000 adempie manifestamente, invece, i requisiti di un'opposizione: è stato spedito il giorno stesso della notifica del decreto di accusa e reca la sua firma autografa. Tanto più – egli ricorda – che gli estensori della lettera sono un apprendista riparatore d'auto di precaria cultura linguistica (egli medesimo) e suo padre, non giurista. Formalizzarsi sul testo della lettera, per altro con interpretazioni discutibili, e sul fatto che essa sia stata indirizzata a un'autorità piuttosto che a un'altra, reputando per ciò solo inefficace l'opposizione, lede il diritto dell'accusato a un equo processo (art. 6 par. 1 e par. 3 lett. c CEDU), offende il principio
in dubio pro reo
e configura un diniego di giustizia, oltre che sorprendere la buona fede del difensore d'ufficio. Nelle circostanze del caso spettava al Giudice dell'istruzione e dell'arresto trasmettere la missiva al Procuratore generale, che avrebbe dovuto interpellare il mittente per accertarne la reale portata.
4.
La conclusione del Pretore, secondo cui in concreto non sussiste alcuna opposizione, è corretta. Lo scritto inviato dal ricorrente il
6 luglio 2000 al Giudice dell'istruzione e dell'arresto è chiaro e non lascia spazio a dubbi interpretativi, tanto meno in contraddizione con il suo testo letterale: l'accusato chiedeva al magistrato competente la designazione di un patrocinatore d'ufficio incaricato di assisterlo nella procedura di opposizione ch'egli intendeva avviare e per la quale non disponeva delle necessarie conoscenze. Nell'indicazione dei rimedi giuridici, del resto, il decreto di accusa specificava in termini semplici e accessibili a tutti che “la nomina immediata di un difensore d'ufficio ed il gratuito patrocinio” andavano chiesti al Giudice dell'istruzione e dell'arresto in Lugano, mentre competente a ricevere la “formale opposizione” al decreto di accusa sarebbe stato il Procuratore pubblico (pag. 3). Invano il ricorrente cerca perciò di equivocare sul significato della missiva, dolendosi di eccessivo formalismo e lamentando una violazione dei suoi diritti di parte. In realtà il Giudice dell'istruzione e dell'arresto non aveva il benché minimo motivo per trattare la lettera del 6 luglio 2000 come un'opposizione destinata al Procuratore pubblico: la richiesta tendeva alla nomina di un difensore d'ufficio ed egli solo era giurisdizionalmente abilitato a tale funzione (art. 208 cpv. 1 lett. f CPP, proprio quello invocato nella lettera). Su questo punto il ricorso non merita quindi altra disamina.
5.
Il ricorrente asserisce che la particolarità del caso ha sorpreso la buona fede del difensore d'ufficio, il quale non è stato avvertito né dal Procuratore pubblico né dal Giudice dell'istruzione e dell'arresto che la lettera del 6 luglio 2000 non costituiva una valida opposizione. Questi si è dipartito così – foss'anche con qualche imprudenza – dal principio che la sua nomina “implicasse la sua attivazione in sede predibattimentale in vista del giudizio” (memoriale, pag. 11 in alto), malinteso che non deve andare a scapito dell'assistito. Ora, contrariamente all'opinione del ricorrente, non si può dire che in concreto il difensore d'ufficio sia stato deluso in qualsivoglia affidamento. È vero ch'egli non è stato specificamente avvertito che il suo incarico comprendeva anche l'eventuale inoltro dell'opposizione al decreto di accusa. Nulla tuttavia autorizzava legittimamente il patrocinatore a presumere il contrario. Invero l'argomentazione del Pretore, secondo cui la menzione “DAP” figurante nel decreto di nomina doveva bastare perché il difensore d'ufficio arguisse l'estensione del mandato, appare eccessivamente rigorosa. Se non che, in concreto il difensore ha ricevuto, insieme con il decreto di nomina, anche copia del fascicolo processuale, compreso lo scritto 6 luglio 2000 pervenuto al Giudice dell'istruzione e dell'arresto (come figura nella lettera 7 settembre 2000 del dott. _ al Procuratore pubblico: fascicolo del Ministero pubblico, lett. A, primo foglio in fondo). Non poteva dunque sfuggirgli che l'accusato postulava un rappresentante legale proprio per la dichiarata incapacità di introdurre opposizione al decreto di accusa. Né il difensore ha mai preteso che, per avventura, il Giudice dell'istruzione e dell'arresto designi difensori d'ufficio solo in presenza di una valida opposizione. Anche al proposito il ricorso manca perciò di fondamento.
6.
Quanto al fatto che eventuali omissioni del difensore d'ufficio non debbano pregiudicare l'accusato, giovi rilevare che nemmeno il ricorrente ha dato prova nella fattispecie di particolare diligenza. Egli medesimo ha ammesso, al dibattimento, che dopo avere ricevuto il decreto del 10 luglio 2000 con cui il Giudice dell'istruzione e dell'arresto gli aveva designato la lic. iur. _ in veste di difensore, egli non si è messo in relazione con lei. Solo quando la Sezione esecuzione pene e misure lo ha invitato a concordare l'espiazione della condanna (15 giorni di detenzione), la cui sospensione condizionale era stata revocata con il decreto di accusa, egli ha finalmente interpellato la patrocinatrice (verbale del dibattimento, primo foglio in basso). Questi ha poi scritto il 14 agosto 2000 al Procuratore pubblico, evocando la nota lettera inviata dal suo assistito al Giudice dell'istruzione e dell'arresto (sopra, consid. B), ma senza più poter ottenere alcunché. Il Pretore ha esaminato invero se tale scritto non potesse essere interpretato come istanza di restituzione in intero (sentenza, pag. 4), risolvendo il quesito negativamente. A ragione, giacché i presupposti dell'art. 21 CPP (sopra, consid. 1) facevano manifesto difetto, la decorrenza del termine per l'opposizione riconducendosi a inavvertenza della legale e a disinteresse dell'assistito. Se ne conclude che, comunque lo si esamini, il ricorso è destinato all'insuccesso.
7.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,001 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
a1b5d6de-b6c5-5c53-af05-302ae02fbd26 | in fatto: A.
Con decreto di accusa del 2 aprile 2001 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di circolazione in stato di ebrietà e di infrazione alle norme della circolazione per avere, a _ e, condotto il 10 dicembre 2000 una VW “Golf” targata _ con un tasso alcolemico compreso tra l'1.10 e l'1.58 g ‰ (nonostante fosse già stato condannato nel 1999 per avere circolato con un'alcolemia di 1.10 g ‰) e di avere in tali circostanze, abbordando una curva verso destra, perso la padronanza del mezzo e urtato due cippi posti a delimitazione del campo stradale. In applicazione della pena _ è stato condannato a 90 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente per 4 anni, e a una multa di fr. 1'500.–, con revoca della sospensione condizionale concessa alla pena di 75 giorni di detenzione inflittagli dal Ministero pubblico il 7 dicembre 1999.
B.
Statuendo su opposizione, con sentenza del 5 luglio 2001 il presidente della Corte delle assise correzionali di Lugano, constatato che _– regolarmente citato al proprio domicilio – non era comparso al processo, ha deciso di procedere nelle forme contumaciali. Egli ha confermato le imputazioni, ha condannato l'imputato alla pena di 90 giorni di detenzione (sospesi condizionalmente per 4 anni) e a una multa di fr. 1'000.–, revocando altresì la sospensione condizionale della pena di 75 giorni di detenzione risalente al 7 dicembre 1999.
C.
Contro il giudizio appena citato _ ha inoltrato il
9 luglio 2001 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta del 13 agosto 2001 egli conclude perché la sentenza impugnata sia riformata nel senso di non revocargli la sospensione condizionale della pena di 75 giorni di detenzione irrogatagli il 7 dicembre 1999. Non sono state chieste osservazioni al ricorso. | Considerando
in diritto: 1.
L'art. 229 cpv. 1 CPP stabilisce che il presidente della Corte di assise, sentito il Procuratore pubblico e tutte le parti, “può autorizzare l'accusato a non presenziare al dibattimento, se sono fatte valere preminenti ragioni”. La norma riprende alla lettera il cessato art. 177 cpv. 1, introdotto nel (vecchio) Codice di procedura penale con effetto al 1° gennaio 1993. Ottenuto il permesso di non comparire, l'accusato è processato come se fosse presente, senza pregiudizio per lui (Messaggio aggiuntivo concernente la revisione totale del Codice di procedura penale, del 20 marzo 1991, in: Verbali del Gran Consiglio, sessione ordinaria primaverile 1992, vol. 3, pag. 1849 in fondo). In tal caso contro una sentenza di condanna egli può quindi ricorrere per cassazione.
2.
Diversa è la situazione qualora l'accusato non intenda essere processato
in absentia
, ma chieda un rinvio del dibattimento. Simile eventualità è regolata dall'art. 237 cpv. 2 CPP, che contempla appunto l'ipotesi di un rinvio (o di una sospensione, se il dibattimento è già cominciato) per malattia o grave impedimento, ma “solo per tempo determinato”. Ove l'impedimento sia duraturo, si procede al giudizio; “sono in tal caso applicabili le norme previste per la procedura contro gli assenti, eccetto quelle riguardanti le pubblicazioni” (art. 237 cpv. 3 CPP). In tal caso contro una sentenza di condanna non può essere introdotto ricorso per cassazione (DTF 122 I 36; cfr. anche DTF 121 IV 341 consid. 1a e 2a). Entro i termini di prescrizione dell'azione penale l'imputato può chiedere in ogni momento, tuttavia, la revoca del giudizio pronunciato in assenza e lo svolgimento del processo con rito ordinario (art. 316 cpv. 1 CPP; CCRP, sentenza del 2 aprile 1998 in re G., consid. 2).
3.
Nell'eventualità di una sentenza contumaciale il ricorso per cassazione è ammissibile, in ogni modo, contro la dichiarazione stessa di contumacia, ovvero sulla questione di sapere se il giudice abbia deciso a ragione o a torto di procedere in assenza dell'accusato (Rep. 1982 pag. 194 con la sentenza del Tribunale federale parzialmente riprodotta in calce; da ultimo: CCRP, sentenza
citata del 2 aprile 1998 in re G., consid. 5). Nel caso in esame la madre del ricorrente, _, ha inviato il 25 giugno 2001 una lettera al Tribunale penale cantonale in cui comunicava che il figlio _ si trovava all'estero per tre mesi circa, ragione per cui non poteva partecipare al dibattimento, e che non le era possibile indicare alcun recapito perché il figlio era in cerca di lavoro, quindi senza dimora fissa. Essa chiedeva così di posticipare la data del processo, in modo da permettere la presenza all'accusato. Se non che, la giustificazione addotta a sostegno della domanda di rinvio non configurava alcuno dei motivi previsti dall'art. 237 cpv. 2 CPP. Per di più il difensore dell'imputato nulla ha eccepito in aula quando il presidente della Corte, constatata la regolarità della citazione e la mancanza di una valida giustificazione, ha deciso di procedere in contumacia (sentenza, pag. 2 in basso). Né egli censura tale decisione in questa sede, limitandosi a riproporre quanto la madre dell'imputato aveva fatto valere nella richiesta del 25 giugno 2001, a esprimere qualche considerazione sulle conseguenze del processo contumaciale e a concludere che, forse, sarebbe stato meglio un rinvio del dibattimento (art. 237 e 313 cpv. 2 CPP), vedendosi l'imputato costretto ora a impugnare il giudizio, salvo postularne la purgazione. In definitiva, quindi, il ricorrente non impugna la dichiarazione di contumacia. Ciò rende d'acchito il gravame irricevibile.
4.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 9 cpv. 1 e 15 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,001 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
a1c866a2-e5bb-5b89-aeb0-4d5787acbad2 | in fatto: A.
Il 4 dicembre 1999 _ si è recato per lavoro in _. Terminati gli impegni professionali, egli ha intrapreso la via del ritorno a bordo della sua VW “New Beetle 2.0”, immettendosi in autostrada a _ verso sud. Il traffico era normale e le condizioni meteorologiche buone. In territorio di _, dove era in corso un controllo della velocità da parte della polizia cantonale, egli è stato fermato dagli agenti; da un controllo radar è risultato che egli circolava, alle ore 14.55, alla velocità di 204 km/h (197 km/h, una volta dedotto il margine di tolleranza). La velocità consentita in quel tratto di autostrada era quella ordinaria di 120 km/h.
B.
Con decisione dell'11 febbraio 2000 il Dipartimento delle istituzioni ha inflitto a _ una multa di fr.1'920.– per avere circolato sull'autostrada alla velocità di 197 km/h. Adito da _, con sentenza del 5 aprile 2000 il Tribunale cantonale amministrativo ha annullato la decisione impugnata per incompetenza, data la gravità dell'infrazione (art. 90 cpv. 2 LCStr), sottratta alla cognizione dell'autorità amministrativa, e ha trasmesso gli atti al Procuratore pubblico.
C.
Con decreto di accusa del 19 giugno 2000 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di infrazione grave alle norme della circolazione e ne ha proposto la condanna a 30 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente con un periodo di prova di tre anni, oltre che al pagamento di una multa di fr. 1'000.–. Al decreto di accusa _ ha presentato opposizione.
D.
Con sentenza del 24 agosto 2001 la presidente della Corte delle assise correzionali di _, sedente in Lugano, ha dichiarato _ autore colpevole del reato ascrittogli, condannandolo alla pena di 30 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente con un periodo di prova di due anni, e al pagamento di una multa di fr. 1'000.–.
E.
Preso atto della comunicazione dei dispositivi, _ ha presentato seduta stante dichiarazione di ricorso. Nei motivi del gravame, presentati il 27 settembre 2001, egli postula il suo proscioglimento dall'imputazione di infrazione grave alle norme della circolazione o, in via subordinata, il rinvio degli atti a un'altra Corte di assise per nuovo giudizio. Non sono state chieste osservazioni sul ricorso. | Considerando
in diritto: 1.
Giusta l'art. 289 cpv. 1 CPP la dichiarazione di ricorso che precede il ricorso per cassazione deve essere presentata per scritto, nel termine di cinque giorni dalla comunicazione orale dei dispositivi, al presidente della Corte delle assise che ha pronunciato la sentenza, il quale ne dà comunicazione entro tre giorni agli interessati. Nella fattispecie il ricorrente non ha presentato una dichiarazione di ricorso scritta. Nondimeno il suo difensore ha manifestato oralmente l'intenzione di ricorrere contro la sentenza di assise seduta stante, subito dopo la comunicazione dei dispositivi, e tale dichiarazione è stata integrata nel verbale del dibattimento (pag. 6). Simile modo di procedere desta legittime perplessità sotto il profilo dell'art. 289 cpv. 1 CPP, che richiede una dichiarazione di ricorso scritta. Se non che, in concreto l'imputato poteva contare in buona fede sul fatto che, avendo la presidente della Corte (cui la dichiarazione andava presentata) senz'altro registrato la sua dichiarazione a verbale dopo la lettura dei dispositivi, tale modo di procedere fosse stato ratificato per atti concludenti. In realtà la prima giudice avrebbe dovuto ricordare all'imputato l'esigenza formale dell'art. 289 cpv. 1 CPP e fargli firmare almeno la dichiarazione riportata nel verbale. Da ciò non deve tuttavia derivare pregiudizio all'interessato, tanto meno se si pensa che la stessa presidente ha trasmesso gli atti alla Corte di cassazione e di revisione penale senza riserve. Per questa volta non è il caso dunque di dimostrarsi particolarmente rigorosi.
2.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto, non destinato a rimettere in causa l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove (art. 288 cpv. 1 lett. a e 295 CPP). Problemi del genere sono sindacabili unicamente se il giudizio impugnato denota gli estremi dell'arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett c CPP). Arbitrario non significa tuttavia discutibile, contestabile o finanche erroneo, bensì manifestamente insostenibile o in aperto contrasto con gli atti (DTF126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4a). Per motivare un censura di arbitrio non basta quindi criticare la decisione impugnata, né contrapporle una propria versione dei fatti, per quanto essa appaia preferibile. Occorre invece spiegare per quale ragione l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sarebbero manifestamente insostenibili, si trovino in chiaro contrasto con gli atti o contraddicono in modo urtante il sentimento di giustizia e dell'equità (DTF 125 II 10 consid. 3a, 124 IV 86 consid. 2a, 123 I 1 consid. 4a, 122 I 61 consid. 3a). Secondo giurisprudenza, inoltre, una sentenza incorre nell'annullamento quando essa è arbitraria non solo nelle motivazioni, ma anche nel risultato (DTF 125 II 129 consid. 5b, 124 II 166 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4a, 122 I 253 consid. 6c con rinvii).
3.
La presidente della Corte delle assise correzionali ha accertato anzitutto, nel caso in esame, che lo strumento usato dalla polizia il 4 dicembre 1999 (Multanova “6F”) era stato controllato il 14 luglio 1999 dal Servizio svizzero di verificazione (SVS), aveva un certificato di validità fino al luglio del 2000 (act. 3 TPC), e appartiene all'ultima generazione degli apparecchi cronometrici. Munito di autodiagnosi, esso interrompe automaticamente il funzionamento in caso di disturbi, sicché per il suo alto grado di tecnologia e affidabilità il Dipartimento federale dell'ambiente, dei trasporti, dell'energia e delle comunicazioni ritiene superflue le corse di controllo che servivano prima per verificare la scelta dell'ubicazione e la verifica dei risultati (sentenza, pag. 5). Ricordato il rispetto delle istruzioni federali da parte della polizia, la prima giudice ha escluso un difetto dello strumento. Pur dando atto che nel certificato di omologazione la VW “New Beetle 2.0” (85 kW) con cambio manuale risulta raggiungere una velocità massima di 185 km/h (act. 1), essa ha ritenuto che ciò non sia decisivo, segnatamente nel caso in cui – come ha confermato anche un responsabile tecnico dell'_ (act. 5 prodotto al dibattimento) – la strada sia in discesa, la velocità massima potendo essere allora ampiamente superata. E in concreto, come aveva confermato un agente di polizia (act. 3), la tratta percorsa dal veicolo era effettivamente in discesa.
D'altro canto – ha continuato la presidente della Corte – nella corrispondenza intercorsa con l'autorità amministrativa l'accusato non ha mai contestato che la strada fosse in pendenza. Solo al dibattimento egli ha tentato di ridimensionare ciò, facendo presente che in realtà la strada era in falsopiano. Sia come sia, ha soggiunto la prima giudice, non può essere seriamente contestato che chi si immette in autostrada a _ verso sud viaggia in discesa, tant'è che _ si trova a 715 m s/m, mentre _ è a 391 m s/m. Nel suo complesso la strada è perciò in notevole pendenza e un eventuale falsopiano non avrebbe ridotto sensibilmente la velocità del mezzo (sentenza, pag. 6). Che il ricorrente circolasse a una velocità chiaramente superiore al consentito risulta dipoi da una precisazione del sergente _, del 13 gennaio 2000, nella quale egli ha dichiarato che al momento del fermo l'accusato gli ha detto che stava provando la velocità massima della vettura (act. 3). Né il prevenuto ha mai negato tale circostanza prima di comparire in aula, limitandosi a sostenere che un'affermazione del genere non è una prova per revocargli una licenza di condurre (act. 5). La sua negazione al dibattimento non appariva dunque credibile. Tutto ciò posto, la presidente della Corte non ha ravvisato seri motivi per mettere in dubbio la misurazione dell'apparecchio radar.
4.
Il ricorrente si diffonde anzitutto in alcune considerazioni sull'affidabilità degli apparecchi radar in genere, e in particolare sul certificato rilasciato il 14 luglio 1999 dal Servizio svizzero di verificazione circa il corretto funzionamento del Multanova “6F” usato in concreto dalla polizia. Pur ammettendo che il convincimento sull'esatta misurazione del radar può apparire legittimo, egli adduce che tale certezza non è data nel caso specifico, viste le prove da lui offerte, le quali permettono di concludere che l'apparecchio ha funzionato male. A suo parere la velocità registrata è fuori di ogni ragionevole logica, ove si consideri che l'automobile non era modificata né elaborata. In nessun caso un tribunale poteva perciò darvi credito senza eccedere nel proprio potere di apprezzamento. Così argomentando, il ricorrente disconosce tuttavia che un semplice richiamo a prove liberatorie non basta per ritenere manifestamente insostenibile il convincimento cui è giunta in concreto la presidente della Corte valutando gli indizi evocati dal Procuratore pubblico (sentenza, pag. 2 e 3). Su questo punto il ricorso non è sufficientemente sostanziato.
5.
Ricordati i dati tecnici della sua vettura, il ricorrente si sofferma sulla considerazione della Corte di assise, fondata anche sull'attestazione di un responsabile dell'_, secondo cui il tratto in discesa percorso nell'imminenza del controllo radar avrebbe consentito di superare anche abbondantemente la velocità di 185 km/h indicata nel certificato di omologazione. Egli rileva che il documento rilasciato dall'_ è stato prodotto soltanto al dibattimento, ciò che gli ha impedito di analizzarlo con calma. Egli non risulta però avere eccepito una limitazione dei diritti della difesa nel corso del dibattimento. Non può pertanto dolersene ora (art. 288 cpv. 1 lett. b CPP). Il ricorrente fa valere inoltre che importante non è tanto stabilire se in un tratto in discesa si possa raggiungere una velocità superiore a quella dichiarata dalla Casa, quanto stabilire in che misura tale velocità possa essere superata per rapporto alla pendenza della strada. Egli fa notare che il responsabile dell'_ si è limitato a enunciare un principio della fisica, ma non ha affermato che in discesa la velocità massima possa essere superata “ampiamente”. Il suo veicolo, poi, era di recente immatricolazione e quindi non ancora in grado di offrire il massimo delle prestazioni.
Le argomentazioni testé riassunte denotano palese natura appellatoria e non bastano a connotare l'arbitrio in cui sarebbe caduta la prima Corte ritenendo che la velocità di 197 km/h rilevata dal radar non era la risultante di un errore dell'apparecchio. Ritenere che un veicolo in discesa, lanciato in autostrada, possa anche superare del 10% la velocità massima riportata nel certificato di omologazione è un ragionamento empirico e fors'anche discutibile. Non offende tuttavia i più elementari principi della logica e dell'equità se si pensa che nella fattispecie l'automobile non risultava dotata di un limitatore di velocità, che l'apparecchio radar (dell'ultima generazione) era stato da poco controllato e che, stando alle dichiarazioni dell'agente che ha proceduto al fermo del veicolo, lo stesso ricorrente aveva ammesso di aver voluto provare la velocità massima dell'auto (sentenza, pag. 9). Certo, il ricorrente nega un fatto del genere. Senza cadere in arbitrio la prima Corte poteva però credere all'agente dopo avere accertato che in sede amministrativa l'imputato non aveva mai messo in dubbio tale ammissione, ma si era limitato a obiettare che quanto detto all'agente non costituiva una prova per revocargli la licenza di condurre (act. 5). Nella misura in cui è sufficientemente motivato, il ricorso si rivela perciò destinato all'insuccesso.
6.
Il ricorrente torna sulla pendenza del tratto d'autostrada percorso, ripetendo che, indipendentemente dalla discesa, non è ragionevole accertare una velocità superiore di quasi 20 km/h rispetto ai dati forniti dal costruttore. Ancora una volta però egli non sostanzia alcun arbitrio. Si rinvia pertanto al considerando che precede.
7.
Da ultimo il ricorrente fa valere che il cumulo della pena detentiva di 30 giorni (sospesa condizionalmente) con la multa di fr. 1'000.– inflittagli dalla Corte di assise appare manifestamente esagerata. Se non che, egli non spende una parola a sostegno della propria censura e non spiega perché la prima Corte avrebbe ecceduto o abusato del proprio potere di apprezzamento ritenendo l'infrazione grave al punto da dover essere sanzionata con una pena privativa della libertà e con la multa. Tanto meno egli illustra perché la condanna irrogatagli lederebbe la parità di trattamento per rapporto alla sentenza – evocata dalla prima Corte (pag. 8) – con cui il 19 dicembre 2000 la Corte delle assise correzionali di _ ha irrogato a un conducente che aveva superato di 40 km/h la velocità consentita in autostrada 45 giorni di detenzione (art. 90 cpv. 2 LCStr e 50 cpv. 2 CP). Nemmeno in prima sede, per altro, l'imputato aveva ritenuto di esprimersi sulla commisurazione della pena proposta dal Procuratore pubblico (sentenza, pag. 3). Carente di motivazione, il gravame sfugge perciò anche su questo punto a un esame di merito.
8.
Gli oneri processuali seguono il principio della soccombenza (art. 15 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,001 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
a1cdda92-6b72-5ec4-9616-a2636cfd4ed1 | in fatto: A.
Con sentenza contumaciale del 23 dicembre 1999 il Pretore del Distretto di Bellinzona ha riconosciuto _ autore colpevole di trascuranza degli obblighi di mantenimento e lo ha di conseguenza condannato alla pena di 15 giorni da espiare e al pagamento di fr. 49'602.-- alla parte civile (Ufficio del sostegno sociale e dell'inserimento). Ha inoltre ordinato la revoca della sospensione condizionale della pena di 15 giorni di detenzione inflittagli con sentenza del 22 aprile 1996.
B.
Con istanza del 20 giugno 2000 _, tramite il suo difensore, ha chiesto la revoca della sentenza contumaciale, ossia un nuovo giudizio ex art. 277 cpv. 3 CPP. Ha inoltre pregato il Pretore di aggiornare il dibattimento dopo la metà del mese di settembre, a causa di successive assenze sue e del suo avvocato. Il 21 giugno 2000 il Pretore ha però fissato il dibattimento per il 3 agosto successivo (v. citazione).
C.
Con scritto del 22 luglio 2000 il patrocinatore di _ - richiamato il contenuto dell'istanza del 20 giugno precedente - ha di nuovo chiesto al Pretore un aggiornamento del dibattimento, adducendo come motivo l'assenza propria e del suo assistito per vacanze. Ha inoltre precisato che in caso di diniego della richiesta, sarebbe stato a malincuore costretto a rinunciare al mandato per l'impossibilità di contattare il cliente. Con decisione del 24 luglio 2000 il Pretore ha respinto l'istanza; ha quindi avvertito che in caso di mancata comparizione del prevenuto al dibattimento del 3 agosto successivo, la sentenza contumaciale sarebbe divenuta definitiva.
D.
Con sentenza del 3 agosto 2000 il Pretore del Distretto di Bellinzona, richiamata la rinuncia al mandato da parte del patrocinatore del prevenuto e l'assenza ingiustificata di quest'ultimo al dibattimento, ha dichiarato colpevole _ del reato ascrittogli, confermando pertanto quando già deciso il 23 dicembre 1999.
E.
Contro la sentenza pretorile _ ha inoltrato il 12 settembre 2000 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 31 agosto successivo, egli chiede l'annullamento della sentenza impugnata e un nuovo dibattimento..
F.
Non sono state chieste osservazioni sul ricorso. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorrente assevera che a causa dell'assenza, regolarmente notificata al Pretore, il suo ex patrocinatore gli ha recapitato la citazione 21 luglio (recte, giugno) per il pubblico dibattimento unicamente il 28 luglio 2000 per posta normale. Soggiunge di essere stato informato unicamente dopo il 3 agosto, data la sua assenza dal 29 giugno al 6 agosto 2000. Nulla sarebbe cambiato comunque, la citazione per il dibattimento essendo stata recapitata unicamente al patrocinatore e non a lui per raccomandata.
2.
Per le ragioni che saranno esposte, il ricorso è destinato all'insuccesso. Presentando il 20 giugno 2000 istanza di revoca della sentenza contumaciale e sollecitando pertanto un nuovo dibattimento, il ricorrente doveva anzitutto aspettarsi che il Pretore desse seguito alla sua eccezionale richiesta, stabilendo la data per il dibattimento. Egli doveva quindi anche aspettarsi che il Pretore prendesse posizione sulla domanda formulata dal suo patrocinatore nella stessa istanza, intesa ad appuntare il dibattimento non prima della metà di settembre. Il ricorrente, in altri termini, doveva dunque attendersi immediati sviluppi per quanto riguarda la sua pratica, ossia doveva dare per verosimile se non per certa una sollecita decisione del Pretore sul dies del dibattimento.
3.
Come era da prevedere, il primo giudice non ha tergiversato; il giorno successivo ha infatti staccato le citazioni per il dibattimento fissato il 3 agosto 2000. Con ciò egli ha implicitamente respinto la richiesta del prevenuto di aggiornare l'udienza a più tardi. Ora, risulta che la citazione per il dibattimento non è stata recapitata direttamente al prevenuto; essa è stata spedita lo stesso giorno al suo legale, che a sua volta l'ha trasmessa al cliente (scritto 7 settembre della Cancelleria della Pretura; distinta delle raccomandate). Occorrerebbe a questo punto chiarire se questo modo di procedere sia corretto, ovvero se la citazione tramite il patrocinatore fosse valida. La questione non ha ragione di essere approfondita. Il ricorrente, infatti, ammette in ogni modo che il proprio legale gli ha trasmesso la citazione 21 luglio (recte, giugno) prima del dibattimento, ossia il 28 luglio 2000, ancorché per posta normale; egli pretende unicamente di averne preso conoscenza soltanto dopo il 3 agosto 2000, vista la sua assenza dal 29 giugno al 6 agosto 2000 - ammessa anche dal proprio legale, come si vedrà - per vacanze. Tale obiezione merita però di essere vagliata più a fondo. Il ricorrente richiama infatti pure lo scritto 22 luglio 2000, mediante il quale il suo patrocinatore si era premurato di rinnovare la richiesta di rinvio del dibattimento, a causa di assenza sua e del suo legale per vacanza. Egli non pretende però che questa ulteriore domanda sia da attribuire ad una unilaterale iniziativa del proprio patrocinatore, ossia non fa valere di avere saputo solamente dopo il 3 agosto 2000 del nuovo e infruttuoso tentativo messo in atto dal suo rappresentante. Come visto, egli si duole unicamente del fatto che la citazione per il dibattimento gli sia stata recapitata dal suo avvocato unicamente il 28 luglio 2000, cioè durante la sua assenza. Per atti concludenti egli ammette pertanto implicitamente di essere stato al corrente dell'intenzione del Pretore di indire il dibattimento il 3 agosto 2000 –in dispregio della richiesta di spostarlo ad altra data già inserita nell'istanza 20 giugno 2000– prima della ripresentazione della stessa istanza con scritto 22 luglio 2000. Già è stato rilevato infatti che egli non pretende che lo scritto 22 luglio 2000 sia stato inoltrato a sua insaputa, ossia che il suo legale abbia agito senza sue precise disposizioni al riguardo. Ora, considerato che già una volta il Pretore si era espresso negativamente, a maggior ragione si poteva pretendere da lui un puntuale interessamento alla decisione che lo stesso giudice avrebbe preso sulla seconda richiesta di rinvio; bastava che egli mantenesse i contatti con il proprio avvocato. Cosa che non ha però fatto, preferendo trascorrere indisturbato il resto delle proprie vacanze, ossia disinteressandosi completamente e senza valida ragione della procedura. Dal canto suo anche il patrocinatore, che agiva per conto e in nome del ricorrente, non ha saputo fare meglio; ricevuta la decisione negativa del Pretore (24 luglio 2000) sulla seconda richiesta di rinvio, presentata peraltro a circa un mese dal primo infruttuoso tentativo, egli non soltanto non l'ha impugnata davanti alla Camera dei ricorsi penali (art. 284 cpv. 1 lett. c CPP), ma ha addirittura gettato la spugna, ovvero ha deposto il mandato (v. scritto 28 luglio 2000) e quindi ha disertato il dibattimento, dando seguito a quanto preannunciato nello scritto 22 luglio 2000 nel caso in cui il Pretore non avesse rinviato il dibattimento (v. anche sentenza impugnata, pag. 2). Lo stesso patrocinatore aveva peraltro sostanzialmente agito nello stesso modo nell'ambito del precedente procedimento; anche in quell'occasione ha rinunciato all'ultimo momento a comparire al dibattimento (v. scritto 21 dicembre 1999 alla Pretura). Tale circostanza non gli ha però impedito di riassumere il mandato, sfociato nella richiesta di revoca della sentenza contumaciale.
4.
Ciò posto, non giova al ricorrente richiamarsi al fatto che la citazione 21 giugno 2000 non gli sia stata intimata dalla Cancelleria della Pretura per raccomandata, come pure che la stessa gli sia stata recapitata per lettera semplice dal suo legale soltanto il 28 luglio 2000 (v. ricorso), ovvero durante la sua pretesa assenza. Tali circostanze risultano infatti superate dalla presentazione di una seconda istanza di rinvio, del cui esito egli non aveva però motivo alcuno per disinteressarsi, rimanendo assente ulteriormente per motivi insignificanti. E' peraltro contraddittorio e deplorevole da una parte pretendere dal Pretore il rifacimento del processo contumaciale e dall'altra insistere con richieste di rinvio del tutto pretestuose e fuori luogo. Ancor più deplorevole è propendere per le vacanze mentre il Pretore sta mettendo in atto tutto quanto necessario per una sollecito aggiornamento del processo, richiesto dallo stesso prevenuto (v. istanza di revoca della sentenza contumaciale). Giustamente il primo giudice ha pertanto dichiarato definitiva la sentenza contumaciale del 17 dicembre 1999, l'assenza al dibattimento del prevenuto non essendo per nulla giustificata.
5.
Discende che il ricorso, non sprovvisto di temerarietà, deve essere disatteso. Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,000 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
a1db88d7-b491-5f25-992c-1124a2504218 | in fatto
a
. Con decreto di accusa 4.7.2011 il procuratore pubblico ha posto il dr. med. PI 2 in stato di accusa davanti alla Pretura penale siccome ritenuto colpevole di omicidio colposo giusta l’art. 117 CP
[“
per avere, nella sua qualità di medico accreditato presso la _, per imprevidenza colpevole, violando le regole dell’arte medica, cagionato la morte di _ (_) avvenuta il 21 novembre 2005 presso la _ e meglio per avere nel corso della mattina del 21 novembre 2005 dimesso _ senza aver proceduto al monitoraggio della diuresi, all’analisi dei parametri ematochimici e ad un controllo mediante radiografia o TAC dell’addome per verificare lo stato della canalizzazione intestinale al fine di escludere la presenza di un’occlusione intestinale; nel corso del pomeriggio e della serata del 21 novembre 2005 omesso di posizionare o di far posizionare un sondino naso-gastrico a _ a fronte della presenza di una sintomatologia addominale caratterizzata da un addome globoso e dolente con presenza di timbri metallici, da dispnea da compressione sul diaframma per distensione delle anse intestinali, da alterazione dell’equilibrio idro-elettrolico, ossia da condizioni cliniche e strumentali indicative di un franco stato occlusivo intestinale; omesso di sorvegliare o di far sorvegliare la funzione renale (diuresi) per la correzione del bilancio idrico; omesso di indicare che a _ non dovevano essere somministrate benzodiazepine o altri sedativi tali da ridurre le sue difese a contrastare l’eventuale aspirazione di materiale gastro-enterico; così che _, affetto da un’occlusione intestinale da ileo, probabilmente meccanico, associata ad un’insufficienza renale acuta e sotto l’effetto ipnotico-sedativo della benzodiazepina somministratagli ebbe ad avere un episodio di vomito con inalazione massiva di materiale alimentare e biliare (polmonite ab ingestis) e conseguente successivo arresto cardiocircolatorio che lo portò alla morte nel lasso di tempo compreso tra le ore 21:30 e le ore 22:30 del 21 novembre 2005
”].
Ha proposto la sua condanna alla pena pecuniaria di 60 aliquote giornaliere a CHF 750.--/aliquota corrispondenti a CHF 45'000.--, pena sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, alla multa di CHF 9'000.-- e al pagamento della tassa di giustizia di CHF 1'000.-- e delle spese giudiziarie di CHF 28'000.--. Ha rinviato gli accusatori privati IS 2, IS 3 e IS 4 – moglie rispettivamente figli di _ – al competente foro civile (DA _).
Al decreto di accusa hanno interposto opposizione l’8/11.7.2011 gli accusatori privati (limitatamente al dispositivo n. 3 che li rinviava al foro civile) ed il 14/15.7.2011 il dr. med. PI 2.
Il procuratore pubblico, il 18.7.2011, ha deciso di confermare il predetto decreto con contestuale trasmissione degli atti del procedimento [che comprendevano anche due perizie (AI 89, 200/221)] alla Pretura penale per lo svolgimento del dibattimento.
b
. Il 14.9.2011 il giudice della Pretura penale Siro Quadri – espletando le formalità concernenti l’indizione del dibattimento – ha disposto, tra l’altro, l’allestimento di un’ulteriore perizia giudiziaria tesa a stabilire se l’imputato avesse violato le regole dell’arte medica per imprevidenza colpevole, cagionando la morte di _. Ha comunicato che il referto peritale sarebbe stato reso dal prof. dr. med. PI 3, perito da lui stesso trovato, in base ad indicazioni non fornite dalle parti o dai loro rappresentanti. Ha invitato le parti ad esprimersi, entro dieci giorni, sul nominativo del perito e sul quesito peritale posto.
Il decreto, che a p. 3 riproduceva il testo dell’art. 56 CPP (motivi di ricusazione), è stato intimato al procuratore pubblico, all’avv. PR 1 (legale dell’imputato) ed all’avv. PR 2.
c
. Il giudice, in data 11.10.2011, preso atto che entro il termine fissato non era giunta alcuna presa di posizione, ha conferito mandato al prof. dr. med. PI 3, che esercitava presso l’_ di _, di allestire un referto peritale. Lo ha reso attento che, sotto la sua responsabilità, poteva impiegare altre persone per l’elaborazione della perizia. Ha inoltre indicato due quesiti, gli ha messo a disposizione l’incarto del Ministero pubblico (trasmessogli di fatto il 14.10.2011) e gli ha assegnato un termine fino al 19.12.2011 per la consegna della perizia.
Il “
mandato peritale
” è stato intimato, secondo l’atto stesso, al magistrato inquirente, all’avv. PR 1 ed all’avv. PR 2.
d
. Il 18.10.2011 il giudice ha citato le parti a comparire nell’aula delle udienze della Pretura penale il 23.1.2012 per il dibattimento.
e
. Il perito ha trasmesso il referto alla Pretura penale il 15.12.2011.
Esso, il 20/21.12.2011, è stato inviato alle parti per osservazioni.
Il procuratore pubblico e gli accusatori privati si sono espressi in merito contestandone le modalità di esecuzione e le conclusioni.
f
. Il 27.12.2011 il magistrato inquirente ha comunicato al giudice che il 22.12.2011 era venuto a conoscenza, per puro caso, del fatto che il suddetto perito era stato in passato (almeno fino al 2007) patrocinato dall’avv. PR 1 in un procedimento che lo concerneva. Ha rilevato che, al momento della nomina, né il prof. dr. med. PI 3 né l’avv. PR 1 avevano riferito la circostanza, comportamento a suo giudizio grave. Il legale assisteva infatti il dr. med. PI 2 e il perito doveva rispondere di un eventuale comportamento contrario alle regole dell’arte medica per la persona patrocinata da quello che era stato il suo legale. Il conflitto di interessi appariva, perlomeno, evidente.
g
. Il 30.12.2011 gli accusatori privati, preso atto del menzionato scritto del procuratore pubblico, hanno inoltrato – all’indirizzo del giudice della Pretura penale – istanza di ricusazione nei confronti del prof. dr. med. PI 3, in applicazione dell’art. 56 lit. f CPP, per non essersi astenuto ed aver volutamente sottaciuto (art. 57 CPP) il suo legame con l’avv. PR 1, parente stretto dell’imputato. Hanno indicato che lasciava particolarmente perplessi la conclusione del referto presentato, inteso a contrastare a tutti i costi gli accertamenti e le conclusioni degli altri periti che già si erano occupati del caso. Si era inoltre arbitrariamente avvalso, provocando così l’annullamento del suo referto, di pareri di terzi medici, estranei alla procedura, in sua crassa lesione, in violazione dei diritti delle parti, giungendo alle conclusioni più favorevoli all’imputato. La circostanza per cui il perito fosse indagato dal Ministero pubblico nel periodo in cui l’inchiesta a carico del dr. med. PI 2 era già pendente e fosse rappresentato, parallelamente al qui imputato, dall’avv. PR 1, in aggiunta al fatto che questi rapporti personali e professionali erano stati nascosti alle altre parti del procedimento, perlomeno in lesione dell’art. 57 CPP, induceva a ritenere che il perito avrebbe potuto avere una prevenzione, tale da giustificare la sua ricusazione e l’annullamento della perizia del prof. dr. med. PI 3.
h
. Il procuratore pubblico, il medesimo giorno, ha introdotto istanza di ricusazione nei confronti del perito giusta l’art. 56 lit. f CPP. Il prof. dr. med. PI 3, quale persona che operava in seno ad un’autorità penale, era tenuto a ricusarsi (art. 57 CPP), segnatamente a causa del rapporto che si era instaurato con l’avv. PR 1, patrocinatore dell’imputato dr. med. PI 2, che l’aveva assistito in un procedimento a suo carico. Era pacifico che il perito potesse avere una prevenzione (anche solo apparente) nel caso. Ha ritenuto che il silenzio del perito e del legale sul loro rapporto era, già da solo, motivo di ricusazione.
i
. Il 18.1.2012 il giudice, preso atto delle istanze di ricusazione e delle osservazioni dell’imputato e del perito, ha sospeso il procedimento ed ha trasmesso l’incarto a questa Corte per i suoi incombenti. Ha inoltre rinviato il dibattimento a data da stabilire.
j
. La Corte dei reclami penali ha interpellato le parti sulle istanze di ricusazione rispettivamente sulle osservazioni alle medesime.
Delle loro prese di posizione si dirà, se necessario, in seguito. | in diritto
1
. 1.1.
Il Codice di procedura penale prevede che ai periti si applichino i motivi di ricusazione di cui all’art. 56 CPP (art. 183 cpv. 3 CPP).
Il testo di legge non fa ulteriori riferimenti alla procedura; non designa, in particolare, l’autorità competente a pronunciarsi su un’istanza di ricusazione del perito, che non è regolamentata.
Il Tribunale federale, nel giudizio 1B_488/2011 del 2.12.2011, ha rilevato che in merito all’autorità competente a statuire in materia di ricusazione del perito la legge presentasse una lacuna. Ha ritenuto che detta lacuna potesse essere colmata applicando per analogia l’art. 59 cpv. 1 lit. b CPP, il quale prevede che – se è invocato un motivo di ricusazione di cui all’art. 56 CPP lit. a oppure f o se una persona che opera in seno a un’autorità penale si oppone alla domanda di ricusazione presentata da una parte in virtù dell’art. 56 lit. b-e CPP – decide senza ulteriore procedura probatoria e definitivamente la giurisdizione di reclamo nei casi in cui sono interessati il pubblico ministero, le autorità penali delle contravvenzioni o i tribunali di primo grado (consid. 1.1.).
1.2.
La Corte dei reclami penali,
competente a’ sensi dell’art. 62 cpv. 2 LOG, è – in applicazione della predetta giurisprudenza dell’Alta Corte – l’autorità pacificamente abilitata a pronunciarsi, senza ulteriore procedura probatoria (art. 59 cpv. 1 CPP), sulle istanze di ricusazione presentate nei confronti del prof. dr. med. PI 3, nominato perito dal giudice della Pretura penale, ossia dal tribunale di primo grado chiamato a decidere il caso.
2
. 2.1.
Giusta l’art. 58 cpv. 1 CPP la parte che intende chiedere la ricusazione di una persona che opera in seno a un’autorità penale deve presentare senza indugio la relativa domanda a chi dirige il procedimento non appena è a conoscenza del motivo di ricusazione; deve rendere verosimili i fatti su cui si fonda la domanda.
2.2.
Il procuratore pubblico e gli accusatori privati – tutti parti a’ sensi dell’art. 104 cpv. 1 lit. b e c CPP – sono legittimati, in ragione dell’art. 58 cpv. 1 CPP (BSK StPO – M. BOOG, art. 58 CPP n. 1), a postulare la ricusazione del prof. dr. med. PI 3.
2.3.
2.3.1.
Gli accusatori privati – venuti a conoscenza, per il tramite della Pretura penale, dello scritto 27.12.2011 del magistrato inquirente al giudice riguardante la circostanza secondo cui aveva appreso il 22.12.2011 che il perito era stato patrocinato, almeno fino al 2007, dall’avv. PR 1, legale del dr. med. PI 2 – hanno, con scritto 30.12.2011, domandato la ricusazione del perito.
L’istanza di ricusazione di IS 2, IS 3 e IS 4 è, senza necessità di approfondimento alcuno, oltre che motivata e formalmente corretta, tempestiva, essendo stata inoltrata “
senza indugio
” secondo l’art. 58 cpv. 1 CPP, ossia nei giorni immediatamente seguenti la conoscenza del motivo di ricusazione (decisione TF 6B_601/2011 del 22.12.2011 consid. 1.2.1.;
BSK StPO – M. BOOG, art. 58 CPP n. 5
).
2.3.2.
Il procuratore pubblico ha inoltrato l’istanza il 30.12.2011. Il 27.12.2011 aveva comunicato al giudice che il 22.12.2011 era venuto a sapere, per puro caso, del fatto che il prof. dr. med. PI 3 era stato in passato (almeno fino al 2007) assistito dall’avv. PR 1 in un procedimento che lo concerneva.
Anche in questo caso si deve ritenere tempestiva l’istanza.
3
. 3.1.
Si chiede la ricusazione del prof. dr. med. PI 3, designato perito dal giudice Siro Quadri nell’ambito del procedimento contro il dr. med. PI 2 per omicidio colposo.
3.2.
Giusta l’art. 182 CPP il pubblico ministero e il giudice fanno capo a uno o più periti quando non dispongono delle conoscenze e capacità speciali necessarie per accertare o giudicare un fatto.
Essi sono dunque tenuti (nel senso che devono) ad interpellare un perito se difettano delle conoscenze o delle capacità per chiarire i fatti (messaggio 21.12.2005 concernente l’unificazione del diritto processuale penale, p. 1115; ZK StPO – A. DONATSCH, art. 182 CPP n. 28; N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 182 CPP n. 3; BSK StPO – M. HEER, art. 182 CPP n. 7).
Il perito, riconosciuto “
altro partecipante al procedimento
” giusta l’art. 105 cpv. 1 lit. e CPP, è la persona (fisica) che interviene nel procedimento in ragione della sua qualità di tecnico in uno specifico campo (Commentario CPP – M. GALLIANI / L. MARCELLINI, art. 182 CPP n. 3; ZK StPO – A. DONATSCH, art. 182 CPP n. 1; N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 182 CPP n. 1; BSK StPO – H. KÜFFER, art. 105 CPP n. 22).
Il suo ruolo è, di fatto, quello di un “
ausiliario
” delle autorità penali nella scoperta della verità materiale (Commentario CPP – M. GALLIANI / L. MARCELLINI, art. 182 CPP n. 3; ZK StPO – A. DONATSCH, art. 182 CPP n. 2; BSK StPO – H. KÜFFER, art. 105 CPP n. 24; N. SCHMID, Handbuch des schweizerischen Strafprozessrechts, n. 931). Egli è loro “
Entscheidungsgehilfe
” (decisione TF 6B_299/2007 dell’11.10.2007 consid. 5.1.1.).
Il perito ha lo specifico compito di accertare i fatti (BSK StPO – M. HEER, art. 182 CPP n. 2); non deve, e anzi non può, al contrario, rispondere a questioni giuridiche eventualmente postegli: “
iura novit curia
” (N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 182 CPP n. 2; ZK StPO – A. DONATSCH, art. 182 CPP n. 21).
La perizia può avere una portata straordinaria, secondo le circostanze addirittura risolutiva, per il giudizio (decisione TF 6B_299/2007 dell’11.10.2007 consid. 5.1.1.): non raramente è infatti il solo mezzo di prova su un punto importante, per cui – stante la sua rilevanza per l’esito processuale – i requisiti che deve soddisfare un perito sono importanti. Questi è infatti chiamato ad esprimersi in un ambito in cui le autorità penali difettano di conoscenze e capacità speciali (BSK StPO – M. HEER, art. 183 CPP n. 4). Il referto peritale ha invero una “
verfahrensentscheidende Bedeutung
”, ossia un significato determinante per il procedimento (BSK StPO – M. HEER, art. 182 CPP n. 1).
La perizia soggiace, come ogni altra prova, al libero apprezzamento del giudice (art. 10 cpv. 2 CPP) [decisione TF 6B_487/2011 del 30.1.2012 consid. 3.1.2.]. Il referto peritale deve essere posto alla base di una decisione soltanto qualora convinca il giudice (N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 189 CPP n. 5). Se del caso, dunque, d’ufficio o ad istanza di parte, chi dirige il procedimento incarica il perito di completare o di migliorare il referto peritale o designa altri periti (art. 189 CPP).
Il giudice non è perciò vincolato alle conclusioni peritali; non può nondimeno discostarsene senza una valida motivazione, sostituendosi al perito senza averne le competenze (decisione TF 6B_704/2011 del 23.2.2012 consid.
4.1.; decisione TF 6B_487/2011 del 30.1.2012 consid. 3.1.2.; Commentario CPP – M. GALLIANI / L. MARCELLINI, art. 189 CPP n. 6; N. SCHMID, Handbuch des schweizerischen Strafprozessrechts, n. 951).
Il Tribunale federale riconosce la facoltà di scostarsi da una perizia giudiziaria quando, segnatamente, il perito non ha risposto alle domande postegli o quando non ha motivato le sue conclusioni oppure, ancora, quando il referto peritale è contraddittorio (decisione TF 6B_487/2011 del 30.1.2012 consid. 3.1.2.).
3.3.
3.3.1.
Il principio dell’indipendenza del perito non è disciplinato esplicitamente nella legge (BSK StPO – M. HEER, art. 183 CPP n. 20).
Il Tribunale federale ritiene che la garanzia procedurale dell’indipendenza ex art. 30 cpv. 1 Cost. e 6 cifra 1 CEDU – nelle cause giudiziarie ognuno ha diritto di essere giudicato da un tribunale fondato sulla legge, competente nel merito, indipendente ed imparziale – sia applicabile, per analogia, anche verso il perito (decisione TF 6B_258/2011 del 22.8.2011 consid. 1.3.1.).
La ricusazione del perito, non essendo questi un giudice, si esamina tuttavia alla luce dell’art. 29 cpv. 1 Cost., il cui contenuto e la cui portata sono comunque identici a quelli dell’art. 30 cpv. 1 Cost. (decisione TF 1B_488/2011 del 2.12.2011 consid. 3.1.).
La garanzia del diritto ad un perito non prevenuto ed imparziale vieta l’influsso di circostanze estranee alla causa che potrebbero influenzare il giudizio a favore o a pregiudizio di una parte (decisione TF
1B_488/2011 del 2.12.2011 consid. 3.1.).
Il perito deve dunque essere indipendente ed imparziale in ragione del suo ruolo, ossia di colui che mette a disposizione del giudice specifiche sue conoscenze, sulle quali questi – che non ha le nozioni necessarie per constatare e valutare un fatto – deve potere fare affidamento (ZK StPO – A. DONATSCH, art. 183 CPP n. 11; BSK StPO – M. HEER, art. 183 CPP n. 4).
Il diritto di essere sentito delle parti, concretizzato dall’art. 184 cpv. 3 CPP (“
Chi dirige il procedimento offre previamente alle parti l’opportunità di esprimersi in merito al perito e ai quesiti peritali e di fare proprie proposte.
”),
permette loro di identificare motivi di ricusazione (N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 184 CPP n. 13).
Per il perito, giusta l’art. 183 cpv. 3 CPP, valgono i motivi di ricusazione disciplinati nell’art. 56 CPP (ZK StPO – A. DONATSCH, art. 183 CPP n. 9; BSK StPO – M. HEER, art. 183 CPP n. 21).
La persona del perito è da reputare prevenuta, secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, quando sussistono – dal punto di vista oggettivo (decisione TF 6B_258/2011 del 22.8.2011 consid. 1.3.2.; BSK StPO – M. HEER, art. 183 CPP n. 21) – circostanze concrete idonee a destare diffidenza nella sua imparzialità (decisione TF 1B_488/2011 del 2.12.2011 consid. 3.1.; decisione TF 6B_258/2011 del 22.8.2011 consid. 1.3.2.; BSK StPO – M. HEER, art. 183 CPP n. 22; BSK StPO – M. BOOG,
vor
art. 56-60 CPP n. 8; ZK StPO – A. KELLER, art. 56 CP n. 11).
Le circostanze possono manifestarsi in un comportamento del giudice o del perito o in situazioni di natura funzionale o organizzativa (decisione TF 6B_258/2011 del 22.8.2011 consid. 1.3.2.).
E’ sufficiente l’apparenza di parzialità (decisione TF 1B_488/2011 del 2.12.2011 consid. 3.1.; decisione TF 6B_258/2011 del 22.8.2011 consid. 1.3.2.; ZK StPO – A. DONATSCH, art. 183 CPP n. 12; BSK StPO – M. HEER, art. 183 CPP n. 21 s.; N. SCHMID, StPO Praxiskommentar, art. 183 CPP n. 7). Non è necessario, per ammettere la ricusazione, che il perito sia effettivamente prevenuto (decisione TF 6B_258/2011 del 22.8.2011 consid. 1.3.2.); bastano circostanze oggettive atte a suscitare l’apparenza di prevenzione (
decisione TF
1B_488/2011 del 2.12.2011 consid.
3.1.; BSK StPO – M. HEER, art. 183 CPP n. 22; BSK StPO – M. BOOG,
vor
art. 56-60 CPP n. 7).
Sono irrilevanti l’impressione soggettiva delle parti (decisione TF 1B_488/2011 del 2.12.2011 consid. 3.1.; decisione TF 6B_258/2011 del 22.8.2011 consid. 1.3.2.; BSK StPO – M. BOOG,
vor
art. 56-60 CPP n. 10) o, pure, la valutazione propria del perito (BSK StPO – M. HEER, art. 183 CPP n. 22).
3.3.2.
L’art. 183 cpv. 3 CPP rinvia, come detto, per quanto concerne i motivi di ricusazione del perito, all’art. 56 CPP
(“
Chi opera in seno a un’autorità penale si ricusa se: a. ha un interesse personale nella causa; b. ha partecipato alla medesima causa in altra veste, segnatamente come membro di un’autorità, patrocinatore di una parte, perito o testimone; c. è unito in matrimonio, vive in unione domestica registrata o convive di fatto con una parte, con il suo patrocinatore o con una persona che ha partecipato alla medesima causa come membro della giurisdizione inferiore; c. è parente o affine di una parte in linea retta o in linea collaterale fino al terzo grado incluso; e. è parente o affine in linea retta, o in linea collaterale fino al secondo grado incluso, di un patrocinatore di una parte oppure di una persona che ha partecipato alla medesima causa come membro della giurisdizione inferiore; f. per altri motivi, segnatamente a causa di rapporti di amicizia o di inimicizia con una parte o con il suo patrocinatore, potrebbe avere una prevenzione nella causa.
”).
La lit. f dell’art. 56 CPP riporta una clausola generale che disciplina la ricusazione per motivi differenti da quelli esplicitamente menzionati alle lit. a-e (
decisione TF
1B_488/2011 del 2.12.2011 consid. 3.1.; BSK StPO – M. BOOG, art. 56 CPP n. 38).
Giusta l’art. 56 lit. f CPP, dunque, chi opera in seno a un’autorità penale (compreso di conseguenza il perito in applicazione dell’art. 183 cpv. 3 CPP) si ricusa altresì se,
“per altri motivi”
, segnatamente a causa di rapporti di amicizia o di inimicizia con una parte o con il suo patrocinatore, potrebbe avere una prevenzione nella causa (decisione TF 1B_38/2012 del 13.2.2012 consid. 4.1.; decisione TF 1B_629/2011 del 19.12.2011 consid. 2.1.).
Per es. si può citare che una relazione personale del perito con un membro del tribunale non è di per sé motivo per ammettere la sua parzialità (BSK StPO – M. HEER, art. 183 CPP n. 23).
Si può menzionare che – al contrario – è parziale il perito che ha un immediato interesse personale all’esito del procedimento (BSK StPO – M. HEER, art. 183 CPP n. 24). Una durevole relazione contrattuale (per es. in base ad un contratto di lavoro, di locazione o di prestito) tra il perito e una parte o il suo legale fonda parzialità (BSK StPO – M. HEER, art. 183 CPP n. 24; decisione TF 1B_488/2011 del 2.12.2011 consid. 1. ss.).
Un rapporto di mandato tra un giudice e un patrocinatore di una parte non fonda, di per sé, un motivo di ricusazione in quanto il legale non rappresenta i suoi propri interessi, ma quelli del mandante (decisione TF 1P.99/2000 del 20.3.2000 consid. 3b.).
Si può aggiungere che un avvocato che funge da giudice appare prevenuto quando sia ancora vincolato a una parte in ragione di un mandato in corso o quando sia intervenuto più volte come avvocato a favore di una parte (DTF 116 Ia 485 consid. 3.).
Secondo la giurisprudenza un avvocato che funge da giudice rispettivamente da arbitro non appare unicamente parziale se rappresenta o ha rappresentato poco tempo prima in un’altra procedura una delle parti, ma anche quando sussiste o sussisteva un tale rapporto di rappresentanza nei confronti di una loro controparte in un’altra procedura (DTF 135 I 14 consid. 4.1. ss.).
3.4.
3.4.1.
Si postula la ricusazione del prof. dr. med. PI 3 per avere volutamente sottaciuto il suo legame con l’avv. PR 1, parente stretto dell’imputato. La circostanza per cui il perito fosse indagato dal Ministero pubblico nel periodo in cui l’inchiesta a carico del dr. med. PI 2 era già pendente e fosse rappresentato, parallelamente all’imputato, dall’avv. PR 1 induceva a ritenere che il perito avrebbe potuto avere una prevenzione, tale da giustificare la sua ricusazione e l’annullamento del referto 15.12.2011 agli atti redatto dal perito.
3.4.2.
Il prof. dr. med. PI 3, interpellato dal giudice Siro Quadri in merito alle domande di ricusazione degli accusatori privati e del procuratore pubblico, ha osservato – con scritti 11/17.1.2012 e 15/17.1.2012 – di essere stato contattato da una collaboratrice della Pretura penale all’inizio di settembre 2011 per l’allestimento di una perizia in un caso medico, di averla immediatamente resa attenta del fatto che, avendo lavorato come “
primario del servizio di chirurgia
” presso l’_, _, per tredici anni, era probabile che conoscesse il chirurgo oggetto del procedimento penale e che quindi era preferibile trovare un altro perito.
Ha accettato il mandato perché conosceva l’imputato solo di nome. L’avv. PR 1 era stato incaricato dall’_ di occuparsi di una pratica che lo aveva interessato quando lavorava a _. Non si era trattato di una sua scelta: non lo conosceva e non pensava di avere bisogno di un avvocato. Non avevano più avuto contatti dopo la fine della pratica. Il rapporto con il legale non poteva in alcuna maniera influenzare il parere, redatto in tutta indipendenza.
Il prof. dr. med. PI 3, il 5/6.3.2012, ha ribadito all’indirizzo di questa Corte, che lo ha interpellato, che aveva accettato di redigere una perizia dopo avere comunicato le sue reticenze alla collaboratrice della Pretura penale e che aveva allestito il referto secondo coscienza, senza implicazioni emotive.
3.4.3.
Il dr. med. PI 2 si è espresso sulle domande di ricusazione il 10/11.1.2012 davanti alla Pretura penale ed il 6/7.2.2012 davanti a questa Corte, con analoghe argomentazioni.
L’imputato ha asserito che il prof. dr. med. PI 3, nel suo scritto alla Pretura penale, aveva confermato l’esistenza del rapporto con il legale ed aveva definito genesi, contenuti ed effetti. Ha aggiunto che il tutto si era concluso con l’emanazione da parte del Ministero pubblico di un decreto di non luogo a procedere in data 13.6.2006 (NLP _). Ha confermato che con il perito non aveva una relazione di amicizia o di altro tipo. Non c’era amicizia neppure verso il legale. Il patrocinio del suo legale dell’ora perito era un unicum, terminato oltre cinque anni fa.
3.4.4.
Si ha dunque, in ragione delle dichiarazioni sopra riportate, che l’avv. PR 1 ha patrocinato il prof. dr. med. PI 3 in una vertenza penale che lo vedeva quale indagato, controversia conclusasi con il decreto di non luogo a procedere 13.6.2006.
Non si conoscono le imputazioni promosse a carico del prof. dr. med. PI 3, che non sono state menzionate.
Questi ha nondimeno indicato che “
(...) l’avvocato PR 1 a été chargé par l’_ de s’occuper d’un dossier qui m’avait concerné, alors que je travaillais à _
”, quale primario del servizio di chirurgia dell’ospedale della città (scritto 11/17.1.2012 al giudice della Pretura penale Siro Quadri).
Si deve pertanto senz’altro ritenere che il caso concerneva il contesto medico e dunque – inevitabilmente – ipotesi accusatorie a suo carico riguardanti la violazione di regole dell’arte medica.
3.4.5.
Si devono adesso esaminare le ripercussioni delle predette circostanze – procedimento a carico del prof. dr. med. PI 3 per imputazioni legate alla sua professione di medico, nel cui ambito era stato assistito dall’avv. PR 1 – sulla qualità di perito, e della sua indipendenza, del prof. dr. med. PI 3 nel procedimento promosso a carico del dr. med. PI 2, assistito dall’avv. PR 1, per omicidio colposo.
3.4.5.1.
Ora, il ruolo del perito, come detto al consid. 3.2., è quello di una persona che interviene nel procedimento penale in ragione della sua qualità di tecnico in uno specifico campo: è, di fatto, un ausiliario delle autorità penali nella scoperta della verità materiale.
Il referto peritale nel contesto medico, stante la complessità della materia (cfr., per es., decisione TF 6B_995/2010 del 21.3.2011 consid. 5.2., sulla violazione degli obblighi di diligenza in materia medica), ha – nei risultati – rilevante importanza per la sentenza.
Il giudice, non avendo le conoscenze e le capacità speciali per valutare l’operato di un medico, deve in effetti fare affidamento proprio sulla perizia, quale strumento di accertamento dei fatti. Se non è vincolato alle conclusioni peritali, non può tuttavia discostarsene senza una valida motivazione, sostituendosi al perito.
Ne discende di conseguenza che il perito deve garantire imparzialità nel suo operato: non devono esserci, in altre parole, dal punto di visto oggettivo, circostanze concrete idonee a destare diffidenza nella sua imparzialità, ritenuto che l’apparenza di parzialità è sufficiente per ammettere la ricusazione del perito.
3.4.5.2.
Si deve constatare che il legale ha assunto il patrocinio del dr. med. PI 2 il 3.5.2007 (AI 102); in precedenza l’imputato aveva rinunciato al suo diritto di essere assistito da un avvocato.
La difesa del prof. dr. med. PI 3 da parte dell’avv. PR 1 nel procedimento sfociato nel decreto di non luogo a procedere 13.6.2006 si era dunque conclusa precedentemente all’assunzione del patrocinio del dr. med. PI 2: dal profilo temporale non c’è stata alcuna sovrapposizione dei due mandati.
Questa circostanza non è tuttavia sufficiente per negare l’esistenza di un motivo di ricusazione nei confronti del perito.
E’ infatti decisivo, nel caso concreto, a prescindere perciò dal fatto che il rapporto con l’avv. PR 1 fosse ampiamente terminato non solo al momento della sua nomina a perito nel caso pendente davanti alla Pretura penale, ma anche al momento dell’assunzione della difesa del dr. med. PI 2, che il prof. dr. med. PI 3 sia stato chiamato ad esprimersi in qualità di perito su una possibile violazione delle regole dell’arte medica da parte di una persona assistita dall’avv. PR 1, che l’aveva patrocinato in un procedimento per analoghe imputazioni per un’eventuale violazione delle regole dell’arte medica.
Il 14.9.2011 il giudice Siro Quadri ha infatti disposto, tra l’altro, l’allestimento di una perizia tesa a stabilire se l’imputato avesse violato le regole dell’arte medica per imprevidenza colpevole, cagionando la morte di _. Ha comunicato che il referto peritale sarebbe stato reso dal prof. dr. med. PI 3 (persona alla quale il giudice era giunto per il tramite del prof. _, medico capo del servizio dei trapianti, responsabile della chirurgia epato-biliare, _). L’11.10.2011 ha poi formalmente conferito a quest’ultimo il mandato peritale, ponendo questi quesiti: A. “
se la prima e scatenante causa di morte non sia stata l’aritmia cardiaca letale dovuta agli episodi embolici ripetuti di media entità”; B. “quale fosse l’utilità e il senso di una radiografia o TAC la mattina del 21 novembre 2005 quando dalla cartella medica risulta che nel pomeriggio del 20 novembre 2005 è stata: <<(...)>>
”.
Ora, stante il ruolo del perito in materia medica, come ricordato al consid. 3.4.5.1., si deve concludere che la relazione tra il perito ed il legale dell’imputato, anche se riferita ad un unico patrocinio, ormai concluso, lontano nel tempo, è sufficiente – nelle circostanze concrete – a fondare apparenza di parzialità: il giudice, qualora il referto peritale del prof. dr. med. PI 3 fosse mantenuto agli atti, dovrebbe infatti confrontarsi con un parere, in materia molto specialistica, redatto da persona che, quando era inquisita per analoghi fatti riconducibili alla professione di medico, era assistita dal patrocinatore dell’imputato perseguito, come il perito in precedenza, per fatti legati alla professione.
Il prof. dr. med. PI 3 ha sostenuto invero di avere redatto il referto peritale in tutta indipendenza, secondo coscienza.
Ora, questa circostanza, di cui non si dubita, non basta per non ammettere la sua ricusazione: non è infatti necessario, come detto al consid. 3.3.1., che il perito sia effettivamente prevenuto. La sua valutazione in capo alla sua imparzialità è del tutto irrilevante. Decisiva è, come esposto, l’esistenza di circostanze oggettive atte ad originare l’apparenza di una prevenzione del perito.
Il predetto rapporto tra il perito e l’avv. PR 1 – ovvero il patrocinatore di una parte giusta l’art. 56 lit. f CPP – fonda dunque una circostanza oggettiva idonea a suscitare l’apparenza di prevenzione: il conflitto di interessi tra, da una parte, il ruolo di perito e, dall’altra, il ruolo di già imputato difeso, peraltro con successo, da persona che oggi patrocina un imputato per similari ipotesi accusatorie in materia medica appare invero manifesto in considerazione dell’importanza della perizia per il giudizio di merito.
Il fatto che il procedimento a carico del prof. dr. med. PI 3 sia sfociato in un decreto di non luogo a procedere, ovvero che l’inchiesta si sia limitata ad informazioni preliminari giusta gli art. 178 ss. CPP TI, senza giungere ad una promozione dell’accusa (art. 188 ss. CPP TI), non rende meno significativa la relazione con l’ora patrocinatore del dr. med. PI 2: egli ha in ogni caso funto da consigliere nel contesto di un procedimento per violazione delle regole dell’arte medica. E’ palese la connessione materiale tra la difesa di allora e quella di oggi, ciò che fonda, per il perito, apparenza di prevenzione (art. 56 lit. f CPP).
La relazione cliente – avvocato, regolata dalle norme sul mandato giusta gli art. 394 ss. CO (DTF 127 III 357 consid. 1a.), è peraltro caratterizzata, oltre che segnatamente dai doveri di cura e di diligenza, dall’obbligo del segreto professionale: secondo l’art. 13 cpv. 1 prima frase della legge federale sulla libera circolazione degli avvocati, infatti, l’avvocato è tenuto, senza limiti di tempo e nei confronti di tutti, al segreto professionale su quanto gli è stato confidato dai clienti a causa della sua professione.
E’ perciò evidente, e questo indipendentemente dalla conclusione del procedimento penale nei confronti del prof. dr. med. PI 3, il legame che perdura tuttora tra il perito e l’allora suo patrocinatore, tenuto al segreto di fatti rivelatigli dall’ora perito su un tema analogo a quello pendente davanti al giudice di merito, ossia riguardante la violazione delle regole dell’arte medica.
Il fatto che, a dire del perito, sia stato l’_ ad incaricare l’avv. PR 1 della difesa dell’allora imputato nulla muta, manifestamente, alla circostanza che tra i due sia sorto un rapporto confidenziale tra cliente ed avvocato.
3.4.5.3.
La circostanza che sia il perito sia l’avv. PR 1 abbiano sottaciuto al giudice Siro Quadri il loro legame professionale non fonda, di per sé, un motivo di ricusazione ex art. 56 lit. f CPP.
Questo fatto, almeno riferito al silenzio del prof. dr. med. PI 3, nel caso concreto, contribuisce tuttavia a sostanziare la suddetta conclusione secondo cui sussista una situazione oggettiva che realizza la condizione di apparente parzialità del perito.
Il giudice ha conferito il mandato al perito in data 11.10.2011. L’atto “
mandato peritale
”, che riporta il nome dell’avv. PR 1, non risulta – secondo l’atto stesso – essere stato intimato al prof. dr. med. PI 3. Il 19.10.2011 il giudice gli ha inviato uno scritto contenente i quesiti. Lo scritto è stato inviato per conoscenza alle “
parti
”. Non viene menzionato il nome del legale. Il 14.10.2011 il giudice aveva trasmesso al perito l’inc.
DA _, da cui si evinceva il patrocinio dell’avv. PR 1.
Lo scambio di emails agli atti tra la collaboratrice della Pretura penale ed il perito non riporta il nome del legale. Non si sa se gli sia comunque stato detto oralmente con il nome dell’imputato.
Al momento dell’esame dell’incarto il perito è in ogni caso venuto a conoscenza della presenza dell’avv. PR 1 quale patrocinatore del dr. med. PI 2, imputato nel procedimento.
A questo punto avrebbe quindi dovuto immediatamente informare il giudice della sua passata relazione con il legale, e questo – se non in base all’art. 57 CPP (“
Chi opera in seno a un’autorità penale e si trova in un caso di ricusazione lo comunica tempestivamente a chi dirige il procedimento.
”),
norma non compresa nel rinvio giusta l’art. 183 cpv. 3 CPP e la cui applicazione al perito è controversa (ZK StPO – A. DONATSCH, art. 183 CPP n. 21) – in base al principio generale della buona fede a’ sensi dell’art. 3 cpv. 2 lit. a CPP, applicabile a tutti i partecipanti al procedimento (Commentario CPP – P. BERNASCONI, art. 3 CPP n. 11), tra i quali si annovera anche il perito giudiziario (art. 105 cpv. 1 lit. e CPP).
Il prof. dr. med. PI 3 si è invece limitato ad indicare, nel momento in cui è stato contattato dalla Pretura penale, di avere lavorato quale primario di chirurgia presso l’_ di _ per tredici anni ed a chiedere di valutare se questo fatto potesse squalificarlo come possibile perito (email 8.9.2011 a _, collaboratrice della Pretura penale).
Non c’erano ragioni, per il solo fatto che avesse lavorato in Ticino, che fosse il giudice a verificare se nei suoi confronti era stato aperto un procedimento penale e se i legali che assistevano l’imputato e gli accusatori privati erano stati suoi patrocinatori.
All’avv. PR 1, al contrario, è difficile rimproverare di avere taciuto. Se il principio della buona fede giusta l’art. 3 cpv. 2 lit. a CPP è applicabile anche ai patrocinatori (Commentario CPP – P. BERNASCONI, art. 3 CPP n. 11), tuttavia l’art. 128 CPP indica che, entro i limiti della legge e delle norme deontologiche, il difensore è vincolato unicamente agli interessi dell’imputato (interessi che non necessariamente volevano la ricusazione del perito).
3.5.
3.5.1.
Gli accusatori privati, sempre a ragione della ricusazione, sostengono che il perito si è avvalso di pareri di terzi medici, estranei al procedimento, in violazione della procedura e dei diritti delle parti, giungendo alle conclusioni più favorevoli all’imputato.
3.5.2.
L’Alta Corte nega ai provvedimenti procedurali come tali, indipendentemente dalla loro correttezza, l’idoneità a fondare il dubbio oggettivo della prevenzione del magistrato che li ha adottati. Eventuali scorrettezze procedurali non bastano di per sé a fondare una legittima suspicione, anche qualora si concretizzino in vantaggi o svantaggi per le parti a confronto, ma devono seguire il normale corso d’impugnazione. Unicamente errori particolarmente gravi e ripetuti, che devono essere considerati delle violazioni gravi dei doveri del magistrato, possono giustificare un sospetto oggettivo di prevenzione. Al giudice della ricusazione non compete esaminare la condotta della procedura come un’istanza di ricorso alla quale, invece, spetta il compito di correggere eventuali errori (decisione TF 6B_676/2011 del 7.2.2012 consid. 2.2.; decisione TF 1B_568/2011 del 2.12.2011 consid. 2.3.).
Questi principi sono applicabili pure per il perito (consid. 3.3.1.).
3.5.3.
Il prof. dr. med. PI 3, come si evince dal referto peritale 15.12.2011, ha sottoposto il caso e la relativa documentazione a tre medici specialisti dell’_ di _.
Ora, anche nell’ipotesi in cui il perito si sia rivolto a terzi per l’elaborazione del referto in violazione di norme di legge, questione che può senz’altro restare irrisolta, si deve in ogni caso concludere – in applicazione della citata giurisprudenza del Tribunale federale – che questa circostanza non è idonea a fondare apparenza di prevenzione nel perito e quindi motivo di ricusazione.
4
. 4.1.
La Corte dei reclami penali, per i motivi menzionati nel suddetto consid. 3.4.5.2., accoglie le istanze di ricusazione a carico del perito prof. dr. med. PI 3 in applicazione dell’art. 56 lit. f CPP.
4.2.
Si pone dunque la questione della sorte del referto 15.12.2011.
Il Tribunale federale, nella decisione TF 1B_488/2011 del 2.12.2011 consid. 3.3., ha ritenuto applicabile anche al destino di una perizia l’art. 60 cpv. 1 CPP (“
Gli atti ufficiali ai quali ha partecipato una persona tenuta a ricusarsi sono annullati e ripetuti se una parte lo domanda entro cinque giorni da quello in cui è venuta a conoscenza della decisione di ricusazione.
”)
. Ha di conseguenza deciso contestualmente l’estromissione della perizia dall’incarto, come richiesto.
Gli accusatori privati domandano l’annullamento del referto peritale. Si impone, in ragione della predetta giurisprudenza, di decidere l’estromissione della perizia 15.12.2011 del prof. dr. med. PI 3 dagli atti del procedimento promosso verso il dr. med. PI 2 (inc. _ della Pretura penale).
4.3.
La causa è rinviata al giudice della Pretura penale perché, se lo riterrà, disponga una nuova perizia con un nuovo perito. Il giudice deciderà sull’indennità al perito ricusato (art. 190 CPP).
5
. Le istanze di ricusazione degli accusatori privati e del procuratore pubblico sono accolte.
La tassa di giustizia e le spese sono poste a carico dello Stato della Repubblica e del Cantone Ticino (art. 59 cpv. 4 CPP).
Agli accusatori privati non si assegnano ripetibili (non protestate). | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,012 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
a213f3fa-8771-5573-96ae-489e86c70ec8 | in fatto ed in diritto
che il 22.04.2013 è stata emanata una sentenza di condanna dalla Corte delle assise criminali (passata in giudicato il medesimo giorno) a carico, tra gli altri, di PI 2 (inc. TPC _);
che con la presente istanza – trasmessa dal Tribunale penale cantonale, per competenza ex art. 62 cpv. 4 LOG, a questa Corte – la IS 1, per il tramite del suo patrocinatore avv. PR 1, chiede di ottenere la trasmissione della summenzionata sentenza;
che a sostegno della sua richiesta il legale precisa che PI 2 è alle dipendenze della IS 1 e di aver appreso da fonti giornalistiche che quest’ultimo sarebbe stato condannato a seguito di un furto perpetrato presso la _ di _: considerato come la sua assistita abbia in vigore un codice deontologico con precise responsabilità, postula la trasmissione, in copia, della relativa sentenza di condanna allo scopo di valutare se il rapporto di fiducia con il proprio dipendente sia venuto meno (doc. CRP 1.a);
che, come esposto in entrata, il procuratore pubblico si è rimesso al giudizio di questa Corte; PI 2, dal canto suo, interpellato da questa Corte per il tramite del suo patrocinatore, non ha presentato osservazioni in merito alla richiesta;
che a seguito della richiesta 27.11.2013 di questa Corte (mediante la quale il patrocinatore della qui istante è stato invitato a produrre la documentazione attestante che PI 2 sia effettivamente alle sue dipendenze, doc. CRP 4), con scritto 4/5.12.2013 l’avv. PR 1 ha allegato la documentazione riguardante l’assunzione di PI 2, confermando parimenti che, ad oggi, egli è alle dipendenze della IS 1 presso il reparto falegnameria (cfr., nel dettaglio, doc. CRP 5);
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che a giudizio di questa Corte – visti i motivi addotti nella presente richiesta, il contenuto della sentenza 22.04.2013 emanata (tra gli altri) a carico di PI 2 e la natura dei reati per i quali quest’ultimo è stato condannato (inc. TPC _) – si deve, di principio, ammettere l’esistenza di un interesse giuridico legittimo ex art. 62 cpv. 4 LOG da parte della IS 1 prevalente sugli interessi personali di PI 2: in effetti, essendo quest’ultimo alle dipendenze di una casa da gioco (un luogo riservato al gioco d’azzardo) il contenuto della sentenza richiesta appare potenzialmente utile al datore di lavoro;
che nella ponderazione degli interessi delle parti in gioco, in particolare a tutela degli interessi privati e della sfera personale delle altre persone coinvolte nel procedimento penale di cui all’incarto TPC _ nel frattempo archiviato e in ossequio al diritto di essere sentito – dopo il passaggio in giudicato della presente decisione – questa Corte trasmetterà, in copia, la sentenza di condanna 22.04.2013 al patrocinatore della IS 1, in forma anonimizzata (lasciando nondimeno nome e cognome di PI 2 per la comprensione del testo);
che va da sé che il patrocinatore della IS 1 e _ (CEO amministratore delegato presso la citata società) sono tenuti al segreto professionale;
che l’istanza è accolta ai sensi delle surriferite considerazioni;
che la tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico di chi le ha cagionate. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,013 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
a2a1370a-b5a7-5611-998f-0ce1cd07e149 | ritenuto il
“complemento di reclamo”
presentato dall’avv. PR 1 in data 31.5./1.6.2011;
richiamate le osservazioni 6.6.2011 del presidente della Corte delle assise criminali, giudice Marco Villa, che si rimette al giudizio di questa Corte e 7/8.6.2011 del procuratore pubblico Antonio Perugini che afferma di
“(...) condividere appieno le censure mosse dal qui reclamante relativamente alle decurtazioni effettuate (...)”
e chiede l’accoglimento del gravame;
letti ed esaminati gli atti;
considerato
in fatto
a.
RE 1 è stato arrestato il 12.1.2011, mentre entrava in _, con _, a bordo di una vettura, nella quale erano stati nascosti precedentemente 3547 grammi di cocaina (rapporto di arresto provvisorio, AI 8, inc. MP _).
Con decisione 13.1.2011 il procuratore pubblico Antonio Perugini ha nominato l’avv. PR 1 difensore d’ufficio di RE 1, con l’assistenza giudiziaria gratuita (decisione 13.1.2011, AI 10, inc. MP _).
Con atto d’accusa 17.3.2011 (procedura di rito abbreviato) il magistrato inquirente ha promosso l’accusa dinanzi alla Corte delle assise criminali di _ nei confronti, di RE 1, congiuntamente a _, siccome ritenuti colpevoli di infrazione aggravata alla LStup (atto d’accusa 17.3.2011, ACC _).
Con sentenza 3.5.2011 la Corte delle assise criminali ha condannato RE 1 alla pena di tre anni poiché ritenuto autore colpevole di infrazione aggravata alla LStup in quanto
“(...) fra l’11 e il 12 _ 2011, su incarico di tale ‘_(di origine _) residente a _ e dietro promessa di compenso (...), preso in consegna, nascosta nel serbatoio del veicolo (...) 3547 grammi lordi (2438 netti) di cocaina confezionata in 8 ovuli avvolti in un apposito involucro, trasportandole poi da _ al Ticino dove doveva essere consegnata ad un destinatario a loro ignoto (...)”
(sentenza 3.5.2011, p. 18 / 2, inc. TPC _).
b
. La Corte delle assise criminali nella sentenza di cui sopra, relativamente alla nota d’onorario del difensore d’ufficio avv. PR 1, ha tuttavia proceduto ad una serie di decurtazioni, approvandola limitatamente a CHF 6'319.70 [di cui CHF 5’160.-- per onorari (28 ore e 40 minuti a CHF 180.-- / ora), CHF 396.-- per spese, CHF 444.50 per l’IVA e CHF 319.20 per rimborso spese (cfr. sentenza 3.5.2011, p. 16, inc. TPC _)], in luogo dei postulati CHF 7'355.30.
L’autorità giudicante ha defalcato gli onorari relativi al tempo di trasferta del patrocinatore per recarsi agli interrogatori del suo patrocinato e ha inoltre ritenuto eccessivi gli onorari esposti dall’avv. PR 1 in relazione ai verbali dinanzi al procuratore pubblico.
c.
Con il presente reclamo, presentato in data 12/13.5.2011, e poi completato, dopo la ricezione delle motivazioni scritte della sentenza 3.5.2011, con il
“complemento di reclamo”
del 31.5./1.6.2011, il reclamante chiede che la sua nota, inerente alla difesa d’ufficio di RE 1 sia approvata per CHF 6'562.70, IVA compresa.
Egli ha affermato, in particolare (oltre a giustificare ogni prestazione da lui effettuata e dedotta, a suo dire, a torto dalla Corte delle assise criminali), che, in merito agli onorari per le trasferte,
“(...) si ritiene che (...) i verbali di polizia e quelli davanti al magistrato, nonché le eventuali trasferte, resesi necessarie in quanto la polizia od il magistrato non si trovano nel medesimo luogo in cui l’avvocato esegue la propria attività, sono necessarie, anzi indispensabili, per permettere la corretta difesa degli assistiti e garantire i diritti del patrocinato, conformemente a quanto richiesto dal codice di procedura penale federale (...). (...) appare corretto retribuire integralmente al patrocinatore le prestazioni fornite nell’ambito degli interrogatori, trasferta compresa (...)”
(complemento di reclamo 31.5./1.6.2011, p. 2 s.)
.
d | . Delle ulteriori motivazioni, così come delle osservazioni del presidente della Corte delle assise criminali e del procuratore pubblico, si dirà, se necessario, in diritto.
in diritto
1
. 1.1.
Giusta l’art. 135 cpv. 3 CPP, in materia di retribuzione, il difensore d’ufficio può interporre reclamo alla giurisdizione di reclamo [ovvero in Ticino, alla Corte dei reclami penali (art. 62 cpv. 2 LOG)] contro la decisione del pubblico ministero o del tribunale di primo grado (cfr. art. 393 cpv. 1 lit. b CPP).
Con il gravame si possono censurare la violazione del diritto, compreso l’eccesso e l’abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (393 cpv. 2 lit. a CPP), l’accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e l’inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta ed all’art. 385 CPP per la motivazione.
Esso deve indicare, in particolare, i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP).
1.2.
Il gravame, inoltrato il 12/13.5.2011 alla Corte dei reclami penali, competente ex art. 62 cpv. 2 LOG, contro la decisione 3.5.2011 della Corte delle assise criminali (ed in seguito completato in data 31.5./1.6.2011, dopo aver ricevuto la motivazione della sentenza sopraindicata), è tempestivo
.
Le esigenze di forma e di motivazione sono rispettate
.
Esso è – di conseguenza – ricevibile in ordine
.
2.
2.1.
In Ticino la retribuzione del difensore d’ufficio, anche in ambito penale, era fissata, fino al 31.12.2010, dalla Legge sul patrocinio d’ufficio e sull’assistenza giudiziaria del 3.6.2002 (vLag). L’art. 3 cpv. 1 vLag garantiva a chi dimostrava di non avere mezzi sufficienti per far fronte agli oneri di procedura e alle spese di patrocinio il beneficio dell’assistenza giudiziaria. Il patrocinatore si vedeva rimunerare in tal caso per le prestazioni risultanti da una ragionevole conduzione del mandato, ovvero per quelle necessarie in relazione alla natura e alla complessità della causa, escluse
“quelle che avrebbe dovuto evitare”
(art. 6 cpv. 1 vLag). Non erano quindi remunerati gli interventi prescindibili o che esulavano da un ambito strettamente legale.
2.2.
Il 5.10.2007 è stato adottato il codice di diritto processuale svizzero (CPP) in vigore dall’1.1.2011. Quest’ultimo disciplina sia il patrocinio di ufficio sia l’assistenza giudiziaria. La corrispondente norma cantonale (in Ticino la vLag) è pertanto divenuta superflua in ambito penale e sostituita dalla nuova Legge sull’assistenza giudiziaria e sul patrocinio d’ufficio del 15.3.2011 (LAG), applicabile, prevalentemente, in altri ambiti giuridici.
Il nuovo codice stabilisce tuttavia che il difensore d’ufficio deve essere retribuito secondo la tariffa d’avvocatura della Confederazione o del Cantone in cui si svolge il procedimento (art. 135 cpv. 1 CPP).
2.3.
Da ciò l’applicazione, nel presente caso, del Regolamento sulla tariffa per i casi di patrocinio d’ufficio e di assistenza giudiziaria e per la fissazione delle ripetibili (Rtar), in vigore dall’1.1.2008.
2.4.
Tale Regolamento (tutt’oggi in vigore), stabilisce la tariffa per le prestazioni dell’avvocato nel caso della sua nomina a patrocinatore d’ufficio (art. 1 Rtar). Esso differenzia le prestazioni svolte da avvocati o da praticanti, tenendo anche conto delle complessità del caso.
All’avvocato vanno riconosciuti gli onorari per le prestazioni necessarie per lo svolgimento del patrocinio e il rimborso delle spese. L’onorario dell’avvocato è calcolato secondo il tempo di lavoro sulla base della tariffa di CHF 180.-- / ora (art. 4 cpv. 1 Rtar; tariffa confermata anche dalla giurisprudenza federale: sentenza TF 6B_947/2008 del 16.1.2009). Se la pratica è stata particolarmente impegnativa, per esempio avendo richiesto studio e conoscenze speciali o avendo comportato trattazioni di nuove e complesse questioni giuridiche, l’onorario può essere aumentato sino a CHF 250.-- / ora (art. 4 cpv. 2 Rtar). L’onorario del praticante legale è calcolato sulla base della tariffa di CHF 90.-- / ora (art. 4 cpv. 3 Rtar).
L’onorario dell’avvocato per la partecipazione a interrogatori al di fuori dell’orario di lavoro usuale (tra le ore 20.00 e le ore 08.00 dei giorni feriali e quello nei giorni festivi ufficiali e di sabato) è fissato a CHF 250.-- / ora; quello del praticante legale a CHF 110.-- / ora (art. 5a Rtar).
Al patrocinatore può essere inoltre riconosciuto un importo forfetario in per cento dell’onorario quale rimborso per le spese di cancelleria, come quelle di spedizione, di comunicazione, delle fotocopie e di apertura e archiviazione dell’incarto (art. 6 Rtar).
2.5.
Viste le tariffe sopraindicate l’autorità cantonale deve, nella determinazione della retribuzione dell’avvocato d’ufficio, tener conto della natura, dell’importanza, e delle difficoltà particolari, in fatto ed in diritto, della vertenza, valutando il tempo dedicato dall’avvocato allo studio dell’incarto, quello destinato ai colloqui e alle udienze presso le autorità di ogni istanza e il risultato ottenuto. La prestazione dell’avvocato deve stare in rapporto ragionevole con la prestazione fornita e con la responsabilità assunta dal libero professionista (sentenza TF 6B_810/2010 del 25.5.2011).
3
. 3.1.
Il reclamante si duole innanzitutto del fatto che non gli sarebbero stati riconosciuti gli onorari per le trasferte da lui effettuate per l’adempimento del suo mandato:
“(...) quo alla restrizione delle trasferte, a mente dello scrivente legale, quest’ultime rappresentano un elemento indispensabile ai fini della difesa. La trasferta è di fatto necessaria per permettere al legale di presenziare, a fianco del proprio patrocinato, agli interrogatori che avvengono nei locali del Ministero pubblico o in carcere, dove è detenuto l’imputato (...)”
(reclamo 12/13.5.2011, p. 3).
Egli ha dunque richiesto che gli fossero riconosciuti i 30 minuti esposti
“(...) necessari (...) per recarsi a _
[recte: _]
in vista di presenziare al verbale di interrogatorio
[di data 10.2.2011]
davanti al magistrato (...)”
e i 45 minuti
“(...) in coda al verbale del Procuratore pubblico in data 12 gennaio 2011, ritenuto che quello è stato il tempo necessario al patrocinatore per ritornare a _ allontanandosi dai locali in cui era avvenuto il verbale di interrogatorio (...)”
(complemento di reclamo 31.5./1.6.2011, p. 3 s.).
Il Tribunale di merito nella sentenza 3.5.2011 non ha infatti riconosciuto l’onorario dell’avv. PR 1, patrocinatore d’ufficio di RE 1, in merito alla trasferta a _ del 10.2.2011
“(...) conformemente alla prassi giurisprudenziale della precedente autorità di tassazione (...)”
(sentenza 3.5.2011, p. 14).
La Corte delle assise criminali si è tuttavia limitata ad affermare che per
“prassi”
le autorità competenti prima dell’entrata in vigore del nuovo CPP (dunque prima dell’1.1.2011) e pertanto il giudice dell’istruzione e dell’arresto e la Camera dei ricorsi penali, non riconoscevano gli onorari per le trasferte. La Corte sopraindicata non fa però riferimento ad una giurisprudenza specifica.
Questa Corte, statuendo in qualità di Camera dei ricorsi penali, in materia di istanze di indennità per accusati prosciolti (art. 317 ss. CPP TI), ha sempre riconosciuto gli onorari riferiti a tali trasferte (cfr. sentenza CRP 27.12.2010, inc. _). Dalle informazioni assunte, questo vale anche per il giudice dell’istruzione e dell’arresto. Non si vede pertanto per quale motivo questa prassi dovrebbe essere ora modificata.
Si rileva tuttavia dapprima, che l’avv. PR 1, nella sua nota d’onorario 3.5.2011 presentata alla Corte delle assise criminali lo stesso giorno, non risulta abbia esposto il suo onorario relativo alle trasferte effettuate. Solo in questa sede egli chiede il riconoscimento di queste sue prestazioni, peraltro limitatamente a quelle sopraindicate, che gli vengono pertanto, giusta quanto sopra esposto, riconosciute.
Vengono dunque ammessi i 30 minuti per la trasferta _ del 10.2.2011 ed i 45 minuti per la trasferta _ del 12.1.2011.
3.2.
Il reclamante non ha, per contro, contestato le altre deduzioni effettuate dal Tribunale di merito.
3.3.
L’IVA esposta dall’avv. PR 1 nel suo
“complemento di reclamo”
31.5./1.6.2011 (pari a CHF 462.50) non può tuttavia essere riconosciuta, contrariamente a quanto stabilito dalla Corte delle assise criminali, essendo RE 1 domiciliato all’estero [art. 8 cpv. 1 legge federale del 12.6.2009 concernente l’imposta sul valore aggiunto (LIVA); cfr. sentenza CRP 3.9.2008, inc. _].
3.4.
Da quanto sopra dichiarato si ha il presente conteggio: 2’035 minuti (come esposto nella nota d’onorario dell’avv. PR 1) – 315 minuti (pari a quanto stralciato dalla Corte delle assise criminali) + 75 minuti (pari a quanto riconosciuto in questa sede) = 1’795 minuti (pari a 29 ore e 55 minuti a CHF 180.-- / ora) per un onorario di CHF 5’385.--. Le spese risultano ammontare a CHF 396.-- mentre le spese da rimborsare sono di CHF 319.20 per un totale complessivo di CHF 6'100.20.
4
. Il gravame è accolto. Non si prelevano tassa di giustizia e spese. Lo Stato della Repubblica e del Cantone Ticino rifonderà al reclamante CHF 300.-- a titolo di ripetibili. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,011 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
a3066a36-287b-5533-8b9f-d677c60d6a4a | in fatto ed in diritto
1.
Il _ la Corte delle assise criminali ha emanato una sentenza di condanna a carico di PI 2 per vari capi d’imputazione. La Corte ha, per quanto interessa la fattispecie qui in esame, ordinato l’interdizione dell’esercizio della professione di _ per la durata di cinque anni in applicazione dell’art. 67 cpv. 1 CP (inc. TPC _).
La predetta decisione è passata in giudicato il medesimo giorno, non essendo stata impugnata (art. 437 cpv. 1 e 2 CPP).
2.
Con scritto datato 9.07.2014 (ricevuto, per competenza, da questa Corte il 17.07.2014), redatto in lingua francese, l’IS 1 chiede la trasmissione, in copia,
"
(...) du jugement intégral avec l’interdiction d’exercer une profession (...)
"
riguardante la persona di PI 2 (scritto 9/17.09.2014, doc. CRP 1.a).
A seguito della richiesta di questa Corte di emendare l’istanza in lingua italiana, il 19.08.2014 l’IS 1 precisa che
"
(...) In occasione dell’iniziativa popolare federale “Affinché i pedofili non lavorino più con fanciulli” come anche della Legge federale sull’interdizione di esercitare un’attività, d’intrattenere contatti e di accedere a un’area geografica (Modifica del Codice penale, del Codice penale militare e del diritto penale minorile) si effettua un’estensione dell’interdizione di esercitare una professione. Grazie all’interdizione di esercitare un’attività, d’intrattenere contatti e di accedere a un’area geografica, i minori e altre persone bisognose di protezione verranno in futuro meglio protetti da persone pregiudicate a tale riguardo.
A questo proposito il Casellario giudiziale svizzero controlla tutte le interdizioni di esercitare una professione precedentemente registrate, per assicurare che quest’ultime sono inserite correttamente nella banca dati VOSTRA. Ciò avviene anche in base all’obbligo legale del Casellario giudiziale ai sensi dell’art. 2 cpv. 4
(dell’)
Ordinanza sul casellario giudiziale (Ordinanza VOSTRA, SR 311
(recte 331)
) per controllare se i dati sono trattati conformemente alle prescrizioni e sono completi, esatti e aggiornati
" (_19.08.2014, doc. CRP 4).
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
In casu – visti i motivi addotti nella presente richiesta, il contenuto della sentenza di condanna _ (inc. TPC _), e ciò con riferimento in particolare al dispositivo no. 7, in cui a carico di PI 2 è stata ordinata l’interdizione dell’esercizio della professione di _ per la durata di cinque anni in applicazione dell’art. 67 cpv. 1 CP (secondo cui se una persona, nell’esercizio di una professione, di un’industria o di un commercio ha commesso un crimine e un delitto per il quale è stato condannato a una pena detentiva superiore a sei mesi o a una pena pecuniaria di oltre 180 aliquote giornaliere, e sussiste il rischio di un ulteriore abuso, il giudice può interdirgli in tutto o in parte l’esercizio di tale attività o di altre analoghe per un tempo da sei mesi a cinque anni) e l’art. 2 cpv. 1 e 4 dell’Ordinanza sul casellario giudiziale (Ordinanza VOSTRA) del 29.09.2006 (RS 331) [secondo cui l’IS 1 è responsabile di VOSTRA e controlla se i dati vengono trattati conformemente alle prescrizioni e sono completi, esatti e aggiornati. A tal fine è autorizzato ad accedere ai verbali. Può inoltre consultare i documenti utilizzati quale base dell’iscrizione o della comunicazione, nella misura in cui ciò sia necessario per effettuare i controlli. Può rettificare autonomamente iscrizioni errate in VOSTRA o chiedere ai servizi competenti di procedere alla rettificazione] – è certamente dato un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG dell’IS 1 prevalente sui diritti personali di PI 2 ai fini delle sue incombenze.
Di conseguenza la sentenza 25.09.2013 (inc. TPC _) viene trasmessa, in originale, all’autorità istante unitamente alla presente decisione.
Va da sé che i collaboratori dell’IS 1 sono tenuti al segreto d’ufficio. La sentenza in questione potrà essere utilizzata soltanto per l’obiettivo perseguito di cui alla presente richiesta e in ossequio alle vigenti norme federali (ciò anche nel rispetto del diritto di essere sentito di PI 2).
5.
L’istanza è accolta ai sensi del precedente considerando. Stante la natura della richiesta, si rinuncia al carico di tassa di giustizia e spese. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,014 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
a315f5af-7836-50ba-ad38-442d2b583379 | in fatto: A.
Nell'ambito di un procedimento penale avviato per amministrazione infedele su denuncia sporta il 20 dicembre 2001 da _, _, _ e _, con decreto d'accusa dell'11 luglio 2002 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di esercizio abusivo della professione di fiduciario per avere, ininterrottamente dal dicembre del 1999, operato senza autorizzazione a _ come gestore patrimoniale per una sessantina di clienti. In applicazione della pena, egli ha proposto la condanna dell'accusato a una multa di fr. 10 000.–. Il 12 luglio 2002 _ ha presentato opposizione al decreto. Statuendo sull'opposizione, con sentenza del 2 aprile 2003 il giudice della Pretura penale ha confermato il capo d'imputazione e la pena proposta.
B.
Contro la sentenza appena citata _ ha introdotto il 3 aprile 2003 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta del 28 aprile 2003 egli chiede che, conferito al ricorso effetto sospensivo, la sentenza impugnata sia riformata nel senso di pronunciare la sua assoluzione. Il Procuratore pubblico ha dichiarato il 14 maggio 2003 di rinunciare a osservazioni, limitandosi a postulare il rigetto del ricorso. Nelle loro osservazioni del 2 giugno 2003 _, _, _ e _ – costituitisi parti civili – formulano identica conclusione. | Considerando
in diritto: 1.
L'art. 19 della legge sull'esercizio delle professioni di fiduciario (LFid), del 18 giugno 1984 (RL 11.1.4.1), prevede sotto il titolo marginale “esercizio abusivo” quanto segue:
1
È punito con la multa sino a fr. 20 000.–:
a)
chi senza autorizzazione esercita le professioni sottoposte alla presente legge;
b)
chi senza autorizzazione usa nella ragione sociale, nella designazione dello scopo dell'azienda o comunque nei contatti verso il pubblico espressioni come “fiduciario”, “fiduciaria” o simili, tali da indurre in errore il pubblico sulla sussistenza dell'autorizzazione.
2
Se l'autore ha agito per negligenza è punito con la multa sino a fr. 5000.–.
3
La decisione è pubblicata nel Foglio ufficiale.
4
La decisione è emessa dal Dipartimento competente con facoltà di ricorso al Tribunale di appello secondo la legge sulla procedura amministrativa.
5
In casi gravi o di recidiva la pena è l'arresto o la multa; gli atti sono trasmessi d'ufficio alla Procura pubblica competente.
Per “Dipartimento competente” (cpv. 4) va inteso il Dipartimento delle istituzioni e, per “Tribunale di appello”, il Tribunale cantonale amministrativo (art. 15 e 16 del regolamento della legge sull'esercizio delle professioni di fiduciario, del 19 dicembre 1984, RL 11.1.4.1.1, in combinazione con l'art. 1 cpv. 1 in fine del regolamento medesimo).
2.
Nella fattispecie il giudice della Pretura penale ha constatato che, sull'arco di almeno sette anni (dal 1994 all'inizio del 2002), l'imputato aveva gestito ininterrottamente patrimoni per oltre
50 milioni di franchi appartenenti – in media – a una sessantina di clienti, ricavando da tale attività un guadagno superiore a
fr. 1 400 000.–. Donde, per il primo giudice, un “caso grave” nell'accezione dell'art. 19 cpv. 5 LFid (sentenza, consid. 1a), che il Procuratore pubblico poteva perseguire d'ufficio, senza dover interpellare previamente l'autorità amministrativa (consid. 1b). E nemmeno importava che l'imputato fosse domiciliato all'estero, la legge sull'esercizio delle professioni di fiduciario sottoponendo ad autorizzazione chiunque svolga tale attività nel Cantone Ticino (consid. 2). Nel merito il primo giudice ha accertato che l'imputato, contrariamente a quanto asseriva, non dirigeva semplicemente la sua professione dal Principato di Monaco, ma trascorreva quattro o cinque mesi l'anno (ancorché discontinui) a _, dove impartiva ordini telefonici, incontrava clienti, assumeva mandati di gestione patrimoniale e sbrigava pratiche bancarie (consid. 3). Soggettivamente, inoltre, egli conosceva l'esistenza della legge ticinese, anche se non se n'era mai interessato (consid. 4). Per quel che è della multa, infine, il primo giudice ha ritenuto equo l'importo di fr. 10 000.–, commisurato alla gravità del caso, ma anche all'incensuratezza del soggetto e all'assenza di illeciti penali nell'esercizio della professione (consid. 5).
3.
Il ricorrente contesta anzitutto che il Procuratore pubblico potesse agire d'ufficio (memoriale, punto II lett. a). Afferma che solo il Dipartimento delle istituzioni poteva stabilire se si ravvisasse un “caso grave” a norma dell'art. 19 cpv. 5 LFid e, di conseguenza, se gli atti andassero trasmessi al Procuratore pubblico. Egli ricorda che la legge sull'esercizio delle professioni di fiduciario è prima di tutto un ordinamento amministrativo, inteso a regolamentare la professione. Perfino nel quadro di procedimenti disciplinari solo il Consiglio di vigilanza, cui compete di pronunciare sanzioni, è abilitato a trasmettere gli atti al Procuratore pubblico (art. 17 cpv. 3 LFid). Ciò dimostrerebbe che, per volontà del legislatore, solo l'autorità amministrativa – il Dipartimento delle istituzioni, rispettivamente il Consiglio di vigilanza – può far intervenire il Procuratore pubblico. In concreto il Procuratore si è limitato il
1° luglio 2002 a trasmettere una segnalazione al Consiglio di vigilanza, il quale ha chiesto il 9 luglio 2002 di consultare gli atti penali (fascicolo del Ministero pubblico, act. 30 e 31). Ciò non basta per presumere che il Dipartimento abbia rinunciato a istruire e a perseguire il caso. Al contrario: tale modo di agire denota un vizio essenziale di procedura (art. 288 lett. b CPP) e deve comportare l'annullamento della sentenza impugnata.
a)
Il giudice della Pretura penale ha fondato la propria opinione su una sentenza recente in cui la Camera dei ricorsi penali del Tribunale d'appello ha ritenuto che, nell'ipotesi dell'art. 19 cpv. 5 LFid, l'intervento del Procuratore pubblico non sia subordinato al consenso previo dell'autorità amministrativa. La trasmissione degli atti prevista da quella norma si confonde semplicemente con l'obbligo generale di denuncia (art. 181 CPP) nell'eventualità in cui il Dipartimento giunga a conoscenza di casi gravi o di recidiva. La seconda frase dell'art. 19 cpv. 5 LFid sarebbe, in altri termini, puramente “pleonastica” (Paolo
Bernasconi
, Misure amministrative per la prevenzione della criminalità economica, in: RDAT 1984 pag. 282 in alto). Per di più – ha soggiunto la Camera dei ricorsi penali – nemmeno la legislazione tributaria che l'interessato evocava in quel caso a titolo di confronto (art. 188 LIFD, art. 271 cpv. 2 e 3 LT) impedisce al Procuratore pubblico di perseguire d'ufficio delitti fiscali, la segnalazione dell'autorità fiscale dovendosi interpretare – essa pure – alla stregua di una mera denuncia (sentenza del 16 ottobre 2002 in re V., inc. 60.2002.276, consid. 1.2).
b)
A ragione il ricorrente sottolinea che la legge sull'esercizio delle professioni di fiduciario contempla due categorie di sanzioni: quelle
disciplinari
(art. 17), inflitte dal Consiglio di vigilanza, e quelle
penali
(art. 19), inflitte dal Dipartimento delle istituzioni o dal Procuratore pubblico. Le prime sono intese a punire la trasgressione dei doveri d'ufficio per salvaguardare la deontologia della professione e riguardano solo chi è iscritto all'albo dei fiduciari. La procedura applicabile è quella per le cause amministrative (RL 3.3.1.1) e la decisione del Consiglio di vigilanza è impugnabile al Tribunale cantonale amministrativo (art. 18 cpv. 1 e 3). Dandosi sospetto di reato, il Consiglio di vigilanza trasmette gli atti al Procuratore pubblico (art. 17 cpv. 3). Le sanzioni penali mirano invece a reprimere l'esercizio abusivo della professione a tutela del pubblico interesse e colpiscono chiunque pratichi l'attività di fiduciario senza autorizzazione. Di per sé il Dipartimento dovrebbe applicare la procedura per le contravvenzioni (RL 3.3.3.4), ma curiosamente l'art. 19 cpv. 4 dichiara applicabile – una volta ancora – la procedura per le cause amministrative, sicché la decisione del Dipartimento è impugnabile al Tribunale cantonale amministrativo. In casi gravi o di recidiva il Dipartimento trasmette gli atti d'ufficio al Procuratore pubblico, il quale può irrogare – invece della multa – l'arresto. Il Procuratore pubblico applica la procedura penale ordinaria (art. 207 CPP) e il decreto d'accusa può formare oggetto di opposizione alla Pretura penale (art. 273 CPP), come nel caso in rassegna.
c)
Ciò premesso, il ricorrente non può essere seguito invece quando pretende che competerebbe all'autorità amministrativa decidere quali casi vadano trattati da essa medesima e quali invece siano da deferire al Procuratore pubblico. In materia
disciplinare
è pacifico che, qualora debba perseguire un reato d'azione pubblica, il Procuratore si attivi da sé. Poco importa che il fatto sia suscettibile di giustificare anche un intervento del Consiglio di vigilanza. La trasmissione degli atti prevista dall'art. 17 cpv. 3 LFid non è una condizione di procedibilità, già per il fatto che il procedimento penale e quello disciplinare sono indipendenti e hanno finalità diverse. Anzi, di regola il procedimento penale precede quello disciplinare (cfr. RDAT 1998 I 253 consid. 7 con rinvii). Il Consiglio di vigilanza non può quindi vincolare l'azione dell'autorità penale al suo beneplacito. Al contrario: ove esso non trasmettesse gli atti in conformità all'art. 17 cpv. 3 LFid, il Procuratore potrebbe ugualmente acquisire tali atti nel quadro dell'inchiesta penale. In concreto i richiami del ricorrente alla natura amministrativa della legge sull'esercizio delle professioni di fiduciario e al suo art. 17 cpv. 3 si rivelano dunque infruttuosi. Al proposito il gravame non ha consistenza.
d)
In materia
penale
vigono i medesimi principi. È vero che ai fini dell'art. 19 LFid il Dipartimento e il Procuratore pubblico si trovano a operare – in alternativa – nel quadro di un medesimo procedimento, il primo con il compito di assumere i casi non gravi e il secondo i casi gravi o di recidiva (cpv. 5). L'esercizio abusivo della professione di fiduciario, unica infrazione perseguibile giusta l'art. 19 LFid, è nondimeno una contravvenzione di diritto cantonale (art. 335 n. 1 CP) punibile d'ufficio. Qualora abbia notizia di un caso grave o di recidiva, il Procuratore pubblico agisce di propria iniziativa. L'opinione del ricorrente, secondo cui il Procuratore dovrebbe farsi autorizzare a intervenire dall'autorità preposta alla trattazione dei casi minori, la quale dovrebbe declinare formalmente la propria competenza per materia, non trova riscontro nella volontà del legislatore (Raccolta dei verbali del Gran Consiglio, sessione ordinaria primaverile 1984, vol. 1, pag. 531 segg.). E che in casi gravi o di recidiva il Dipartimento delle istituzioni trasmetta d'ufficio gli atti al Procuratore pubblico (art. 19 cpv. 5 in fine LFid) ancora non impedisce che quest'ultimo proceda da sé, come avviene nel contesto dell'art. 17 cpv. 3 LFid. La fattispecie odierna potrà fors'anche essere la prima del genere, ma nulla muta.
e)
Si aggiunga che il regime di autorizzazione previa divisato dal ricorrente non trova riscontro nemmeno nell'applicazione di altre leggi amministrative. La Camera dei ricorsi penali ha già menzionato, nella nota sentenza (sopra, consid. a), gli art. 188 cpv. 1 LIFD e 271 cpv. 2 e 3 LT, che non subordinano l'intervento dell'autorità penale a un formale accertamento di incompetenza da parte dell'autorità tributaria. A ciò si aggiungono, in tema di circolazione stradale, gli art. 6 e 7 RACStr (RL 7.4.2.1), in virtù dei quali il Dipartimento delle istituzioni persegue le contravvenzioni “non gravi”, mentre il Procuratore pubblico quelle “gravi” e i delitti. Il secondo non deve chiedere alcuna autorizzazione al primo, ma nel caso in cui punisse – per avventura – una contravvenzione “non grave” in luogo del Dipartimento, si vedrebbe dichiarare nullo il decreto d'accusa per difetto di competenza (CCRP, sentenza dell'8 giugno 1993 in re V., inc. n. 31/93). Analoghi riparti di competenze prevedono l'art. 11 della legge sulla protezione degli animali (RL 8.3.1.1), l'art. 24 della legge sulle epizoozie (RL 8.3.2.1), l'art. 39 della legge sulle foreste (RL 8.4.1.1), l'art. 44 della legge sulla caccia (RL 8.5.1.1), l'art. 34 della legge sulla pesca (RL 8.5.2.1), l'art. 9 del decreto legislativo sula protezione delle bellezze naturali e del paesaggio (RL 9.3.1.1), l'art. 27 della legge sul lavoro (RL 10.1.1.1). Nessuno di essi subordina l'intervento dell'autorità penale a una verifica previa di competenza da parte dell'autorità penale amministrativa. Anzi, l'art. 8 cpv. 3 del decreto legislativo di applicazione della LPAmb (RL 9.2.1.1) stabilisce che l'apertura di ogni procedura di contravvenzione da parte del Dipartimento del territorio va comunicata al Procuratore pubblico, il quale può “avocarla a sé” – autoritativamente – entro il termine di quindici giorni. Anche su questo punto la tesi del ricorrente è destinata perciò all'insuccesso.
4.
Il secondo motivo di cassazione invocato nel ricorso si àncora all'art. 288 lett. a CPP e verte sulla nozione di “caso grave” giusta l'art. 19 cpv. 5 LFid (memoriale, punto II lett. b). Il ricorrente nega in primo luogo di avere esercitato l'attività di fiduciario nel Cantone Ticino. Ricorda che, come hanno dichiarato i testimoni _, egli svolgeva la professione a Montecarlo, amministrando patrimoni per telefono o per fax, tant'è che i relativi contratti di gestione non erano stipulati da lui direttamente, ma dalla _ S.A., con sede a Panamá, di cui egli è procuratore. I documenti originali delle relazioni da egli trattate venivano poi custoditi a Ginevra, presso la succursale della Banque _. A _ egli ha fatto visita all'agenzia della banca, fra il 2000 e il 2001, non più di nove volte. Ad ogni modo – egli continua – nella fattispecie non si ravviserebbe un “caso grave” nemmeno in base agli accertamenti del primo giudice. Un “caso grave” presuppone una messa in pericolo del pubblico per colpa o negligenza grave del fiduciario, se non addirittura un danno al cliente. In concreto il Procuratore pubblico non ha ravvisato alcuna amministrazione infedele da parte sua. Del resto, egli soggiunge, la massa dei patrimoni gestiti non è un criterio di rilievo. Determinante è l'eventuale rottura del rapporto di fiducia con il cliente e il possibile danno economico arrecato. Si ragionasse come il primo giudice – egli conclude – cattive gestioni a danno di un piccolo capitale non costituirebbero mai un “caso grave”.
a)
Il legislatore ticinese non ha definito il concetto di “caso grave” nel senso dell'art. 19 cpv. 5 LFid, cui invero non accenna né il messaggio del Consiglio di Stato né il rapporto della Commissione delle legislazione (Raccolta dei verbali del Gran Consiglio, loc. cit.). Quanto alla giurisprudenza, essa non ha avuto modo finora di vagliare il problema. Ciò significa che in concreto occorre dipartirsi dal principio generale per cui un caso grave si connota – di regola – per l'attività reprensibile particolarmente intensa dell'autore, per i beni giuridici importanti o i valori economici messi a repentaglio da tale attività e per gli effetti negativi che ridondano alla vittima. Non solo l'aspetto soggettivo dell'infrazione è dunque di rilievo, ma anche quello oggettivo, compresa – in questioni pecuniarie – l'entità delle masse patrimoniali coinvolte. Il che appare tanto più coerente ove si pensi che l'applicazione dell'art. 19 LFid non presuppone un danno effettivo al cliente; basta una messa in pericolo astratta. Né l'art. 19 LFid intende punire, come opina il ricorrente, la rottura del legame di fiducia tra le parti e il danno che ne consegue (memoriale, pag. 12 verso il basso). A ciò provvede il diritto penale ordinario. Bene protetto dall'art. 19 LFid è, come lo stesso ricorrente riconosce (memoriale, pag. 11), il pubblico interesse. E più capitali gestisce o amministra un fiduciario sprovvisto di autorizzazione, più rischi per il pubblico l'infrazione comporta.
b)
Contrariamente a quanto il ricorrente asserisce, di conseguenza, l'ammontare delle somme trattate da un fiduciario senza autorizzazione non è solo un indizio di bravura personale (ricorso, pag. 12 a metà). D'altra parte non è vero nemmeno che, ragionando alla stregua del primo giudice, nessun “caso grave” potrebbe mai riferirsi all'amministrazione o alla gestione di un piccolo capitale. Come si è appena spiegato, sotto il profilo dell'art. 19 cpv. 5 LFid non entra in considerazione solo l'aspetto oggettivo dell'infrazione, ma anche quello soggettivo (tant'è che la recidiva è esplicitamente equiparata a un “caso grave”). Il fiduciario senza autorizzazione che agisce con propositi particolarmente riprovevoli, senza scrupoli, con intenti delittuosi o con deliberata malevolenza potrebbe quindi vedersi applicare l'art. 19 n. 5 LFid ancorché abbia gestito o amministrato piccoli capitali. Che in simili ipotesi l'art. 19 n. 5 LFid possa entrare in concorso con norme del diritto penale ordinario nulla toglie alla sua applicabilità. Ciò premesso, la questione è di sapere se sulla scorta dei fatti accertati dal primo giudice si riscontrino effettivamente, in concreto, le premesse di un “caso grave”.
c)
Il ricorrente contesta anzitutto, come si è visto, di avere esercitato la professione di fiduciario nel Cantone Ticino. Il primo giudice ha accertato per converso ch'egli ha gestito averi patrimoniali sull'arco di almeno 7 anni (dal 1994 all'inizio del 2002) per un valore complessivo superiore ai 50 milioni di franchi, che ha avuto in media una sessantina di clienti e che da tale attività ha ricavato un utile di oltre fr. 1 400 000.– (sentenza, consid. 1a). Inoltre egli trascorreva quattro o cinque mesi l'anno a _, ove impartiva ordini telefonici per la gestione dei patrimoni, incontrava clienti, assumeva mandati fiduciari e accompagnava in banca i suoi rappresentati (consid. 3). Dal profilo soggettivo egli conosceva l'esistenza della legge cantonale, sebbene del suo contenuto non si fosse mai interessato, sicché non può nemmeno farsi questione di negligenza (consid. 4). Tali accertamenti vincolano la Corte di cassazione e di revisione penale (art. 295 cpv. 1 CPP). Il quesito è di sapere in che misura essi siano pertinenti, in diritto, ai fini del giudizio.
d)
La legge sull'esercizio delle professioni di fiduciario si applica a chi svolge una delle attività previste dall'art. 5 a 7 della legge medesima nel Cantone Ticino (art. 1 cpv. 1). In concreto il ricorrente è domiciliato nel Principato di Monaco. Erroneamente il primo giudice ha qualificato pertanto il “caso grave” dell'art. 19 cpv. 5 LFid in base all'intero ricavo conseguito dal ricorrente dal 1994 (oltre fr. 1 400 000.–). Per quanto attiene al guadagno, decisivo è l'utile conseguito nel Ticino dal dicembre del 1999 (decreto d'accusa, primo foglio) all'inizio del 2002 (sentenza impugnata, consid. 1a). Durante tale periodo, per di più, il ricorrente ha esercitato nel Cantone solo durante i suoi soggiorni a _. La professione svolta a Monaco non soggiace alla legge ticinese. E siccome il ricorrente si tratteneva a _ quattro o cinque mesi l'anno, il reddito determinante non è di fr. 1 400 000.–, ma presumibilmente un terzo di quanto l'interessato ha guadagnato tra il dicembre del 1999 e l'inizio del 2002. Agli atti figurano solo i redditi del 2000 e della prima metà del 2001 (per un totale di circa fr. 450 000.–: fascicolo del Ministero pubblico, act. 6, allegato), che rapportati su un biennio danno circa fr. 600 000.–. Il guadagno ritratto su suolo ticinese può dunque essere prudenzialmente stimato in fr. 200 000.–. Nulla cambia invece alla massa patrimoniale amministrata (che nell'agosto del 2000 superava i 50 milioni di franchi: fascicolo del Ministero pubblico, act. 6, pag. 2 in alto) né al numero dei clienti (una sessantina in media, secondo le dichiarazioni dell'interessato medesimo: fascicolo del Ministero pubblico, act. 29, primo foglio in basso; cfr. anche act. 6, loc. cit.).
e)
Ciò posto, occorre tornare alla questione di sapere se sulla scorta dei fatti accertati sussistano in concreto gli estremi di un “caso grave”. La risposta è affermativa, a dispetto della precisazione testé apportata. Se si considera in effetti che nel lasso di poco più di due anni il ricorrente ha gestito fiduciariamente, da _, patrimoni dell'ordine di 50 milioni di franchi sull'arco di almeno otto mesi, per una sessantina di clienti, conseguendo un reddito di fr. 200 000.–, e ciò pur conoscendo l'esistenza di una legge sull'esercizio della professione, non si può certo dire che il primo giudice abbia applicato a torto l'art. 19 cpv. 5 LFid. Certo, il ricorrente fa valere che la _ S.A. (di cui egli è procuratore) ha sede all'estero, che egli medesimo è domiciliato all'estero e che praticamente tutta la documentazione della sua attività fidiciaria è custodita a Ginevra. Tali criteri di collegamento tuttavia non sono di alcuna utilità nell'ottica dell'art. 19 cpv. 5 LFid, il cui ambito di applicazione è – come lo stesso ricorrente ammette (pag. 8) – puramente territoriale. Decisivo è sapere se il ricorrente ha esercitato come fiduciario nel Ticino. A nulla rileva la sede della sua ditta, il suo domicilio, la cittadinanza o la residenza dei clienti, il luogo in cui i clienti avevano depositato i loro averi, il Cantone in cui sono conservati gli atti della gestione fiduciaria e via di seguito. Irrilevante è altresì che non gli possa essere addebitata alcuna responsabilità penale nell'amministrazione e gestione dei beni affidatigli dai denuncianti. Se egli ha svolto nel Ticino mansioni di fiduciario, la legge cantonale si applica.
5.
Il terzo titolo di cassazione enunciato nel ricorso poggia sull'art. 288 lett. c CPP, l'interessato rivolgendo al giudice della Pretura penale il rimprovero di essere caduto a più riprese nell'arbitrio (memoriale, punto II lett. c). Ora, giovi subito rammentare che “arbitrario” non significa manchevole, discutibile o finanche erroneo, bensì apertamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 127 I 54 consid. 2b pag. 56, 126 I 168 consid. 3a pag. 170, 125 I 166 consid. 2a pag. 168, 125 II 10 consid. 3a pag. 15) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura a norma dell'art. 288 lett. c CPP non basta dunque criticare la sentenza impugnata né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di arbitrio. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 128 I 177 consid. 2.1 pag. 182, 275 consid. 2.1, 125 II 129 consid. 5b pag. 134, 125 I 166 consid. 2a pag. 168, 124 I 208 consid. 4a pag. 211).
a)
Il ricorrente insorge contro l'accertamento secondo cui dal 1994 all'inizio del 2002 egli ha risieduto complessivamente quattro o cinque mesi l'anno nel Ticino. Egli non nega di avere riconosciuto di soggiornare – tutto sommato – quattro o cinque mesi l'anno a _ (sentenza, pag. 5 a metà con richiamo a un verbale del 23 aprile 2002 nel fascicolo del Ministero pubblico, act. 8, pag. 4 in basso). Definisce arbitrario però far risalire ciò fino al 1994. In realtà dal contenuto del verbale citato nella sentenza impugnata si può desumere senza arbitrio quanto ha accertato il primo giudice. Interpellato dal Procuratore pubblico, il prevenuto aveva dichiarato:
Io sono residente a Montecarlo dal 1992. Non sono mai stato domiciliato a _.
Gli ordini di gestione venivano da me dati telefonicamente. Li davo quindi da dove mi trovavo in quel momento.
Con la _ i miei contatti erano a Ginevra.
All'anno trascorro quattro o cinque mesi a _, frazionati. Non è mai un mese di fila.
Tali indicazioni si riferiscono, con ogni evidenza, a quanto è avvenuto dal 1992 fino alla data del verbale. Non è quindi arbitrario rapportarle al periodo intercorso tra la fine del 1999 e l'inizio del 2002. Del resto nemmeno il ricorrente precisa a quale lasso di tempo si ricolleghi, se così non fosse, la frase da egli pronunciata. Inconcludente, la censura di arbitrio cade dunque nel vuoto.
b)
Arbitrario sarebbe dipoi, a parere del ricorrente, l'accertamento secondo cui, durante i soggiorni a _, egli impartiva ordini telefonici per la gestione dei patrimoni affidatigli. Il giudice della Pretura penale ha menzionato al riguardo il già citato verbale del 23 aprile 2002, soggiungendo che la circostanza era stata confermata dall'accusato in aula (sentenza, loc. cit.). Quest'ultimo rilievo non trova riscontro nel verbale del dibattimento (act. 14), ma nel verbale del 23 aprile 2002 il prevenuto aveva effettivamente ammesso – come si è appena visto – di esercitare la sua attività diramando ordini telefonici “da dove mi trovano in quel momento”. E siccome egli si tratteneva spesso a _ (quattro o cinque mesi l'anno, ancorché discontinui), mal si comprende perché la deduzione del primo giudice, riconducibile a un logico sillogismo, sarebbe arbitraria. Del resto, fosse rimasto a _ senza occuparsi dei clienti, mal si intravede come egli potesse curarne i patrimoni. Anzi, il testimone _, responsabile dall'agosto del 2000 del settore che si occupa dei gestori esterni presso la Banque _, agenzia di _, ha dichiarato che “a livello di frequenza _ si presentava in banca una volta alla settimana” (fascicolo del Ministero pubblico, act. 21, pag. 2 in alto).
c)
Ulteriore arbitrio il ricorrente scorge nell'accertamento secondo cui a _ egli incontrava clienti e sottoscriveva regolarmente mandati di gestione. Egli medesimo dà atto però di essersi incontrato a _ almeno due volte – l'una nell'aprile del 2000, l'altra nel marzo del 2001 – con _ e _ (ricorso, pag. 14). Non si vede quindi come la constatazione del primo giudice possa essere arbitraria. È vero invece che agli atti figurano solo due mandati di gestione patrimoniale firmati dal ricorrente a _: quelli conferitigli l'11 aprile 2000 – appunto – da _ ed _, rispettivamente da _ e _, sui conti n. _ _ e n. _ presso la Banque _ (fasciolo del Ministero pubblico, allegati ad act. 6). Non si può dire quindi senza esagerare che a _ il ricorrente sottoscrivesse “regolarmente” mandati di gestione a _. Se non che, almeno per quanto riguarda i due casi accertati, la constatazione del primo giudice non cade in arbitrio. Né i due mandati assunti a _ possono ritenersi trascurabili, ove appena si pensi che nella denuncia _ si dolevano di essersi visti polverizzare “in poco tempo tutti i fondi, ammontanti a oltre 600 milioni di lire” (fascicolo del Ministero pubblico, act. 1, 2° foglio). E i due mandati rientrano proprio nel periodo determinante ai fini del giudizio (dal dicembre del 1999 all'inizio del 2002).
d)
Infine il ricorrente contesta anche l'accertamento relativo alle sue visite in banca, o con i clienti o per ritirare la loro corrispondenza. Egli non nega però di essersi recato alla Banque _ almeno nove volte fra il 2000 e il 2001 (ricorso, pag. 15). Già d'acchito la critica di arbitrio si rivela quindi infondata. Che poi l'attività del ricorrente sia continuata ininterrotta almeno dal dicembre del 1999 fino all'inizio del 2002 è contestato dal ricorrente in virtù degli argomenti già noti, i quali sfuggono tuttavia – come si è visto – alla censura di arbitrio. Quanto alla precisazione addotta nel considerando che precede, essa non influisce apprezzabilmente – nel risultato – sull'esito del giudizio. Senza arbitrio il primo giudice poteva dunque accertare che nel periodo in questione l'interessato aveva esercitato come fiduciario nel Cantone Ticino, senza soluzione di continuità, assumendo per lo meno due mandati importanti, incontrando almeno due volte i clienti, visitando la Banque _ almeno nove volte, impartendo ordini telefonici e ritraendo da tale attività un utile, nel 2000 e 2001, di oltre fr. 200 000.– complessivi (fascicolo del Ministero pubblico, act. 6, distinta allegata). E ciò pur conoscendo l'esistenza della legge ticinese, della quale però non si è mai interessato. Che tanto basti a configurare un “caso grave” nel senso dell'art. 19 cpv. 5 LFid è già stato rilevato (sopra, consid. 4e). Quanto all'entità della multa (fr. 10 000.–), la cui commisurazione non è per altro litigiosa, essa non influisce sulla qualifica dell'infrazione: un “caso grave” può anche essere punito, in effetti, anche con una pena di fr. 10 000.–. Ne deriva, in ultima analisi, il rigetto del ricorso.
6.
L'emanazione della sentenza odierna rende senza oggetto la domanda di effetto sospensivo formulata dal ricorrente.
7.
La tassa di giustizia e le spese dell'attuale giudizio seguono il principio della soccombenza (art. 15 cpv. 1 con rinvio all'art. 9 cpv. 1 CPP). Le parti civili, che hanno formulato osservazioni per il tramite di un legale, hanno diritto a un'equa indennità per ripetibili (art. 9 cpv. 6 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,003 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
a3387abd-932d-55aa-8cb8-53955ddf2364 | in fatto: A.
Con sentenza 20 agosto 2010, (intimata il 20.09.2010), la Corte delle Assise Criminali ha ritenuto RI 1 (qui ricorrente) autore colpevole di complicità in truffa ripetuta, consumata e tentata per avere,
- nel periodo metà 2007
-23 gennaio 2008, a _, in altre località della Svizzera e in Italia, intenzionalmente aiutato PI 2, PI 1 e PI 3 e i loro correi a commettere una truffa da 3,5 milioni di Euro in danno della parte civile PC 7, nonché
per avere
- nel periodo dicembre 2007-gennaio 2008, a _, in due occasioni, intenzionalmente aiutato PI 3 e i suoi correi a commettere e/o tentare di commettere delle truffe in danno di persone intenzionate ad ottenere dei mutui.
In applicazione della pena la Corte ha condannato RI 1 alla pena di 14 mesi di pena detentiva e ha revocato la sospensione condizionale della pena di 12 mesi di detenzione inflittagli il 22 novembre 2007 dalla Corte delle Assise correzionali di _.
La Corte
ha condannato inoltre RI 1 in solido con i correi, al versamento alla PC PC 7, dell’importo di Euro 3,5 milioni più interessi al 5% dal 23 gennaio 2008, oltre a fr. 15'000.- per ripetibili, dopo deduzione di fr. 82'918.20. La tassa di giustizia di fr. 3'000.- e le spese processuali sono state poste a carico dei condannati in solido con ripartizione interna in ragione di 1/4 ciascuno.
B.
Nel medesimo giudizio sono pure stati condannati, sia per la truffa da 3,5 milioni in danno di PC 7 che per reati commessi singolarmente o in correità con terzi:
- PI 2 alla pena detentiva di 4 anni, a valere quale pena unica, ai sensi dell’art. 46 CP, comprensiva di una precedente pena detentiva di 15 mesi di detenzione;
- PI 3 alla pena detentiva di 3 anni, a valere quale pena unica, ai sensi dell’art. 46 CP, comprensiva della pena pecuniaria di 75 aliquote giornaliere inflittagli il 12.04.2007 dal Ministero pubblico del Cantone Ticino. L’esecuzione della pena detentiva è stata sospesa in ragione di 2 anni, con un periodo di prova di 4 anni.
- PI 1 alla pena detentiva di 3 anni. L’esecuzione della pena detentiva è stata sospesa in ragione di 2 anni, con un periodo di prova di 3 anni.
C.
Contro la sentenza della Corte delle Assise Criminali, RI 1 ha inoltrato, il 23/24 agosto 2010, dichiarazione di ricorso alla Corte di Cassazione e di revisione penale.
Con il gravame presentato l’11 ottobre 2010, RI 1 chiede che:
- in riforma del dispositivo n. 4, venga ridotto il periodo della sua partecipazione alla truffa perpetrata in danno di PC 7 posticipando lo stesso da metà 2007 ad inizio gennaio 2008,
- in riforma del dispositivo n. 5.4, che gli venga inflitta una pena unica ai sensi dell’art. 46 CP posta al beneficio della sospensione condizionale, in luogo della pena di 14 mesi e della revoca della sospensione condizionale della precedente condanna alla pena detentiva di 12 mesi;
- in riforma del dispositivo n. 7, che la tassa di giustizia di fr. 3'000.- e le spese processuali vengano poste a suo carico in misura ridotta.
D.
Con osservazioni 10 novembre 2010 il procuratore pubblico ha postulato la reiezione del gravame rilevando la correttezza dell’accertamento dei fatti operato dalla prima Corte e sottolineando l’adeguatezza della pena inflitta al ricorrente.
E.
Con osservazioni 2 dicembre 2010, la parte civile PC 7 ha chiesto che il ricorso venga dichiarato irricevibile in quanto appellatorio. | Considerando
in diritto:
1.
Giusta l’art. 288 lett a e b CPP Ti - applicabile in forza dell’art. 453 cpv. 1 CPP Fed. - il ricorso per cassazione è essenzialmente un rimedio di diritto (art. 288 lett. a e b CPP) nella misura in cui l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. C e 295 cpv. 1 CPP) e ritenuto che arbitrario non significa manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 135 V 2 consid. 1.3; 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153; 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17; 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219; 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30 ; 112 Ia consid. 3). Per motivare una censura di arbitrio, non basta, dunque, criticare la sentenza impugnata né è sufficiente contrapporle una propria versione dell’accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata, una sentenza deve essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 135 V consid.1.3 pag. 5; 133 I 149, consid. 3.1 pag. 153; 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17; 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219; 129 I 8 consid. 2.1, pag. 9; 173 consid. 3.1, pag. 178).
2.
Nel suo gravame RI 1 - che non contesta la condanna per complicità in truffa ripetuta, consumata e tentata - censura d’arbitrio, in particolare in relazione alla commisurazione della pena, una serie di accertamenti della prima Corte.
2.1.
Nell’accertamento dei fatti e nella valutazione delle prove, il giudice dispone di un ampio potere di apprezzamento (DTF 129 I 8 consid. 2.1; 118 Ia 28 consid. 1b; STF 30 marzo 2007, inc. 6P.218/2006, consid. 3.4.1) così che, per motivare l’arbitrio, non è sufficiente criticare la decisione impugnata né è sufficiente contrapporvi una diversa versione dei fatti, per quanto sostenibile o addirittura preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato (DTF 133 I 149 consid. 3.1 con rinvii). E’ invece necessario dimostrare il motivo per cui la valutazione delle prove fatta dal primo giudice è manifestamente insostenibile, destituita di fondamento serio e oggettivo, si trova in chiaro contrasto con gli atti, si fonda su una svista manifesta o contraddice in modo urtante il sentimento di equità e di giustizia (DTF 135 V 2 consid. 1.3; 133 I 149 consid. 3.1; 132 I 13 consid. 5.1; 131 I 217 consid. 2.1; 129 I 173 consid. 3.1 con richiami) o si basa unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b; 112 Ia consid. 3). In particolare, il Tribunale federale ha avuto modo di stabilire che un accertamento dei fatti può dirsi arbitrario se il primo giudice ha manifestamente disatteso il senso e la rilevanza di un mezzo di prova oppure ha omesso, senza fondati motivi, di tener conto di una prova idonea ad influire sulla decisione presa oppure, ancora, quando il giudice ha tratto dal materiale probatorio disponibile deduzioni insostenibili (DTF 129 I 8 consid. 2.1).
Secondo la giurisprudenza, per essere annullata una sentenza deve essere inoltre arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 135 V 2 consid. 1.3; DTF 133 I 149 consid. 3.1, 132 I 13 consid. 5.1, 131 I 217 consid. 2.1, 129 I 8 consid. 2.1, 173 consid. 3.1).
2.2.
Nel suo allegato, il ricorrente chiede la riforma del punto 4 del dispositivo della sentenza impugnata in relazione al periodo del suo coinvolgimento nei fatti censurando di arbitrio il giudizio della Corte che lo ha condannato per la partecipazione alla truffa “
a partire dalla metà del 2007
”
nella misura in cui la stessa Corte ha accertato unicamente la sua partecipazione “
agli incontri del mese di gennaio 2008 dei quattro imputati, così come raccontano gli altri tre
” e nella misura in cui la Corte ha ancora soltanto accertato che
“i qui prevenuti a partire dai primi giorni di gennaio si sono incontrati più volte a _
” (cfr. ricorso pag. 15 punto 5.2).
La prima Corte - continua il ricorrente - non poteva, in queste condizioni, condannarlo “
per questi fatti a partire dalla metà del 2007
”
poiché “
nessuna prova esiste in tal senso e nemmeno la Corte lo sostiene
”.
“
Nemmeno esiste prova
” - conclude - che egli “
abbia commesso fatti di rilevanza penale in altre località della Svizzera e in Italia.
” (cfr. ricorso pag. 15 punto 5.2).
2.2.1.
La prima Corte ha in modo espresso precisato, sulla scorta delle dichiarazioni rese da PI 2, PI 3 e PI 1, che la partecipazione di RI 1 alla preparazione dell’operazione truffaldina in danno di PC 7 ha avuto inizio con “
gli incontri del mese di gennaio 2008”
(sentenza impugnata, consid. 15, 16 e 17, pag. 41-43).
Non vi è, in sentenza, alcun accertamento che potrebbe anche solo indirettamente indicare un coinvolgimento di RI 1 anteriore a questa data. Anzi, ancora nel considerando dedicato alla commisurazione della pena, vi è un’indicazione che conferma l’accertamento di cui sopra: in esso, infatti, la prima Corte ha annotato che RI 1 è ricaduto nella delinquenza “
circa un mese dopo il processo
”. Ritenuto che questo è stato celebrato il 22.11.2007, l’annotazione della prima Corte non può essere considerata altro che una conferma dell’indicato accertamento (sentenza impugnata, consid. 58 e 62, pag. 73 e 75).
Pertanto, su questo punto, il ricorso va accolto e il periodo di partecipazione di RI 1 alla truffa di cui al dispositivo 4.1. va limitato al periodo inizio gennaio - 23 gennaio 2008.
Parimenti, ritenuto che i primi giudici hanno accertato episodi di partecipazione di RI 1 soltanto a _, il dispositivo citato va riformato limitando a _ il luogo di commissione del reato.
2.3.
In diretta relazione con la commisurazione della pena a suo carico, il ricorrente contesta dapprima l’accertamento dei primi giudici secondo cui egli ha avuto un ruolo “
indispensabile per la riuscita dell’operazione
”.
2.3.1.
La Corte, dopo aver contestualizzato il piano delittuoso, ha precisato che, per poter mettere le mani sul denaro depositato dalla parte civile nelle cassette di sicurezza
,
gli autori dovevano poter far capo a “
una banca che non facesse tante domande”,
una banca
in cui
“si fanno pochi controlli” e “ci si può muovere come si vuole
”. Dopo avere ricordato che PI 2 aveva spiegato che la partecipazione di RI 1 era giunta tramite PI 3 (che se avesse potuto, avrebbe fatto volentieri a meno di dividere il provento dell’affare anche con lui), i primi giudici hanno precisato che l’importanza dell’apporto di RI 1 non va valutata in relazione all’aver procurato “
due set in bianco di moduli d’apertura di conto”
poiché “
per molto meno degli € 100'000.- dati a RI 1 ci si sarebbe potuti procurare dei perfetti documenti falsi”
. In realtà - hanno spiegato i primi giudici richiamando quanto detto al proposito da PI 3 - l’importanza di RI 1 per la commissione del reato “
risiedeva piuttosto nel rapporto privilegiato che egli aveva con la _
”. In effetti - hanno concluso sull’argomento i primi giudici - RI 1 “
era quello che aveva la chiave per entrare in _, cosa che PI 3 da solo non poteva fare
” (cfr. sentenza impugnata, consid. 27, pag. 53 e 54).
2.3.2.
Il ricorrente sostiene che la prima Corte è caduta in arbitrio ritenendo il suo apporto fondamentale per la riuscita della truffa affermando che tale valutazione è smentita dall’osservazione fatta dalla stessa prima Corte secondo cui importanti informazioni ottenute dai truffatori “
non sono farina del sacco di PI 3 e nemmeno di RI 1, ma provengono da una persona interna alla banca
”. Inoltre - sostiene l’insorgente - non si può considerare che _ fosse “
la chiave per entrare in _”
visto, in particolare, che la stessa era assente per infortunio da inizio gennaio 2008 (ricorso, punto 5.1.A, pag. 10).
L’insorgente prosegue osservando che la truffa sarebbe riuscita anche senza di lui poiché “
i correi avrebbero senz’altro potuto ottenere i documenti bancari vergini
” in altro modo, in particolare perché “
i contatti che contavano sono stati creati con una persona di riferimento diversa da RI 1 e senza il suo intervento
” (ricorso, punto 5.1.B, pag. 10).
Precisando come la sua unica risorsa fosse la conoscenza della segretaria, il ricorrente continua affermando che nell’inchiesta sono emersi elementi che provano che fra gli autori e la banca _ vi era “
un rapporto privilegiato”
cui lui era completamente estraneo. In effetti - precisa l’insorgente - “
per la riuscita della truffa era indispensabile poter contare sull’appoggio completo e incondizionato di una banca in Ticino
” che mettesse a disposizione degli autori “
gli strumenti, gli spazi e il personale”
e lui
“non aveva né il potere, né le conoscenze, né altri riferimenti
” necessari (ricorso, punto 5.1.B.1, pag. 11).
Citando le relative conclusioni della prima Corte, il ricorrente sostiene che c’era una “
persona di fiducia all’interno della banca che ha garantito la massima protezione
” e che, in particolare, ha suggerito a PI 2 di usare come referenza il nome del dott. _ e che ha garantito a PI 3 o PI 1 che il conto gli sarebbe stato aperto nonostante il rapporto negativo rilasciato su PI 2 dalla _ .
Inoltre - continua l’insorgente - il fatto che i correi abbiano potuto ripetutamente disporre di un salottino della banca in cui hanno agito indisturbati, abbiano potuto ottenere la collaborazione dei funzionari (per fotocopie o altro) e abbiano potuto ottenere i biglietti da visita della banca - cioè abbiano potuto agire all’interno della banca come se vi lavorassero - prova con evidenza “
come il gruppo di correi dovesse avere all’interno della banca una persona di fiducia e di riferimento, con autorità all’interno della banca, che potesse garantire il buon esito dell’operazione, senza intralci da parte dell’istituto di credito
”. Per questa persona - conclude sull’argomento l’insorgente - sarebbe stato molto semplice procurarsi un set di documenti in bianco della banca: perciò, anche senza il suo intervento, la truffa sarebbe riuscita.
2.3.3.
Se è vero che la prima Corte ha, in un punto della sua sentenza, ipotizzato la presenza di un appoggio interno alla banca diverso dalla _ (sentenza impugnata, consid. 18, pag. 43), è anche vero che tale ipotesi è rimasta tale e, perdipiù, formulata in modo talmente generico e senza alcun reale sostegno probatorio da configurarsi come semplice digressione senza alcuna portata di accertamento. Del resto, non si vede come potrebbe essere altrimenti: avessero avuto un appoggio interno, gli autori non si sarebbero rivolti a RI 1 che - come accertato dai primi giudici - ha partecipato alla spartizione del bottino (ricevendo ben 100.000.- Euro) per avere fornito i formulari di apertura del conto e delle cassette di sicurezza ma, in modo più lato - e lo dimostra l’importo considerevole ricevuto - per avere fornito la “
chiave d’accesso
” alla banca. Avessero avuto un appoggio più influente all’interno della banca, i correi non avrebbero certamente cercato la collaborazione di RI 1. Nessuno - e sicuramente non chi delinque per soldi - cerca un correo/complice (che deve essere pagato) quando non ne ha bisogno.
Ma, in ogni caso, la censura cade nel vuoto anche perché l’ipotesi avanzata, quand’anche fosse accertata, nulla toglierebbe alla partecipazione di RI 1 alla truffa nelle modalità accertate dalla prima Corte e non contestate dal ricorrente. Al di là di eventuali e solo ipotetici appoggi interni, rimane il fatto che RI 1 ha effettivamente aiutato in modo determinante gli autori procurando loro la documentazione necessaria. Questo configura in diritto una complicità e, nei fatti, un apporto determinante. Irrilevante è la questione di sapere se altri avrebbero potuto fornire un tale aiuto al suo posto. Quel che conta è che è stato lui a fornirlo.
Il ricorso va, perciò, su questo punto respinto.
2.4.
Continuando nel suo esposto, il ricorrente rimprovera alla prima Corte di essere caduta in arbitrio accertando un suo indebito profitto di Euro 100'000.-.
2.4.1.
Ricordate le diverse versioni rese al riguardo dai correi e rilevata la loro contradditorietà e la non credibilità, la prima Corte ha accertato che RI 1 ha ricevuto un compenso di 100’000.- Euro sulla scorta delle dichiarazioni di PI 2 che, nel marzo 2010, ha ammesso che quanto egli aveva sin lì dichiarato - e meglio, che i correi avevano ricevuto 60’000 Euro a testa - era una versione concordata con PI 1 ma che, in realtà, alla parte svizzera dei partecipanti erano stati attribuiti 1'200’000.- Euro che erano stati divisi in ragione di 700’000.- Euro a lui, 200’000.- Euro a PI 1, 200’000.- Euro a PI 3 e 100’000.- Euro a RI 1.
Osservando come, dopo marzo 2010, PI 2 abbia mantenuto costante tale sua dichiarazione e come l’abbia confermata anche al dibattimento, in contradditorio con i correi, i primi giudici hanno sottolineato che il cambio di versione é del tutto disinteressato “
nulla avendo PI 2 da guadagnare (se non dal profilo della collaborazione mostrata) nell’accusarsi di avere conseguito un illecito profitto molto maggiore di quello inizialmente ammesso, vero è semmai che egli ha così spontaneamente aggravato la propria posizione”
. Inoltre, essi hanno osservato come la nuova versione sia “
in sé oggettivamente più convincente della precedente in quanto la suddivisione del compenso in ragione di circa 2/3 per gli ideatori italiani e 1/3 per la parte svizzera sembra tenere equamente conto della fondamentale importanza del contributo dato dai qui prevenuti essendo, come già detto, la disponibilità in Svizzera di un istituto bancario “in cui muoversi liberamente” una conditio sine qua non per la riuscita dell’operazione truffaldina
” (sentenza impugnata, consid. 26, pag. 52).
Infine i primi giudici hanno considerato decisivo il fatto che “
la versione di PI 2 è stata confermata da PI 1
”
che, nel confronto con PI 2, “
ha dapprima tentato di ribadire la propria tesi, ma ha in seguito dato atto di avere ricevuto € 200'000.- da PI 3 (AI 492, verbale PP 18 marzo 2010 , pag. 2) al quale PI 2 afferma di avere consegnato, poco dopo essere uscito da _ il 23 gennaio 2008, i € 500'000.- destinati ai tre coimputati
” (cfr. sentenza impugnata pag. 52 consid. 26). Al riguardo, la Corte ha osservato - ad ulteriore sostegno deIla credibilità di questa versione - che PI 1, vista la sua scarsa collaborazione durante l’inchiesta, ben difficilmente, se ciò non fosse stato vero, avrebbe ammesso di avere conseguito un profitto nettamente superiore “
non essendoci per lui proprio nessun vantaggio da ottenere nel cambio di versione, a fronte dell’innegabile aggravarsi della sua posizione.
” (cfr. sentenza impugnata pag. 52-53, consid. 26).
Infine, dopo avere ricordato che, ancora al dibattimento, PI 1 ha confermato l’ammissione fatta durante il confronto con PI 2, i primi giudici hanno considerato che quanto sequestrato a PI 1 al momento dell’arresto - e meglio, fr. 64'000.- a contanti e un orologio di valore (ca 18'000.- fr.) - era, unitamente alle sue dichiarazioni di aver fatto un po’ la bella vita, giocando e perdendo al casinò, un’ulteriore conferma (indiretta) della versione resa da PI 2 nel marzo 2010 sull’ammontare reale del bottino spartito fra gli autori svizzeri (cfr. sentenza impugnata, consid. 26, pag. 53).
2.4.2.
Il ricorrente sostiene, invece, che dagli atti del procedimento non emergono indizi concreti e oggettivi che RI 1 abbia effettivamente ricevuto da PI 3 100’000.- Euro. Anzi - sostiene - “a
ben vedere emerge anzi il contrario
” (cfr. ricorso pag. 16 punto 5.3).
Ricordato come sia assodato che è stato PI 3 a consegnargli il compenso, RI 1 sottolinea che questi - confermando le sue dichiarazioni - durante tutta l’istruttoria ha sempre dato la stessa versione, e cioè di avere ricevuto soltanto € 50'000.- e di aver consegnato a RI 1 la metà ossia € 25'000.- quale compenso per il suo aiuto.
Ricordando, poi, che PI 1 ha sempre sostenuto che PI 3 aveva ricevuto € 60'000.- e che la stessa tesi è stata inizialmente sostenuta anche da PI 2, il ricorrente afferma che la Corte, nell’accertare la somma da lui percepita, avrebbe dovuto attenersi alla versione della persona che gli ha materialmente consegnato il denaro contante, ovvero a quella di PI 3.
Quanto alle dichiarazioni rese da PI 1 al dibattimento, il ricorrente osserva che questi ha confermato il dire di PI 2 - e meglio, che gli accordi prevedevano che a lui sarebbero pertoccati 100’000.- Euro - ma non dice che quei 100’000.- Euro gli sono stati effettivamente consegnati (cfr. ricorso, punto 5.3., pag. 16 e17).
2.4.3.
La censura è di chiara natura appellatoria nella misura in cui il ricorrente si limita ad esporre una diversa valutazione del materiale probatorio senza confrontarsi con il ragionamento e gli accertamenti eseguiti dalla Corte sulla scorta di una valutazione non arbitraria delle diverse dichiarazioni rese dai protagonisti della vicenda. Argomentando come fa, il ricorrente non spiega per quale motivo la valutazione diversa operata dai primi giudici sia manifestamente insostenibile. Non lo fa certo pretendendo - senz’altra motivazione - che la migliore e più attendibile versione è quella resa da colui che gli ha materialmente consegnato il denaro. Né spiega per quale motivo la Corte abbia manifestamente errato nel considerare che al dibattimento PI 1 ha confermato in toto il dire di PI 2. Tuttavia, quand’anche si volesse seguire il ricorrente nell’interpretazione letterale delle dichiarazioni di PI 1 al dibattimento, ciò ancora non basterebbe a rendere arbitrario l’accertamento dei primi giudici. In effetti, l’accertamento contestato è fondato, come visto, non soltanto su quanto detto da PI 1 al dibattimento, ma su una serie di elementi valutati in modo coerente e sostenibile e con detta valutazione il ricorrente non si è confrontato.
Postulando un accertamento diverso del materiale probatorio, il ricorrente sconfina in censure di chiara natura appellatoria che, come tali, sono irricevibili.
3.
Il ricorrente censura, infine, la commisurazione della pena operata dalla Corte delle assise criminali.
3.1.
Nell’ambito della commisurazione della pena, la Corte ha, dapprima, considerato, dal profilo oggettivo, che RI 1 ha partecipato con un contributo ai limiti della correità ad una truffa da € 3.5 milioni, ad un’altra da € 100'000.- e ad un tentativo di truffa per € 100'000.- e che, per il suo contributo a questi illeciti, egli ha ricevuto complessivi € 105'000.-.
Dal profilo soggettivo, i giudici di prime cure hanno giudicato “
di notevole gravità”
la colpa di RI 1 avuto riguardo al suo status di uomo maturo ed al fatto che egli non ha delinquito perché privo di occupazione o dei mezzi necessari al sostentamento suo e della sua famiglia ma soltanto per procurarsi denaro facile e che lo ha fatto nonostante una situazione affettiva stabile, avendo egli avuto un figlio dalla nuova compagna con la quale conviveva.
Quali elementi aggravanti la colpa, la Corte ha, poi, considerato il “
pesante precedente specifico
” a carico di RI 1 che per due anni “
dal 1995 al 1997”,
ha “
fatto mestiere della truffa
” precisando che soltanto in virtù del lungo tempo trascorso, con violazione del principio di celerità, la sanzione al processo che RI 1 aveva “
disertato
”, era stata contenuta in 12 mesi di detenzione sospesi per due anni.
Ulteriore fattore di aggravamento della colpa è stato considerato il fatto che RI 1 ha ricominciato a delinquere “
circa un mese dopo”
l’ultimo processo subito. Considerato che durante l’istruttoria RI 1 non aveva confessato né tantomeno collaborato e che anche al processo si era ostinato a professare la propria buona fede “
in urto con la più elementare evidenza dei fatti
” (cfr. sentenza impugnata pag. 73-74 consid. 58), i primi giudici hanno escluso l’esistenza di circostanze attenuanti. Nello stabilire la sanzione, hanno precisato di avere, pur non pronunciando una pena unica, tenuto conto a favore di RI 1 del fatto che a suo carico sarebbe stata pronunciata, cumulativamente, la revoca della sospensione condizionale della precedente condanna.
In considerazione di tutti gli elementi indicati, i primi giudici hanno quantificato in 14 mesi la pena detentiva, osservando che essa è “
solo di poco superiore ai 12 mesi postulati dalla difesa per l’ipotesi in cui il prevenuto fosse stato ritenuto colpevole
” (sentenza impugnata, consid. 58, pag. 74).
3.2.
Il ricorrente rimprovera alla prima Corte di non avere considerato a suo favore “
il beneficio di alcuna circostanza attenuante”
. In particolare - continua - la prima Corte avrebbe dovuto considerare, a suo favore, che egli, benché residente in Italia, ha accettato di essere interrogato dagli inquirenti svizzeri e ciò anche dopo che gli è stata rifiutata la concessione del salvacondotto. Poi - continua l’insorgente - i primi giudici avrebbero dovuto considerare che, dal 1997 al 2007, egli non ha delinquito (ricorso, pag. 19-21).
Continuando nel suo esposto, egli rimprovera ai primi giudici di non avere correttamente valutato il ruolo da lui “
effettivamente assunto nella truffa principale
”, e meglio di non avere valutato che il suo ruolo non è stato decisivo, che il suo intervento si è temporalmente limitato a tre settimane e che il suo compenso non è stato di 100.000.- Euro ma solo di 25.000.- Euro (ricorso, pag. 19-21).
Inoltre, il ricorrente sostiene che, nella commisurazione della pena, i primi giudici avrebbero dovuto tener conto che la vittima “
della truffa principale è una persona molto facoltosa,con grandi mezzi
”, considerata dalla Corte stessa come “
persona sicuramente accorta e attenta ai propri affari
” (ricorso pag. 22).
Infine, l’insorgente rimprovera alla prima Corte di non avere tenuto conto della
“grave negligenza della _ che ha completamente omesso ogni minima verifica e controllo che il rigore di un istituto bancario svizzero impone”
(ricorso pag. 23).
In sintesi, il ricorrente sostiene che la prima Corte é stata con lui “
esageratamente severa
” e rileva come detto abuso del potere di apprezzamento emerga, con evidenza, dal confronto con le pene inflitte a PI 3 e PI 2. A questo proposito - continua l’insorgente - “
esiste una disparità flagrante e manifestamente ingiustificata”
tra la condanna inflitta ad PI 3 e a PI 2
e quella a lui inflitta
“avuto riguardo ai diversi ruoli assunti nella commissione dei fatti, dell’intensità del progetto truffaldino e alla volontà soggettiva di commettere il reato
” (ricorso pag. 20 punto 7.2).
Il ricorrente rimprovera, infine, alla prima Corte di non avere pronunciato una pena unica che tenesse conto anche del precedente a differenza di quanto fatto per gli altri due condannati rilevando come il risultato concreto sia che “PI 3
dovrà scontare 12 mesi di carcere”
mentre lui “
più del doppio, ossia 26 mesi”
(ricorso pag. 19 consid. 7.2). Egli conclude postulando che gli venga inflitta “
una pena unica, inferiore ai due anni e sospesa condizionalmente
” (ricorso pag. 23)
3.3.
Nella commisurazione della pena il giudice di merito fruisce di ampia autonomia. Come il Tribunale federale, la Corte di cassazione e di revisione penale interviene solo laddove la sanzione si ponga al di fuori del quadro edittale, si fondi su criteri estranei all’art. 47 CP, disattenda elementi di valutazione prescritti da quest’ultima norma oppure appaia esageratamente severa o esageratamente mite, al punto da denotare eccesso o abuso del potere di apprezzamento (DTF 135 IV 191 consid. 3.1; 134 IV 17 consid. 2.1; 129 IV 6 consid. 6.1 pag. 21 segg. e riferimenti, 128 IV 73 consid. 3b pag. 77, 127 IV 10 consid. 2 pag. 19).
Ai sensi dell’art. 47 CP, il giudice commisura la pena alla colpa dell'autore, tenendo conto della vita anteriore e delle condizioni personali dell'autore, nonché dell'effetto che la pena avrà sulla sua vita (cpv. 1). La colpa va determinata secondo il grado di lesione o esposizione a pericolo del bene giuridico offeso, secondo la reprensibilità dell'offesa, i moventi e gli obiettivi perseguiti, nonché, tenuto conto delle circostanze interne ed esterne, secondo la possibilità che l'autore aveva di evitare l'esposizione a pericolo o la lesione (cpv. 2).
Come nel vecchio diritto (art. 63 vCP), il giudice, dunque, commisura la pena essenzialmente in funzione della colpevolezza del reo. Il legislatore ha ripreso, al cpv. 1, i criteri della vita anteriore e della condizione personale e aggiunto la necessità di tener conto dell'effetto che la pena avrà sulla vita dell'autore. Con riguardo a quest'ultimo criterio, il messaggio precisa che la misura della pena delimitata dalla colpevolezza non deve essere sfruttata necessariamente per intero se una pena più tenue potrà presumibilmente trattenere l'autore dal compiere altri reati (messaggio del 21 settembre 1998 concernente la modifica del codice penale svizzero e del codice penale militare nonché una legge federale sul diritto penale minorile, FF 1999 1744). La legge codifica, così, la giurisprudenza secondo cui occorre evitare di pronunciare sanzioni che ostacolino il reinserimento del condannato (DTF 128 IV 73 consid. 4c pag. 79; 127 IV 97 consid. 3 pag. 101). Questo criterio di prevenzione speciale permette tuttavia soltanto di eseguire correzioni marginali, la pena dovendo in ogni caso essere proporzionata alla colpa (STF del 14 ottobre 2008, inc. 6B_78/2008, 6B_81/2008, 6B_90/2008, consid. 3.2.; STF del 12 marzo 2008, inc. 6B_370/2007, consid. 2.2; STF del 17 aprile 2007, inc. 6B_14/2007, consid.
5.2 e riferimenti; Stratenwerth, Schweizerisches Strafrecht, Allgemeiner Teil II, Strafen und Massnahmen, Berna 2006, § 6 n. 72).
Codificando la giurisprudenza, l'art. 47 cpv. 2 CP fornisce un elenco esemplificativo di criteri che permettono di determinare la gravità della colpa dell'autore. Il giudice dovrà prendere in considerazione il grado di lesione o esposizione a pericolo del bene giuridico offeso nonché la reprensibilità dell'offesa, elementi che la giurisprudenza designava con l'espressione “
risultato dell'attività illecita
” rispettivamente “
modo di esecuzione”
(DTF 129 IV 6 consid. 6.1 pag. 20). Sotto il profilo soggettivo, la norma rinvia ai moventi e agli obiettivi perseguiti che corrispondono ai motivi a delinquere del vecchio diritto (art. 63 vCP), nonché alla possibilità che l'autore aveva di evitare l'esposizione a pericolo o la lesione riferendosi, in quest'ultimo caso, alla libertà dell'autore di decidersi a favore della legalità e contro l'illegalità (v. DTF 127 IV 101 consid. 2a pag. 103).
3.4.a)
In concreto, non può essere preteso che la prima Corte abbia abusato del suo potere di apprezzamento considerando che RI 1 non ha collaborato: se è vero che egli ha accettato di farsi interrogare dagli inquirenti ticinesi ed ha continuato a mostrare tale disponibilità anche dopo il rifiuto del salvacondotto, è anche vero che ciò ancora non costituisce collaborazione. Questa, infatti, si realizza quando l’imputato collabora con gli inquirenti nell’accertamento dei fatti e si assume le proprie responsabilità. Ciò che, evidentemente, non è stato il caso per RI 1 che, sino al dibattimento, ha continuato a negare che i fatti si siano svolti così come accertato dalla Corte in un procedimento che è risultato scevro da arbitrio.
La relativa censura è, dunque, da respingere.
Non è, invece, ricevibile la censura relativa alla pretesa mancata considerazione dell’effettivo ruolo da lui svolto nell’ambito della truffa principale nella misura in cui, come visto sopra, essa si diparte da una situazione di fatto diversa da quella accertata senza arbitrio dalla prima Corte.
Ugual sorte e per gli stessi motivi deve essere riservata alla censura relativa al compenso.
Se la questione avesse avuto un’influenza sulla valutazione della colpa, diversa potrebbe essere la questione relativa al periodo in cui il ricorrente ha delinquito. Tuttavia, dal considerando dedicato dalla prima Corte alla commisurazione della pena, nulla emerge al riguardo: da ciò si deve dedurre che la circostanza non è stata considerata rilevante dalla Corte. Ne deriva, che la relativa censura deve essere respinta.
Né miglior sorte merita la censura relativa allo status della vittima: RI 1 non può certo
pretendere particolari meriti e, quindi, particolari benefici dalla situazione agiata della vittima ai danni della quale ha agito. D’altra parte, l’ottima situazione economica della vittima era presupposto irrinunciabile del progetto criminoso cui RI 1 ha partecipato.
Da respingere è, poi, la questione della pretesa negligenza della _. Dapprima, perché la pretesa negligenza non è stata accertata dalla prima Corte. Poi, perché la banca non è la vittima della truffa. Infine, perché, comunque, l’attività truffaldina non ha coinvolto la struttura della banca e, pertanto, non ha potuto essere facilitata da eventuali - e qui soltanto pretese - lacune organizzative.
Infine, non si può pretendere che la pena inflitta (14 mesi) sia eccessivamente severa ritenuto come il contrario appaia già soltanto se si considera che RI 1 deve rispondere di complicità in una truffa di 3'500’000.- euro, in un’altra di 100’000.- Euro e in un tentativo di truffa di pari importo avendo, poi, alle spalle, una condanna (a 12 mesi) per truffa aggravata siccome commessa per mestiere e ripetuta falsità in documenti.
Del resto, che la pena inflitta non possa essere ritenuta eccessivamente severa è confermato anche dal fatto che l’allora difensore di RI 1 aveva chiesto, in caso di condanna, una pena massima di 1 anno (sentenza impugnata, pag. 22; consid. 58, pag. 74).
b)
In materia di commisurazione della pena un confronto fra due o più casi concreti é, di principio, infruttuoso, diverse essendo in ognuno di essi le circostanze oggettive e soggettive che il giudice è tenuto a considerare (DTF 123 IV 150, 116 IV 292; v. anche DTF 124 IV 44 consid. 2c pag. 47) di modo che una certa disuguaglianza tra una condanna e l'altra si spiega normalmente con il principio dell'individualizzazione della pena e non denota per ciò solo un abuso di apprezzamento (Queloz/Humbert, Commentaire romand, Code pénal I, Basilea 2009, ad art. 47, N. 10, pag. 459). Ne segue che questa Corte interviene unicamente sulla commisurazione della pena - come il Tribunale federale - ove il risultato cui è pervenuto il giudice di merito appaia urtante, per rapporto agli argomenti addotti o a precedenti analoghi.
Nondimeno, qualora più imputati compaiano davanti allo stesso giudice per accuse fondate sui medesimi fatti, un'eventuale disparità di trattamento deve trovare giustificazione in motivi pertinenti (Corboz, La motivation de la peine, in: ZBJV 131/1995 pag. 13 in alto; Wiprächtiger, Basler Kommentar, Strafrecht I, 2.edizione, Basilea 2007, ad art. 47 n. 157). In particolare, il giudice deve spiegare le ragioni di una differenza importante tra le pene inflitte a due coimputati accusati di aver commesso essenzialmente lo stesso reato (DTF 120 IV 136. consid. 3b pag. 144 seg.).
In concreto, non può dirsi che la pena inflitta a RI 1 appaia urtante se confrontata con quelle inflitte a PI 2 e PI 3. La prima Corte ha, in effetti, tenuto conto in modo certamente non arbitrario del ruolo più importante giocato da questi due condannati: ad essi ha inflitto una pena detentiva di 4 anni (comprensiva di una precedente pena di 15 mesi), rispettivamente di 3 anni (comprensiva della pena pecuniaria di 75 aliquote giornaliere) mentre al qui ricorrente ha inflitto una pena di soli 14 mesi.
Anche su questo punto, quindi, il ricorso è da respingere.
c)
Da respingere è, pure, la censura riguardante la mancata concessione della pena unica.
Infatti - come peraltro già ricordato da questa Corte nella sentenza CCRP del 20 agosto 2009, inc. 17.2009.21, consid. 6 - il Tribunale federale ha stabilito, sulla base del chiaro tenore dell’art. 46 cpv. 1 seconda frase CP, che la pronuncia di una pena unica rappresenta una facoltà - e non un obbligo - che può essere esercitata dal giudice unicamente nel caso in cui la pena precedente e la nuova pena da infliggere non sono dello stesso genere (DTF 134 IV 241 consid. 4.4). Non è, pertanto, possibile pronunciare una pena unica in applicazione analogica dell'art. 49 CP laddove la pena soggetta a revoca della sospensione condizionale e la nuova pena siano dello stesso genere (DTF 134 IV 241 consid. 4.4; più recentemente, STF 21 ottobre 2009, inc. 6B_418/2009, consid. 3.2; STF 27 maggio 2010, inc. 6B_203/2010, consid. 6).
d)
Infine, irricevibile in quanto totalmente immotivata è la censura riguardo la mancata sospensione condizionale della pena.
4.
Nemmeno può essere accolta la richiesta relativa ad una diversa ripartizione della tassa di giustizia nella misura in cui essa si diparte da accertamenti di fatto diversi da quelli operati dai primi giudici, e cioè si fonda sull’ipotesi di un ruolo di secondo piano nell’attività truffaldina proposta in opposizione all’accertamento scevro da arbitrio di un “
ruolo indispensabile per la riuscita dell’operazione
” giocato dal ricorrente.
5.
Ritenuto il principio della soccombenza, gli oneri processuali vanno posti per 8/10 a carico del ricorrente.
Non si assegnano ripetibili. | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,011 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
a35967c2-7399-51e4-86e8-4870cfb771b4 | in fatto
a.
Con esposto 20.4.2012 RE 1, di professione medico, ha sporto querela/denuncia nei confronti del dr. med. PI 1, alfine di
“(...) verificare la sussistenza delle ipotesi di reato previste dagli articoli 125 cpv. 1 e 125 cpv. 2 Codice penale (...), nonché d’ogni altra ipotesi di reato che gli accertamenti preliminari d’inchiesta evidenzieranno (...)”
(querela/denuncia 20.4.2013, p. 4, AI 1, inc. MP _).
In data 23.1.2012 RE 1 si sarebbe recato presso il domicilio privato di PI 1, _, per sottoporre il suo ginocchio destro a delle iniezioni intraarticolari di ossigeno/ozono oltre che ad una fiala di Condrotide. Una volta terminato l’intervento, RE 1 sarebbe rientrato presso il suo domicilio in _. Il mattino seguente, il ginocchio destro avrebbe presentato un forte gonfiore e il dolore sarebbe stato tale da indurre RE 1 a recarsi presso un altro specialista per un controllo, il quale avrebbe riscontrato nel paziente
“colonie del pericoloso e famigerato Stafilococco aureo”
e, su richiesta del querelante/denunciante, ne avrebbe ordinato il ricovero in ospedale (querela/denuncia 20.4.2013, p. 3-4, AI 1).
RE 1 ha precisato che
“le lesioni provocatemi (malattia)
” sarebbero
“
in diretta relazione causale con l’operato del dott. PI 1, che ha colpevolmente agito trascurando ogni più elementare regola igienica (...)”
(querela/denuncia 20.4.2013, p. 4, AI 1).
b.
A seguito della querela/denuncia,
in data 19.6.2012 la polizia ha interrogato il querelante/denunciante e _, in veste di persona informata sui fatti (cfr. Rapporto di inchiesta di polizia giudiziaria 12/16.10.2012, AI 8).
c.
Il Ministero pubblico ha aperto in data 16.8.2012 un procedimento penale per lesioni colpose gravi sub. lesioni colpose nei confronti di PI 1 (AI 3).
In medesima data il magistrato inquirente ha ordinato la perquisizione domiciliare presso l’abitazione dell’imputato e presso lo studio medico _, _, nonché il sequestro di tutti gli oggetti rinvenuti che potessero avere importanza per il procedimento (AI 4).
Con scritto 16.8.2012, il procuratore pubblico ha inoltre comunicato all’Ufficio del medico cantonale l’apertura dell’istruzione penale nei confronti di RE 1 (AI 6).
In data 7.9.2012 la polizia ha interrogato l’imputato (AI 8).
d.
Con scritto 4.12.2012, RE 1 ha inviato alla polizia cantonale una relazione medica - da lui commissionata al dott. _, medico chirurgo specialista in medicina legale con studio a _ - la quale, a suo dire, documenterebbe
“(...) il complicato decorso clinico del paziente a causa dell’imperizia medica del denunciato”
(in Rapporto di trasmissione 7/10.12.2012, AI 9).
e.
Ricevuta copia della querela/denuncia penale 20.4.2012 (AI 1) e del Rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 12/16.10.2012 (AI 8), con scritto 11/14.1.2013 denominato ‘
istanza di assunzione prove
’, PI 1 ha contestato la relazione del dott. _ e le accuse in essa contenute, asserendo che tale rapporto
“non è completo, contiene considerazioni e conclusioni che non sono fondate, non risulta corredato da alcun documento da cui si possa verificare quanto addotto (...)”
(AI 12, p. 1). A suo dire, tale documento non assurgerebbe ad elemento di prova per le ipotesi di reato sollevate da PI 1.
Per mezzo del medesimo scritto, RE 1 ha chiesto il richiamo e l’assunzione di una serie di prove: referti scritti e CD di risonanze magnetiche di PI 1 risalenti al 7.9.2011, al 3.4.2012 ed al 15.6.2012, le cartelle cliniche riferite alla degenza del querelante/denunciante all’Ospedale di _ e a quello di _ e infine la cartella clinica dalla quale si evincerebbe che PI 1 sarebbe stato in procinto di sottoporsi ad artroscopia (AI 12, p. 2).
f.
Con scritto 5/6.2.2013 (AI 13), l’imputato ha trasmesso al magistrato inquirente - chiedendone l’assunzione agli atti - la relazione medica da lui commissionata al dott. _, _, chirurgo specialista in criminologia clinica, mediante la quale RE 1 verrebbe scagionato dalla responsabilità in relazione all’intervento eseguito.
g.
Con decisione 6.3.2013 (AI 14), senza preventivamente comunicarla alle parti, il procuratore pubblico
ha decretato la nomina, in qualità di perito (art. 184 CPP), del
prof. _, attivo presso l’Istituto di medicina legale dell’Ospedale di Circolo e _ a _, con l’incarico di redigere una perizia medica concernente l’intervento eseguito presso la sua abitazione dall’imputato, con l’invito a rispondere al seguente quesito peritale:
“Accerti il perito, sulla base della documentazione trasmessa, in particolare i certificati medici e la cartella clinica, se all’origine della patologia riscontrata in PI 1 vi è l’intervento invasivo, rispettivamente le modalità con cui è stato messo in atto, eseguito dal dr. med. RE 1, nel salotto del proprio domicilio, in data 23 gennaio 2012”
(AI 14, p. 2).
h.
Con gravame 15/18.3.2013 RE 1 ha impugnato presso questa Corte il suddetto decreto di nomina postulando, in via principale, l’annullamento dello stesso, l’edizione della documentazione medica elencata nell’istanza 11/14.1.2013 (cfr. AI 12) concernente RE 1 ed infine
“(...) ad avvenuta raccolta dei predetti documenti il Procuratore Pubblico valuterà la necessità di assumere una prova peritale, integrando anche le domande che saranno allestite dal Dr. PI 1”
(reclamo 15/18.3.2013, p. 6).
In via subordinata ha postulato che il decreto di nomina sia completato con i quesiti peritali da lui elencati nel petitum.
Con sentenza 1.7.2013 (inc. CRP 60.2013.85) questa Corte ha parzialmente accolto il reclamo di cui sopra, annullando il decreto di nomina del perito 6.3.2013, in quanto le parti (imputato e difesa) non sarebbero state interpellate, come previsto dall’art. 184 cpv. 3 CPP. Questa Corte ha di conseguenza ritornato l’incarto al procuratore pubblico affinché procedesse nei suoi incombenti, con particolare riferimento all’art. 184 cpv. 3 CPP (AI 19).
i.
Con scritto 5.7.2013 (AI 20) il magistrato inquirente ha invitato, per il tramite del suo legale, RE 1 a voler trasmettere al Ministero pubblico, entro il 26.7.2013, la seguente documentazione:
“
-referto scritto e CD delle risonanze magnetiche del 07.09.2011,
03.04.2012, 15.06.2012 a cui si è sottoposto RE 1;
-copia completa della cartella Clinica dell’Ospedale di _ re-
lativa alla degenza e agli interventi cui si è sottoposto _;
-documentazione medica contenente esami e referti medici dai
quali risulta che RE 1 era in attesa di sottoporsi ad
artroscopia
”.
Parte della documentazione richiesta è stata consegnata al Ministero pubblico in data 29.8.2013 (cfr. AI 21).
l.
Con decreto 30.9.2013 il procuratore pubblico ha nominato, in qualità di perito, il dr. med. _, con il mandato di rispondere al seguente quesito peritale: “
Accerti il perito, sulla base degli atti del procedimento messi a disposizione (INC._), se all’origine della patologia riscontrata in RE 1 vi è l’intervento invasivo, rispettivamente le modalità con cui è stato messo in atto, eseguito dal dr. med. PI 1, nel salotto del proprio domicilio, in data 23 gennaio 2012. Inoltre al perito saranno sottoposti, salvo contrario avviso o modifica del diretto interessato, i 14 quesiti peritali formulati dall’avv. PR 2 nel reclamo alla Corte dei reclami penali del 15 marzo 2013
”
(AI 23).
Nel contempo il magistrato inquirente ha concesso alle parti un termine di 10 giorni per esprimersi in merito alla persona proposta quale perito ed ai quesiti peritali (art. 184 cpv. 3 CPP).
m.
Dopo aver ricevuto copia della documentazione prodotta da RE 1, l’avv. PR 2, in nome e per conto di PI 1, con scritto 9/10.10.2013 indirizzato al procuratore pubblico, ha rimarcato come tale documentazione sarebbe incompleta, in quanto prodotta direttamente da RE 1 e non dagli ospedali di _ _, come richiesto nella sua istanza 11/14.1.2013 (AI 12). Ha pertanto chiesto che la cartella clinica di RE 1 venga direttamente richiesta - in via ufficiale - agli ospedali interessati. Lo stesso ha infine formulato 5 ulteriori quesiti peritali (AI 25).
In risposta a tale scritto, con lettera 14.10.2013, il magistrato inquirente ha comunicato all’avv. PR 2, che “
la documentazione da lei menzionata potrà essere richiesta alle Autorità _ unicamente in via rogatoriale, essendo escluso che il sottoscritto possa ordinarne direttamente l’edizione. Questa procedura richiederà un minimo di sei mesi di tempo. Pertanto fino a quando non riceverò la documentazione clinica, la procedura di nomina del perito resterà sospesa. Per quanto attiene alle domande peritali complementari, le stesse verranno sottoposte al momento opportuno al perito
” (AI 26).
Copia del citato scritto è stato inviato per conoscenza all’avv. PR 1.
n.
In data 23.10.2013 (AI 28) il procuratore pubblico ha provveduto ad inviare alla Procura generale della Repubblica presso la Corte D’Appello di _ una domanda di assistenza giudiziaria internazionale in materia penale, volta all’acquisizione/trasmissione della documentazione medica di cui sopra.
o.
In data 24/29.10.2013 RE 1 ha inviato al magistrato inquirente un plico contenente due copie (l’originale ed una fotocopia) della cartella clinica, relativa al suo ricovero ospedaliero nel 2012, con tutte le pagine singolarmente numerate e timbrate dalla Direzione sanitaria ULSS _ _ e controfirmata dal dr. _, responsabile dell’U. O. di Medicina Legale (AI 29).
Il magistrato inquirente ha, in data 29-31.10.2013, trasmesso tale documentazione all’avv. PR 2 chiedendogli nel contempo se fosse d’accordo ad acquisire tale cartella clinica agli atti con il conseguente ritiro della domanda di assistenza giudiziaria poiché divenuta priva di oggetto (AI 30-31).
p.
Con gravame 28/29.10.2013 RE 1 impugna lo scritto 14.10.2013 del magistrato inquirente relativo alla sospensione della procedura di nomina del perito. Il reclamante chiede che tale scritto sia annullato e che il perito nominato proceda “
indilatamente ai propri incombenti, sulla base della documentazione medica già prodotta da RE 1, (...) e della documentazione medica numerata e timbrata proveniente dall’Ospedale di _ (...)
”
(reclamo
28/29.10.2013, p. 6).
Il reclamante “
lamenta una violazione di natura sostanziale del principio del contradditorio e questa volta non si tratta d’aspetti di natura meramente procedurale
” (reclamo
28/29.10.2013, p. 2).
Ritiene che il procuratore pubblico avrebbe deciso la sospensione della perizia “
solo sulla base delle suggestioni di controparte, senza ascoltare le necessarie indicazioni di RE 1, anch’egli medico, il quale avrebbe sollecitamente corretto gli aspetti errati evocati dalla difesa
” (reclamo
28/29.10.2013, p. 2).
Afferma che la documentazione medica già versata agli atti (sia la prima cartella clinica senza numerazione facoltativa che quella con numerazione) sarebbe “
completa, esattamente come quella che si vorrebbe assumere su rogatoria - allungando inutilmente i tempi procedurali -, motivata da suggestioni vane della sola difesa
” (reclamo
28/29.10.2013, p. 2).
Sostiene quindi che “
la decisione avversata si caratterizza per la sua evidente illegittimità ed inadeguatezza, nell’ottica dell’art. 393 lett. c CPP e pertanto se ne domanda l’annullamento totale, affinché il mandato peritale 30.9.3013 (...) possa avere inizio senza ulteriori ostacoli, lasciando all’inquirente ed alle parti di verificare, una volta per tutte, se le cartelle cliniche prodotte da RE 1 (...) constino delle medesime pagine
” (reclamo
28/29.10.2013, p. 3).
Attendere i tempi incerti d’una rogatoria internazionale sarebbe “
assolutamente contrario ad ogni principio d’economia processuale e di celerità di giudizio, senza che le emergenze processuali giustifichino tali inutili ritardi
” (reclamo
28/29.10.2013, p. 3).
RE 1 conclude contestando, con puntuali motivazioni, le nuove domande da sottoporre al perito contenute nello scritto 9/10.10.2013 di PI 1.
q.
Delle osservazioni/duplica, così come della replica, si dirà, se necessario, in corso di motivazione. | in diritto
1.
1.1.
Giusta l’art. 393 CPP può essere interposto reclamo contro le decisioni e gli atti procedurali della polizia, del pubblico ministero e delle autorità penali delle contravvenzioni (art. 393 cpv. 1 lit. a CPP).
Il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 393 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta e all’art. 385 CPP per la motivazione.
In particolare il reclamo deve indicare i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP)
.
1.2.
Il gravame
, inoltrato il 28/29.10.2013 alla Corte dei reclami penali, competente ex art. 62 cpv. 2 LOG, contro lo scritto datato 14.10.2013 del procuratore pubblico, è tempestivo
.
Le esigenze di forma e di motivazione sono rispettate
.
RE 1, quale accusatore privato nell’ambito dell’inc. MP _, è legittimato a reclamare ex art. 382 cpv. 1 CPP.
Si pone però un problema di proponibilità del gravame, considerata la natura dello scritto impugnato.
2.
Come esposto nei considerandi in fatto, dopo aver emanato - in data 30.9.2013 - il decreto di nomina del perito (AI 23), e dopo aver ricevuto lo scritto 9/10.10.2013 di PI 1 mediante il quale lo stesso comunicava che la documentazione prodotta dal reclamante era incompleta (AI 25), il procuratore pubblico ha inviato - all’avv. PR 2, legale dello stesso PI 1 - lo scritto 14.10.2013 (AI 26), qui impugnato.
Mediante il citato scritto il magistrato inquirente ha comunicato all’avvocato dell’imputato che la documentazione medica da lui chiesta con istanza 9/10.10.2013 (AI 25) e relativa a RE 1, poteva essere richiesta alle autorità _ unicamente per via rogatoriale, che tale procedura avrebbe comportato un minimo di sei mesi di tempo e che, nel frattempo, quindi la procedura di nomina del perito sarebbe rimasta sospesa (AI 26).
In data 23.10.2013 il procuratore pubblico ha inviato una domanda di assistenza giudiziaria, volta alla trasmissione delle cartelle cliniche di RE 1 (AI 28).
3.
3.1.
Ora, va anzitutto rilevato che il reclamo è - in maniera generale - ammissibile anzitutto, come indicato, contro gli atti procedurali (“
Verfahrenshandlungen
”) che si manifestano all’esterno e che toccano direttamente gli interessi giuridicamente protetti delle parti [“
(...) die Verfahrensbeteiligten (...) müssen unmittelbar beschwert sein
”] (BSK StPO – J. STEPHENSON / G. THIRIET, art. 393 CPP n. 6).
Il reclamo giusta l’art. 393 CPP deve essere diretto contro un atto (oppure un’omissione) specifico: non è un mezzo per mettere in evidenza un disagio generico avverso il lavoro delle autorità di perseguimento penale (BSK StPO – J. STEPHENSON / G. THIRIET, art. 393 CPP n. 10).
3.2.
Nella fattispecie in esame, lo scritto del procuratore pubblico mediante il quale comunica che la documentazione medica può essere richiesta solo per via rogatoriale e che, alla luce dei tempi, la procedura di nomina del perito resterà sospesa, comporta per le parti (segnatamente per l’accusatore privato RE 1), unicamente un prolungamento dei tempi di inchiesta.
In virtù della giurisprudenza del Tribunale federale ciò non costituisce tuttavia un danno di natura giuridica, ma è un semplice pregiudizio di fatto (decisioni TF 1B_438/2013 del 12.12.2013 consid. 2.;
D
TF 136 IV 92 consid. 4
).
Lo scritto 14.10.2013 del magistrato inquirente, qui impugnato, non sembra dunque toccare la posizione giuridica e gli interessi giuridici protetti del reclamante, ma semmai soltanto quella di fatto.
Per questo motivo lo scritto 14.10.2013 (AI 26) del procuratore pubblico non assurge a decisione e/o ad atto procedurale impugnabile.
3.3.
Mediante lo scritto impugnato, il magistrato inquirente non ha disposto la sospensione del procedimento penale: l’aver indicato che “
la procedura di nomina del perito resterà sospesa
”, non può assurgere ad una sospensione ai sensi dell’art. 314 CPP.
Concludendo, lo scritto 14.10.2013 del procuratore pubblico contiene mere informazioni/ragguagli sui tempi di prosecuzione dell’istruzione. Il medesimo non può dunque neppure essere qualificato come una decisione (e tantomeno come atto procedurale) ai sensi del CPP [cfr., al proposito, A. J. KELLER, Kommentar zur Schweizerischen Strafprozessordnung (StPO), art. 393 CPP n. 10], e non è impugnabile.
Ne discende che il presente gravame deve essere dichiarato irricevibile: non si deve quindi entrare ulteriormente nel merito delle censure sollevate dal qui reclamante.
4.
4.1.
Abbondanzialmente non va poi dimenticato che, il magistrato inquirente, responsabile dell’esercizio uniforme della pretesa punitiva dello Stato (art. 16 cpv. 1 CPP), ha il compito di dirigere la procedura preliminare, di perseguire i reati nell’ambito dell’istruzione e, se del caso, di promuovere e di sostenere l’accusa (art. 16 cpv. 2 CPP).
L’art. 4 CPP sull’indipendenza prevede che nell’applicazione del diritto le autorità penali sono indipendenti e sottostanno soltanto al diritto (cpv. 1). E’ fatto salvo il potere di impartire istruzioni alle autorità di perseguimento penale, secondo l’articolo 14 (cpv. 2)
.
Tale indipendenza ed imparzialità di giudizio comportano l’esercizio delle funzioni processuali senza essere sottoposti e senza dovere tenere conto di influenze e di istruzioni di altri organi statali e di altre persone fisiche o giuridiche, comprese le parti nel processo (Commentario CPP – P. BERNASCONI, art. 4 CPP n. 15).
L’indipendenza di cui al cpv. 1 dell’art. 4 CPP riguarda tutte le autorità penali previste dal CPP, e pertanto anche le autorità di perseguimento penale elencate nell’art. 12 CPP, in particolare il pubblico ministero (M
essaggio 21.12.2005 concernente l’unificazione del diritto processuale penale, p. 1035).
4.2.
In casu, il reclamante sostiene che lo scritto incriminato sarebbe scaturito unicamente da suggestioni della difesa e che il procuratore pubblico non avrebbe, di contro, tenuto conto delle sue allegazioni circa la documentazione medica già presente agli atti.
Alla luce di quanto sopra esposto in riferimento all’indipendenza dei magistrati, le censure sollevate da RE 1 non possono trovare riscontro.
Il reclamante non può pretendere di essere il titolare dell’azione penale, né può pretendere che l’imputato in un procedimento penale si “
accontenti
” di documentazione medica prodotta dallo stesso accusatore privato.
Come detto, la pretesa punitiva, il cosiddetto “
Strafanspruch
”, compete in ogni caso (anche nell’ipotesi di reati perseguibili unicamente a querela di parte) infatti allo Stato, tramite le sue autorità, nelle forme previste dalla legge (art. 2 CPP) [Commentario CPP – P. BERNASCONI, art. 7 CPP n. 7]. In altre parole, l’amministrazione della giustizia spetta allo Stato in maniera esclusiva (Commentario CPP – P. BERNASCONI, art. 2 CPP n. 1), monopolio giudiziario al quale corrisponde l’obbligo dello Stato di garantire l’applicazione del diritto penale (Commentario CPP – P. BERNASCONI, art. 2 CPP n. 2).
4.3.
Infine, da un punto di vista di economia di procedura, lo scritto del procuratore pubblico appare non solo sostenibile ma appropriato e logico, essendo necessario acquisire tutti gli atti indispensabili per il successivo esame peritale.
4.4.
Per concludere si rileva che anche la questione sollevata da RE 1 circa le ulteriori domande peritali sottoposte da PI 1 all’attenzione del magistrato inquirente mediante lo scritto 9/10.10.2013 (AI 25), sarà impugnabile al momento opportuno in riferimento all’art. 184 cpv. 3 CPP.
5.
Il reclamo è irricevibile. Tassa di giustizia, spese e ripetibili, sono poste a carico del reclamante, soccombente. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,014 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
a37430d9-d9d4-5619-ad98-d36d4aeb1606 | in fatto ed in diritto
che in data 29.12.2011 RE 1 è stato arrestato nell’ambito del procedimento penale aperto, fra gli altri, a suo carico per titolo di reato di tentato omicidio intenzionale, lesioni semplici, omissione di soccorso, vie di fatto e aggressione (cfr. rapporto di arresto provvisorio 29.12.2011, AI 13);
che la sera del 28.12.2012 RE 1, in correità con PI 1, avrebbero, a _, picchiato con calci e pugni e anche con una bottiglia di birra PI 2, arrecandogli lesioni di una certa gravità;
che il 30.12.2011 il procuratore pubblico Chiara Borelli ha chiesto al giudice dei provvedimenti coercitivi la carcerazione preventiva dell’imputato in considerazione di un pericolo di collusione (AI 19);
che con decisione 31.12.2011 il giudice dei provvedimenti coercitivi ha accolto l’istanza sopraindicata considerata l’esistenza a carico dell’imputato di gravi e concreti indizi di colpevolezza, nonché la presenza di preminenti motivi di interesse pubblico e meglio di un pericolo di collusione (AI 24);
che con scritto 4.1.2012 il procuratore pubblico ha informato le parti in merito alla sua intenzione di sottoporre a perizia psichiatrica l’imputato, comunicando loro di voler nominare in qualità di perito la dr. med. _ e presentando loro i quesiti peritali ai quali
“(...) il perito dovrà rispondere”
(AI 34);
che il magistrato inquirente ha inoltre dato alle parti la facoltà di esprimersi
“(...) entro 3 giorni (...)”
(AI 34) (termine poi prorogato fino al 13.1.2012);
che con reclamo inoltrato a questa Corte in data 16/17.1.2012, RE 1 ha impugnato detto scritto opponendosi all’allestimento di una perizia psichiatrica nei suoi confronti in quanto, a suo dire, non sussisterebbero “
(...) elementi che lascino presagire la necessità di operare una perizia psichiatrica. Infatti il medesimo: (...) non è attualmente né è stato in passato oggetto di trattamenti psichiatrici di alcun genere; (...) consuma stupefacenti in modo sporadico (...) e in ogni caso non ne aveva consumato prima dei fatti (...); (...) non consuma alcolici in maniera anormale o smodata e comunque la sera dei fatti stava bevendo la sua prima birra della serata (...); (...) non ha precedenti penali di alcun genere, tantomeno in ambito di reati violenti contro l’integrità fisica delle persone; (...) la dinamica dei fatti, per quanto finora è stata accertata, non lascia presagire alla sussistenza di particolari turbe psichiche (...)”
(reclamo 16/17.1.2012, p. 5 s.);
che l’imputato ha dunque postulato l’annullamento del
“(...) decreto di nomina di perito 4 gennaio 2012 (...)”
(reclamo 16/17.1.2012, p. 7);
che in data 16.1.2012 il procuratore pubblico ha nominato la dr. med. _ in qualità di perito, alfine di allestire una perizia psichiatrica sulla persona di RE 1 (AI 65);
che in data 2/3.2.2012 RE 1 ha presentato domanda di scarcerazione (AI 181);
che con decisione 13.2.2012 il giudice dei provvedimenti coercitivi ha accolto la domanda di scarcerazione sopraindicata, ordinando la scarcerazione immediata dell’imputato (AI 216, AI 218);
che giusta l’art. 393 cpv. 1 lit. a CPP il reclamo può essere interposto contro le decisioni e gli atti procedurali della polizia, del pubblico ministero e delle autorità penali delle contravvenzioni, eccettuati i casi in cui è espressamente escluso dal Codice o quando è prevista un’altra impugnativa;
che con il gravame, da introdurre davanti alla giurisdizione di reclamo (art. 20 cpv. 1 lit. b CPP), ovvero – in Ticino – alla Corte dei reclami penali (art. 62 cpv. 2 LOG), si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l’eccesso e l’abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l’accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e l’inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP);
che il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta ed all’art. 385 CPP per la motivazione;
che esso deve indicare – in particolare – i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP);
che il reclamo è – in maniera generale – ammissibile anzitutto, come indicato, contro gli atti procedurali (“
Verfahrenshandlungen
”) che si manifestano all’esterno e che toccano direttamente gli interessi giuridicamente protetti delle parti [“
(...) die Verfahrensbeteiligten (...) müssen unmittelbar beschwert sein
”] (BSK StPO – J. STEPHENSON / G. THIRIET, art. 393 CPP n. 6);
che il reclamo giusta l’art. 393 CPP deve essere diretto contro un atto (oppure un’omissione) specifico: non è un mezzo per mettere in evidenza un disagio generico avverso il lavoro delle autorità di perseguimento penale (BSK StPO – J. STEPHENSON / G. THIRIET, art. 393 CPP n. 10);
che l’art. 184 cpv. 3 CPP garantisce alle parti il diritto di essere consultate sulla scelta del perito e di proporre al magistrato inquirente le loro riflessioni in merito; questa disposizione è la diretta conseguenza del diritto delle parti di essere sentite e del corollario del diritto alla ricusazione del perito (DTF 118 Ia 146);
che questo diritto delle parti di essere consultate, prima della nomina del perito, riguarda pure i quesiti peritali;
che idealmente la consultazione delle parti deve consentire di raggiungere una convergenza sulla scelta del perito e sulla formulazione dei quesiti, restando tuttavia la decisione di competenza della direzione del procedimento (Commentario CPP, M. GALLIANI / L. MARCELLINI, art 184 CPP n. 8);
che con scritto 4.1.2012 il procuratore pubblico ha dunque consultato le parti, giusta l’art. 184 cpv. 3 CPP, dando loro un termine per esprimersi in merito alla persona proposta quale perito e in merito ai quesiti peritali esposti;
che pertanto un reclamo a questa Corte contro tale semplice comunicazione appare prematuro;
che RE 1 ha peraltro, in data 17/18.1.2012, interposto reclamo (tuttora pendente) contro il decreto di nomina e mandato del perito emanato dal procuratore pubblico il
16.1.2012
(art. 184 cpv. 1 CPP; inc. CRP _);
che questo reclamo è dunque irricevibile;
che
tassa di giustizia e spese sono poste a carico del reclamante, soccombente. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,012 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
a3bdc4c4-cc9d-571f-be26-6ac35b7413a0 | in fatto ed in diritto
1.
In data 31.07./2.08.2007 l’IS 1, quale organo di autodisciplina in ambito LRD, aveva postulato all’allora Camera dei ricorsi penali
"
(...) di conoscere gli eventuali atti di un procedimento a carico di PI 4, una responsabile della _, soggetta alla loro vigilanza
"
(sentenza 3.10.2007, p. 1, inc. CRP _).
Con decisione 3.10.2007 la richiesta è stata respinta dalla predetta autorità, poiché prematura (inc. CRP _).
2.
Con la presente richiesta l’IS 1, sempre in qualità di Organismo di autodisciplina in materia di lotta contro il riciclaggio di denaro e finanziamento al terrorismo nel settore finanziario ai sensi dell’art. 24 LRD, postula la trasmissione, in copia, della sentenza 27.04.2011 emanata dalla CARP a carico di PI 4 o perlomeno di prenderne visione.
A sostegno della sua richiesta richiama anzitutto i combinati art. 23 e 32 degli Statuti rispettivamente gli art. 1 e 5 del Regolamento del Comitato direttivo IS 1 (RCD), precisando che la _, _ (già _) annovera al suo interno, quale responsabile per l’espletamento dei compiti LRD, PI 4. Afferma poi che in data 14.09.2011 quest’ultima, per il tramite del suo legale, ha informato l’IS 1 del suo proscioglimento con decisione 27.04.2011 della CARP, cui sarebbe seguito uno scambio epistolare allo scopo di ottenere copia della predetta decisione. PI 4, sempre per il tramite del suo patrocinatore, ha trasmesso all’IS 1 copia della decisione 8.10.2012 della CARP, mediante la quale le è stata riconosciuta un’indennità giusta gli art. 429 ss. CPP. In data 8.04.2013 l’IS 1 ha nuovamente chiesto a PI 4 di ottenere la trasmissione della decisione in questione, richiesta che è stata nuovamente negata da quest’ultima (cfr., nel dettaglio, doc. 1.a e documentazione ivi annessa).
3.
Come esposto in entrata, il procuratore pubblico informa di non avere particolari osservazioni da formulare e che da parte sua, nulla osta all’accesso agli atti da parte dell’IS 1, rimettendosi in ogni caso al giudizio di questa Corte (doc. 3).
Il presidente della CARP comunica di non avere motivi per opporsi alla richiesta e di rimettersi, comunque, al prudente giudizio di questa Corte (doc. 4).
PI 4, dal canto suo, postula la reiezione dell’istanza. Sostiene in particolare che la possibilità da parte dell’autorità istante di accedere agli atti di eventuali procedimenti penali inerenti all’affiliato sarebbe data unicamente nell’ambito di un’inchiesta formale del Comitato direttivo sul conto dell’affiliato ai sensi dell’art. 11 RCD aperta a seguito di indizi di violazione della LRD (art. 12 cpv. 2 RCD) e che ciò non sarebbe il caso nella presente fattispecie, apportando le sue motivazioni al riguardo. Afferma inoltre che essa è stata integralmente prosciolta da ogni accusa: di conseguenza l’autorità istante non può far valere alcun interesse giuridico legittimo ad ottenere copia/visione della sentenza in questione (doc. 5).
La Pretura penale non intravvede, per contro, alcun impedimento nella trasmissione della sentenza richiesta: il procedimento penale nel frattempo concluso riguarda l’attività lavorativa di una professionista fiduciaria; l’autorità istante è un organo con mansione di sorveglianza di diritto pubblico; l’interesse pubblico prevale sugli interessi dell’imputata, la quale è affiliata all’IS 1 ed ha dunque espressamente concesso all’organo di controllo il diritto di accedere agli atti che la concernono (art. 11 Regolamento OAD); il fatto che l’imputata sia stata prosciolta non è necessariamente rilevante in relazione alla fattispecie in esame e il suo proscioglimento si fonda su motivazioni di tipo formale (art. 141 CPP) e non di merito (doc. 6).
Infine, con
scritto 21/24.06.2013 l’IS 1 comunica di non avere particolari osservazioni di replica da formulare, riconfermando quanto esposto nella sua istanza.
4.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
5.
5.1.
Va preliminarmente osservato che la _, _ (già _), nella quale opera PI 4, è un intermediario finanziario che si è affiliata alla IS 1 in relazione alla propria attività: PI 4 è responsabile per l’espletamento dei compiti LRD.
5.2.
L’IS 1, costituita quale associazione il 30.03.1999, è un organismo di autodisciplina ai sensi della LRD: ha quale scopo l’offerta di servizi di assistenza e consulenza ai fiduciari del Cantone Ticino nell’ambito del rispetto della Legge federale in materia di riciclaggio di denaro.
L’associazione ha ottenuto il riconoscimento ufficiale dall’autorità federale di controllo del Dipartimento Federale delle Finanze il 25.05.1999. Dal 2009 l'IS 1 é inoltre riconosciuto dalla FINMA quale associazione professionale abilitata al rilascio di norme di comportamento nell'ambito della gestione patrimoniale.
5.3.
Gli organismi di autodisciplina operano la vigilanza riguardante l’osservanza degli obblighi di diligenza secondo il capitolo 2 della Legge federale relativa alla lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo nel settore finanziario (Legge sul riciclaggio di denaro, LRD) del 10.10.1997 da parte degli intermediari finanziari di cui all’art. 2 cpv. 3 LRD loro affiliati (art. 12 lit. c cifra 1 in relazione all’art. 24 LRD).
L’IS 1 dispone di un regolamento (in seguito ROAD), in virtù dell’art. 25 LRD e dell’art. 23 cpv. 1 lit. a degli Statuti IS 1.
In particolare il ROAD sancisce all’art. 5 cpv. 1 che l’intermediario finanziario viene ammesso all’IS 1 se adempie i requisiti previsti dall’art. 4 degli Statuti IS 1 [secondo cui possono essere, tra l’altro, membri dell’IS 1 i fiduciari commercialisti che sono iscritti all’albo dei fiduciari del Cantone Ticino, così come le persone giuridiche nel cui organo amministrativo o nella cui direzione, quali risultano a RC, sia presente almeno una persona iscritta all’albo dei fiduciari del Cantone Ticino (cpv. 1)] e dispone inoltre di un’organizzazione aziendale in grado di garantire il rispetto degli obblighi previsti all’art. 8 ROAD [riguardante i doveri dei membri tra cui figurano il rispetto della LRD, delle norme del diritto penale (in particolare gli art. 305bis e 305ter CP), degli Statuti e dei regolamenti dell’IS 1, delle direttive, circolari e altre disposizioni emanate dall’IS 1, cpv. 1 lit. a-e] e all’art. 10 ROAD (concernente l’ammissione e l’esclusione dell’affiliazione da parte dell’intermediario finanziario).
Inoltre giusta l’art. 5 cpv. 2 ROAD l’intermediario finanziario e i suoi collaboratori che esercitano un’attività ai sensi della LRD devono godere di buona reputazione e offrire la garanzia di un’attività irreprensibile. Quest’ultimo requisito non è, di regola, adempiuto nel caso di condanne penali per reati in relazione con l’attività esercitata dall’affiliato.
Il possesso dei requisiti di cui all’art. 4 degli Statuti IS 1 è condizione necessaria per l’affiliazione. L’intermediario finanziario deve inoltre adempiere alle seguenti condizioni, ovverossia a) garantire, se necessario per mezzo di direttive interne e grazie alla sua organizzazione, il rispetto degli obblighi fissati dalla legge contro il riciclaggio (LRD) e dal ROAD, così come il rispetto degli statuti, dei regolamenti interni e le direttive IS 1; b) l’intermediario finanziario, così come i suoi collaboratori, devono godere di una buona reputazione nel campo della sua attività e deve portarsi garante del rispetto delle norme della LRD e del ROAD (art. 10 cpv. 1 ROAD).
Mediante la sottoscrizione e la presentazione della richiesta di affiliazione, il candidato Membro conferisce al Comitato direttivo ed al Tribunale arbitrale dell’IS 1 il diritto di accedere agli atti che lo riguardano (art. 11 ROAD).
Il Comitato direttivo, quale organo dell’IS 1, può ammettere, escludere, riammettere e sospendere i membri dell’IS 1 [art. 23 cpv. 1 lit. a degli Statuti dell’IS 1; cfr. anche Regolamento del Comitato direttivo IS 1 (RCD)].
In particolare può decidere l’eventuale esclusione di un membro nei casi previsti dall’art. 11 cpv. 1 lit. a-e degli Statuti IS 1, segnatamente in caso di: a) gravi e ripetute infrazioni alle disposizioni degli Statuti, dei Regolamenti, delle Direttive e delle altre disposizioni emanati dall’IS 1, da parte del membro in questione; b) condotta professionale che comprometta gravemente la reputazione del membro in questione e sia lesiva della dignità della professione (ad esempio: violazione del segreto professionale, concorrenza sleale verso altri membri o colleghi, danneggiamento intenzionale della reputazione e dell’attività professionale di altri membri o colleghi, diffusione di informazioni false o che possono indurre in errore il pubblico); c) gravi e/o ripetute infrazioni alle disposizioni di legge relative al riciclaggio di denaro ed in particolare della LRD; d) gravi e/o ripetute infrazioni alle norme di comportamento e/o deontologiche; e) perdita delle caratteristiche di cui all’art. 4 degli Statuti IS 1 (qualifiche dei membri).
5.4.
Ora, l’autorità istante è in possesso della sentenza 8.10.2012 emanata dalla CARP, essendole stata trasmessa dal patrocinatore di PI 4 (ndr. priva del no. di incarto).
Dalla stessa emerge che il 18.05.2009 il procuratore pubblico ha riconosciuto PI 4 autrice colpevole di falsità in documenti e di carente diligenza in operazioni finanziare e ha proposto la sua condanna alla pena pecuniaria di novanta aliquote giornaliere da CHF 150.-- cadauna (corrispondenti a complessivi CHF 13'500.--), sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, alla multa di CHF 1'000.-- e al pagamento della tassa e delle spese giudiziarie.
Statuendo sull’opposizione presentata dall’accusata, con decisione 21.05.2010 il giudice della Pretura penale l’ha prosciolta dall’imputazione di carente diligenza in operazioni finanziarie, dichiarandola nondimeno colpevole di falsità in documenti per i fatti descritti nel DA e l’ha condannata alla pena pecuniaria di cinquanta aliquote di CHF 150.-- cadauna, per complessivi CHF 7'500.--, alla multa di CHF 1'000.-- e al pagamento della tassa di giustizia e delle spese.
Con sentenza 27.04.2011 la CARP ha accolto il ricorso di cassazione presentato da PI 4 e l’ha prosciolta dall’imputazione di falsità in documenti, ponendo gli oneri processuali e le ripetibili a carico dello Stato.
Con decisione 8.10.2012 la CARP ha parzialmente accolto l’istanza di indennità ai sensi degli art. 429 ss. CPP mediante la rifusione dell’importo di CHF 12'988.75 oltre interessi al 5% dal 5.04.2012 (doc. 3b annesso all’istanza
3/6.06.2013).
Non sono tuttavia esposti i fatti che stanno alla base della fattispecie sfociata nel proscioglimento di PI 4 con sentenza 27.04.2011 della CARP (inc. _), che potrebbero interessare l’autorità qui istante.
5.5.
Nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta, le competenze dell’IS 1 rispettivamente del Comitato direttivo di cui si è detto poc’anzi e considerato inoltre il contenuto della sentenza 27.04.2011 della CARP – a giudizio di questa Corte appare, di principio, adempiuto un interesse giuridico legittimo da parte dell’IS 1 rispettivamente del Comitato direttivo (quale suo organo) ex art. 62 cpv. 4 LOG prevalente sui diritti personali di PI 4 ad ottenere copia della decisione richiesta, potendo il suo contenuto essere utile ai fini della valutazione del comportamento di quest’ultima, non in un’ottica penale ma nell’ottica del rispetto degli obblighi di diligenza previsti dalla LRD. L’IS 1, per il tramite del suo Comitato direttivo, può e deve valutare se con il suo agire PI 4 abbia in particolare rispettato le norme di diligenza in materia di riciclaggio di denaro ai sensi della LRD e le norme deontologiche e di comportamento per l’esercizio della professione definite in specifiche direttive (cfr. art. 2 degli Statuti dell’IS 1), e ciò indipendentemente dal suo proscioglimento. Non va del resto dimenticato che vige l’obbligo da parte dei membri dell’IS 1 di rispettare la LRD e le relative ordinanze, il CP, gli Statuti dell’IS 1, i regolamenti, le Direttive e altre disposizioni emanati dall’IS 1 (art. 8 degli Statuti dell’IS 1).
Il fatto che PI 4 sia stata prosciolta da ogni accusa penale nella sentenza di cui ne viene postulata la trasmissione da parte dell’IS 1 non è perciò determinante. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,013 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
a41a21ae-88aa-53ed-9850-9a5164ee8eee | in fatto ed in diritto
1.
Con la presente istanza – trasmessa dal Tribunale penale cantonale, per competenza ex art. 62 cpv. 4 LOG, a questa Corte – IS 1, professore associato di diritto penale e di procedura penale presso l’Università di _, postula la trasmissione, in copia, di sette sentenze emanate dalla Corte delle
assise correzionali negli anni 2006-2009 (informazioni fornite dall’Ufficio federale di statistica). A sostegno della sua richiesta precisa che sta scrivendo una monografia sulla tratta di essere umani giusta l’art. 182 CP (doc. CRP 1.a).
2.
Come esposto in entrata, il Tribunale penale cantonale evidenzia che le sentenze richieste sono tutte anonimizzate e pubblicate sull’apposito sito del Cantone Ticino, eccetto per quanto concerne le decisioni del 5.09.2007 e del 16.11.2009, circostanza di cui è stato informato l’istante.
3.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.
Nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti dal Prof. IS 1 nella presente richiesta e la finalità perseguita – si deve senz’altro ammettere l’esistenza di un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG prevalente sui diritti personali delle persone coinvolte nelle due sentenze richieste, essendo alla presenza di un interesse sia scientifico sia pubblico: la tratta di essere umani.
Per quanto concerne le due sentenze richieste che, come visto, non sono state pubblicate sull’apposito sito internet del Cantone Ticino, va rilevato che quella emanata il 16.11.2009 dalla Corte delle assise correzionali di _ (inc. _) è passata in giudicato il 24.11.2009.
La sentenza emanata il 5.09.2007 dalla Corte delle assise correzionali di _ (inc. TPC _) è stata, per contro, impugnata presso la (allora) Corte di cassazione e revisione penale ed è dapprima sfociata nel giudizio 22.10.2007 (inc. CCRP _) e poi presso il Tribunale federale (cfr., al proposito, decisione TF _ del 2.05.2008, pubblicata sul sito internet del Tribunale federale).
Nella ponderazione degli interessi delle parti in gioco, in particolare a tutela degli interessi privati e della sfera personale delle parti coinvolte nei summenzionati procedimenti penali, le decisioni verranno trasmesse in forma anonimizzata.
Di conseguenza la sentenza 5.09.2007 emanata dalla Corte delle assise correzionali di _ (inc. TPC _), la sentenza 22.10.2007 emanata dalla Corte di cassazione e revisione penale (inc. CCRP _) e la sentenza 16.11.2009 emanata dalla Corte delle assise correzionali di _ (inc. TPC _) vengono trasmesse, in copia e in forma anonimizzata, all’istante unitamente alla presente decisione.
5.
L’istanza è accolta ai sensi del precedente considerando. Ritenuta la finalità della richiesta, si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,014 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
a545d364-d577-5ed1-a0e4-6e6e0cbdf5ab | in fatto ed in diritto
1.
A seguito della domanda di assistenza internazionale in materia penale del 20/22.10.2009 presentata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di _ nel procedimento contro _ (il quale dall’estratto del registro di commercio risulta essere presidente senza diritto di firma della PI 2, con sede a _), e altre persone, per i titoli di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro e all’emissione di documenti e fatture false (art. 416 e 684bis Codice penale italiano) avente quale oggetto la perquisizione degli uffici della PI 2 (ora in liquidazione) allo scopo di procedere al sequestro di documenti, file e computer, il procuratore pubblico Arturo Garzoni, in accoglimento della predetta domanda [decisione di entrata in materia e esecuzione (art. 80a LAIMP)], in data 2.11.2009 e in data 11.11.2009 ha evaso la richiesta mediante un’esecuzione semplificata in applicazione dell’art. 80c LAIMP (scritto PP 16/17.05.2011, doc. 1; AI 18 e AI 23 – inc. _).
Con scritto 29.11.2010 il procuratore pubblico ha segnalato alla IS 1 che, a seguito della perquisizione degli uffici della PI 2, sono stati recuperati dati informatici (copiati su CD) da cui sembrano emergere indizi di possibile infrazione fiscale di una determinata entità (come ad esempio dalle tabelle di commissioni) (AI 28 – inc. _).
2.
Con la presente istanza – trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza, a questa Corte ex art. 62 cpv. 4 LOG – la IS 1, richiamando gli art. 185 LT e 112 LFID, chiede di ottenere l’autorizzazione a compulsare l’incarto rogatoriale inerente a _ e alla PI 2, in considerazione della segnalazione 29.11.2010 del procuratore pubblico, allo scopo di stabilire se siano state regolarmente dichiarate le commissioni all’autorità fiscale (doc. 1.a).
3.
Come esposto in entrata, il procuratore pubblico ha comunicato a questa Corte che nulla osta da parte del Ministero pubblico affinché l’istante possa visionare gli atti dell’incarto _, considerato inoltre che egli, il 29.11.2010, aveva segnalato all’autorità istante la presenza di indizi di una possibile infrazione fiscale (doc. 1).
_ e la PI 2, dal canto loro, si oppongono alla presente istanza così come formulata; in via subordinata, chiedono che sia esclusa dall’ispezione richiesta la documentazione inerente alle strutture societarie e/o ai mandati descritti nella lista di cui all’allegato 3; in via ancora più subordinata, chiedono che l’autorità istante sia invitata a circoscrivere meglio l’oggetto della richiesta e il genere di materiale da consultare, indicando parimenti in che modo possa essere idoneo a fornire elementi utili ai fini delle sue incombenze; in ogni caso, chiedono che sia conferita loro la facoltà di esprimersi nuovamente in relazione alla presente istanza, non appena saranno stati autorizzati a visionare gli atti dell’incarto _.
Il 22.07.2011, su autorizzazione di questa Corte (inc. CRP _), l’avv. PR 1 ha visionato il predetto incarto. A seguito di ciò non ha inoltrato altre osservazioni.
Nel suo allegato di replica la IS 1 ribadisce la sua richiesta di poter esaminare tutti gli atti del procedimento rogatoriale di cui all’incarto _, evidenziando, tra l’altro, il
modus operandi
della PI 2 (doc. 5).
Con duplica 14/16.06.2011 _
e la PI 2 evidenziano che, di principio, non si oppongono alla richiesta presentata dall’autorità istante, precisando nondimeno che non vi sarebbe alcuna proporzione tra l’oggetto dell’indagine potenziale a carico della società e l’ampiezza delle informazioni cui si vorrebbe accedere e che parte della documentazione è inerente a terzi, clienti della PI 2, che dovrebbero essere interpellati.
Delle loro ulteriori motivazioni si dirà, nella misura del necessario, in corso di motivazione.
Il procuratore pubblico non ha presentato osservazioni di duplica.
4.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
5.
L’allora Camera dei ricorsi penali (dall’1.01.2011 Corte dei reclami penali), in base al previgente art. 27 CPP TI e alla giurisprudenza del Tribunale federale, aveva stabilito quanto segue:
"
Non essendo di regola l’autorità fiscale parte ad un procedimento penale (tranne che nei casi di frode fiscale), ma sostanzialmente terzo, la decisione relativa ad una sua richiesta di informazioni riguardo ad un incarto penale compete a questa Camera in virtù dell’art. 27 cpv. 1 CPP (decisione CRP 4.7.2006, inc. 60.2006.99; decisione TF 2C_443/2007 del 28.7.2008).
Questa Camera non solo decide l’ammissibilità o meno della richiesta, ma è competente pure per fissare le modalità di ispezione degli atti (art. 27 cpv. 2 CPP), applicando a titolo analogetico il criterio dell’utilità potenziale (in base al quale la cooperazione va rifiutata unicamente se gli atti richiesti non appaiono in alcun modo in rapporto con l’infrazione perseguita e sono manifestamente inadeguati a far procedere l’inchiesta), sviluppato nell’ambito di applicazione della AIMP. In questo senso si è espresso il TF (decisione 2C_443/2007 del 28.7.2008, cons. 6):
"
D'altronde l'autorità rogata e le relative istanze di ricorso devono certo
esaminare la necessità, per l'applicazione della legge, dell'informazione e dei documenti sollecitati. La valutazione dell'effettiva rilevanza di
tali dati per l'imposizione fiscale delle persone coinvolte è però eviden
temente di competenza dell'autorità di tassazione, esperiti tutti i ne
cessari accertamenti in quest'ottica (cfr., per analogia, DTF 129 II 484
consid. 4.1; 128 II 407 consid. 5.2.1; 127 II 142 consid. 5a).
Come già in passato, l'autorità fiscale può utilizzare le informazioni ap
prese nella consultazione di un incarto penale anche contro terze per
sone non coinvolte nel procedimento e sulla cui situazione fiscale ini
zialmente non vi era alcuna necessità di approfondimento. Essa può
inoltre aver accesso anche a documentazione coperta dal segreto
bancario, nella misura in cui la stessa è stata ottenuta o sequestrata in
modo legittimo nell'ambito del procedimento penale (DTF 124 II 58
consid. 3; sentenza
2A.28/1997
del 20 novembre 1998, in: StE 1999 B
92.13 n. 5, consid. 2a).
La giurisprudenza pone comunque dei Iimiti
al diritto di esame da par
te dell'autorità fiscale. In particolare, è escluso che quest'ultima possa
domandare di aver accesso agli atti di un procedimento allo scopo di
condurre un'azione di ricerca generale, senza aver motivo di supporre
che la legge non sia stata applicata correttamente. L'obbligo di colla
borazione non permette infatti al fisco di consultare indistintamente e
senza obiettivo concreto tutti i documenti di un'altra autorità (DTF 124
II 58 consid. 3d e 3e; sentenza
2A.406/1995
del 14 marzo 1996, in:
ASA 65 pag. 649, consid. 5b)
".
Gli stessi principi valgono oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG.
6.
Dalla lettura dell’incarto penale, in particolare dal CD agli atti [come peraltro aveva già segnalato il magistrato inquirente nel suo scritto 29.11.2010 indirizzato alla IS 1 qui istante (cfr. considerando 1 della presente decisione)], emergono, in effetti, elementi che potrebbero assumere aspetti di rilevanza fiscale e quindi informazioni necessarie per l’applicazione della relativa legislazione ai sensi dell’art. 112 cpv. 1 LFID rispettivamente ai sensi dell’art. 185 cpv. 1 LT.
Ne discende dunque un interesse giuridico legittimo da parte della IS 1 ad esaminare gli atti dell’incarto penale _ giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG, che prevale sugli interessi personali di _ e della PI 2.
Dopo aver esaminato gli atti formanti l’incarto _, tutti gli atti vanno ritenuti
potenzialmente utili
ai fini del procedimento/della corretta tassazione fiscale.
Non si può ritenere, contrariamente a quanto sostengono _ e la PI 2, che la richiesta dell’autorità istante – la quale, per ovvi motivi, non può conoscere il contenuto del citato incarto di cui chiede la compulsazione e non può nemmeno sapere quali atti esulino dalla sua competenza – debba essere respinta
"
(...) da un lato perché non sufficientemente precisa circa i soggetti per i quali si desiderano acquisire informazioni e, d’altro lato, perché lacunosa, vaga ed insufficientemente motivata
"
(osservazioni 30.05./1.06.2011, p. 3, doc. 3) e nemmeno che la stessa sia volta a una ricerca indiscriminata di prove, essendo il suo obiettivo quello di appurare le
"
(...) reali commissioni che la stessa società
(ndr: la IS 1, di cui, come visto al considerando 1, _ è presidente senza diritto di firma)
incassa anche all’estero (tramite strutture estere, ma di pertinenza fiscale svizzera (...)) per la messa a disposizione di strutture societarie
"
(replica 7/8.06.2011 della IS 1, p. 3, doc. 5).
Va infine rilevato che la parte opponente, dopo aver visionato l’incarto penale in questione (il 22.07.2011, doc. 9), non ha presentato ulteriori osservazioni, omettendo quindi di evidenziare quali atti dell’incarto _ sarebbero, se del caso, suscettibili di non essere visionati dall’autorità istante.
Di conseguenza – dopo la crescita in giudicato della presente decisione – un funzionario della IS 1, quindi tenuto al segreto fiscale, è autorizzato da questa Corte ad esaminare l’intero incarto penale _ presso il Ministero pubblico, concordando i tempi di accesso con il procuratore pubblico Arturo Garzoni. Il funzionario è, se del caso, autorizzato a fotocopiare i documenti utili ai fini delle sue incombenze.
7.
L’istanza è accolta ai sensi del surriferito considerando. Considerati gli art. 112 LIFD, 39 cpv. 3 LAID e 185 LT, si prescinde dal prelievo di tassa di giustizia e spese. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,011 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
a5743285-e899-58e6-866f-8047f2deded1 | in fatto ed in diritto
che con la presente istanza – trasmessa dal Ministero pubblico, per competenza, a questa Corte in applicazione dell’art. 62 cpv. 4 LOG, unitamente all’incarto penale MP _ inerente a PI 1 e altre persone – il IS 1 (in seguito IS 1), con riferimento all’inchiesta fiscale speciale (ex art. 190 ss. LIFD) condotta dai collaboratori dell’Amministrazione federale delle contribuzioni a carico di _ e di PI 1 chiede di poter consultare gli atti degli incarti penali inerenti, tra gli altri, a quest’ultimo, così come gli atti riguardanti le seguenti società con sede a _, segnatamente _, _, _, _, _, _, _, _, _, _, _ e la _, _;
che a suffragio della sua richiesta l’IS 1 precisa che a carico di _ e di PI 1 sussisterebbero sospetti di gravi infrazioni fiscali perpetrate nell’ambito della gestione delle predette società, avendo in particolare occultato
"
(...) all’autorità fiscale l’entità delle prestazioni valutabili in denaro corrisposte, violando così la legge federale del 14 dicembre 1990 sull’imposta federale diretta (...) e causando un mancato incasso all’erario di importi molto elevati
"; gli stessi si sarebbero inoltre "
(...) serviti di numerosi rendiconti falsi commettendo così il reato di frode fiscale (art. 186 LIFD)
" e che
"
(...). Principalmente i presunti reati fiscali riguarderebbero la mancata registrazione contabile di cifre d’affari e quindi di utili
"
(istanza 12.03./23.04.2012, p. 2, doc. 1.a);
che, come esposto in entrata, il procuratore generale e PI 1 si sono rimessi al prudente giudizio di questa Corte;
che
l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che
il capo del Dipartimento federale delle finanze può autorizzare l’Amministrazione federale delle contribuzioni a svolgere un’inchiesta in collaborazione con le amministrazioni cantonali delle contribuzioni, se esistono sospetti giustificati di gravi infrazioni fiscali, d’assistenza o d’istigazione a tali atti (art. 190 cpv. 1 LIFD);
che sono considerate gravi infrazioni fiscali in particolare la sottrazione continuata di importanti somme d’imposta (art. 175 e 176 LIFD) e i delitti fiscali [art. 186 LIFD (frode fiscale) e art. 187 LIFD (appropriazione indebita d’imposte alla fonte)] (art. 190 cpv. 2 LIFD);
che le autorità della Confederazione, dei Cantoni, dei distretti, dei circoli e dei Comuni comunicano, su richiesta alle autorità incaricate dell’esecuzione della LIFD, ogni informazione necessaria per la sua applicazione (art. 195 LIFD in relazione all’art. 112 cpv. 1 frase 1 LIFD);
che l’art. 112 cpv. 1 LIFD si prefigge di favorire la collaborazione più ampia possibile tra le autorità (decisione TF 2C_806/2011 del 20.03.2012 consid. 3; DTF 134 II 318 consid. 6.1.);
che inoltre l’allora Camera dei ricorsi penali (dall’1.01.2011 Corte dei reclami penali), con riferimento a istanze di ispezione degli atti presentate dalla _, _, e in base al previgente art. 27 CPP TI e alla giurisprudenza del Tribunale federale, aveva stabilito quanto segue:
"
Non essendo di regola l’autorità fiscale parte ad un procedimento penale (tranne che nei casi di frode fiscale), ma sostanzialmente terzo, la decisione relativa ad una sua richiesta di informazioni riguardo ad un incarto penale compete a questa Camera in virtù dell’art. 27 cpv. 1 CPP (decisione CRP 4.7.2006, inc. 60.2006.99; decisione TF 2C_443/2007 del 28.7.2008).
Questa Camera non solo decide l’ammissibilità o meno della richiesta, ma è competente pure per fissare le modalità di ispezione degli atti (art. 27 cpv. 2 CPP), applicando a titolo analogetico il criterio dell’utilità potenziale (in base al quale la cooperazione va rifiutata unicamente se gli atti richiesti non appaiono in alcun modo in rapporto con l’infrazione perseguita e sono manifestamente inadeguati a far procedere l’inchiesta), sviluppato nell’ambito di applicazione della AIMP. In questo senso si è espresso il TF (decisione 2C_443/2007 del 28.7.2008, cons. 6):
"
D'altronde l'autorità rogata e le relative istanze di ricorso devono certo
esaminare la necessità, per l'applicazione della legge, dell'informazione e dei documenti sollecitati. La valutazione dell'effettiva rilevanza di
tali dati per l'imposizione fiscale delle persone coinvolte è però eviden
temente di competenza dell'autorità di tassazione, esperiti tutti i ne
cessari accertamenti in quest'ottica (cfr., per analogia, DTF 129 II 484
consid. 4.1; 128 II 407 consid. 5.2.1; 127 II 142 consid. 5a).
Come già in passato, l'autorità fiscale può utilizzare le informazioni ap
prese nella consultazione di un incarto penale anche contro terze per
sone non coinvolte nel procedimento e sulla cui situazione fiscale ini
zialmente non vi era alcuna necessità di approfondimento. Essa può
inoltre aver accesso anche a documentazione coperta dal segreto
bancario, nella misura in cui la stessa è stata ottenuta o sequestrata in
modo legittimo nell'ambito del procedimento penale (DTF 124 II 58
consid. 3; sentenza
2A.28/1997
del 20 novembre 1998, in: StE 1999 B
92.13 n. 5, consid. 2a).
La giurisprudenza pone comunque dei Iimiti
al diritto di esame da par
te dell'autorità fiscale. In particolare, è escluso che quest'ultima possa
domandare di aver accesso agli atti di un procedimento allo scopo di
condurre un'azione di ricerca generale, senza aver motivo di supporre
che la legge non sia stata applicata correttamente. L'obbligo di colla
borazione non permette infatti al fisco di consultare indistintamente e
senza obiettivo concreto tutti i documenti di un'altra autorità (DTF 124
II 58 consid. 3d e 3e; sentenza
2A.406/1995
del 14 marzo 1996, in:
ASA 65 pag. 649, consid. 5b)
";
che gli stessi principi valgono oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – stante il contenuto dell’incarto penale MP _ nel frattempo archiviato inerente, tra l’altro, alla persona di PI 1 – a giudizio di questa Corte non è adempiuto un interesse giuridico legittimo ex art. 62 cpv. 4 LOG da parte dell’IS 1 prevalente sugli interessi personali di quest’ultimo ad esaminare gli atti del citato incarto, poiché concerne altre persone / altre società che non sono indicate nella presente richiesta ed il suo contenuto esula dalla presente istanza, essendo la fattispecie estranea al contesto ricercato dall’IS 1;
che in siffatte circostanze l’istanza deve essere respinta;
che stante la natura della richiesta, si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,012 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
a5e5347e-869c-5017-b585-32c79ec3b37a | in fatto ed in diritto
1.
A seguito della denuncia 6.07.2009 sporta da PI 3 nei confronti di PI 4 per l’ipotesi di reato di appropriazione indebita, ev. furto, in relazione a presunti fatti avvenuti nel mese di aprile 2009, segnatamente all’asportazione e alla demolizione presso la _ (ditta specializzata nel riciclaggio e nel trattamento di cascami e di rifiuti) di un torpedone di proprietà del denunciante da lui lasciato sul piazzale della ditta _, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale contro il denunciato (inc. MP _). PI 4, dal canto suo, ha a sua volta sporto querela penale contro PI 3 per titolo di calunnia, ev. diffamazione, ritenendo di essere stato accusato ingiustamente da PI 3 mediante il predetto esposto penale (inc. MP _).
Entrambi i procedimenti penali sono sfociati in un unico decreto di non luogo a procedere emanato il 26.01.2010 dal procuratore pubblico Andrea Pagani, il quale ha stabilito che tra le parti vi sarebbe stato un malinteso, rinviandole parimenti al foro civile per eventuali risarcimenti o indennizzi (NLP _).
2.
Presso la IS 1 è pendente una causa civile ordinaria promossa dalla _ contro PI 3 (inc. _), nell’ambito della quale quest’ultimo ha chiesto il richiamo dei surriferiti incarti penali, ammesso dal pretore.
3.
Con la presente istanza il pretore della IS 1 chiede la trasmissione degli incarti MP _ e _ essendo utili per bisogni istruttori, senza tuttavia precisare l’oggetto del contendere tra le parti.
4.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.1.2011, che ha nella sostanza ripreso il testo del previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
5.
Come ricordato dalla prassi di questa Corte, in caso di richiesta da parte di autorità giudiziarie tendente ad ottenere documenti di un incarto penale, la giurisprudenza ammette la richiesta se: (i) si riferisce a procedimenti ancora pendenti presso l'autorità richiedente; (ii) è compatibile con il codice di rito applicabile a quel procedimento; (iii) è formulata dal titolare dell’autorità giudiziaria richiedente. Inoltre deve essere dato un legame di pertinenza dell’incarto richiamato con quello richiamante.
6.
Nella fattispecie in esame – nonostante il pretore non abbia indicato per quale motivo la IS 1 sia stata chiamata a giudicare nella procedura promossa da PI 1 contro PI 3 – può sussistere una connessione tra il procedimento civile di cui all’incarto _ e i due incarti penali richiamati.
Dagli incarti penali emerge in particolare che PI 3, quale denunciante, ha dichiarato di aver parcheggiato un torpedone di sua proprietà, con l’accordo di PI 4, sul piazzale della ditta _ (di cui quest’ultimo non è però amministratore unico). PI 4, dal canto suo, ha in particolare affermato che la _ avrebbe emesso delle fatture a carico di PI 3 inerenti a spese di parcheggio apparentemente non saldate.
È quindi di principio adempiuto un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG.
Di conseguenza gli incarti MP _ e _ sfociati nel decreto di non luogo a procedere 26.01.2010 (NLP _) [due mappette rosa e il NLP _ (due pagine)] vengono trasmessi alla Pretura istante unitamente alla presente decisione, con l’obbligo di restituirli direttamente al Ministero pubblico a procedimento civile concluso.
7.
La tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico della Pretura istante, che a sua volta le addosserà alle parti in base alle norme del CPC. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,011 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
a68c97d4-7f01-509b-bcaa-76795134f9b0 | in fatto: A.
Con decreto d’accusa del 16 luglio 2007 il sostituto procuratore pubblico ha ritenuto RI 1 autore colpevole di:
-
molestie sessuali per avere, a _, presso il bar _, nella tarda serata del
17 maggio 2007, senza preavviso e contro la volontà dell’interessata, palpeggiato un seno a PC 2;
-
ingiuria per avere, nelle stesse circostanze di tempo e di luogo, offeso l’onore di PC 2, rivolgendole l’espressione “vaffanculo”;
-
lesioni semplici per avere causato, nelle stesse circostanze di tempo e di luogo, un danno al corpo di PC 2, e meglio per averla fatta cadere a terra con una spinta violenta, causandole la contusione della colonna sacrale e della spalla destra, come attestato dal certificato medico del Pronto soccorso dell’Ospedale _ e per avere causato un danno al corpo di PC 1, e meglio per averlo colpito in viso con un pugno, causandogli la perdita di un incisivo e per averlo in seguito ancora percosso, causandogli una frattura ad una falange del mignolo della mano destra, come attestato dal certificato medico del Pronto soccorso dell’_.
In applicazione della pena, il sostituto procuratore pubblico ha proposto la condanna dell’accusato alla pena pecuniaria di 30 aliquote di fr. 120
.–, per un totale di fr. 3
600.–
,
sospesa condizionalmente per un periodo di prova di 4 anni. Il magistrato d’accusa lo ha inoltre condannato al pagamento di una multa di fr. 500.– (che in caso di mancato pagamento verrà sostituita con una pena detentiva di 5 giorni) ed ha rinviato entrambe le parti civili, PC 2 e PC 1, al competente foro per le
pretese di natura civile,
nonché al pagamento della tassa e spese giudiziarie per complessivi fr. 300.–. Il sostituto procuratore pubblico non ha revocato
il beneficio della condizionale concesso alla pena detentiva di 75
giorni di detenzione
decretata nei suoi confronti
il 3 novembre 2003
, ma ne ha prolungato il periodo di prova di 12 mesi.
A
l decreto di accusa RI 1 ha sollevato opposizione.
B.
Al dibattimento, dopo aver respinto tutta una serie di eccezioni formali, il giudice della Pretura penale ha prospettato all’imputato (art. 250 CPP) anche il reato di guida in stato di inattitudine. Vista l’opposizione della difesa, il primo giudice ha proseguito l’istruttoria dibattimentale senza l’accusa di guida in stato di inattitudine, che, dopo valutazione in separata sede, dovrà eventualmente essere fatta oggetto di un’altra procedura (cfr. verbale del dibattimento, pag. 4).
C.
Statuendo sull’opposizione, con sentenza dell’8 aprile 2008 il giudice della Pretura penale ha dichiarato RI 1 autore colpevole di molestie sessuali e lesioni semplici, mentre lo ha prosciolto dall’imputazione di ingiuria e di lesioni semplici limitatamente al punto n. 3.2 seconda parte del decreto d’accusa, più precisamente per avere percosso PC 1 causandogli una frattura ad una falange del mignolo della mano destra.
Il giudice lo ha quindi condannato alla pena pecuniaria di 30 aliquote giornaliere di fr. 100
.– per un totale di fr. 3
000.–, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di 4 anni. Il primo giudice lo ha inoltre condannato al pagamento di una multa di fr. 500.–
, che in caso di mancato pagamento verrà commutata in una pena detentiva sostitutiva di 5 giorni. Le tasse e le spese giudiziarie sono state poste a carico dell’accusato
.
Il giudice non ha inoltre revocato
il beneficio della condizionale concesso alla pena detentiva di 75
giorni di detenzione
decretata nei suoi confronti
il 3 novembre 2003
, ma ne ha prolungato il periodo di prova di un anno.
Il giudice, visto che non è intervenuta alcuna opposizione in tal senso, ha preso atto del rinvio delle parti civili al competente foro civile per le pretese di tale natura.
D.
Contro la sentenza appena citata RI 1 ha introdotto il 10 aprile 2008 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta, presentata il 9 maggio 2008, egli postula il suo totale proscioglimento e quindi l’annullamento della sentenza impugnata. Con osservazioni del 6 giugno 2008, PC 1 chiede di respingere il ricorso. Il sostituto procuratore pubblico ha per contro rinunciato a formulare osservazioni. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288
lett. a e b CPP). L’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata, né contrapporle una propria versione dell’accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev’essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 173 consid. 3.1 pag. 178).
2.
Dopo avere espresso il suo disappunto su alcune esternazioni del primo giudice durante il dibattimento, in sostanza volte a criticare l’atteggiamento avuto dalla difesa che
–
secondo il ricorrente
– “altro non ha fatto che esperire coscienziosamente il suo dovere di patrocinio e sollevare opportune censure”
, nella sua
“premessa”
il ricorrente si duole del contenuto del verbale del dibattimento, che, oltre ad essergli stato intimato, nonostante le richieste, solo con la sentenza, non conterrebbe
“neppure sommariamente”
le domande e le risposte dell’accusato e delle parti civili. Il giudice avrebbe invece riportato
“soltanto stralci utili a mettere in cattiva luce la difesa”
, la cui arringa invece sarebbe durata
“almeno mezz’ora”
. Sebbene non intenda tacciare di falso il verbale, il ricorrente
“eccepisce l’incompletezza dello stesso”
, quindi postula,
“già per questo motivo”
, l’accoglimento del ricorso (ricorso, pag. 2-3).
Ora, per quanto attiene alla presunta incompletezza del verbale, il ricorrente, difeso da un legale, può solo rimproverare sé stesso. Nulla gli impediva infatti di esigere la verbalizzazione delle dichiarazioni ritenute utili ai fini del giudizio, compresa l’intera arringa (art. 255 cpv. 2 e cpv. 3 lett. b e c CPP, applicabile in virtù del rinvio di cui all’art. 273 CPP). Non avendo reagito al dibattimento, egli non può perciò supplire alla sua passività dolendosi dell’operato del giudice al riguardo davanti all’autorità ricorsuale (art. 288 lett. b CPP). Del resto egli nemmeno indica quali sarebbero state le parti omesse che lo avrebbero penalizzato, e cosa con esse avrebbe potuto provare. Su questo punto il ricorso va, perciò, dichiarato inammissibile.
D’altra parte, il problema della verbalizzazione si presenta sovente, specie nelle cause a giudizio del pretore penale, ove non di rado il verbale riporta solo parte di quanto compiutamente detto al dibattimento. L’art. 255 cpv. 2 e 3 lett. b CPP, applicabile sussidiariamente dato che l’art. 275 CPP (che determina il contenuto del verbale dell’ udienza nei processi davanti al giudice della Pretura penale) non è di alcun sussidio al riguardo, stabilisce nondimeno che nel verbale del processo va riportato sommariamente lo svolgimento del processo (cpv. 2) e vanno riportate le risposte dell’accusa, come pure le deposizioni dei periti e dei testimoni se queste persone sono interrogate per la prima volta al dibattimento o modificano al dibattimento quanto hanno dichiarato in istruttoria (cpv. 3 lett. b). Come detto, tuttavia, il ricorrente non pretende che il verbale contenga inesattezze o citazioni non conformi alla realtà. E’ comunque utile ricordare che con il nuovo codice di diritto processuale penale svizzero (Codice di procedura penale federale, CPP; FF 2007 pag. 6327 segg.) le verbalizzazioni dovranno essere più dettagliate (v. art. 78 nCPP); chi dirige il procedimento sarà
“responsabile della verbalizzazione completa ed esatta degli atti procedurali”
(art. 76 cpv. 3 nCPP) e dovrà attestarne l’esattezza (art. 76 cpv. 2 nCPP). Sia come sia, è comunque auspicabile che i giudici della Pretura penale si adoperino già sin d’ora per rendere al lettore più trasparente l’andamento del processo, verbalizzando con cura le dichiarazioni di testi e periti ritenute utili ai fini dell’accertamento dei fatti, in modo da agevolare l’autorità ricorsuale in caso di contestazioni del tipo di quelle sollevate nel ricorso.
3.
3.1.
Secondo il ricorrente sarebbe arbitraria la decisione del giudice della Pretura penale con la quale è stata respinta l’eccezione volta ad estromettere dagli atti
“tutte le risultanze dell’istruttoria di polizia, segnatamente del verbale di interrogatorio del teste _ – unico teste a carico dell’accusato per quanto attiene al reato di lesioni semplici”
, in ragione del fatto che – sottolinea il ricorrente – non lo ha mai potuto contro-interrogare. L’assenza di un contraddittorio, oltre al fatto che l’accusato neppure sarebbe stato interrogato dal magistrato d’accusa, sarebbe
“incompatibile con la CEDU”
. Essendo _ l’unico teste a carico dell’imputato, il
“principio dell’equo processo”
imporrebbe quindi che l’accusato abbia avuto almeno una volta la facoltà di confrontarsi con il testimone. Deceduto nel corso del 2007, _ avrebbe potuto essere interrogato prima, quando v’era la possibilità di farlo; non avendolo potuto fare il suo verbale sarebbe dovuto essere estromesso dagli atti (ricorso, pag. 3-6).
3.2.
Facendo riferimento all’art. 247 cpv. 1 CPP – secondo cui le deposizioni fatte in istruttoria non possono essere lette/utilizzate al pubblico dibattimento, ad eccezione dei casi in cui un testimone, perito od accusato sia morto o colpito da malattia mentale o quando non si è potuto rintracciare la sua residenza o non sia stato possibile citarlo al dibattimento nel termine di legge – il primo giudice ha spiegato che
“essendo il teste _ deceduto nel corso dello scorso anno, come noto al legale, sussistono le basi per l’utilizzo del suo verbale d’interrogatorio al dibattimento
”. Il prevenuto, ha soggiunto il giudice,
“verrà quindi confrontato anche con le dichiarazioni di questo teste, che ha comunque dimostrato già in entrata di conoscere”
(sentenza, pag. 5)
.
3.3.
Il problema che si pone è in sostanza quello di sapere se il verbale di un testimone – deceduto prima di un eventuale contraddittorio con l’accusato – che coinvolge/accusa direttamente il prevenuto di un reato debba essere estromesso dagli atti.
La risposta è negativa. Secondo l’art. 247 cpv. 1 CPP, le deposizioni fatte in istruttoria non possono essere lette (o utilizzate per quanto attiene alla Pretura penale, art. 274 cpv. 3 CPP) al pubblico dibattimento, ad eccezione dei casi in cui un testimone, perito od accusato sia morto o colpito da malattia mentale o quando non si è potuto rintracciare la sua residenza o non sia stato possibile citarlo al dibattimento nel termine di legge, riservati gli art. 288 e 299 CPP. Se _ fosse ancora vivo, un eventuale mancata concessione all’imputato della facoltà di interrogare chi l’accusa, avrebbe comportato la violazione del diritto di essere sentiti (
Rusca/ Salmina/Verda
, Commento del Codice di procedura penale ticinese, Lugano 1997, n. 6-11 ad art. 62 CPP). Spettava al giudice del merito, in quest’ultima eventualità, garantire il contraddittorio. Ma, nella specie, il teste è deceduto prima che ciò potesse essere fatto. Spetta al giudice valutare con circospezione una deposizione del genere, ovviamente dopo che il prevenuto abbia potuto confrontarsi con la stessa (H
auser/Schweri/Hartmann
, Schweizerisches Strafprozesrecht, 6. ed., Basilea 2005, pag. 253 n. 6a), ciò che è avvenuto in concreto (
sentenza, pag. 12 consid.
5).
Il rispetto del principio della garanzia del contraddittorio cui accenna il ricorrente è un principio cardine del processo penale, cui si può derogare solo in casi eccezionali, come per l’appunto prevede lo stesso art. 247 cpv. 1 CPP. Per giungere a un verdetto di colpevolezza il giudice deve, comunque, corroborare il proprio convincimento con altri elementi che avvalorino la fondatezza delle accuse. Di questo e sull’apprezzamento in generale delle prove si dirà, se necessario, in seguito.
4.
4.1.1.
Il giudice della pretura penale ha ritenuto la versione delle parti civili credibile e rispecchiante la realtà dei fatti. Le loro dichiarazioni sono state infatti riconosciute
“attendibili poiché univoche, costanti, non contraddittorie, lineari e prive di ricostruzioni illogiche”,
confortate inoltre dai riscontri delle testimonianze delle persone sentite dalla polizia durante l’istruzione formale.
Partendo dal presupposto che l’imputato era ubriaco, il giudice ha spiegato che il susseguirsi degli eventi è stato illustrato in maniera coerente e logica,
“anche per quanto concerne il palpeggiamento del seno, che non è stato visto da nessuno se non dalla vittima stessa”
. Solo un gesto del genere avrebbe potuto innescare una reazione della donna
“tanto brusca e spingerla a dargli del porco ed a gettargli il vino in faccia”
. Prova del fatto che i coniugi non hanno preparato a tavolino le accuse contro il prevenuto è il riconoscimento da parte di PC 1 di non avere assistito al gesto dell’imputato; nulla gli avrebbe impedito – secondo la teoria della cospirazione avanzata da RI 1 – di dichiarare di avere visto anche il palpeggiamento al seno dell’allora convivente. Analogamente – ha precisato il primo giudice – PC 2 avrebbe potuto dichiarare di avere visto l’imputato sferrare un pugno in faccia al convivente, al posto di affermare di non avere visto nulla. Inoltre, PC 1 avrebbe potuto incolpare direttamente RI 1 anche della
“rottura del dito”
, e non affermare di non sapere come se lo è rotto.
Altrettanto credibile – ha soggiunto il giudice –
“è che sia stato proprio il prevenuto ad aggredire fisicamente, per primo e senza preavviso, la signora PC 2 e, immediatamente dopo, il di lei marito, rompendogli un dente”
.
Anche le dichiarazioni dei testi sentiti dalla polizia hanno confermato – ha sottolineato il giudice – la versione delle parti civili.
Innanzitutto, è emerso che l’imputato era ubriaco. Poi, che PC 1 perdeva sangue dal naso e che aveva subìto la rottura di un dente. È emerso, inoltre, che l’imputato ha violentemente spintonato la donna a terra facendola cozzare contro un palo di ferro e che ha sferrato un pugno,
“a tradimento”
, al volto di PC 1 Ed infine, i testi sentiti hanno potuto affermare che RI 1 non presentava, alla fine della bagarre, segni evidenti di ferite.
Lacunose e prive di logica, per contro, sono state – ha spiegato il giudice – le dichiarazioni dell’imputato: egli sarebbe stato aggredito, senza motivo, sia verbalmente sia fisicamente dalle parti civili, PC 1 lo avrebbe apostrofato “
teron da merda
”, poi gli avrebbe gettato la birra in faccia, la donna gli avrebbe rotto un bicchiere in testa dicendogli “
sei un porco
”, il tutto senza giustificazione alcuna, ed infine lo avrebbero preso a pedate su tutto il corpo. Il giudice della Pretura penale ha sottolineato che nessuno dei testimoni ha visto del sangue sul volto di RI 1. Prive di consistenza e poco plausibili sono state definite dal primo giudice le motivazioni per cui massimo RI 1 non si sarebbe recato all’ospedale per farsi curare, ossia perché era
“troppo concentrato sugli esami per l’ottenimento del diploma da selvicoltore che avrebbe avuto nei giorni seguenti”
. Per di più – ha sottolineato il giudice –
“l’imputato nemmeno si è adoperato per produrre una prova documentale, facilmente ottenibile, per attestare la data degli esami”
.
Il giudice ha quindi concluso che la versione dell’imputato,
“il concatenamento dei fatti, rispettivamente la descrizione imprecisa ed incongruente degli stessi da lui fornita”
ben si concilia invece
“con quella che avrebbe potuto effettuare una persona che presenta vuoti di memoria causati dall’alcool”
. Ulteriore prova di ciò è inoltre data dal
“rapido e sospetto allontanamento dal luogo dei fatti senza annuncio alla polizia, nonostante asseverate lesioni subite dolosamente”
(sentenza, pag. 8-14 consid. 3-6).
4.1.2.
In diritto, il giudice ha spiegato che – per quanto concerne il reato di molestie sessuali – afferrando il seno di PC 2,
“spostando la mano da sopra la sua spalla destra allo stesso, passandola da dietro sotto l’ascella, raffigura innegabilmente una via di fatto con prerogativa oggettivamente sessuale”
. La
“presa ferma”
(del seno) – ha sottolineato il giudice – rivela che l’atto è stato commesso intenzionalmente.
Per quanto attiene al reato di lesioni semplici subito da PC 2, il giudice ha spiegato che, oggettivamente, le lesioni certificate
“sono sicuramente compatibili con la caduta contro il paletto di ferro e, successivamente, a terra provocata dalla spinta da parte dell’imputato”
. Le dolorose contusioni della colonna sacrale e della spalla – ha spiegato il primo giudice –
“non possono essere considerate semplici vie di fatto, ma ricadono già sotto le lesioni semplici”
.
Dal punto di vista soggettivo la spinta è stata inferta, con forza, volontariamente, non potendo l’imputato, per questo motivo, non prevedere che cadendo la donna potesse ferirsi. Egli ha quindi agito con dolo eventuale, anche se il primo giudice è convinto che RI 1
“si sia mosso per fare del male”
.
Le lesioni subìte da PC 1, certificate come
“trauma contusivo diretto sull’emiviso destro con frattura del dente para incisivo destro
”, sono, secondo il pretore penale,
“senza ombra di dubbio”
delle lesioni semplici ai sensi dell’art. 123 CPS.
Per quanto concerne invece la rottura del mignolo, il giudice ha prosciolto l’imputato poiché non v’era prova certa che sia stato il prevenuto a provocargliela, visto che inoltre lo stesso PC 1 non ne era certo.
Dal punto di vista soggettivo,
“è innegabile”
– ha concluso il giudice della Pretura penale –
“che il pugno sia stato assestato volontariamente e con l’intenzione di fare del male”
(sentenza, pag. 15-18 consid. 8-11).
4.2.
Secondo il ricorrente la condanna sarebbe stata pronunciata in violazione del principio
in dubio pro reo.
Egli esordisce sostenendo che tutti i testi sentiti, oltre ad essere
“degli amici dei querelanti”
, non potevano
“fornire elementi utili di giudizio”
perché non avrebbero assistito direttamente ai fatti. Le due versioni contrastanti (quella dei querelanti e quella dell’imputato) e
“troppi dubbi”
– sottolinea il ricorrente – avrebbero dovuto determinare il primo giudice a proscioglierlo da entrambe le imputazioni di molestie sessuali e lesioni semplici.
Infatti, per quanto attiene al reato di molestie sessuali, nessun testimone avrebbe assistito alla molestia. Vi sarebbe quindi solo la versione della donna, mentre nemmeno l’allora convivente PC 1 avrebbe visto nulla. Il referto medico prodotto dalla donna non certifica – aggiunge il ricorrente – né la presenza di tracce di piccoli ematomi né di dolori patiti dalla donna. Nessun altro riscontro oggettivo è stato quindi trovato per avvalorare la tesi della querelante.
Per quanto attiene al reato di lesioni semplici il ricorrente precisa che, per quanto concerne PC 2, dal referto medico d’uscita _ non sarebbe
“dato di sapere con certezza come e da chi”
le ferite siano state causate. Il verbale dell’unico testimone, _, come già indicato dal ricorrente, andava estromesso dagli atti. RI 1 prosegue sostenendo che la querelante
“potrebbe anche avere perso l’equilibrio e essere caduta da sola”
. Del resto, il certificato medico in parola attesterebbe di una caduta accidentale.
Per quanto concerne invece PC 1, e in particolare il
“dente rotto”
, il giudice non avrebbe dimostrato il nesso di causalità naturale e adeguato: il querelante – sostiene il ricorrente –
“potrebbe essersi rotto il dente da solo, durante la colluttazione”
. Lo stesso PC 1, inoltre, avrebbe riferito di essersi accorto del dente rotto solo al termine della colluttazione con l’imputato. Essi, infatti,
“hanno ruzzolato per diverso tempo prima che il Signor _ riuscisse a separare il PC 1 che le stava dando di santa ragione al RI 1”
. Potrebbe essere stata, inoltre, la stessa PC 2 – sostiene il ricorrente – ad avere sferrato il calcio che gli avrebbe rotto il dente, infatti il testimone _ ha riferito di avere visto PC 2 sferrare calci contro il ricorrente, per cui inavvertitamente potrebbe averne sferrato uno anche contro il marito (ricorso, pag. 6-9).
4.3.1.
Il principio
in dubio pro reo
, quale corollario della garanzia della
presunzione d'innocenza
garantita dagli art. 32 cpv. 1 Cost., 6 n. 2 CEDU e 14 n. 2 Patto ONU II, implica che il giudice penale non può dichiararsi convinto di una ricostruzione dei fatti sfavorevole all’imputato quando, secondo una valutazione oggettiva del materiale probatorio, sussistono dubbi che i fatti si siano verificati in quel modo. La massima non impone però che l’amministrazione delle prove conduca a una certezza assoluta di colpevolezza. Semplici dubbi astratti e teorici, poiché sempre possibili, non sono sufficienti; né può essere pretesa una certezza assoluta. Il principio è disatteso quando il giudice penale, dopo un’analisi globale e oggettiva delle prove, avrebbe dovuto nutrire rilevanti e insopprimibili dubbi sulla colpevolezza dell'imputato. Il Tribunale federale si impone in quest'ambito un certo riserbo e interviene unicamente qualora il giudice condanni l’accusato, nonostante che una valutazione oggettiva delle risultanze probatorie implichi la sussistenza di manifesti, rilevanti e insopprimibili dubbi sulla sua colpevolezza (
DTF 127 I 38
consid. 2a;
124 IV 86
consid. 2a, e rispettivi rinvii).
4.3.2.
Le censure, oltre ad essere estremamente deboli e inconsistenti, hanno chiara indole appellatoria.
Ciò considerato, il richiamo al principio in
dubio pro reo
non è di ausilio al ricorrente nella misura in cui tale precetto ha, in questa sede, se riferito alla
valutazione delle prove
, la stessa portata del divieto dell’arbitrio.
Non sostanziata, la critica – come visto – andrebbe dichiarata d’acchito inammissibile. Comunque sia, non si può certo affermare che in concreto il primo giudice abbia condannato il ricorrente quantunque una valutazione non arbitraria delle prove lasciasse sussistere dubbi rilevanti sulla sua colpevolezza (DTF 127 I 38 consid. 2a pag. 41, 124 IV 86 consid. 2 pag. 88, 120 Ia 31 consid. 2a pag. 38).
Il giudice della pretura penale ha ben illustrato gli elementi che lo hanno convinto della colpevolezza dell’imputato.
Egli ha dapprima valutato le accuse mosse contro di lui dalle parti civili, rigettando, a ragione, l’ipotesi del complotto della coppia (allora conviventi, oggi marito e moglie) contro RI 1. A tal proposito, il giudice di prime cure ha spiegato che i querelanti avrebbero potuto corroborare con maggiore incisività le loro dichiarazioni, soprattutto per alcuni accadimenti che solo loro potevano riferire. Ad esempio il fatto che PC 1 non ha visto (e lo ha dichiarato) il palpeggiamento al seno della convivente e il fatto di non avere voluto addebitare anche la rottura del dito all’imputato, poiché lui stesso, reagendo in modo scomposto all’offesa, avrebbe potuto procurarsi la lesione da solo o addirittura colpendo il qui prevenuto (vedi anche verbale del dibattimento pag. 5). Ma non lo ho fatto, a dimostrazione quindi della buona fede della parte civile. La donna, inoltre, ha dichiarato di non avere visto l’aggressione a PC 1 (verbale d’interrogatorio di PC 2 dell’11 giugno 2007, pag. 3), dando prova anch’essa di non volere inventarsi nulla pur di far condannare l’imputato.
Il giudice ha quindi potuto trovare, in seguito, diversi punti di convergenza tra le dichiarazioni delle parti civili e quelle dei testimoni. Questi ultimi, alla pari dei danneggiati, hanno dichiarato che l’imputato era
“ubriaco”
e che PC 1 sanguinava ed aveva un dente rotto in mano (verbale d’interrogatorio di _ del 16 giugno 2007, pag. 1; verbale d’interrogatorio di _ del 26 giugno 2007, pag. 1-2; verbale di interrogatorio di _ del 17 giugno 2007, pag. 2). RI 1, invece non è apparso uscire malconcio dalla lite, e del resto, nemmeno ha provato di esserlo stato.
Ciò che avvalora la tesi del primo giudice, è, inoltre, l’abbandono della scena da parte del prevenuto subito dopo i fatti. Non si capisce perché non abbia chiamato lui stesso la polizia, cui avrebbe potuto denunciare immediatamente la presunta aggressione subìta dalla coppia. Egli, inoltre, se veramente si fosse ferito (gravemente), si sarebbe fatto accompagnare all’ospedale dall’amico presso cui sembra si sia rifugiato, e comunque avrebbe denunciato, se non la sera stessa, almeno il giorno dopo l’accaduto. Invece, nemmeno ha prodotto un referto medico che certificasse le lesioni subìte. Nulla. Di fronte a questa situazione il primo giudice non poteva decidere altrimenti. Il ricorso, oltre ad essere appellatorio, quindi inammissibile, nemmeno reggerebbe – come visto – a un esame di merito. Inutile quindi dilungarsi oltre nella disamina. Il risultato complessivo del giudizio del primo giudice non può dirsi né arbitrario né tanto meno lesivo del principio della presunzione d’innocenza cui accenna il ricorrente, tra l’altro senza nessuna convinzione e senza spiegare in cosa consisterebbero i dubbi che il giudice avrebbe dovuto avere.
5.
Da quanto precede discende che il ricorso deve essere respinto, siccome manifestamente infondato e in gran parte inammissibile. Gli oneri processuali seguono la soccombenza, ossia sono posti a carico del ricorrente (art. 15 cpv. 1 in combinazione con l’art. 9 cpv. 1 CPP). Ad PC 1, che si è limitato ad inviare il 6 giugno 2008 uno scritto con cui ha proposto la reiezione del ricorso, non va riconosciuto il diritto alla rifusione delle ripetibili (art. 9 cpv.6 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,009 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
a6a17ae6-ead9-5506-96a0-ad85e3c1e97f | in fatto
a.
Con giudizio 31.03.2010 la Corte delle assise criminali ha riconosciuto RE 1 autore colpevole di ripetuti atti sessuali con fanciulli (consumati e tentati), atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere, somministrazione a fanciulli di sostanze pericolose per la salute, violazione della sfera segreta o privata mediante apparecchi di presa d'immagini, rappresentazione di atti di cruda violenza e ripetuta pornografia. Riconosciuta una scemata imputabilità di grado lieve, l'ha quindi condannato alla pena detentiva di cinque anni
, a valere quale pena unica ai sensi dell’art. 46 cpv. 1 seconda frase e dell’art. 49 cpv. 2 CP. L
a Corte di primo grado ha pure ordinato il trattamento ambulatoriale ex art. 63 CP, da eseguirsi già in espiazione di pena.
b.
La Corte di appello e di revisione penale, sedente quale Corte di cassazione e di revisione penale, con sentenza 17.01.2011, in parziale accoglimento del ricorso per cassazione presentato da RE 1, ha ricommisurato la pena detentiva inflitta a quest'ultimo dal giudice di prime cure riducendola a tre anni e sei mesi (inc. CCRP 17.2010.20).
La sentenza è cresciuta in giudicato.
c.
Considerato il periodo di detenzione preventiva e di sicurezza sofferto dal 18.02.2009 e l'inizio dell'espiazione della pena al 17.01.2011, il qui reclamante ha raggiunto il primo terzo dell'esecuzione della pena il 19.04.2010, la metà pena in data 18.11.2010 ed i 2/3, per la liberazione condizionale, il 18.06.2011. Il termine dell'espiazione della pena verrà a cadere il 17.08.2012.
d.
Il reclamante ha già goduto del primo congedo (in data 28.06.2011) [inc. GPC _], così come di successivi altri congedi, del trasferimento in sezione aperta (dal 4.07.2011) [inc. GPC _], e dal 21.11.2011 usufruisce del regime del lavoro esterno [inc. GPC _], svolgendo un'attività al 50 % presso la lavanderia _ a _ e il rimanente 50 % occupandosi della traduzione di audiocassette per ciechi per l'associazione _ (attività questa già iniziata in sezione aperta).
In data 16.06.2011, il giudice dei provvedimenti coercitivi ha rifiutato la liberazione condizionale (inc. GPC _): il successivo reclamo è stato respinto da questa Corte con sentenza del 13.07.2011 (inc. CRP 60.2011.221).
e.
In data 10.02.2012 il giudice dei provvedimenti coercitivi ha nuovamente rifiutato la concessione della liberazione condizionale.
Il magistrato, valutati i preavvisi delle competenti autorità interpellate e ritenuti in buona sostanza la turba psichica presente in RE 1, i suoi precedenti, i fatti accaduti a _, la precarietà della sua situazione lavorativa nonché l'assenza di un alloggio esterno, ha ritenuto di non poter formulare "
una prognosi positiva
" in punto al pericolo di recidiva (inc. GPC _).
In accoglimento del successivo reclamo interposto da RE 1, in data 1.03.2012 questa Corte, avendo riscontrato una contraddizione circa la formulazione della prognosi espressa dal giudice dei provvedimenti coercitivi, ha annullato la decisione 10.02.2012 di quest'ultimo e gli ha rinviato l'incarto affinché statuisse nuovamente, auspicando nel frattempo il prosieguo dell'esecuzione del Piano d'esecuzione della sanzione penale (PES) [inc. CRP 60.2012.65].
f.
Il 5.03.2012 il giudice dei provvedimenti coercitivi ha nuovamente statuito in punto alla liberazione condizionale, rifiutandola, avendo egli concluso per una prognosi negativa.
In particolare il magistrato ha preso in considerazione il comportamento corretto tenuto da RE 1 in esecuzione di pena e della di lui buona condotta dimostrata durante i congedi e in regime di lavoro esterno. Tuttavia ha rilevato che in un contesto strutturato e con un alto controllo istituzionale (quale quello a cui egli è attualmente sottoposto) il reclamante è in grado di comportarsi correttamente, alla condizione che sia sottoposto a trattamento terapeutico intensivo per la cura della sua cronica turba psichica. Al proposito ha fatto riferimento al rapporto 11/16.01.2012 della psichiatra dr. med. _, che evidenzia come RE 1 sia in grado di comportarsi in modo adeguato qualora la sua situazione sociale (affettiva, finanziaria e logistica) sia equilibrata.
Il giudice ha altresì tenuto conto della perizia psichiatrica giudiziaria 7.09.2009 del dr. med. _, in cui si segnala che la componente antisociale (psicopatica) del qui reclamante, che poi danneggia il prossimo, sembra emanare da un'incapacità di organizzare qualsiasi ambito della di lui esistenza, tanto quello professionale quanto quello relazionale, finanziario e logistico.
Pertanto, posti questi accertamenti, il magistrato ha ritenuto che il fatto, per il reclamante, di non disporre a quel momento di un alloggio è un elemento di precarietà non accettabile, in quanto non farebbe che riprodurre la situazione negativa che in passato l'ha portato a delinquere. Inoltre il giudice ha considerato precaria anche la situazione lavorativa del qui reclamante, considerando sintomatico il suo continuo richiamo alla domanda AI pendente.
Tutto ciò correlato ai precedenti penali del reclamante, ai fatti accaduti a _ (riportati a p. 37 della perizia psichiatrica giudiziaria) e alla constatazione - nell'udienza tenutasi il 21.12.2011 - che egli preferisce non essere sottoposto ad assistenza riabilitativa, ha portato il magistrato, come anzidetto, a formulare una prognosi negativa in merito alla liberazione condizionale ed ha giudicato, in quest'ottica, meritevole di considerazione il preavviso negativo espresso dalla Direzione delle strutture carcerarie, in cui si richiede prima della liberazione la transizione nel regime di lavoro e alloggio esterno, così come previsto dal PES.
g.
Contro tale giudizio insorge davanti a questa Corte RE 1 con gravame 12/13.03.2012, in cui richiama le argomentazioni esposte nel suo precedente reclamo di data 20/21.02.2012 contro la decisione 10.02.2012 del giudice dei provvedimenti coercitivi, precisando genericamente che "
non è tanto sulla decisione che ho inoltrato ricorso quanto sulle motivazioni, in quanto, come dimostrato con la documentazione precedentemente inviatavi, non sono corrette
" (reclamo 12/13.03.2012).
Nel precedente gravame egli ha in particolare evidenziato di aver effettuato le ricerche di un alloggio, perlopiù in internet, ma di non aver potuto concludere un contratto di locazione in assenza di una data della (eventuale) liberazione.
Ha contestato le considerazioni del giudice sulle sue inabilità fisiche, producendo un certificato medico (che fa stato di un intervento al ginocchio sinistro nel 1980, di formicolii ad un braccio con ripercussioni sulla sua professione di montatore elettricista, di scoliosi grave, di una trombosi venosa alla gamba sinistra risalente al 2008 recidivata in seguito e alla conseguente sua necessità di essere anticoagulato a vita), in cui viene richiesta una ragionevole deduzione della sua abilità lavorativa di almeno il 50%.
Ha infine rilevato, nel rapporto 11/16.01.2012 della psichiatra - criticando il giudice dei provvedimenti coercitivi di averne ripreso nella sua decisione solo delle parti - il passaggio in cui si evidenzia come egli, a determinate condizioni, abbia buone possibilità di non ricadere nei reati che hanno portato al suo arresto.
h.
Come anzidetto, il giudice dei provvedimenti coercitivi con scritto 14.03.2012 comunica di non presentare osservazioni, rimettendosi al giudizio di questa Corte.
La Direzione delle strutture carcerarie cantonali, nelle sue osservazioni 21/22.03.2012, ribadisce le conclusioni del proprio preavviso di data 16.12.2011, in cui ha valutato essere prematura la liberazione condizionale del reclamante, non essendo ancora stata raggiunta la fase 5 del PES (che consiste nella concessione del regime di Electronic monitoring o di lavoro e alloggio esterno), oltre al mantenimento delle condizioni e obiettivi specifici posti per le fasi precedenti, tra cui l'aderenza al trattamento medico e terapeutico. In particolare ritiene importante che la liberazione condizionale sia preceduta da tale fase 5 del PES - seppure per un periodo breve visto il termine di fine pena previsto per il 17.08.2012 -, in quanto RE 1 dovrà così dar prova di essere capace di progettare autonomamente la gestione della propria vita, ad esempio cercando attivamente un luogo d'abitazione e i mezzi finanziari per far fronte alla pigione.
Delle ulteriori argomentazioni si dirà, se necessario, nei considerandi che seguono. | in diritto
1.
1.1.
Il Codice di diritto processuale penale svizzero (Codice di procedura penale, CPP), in vigore dall'1.01.2011, all'art. 439 cpv. 1 CPP lascia ai Cantoni la facoltà di designare le autorità competenti per l'esecuzione delle pene e delle misure e di stabilire la relativa procedura.
L'art. 10 cpv. 1 della Legge sull'esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti del 20.04.2010 (LEPM), entrata in vigore l'1.01.2011, conferisce al giudice dell'applicazione della pena - funzione questa attribuita in Ticino dall'1.01.2011 al nuovo giudice dei provvedimenti coercitivi giusta l'art. 73 LOG - la competenza, fra l'altro, di adottare le decisioni relative alla liberazione condizionale da una pena detentiva ex art. 86, 87 cpv. 1, 89 cpv. 3 e 95 cpv. 3-5 CP (lit. j).
Contro tali decisioni è data facoltà al condannato e al Ministero pubblico di interporre reclamo ai sensi degli art. 393 e seguenti CPP alla Corte dei reclami penali (art. 12 cpv. 1 lit. b LEPM).
1.2.
Con il reclamo ex art. 393 ss. CPP si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l'eccesso e l'abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l'accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e/o l'inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato entro 10 giorni (art. 396 cpv. 1 CPP) per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all'art. 390 CPP per la forma scritta ed all'art. 385 CPP per la motivazione.
La persona o l'autorità che lo interpone deve indicare, in particolare, i punti della decisione che intende impugnare, i motivi a sostegno di una diversa decisione ed i mezzi di prova auspicati (art. 385 cpv. 1 lit. a, b e c CPP).
1.3.
Il gravame, inoltrato il 12/13.03.2012, contro la decisione 5.03.2012 del giudice dei provvedimenti coercitivi, notificata il 6.03.2012, è quindi tempestivo.
Le esigenze di forma e motivazione del reclamo sono rispettate.
RE 1, quale condannato e destinatario della decisione impugnata che lo tocca direttamente, personalmente e attualmente nei suoi diritti, è pacificamente legittimato a reclamare giusta l'art. 382 cpv. 1 CPP avendo un interesse giuridicamente protetto all'annullamento o alla modifica del giudizio.
Il reclamo è quindi, nelle predette circostanze, ricevibile in ordine.
2.
2.1.
La revisione della parte generale del Codice penale (CP), entrata in vigore l'1.01.2007, ha introdotto a livello federale diverse norme che regolano l'esecuzione delle pene detentive e delle misure privative della libertà.
2.2.
L'art. 75 cpv. 3 CP stabilisce che il regolamento del penitenziario preveda l'allestimento di un piano di esecuzione (PES) con il detenuto. Il piano contiene in particolare indicazioni sugli aiuti offerti, sulle possibilità di lavoro, di formazione e perfezionamento, sulla riparazione del danno, sulle relazioni con il mondo esterno e sulla preparazione alla vita in libertà.
Giusta l’art. 75 cpv. 4 CP, il detenuto deve partecipare attivamente agli sforzi di risocializzazione e alla preparazione della liberazione.
Il PES è ripreso agli art. 19 cpv. 2, 34 e 35 del Regolamento sull'esecuzione delle pene e delle misure per gli adulti del 6.03.2007 (REPM) ed è pure disciplinato dal nuovo Regolamento delle strutture carcerarie del Cantone Ticino del 15.12.2010, in vigore dall'1.01.2011, agli art. 33 e 43. Il cpv. 1 dell'art. 43 di detto Regolamento, riferendosi alla progressione dell'esecuzione della pena, dispone che i passaggi tra le fasi sono decisi dall'autorità competente, che tiene conto segnatamente della durata della pena, del comportamento in esecuzione di pena, dell'impegno nel lavoro o nella formazione, dei rischi di fuga, della capacità di rispettare le norme di condotta imposte, dei rischi di commissione di reati e di sicurezza.
2.3.
L'art. 86 cpv. 1 CP dispone che quando il detenuto ha scontato i due terzi della pena, ma in ogni caso almeno tre mesi, l'autorità competente lo libera condizionalmente se il suo comportamento durante l'esecuzione della pena lo giustifica e non si debba presumere che commetterà nuovi crimini o delitti.
L'autorità competente esamina d'ufficio se il detenuto possa essere liberato condizionalmente. Chiede a tal fine una relazione alla direzione del penitenziario. Il detenuto deve essere sentito (art. 86 cpv. 2 CP). Se non concede la liberazione condizionale, l'autorità competente riesamina la questione almeno una volta all'anno (art. 86 cpv. 3 CP).
2.4.
La concessione della liberazione condizionale è dunque subordinata a tre condizioni: il detenuto deve innanzitutto aver espiato buona parte della propria pena privativa della libertà - per l'art. 86 cpv. 1 CP i due terzi della pena ed almeno tre mesi -, secondariamente il suo comportamento durante l'esecuzione della pena non deve opporvisi, infine non vi dev'essere il timore che egli commetta nuovi crimini o delitti (A. BAECHTOLD, Exécution des peines, p. 257, n. 4).
La liberazione condizionale non costituisce né un diritto, né un favore, né un atto di clemenza o di grazia che il detenuto è libero di accettare o di rifiutare (DTF 101 Ib 452 cons. 1); esaminata d'ufficio, può, se del caso, essere disposta contro la volontà del detenuto, non presupponendo l'accordo di quest'ultimo (S. TRECHSEL, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Praxiskommentar, art. 86 CP n. 12; CR CP I - A. KUHN, art. 86 CP n. 16).
Si tratta di una modalità d'esecuzione della pena detentiva, ossia della quarta ed ultima fase del regime progressivo d'espiazione della condanna, precedente la liberazione definitiva. Come tale essa costituisce la regola da cui conviene scostarsi solo se sussistono valide ragioni per ritenere che essa non sarà efficace. Ove l'autorità vi si discosti, è tenuta ad indicare i motivi che giustificano la sua decisione (DTF 133 IV 201 cons. 2.3; 124 IV 193 cons. 4d; 119 IV 5 cons. 2; PRA 6/2000, p. 534).
2.5.
Dal punto di vista sostanziale, l'art. 86 cpv. 1-3 CP non si differenzia molto dal precedente art. 38 vCP (rimasto in vigore sino al 31.12.2006): in tal senso si esprime il Messaggio del CF del 21.09.1998 (pubblicato in FF 1999 p. 1669 ss, p. 1800-1802).
Con il nuovo art. 86 cpv. 1 CP ci sono state tuttavia due modifiche.
Anzitutto se l’art. 38 cpv. 1 vCP era potestativo, l’art. 86 cpv. 1 CP prevede che se le condizioni sono date, l’autorità penale competente “lo libera”.
Inoltre, se in precedenza la liberazione era concessa al detenuto "se si può presumere ch'egli terrà buona condotta in libertà" (art. 38 cifra 1 vCP), con la nuova disposizione la liberazione va concessa se "non si debba presumere che commetterà nuovi crimini o delitti" (art. 86 cpv. 1 CP). Si passa in altre parole dall'esigenza di una prognosi favorevole circa il comportamento futuro del detenuto a quella di una prognosi non sfavorevole (decisione TF 6B_900/2010 del 20.12.2010; DTF 133 IV 201 cons. 2.2), ciò che è rilevante nei casi intermedi in cui non si arriva a formulare una prognosi certa.
Per il resto la nuova normativa non si discosta nella sostanza dal diritto previgente, così che la giurisprudenza resa sotto l'imperio dell'art. 38 vCP conserva la sua validità (decisione TF 6B_428/2009 del 9.07.2009; DTF 133 IV 201).
La prognosi sul comportamento futuro deve fondarsi su una valutazione complessiva, che deve tenere conto dei precedenti del condannato, della sua personalità, del suo comportamento da un lato in generale e dall'altro lato nel contesto della commissione dei reati che sono alla base della condanna, nonché il grado del suo eventuale ravvedimento, oltre al suo eventuale miglioramento, così come le condizioni nelle quali ci si può attendere che egli vivrà dopo la sua liberazione (sentenze TF 6B_206/2011 del 5.07.2011, consid. 1.4.; 6B_714/2010 del 4.01.2011 cons. 2.4. e 6B_428/2009 del 9.07.2009 cons. 1.1.; DTF 133 IV 201 cons. 2.3.; 124 IV 193 cons. 3). Al riguardo, di fronte a pene privative della libertà di durata limitata, va esaminata la pericolosità dell'agente, se questa diminuirà, rimarrà invariata o aumenterà nel caso in cui la pena fosse interamente scontata e quindi se la liberazione condizionale, eventualmente accompagnata da regole di condotta e da un patronato, non sia più favorevole alla sua risocializzazione che non l'esecuzione completa della pena (DTF 124 IV 193 cons. 4).
3.
3.1.
Nel caso concreto è pacifico che i 2/3 dell'espiazione della pena sono intervenuti il 18.06.2011 e che il comportamento di RE 1 in esecuzione di pena è stato corretto, e ciò anche durante i congedi e in regime di lavoro esterno, di cui egli nel frattempo ha beneficiato.
Egli inoltre ha avuto in carcere un'evoluzione positiva, passando dalla situazione in cui fino al processo non sapeva spiegare i motivi del suo passaggio all'atto, al riconoscimento delle infrazioni commesse e il risarcimento della vittima (con il versamento di un - seppur modico - indennizzo rateale mensile) come pure delle zone deficitarie nella sua vita, dimostrandosi cosciente che la sua problematica è associata ad un insieme di fattori (interni ed esterni) [cfr. PES, p. 6].
3.2.
La perizia psichiatrica stilata dal perito giudiziario dr. med. _ il 7.09.2009 accerta nella biografia di RE 1 quale filo conduttore "
quello dell'irregolarità, del precariato, della discontinuità e di una certa irresponsabilità (...)
" e "
lo
«
sbandamento
»
non si esaurisce nel giro di qualche settimana o qualche mese ma persiste, senza alcun segno di ravvedimento o tentativo di correzione, sino praticamente al momento attuale, vale a dire per oltre 13 anni
" (perizia giudiziaria 7.09.2009, p. 35-36). Il perito ha riscontrato in lui oltre ad un'instabilità emotiva, dei tratti ipocondriaci, dei tratti istrionici e una componente antisociale (psicopatica). Antisocialità questa che si esprime, a mente del perito, "
soprattutto nell'ignorare i diritti altrui e nel non rispettare norme e regole del vivere civile (...)
" e "
(...) che danneggia il prossimo ma che, più che da malanimo, sembra emanare da un'incapacità di organizzare qualsiasi ambito della
propria esistenza, tanto quello professionale quanto quello relazionale, finanziario, logistico, al punto da non farsi aiutare da nessuno se non quando vengono istituite misure tutelari (...)
" (perizia giudiziaria 7.09.2009, p. 37). In conclusione egli ha quindi riscontrato un disturbo di personalità misto persistente, correlato ai reati commessi dal reclamante (ciò che gli è valso in sede di condanna il riconoscimento di una scemata imputabilità di grado lieve), così che onde evitare il pericolo di recidiva ha ritenuto essere necessario sottoporre RE 1 ad un trattamento psicoterapeutico regolare e costante (già iniziato in carcere da parte della dr. med. _) e da proseguire anche dopo la sua scarcerazione.
3.3.
La psichiatra e psicoterapeuta dr. med. _, che si è occupata di seguire il trattamento ambulatoriale con frequenza settimanale di RE 1 in carcere, nel suo rapporto 11/16.01.2012, ha confermato la diagnosi di disturbo di personalità mista e ha giudicato ottima la capacità del reclamante di riconoscere le situazioni a rischio, precisando tuttavia come egli debba ancora imparare a muoversi adeguatamente nel contesto sociale, stante che effettivamente lo scopo della psicoterapia sarebbe quello di fargli acquisire le necessarie competenze sociali. Ha altresì riconosciuto il sincero pentimento del reclamante nei confronti della vittima e il di lui desiderio di risarcire quest'ultima nonché di recuperare i legami rotti con i propri figli. Sulla base di tale suo ravvedimento essa ha ritenuto poco probabile il rischio di una ricaduta "
almeno per quel che attiene ai reati di stampo-sessuale-libidinoso
" (rapporto 11/16.01.2012, p. 1). Inoltre la psichiatra ha previsto un comportamento adeguato del reclamante qualora "
la sua situazione sociale (affettiva, finanziaria, logistica) fosse equilibrata
" (rapporto 11/16.01.2012, p. 1). Per finire essa ha rilevato di non poter fornire una valutazione conclusiva approfondita dell'attuale situazione di RE 1, a seguito dell'interruzione del trattamento terapeutico avvenuto tra la fine di giugno 2011 e il dicembre 2011, per ragioni non imputabili al reclamante.
3.4.
Nella sua comunicazione via e-mail del 13.12.2011 l'operatore sociale dell'Ufficio di patronato, favorevole alla continuazione della progressione graduale verso l'esterno, ha proposto in caso di liberazione condizionale la sottomissione del reclamante al Patronato e all'obbligo di mantenere un'attività lavorativa così come la terapia ambulatoriale. Ha inoltre osservato come RE 1 lavori presso un laboratorio protetto, con un salario
insufficiente a coprire la pigione di un alloggio adeguato e che la liberazione condizionale presupporrebbe. Pertanto, rileva, che egli dovrebbe essere preso a carico dall'Ufficio del sostegno sociale e dell'inserimento di Bellinzona, che però non copre le spese durante la detenzione.
3.5.
La Direzione delle Strutture carcerarie il 16.12.2011 ha espresso preavviso negativo alla liberazione condizionale. Richiamate le fasi del regime progressivo indicate nel PES, pur tenendo conto del buon comportamento tenuto da RE 1 in espiazione di pena, essa ha ritenuto che "
una liberazione condizionale ci appare ancora prematura, considerato il poco tempo per la valutazione del lavoro esterno e ritenuto che la fase 5 del PES non è ancora stata raggiunta
" (scritto 16/20.12.2011).
3.6.
Il PES - elaborato nel febbraio/marzo 2011 e al quale RE 1 ha aderito - se da un lato fa stato delle di lui buone capacità cognitive e di apprendimento, con conclusione della prima formazione professionale (di montatore elettricista), di un buon ingaggio terapeutico, del rispetto delle norme imposte, di una buona relazione con il padre e una sorella (che lo hanno regolarmente visitato in carcere) e dell'aderenza alla curatela amministrativa (istituita dal 2007 a fronte della sua difficile attitudine a gestire la propria situazione finanziaria), dall'altro lato, scorge oltre al disturbo di personalità mista, lo stato di salute precario, il lungo periodo di inattività lavorativa nell'ambito del mercato del lavoro, la difficile situazione economica e un pericolo di recidiva penale, sebbene relativa a reati minori. Pone inoltre l'accento sull'importanza a che egli abbia un'attività professionale che gli possa garantire adeguate relazioni sociali così come egli si crei una rete sociale (con attività culturali, sportive o di tempo libero) mantenendo il più possibile i contatti con il mondo esterno piuttosto che con la realtà virtuale di internet, in quanto è stata teatro del suo delinquere. Infine per quanto riguarda il regime progressivo prima di passare alla concessione della liberazione condizionale (alla condizione che venga mantenuto il trattamento ambulatoriale, l'eventuale obbligo di mantenere un'attività lavorativa, la sottomissione ad assistenza riabilitativa e il divieto di avere contatti con la vittima), si prevede una fase in cui egli mantenga un'attività lavorativa nell'ambito del mercato del lavoro in una situazione di vita che si avvicini sempre più a quella di libertà, disponga di un alloggio (esterno) adeguato (con stipulazione di un contratto di locazione) e gli venga concesso dall'autorità competente il regime di electronic monitoring e/o di lavoro e di alloggio esterno, ciò che sinora non è avvenuto.
3.7.
Nella sua audizione davanti al giudice dei provvedimenti coercitivi tenutasi in data 21.12.2011 RE 1, dal lato economico, ha dichiarato di prevedere l'aumento al 100 % del suo attuale impiego presso la lavanderia _. Tuttavia, trattandosi di un laboratorio protetto (con una retribuzione di CHF 5.-- all'ora), egli è sin d'ora cosciente che non riuscirà a trarne i mezzi sufficienti per il suo sostentamento. Ulteriori attività da lui in vista sarebbero nell'ambito del volontariato (essendo il padre attivo in questo settore), che se da un lato gioverebbero alla sua integrazione nel tessuto sociale dall'altro lato non sono atti a migliorare la sua precaria situazione finanziaria. Di conseguenza, in modo del tutto generico e senza garanzia alcuna, egli ha ipotizzato la possibilità di controllare la disoccupazione e/o di ottenere una rendita AI (la cui domanda è tuttora pendente e di cui è incerto non solo l'esito ma anche la possibile percentuale di invalidità) e/o un sostegno sociale.
Sul piano logistico, altrettanto genericamente e un po' semplicisticamente, egli asserisce che in caso di liberazione "
andrei provvisoriamente presso la pensione al _ a _ o una simile a poco prezzo il tempo di organizzarmi e trovare un appartamento
" (verbale di discussione 21.12.2011). Sennonché come emerge dalle ricerche in internet da lui stesso effettuate (allegate al suo reclamo 20/21.02.2012) la pigione di un appartamento monolocale o di un locale e mezzo sito nel _ ammonta a (almeno) CHF 700.-- (fino ad oltre CHF 1'000.--). Col che è del tutto evidente che con i (precari) mezzi finanziari su cui il reclamante può attualmente far capo in caso di un suo immediato rilascio, egli non riuscirà a farvi fronte. Sebbene col padre e con la sorella egli detenga buoni e importanti rapporti, dagli stessi non risulta che potrebbe ottenere, ancorché provvisoriamente, un aiuto di tipo finanziario e/o logistico. Per quanto riguarda la sottomissione al Patronato, seppure consigliata, egli ha apertamente asserito di ritenerla inutile, disponendo già di un curatore.
Infine merita una seria riflessione l'ultima asserzione di RE 1, secondo cui "
aggiungo che quando esco di qui vorrei prendermi 15 giorni per staccare, sono già d'accordo anche con il lavoro, per esempio ho una concreta possibilità di recarmi da un amico in _ che mi ha invitato (avrei a carico solo il viaggio) per aiutarlo a trovare una soluzione per sistemare il suo riscaldamento
".
3.8.
Ora, malgrado si debba riconoscere l'evoluzione positiva del reclamante in esecuzione di pena (avvenuta comunque per gradi e in un ambiente protetto e ben istituito) come pure la sua seria volontà di continuare anche dopo il suo rilascio l'importante trattamento terapeutico iniziato con successo in carcere, in esito a quanto visto sopra, s'impone, prima della sua liberazione condizionale, il passaggio all'ulteriore fase prevista nel PES (anche se per un breve periodo) di regime di electronic monitoring e/o di lavoro e di alloggio esterni, così come suggerito dalla Direzione delle strutture carcerarie e condiviso dal giudice dei provvedimenti coercitivi.
Senza questo ulteriore importante passaggio, a questo stadio, la prognosi in punto al pericolo di recidiva risulta anche per questa Corte sfavorevole. Ciò tenuto conto dei precedenti penali del reclamante, dell'accertata (e ancora attuale) sua turba psichica -connessa ai reati commessi -, della sua difficoltà nell'organizzarsi, della precarietà della sua situazione finanziaria, logistica e sociale nel corto periodo, di cui egli a tutt'oggi non sembra ancora essere pienamente cosciente.
Pertanto la decisione del giudice dei provvedimenti coercitivi qui impugnata merita tutela.
4.
Il reclamo è respinto. La tassa di giustizia e le spese, contenute al minimo per tener conto della sua difficile situazione economica, sono poste a carico del reclamante, soccombente. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,012 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
a6b493e6-70db-53c2-99ff-f25a2185ec12 | in fatto ed in diritto
1.
A seguito dello scritto 18/20.07.2001, mediante il quale l’Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro ha segnalato al Ministero pubblico di _ di aver ricevuto in data 17.07.2001 una comunicazione di sospetto ai sensi dell’art. 9 LRD da parte dell’intermediario finanziario
"_"
in relazione ad un versamento effettuato da IS 1, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale (inc. MP _).
Il 7.08.2001 IS 1, su ordine del magistrato inquirente, è stato arrestato per le ipotesi di reato di truffa e riciclaggio di denaro (AI 7) e il giorno seguente è stato scarcerato (AI 8).
Il 2.04.2002 l’allora procuratore pubblico Giovan Maria Tattarletti ha emanato un decreto di abbandono, non motivato, nei confronti di IS 1 per insufficienza di prove [
"
(...), ritenuto che l’inchiesta esperita non ha potuto accertare l’origine criminosa del denaro provenuto in data _ sul conto corrente _ _ intestato all’indagato
" (decreto di abbandono non motivato 2.04.2002, ABB _)].
Il summenzionato decreto è regolarmente passato in giudicato, non essendo stata richiesta la motivazione scritta entro il termine di dieci giorni dalla sua intimazione.
2.
Con la presente istanza IS 1 chiede, in sostanza, di ottenere la trasmissione degli atti istruttori del summenzionato incarto penale, nel frattempo archiviato, che lo riguarda personalmente. A sostegno della sua richiesta afferma in particolare che il suo patrocinatore vorrebbe conoscere le motivazioni alla base di quel
"
Fermo
"
, avvenuto nel mese di agosto del 2001 (doc. CRP 1).
3.
3.1.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che:
"
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
3.2.
Nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di accusato ai sensi del previgente CPP TI) nel procedimento penale nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo.
C
ome ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10).
Inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994, p. 19).
Lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG.
4.
Nella fattispecie in esame appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, degli atti istruttori dell’incarto penale sfociato nel decreto di abbandono (non motivato) 2.04.2002 (ABB _) emanato a suo carico, poiché il procedimento penale nel frattempo archiviato l’ha interessato personalmente in veste di parte.
A ciò aggiungasi che il suo legale vorrebbe conoscere i motivi alla base della sua incarcerazione avvenuta nel mese di agosto 2001.
Di conseguenza gli atti istruttori dell’incarto ABB _ vengono trasmessi, in copia, all’istante unitamente alla presente decisione.
5.
L’istanza è accolta ai sensi del precedente considerando. Non si prelevano tassa di giustizia e spese, essendo il qui istante già stato parte al procedimento penale sfociato nell’ABB _ (passato in giudicato). | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,015 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
a818494f-52f1-5912-b150-a18ee47544af | in fatto
a.
Nell’ambito dell’operazione denominata “_” volta alla repressione della prostituzione illegale e di quanto ad essa collegato, è stato aperto un procedimento penale nei confronti di RE 1 per i titoli di reato di usura, promovimento della prostituzione, falsità in documenti, riciclaggio di denaro e incitazione all’entrata, alla partenza o al soggiorno illegale (AI 1-2, inc. MP _).
RE 1 è stato in carcerazione preventiva dal 25.7.2012 al 6.8.2012 (ordine di scarcerazione 6.8.2012, AI 15).
Contestualmente all’arresto a RE 1 è stata sequestrata svariata documentazione, segnatamente il suo pc, la documentazione bancaria personale, quella riguardante _ (società proprietaria della particella ove sorge lo stabile _ a _ nel quale vengono affittati appartamenti esclusivamente a prostitute), documentazione bancaria riguardante _ (società di cui RE 1 è amministratore), nonché altra documentazione riguardante relazioni contrattuali di queste società e personale dello stesso RE 1.
b.
Con un primo scritto di data 7.8.2012, dopo la scarcerazione di RE 1 e con riferimento al verbale di interrogatorio 6.8.2012 di _ (il quale avrebbe evidenziato che il reclamante, beneficiario economico della _, non partecipava ad alcuna decisione nell’ambito dell’esercizio della prostituzione), il patrocinatore del reclamante ha chiesto al procuratore generale l’emanazione di un decreto di abbandono nonché il dissequestro della documentazione e soprattutto dei conti bancari (AI 17).
Non ottenendo risposta, in data 14.9.2012 il patrocinatore ha sollecitato il magistrato inquirente a voler procedere nei suoi incombenti (AI 27).
Anche questo scritto è rimasto inevaso. Per tal motivo, in data 25.9.2012 il patrocinatore ha invitato nuovamente il procuratore generale a voler definire la posizione di RE 1 rispettivamente dissequestrare i conti bancari al fine di poter perlomeno onorare delle fatture di pertinenza della _ e di _ (AI 31).
Dopo altre due settimane di silenzio da parte del magistrato inquirente, in data 9.10.2012 ha inviato un ulteriore sollecito (AI 33).
c.
A quest’ultimo scritto il procuratore generale ha risposto in data 12.10.2012 comunicando che “
una decisione circa l’esito dell’istruttoria è del tutto prematura
” e che non appena completate le ricostruzioni bancarie e contabili in corso, avrebbe proceduto “
alle necessarie contestazioni nei confronti del suo patrocinato, con conseguente comunicazione dei relativi atti conformemente all’art. 101 cpv. 1 CPP. Anche le decisioni relative ai sequestri effettuati, verranno adottate conformemente all’art. 267 CPP, ovvero in sede di decisione finale
” (AI 34).
Il patrocinatore del reclamante ha inviato un ultimo sollecito al procuratore generale in data 30.10.2012, al fine di ottenere almeno un parziale dissequestro per il pagamento delle fatture sospese (AI 37).
Anche quest’ultimo scritto è rimasto senza riscontro.
d.
Con reclamo 14/15.11.
2012
RE 1 si è aggravato a questa Corte rimproverando al procuratore generale di non aver dato seguito alle sue richieste e chiedendo di far ordine allo stesso di “
procedere all’emanazione di una decisione formale di abbandono del procedimento nei confronti di RE 1 (...) ed indipendentemente dell’abbandono del procedimento penale in questa fase di procedere al dissequestro delle relazioni bancarie intestate a RE 1, a _, a _ e a tutti gli oggetti sequestrati il 25.07.2012 presso la residenza del signor RE 1 ad _
” (reclamo 14/15.11.
2012, p. 6).
Dopo aver ripreso i fatti ed esposto tutti i vari solleciti inviati al procuratore generale, il reclamante sostiene che nessuno dei reati prospettati possa essergli imputato, in quanto come dichiarato da _ in sede di verbale di interrogatorio 6.8.2012, RE 1 “
non partecipava ad alcun processo decisionale di nessun genere nell’ambito dell’esercizio della prostituzione praticato al Palazzo _
” (reclamo 14/15.11.
2012, p. 3), motivo per cui si giustificherebbe l’emanazione di un decreto di abbandono nei suoi confronti ed il dissequestro dei conti e della varia documentazione, in quanto gli averi ivi depositati non possono rientrare “
sotto il cappello del provento di reato
”
(reclamo 14/15.11.
2012, p. 4-5).
Afferma che “
a nulla vale una giustificazione fornita oralmente dal PG al sottoscritto legale secondo il quale sarebbero in corso accertamenti per eventuali violazioni di natura fiscale che peraltro sfuggono alla competenza della Magistratura penale. Siamo quindi in presenza di un classico caso di denegata/ritardata giustizia (...)
” (reclamo 14/15.11.
2012, p. 5).
RE 1 conclude sostenendo che “
questa Corte (...) dovrà quindi impartire istruzione all’Autorità interessata fissandole un termine per sanare la situazione onde evitare che la situazione di incertezza perduri
” (reclamo 14/15.11.
2012, p. 5).
e.
Delle osservazioni/duplica del procuratore generale così come della replica di RE 1 si dirà, laddove necessario, in corso di motivazione. | in diritto
1.
1.1.
Giusta l’art. 393 cpv. 1 lit. a CPP il reclamo può essere interposto contro le decisioni e gli atti procedurali della polizia, del pubblico ministero e delle autorità penali delle contravvenzioni, eccettuati i casi in cui è espressamente escluso dal Codice o quando è prevista un’altra impugnativa.
Con il gravame, da introdurre davanti alla giurisdizione di reclamo (art. 20 cpv. 1 lit. b CPP), ovvero, in Ticino, alla Corte dei reclami penali (art. 62 cpv. 2 LOG), si possono censurare le violazioni del diritto, compreso l’eccesso e l’abuso del potere di apprezzamento e la denegata o ritardata giustizia (art. 393 cpv. 2 lit. a CPP), l’accertamento inesatto o incompleto dei fatti (art. 393 cpv. 2 lit. b CPP) e l’inadeguatezza (art. 393 cpv. 2 lit. c CPP).
Il reclamo deve essere presentato per iscritto e motivato (art. 396 cpv. 1 CPP), con riferimento in particolare all’art. 390 CPP per la forma scritta ed all’art. 385 CPP per la motivazione.
Il reclamo per denegata giustizia non è subordinato al rispetto di alcun termine (art. 396 cpv. 2 CPP).
Esso deve indicare, in particolare, i fatti costitutivi della denegata giustizia ed i mezzi di prova eventualmente auspicati.
1.2.
Il reclamante, oltre a lamentare una denegata giustizia, chiede a titolo principale di far ordine al procuratore generale di emanare un decreto di abbandono nei suoi confronti
(reclamo 14/15.11.
2012, p. 6).
Questa richiesta non è ricevibile.
1.3.
Giusta l’art. 2 cpv. 2 CPP i procedimenti penali possono essere svolti ed evasi soltanto nelle forme previste dalla legge (“
Erledigungsgrundsatz
”): nel processo penale c’è dunque un
numerus clausus
delle forme disciplinate per le procedure e per l’evasione delle pratiche (Commentario CPP – P. BERNASCONI, art. 2 CPP n. 8; BSK StPO – P. STRAUB / T. WELTERT, art. 2 CPP n. 12).
1.3.1.
Il CPP assegna al magistrato inquirente (che, giusta l’art. 16 CPP, è responsabile dell’esercizio uniforme della pretesa punitiva dello Stato e dirige la procedura preliminare, persegue i reati nell’ambito dell’istruzione e, se del caso, promuove e sostiene l’accusa) il compito di decidere, nella procedura di istruzione, se emanare un decreto di non luogo a procedere (art. 310 CPP) o di abbandono (art. 319 ss. CPP) oppure un decreto di accusa (art. 352 ss. CPP) o, ancora, se sospendere il procedimento (art. 314 CPP) o se promuovere l’accusa (art. 324 ss. CPP) [BSK StPO – R. GRÄDEL / M. HEINIGER, art. 319 CPP n. 2; ZK StPO – N. LANDSHUT, art. 319 CPP n. 4; N. SCHMID, StPO Praxiskommentar,
vor
art. 319-327 CPP n. 3;
Messaggio concernente l’unificazione del diritto processuale penale del 21.12.2005, p. 1175
].
Nessun’altra autorità, se si eccettuano la possibilità di reclamo contro il decreto di abbandono (art. 322 cpv. 2 CPP) e l’esame dell’accusa da parte del giudice competente (art. 329 CPP), può pertanto pronunciarsi in merito all’abbandono del procedimento penale ed alla promozione dell’accusa (
Messaggio concernente l’unificazione del diritto processuale penale del 21.12.2005, p. 1175;
ZK StPO – N. LANDSHUT, art. 319 CPP n. 5).
1.3.2.
Questa Corte, pendente l’istruzione, non è competente a decretare l’abbandono del procedimento penale o la promozione dell’accusa, facoltà che rientrano nell’incombenza esclusiva del magistrato inquirente.
Resta da esaminare se la Corte dei reclami penali, adita con reclamo, possa “
istruire
” il magistrato inquirente, nel senso di dargli vincolanti indicazioni circa il prosieguo del procedimento e, nel caso concreto, di abbandonare il procedimento.
1.3.3.
Si deve anzitutto fare riferimento all’art. 4 CPP sull’indipendenza, che recita: “
Nell’applicazione del diritto le autorità penali sono indipendenti e sottostanno soltanto al diritto.
(cpv. 1).
E’ fatto salvo il potere di impartire istruzioni alle autorità di perseguimento penale, secondo l’articolo 14.
(cpv. 2)”.
Indipendenza ed imparzialità di giudizio comportano l’esercizio delle funzioni processuali senza essere sottoposti e senza dovere tenere conto di influenze e di istruzioni di altri organi statali e di altre persone fisiche o giuridiche, comprese le parti nel processo (Commentario CPP – P. BERNASCONI, art. 4 CPP n. 15).
L’indipendenza di cui al cpv. 1 dell’art. 4 CPP concerne tutte le autorità penali previste dal CPP, quindi anche le autorità di perseguimento penale elencate nell’art. 12 CPP, in particolare il pubblico ministero (
Messaggio concernente l’unificazione del diritto processuale penale del 21.12.2005, p. 1035).
L’indipendenza vale pure nei confronti delle autorità giudiziarie gerarchicamente superiori, che non sono legittimate a stabilire quale condotta o giudizio sia conforme al diritto in un determinato caso concreto, se non nell’ambito di un giudizio pronunciato nell’esame di un rimedio processuale previsto dalla legge (Commentario CPP – P. BERNASCONI, art. 4 CPP n. 17). Anche la giurisprudenza anteriore non è vincolante; la sua influenza dipende soltanto dalla sua forza di convincimento e dalla sua autorevolezza interna.
1.3.4.
Le uniche eccezioni all’indipendenza riferite alla giurisdizione di reclamo sono quelle previste dalla legge (per es. art. 397 cpv. 3/4 CPP) quando consente all’autorità giudiziaria superiore di emanare istruzioni in un caso concreto, in accoglimento di un rimedio giuridico presentato contro la decisione di un’istanza inferiore (Commentario CPP – P. BERNASCONI, art. 4 CPP n. 18; ZK StPO – W. WOHLERS, art. 4 CPP n. 12).
Giusta l’art. 397 cpv. 3 CPP, se accoglie il reclamo contro un decreto di abbandono, la giurisdizione di reclamo può impartire al pubblico ministero o all’autorità penale delle contravvenzioni istruzioni circa il seguito della procedura. La norma non è certo applicabile al caso concreto.
Giusta l’art. 397 cpv. 4 CPP, se accerta che vi è stata denegata o ritardata giustizia, la giurisdizione di reclamo può impartire istruzioni all’autorità interessata, fissandole termini per sanare la situazione. Questa norma potrebbe entrare in linea di conto, ma presuppone vi sia una denegata o ritardata giustizia.
Ma anche in questa situazione eccezionale, richiamata dall’art. 4 cpv. 2 CPP, sarebbe contraria al principio di indipendenza un’istruzione che riguardasse il modo di concludere un’inchiesta preliminare oppure che richiedesse l’emanazione di un decreto di non luogo a procedere o di abbandono (Commentario CPP – P. BERNASCONI, art. 4 CPP n. 21).
La giurisdizione di reclamo può, se la legge lo consente, dare istruzione nel senso di tempestivamente emanare le decisioni che sono di competenza del magistrato inquirente.
Il principio dell’indipendenza di cui al predetto art. 4 CPP permette dunque ad un’autorità superiore di impartire istruzioni ad un’autorità inferiore soltanto per quanto previsto dalla legge, ed in modo limitato.
1.3.5.
Per tutto quanto precede, risulta pertanto che la richiesta, formulata nel gravame (reclamo 14/15.11.2012, p. 6) di far ordine al procuratore pubblico di abbandonare il procedimento nei confronti di RE 1 non sia ricevibile.
1.4.
Il reclamante domanda, oltre all’emanazione di un decreto di abbandono, accessoriamente e subordinatamente, anche il dissequestro di tutti i beni patrimoniali ancora sotto sequestro che sono a lui riconducibili
(reclamo 14/15.11.
2012, p. 6).
Anche tale richiesta, in quanto conseguente (accessoria) alla richiesta di abbandono, è da ritenersi irricevibile e prematura non essendoci ancora una decisione in merito da parte del magistrato inquirente, lo stesso si è infatti limitato ad informare il reclamante circa il fatto che “
le decisioni relative ai sequestri effettuati, verranno adottate conformemente all’art. 267 CPP, ovvero in sede di decisione finale
” (scritto 12.10.2012, AI 34).
1.5.
Il gravame sarebbe, per contro, ricevibile per quanto inteso a far unicamente constatare una denegata o ritardata giustizia sulla decisione di dissequestro o meno, e più in generale nella conduzione del procedimento.
Per queste censure, e nei limiti sopra esposti, il reclamo è proponibile in ordine, anche se le esigenze di motivazione sono solo parzialmente rispettate.
2.
2.1.
Di principio, ed in diritto, il divieto di denegata/ritardata giustizia, sancito positivamente dall’art. 29 cpv. 1 Cost., impone che le autorità giudiziarie evadano le procedure di loro competenza (e si organizzino per poterlo fare) in un tempo adeguato, in relazione a natura e complessità della causa.
Si ha denegata/ritardata giustizia quando l’autorità alla quale compete l’emanazione di una decisione o l’impulso di un procedimento semplicemente non vi pone mano oppure quando, pur dimostrandosi pronta a statuire, non lo fa tempestivamente e in modo adeguato alla natura delle cose e delle circostanze, ritenuto che il lamentato ritardo non sia compatibile con le esigenze processuali, segnatamente con i bisogni dell’istruttoria, con la complessità delle questioni di fatto e di diritto sollevate, nonché, ma in minor misura, con l’aggravio di pratiche pendenti (REP. 1998, p. 350, con riferimento a DTF 107 Ib 160; DTF 117 Ia 193; DTF 124 I 139), e ritenuto che la violazione del principio dipende dal comportamento effettivo e oggettivo dell’autorità e può essere violato “
même si les autorités pénales n’ont commis aucune faute; elles ne sauraient ainsi exciper des insuffisances de l’organisation judiciaire
” (DTF 130 IV 54).
Il principio della celerità (art. 5 cpv. 1 CPP) proibisce che decisioni di competenza dell’autorità siano prese con un ritardo ingiustificato. L’autorità viola questo principio costituzionale (art. 29 cpv. 1 in fine Cost., art. 31 cpv. 3 in fine / 4 in fine Cost.) quando non statuisce sulla decisione di sua pertinenza entro i termini fissati dalla legge o entro un termine ragionevole, tenendo conto della natura della procedura e di tutte le circostanze (M. MINI, Il principio della celerità in materia penale, in Diritto senza devianza, 2006, p. 527 ss., in particolare p. 530).
2.2.
Il reclamante, nel proprio gravame, si limita a riportare i vari solleciti inviati al procuratore generale, nonché l’unica risposta agli stessi del magistrato inquirente (scritto 12.10.2012, AI 34), sostenendo - in maniera del tutto sommaria - che tale atteggiamento, unitamente al fatto di non abbandonare il procedimento nei suoi confronti e di non dissequestrare di conseguenza quanto di sua spettanza, configurerebbe una manifesta ritardata/denegata giustizia. In questo senso RE 1 viene meno, almeno in parte, al suo obbligo di motivazione.
2.3.
N
el caso in esame, dall’esame dell’incarto in questione, risulta (cfr. verbale di procedimento dell’inc. MP _) che il Rapporto d’esecuzione è pervenuto al Ministero pubblico in data 25.7.2012 (AI 1).
A seguito di ciò vi è stata l’apertura dell’istruzione penale (AI 2), altri atti relativi all’arresto del reclamante, verbali di interrogatorio di RE 1 e _, nonché atti riguardanti vari ordini di perquisizione e sequestro (AI 3-20).
In data 13.9.2012 è giunto al Ministero pubblico il Rapporto di segnalazione della Polizia cantonale (AI 21). A questo sono seguiti ulteriori atti relativi a perquisizioni e sequestri sino al 29.10.2012 (AI 22-36).
Inoltre, dallo scritto di risposta ai solleciti del procuratore generale, risulta come lo stesso sia intenzionato a operare una valutazione sul procedere, “
non appena completate le ricostruzioni bancarie e contabili in corso
” (scritto 12.10.2012, AI 34).
Così come anche nelle osservazioni e nella duplica al presente reclamo il magistrato inquirente spiega i motivi che giustificano i tempi di completazione della fase istruttoria, trattandosi di un procedimento con implicazioni finanziarie.
Va ritenuto infatti che, il procedimento penale oggetto del gravame è tuttora in attivo svolgimento.
2.4.
Le critiche del reclamante circa la mancata reazione del magistrato inquirente ai suoi solleciti, non sono certo sufficienti per ritenere una denegata/ritardata giustizia nella conduzione del procedimento. Basti qui rilevare che il procuratore generale è dominus dell’inchiesta e pertanto non ha alcun obbligo di dare seguito a richieste dell’imputato circa il seguito della procedura. Come detto, resta infatti
nella competenza esclusiva del magistrato inquirente, la valutazione della chiusura o meno dell’istruzione, e l’emanazione di eventuali decisioni conseguenti.
In siffatte circostanze, nella fattispecie in esame, non si può che constatare una conduzione regolare del procedimento, vista anche la natura dei reati perseguiti e la loro complessità, al procuratore generale non può essere quindi rimproverata ritardata/denegata giustizia od omissione nella trattazione dell’incarto MP _.
3.
Il reclamo, per quanto ricevibile, è respinto. La tassa di giustizia e le spese seguono la soccombenza. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,013 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
a828af48-636a-5862-a1bb-ec9d17764158 | in fatto ed in diritto
1.
A seguito di un incidente sul lavoro accaduto il _, a _, sul lato nord della ditta _, in cui è deceduto _, dipendente della predetta società, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale sfociato dapprima nel decreto di non luogo a procedere 12.01.2010 emanato dall’allora sostituto procuratore pubblico Margherita Lanzillo (NLP _).
In data 8.06.2010 l’allora Camera dei ricorsi penali ha parzialmente accolto l’istanza di promozione dell’accusa 25/26.01.2010 ex art. 186 CPP TI presentata dalla moglie e dai figli della vittima (qui istanti), annullando il NLP _ e ordinando al magistrato inquirente la completazione delle informazioni preliminari ai sensi del CPP TI (decisione 8.06.2010 dell’allora Camera dei ricorsi penali, inc. _).
D
opo aver eseguito gli approfondimenti istruttori richiesti,
in data 23.08.2011 il
procuratore pubblico Margherita Lanzillo ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale PI 2 siccome ritenuto colpevole di omicidio colposo giusta l’art. 117 CP ed ha proposto la sua condanna alla pena pecuniaria di cinquanta aliquote da CHF 70.-- cadauna, corrispondenti a complessivi CHF 3'500.--, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, alla multa di CHF 200.--, al pagamento della tassa di giustizia e delle spese, rinviando gli accusatori privati al competente foro per far valere le loro pretese civili, e meglio come descritto nel DA _.
Con sentenza 17.04.2012, statuendo sull’opposizione interposta tempestivamente da PI 2, il presidente della Pretura lo ha prosciolto
dall’imputazione di omicidio colposo, riconoscendogli un’indennità giusta l’art. 429 CPP di CHF 8'000.-- (sentenza con motivazione 17.04.2012, inc. _).
Adita dagli accusatori privati, il 23.10.2012 la Corte di appello e di revisione penale (di seguito CARP) ha integralmente confermato la sentenza 17.04.2012, passata in giudicato il 19.12.2012 (inc. _).
2.
Con la presente istanza – trasmessa, per competenza ex art. 62 cpv. 4 LOG, dalla Pretura penale a questa Corte – l’avv. PR 1 chiede, in nome e per conto dei suoi assistiti, l’invio del verbale di dibattimento dell’inc. _.
Con scritto 17/18.10.2013, su richiesta del 16.10.2013 di questa Corte, il legale precisa anzitutto di aver patrocinato e di patrocinare i qui istanti, congiunti di
┼_
, deceduto a seguito dell’incidente sul lavoro occorsogli il _, i quali si erano costituiti parti civili ai sensi del CPP TI nel procedimento penale nel frattempo archiviato. Rileva che PI 2 è stato prosciolto dall’imputazione di omicidio colposo, sia nel giudizio di primo grado, sia in quello di secondo grado: dagli atti istruttori della Pretura penale (inc. _) e della CARP (inc. _) emergerebbero nondimeno alcuni aspetti che potrebbero assumere la loro rilevanza nell’ambito della procedura risarcitoria promossa presso la Pretura di _ dai suoi assistiti nei confronti di _ e del suo direttore. Queste informazioni riguarderebbero il ruolo assunto da PI 2 nonché la delega di competenze operata nei suoi confronti dal datore di lavoro riguardo alle questioni di sicurezza sul lavoro. Il procedimento civile è, ad oggi, allo stadio della mancata conciliazione delle parti, con la decorrenza del termine di tre mesi per promuovere l’azione civile. La presente richiesta e l’invio degli atti penali si renderebbe necessaria per l’allestimento della relativa petizione: da qui l’interesse giuridico legittimo ex art. 62 cpv. 4 LOG.
3.
Come esposto in entrata, la Pretura penale non ha presentato osservazioni in merito alla richiesta.
Questa Corte ha deciso di non interpellare PI 2, imputato nel procedimento penale in questione nel frattempo archiviato, essendo i qui istanti stati parte (in qualità di accusatori privati) al medesimo.
4.
4.1.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
4.2.
Nel presente caso, pur essendo stati gli istanti parte (in qualità di accusatori privati) nel procedimento nel frattempo terminato, essi devono seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo.
C
ome ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10).
Inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19).
Lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG.
5.
5.1.
Nella fattispecie in esame – visti i (dettagliati) motivi esposti dall’avv. PR 1 nel suo scritto 17/18.10.2013 e considerati inoltre il contenuto e l’esito della
sentenza con motivazione 17.04.20213 della Pretura penale (inc. _) rispettivamente della
sentenza 23.10.2012 della CARP (inc. _), passata in giudicato – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo dei qui istanti [moglie e figli della vittima (cfr. decisione 8.06.2010 dell’allora Camera dei ricorsi penali, p. 7, inc. _)] giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, del verbale del dibattimento 17.04.2012 (inc. _) della Pretura penale (come richiesto).
In effetti, i qui istanti sono stati parti (in veste di accusatori privati) nell’ambito del procedimento penale in questione (nel frattempo archiviato), conclusosi con il proscioglimento di un dipendente della _, ove esercitava la sua attività lavorativa il loro stretto famigliare
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. Considerato che alla base del procedimento penale (archiviato) e di quello civile (pendente presso la Pretura di _ nelle fasi iniziali) vi è la medesima fattispecie (l’incidente occorso il _ ai danni di
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, allora dipendente della _) e visto inoltre l’esito del procedimento penale (sfociato in un giudizio di assoluzione), l’atto istruttorio richiesto potrebbe essere potenzialmente utile al patrocinatore dei qui istanti nell’allestimento della petizione (volta ad ottenere un risarcimento nei confronti della ditta _ e del suo direttore in relazione a quanto accaduto quel giorno).
Di conseguenza il verbale di dibattimento richiesto (con gli allegati) viene trasmesso, in copia, al patrocinatore dei qui istanti unitamente alla presente decisione.
5.2.
Questa Corte – sempre in relazione ai motivi esposti nella presente richiesta e in applicazione dell’art. 62 cpv. 4 LOG – autorizza inoltre l’avv. PR 1, se necessario, ad esaminare presso la Pretura penale tutti gli atti istruttori dell’incarto _, e presso la CARP tutti gli atti istruttori riguardanti l’incarto _, concordando i tempi di accesso con i collaboratori delle rispettive cancellerie, compatibilmente con i loro impegni.
Il legale è, se del caso, autorizzato a fotocopiare gli atti istruttori utili per le sue incombenze.
6.
L’istanza è accolta ai sensi delle suddette considerazioni. Non si prelevano tassa di giustizia e spese, essendo i qui istanti già stati parti al procedimento penale in questione nel frattempo archiviato. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,013 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
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a91160a6-2102-5c2a-9d29-f2c8b9484a5c | in fatto ed in diritto
che il 5.09.2011 la Corte delle assise criminali ha emanato una sentenza di condanna a carico di IS 1 e lo ha in particolare riconosciuto autore colpevole di ripetuta coazione (in parte tentata), ripetuta sottrazione di minorenne, ripetuta minaccia, lesioni semplici, ripetute vie di fatto, ripetuta disobbedienza a decisioni dell'autorità, ingiuria, ripetuta guida senza l'assicurazione di responsabilità civile e inosservanza dei doveri in caso di infortunio (inc. TPC _);
che con giudizio 2.02.2012 la Corte di appello e di revisione penale ha parzialmente accolto l’appello presentato dall’imputato, riducendo a ventiquattro mesi la pena detentiva, confermando in sostanza la condanna dei summenzionati reati;
che con sentenza _ il Tribunale federale ha respinto, nella misura della sua ammissibilità, il ricorso presentato dall’imputato (decisione TF _ del _);
che il 16.12.2013 la Corte delle assise correzionali di _ ha ritenuto IS 1 autore colpevole di coazione, ingiuria, minaccia, vie di fatto, disobbedienza a decisioni dell’autorità e, avendo agito in stato di lieve scemata imputabilità, lo ha in particolare condannato alla pena detentiva di dodici mesi (da dedursi il carcere preventivo sofferto) (inc. TPC _);
che con sentenza 16.04.2014 la Corte di appello e di revisione penale del Cantone Ticino, in parziale accoglimento dell'appello dell’imputato, lo ha dichiarato autore colpevole di coazione, ingiuria, minaccia, vie di fatto e disobbedienza a decisioni dell'autorità; riconoscendogli di aver agito in stato di lieve scemata imputabilità, gli ha in particolare inflitto una pena detentiva di dieci mesi (da dedursi il carcere preventivo sofferto);
che il _ il Tribunale federale ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall’imputato (decisione TF _ del 5.06.2014);
che con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Tribunale penale cantonale a questa Corte – IS 1 postula, urgentemente, la trasmissione, in copia delle sentenze di cui agli incarti TPC _ e _, senza però indicare i motivi alla base della sua richiesta (doc. CRP 1.a);
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare le altre parti ai due summenzionati procedimenti penali nel frattempo archiviati, essendo il qui istante stato parte (in qualità di imputato) ai medesimi;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di imputato) nei due procedimenti nel frattempo terminati, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994, p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – nonostante abbia omesso di indicare i motivi che stanno alla base della sua richiesta – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, delle due sentenze richieste, poiché i procedimenti penali, nel frattempo archiviati, l’hanno interessato personalmente in veste di parte;
che di conseguenza le due sentenze richieste vengono trasmessa, in copia, al qui istante unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo il qui istante già stato parte ai suddetti procedimenti penali nel frattempo archiviati. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,014 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
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a9202b59-0af9-593b-9f38-1804a4882f47 | in fatto:
che con sentenza del 23 maggio 2001 il presidente della Corte delle assise correzionali di Lugano ha riconosciuto _ e _ autori colpevoli di mancata truffa e falsità in documenti.
che egli ha, in estrema sintesi, accertato che dal febbraio a marzo del 2000 i soggetti, in correità con terzi e a scopo di indebito profitto, hanno disposto la messa all'incasso dell'assegno no. _ di Bank _ di U$ 911'000.12 e dell'assegno no. _ della _ di U$ 1'000'000.–– che sapevano falsi o ottenuti fraudolentemente nell'intento di ingannare con astuzia i funzionari della _, presso i cui sportelli gli assegni sono stati presentati.
che in questo modo il primo giudice ha confermato le imputazioni contenute nei decreti di accusa del 29 maggio 2000, contro i quali i prevenuti hanno interposto opposizione.
che confermando anche le pene proposte nei decreti di accusa, il presidente della Corte delle assise correzionali ha condannato _ e _ a 3 mesi di detenzione sospesi condizionalmente con un periodo di prova di tre anni e, inoltre, _ alla pena accessoria dell'espulsione dalla Svizzera per 3 anni, sospesa condizionalmente con un periodo di prova della stessa durata.
che egli ha inoltre disposto la confisca degli assegni sequestrati.
che contro la sentenza di assise _ ha presentato il 25 maggio 2001 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale
che Il 2 luglio successivo egli ha presentato ricorso in lingua tedesca, ciò che ha comportato l'assegnazione di un termine di 20 giorni da parte del presidente della Corte di cassazione e di revisione penale per tradurre in lingua italiana il gravame, poiché essendo la lingua ufficiale del Canton Ticino l'italiano, questo va usato per rivolgersi all'Autorità sotto pena dell'inammissibilità dell'atto che non ossequia tale esigenza;
che anche _ ha impugnato la sentenza di assise (inc. _);
che Il 16 luglio 2001 _ ha comunicato alla Corte di cassazione e di revisione penale di non sapere parlare l'italiano, né tantomeno di saperlo scrivere e di considerare perciò valido il testo tedesco.
che egli ha quindi chiesto che gli sia designato un difensore d'ufficio con gratuito patrocinio, che il suo ricorso in lingua tedesca sia tradotto e che i termini ricorsuali siano prorogati fino a quando il difensore d'ufficio abbia preso conoscenza della fattispecie e sia in grado di difenderlo
che egli ha richiamato la giurisprudenza del Tribunale federale che riconosce al prevenuto il diritto a una traduzione senza costi e il diritto ad essere assistito da un difensore d'ufficio.
che non sono state richieste osservazioni sul ricorso; | Considerando
in diritto:
che nella fattispecie la mancata traduzione in italiano entro il temine assegnato del ricorso presentato in lingua tedesca comporta l'inammissibilità del gravame per i motivi addotti nel decreto presidenziale del 2 luglio 2001;
che il ricorrente non può infatti pretendere che gli sia automaticamente riconosciuto il diritto di ottenere gratuitamente la traduzione del proprio ricorso per il solo fatto di non conoscere la lingua italiana;
che la dispensa da un costo del genere potrebbe, dandosene il caso, entrare in considerazione nell'ambito dell'assistenza giudiziaria, ossia nella misura in cui il ricorrente fa valere di non essere in grado di fare fronte ai costi di traduzione a causa della sua indigenza, senza che ciò di per sé comporti – sia come sia – la proroga del termine per dare seguito all'ingiunzione contenuta nel citato decreto presidenziale;
che nella fattispecie il ricorrente nemmeno asserisce di non potere, rispettivamente di non avere potuto ottenere la traduzione per mancanza di mezzi finanziari;
che egli si è limitato a produrre la fattura relativa a un "Kostenerlasszeugnis" del Canton Basilea–Città senza ulteriori specificazioni;
che in ogni modo la questione non ha da essere ulteriormente approfondita dato che, comunque sia, non vi è spazio per vagliare le censure ricorsuali e, quindi, non vi è nemmeno ragione per entrare nel merito della richiesta di assegnazione di un difensore d'ufficio;
che dalla documentazione agli atti (v, ricerca postale trasmessa all'allora patrocinatore del prevenuto per presa di posizione) risulta che l'opposizione al decreto di accusa è tardiva, poiché proposta dopo il perentorio termine di 15 giorni previsto dall'art. 208 cpv. 1 lett. e CPP;
che, infatti, risulta che il plico contenente il decreto di accusa, intimato il 29 maggio 2001, è stato ritirato alla posta di _ il giorno successivo, per cui l'opposizione del 20 giugno 2001 (sentenza, pag. 7) è manifestamene tardiva;
che un accertamento del genere – ancorché avvenuto dopo che la Corte di assise ha giudicato nel merito l'opposizione del prevenuto, comunque con riserva di una successiva indagine postale, considerato che rimanevano dubbi sulla sua tempestività, non avendo l'accusato voluto fornire alcuna attestazione in merito, nonostante la specifica richiesta in tal senso del presidente della Corte di merito già prima del dibattimento (sentenza, consid. 5, da cui si deduce che il prevenuto non ha fatto valere di non avere capito che l'opposizione andava fatta entro 15 giorni) – non può essere ignorato;
che la tempestività dell'opposizione al decreto di accusa costituisce, infatti, presupposto processuale, nel senso che soltanto il rispetto del termine prescritto dall'art. 208 cpv. 1 lett e CPP consente al giudice di entrare nel merito del procedimento;
che, pertanto, il primo giudice avrebbe dovuto vagliarlo già preliminarmente e non lasciarlo aperto, nel senso che egli non avrebbe dovuto condizionare la sentenza dalle risultanze di una successiva indagine (sentenza, pag. 8);
che il giudizio di merito da parte dei primo giudice nonostante l'assenza di un presupposto processuale non ha però influito sull'esito del procedimento, dato che per finire egli ha confermato sia le imputazioni, sia la pena proposte nel decreto di accusa;
che, come visto, tali considerazioni assumono valenza abbondanziale, dovendo il gravame essere dichiarato inammissibile per ragioni d'ordine formale (mancata traduzione del ricorso in lingua italiana);
che un esame nel merito dello stesso a seguito di sua traduzione avrebbe – sia come sia – comportato la correzione della sentenza impugnata, nel senso di dichiarare inammissibile l'opposizione al decreto di accusa e, di conseguenza, di constatare l'esecutività del medesimo, con carico dei relativi costi (sentenza, pag.19) allo stesso prevenuto, che non ha prodotto l'attestazione richiestagli per dimostrare la tempestività dell'opposizione (sentenza, pag. 8);
che nel risultato, come visto, nulla sarebbe perciò cambiato;
che vista la particolarità del caso e a titolo eccezionale, si prescinde dal riscuotere spese e tassa di giustizia relative al presente giudizio; | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,001 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
a95a8bf8-2a51-5ac1-9f4d-8ed4b9e7c7cb | in fatto: A.
Con sentenza 29 maggio 2009, la Corte delle assise criminali ha dichiarato:
A.1. RI 1
autore colpevole di:
-
infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti, siccome riferita ad un quantitativo di cocaina che sapeva o doveva presumere essere in grado di mettere in pericolo la salute di parecchie persone, per avere, senza essere autorizzato, a _ , in data imprecisata fra i mesi di marzo e aprile 2008, venduto a RI 2 almeno 1 kg di cocaina al prezzo di Euro 30’000.–, sostanza poi trasportata e importata in Svizzera dall’acquirente in correità con RI 5;
-
ripetuta infrazione alla Legge federale sugli stranieri, per essere, in data imprecisata del mese di giugno 2008 nonché il 23 settembre 2008, ripetutamente entrato illegalmente in Svizzera attraverso il valico di _ sprovvisto di documenti di legittimazione riconosciuti per il passaggio del confine;
-
contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti, per avere, senza essere autorizzato, nella notte fra il 23 e il 24 settembre 2008, in imprecisate località del _ , consumato un quantitativo minimo di cocaina e, nella medesima notte, a _ , detenuto 0,61 grammi di cocaina, sostanza destinata al suo consumo personale.
A.2.
RI 2 autore colpevole di:
-
infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti, siccome riferita ad un quantitativo di cocaina che sapeva o doveva presumere essere in grado di mettere in pericolo la salute di parecchie persone, per avere, senza essere autorizzato:
a _ , in altre imprecisate località del _ , nel periodo dicembre 2007/24 settembre 2008, venduto a vari acquirenti almeno 500 grammi di cocaina al prezzo di fr. 80/100.– al grammo, sostanza proveniente dagli acquisti in Italia menzionati ai punti A.1.3, A.1.4 e A.1.5 dell’atto di accusa;
agendo in correità con RI 4, a _ , in altre imprecisate località del _ , nel periodo fine marzo 2008/24 settembre 2008, venduto a vari acquirenti almeno 500 grammi di cocaina al prezzo di fr. 80/100.– al grammo, sostanza proveniente dagli acquisti in Italia menzionati ai punti A.1.3, A.1.4 e A.1.5 dell’atto di accusa;
nel periodo 31 luglio 2008 - 24 agosto 2008, a _ , posseduto 923,78 grammi di cocaina (purezza: fra il 28% e il 30%), sostanza destinata alla messa in commercio, proveniente dall’acquisto in Italia menzionato al punto A.1.5. dell’atto di accusa;
fra
il 15 e il 16 settembre 2008, partendo dal Ticino unitamente a _ e raggiungendo _ dove intendeva/sperava di incontrare un fornitore, fatto preparativi per l’acquisto di un imprecisato, ma importante quantitativo di cocaina;
-
tentata estorsione, per avere, a _ , in data 25 giugno 2008, per procacciare un indebito profitto a M., usando violenza contro S., tentato di indurre lo stesso ad atti pregiudizievoli al proprio patrimonio, dicendogli che doveva pagare a breve fr. 20'000.– per avere infortunato il 20 giugno 2008 M. ad un ginocchio, senza riuscire nell’intento poiché la vittima si rivolse alla Polizia denunciando l’accaduto;
-
contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti, per avere, senza essere autorizzato, a _ e in imprecisate località del _ , nel periodo dicembre 2007/24 settembre 2008, consumato almeno 450 grammi di cocaina e a _ , nella notte fra il 23 e il 24 settembre 2008, detenuto 0,38 grammi di cocaina, sostanza destinata al suo consumo personale;
-
rissa, per avere, il 1° maggio 2009, al secondo piano della sezione B del Penitenziario _ , preso parte ad una rissa che ha avuto per conseguenza il ferimento _ e dello stesso RI 2.
A.3.
RI 3 autore colpevole di:
-
infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti, siccome riferita ad un quantitativo di cocaina che sapeva o doveva presumere essere in grado di mettere in pericolo la salute di parecchie persone, per avere, senza essere autorizzato:
a _ in data imprecisata del mese di luglio 2008, ceduto a AM. e a FR. almeno 10 grammi di cocaina al prezzo di fr. 1’000.–, sostanza proveniente dall’acquisto in Italia indicato al punto A.1.4 dell’atto di accusa;
il 30/31 luglio 2008, agendo per conto e su indicazioni di RI 2 e in correità con RI 6, trasportato da _ verso il Ticino 1,6 kg di cocaina a bordo di una vettura condotta da RI 6 e importato detto stupefacente in Svizzera attraverso un imprecisato valico doganale, sostanza acquistata nelle circostanze di tempo e di luogo di cui al punto A.1.5 dell’atto di accusa;
-
riciclaggio di denaro, per avere, nel periodo giugno 2008/24 settembre 2008, trasportando dal _ nonché tenendo in deposito presso l’appartamento in suo uso nell’enclave italiana la somma complessiva di almeno fr. 16'000.–, compiuto atti suscettibili di vanificare l’accertamento dell’origine, il ritrovamento e la confisca di valori patrimoniali, sapendo o dovendo presumere che provenivano da un crimine;
-
tentata coazione, per avere, a _ , in data 25 agosto 2008, agendo in correità con K., usando violenza e minaccia di grave danno contro RI 6, in particolare spintonando e minacciando di morte la vittima, tentato di costringere quest’ultima, che non cedette alla violenza e alle intimidazioni, a rivelare dove aveva occultato i 923,78 grammi di cocaina da lui sottratti il 24 settembre 2008 dall’esercizio pubblico _ ;
-
ripetuta infrazione alla Legge federale sulla dimora e il domicilio degli stranieri:
per essere, nel periodo marzo 2007/31 dicembre 2007, ripetutamente entrato illegalmente in Svizzera attraverso il valico doganale di _ nonché lasciando la residenza di _ per raggiungere _ , privo di validi documenti di legittimazione;
per avere, nel periodo marzo 2007/31 dicembre 2007, soggiornato illegalmente in Svizzera, sprovvisto del necessario permesso di Polizia degli stranieri;
per avere svolto un’attività lucrativa a _ presso il _ per circa quattro mesi dal marzo 2007, sprovvisto del necessario permesso di Polizia degli stranieri;
-
ripetuta infrazione alla Legge federale sugli stranieri:
per essere, nel periodo 1° gennaio 2008/24 settembre 2008, ripetutamente entrato illegalmente in Svizzera lasciando la residenza di _ per raggiungere il _ , privo di validi documenti di legittimazione;
per avere, nel periodo 1° gennaio 2008/24 settembre 2008, soggiornato illegalmente in Svizzera, sprovvisto del necessario permesso di Polizia degli stranieri;.
per avere svolto un’attività lucrativa a _ nel periodo 1° aprile 2008/10 luglio 2008 e a Lugano presso l’esercizio pubblico _ dal mese di aprile 2008 al mese di giugno 2008, sprovvisto del necessario permesso di Polizia degli stranieri;
-
contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti, per avere, senza essere autorizzato, in un’occasione nel corso del mese di luglio 2008, nel _ , consumato un imprecisato (ma comunque minimo) quantitativo di cocaina;
-
rissa, per avere, il 1° maggio 2009, al secondo piano della sezione B del Penitenziario _ , preso parte ad una rissa che ha avuto per conseguenza il ferimento _ e di RI 2.
A.4.
RI 4 autore colpevole di:
-
infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti, siccome riferita ad un quantitativo di cocaina che sapeva o doveva presumere essere in grado di mettere in pericolo la salute di parecchie persone, per avere, senza essere autorizzato:
in _ in un appartamento in suo uso nonché a Taverne in una stanza dell’esercizio pubblico _ , nel periodo fine marzo 2008/24 settembre 2008, tenuto in deposito per conto di RI 2 almeno 1,9 (recte: 2,3) kg di cocaina
(già dedotto il quantitativo di 500 grammi di cocaina indicato al punto C dell’atto di accusa), sostanza proveniente dagli acquisti in Italia menzionati ai punti A.1.3, A.1.4 e A.1.5 dell’ atto di accusa;
agendo in correità con RI 2, a _ , in altre imprecisate località del _ , nel periodo fine marzo 2008/24 settembre 2008, venduto a vari acquirenti almeno 500 grammi di cocaina al prezzo di fr. 80/100.– al grammo, sostanza proveniente dagli acquisti in Italia menzionati ai punti A.1.3, A.1.4 e A.1.5 dell’atto di accusa;
da _ , in data 17 settembre 2008, trasportato a bordo della vettura condotta da V. 96 grammi di cocaina, sostanza previamente acquistata da RI 2 presso _ al prezzo di Euro 4'800.– grazie alla pregressa intermediazione di _ ;
da _ , in data 22 settembre 2008, trasportato a bordo della vettura condotta da K. 1 grammo di cocaina, sostanza previamente ceduta gratuitamente dapprima da _ e poi da questi a RI 2;
-
infrazione alla Legge federale sugli stranieri:
per essere, in data imprecisata del mese di gennaio 2008, entrato illegalmente in Svizzera attraverso il valico doganale di _ privo di documenti di legittimazione riconosciuti per il passaggio del confine;
per avere, nel periodo gennaio 2008/24 settembre 2008, soggiornato illegalmente in Svizzera, segnatamente a _ e in altre imprecisate località del _ , privo di validi documenti di legittimazione;
per avere, nel periodo gennaio 2008/fine marzo 2008, esercitato un’attività lucrativa a _ privo del necessario permesso di Polizia degli stranieri, percependo un salario complessivo di fr. 5'100.–;
-
contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti, per avere, senza essere autorizzato, a _ e in imprecisate località del _ , nel periodo fine marzo 2008/24 settembre 2008, consumato almeno 200 grammi di cocaina.
A.5.
RI 5 autore colpevole di:
-
infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti, siccome riferita ad un quantitativo di cocaina che sapeva o doveva presumere essere in grado di mettere in pericolo la salute di parecchie persone, per avere, senza essere autorizzato:
in data imprecisata fra i mesi di gennaio e febbraio 2008, agendo in correità con RI 2, trasportato da _ a bordo della propria vettura e importato in Svizzera attraverso il valico doganale di Stabio 1,5 kg di cocaina, sostanza acquistata da RI 2 nelle circostanze di tempo e di luogo di cui al punto A.1.2 dell’atto di accusa;
in data imprecisata fra i mesi di marzo e aprile 2008, agendo in correità con RI 2, trasportato da _ a bordo della propria vettura e importato in Svizzera attraverso il valico doganale di _ 1 kg di cocaina, sostanza acquistata da RI 2 nelle circostanze di tempo e di luogo di cui al punto A.1.3 dell’atto di accusa;
nel corso del mese di aprile 2008, accompagnandolo ad Agno dal venditore RI 2, procurato ad un suo cugino 5/6 grammi di cocaina, sostanza acquistata al prezzo di Euro 250/300.–;
in data imprecisata fra i mesi di maggio e giugno 2008, agendo in correità con RI 2, trasportato da _ a bordo della propria vettura e importato in Svizzera attraverso il valico doganale di _ 1⁄2 kg di cocaina, sostanza acquistata da RI 2 nelle circostanze di tempo e di luogo di cui al punto A.1.4 dell’atto di accusa;
- complicità in infrazione alla Legge federale sugli stupefacenti, per avere senza essere autorizzato:
a _ nel maggio 2008 e a _ nel giugno 2008, trasportando al volante della propria vettura RI 2 presso gli acquirenti RI 6 e M.M., aiutato il menzionato venditore ad incassare per almeno fr. 4'000.– il prezzo delle sue vendite di un imprecisato quantitativo di cocaina, stimabile in almeno 40 grammi;
il 6 o il 7 settembre 2008 a _ , consegnando a RI 1 la somma di Euro 4'000.– affidatagli da RI 2, aiutato quest’ultimo a pagare il prezzo dell’avvenuto acquisto di almeno 133 grammi di cocaina, sostanza destinata alla vendita a terzi nel _ ;
-
contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti, per avere, senza essere autorizzato, nel _ , nel periodo gennaio 2008/20 settembre 2008, consumato almeno 30 grammi di cocaina.
A.6.
RI 6 autore colpevole di:
-
infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti, siccome riferita ad un quantitativo di cocaina che sapeva o doveva presumere essere in grado di mettere in pericolo la salute di parecchie persone, per avere, senza essere autorizzato:
nel corso dei mesi di gennaio e febbraio 2008, a _ e in altre imprecisate località del _ , tenuto in deposito un quantitativo stimabile in almeno 400 grammi di cocaina, sostanza proveniente dalla vendita di 1⁄2 kg avvenuta a _ da RI 2 a V. il medesimo giorno dell’acquisto in Italia menzionato al punto A.1.1 dell’atto di accusa;
a _ , nel periodo marzo 2008/26 agosto 2008, venduto a vari acquirenti almeno 370 grammi di cocaina
ad un prezzo variante fra i fr. 100.– e i fr. 120.– al grammo, sostanza previamente acquistata da RI 2 e da RI 4 come descritto ai punti B.1.1 e C dell’atto di accusa;
a _ , nel periodo marzo 2008/26 agosto 2008, ceduto gratuitamente a vari cessionari almeno 130 grammi di cocaina, sostanza previamente acquistata da RI 2 e da RI 4 come descritto ai punti B.1.1 e C dell’atto di accusa;
a _
, nel periodo marzo 2008/26 agosto 2008, ripetutamente offerto a vari tossicodipendenti minimi quantitativi di cocaina destinati al loro consumo personale, sostanza previamente acquistata da RI 2 e da RI 4 come descritto ai punti
B.1.1 e C dell’atto di accusa;
il 30/31 luglio 2008, agendo per conto e su indicazioni di RI 2 e in correità con RI 3, trasportato da _ verso il Ticino 1,6 kg di cocaina a bordo di una vettura da lui condotta e importato detto stupefacente in Svizzera attraverso un imprecisato valico doganale, sostanza acquistata nelle circostanze di tempo e di luogo di cui al punto A.1.5 dell’atto di accusa;
a _ il 24 agosto 2008, sottraendoli dalla stanza in uso a RI 2 e a RI 4 presso l’esercizio pubblico _ , posseduto 923,78 grammi di cocaina (purezza: fra il 28% e il 30%), sostanza proveniente dall’acquisto in Italia menzionato al punto A.1.5 dell’atto di accusa;
a _ e in altre imprecisate località, a partire dal 2007 sino al 26 agosto 2008, venduto a vari acquirenti almeno 203,5 grammi di marijuana ad un prezzo non meglio quantificato;
a _ e in altre imprecisate località, a partire dal 2007 sino al 26 agosto 2008, ceduto gratuitamente a vari acquirenti almeno 20 grammi di marijuana;
-
guida in stato di inattitudine, per avere, in data 13 agosto 2008, sull’autostrada A2, in territorio di _ , trovandosi sotto l’influsso del THC, condotto la vettura VW Golf targata in stato di inattitudine;
-
infrazione alle norme della circolazione, per avere, in data 13 agosto 2008, percorrendo l’autostrada A2 in territorio di _ al volante della vettura VW Golf targata , perso la padronanza del veicolo, andando a sbattere contro il guidovia centrale, fermando la sua corsa 280 metri più avanti sulla corsia d’emergenza;
-
contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti, per avere, senza essere autorizzato:
nel periodo giugno 2006/26 agosto 2008, a _ e in altre imprecisate località, consumato un quantitativo di marijuana stimabile in almeno 550 grammi;
nel periodo gennaio 2008/26 agosto 2008, a _ e in altre imprecisate località, consumato almeno 200 grammi di cocaina;
in data 12 maggio 2007, ad _ , detenuto 0,4 grammi di marijuana, sostanza destinata al suo consumo personale;
in data 26 agosto 2008, a _ , detenuto 4,46 grammi di haschisc, 0,60 grammi di ecstasy e 3,87 grammi di funghi allucinogeni (
psilocybes
), sostanze destinate al suo consumo personale.
B.
In estrema sintesi la Corte di prime cure ha riconosciuto a carico degli imputati le seguenti responsabilità penalmente rilevanti:
B.1. RI 1
è stato riconosciuto colpevole di infrazione aggravata alla LStup, per aver fornito a RI 2 1 kg di cocaina in occasione del primo viaggio a _ , nel marzo/aprile 2008.
Egli è inoltre stato riconosciuto responsabile di infrazione alla LStr e per contravvenzione alla LStup così come indicato nell'atto di accusa.
In applicazione della pena, la Corte lo ha condannato alla pena detentiva di 3 anni e 6 mesi.
B.2.
RI 2 è stato riconosciuto colpevole di infrazione aggravata alla LStup per aver venduto almeno 4,3 kg di cocaina, di cui mezzo chilo unitamente a RI 4, nonché per averne detenuto 923,78 g. Inoltre è stato riconosciuto responsabile di atti preparatori volti all'importazione di un ulteriore importante quantitativo di cocaina in Svizzera, proveniente da _ , di tentata estorsione (ai danni di S.) e di rissa (commessa in carcere), così come di contravvenzione alla LStup per aver consumato 450 g di cocaina ed averne detenuti, la sera dell’arresto, 0,38 g.
In applicazione della pena, la Corte lo ha condannato alla pena detentiva di 6 anni.
B.3.
RI 3 è stato riconosciuto colpevole di infrazione aggravata alla LStup per aver trasportato 1,6 kg di cocaina destinata al mercato svizzero e per averne ceduti 10 g, nonché di contravvenzione alla LStup. È inoltre stato ritenuto responsabile di riciclaggio di denaro (per fr. 16'000.-), di tentata coazione (ai danni di RI 6) e di rissa (commessa in carcere), oltre che di ripetuta infrazione alla LDDS, rispettivamente alla LStr (soggiorno ed attività lucrative illegali).
In applicazione della pena, la Corte lo ha condannato alla pena detentiva di 4 anni.
B.4.
RI 4 è stato riconosciuto responsabile di infrazione aggravata alla LStup per aver venduto, unitamente a RI 2, 500 g di cocaina, per averne tenuti in deposito 2,3 kg e per averne trasportati 97 g, di infrazione alla LStr (soggiorno ed attività lucrativa illegali), nonché di contravvenzione alla LStup per aver consumato almeno 200 g di cocaina.
In applicazione della pena, la Corte lo ha condannato alla pena detentiva di 3 anni e 6 mesi.
B.5.
RI 5 è stato riconosciuto colpevole di infrazione aggravata alla LStup per aver importato in Svizzera, in tre occasioni, complessivamente 3 chili di cocaina e per aver procurato 5/6 g della stessa sostanza ad un cugino, come pure di complicità in infrazione alla LStup per aver favorito RI 2 nell'incasso dei proventi delle sue vendite accompagnandolo in macchina dagli acquirenti debitori nonché per aver portato e consegnato a RI 1, a _ , Euro 4’000 che RI 2 gli doveva per la fornitura della cocaina, oltre che di contravvenzione alla LStup per aver consumato circa 30 g di cocaina.
In applicazione della pena, la Corte lo ha condannato alla pena detentiva di 3 anni e 6 mesi.
B.6.
RI 6 è stato riconosciuto responsabile di infrazione aggravata alla LStup per aver trasportato dall’Italia alla Svizzera 1,6 kg di cocaina, per averne tenuti in deposito 400 g, detenuti 923,78 g, venduti 370 g, ceduti gratuitamente almeno 130 g e offerto minime quantità, come pure per un commercio di marijuana nell’ambito del quale ha venduto 203 g e offerto 20 g di tale sostanza a terzi. Egli è pure stato riconosciuto colpevole di contravvenzione alla LStup per aver consumato 550 g di marijuana e 200 g di cocaina nonché per aver detenuto ai fini del proprio consumo 0,4 g di marijuana, 4,46 g di hascisc, 0,6 g di ecstasy e 3,87 g di psilocybes (funghi allucinogeni). Per finire è stato ritenuto responsabile anche di guida in stato di inattitudine e di infrazione alla LCS.
In applicazione della pena, la Corte lo ha condannato alla pena detentiva di 4 anni, a valersi quale pena unica ai sensi dell’art. 46 cpv. 1 seconda frase CP rispettivamente dell’art. 49 cpv. 2 CP.
C.
Contro la sentenza appena citata RI 1, RI 2, RI 3, RI 4 e RI 5 il 2 giugno 2009, RI 6 il 3 giugno 2009, hanno introdotto una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nelle motivazioni scritte:
C.1. RI 1
il 20 luglio 2009 chiede in via principale che il dispositivo n. 1.1.1 sia annullato e che, in via subordinata, sia annullato il dispositivo n. 8.1 con fissazione della condanna ad una pena detentiva di 2 anni;
C.2.
RI 2 il 20 luglio 2009 chiede in via principale che i dispositivi n. 2.1.1, 2.1.3, 2.1.4, 2.2 e 8.2 siano riformati con conseguente riduzione della condanna a 4 anni di detenzione e, in via subordinata, che i medesimi dispositivi vengano cassati e gli atti trasmessi ad una nuova Corte delle assise criminali per un nuovo giudizio sulle pene;
C.3.
RI 3 il 20 luglio 2009 chiede il proscioglimento dalle imputazioni di cui ai dispositivi n. 3.4, 3.5.1 e 3.5.2 e di essere
“ritenuto colpevole di ripetuta infrazione alla Legge federale sugli stranieri per avere svolto un'attività lucrativa a Rivera presso il Ristorante Alpino dal mese di marzo 2008, a Bissone alla Taverna del Mozzo nel periodo 1° aprile 2008/10 luglio 2008 e a Lugano presso l'esercizio pubblico Spaghetti Store dal mese di aprile 2008 al mese di giugno 2008, sprovvisto del necessario permesso di polizia degli stranieri”
, come pure una riduzione della pena detentiva a 3 anni al massimo e concessione della condizionale, almeno parziale;
C.4.
RI 4 il 20 luglio 2009 chiede la riforma dei dispositivi n. 4.1.1, 4.1.2 e 8.4, con conseguente riduzione della pena detentiva in termini non meglio specificati;
C.5.
RI 5 il 20 luglio 2009 chiede in via principale la riforma dei dispositivi n. 5.1.1, 5.1.2, 5.1.4 e 8.5, con conseguente riduzione della pena detentiva a 3 anni e concessione della condizionale parziale e, in via subordinata, la cassazione della sentenza e il rinvio della causa
“alla Corte delle assise criminali affinché proceda alla nuova ricommisurazione della pena”
;
C.6.
RI 6 il 21 luglio 2009 chiede, in via principale, l'annullamento della sentenza
“su ogni punto”
e il rinvio
“al Presidente della Corte delle assise criminali”
per
“l'emissione di un nuovo giudizio”
e, in via subordinata, una riduzione della pena detentiva non meglio precisata, per tener conto di
“sottrazioni”
in quanto
“la mancata richiesta di anticipata espiazione”
sarebbe
“ininfluente ai fini della commisurazione della pena”
, egli avrebbe
“agito in stato di grave angustia limitatamente al trasporto di 1,6 Kg di cocaina da _ verso il Ticino”
e del proscioglimento dall'imputazione di cui al dispositivo n. 6.1.1 che egli postula.
D.
Con osservazioni 14 agosto 2009 il Procuratore pubblico ha chiesto la reiezione dei ricorsi. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288
lett. a e b CPP). L’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono censurabili unicamente per arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche inesatto, bensì manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 173 consid. 3.1 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata, né contrapporle una propria versione dell’accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati di errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev’essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 133 I 149 consid. 3.1 pag. 153, 132 I 13 consid. 5.1 pag. 17, 131 I 217 consid. 2.1 pag. 219, 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9, 173 consid. 3.1 pag. 178).
2.
La commisurazione della pena è una questione di diritto su cui la Corte di cassazione e di revisione penale interviene nella misura in cui la sanzione si ponga fuori del quadro edittale, oppure si fondi su criteri estranei all'art. 47 CP, oppure disattenda elementi di valutazione prescritti da quest'ultima norma oppure ancora appaia esageratamente severa o esageratamente mite, al punto da denotare un eccesso o un abuso del potere di apprezzamento (DTF 134 IV 17 consid. 2.1 e rinvii, 129 IV 6 consid. 6.1 pag. 21 segg. e riferimenti, 128 IV 73 consid. 3b pag. 77,127 IV 10 consid. 2 pag. 19, 123 IV 49 consid. 2a pag. 51, 150 consid. 2a pag. 152 con richiami; cfr. anche 123 IV 107 consid. 1 pag. 109).
2.1.
Quanto ai criteri determinanti per commisurare la pena, la gravità della colpa è, come lo era sotto l’egida del vecchio diritto (art. 63 vCP), fondamentale. L’art. 47 cpv. 1 CP – in vigore dal 1° gennaio 2007– stabilisce esplicitamente, del resto, che il giudice commisura la pena alla colpa dell’autore tenendo conto della vita anteriore e delle condizioni personali di lui, nonché dell’effetto che la pena avrà sulla sua vita. Il legislatore ha in sostanza aggiunto la necessità di prendere in considerazione l’effetto che la pena avrà sulla vita a venire del condannato, codificando la giurisprudenza secondo la quale il giudice può ridurre una pena apparentemente adeguata alla colpa del reo se le conseguenze sulla sua esistenza futura appaiono eccessivamente severe (sentenza del Tribunale federale 6B.14/2007 del 17 aprile 2007, consid. 5.2 con rinvii; DTF 128 IV 73 consid. 4 pag. 79, 127 IV 97 consid. 3 pag. 101). Questi aspetti di prevenzione speciale permettono tuttavia solo delle riduzioni marginali, la pena dovendo essere sempre adeguata alla colpa; il giudice non potrebbe ad esempio esentare da pena il reo in caso di delitti gravi (
S
tratenwerth,
Schweizerisches Strafrecht, Allgemeiner Teil II, Strafen und Massnahmen, Berna 2006, § 6 n. 72;
Stratenwerth/Wohlers
, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Handkommentar, 2
a
ed., Berna 2009, n. 17 e 18 ad art. 47 CP
).
Secondo l’art. 47 cpv. 2 CP la colpa è determinata secondo il grado di lesione o esposizione a pericolo del bene giuridico offeso, secondo la reprensibilità dell’offesa, i moventi e gli obiettivi perseguiti, nonché tenuto conto delle circostanze interne ed esterne, secondo la possibilità che l’autore aveva di evitare l’esposizione a pericolo o la lesione. La norma riprende,
mutatis mutandis
, la giurisprudenza relativa all’art. 63 vCP (
Stratenwerth/Wohlers
, op. cit., n. 4 ad art. 47 CP) a mente della quale per valutare la gravità della colpa entrano in considerazione svariati fattori: le circostanze che hanno indotto il soggetto ad agire, il movente, l’intensità del proposito (determinazione) o la gravità della negligenza, il risultato ottenuto, l’eventuale assenza di scrupoli, il modo di esecuzione del reato, l’entità del pregiudizio arrecato volontariamente, la durata o la reiterazione dell’illecito, il ruolo avuto in seno a una banda, la recidiva, le difficoltà personali o psicologiche, il comportamento tenuto dopo il reato (collaborazione, pentimento, volontà di emendamento; DTF 129 IV 6 consid. 6.1 pag. 20, 124 IV 44 consid. 2d pag. 47 con rinvio a DTF 117 IV 112 consid. 1 pag. 113 e 116 IV 288 consid. 2 pag. 289).
Vanno inoltre considerati – sempre secondo la citata giurisprudenza – la situazione familiare professionale dell’autore, l’educazione da lui ricevuta e la formazione seguita, l’integrazione sociale, gli eventuali precedenti penali e la reputazione in genere (DTF 124 IV 44 consid. 2d pag. 47 con rinvio a DTF 117 IV 112 consid. 1 pag. 113 e 116 IV 288 consid. 2a pag. 289). Non va trascurata nemmeno la sensibilità personale all'espiazione della pena (
Strafempfindlichkeit
) per rapporto allo stato di salute, all'età, agli obblighi familiari, alla situazione professionale, ai rischi di recidiva ecc. (DTF 102 IV 231 consid. 3 pag. 233; sentenze del Tribunale federale 6B.14/2007 del 17 aprile 2007, consid. 6.4, 6P.152/2005 del 15 febbraio 2006, consid. 8.1 e 6S.163/2005 del 26 ottobre 2005, consid.
2.1 con rinvii;
S
tratenwerth,
Schweizerisches Strafrecht, Allgemeiner Teil II, Berna 1989, § 7 n. 53 seg.).
Esigenze di prevenzione generale, per converso, svolgono solo un ruolo di secondo ordine (DTF 118 IV 342 consid. 2g pag. 350). Il principio della parità di trattamento, da parte sua, assume rilievo solo in casi eccezionali, nelle rare ipotesi in cui pene determinate in modo di per sé conforme all’art. 47 CP (che ha la stessa portata del previgente art. 63 CP) diano luogo a un’obiettiva disuguaglianza; il confronto tra casi concreti suole invece essere infruttuoso, ogni fattispecie dovendo essere giudicata in base alle sue individualità soggettive e oggettive (DTF 123 IV 150, 116 IV 292; v. anche DTF 124 IV 44 consid. 2c pag. 47).
2.2.
Secondo l'art. 49 cpv. 1 CP, quando per uno o più reati risultano adempiute le condizioni per l'infrazione di più pene dello stesso genere, il giudice condanna l'autore alla pena prevista per il reato più grave, aumentandola in misura adeguata, ma senza oltrepassare nell'aumento la metà della pena massima comminata. A tal fine occorre dipartirsi dal reato con la pena edittale più elevata (
Stoll
, in Commentaire Romand, Basilea 2009, n. 78 ad art. 49 CP).
2.3.
Secondo l'art. 50 CP – che ha ripreso nella sua formulazione quanto stabilito dalla giurisprudenza precedente – se la sentenza deve essere motivata, il giudice vi espone anche le circostanze rilevanti per la commisurazione della pena e la loro ponderazione. Ciò significa che il giudice deve esporre, nella sua decisione, gli elementi essenziali relativi all'atto e all'autore che prende in considerazione, in modo che si possa constatare che tutti gli aspetti pertinenti sono stati considerati e come sono stati apprezzati, sia in senso attenuante che aggravante. La motivazione deve giustificare la pena pronunciata, permettendo di seguire il ragionamento del giudice, il quale non è tuttavia tenuto di esprimere in cifre o in percentuali l'importanza che egli attribuisce ad ognuno degli elementi che menziona (DTF 127 IV 101 consid. 2c;
Stratenwerth/Wohlers
, op. cit., n. 2 ad art. 50).
I. Sul ricorso di RI 1
3. RI 1
esordisce rilevando che egli critica la sentenza della Corte d'assise su due punti, ossia in relazione alla motivazione che ha condotto la Corte a concludere che
“RI 1 è fornitore del quantitativo di 1 kg di cocaina relativo al primo viaggio a _ ”
, in subordine, sulla pena pronunciata, in ragione di una detenzione di tre anni e mezzo, che violerebbe, a suo dire, manifestamente il principio della proporzionalità e della parità di trattamento.
3.1.
Secondo il ricorrente la condanna per la
“fornitura di 1 kg di cocaina, basata sui fatti contenuti nel verbale del 23 dicembre 2008, siccome smentita da altri verbali e soprattutto dai protagonisti in aula”
sarebbe
“non solo non condivisibile
(sentenze CCRP 30.12.2008, 17.2.2009 e 4.5.2009),
ma anche manifestamente insostenibile e quindi arbitraria”
(ricorso, punto 5 pag. 5 verso il mezzo).
Il ricorrente sembra far riferimento al seguente passaggio della sentenza di primo grado:
“
La Corte, conscia – non foss'altro che per constatazioni statistiche – che la CCRP ha di fatto, recentemente, esteso il proprio potere cognitivo fino (quasi) al libero esame dei fatti, trasformando con ciò il concetto di arbitrio da manifestamente insostenibile in non condiviso (sentenza 30.12.2008 in re W; 17.2.2009 in re V. e 4.4.2009 in re A.), ha raggiunto il granitico convincimento che RI 1 è il fornitore unicamente del quantitativo di cocaina relativo al terzo viaggio, ossia di 1 kg”
(punto V, pag. 70).
La considerazione della Corte d'assise relativa al potere d'esame di questa Corte è fuori luogo ed errata.
Fuori luogo poiché il giudice di prime cure accerta i fatti secondo un libero e rigoroso apprezzamento di tutto il materiale probatorio, indipendentemente dal potere cognitivo dell'istanza chiamata, per competenza funzionale, a conoscere di un eventuale ricorso contro la sua pronuncia.
Errata poiché questa Corte non ha mai modificato – neppure nelle sentenze 30.12.2008, in re W., 17.02.2009 in re V. e 04.05.2009 in re A., menzionate dalla Corte d'assise e dal ricorrente – i principi costanti, ricordati sopra (consid. 1), secondo i quali il suo potere cognitivo in relazione all’accertamento dei fatti è limitato all'arbitrio, dove arbitrario significa – lo si ribadisce – manifestamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre. Nelle sentenze menzionate questa Corte ha ritenuto dati tali presupposti. Ciò non è, invece, il caso per la fattispecie ora in esame.
La Corte d'assise ha accertato che RI 1 ha fornito ad RI 2 un quantitativo di 1 kg, ciò in occasione del primo viaggio a _ eseguito da quest'ultimo unitamente a RI 5. La Corte si è basata in particolare su quanto deposto da RI 5 – ritenuto credibile – secondo il quale durante il viaggio RI 2 gli avrebbe detto di aver preso 1 kg di cocaina proprio da RI 1. Secondo il ricorrente, la condanna per la fornitura di questo chilogrammo di cocaina andrebbe annullata, nella misura in cui si baserebbe
“su una dichiarazione, anzi un passaggio di un verbale”
, reso da RI 5 davanti al Ministero Pubblico il 23 dicembre 2008, “
i cui
fatti si sono rivelati imprecisi, incompleti e inveritieri
” (ricorso, pag. 5 nel mezzo).
Il ricorrente sostiene a tal proposito che, diversamente da quanto risulta dal verbale testé menzionato,
“dal verbale del dibattimento pag. 25”
risulta che RI 5 ha confermato che
“quando lui e RI 2 arrivarono al bar a _ , RI 1 era già sul posto con altri albanesi”
e che
“inoltre RI 2 ha chiamato il suo fornitore dal bar stesso (e non già dalla vettura, come si legge nei verbali di RI 5)”
(ricorso, pag. 4 nel mezzo). Il ricorrente si limita tuttavia a ribadire, su questo punto, la posizione già sostenuta in sede di dibattimento, senza dimostrare l'arbitrarietà delle considerazioni della Corte d'assise là dove ha ritenuto essere il primo un dettaglio irrilevante che non inficia la buona fede di RI 5 stesso e, la seconda, un'imprecisione che non scalfisce la credibilità di quest'ultimo.
Secondo il ricorrente, RI 5 in aula sarebbe poi stato categorico nello smentire che RI 2 gli avrebbe esplicitamente confidato di aver acquistato la cocaina da RI 1. Una simile affermazione non trova tuttavia riscontro alcuno nel verbale del dibattimento. Il fatto poi che durante il viaggio in questione RI 5 e RI 2 abbiano o meno consumato cocaina non è di rilievo, non risultando per altro dagli atti che il consumo nel viaggio in questione sia stato tale da alterare nel RI 5 la percezione dei fatti e dei racconti di RI 2. Il ricorso su questo punto cade pertanto nel vuoto.
3.2.
Il ricorrente sostiene poi, in via subordinata, che la condanna a tre anni e mezzo di detenzione violerebbe manifestamente il principio della proporzionalità e della parità di trattamento.
3.2.1.
La Corte d'assise ha ritenuto che, benché il quantitativo oggettivo di droga fornito da RI 1 (1 kg) sia inferiore rispetto in particolare a RI 4, RI 5 e RI 3, la sua colpa sia, cionondimeno, estremamente grave. Nella scala dell'organizzazione – secondo Corte d'assise – egli è risultato più in alto anche di RI 2, essendo stato il suo fornitore, ossia colui presso il quale RI 2 ha preso in consegna la cocaina da portare in Svizzera. Il ricorrente contesta dette considerazioni. Non è tuttavia né insostenibile né contrario ad ogni logica sostenere che RI 1, nella scala gerarchica, occupava una posizione più alta in quanto fornitore di RI 2. Il fatto che quest'ultimo si sia rifornito anche altrove è, in effetti, privo di rilievo. Pure irrilevanti sono le considerazioni del ricorrente secondo le quali le sue modalità di viaggio (in treno) e la sua presenza in Svizzera per incassare quanto a lui dovuto dimostrerebbero che il suo ruolo non era superiore.
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la cifra di euro 3'000.– trovata in suo possesso al momento del suo arresto, del resto, è tutt'altro che modesta.
3.2.2.
Il ricorrente contesta anche le considerazioni della Corte, secondo le quali egli sarebbe pure risultato bugiardo e sfrontato nel costruirsi alibi che ha mantenuto fino alla fine, nonostante le chiare risultanze a suo carico. Egli si sofferma tuttavia unicamente su alcune considerazioni della Corte in relazione alle dichiarazioni di Martin Kapaj (sentenza impugnata, consid. V, 1.4) – assunto quale teste in aula su richiesta della difesa, a detta di quest'ultima per
“fornire unicamente una spiegazione del perché il 7 settembre 2008, il ricorrente si trovasse a _ , ove aveva incontrato RI 5”
(ricorso, pag. 6 nel mezzo) – tralasciando di soffermarsi su tutte le altre argomentazioni della sentenza impugnata (cfr. consid. V, 1.1, 1.2 e 1.3) che hanno indotto la prima Corte a ritenere che RI 1
“ha raccontato un sacco di frottole”
(sentenza impugnata, consid. V, 1). Del resto, anche in relazione alla puntuale disamina con la quale la Corte d'assise ha ritenuto non credibile la versione di RI 1 sul motivo della sua presenza in Svizzera al momento dell'arresto (sentenza impugnata consid. V, 1.4), il ricorrente si è limitato ad una parziale contestazione di alcuni elementi, contrapponendo semplicemente la propria versione dei fatti a quella ritenuta dal giudizio impugnato.
Il ricorso appare finanche contraddittorio e di difficile comprensione – nella misura in cui l'argomentazione è addotta dal difensore e non dalla Pubblica accusa – laddove lamenta il fatto che la prima Corte abbia tenuto conto, quale fattore di riduzione, di
“una certa sensibilità alla pena”
di RI 1
“dovuta alla lontananza dai suoi famigliari”
, venendo a sostenere che in realtà egli sarebbe
“in contatto giornaliero con i suoi famigliari”
e
“soprattutto con i figli”
(ricorso, pag. 8).
3.2.3.
Il ricorrente, adducendo l'arbitrio per violazione della parità di trattamento, si limita a far riferimento ad alcuni precedenti della Corte d'assise, dimenticando che il semplice confronto tra casi concreti si rivela infruttuoso. Egli non indica per altro alcun elemento che permetta di ritenere che ci troviamo in presenza di un'obiettiva disuguaglianza.
3.3.
Il ricorso di RI 1 si rivela dunque palesemente inconsistente in ogni sua argomentazione e deve essere respinto.
II. Sul ricorso di RI 2
4.
RI 2 sostiene in sintesi che la Corte d'assise avrebbe commesso arbitrio nell'accertamento dei fatti, in relazione agli atti preparatori in vista dell'acquisto a _ di un ulteriore importante quantitativo di cocaina (ricorso, pag. 3 in basso e da pag. 3 in basso a pag. 9 in alto), al non riconoscimento dell'attenuante della collaborazione (ricorso, pag. 17 verso l'alto), alla tentata estorsione ai danni di S. (ricorso, da pag. 9 in mezzo a pag. 10 in alto) e, limitatamente a quest'ultimo reato, la prima Corte sarebbe incorsa in un'applicazione errata del diritto sostanziale ai fatti alla base del reato (ricorso, pag. 4 in alto, da pag. 10 verso l'altro a pag. 12 verso l'alto). Secondo il ricorrente, la Corte d'assise avrebbe pure violato l'art. 50 CP –
“e la giurisprudenza del Tribunale federale relativa alla motivazione della sentenza”
– in relazione con l'art. 49 CP per la mancata menzione del peso dato a certe attenuanti e aggravanti (ricorso, pag. 3 in alto, pag. 5 dal mezzo verso il basso, da pag. 6 in basso a pag. 7 verso il basso e pag. 17 in alto), come pure sarebbe incorsa in un abuso del potere d'apprezzamento nella commisurazione della pena per il mancato riconoscimento di alcune attenuanti (ricorso, da pag. 5 verso l'alto a pag. 16 in basso).
4.1.
La Corte d'assise ha ritenuto che RI 2, fra il 15 e il 16 settembre 2008 si è recato a _ alla ricerca di droga, riconoscendo, per tale viaggio – che ha fatto tappa anche a _ – gli atti preparatori per l’acquisto di un imprecisato, ma importante quantitativo di cocaina. La prima Corte si è basata in particolare sulle dichiarazioni rese alla polizia e al Ministero pubblico da AM., che ha partecipato al viaggio e ha riferito della trasferta (verb. PS 9.10.2008 e MP 19.12.2008), come pure fatte al dibattimento da RI 6, che ha confermato che, dopo il furto degli albanesi, scarseggiava la droga (verb. dib. P. 20). La Corte d'assise ha evidenziato che RI 2 racconta bugie laddove pretende che la trasferta non aveva nulla a che fare con la cocaina, trattandosi a suo dire solo di una toccata e fuga nella regione in cui aveva abitato, mentre proprio in virtù delle sue dichiarazioni AM. è stato accusato e già condannato da un'Assise correzionale per questi fatti. Secondo la prima Corte, la trasferta si inserisce poi nel contesto ben preciso legato al furto del chilo e, dall'altro, delle pressioni del RI 1. Che, per finire, prosegue la Corte, una persona si rechi prima a _ e successivamente a _ facendosi accompagnare da un suo acquirente di cocaina ed assumendosi tutte le spese, solo perché – come sostenuto da RI 2 – era nervoso appare del tutto illogico e fuori posto.
Il ricorrente sostiene che, in relazione ai predetti atti preparatori, la Corte d'assise sarebbe incorsa in arbitrio nell'accertamento dei fatti. Con riferimento ad un passaggio della deposizione di AM. (verb. MP 19.12.2008), ripreso nella sentenza, il ricorrente sostiene che, anche secondo il testimone, il viaggio a _ non era finalizzato all'acquisto di droga. Egli tralascia tuttavia di dire che, proprio nel passaggio menzionato dalla prima Corte, AM. fa riferimento ad una
“sosta a _ ”
che
“a detta di RI 2, aveva lo scopo di incontrarsi con un suo amico per discutere su un acquisto di cocaina”
, come pure al fatto che, dopo una breve tappa a _ , mentre
“ormai erano ridiretti verso il Ticino”
, nei pressi
“dell'imbocco dell'autostrada di _ ”
RI 2 gli chiesto di fermarsi
“in un bar dove di regola c'era un suo conoscente che però non ha trovato”
. Secondo il teste, RI 2
“continuava a lamentarsi di se stesso per non aver preso con sé il numero di telefono di questo conoscente”
. Poco più sotto, nel medesimo verbale (MP 19.12.2008, pag. 8) – prospettato in aula all'accusato (cfr. verb. dib. pag. 13 verso il mezzo) – AM. ha precisato che
“era evidente che a _ RI 2, nel bar di cui ho detto, cercava il conoscente per discutere di un acquisto di cocaina”
. La Corte d'assise, nel ritenere che quel viaggio fosse finalizzato ai preparativi per l'acquisto di un imprecisato quantitativo di cocaina, non è dunque incorsa in apprezzamenti arbitrari. Il ricorrente si è, peraltro, limitato a contrapporre la propria logica e la propria versione dei fatti – il viaggio a _ poiché aveva in quella città la propria residenza nonché la propria ditta individuale – a quella dei primi giudici, dimenticando che questa Corte dispone di un potere d'esame circoscritto all'arbitrio. Nella misura in cui mira ad annullare l'imputazione per i preparativi per l'acquisto di un imprecisato quantitativo di cocaina (dispositivo n. 2.1.4), il ricorso va dunque respinto.
Il ricorrente si aggrava anche per il fatto che la prima Corte ha ritenuto che l'imprecisato quantitativo di cocaina era
“importante”
. Egli evidenzia che AM. ha riferito che
“assolutamente RI 2 non”
gli
“ha parlato di quantitativi che avrebbe eventualmente comprato”
(ricorso, pag. 8 verso l'alto). A ragione. Nessun elemento permette di definire che il quantitativo che RI 2 era intenzionato acquistare fosse “importante”. Del resto la qualifica di “importante” per un quantitativo “imprecisato”, appare finanche contraddittoria, se è non sorretta da una coerente motivazione della prima Corte, che in questo caso è totalmente assente. Il ricorso, su questo punto, merita pertanto accoglimento. Il dispositivo n. 2.1.4 deve di conseguenza essere riformato nel senso che RI 2 ha fatto i preparativi per l'acquisto di un imprecisato quantitativo di cocaina.
4.2.
Non è dato di capire – in quanto il ricorrente non lo spiega – in cosa consista il preteso arbitrio nell'accertamento dei fatti
“riguardanti il non riconoscimento dell'attenuante della collaborazione”
(cfr. ricorso, pag. 17 verso l'alto). Le argomentazioni ricorsali in merito al mancato riconoscimento di detta attenuante sono, peraltro, riferite unicamente all'
“abuso del potere di apprezzamento in materia di commisurazione della pena”
(ricorso, punto 5 pag. 12 verso il mezzo). Anche su questo punto il ricorso va respinto senza ulteriori considerazioni.
4.3.
In merito alla tentata estorsione, la Corte d'assise si è dipartita dal fatto che S. e M. sono stati compagni e conviventi e che la loro relazione è terminata molto male verso la fine del 2007, con vicendevoli querele. La Corte ha evidenziato dipoi che, nei loro burrascosi rapporti, la sera del 20 giugno 2008, la M., in compagnia di due amiche, aveva notato S. in compagnia di P., con la quale l'uomo si era messo. Scioccata e in preda alla gelosia, M. aveva deciso di seguire con la sua automobile la vettura sulla quale S. era salito, tamponandola nel seguito. Fuori dai rispettivi veicoli, i due giovani si sono poi messi le mani addosso. A mente delle due compagne di viaggio della ragazza – prosegue la Corte – M. sarebbe stata buttata a terra e si sarebbe fatta male ad un ginocchio. Recatasi al PS dell' _ , M. sarebbe stata dimessa la sera stessa con l'ausilio di stampelle e, nonostante l'invito degli inquirenti, non è stato versato agli atti alcun certificato medico. La Corte ha accertato che M. e RI 2 si sono conosciuti in un bar e che tra loro non vi è alcun rapporto particolare. La Corte ha quindi evidenziato che S. ha raccontato che, la sera del 25 giugno 2008, verso le 20.00, sarebbe stato minacciato dalla M. con l'affermazione
“fai attenzione alle gambe”
e che, verso le 23.00, è stato affrontato da RI 2 e da un'altra persona, come pure che dopo che RI 2 gli ha chiesto se era vero che aveva rotto la gamba alla M., senza neppure attendere risposta, uno dei due ha incominciato a schiaffeggiarlo mentre il secondo fungeva da palo; mentre veniva picchiato, RI 2 gli ha ingiunto che aveva tempo 4 giorni per tirare assieme fr. 20'000.– per pagare le gambe della M., precisando che se avesse avvertito la polizia, sarebbero venuti in tanti a prenderlo, come pure che mentre si allontanavano a passo veloce gli avrebbero ribadito 2-3 volte
“porta i soldi, ti conviene”
. Secondo la prima Corte, dalla testimonianza di Ismaele AL., emerge la conferma della versione di S. sia in merito alle percosse inflittegli da RI 2 sia in punto alla richiesta del pagamento alla M. di fr. 20'000.–, ossia la stessa cifra riferita da S.. Ora – prosegue la prima Corte – AL. e S. nemmeno si conoscevano e il primo non aveva alcuna ragione di inventarsi una tale minaccia da parte di RI 2 ai danni di S.. Significativo è inoltre, secondo i primi giudici, il fatto che S. abbia indicato la stessa cifra riferita dalla vittima, non essendo neppure immaginabile che i due si siano messi d'accordo a posteriori, in quanto essi non si conoscevano e, secondo S., anche AL. avrebbe partecipato all'aggressione. La Corte d'assise ha quindi accertato, al di là di eventuali corresponsabilità di AL. da vagliarsi in separata sede, che RI 2 ha colpito S. almeno con una sberla e un colpo al busto, al fine di indurlo a pagare fr. 20'000.– alla M., che lo ha fatto in modo violento senza che alcun elemento gli consentisse anche solo di credere che la pretesa della ragazza fosse fondata, non avendo visto fatture, non sapendo a quanto sarebbe ammontato il danno per un'eventuale incapacità di guadagno e, in fine, non potendo sapere come si era infortunata, non avendo fatto verifiche al riguardo. Così facendo, secondo la prima Corte, RI 2 ha intenzionalmente fatto pressioni illecite su S. affinché pagasse, ciò che configura il reato di estorsione, tentata, non essendo la somma richiesta, per finire, stata pagata.
4.3.1.
Il ricorrente censura arbitrio nell'accertamento dei fatti, avendo la Corte d'assise ritenuto “significativo” il fatto che AL., presente al momento dei fatti, abbia riportato la stessa cifra della vittima. La Corte avrebbe, a suo dire, dovuto prendere in considerazione la sua versione, secondo cui la cifra di fr. 20'000.– poteva essere stata riferita dalla M. all'AL., in quanto i due si conoscevano. Trattasi di un'ipotesi – non suffragata da prove, neppure indicate dal ricorrente – di stampo meramente appellatorio. Il ricorso, su questo punto, si rivela pertanto infondato.
4.3.2.
Secondo il ricorrente vi sarebbe stata, da parte della Corte d'assise, anche un'errata applicazione del diritto sostanziale ai fatti alla base del reato. La violenza e l'intenzione di procacciare un indebito arricchimento sarebbero, a suo dire, assenti dalla fattispecie in esame.
Secondo l'art. 156 cifre 1 e 3 CP, chiunque per procacciare a sé o ad altri un indebito profitto, usando violenza contro una persona o minacciandola di un grave danno, la induce ad atti pregiudizievoli al patrimonio proprio o altrui, è punito con una pena detentiva sino a cinque anni o con una pena pecuniaria (cifra 1). Se il colpevole commette l'estorsione usando violenza contro una persona o minacciandola di un pericolo imminente alla vita o all'integrità corporale, la pena è quella comminata dall'art. 140 (cifra 3). In caso di tentativo il colpevole potrà essere punito con una pena attenuata (art. 22 cpv. 1 CP).
Il ricorrente sostiene che la violenza esercitata da RI 2 su S. non sarebbe sufficiente a qualificare il reato di estorsione, essendo questi stato in grado di sottrarsi e di opporre resistenza. In vero la Corte ha accertato che, allo scopo di convincere il S. a versare fr. 20'000.– alla M., RI 2 ha usato violenza colpendo il giovane al volto e al busto. Poco importa che la vittima sia o meno stata messa nella incapacità di difendersi; ciò che conta è il fatto che RI 2 abbia fatto uso della violenza fisica sul corpo del S. (
Corboz
, Les infractions en droit suisse, vol. I, Berna 2002, n. 30 ad art. 156 CP, con rinvio al n. 5 ad art. 140 CP). Il ricorso su questo punto cade pertanto nel vuoto.
Secondo il ricorrente non vi sarebbe stata da parte sua neppure la volontà di procacciare un indebito arricchimento, non avendo egli
“espresso una cifra”
(ricorso, pag. 11 verso il basso). Nel ricorso menziona a tale proposto il verbale del suo interrogatorio davanti al Procuratore pubblico del 13 febbraio 2009. In detto verbale egli – dopo aver ammesso di aver
“effettivamente un po' picchiato il S.”
– ha dichiarato di avergli
“solo detto di pagare le fatture che M. avrebbe dovuto a sua volta pagare per la gambe che lui le aveva rotto”
(verb. MP 13.2.2009, pag. 22 verso l'alto). Egli ripropone questa sua tesi anche nel ricorso in esame (pag. 12 verso l'alto). Già si è detto che invero la Corte d'assise ha accertato – senza che il ricorrente si riuscito a dimostrare un qualsivoglia arbitrio – che RI 2 ha formulato a S. una richiesta precisa, cifrandola in fr. 20'000.–. Pretesa che – come rettamente evidenziato dalla prima Corte – si appalesa, e doveva appalesarsi a RI 2, del tutto infondata e finanche pretestuosa, non avendo egli visto fatture, non sapendo a quanto sarebbe ammontato il danno per un'eventuale incapacità di guadagno della M. e, infine, non potendo sapere come la stessa si era infortunata e nemmeno avendo fatto verifiche al riguardo. La consapevolezza dell'indebito profitto è dunque certamente data, quantomeno per dolo eventuale. Il ricorso va dunque nuovamente respinto.
4.4.
RI 2 sostiene che la Corte d'assise –
“nell'affrontare l'importante e complesso punto del concorso di reati che nella fattispecie”
sarebbero a suo dire,
“la tentata estorsione
(art. 156 CP)
e la rissa
(art. 133 CP)” [ricorso, pag. 6 in basso] – avrebbe inoltre violato l'art. 49 CP in relazione con gli art. 47 e 50 CP, per una mancata trasparenza riguardo al peso dato ai vari reati ritenuti nella commisurazione della pena globale. A torto.
Il ricorrente dimentica che la prima Corte, nel commisurare la pena, è invero partita dalla gravissima colpa di RI 2 in relazione al commercio di oltre 5 kg di cocaina, di cui almeno 4,3 kg sono finiti sul mercato, quindi dalla violazione aggravata della Legge federale sugli stupefacenti. Un aggravante ritenuta sia in relazione alla quantità di cocaina commerciata (e finita sul mercato nella misura di almeno 4,3 kg) sia in relazione al ruolo di capo dell'organizzazione volta all'importazione ed alla vendita dei predetti quantitativi di cocaina. La Corte d'assise ha poi anche considerato, in aggravio alla colpa di RI 2, il fatto che egli è stato fermato solo grazie all'intervento degli inquirenti, dimostrando determinazione anche quando, rimasto senza cocaina e con debiti da pagare per precedenti forniture, ha cercato in tutti i modi di procurarsi la droga andando a _ e, poi, cambiando fornitore, riuscendo a racimolare quasi un etto a Locarno. La prima Corte ha poi anche considerato che la tentata estorsione e la rissa assumono particolare rilievo perché dimostrano che RI 2 ha uno scarso rispetto delle regole del vivere civile, aggravando la pena di conseguenza.
I primi giudici hanno dunque debitamente considerato – in modo trasparente – i reati e il concorso tra gli stessi, senza andare, per altro, oltre i limiti edittali imposti dai singoli reati e dal concorso (art. 49 CO). La motivazione permette del resto di seguire il ragionamento della Corte d'assise, ritenuto comunque che quest'ultima non era tenuta ad esprimere in termini numerici l'incidenza del concorso. Il ricorso cade quindi nuovamente nel vuoto.
4.5.
Secondo il ricorrente, la Corte d'assise avrebbe pure violato l'art. 50 CP –
“e la giurisprudenza del Tribunale federale relativa alla motivazione della sentenza”
– per la mancata menzione del peso dato a certe attenuanti e aggravanti (ricorso, pag. 3 in alto, pag. 5 dal mezzo verso il basso, da pag. 6 in basso a pag. 7 verso il basso e pag. 17 in alto), come pure sarebbe incorsa in un abuso del potere d'apprezzamento nella commisurazione della pena per il mancato riconoscimento di alcune attenuanti (ricorso, da pag. 5 verso l'alto a pag. 16 in basso). A torto.
Già si è detto (sopra, consid. 2.3), che la motivazione deve giustificare la pena pronunciata, permettendo di seguire il ragionamento del giudice, il quale non è tuttavia tenuto di esprimere in cifre o in percentuali l'importanza che egli attribuisce ai singoli elementi che menziona.
La Corte d'assise ha d'altro canto considerato – senza abuso del potere d'apprezzamento – a parziale attenuazione della pena, l'assenza di precedenti, l'età ancor giovane, un consumo comunque non trascurabile della stessa droga commerciata, la provenienza di RI 2 da un paese in cui la vita è per molti aspetti difficile e una certa sensibilità alla pena per la lontananza dei familiari. Un abuso dei primi giudici non si ravvisa neppure nel fatto che essi non abbiano accordato particolari attenuazioni per la collaborazione con gli inquirenti. In effetti RI 2 non ha riferito da chi veramente si procurava lo stupefacente, ha cercato di fornire una versione che consentisse a RI 1 di cavarsela e neppure ha riferito come siano andate realmente le cose nella rissa nella quale ha avuto la peggio. Le affermazioni del ricorrente (ricorso, pag. 12-14) confermano del resto detto suo comportamento, per cui ogni ulteriore considerazione al riguardo è superflua.
4.6.
In ragione di quanto sopra esposto, la richiesta di riduzione della pena a 4 anni di detenzione appare decisamente fuori luogo. Per tener conto del parziale accoglimento del gravame di cui si è detto (sopra, consid. 4.1), che ha comportato la riforma del dispositivo n. 2.1.4, nel senso che RI 2 ha fatto fra il 15 e il 16 settembre 2008, i preparativi per l'acquisto di un imprecisato quantitativo di cocaina – nessun elemento permettendo di definire che il quantitativo in questione fosse “importante”, come erroneamente ritenuto dalla prima Corte anche in sede di commisurazione della pena (cfr. sentenza impugnata pag. 108 verso l’alto in relazione con pag. 103 verso l’alto) – si giustifica di ridurre di tre mesi la pena detentiva. L'imputazione in questione, di per sé già marginale rispetto all'infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti per il commercio di 5 kg di cocaina, di cui almeno 4,3 kg sono finiti sul mercato, alla tentata estorsione e alla rissa, risulta in effetti solo parzialmente modificata con una riduzione verso il basso di un quantitativo indeterminato di cocaina. Di conseguenza, il dispositivo n. 8.2 viene cassato e riformato nel senso che RI 2 è condannato alla pena detentiva di 5 (cinque) anni e 9 (nove) mesi, da dedursi il carcere preventivo sofferto.
II I. Sul ricorso di RI 3
5.
Anche RI 3 fa riferimento alle considerazioni di cui al punto V pag. 70 della sentenza della Corte d'assise, secondo cui la CCRP avrebbe
“di fatto, recentemente, esteso il proprio potere cognitivo fino (quasi) al libero esame dei fatti, trasformando con ciò il concetto di arbitrio da manifestamente insostenibile in non condiviso”
. Sull'erroneità di simili considerazioni si rinvia a quanto detto sopra (consid. 3.1).
RI 3 chiede il proscioglimento dalle imputazioni di cui al dispositivo n. 3.4 (ripetuta infrazione alla Legge federale sulla dimora e il domicilio degli stranieri) e ni. 3.5.1 e 3.5.2 (ripetuta infrazione alla Legge federale sugli stranieri) [ricorso, pag. 6 nel mezzo e pag. 17], come pure la riforma del dispositivo n. 3.5.3, nel senso di essere
“ritenuto colpevole di ripetuta infrazione alla Legge federale sugli stranieri per avere svolto un'attività lucrativa a _ dal mese di marzo 2008, a _ nel periodo 1° aprile 2008/10 luglio 2008 e a _ dal mese di aprile 2008 al mese di giugno 2008, sprovvisto del necessario permesso di polizia degli stranieri”
[ricorso, pag. 6 verso il basso e pag. 17]. Contesta inoltre la commisurazione della pena, avendo, a suo dire, la Corte d'assise valutato in maniera erronea la posizione da lui ricoperta nell'organizzazione,
“considerando arbitrariamente gli atti risultanti dall'inchiesta penale”
, come pure commesso una disparità di trattamento per rapporto agli altri imputati.
5.1.
Per quanto concerne la richiesta di proscioglimento dalle imputazioni di cui al dispositivo n. 3.4 (ripetuta infrazione alla Legge federale sulla dimora e il domicilio degli stranieri) e ni. 3.5.1 e 3.5.2 (ripetuta infrazione alla Legge federale sugli stranieri) [ricorso, pag. 6 nel mezzo e pag. 17], il ricorrente sostiene in primo luogo che dalla documentazione in atti risulterebbe in maniera inequivocabile che egli beneficiava di un passaporto albanese valido sino al 6 settembre 2009 (doc. A allegato al verb. MP RI 3 21.1.2009) e di un permesso di soggiorno in Italia scaduto il 26 luglio 2007 (doc. A allegato al verb. MP RI 3 21.1.2009) [ricorso, pag. 5 verso l'alto]. In merito a quest'ultimo permesso egli rileva di aver chiesto per tempo il rinnovo dello stesso; quindi non potrebbe, a suo dire, essere punito per tale infrazione per mancanza dell'elemento soggettivo. Il ricorrente osserva a tal proposito che la sua posizione sarebbe identica a quella del fratello RI 2, che la Corte d'assise ha prosciolto per tali reati. A torto.
Dagli atti risulta che RI 3, cittadino _ , non disponeva di un visto d'entrata in Svizzera (cfr. verb. MP RI 3 21.1.2009, pag. 10 verso l'alto). Il suo permesso di soggiorno in Italia era scaduto il 26 luglio 2007. Se è pur vero che egli aveva chiesto il 26 luglio 2007 all'Ufficio immigrazione della Questura di _ (I) il rinnovo del permesso
“per motivi di attesa occupazione”
, egli
“più volte invitato”
nel predetto ufficio
“per produrre documenti necessari per la definizione dell'istanza, non si è mai presentato”
(cfr. doc. TPC 7, lettera 19.5.2009 della questura di _ ). Considerato che il suo arresto è avvenuto il 24 settembre 2008 – quattordici mesi dopo la presentazione dell'istanza in questione – non può dirsi che abbia influito sulla sua mancata comparsa presso l'autorità italiana. A differenza del fratello RI 2, non gli si può dunque riconoscere l'assenza dei requisiti soggettivi del reato, segnatamente la buona fede in merito agli effetti su suolo elvetico di detta domanda di rinnovo. Il ricorso cade pertanto nel vuoto.
5.2.
Il ricorrente si aggrava pure per il fatto che i primi giudici avrebbero, a suo dire erroneamente, fatto risalire la sua attività lavorativa illecita presso il _ al 2007, per circa quattro mesi, a partire dal mese di marzo. L'accertamento non appare arbitrario, tenendo conto delle ammissioni fatte da RI 3 davanti al Procuratore pubblico (cfr. verb. MP 21.1.2009 RI 3 pag. 10 nel mezzo). Anche su questo punto il ricorso va respinto.
5.3.
La richiesta del ricorrente di riformare il dispositivo n. 3.5.3, nel senso di essere
“ritenuto colpevole di ripetuta infrazione alla Legge federale sugli stranieri per avere svolto un'attività lucrativa a _ dal mese di marzo 2008, a _ nel periodo 1° aprile 2008/10 luglio 2008 e a _ dal mese di aprile 2008 al mese di giugno 2008, sprovvisto del necessario permesso di polizia degli stranieri”
[ricorso, pag. 6 verso il basso e pag. 17] è priva di senso. Con la sua richiesta riformatoria RI 3 finisce per peggiorare la sua situazione, facendo risalire l'inizio della sua attività lucrativa illecita, per il 2008, al mese di marzo, mentre la Corte d'assise aveva ritenuto quale data d'inizio il 1° aprile. Ogni ulteriore commento sull'incomprensibile richiesta ricorsale, per altro formulata da un avvocato, è superflua. Il ricorso è respinto.
5.4.
RI 3 contesta, per finire, la commisurazione della pena, avendo, a suo dire, la Corte d'assise valutato in maniera erronea la posizione da lui ricoperta nell'organizzazione,
“considerando arbitrariamente gli atti risultanti dall'inchiesta penale”
.
5.4.1.
La Corte d'assise ha ritenuto che, quanto alla colpa, di fatto, almeno nell'ultima parte dei traffici, RI 3 ha svolto il ruolo di vice-capo. In particolare è lui – secondo la prima Corte – che per conto del fratello ha eseguito l'ultima trasferta a _ con RI 6, è lui che, dopo aver appreso del furto di RI 6, si è attivato per ottenere le
“dovute”
pressioni sul
“ladro”
per ottenere la restituzione dello stupefacente, essendo in quel periodo il chiaro referente del fratello sul nostro territorio, tanto che gli ha gestito i soldi della cocaina e li ha tenuti in deposito a _ . Per finire, secondo la Corte, è proprio a lui che RI 1 esprime tutta la sua rabbia per non aver ancora ricevuto i soldi per la cocaina. Ha quindi assunto – rileva ancora la prima Corte – per conto del fratello un ruolo non trascurabile, anche se subordinato, nel traffico, risultando l'esecutore dell'ultimo trasporto e il cassiere dei proventi della droga; un ruolo minore rispetto a RI 2, ma comunque di una certa responsabilità, soprattutto in relazione alla custodia del denaro.
5.4.2.
Il ricorrente contesta di aver avuto il ruolo di vice-capo. Quanto emerso in aula e nella procedura pre-dibattimentale non giustificherebbe la conclusione della Corte d'assise su tale ruolo. Egli sostiene che, a differenza di quanto indicato in sentenza dai primi giudici, in occasione dell'ultima trasferta da lui eseguita a _ con RI 6, suo fratello RI 2 non era assente in _ . La questione non è di rilievo e non è atta a sminuire il ruolo che RI 2 gli ha conferito durante quella trasferta – ruolo che traspare dalle deposizioni riportate in sentenza dalla prima Corte – di suo referente presso i fornitori (cfr. verb. PS RI 2 4.12.2008, riportato a pag. 66-67 della sentenza impugnata). Del resto lo stesso ricorrente menziona una sua deposizione, nella quale riferiva che, quando il fratello RI 2 “non ce la faceva”, mandava lui (ricorso, pag. 8 nel mezzo).
5.4.3.
RI 3 rileva (ricorso, punto 4.2.2 pag. 8-10), poi, di non condividere le considerazioni della Corte d'assise
“in merito alla questione dello stupefacente sottratto”
e al suo coinvolgimento. Egli tuttavia non sostiene che i primi giudici sarebbero con ciò incorsi in arbitrio nella valutazione dei fatti, limitandosi ad esprimere la propria valutazione in contrapposizione a quella della Corte. A titolo abbondanziale si rileva che il ricorrente evidenzia, anzi, un altro elemento non trascurabile, che avvalora l'accertamento della prima Corte sul ruolo importante avuto da lui per rapporto al fratello RI 2 e meglio il fatto che è stato proprio lui a comunicare ad RI 2 la sottrazione dello stupefacente (ricorso, pag. 9 nel mezzo). Certo, forse anche per una questione di conoscenza della lingua albanese, ma altri, che pure conoscevano tale idioma, non potevano
“assumersi tale incombenza”
(ricorso, pag. 9 verso il basso). Tutto ciò conferma innegabilmente la non arbitrarietà dell'accertamento della Corte d'assise, nell'attribuire ad RI 3 il ruolo non trascurabile di referente del fratello RI 2. Ulteriore conferma della pertinenza dell'accertamento della prima Corte è data dal fatto che RI 3 ha tenuto in deposito nel proprio appartamento di _ i soldi della cocaina, circostanza per altro ammessa dal ricorrente (pag. 12 verso l'alto). Il fatto poi che i soldi in questione non fossero solo di RI 2 ma anche di altri non fa che confermare il ruolo di referente avuto da RI 3 nei confronti di chi capeggiava l'organizzazione.
5.4.4.
Nella misura in cui sostiene che la Corte d'assise ha tratto delle conclusioni assolutamente arbitrarie in merito al ruolo ricoperto da RI 3 all'interno dell'organizzazione e postula una debita riduzione della pena, il ricorso si rivela ancora una volta infondato e deve essere respinto.
5.5.
Il ricorrente adduce, per finire, una disparità di trattamento, essendo stata, a suo dire, erogata nei suoi confronti una pena troppo severa in relazione alle pene decretate nei confronti degli altri imputati. Ora, il potere cognitivo della Corte di cassazione e di revisione penale in materia di commisurazione della pena è già stato ricordato (sopra, consid. 2.1). In tale ambito un confronto fra due o più casi concreti suole pertanto essere infruttuoso, diverse essendo in ognuno di essi le circostanze oggettive e soggettive che il giudice è tenuto a considerare (DTF 123 IV 150, 116 IV 292; v. anche DTF 124 IV 44 consid. 2c pag. 47). Inoltre una certa disuguaglianza tra una condanna e l'altra si spiega normalmente con il principio dell'individualizzazione e non denota per ciò solo un abuso di apprezzamento. Ne segue che questa Corte interviene unicamente sulla commisurazione della pena – come il Tribunale federale – ove il risultato cui è pervenuto il giudice di merito appaia urtante, per rapporto agli argomenti addotti o a precedenti analoghi. Nondimeno – come ricordato dal ricorrente medesimo – qualora più imputati compaiano davanti allo stesso giudice per accuse fondate sui medesimi fatti, un'eventuale disparità di trattamento deve trovare giustificazione in motivi pertinenti (
Corboz
, La motivation de la peine, in: ZBJV 131/1995 pag. 13 in alto). Ciò che non è manifestamente il caso nella fattispecie ora in esame, dove i fatti imputati al ricorrente – come ammesso dal ricorrente medesimo (ricorso, pag. 14 in basso e 15 in alto) – non sono invero identici a quelli degli altri imputati. Anche l'argomento secondo cui la Corte d'assise sarebbe incorsa in una disparità di trattamento considerando in maniera meno importante, rispetto al fratello RI 2, l'attenuante per la provenienza e la scarsa scolarità, non è pertinente. Come rettamente evidenziato dai primi giudici, a differenza del fratello, RI 3 disponeva infatti di un lavoro più che dignitoso quale pizzaiolo-aiuto cucina e, nonostante ciò, ha preferito i più facili guadagni e i maggiori introiti del traffico di cocaina. Le situazioni dei due fratelli non sono dunque identiche neppure in questo. Il ricorso si avvera pertanto nuovamente infondato.
5.6.
Il ricorso di RI 3 si rivela dunque inconsistente in ogni sua argomentazione e deve essere respinto.
IV. Sul ricorso di RI 4
6.
RI 4 contesta di aver venduto, congiuntamente ad RI 2, almeno 500 gr di cocaina, nel periodo fine marzo 2008-24 settembre 2008. La Corte d'assise doveva, a suo dire, ritenere una consegna per conto di RI 2 di circa 350/390 grammi. Egli contesta pure di avere tenuto in deposito – nel medesimo periodo – per conto di RI 2 2,3 Kg di cocaina, essendo, a suo dire, corretto il quantitativo di 1,9 Kg di cocaina. Chiede che le imputazioni ritenute dai primi giudici siano riformate di conseguenza. Contesta inoltre la commisurazione della pena, non avendo, a suo dire, la Corte d'assise considerato alcune attenuanti solevate dalla difesa.
6.1.
La Corte d'assise ha ritenuto che RI 4 ha venduto, agendo in correità con RI 2, nel periodo fine marzo 2008-24 settembre 2008, a vari acquirenti, almeno 500 gr di cocaina. Nella motivazione della sentenza, la prima Corte si è di fatto attenuta al quantitativo acquistato da RI 2 e RI 5 in occasione del “quarto viaggio”, tra maggio e giugno 2008, che RI 2 ha dichiarato di aver venduto con l'aiuto di RI 4, dichiarazione quest'ultima che RI 4 ha dichiarato di non contestare in occasione del contraddittorio eseguito davanti al Procuratore pubblico (verb. MP RI 2/ RI 4 11.12.2008 p. 6-7). Secondo il ricorrente, le predette dichiarazioni non sarebbero sufficienti addebitare a RI 4 la vendita di tutti i 500 gr importati durante il quarto viaggio. La dichiarazione resa da RI 2 andrebbe letta nel contesto generale dell'enunciazione dei vari viaggi. Non sarebbe, a suo dire, corretto, anzi, sarebbe arbitrario, imputare a RI 4 la vendita di tutti i 500 gr di cocaina relativi al quarto viaggio, visto che RI 2 ha pure dichiarato di essere stato aiutato da RI 4 a vendere anche la cocaina giunta in Svizzera in occasione del terzo e del quinto viaggio. Se così fosse, prosegue il ricorrente, la quantità di vendita imputata a RI 4 sarebbe di gran lunga superiore. La motivazione della Corte d'assise non sarebbe dunque coerente e quindi sarebbe arbitraria, con la conseguenza che si dovrebbe ammettere solo il quantitativo di 350/390 gr. L'argomentazione è speciosa. Il fatto che la Corte d'assise abbia ritenuto già sufficiente il quantitativo di 500 gr proveniente dal terzo viaggio, che il ricorrente in sede di contraddittorio non ha smentito di aver venduto con RI 2, e non abbia imputato al ricorrente ulteriori quantitativi – provenienti da altri viaggi, che, come ipotizzato dal ricorrente stesso, si sarebbero potuti considerare – non permette di ritenere che vi sia stato arbitrio. Comunque, anche se si volesse ritenere, come rilevato dal ricorrente, che i 500 gr dichiarati venduti da RI 2 assieme a RI 4, provengono da tre viaggi, l'accertamento della Corte d'assise, nel suo risultato, non sarebbe comunque arbitrario. Il ricorso, su questo punto, si avvera pertanto infondato.
6.2.
La prima Corte ha pure ritenuto che RI 4, nel periodo fine marzo 2008-24 settembre 2008, a _ in un appartamento in suo uso nonché a _ in una stanza dell'esercizio pubblico _ , ha tenuto in deposito per conto di RI 2 almeno 2,3 kg di cocaina [quantitativo corretto (in applicazione dell'art. 257 cpv. 5 CPP) con la motivazione scritta della sentenza, rispetto a quello di 1,9 kg indicato, a detta della Corte d'assise, per una svista, nella lettura del dispositivo (cfr. sentenza impugnata pag. 69)]. Essa ha computato in effetti tutto il chilogrammo del terzo viaggio, 0,5 kg del quarto e 1,3 kg dell'ultimo viaggio (atteso che 300 gr sono stati venduti rispettivamente consumati prima di essere trasportati a Taverne). Al totale la Corte ha sottratto i 500 gr già oggetto dell'imputazione relativa alla lett. C dell'atto di accusa, di cui si è detto sopra (consid. 6.1). Secondo il ricorrente, la Corte d'assise avrebbe ritenuto in modo arbitrario che quando lui è arrivato nell'appartamento di _ il chilogrammo di cocaina del terzo viaggio ci fosse ancora tutto e che lui sapeva da subito dei traffici di RI 2. L'argomento non è privo di fondamento. La Corte d'assise, computando tutto il chilogrammo del terzo viaggio quale cocaina tenuta in deposito da RI 4, ha fatto riferimento a quanto deposto da RI 2 nell'interrogatorio davanti al Procuratore pubblico del 13 febbraio 2009, secondo cui
“quando RI 4 è arrivato a _ a fine marzo 2008 io (RI 2) ero appena stato a _ con RI 5”
e
“a _ c'era ancora praticamente tutto il 1 kg di cocaina quando RI 4 è venuto a vivere con me”
(verb. MP 13.2.2009 RI 2, pag. 10 in basso e 11 in alto). Pochi istanti dopo, nel medesimo interrogatorio RI 2 ha tuttavia ridimensionato il quantitativo da addebitarsi a RI 4 quale
“custodito con/per me a _ ”
a
“circa 1⁄2 kg dopo il mio primo viaggio a _ ”
(verb. MP RI 2 13.2.2009, pag. 11 nel mezzo). Non è dato di sapere per quale motivo la prima Corte si sia attenuta alla prima – e abbia escluso la seconda – dichiarazione fatta da RI 2 nel menzionato interrogatorio. Certo è che dagli atti emerge che lo stesso RI 2 ha dichiarato che
“RI 4 non sapeva inizialmente cosa era la cocaina”
(verb. MP RI 2 13.2.2009, pag. 5 verso il basso), precisando poi al dibattimento che
“quando RI 4 è arrivato non sapeva che lui (RI 2) era attivo nel traffico di cocaina”
(verb. dib. pag. 13 in basso). In simili circostanze, computando l'intero chilogrammo di cocaina del terzo viaggio quale tenuto in deposito da RI 4, la Corte d'assise è incorsa in arbitrio nell'accertamento dei fatti. Il ricorso, su questo punto, merita pertanto di essere accolto. Il quantitativo complessivo di cocaina ritenuto dalla prima Corte essere stato tenuto in deposito da RI 4 va dunque ridotto a kg 1,8 (kg 2.3 ./. kg 0.5), già dedotto il quantitativo di cocaina venduto da RI 4 (500 gr) e di cui si è detto sopra (consid. 6.1). Il dispositivo n. 4.1.1 va di conseguenza cassato e riformato di conseguenza. E' opportuno evidenziare che la divergenza tra il quantitativo ritenuto da questa Corte (kg 1,8) e quello proposto dal ricorrente (kg 1,9) è dovuta al fatto che quest'ultimo, nel suo computo, deduce un inferiore quantitativo di cocaina venduta (350/390 gr).
6.3.
Il ricorrente chiede per finire che la sentenza impugnata venga cassata e riformata pure in relazione alla pena, non avendo, a suo dire, la Corte d'assise considerato alcune attenuanti sollevate dalla difesa. Chiede che gli sia comminata una pena detentiva inferiore a tre anni e sei mesi. Di stampo puramente appellatorio – non essendo del resto neppure invocato l'arbitrio – il ricorso su questo punto va respinto senza ulteriore disamina.
Per tener conto del parziale accoglimento del gravame di cui si è detto (sopra, consid. 6.2), che ha comportato la riforma del dispositivo n. 4.1.1 – con una riduzione del quantitativo tenuto in deposito per conto di RI 2 da
“almeno 1,9 (recte: 2.3) kg di cocaina”
a 1,8 kg di cocaina – si giustifica di ridurre di tre mesi la pena detentiva. Di conseguenza il dispositivo n. 8.4 viene cassato e riformato nel senso che RI 4 è condannato alla pena detentiva di 3 (tre) anni e 3 (tre) mesi, da dedursi il carcere preventivo sofferto.
V. Sul ricorso di RI 5
7.
RI 5 chiede la riforma dei dispositivi n. 5.1.1, 5.1.2 e 5.1.4, nel senso di limitare le imputazioni in questione al fatto di aver
“trasportato”
i quantitativi di cocaina ivi indicati, da _ a Como, rispettivamente da _ – con esclusione quindi del trasporto in Svizzera – agendo
“in concorso con RI 2”
e di togliere l'imputazione di importazione in Svizzera della droga.
7.1.
Motivando in modo alquanto confuso la propria richiesta, il ricorrente ritiene
“non condivisibile”
la conclusione di correità
“alla quale giunge la Corte”
, rilevando tra l'altro che
“qualora RI 2 avesse avuto la patente e RI 5 avesse inteso comunque procedere in concorso, si sarebbe (eventualmente) potuto concludere ad una volontà direttamente proiettata verso la commissione del reato; non invece nelle circostanze concrete del caso che ci occupa”
(ricorso, pag. 5 verso il mezzo).
La richiesta del ricorrente appare palesemente irricevibile già per il fatto che – come ricordato sopra (consid. 3.1 e 5) – il ricorso per cassazione deve essere fondato sull'arbitrio e non sul semplice giudizio di
“non condivisibilità”
. RI 5 sembra fondare il proprio gravame sul fatto di essere stato
“semplice complice”
dei trasporti di cocaina (ricorso, pag. 5), ma per finire nella richiesta riformatoria dei dispositivi impugnati egli non chiede che il termine
“correità”
venga sostituito con
“complicità”
, ma con la formulazione
“agire in concorso”
(ricorso, pag. 2). Quale differenza vi sarebbe tra
“agire in correità”
e
“agire in concorso”
il ricorrente non spiega. Dalla motivazione del ricorso, si può anzi dedurre (cfr. pag. 5 nel mezzo) che il ricorrente conferisca ai due concetti la stessa valenza. Il gravame si avvera pertanto nuovamente irricevibile, per la palese incomprensibilità della richiesta riformatoria.
7.2.
Secondo il ricorrente, la Corte d'assise avrebbe inoltre accertato che egli non ha importato in Svizzera lo stupefacente (ricorso, pag. 4 verso l'alto). Il dispositivo della sentenza riporterebbe però
“arbitrariamente la circostanza contraria”
(ricorso, pag. 4 verso il mezzo). A torto.
La prima Corte (cfr. sentenza impugnata pag. 57-58), dopo essersi soffermata sulle divergenze tra le versioni di RI 5, RI 2 e RI 6 – ritenute più di forma che di sostanza – riferite alle modalità di attraversamento del confine, ha invero accertato che i tre protagonisti hanno, comunque sia, agito in correità. La Corte d'assise ha anche aggiunto che poco importa che RI 5 abbia ipotizzato che il corriere potesse essere lo stesso RI 6 che, invece, lo ha negato. Essenziale, secondo i primi giudici, è il fatto che la droga è stata importata in Svizzera, era destinata al mercato svizzero e che gli organizzatori del trasporto ne riprendevano possesso e ne organizzavano il deposito e la vendita nel nostro paese. Quanto ritenuto dalla Corte d'assise trova coerente esplicitazione nei dispositivi, che imputano a RI 5 la correità nell'importazione in Svizzera della cocaina.
Il ricorrente, dal canto suo, distorce i fatti ritenuti dalla Corte, riportando solo alcuni passaggi della sentenza (cfr. ricorso, pag. 4 verso l'alto), riferiti non tanto all'opinione dei primi giudici, quanto al riassunto che essi hanno fatto di quanto riferito dai correi, nella specie da RI 2 (cfr. sentenza impugnata, pag. 61 verso il mezzo). Certo, va dato atto che, riassumendo i fatti a carico di RI 5 a pagina 103 della sentenza, la Corte d'assise ha in modo impreciso parlato di
“trasporto in Svizzera”
, in tre occasioni, complessivamente di 3 chili di cocaina. Questa formulazione non permette tuttavia di inficiare la coerenza tra quanto in realtà ritenuto dalla Corte nei considerandi sopra menzionati – per rispondere ai quesiti posti (cfr. sentenza impugnata pag. 30-31) – e deciso nei dispositivi. Il ricorso si avvera pertanto nuovamente infondato.
7.3.
RI 5 chiede inoltre la riforma del dispositivo di condanna, nel senso di essere condannato ad una pena detentiva di tre anni, con concessione della sospensione parziale della pena e, in via subordinata, la cassazione della sentenza e il rinvio della causa alla Corte d'assise affinché proceda
“alla nuova commisurazione della pena”
. Egli fonda la sua richiesta sul fatto che dovrebbe
“essere considerata una colpa piuttosto lieve sia per la durata dell'attività, sia per l'assenza concreta di lucro”
, sul fatto che
“diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di primo grado, la prognosi”
sarebbe positiva e sul fatto che
“la Corte avrebbe”
dovuto
“ammettere in concreto l'attenuante del sincero pentimento”
.
Le considerazioni del ricorrente sulla lievità della colpa appaiono del tutto fuori luogo, già solo per i quantitativi di cocaina trasportati e importati in Svizzera. Ogni ulteriore considerazione al riguardo appare superflua, ritenuto per altro che RI 5 nulla dice sulle argomentazioni con le quali la prima Corte ha ritenuto grave la sua colpa.
La Corte d'assise ha, d'altro canto, ritenuto la prognosi negativa, già per il solo fatto che – dopo un periodo di assenza
“impostogli”
dalla fidanzata – è ricaduto nel medesimo ambiente dedito al consumo di cocaina e con le medesime persone, come pure anche per l'assenza di prospettive professionali concrete. Il ricorrente non spende neppure una parola per dimostrare che detto accertamento della Corte sarebbe arbitrario. Di stampo puramente appellatorio il ricorso su questo punto va respinto senza ulteriore disamina. La medesima considerazione va fatta in relazione al sincero pentimento, non riconosciuto dalla prima Corte. Non si vede peraltro che relazione possa esserci tra il sincero pentimento e le
“sofferenze di RI 5 al cospetto della fidanzata e della famiglia”
(cfr. ricorso, pag. 7 verso il basso).
7.4.
Il ricorso di RI 5, nella limitata misura in cui è ricevibile, si rivela dunque infondato in ogni sua argomentazione e deve essere respinto.
Si rileva, per finire, che la richiesta tendente a confermare il beneficio dell'assistenza giudiziaria e del gratuito patrocinio non è di competenza di questa Corte, quanto piuttosto del GIAR (cfr. art. 56bis CPP e 26 della Legge sul patrocinio d'ufficio e l'assistenza giudiziaria), a cui d'ufficio viene trasmessa.
VI. Sul ricorso di RI 6
8.
RI 6 sostiene l'arbitrario accertamento dei fatti in relazione agli almeno 400 gr di cocaina che la Corte d'assise gli imputa essere strati tenuti in deposito nel corso dei mesi di gennaio e febbraio 2008. Contesta inoltre la violazione dell'art. 50 CP per carente motivazione della sentenza nella commisurazione della pena e l'errata applicazione degli art. 47 e 48 CP.
8.1.
La prima Corte, con riferimento alle dichiarazioni di V., L. e RI 2 ha ritenuto accertato che RI 6 ha tenuto in deposito nella sua abitazione di _ , nel corso dei mesi di gennaio e febbraio 2008, almeno 400 gr di cocaina della V.. Il ricorrente contesta tale accertamento siccome arbitrario. Egli non avrebbe, a suo dire, mai posseduto lo stupefacente in questione. Dagli atti emergerebbe semmai che la cocaina si è trovata nella casa dove lui abitava insieme a V. e L. (ricorso, pag. 14 verso il basso). Questi ultimi utilizzavano, sempre a suo dire,
“a proprio piacimento
la sua casa, al punto che si ritenevano liberi di lasciarvi lo stupefacente, senza nemmeno”
che lui
“ne fosse a conoscenza”
(ricorso, pag. 15 verso l'alto). L'unica conclusione che si potrebbe trarre dai verbali di V., L. e RI 2 sarebbe che i primi due siano stati gli unici a possedere lo stupefacente in questione.
Il ricorso é fondato sostanzialmente sull'esame linguistico della verbalizzazione delle deposizioni, dalle quali emergerebbe che la cocaina in questione è stata lasciata
“nella casa/appartamento di RI 6”
o
“da RI 6”
e non
“a RI 6”
da tenere in custodia. In vero l'esame attento delle verbalizzazioni menzionate dalla Corte d'assise (verb. MP V. 29.12.2008 pag. 3; MP L. 1.10.2008 pag. 2; verb. dib. RI 2 pag. 16), permette di dedurre, senza arbitrio di sorta, che la cocaina è stata lasciata in custodia ad RI 6. Molto significativa in tal senso è la dichiarazione resa nell'interrogatorio di polizia da L. (verb. PS 30.9.2008 pag. 5 verso il basso), per altro prospettata a RI 6 in sede di dibattimento (verb. dib. 16 verso il basso), nella quale L. ha attestato che la cocaina è stata lasciata
“in custodia a Tonino”
. Del resto il ricorrente ha anche ammesso di essere stato a conoscenza che V., L. e RI 2 erano andati a _
“per prendere un chilo di cocaina”
e che di ritorno da quel viaggio
“hanno quindi raggiunto casa”
sua
“a _ dove hanno pesato lo stupefacente”
(verb. MP RI 6 13.1.2009 pag. 6 verso l'alto). Non risulta che RI 6, dopo tale fatto, abbia preso provvedimenti nei confronti dei suoi ospiti. Essi sono anzi rimasti in casa sua per altri 10-15 giorni (verb. MP RI 6 13.1.2009 pag. 6 verso il mezzo), godendo di
“un'assoluta libertà di movimento”
e
“utilizzando l'immobile come se fosse di loro proprietà”
, lasciandovi
“ciò che volevano a propria discrezione”
(ricorso, pag. 14 verso il mezzo). A motivo della conoscenza che il ricorrente aveva dei traffici degli ospiti e dell'episodio della pesa dello stupefacente in casa sua – testé menzionato – tollerato senza provvedimenti da parte sua, il fatto che il Procuratore pubblico e, di conseguenza, la Corte abbiano ritenuto (solo) un deposito di almeno 400 gr appare finanche benevolo nei suoi confronti. Il ricorso, su questo punto, è palesemente infondato e va dunque respinto.
8.2.
Secondo il ricorrente, la decisione della Corte d'assise in relazione alla commisurazione della pena sarebbe
“frutto di un'erronea applicazione dell'art. 50 CP”
, dovrebbe pertanto
“essere annullata”
e l'incarto rinviato
“al giudice di prime cure affinché riformuli un nuovo giudizio nel rispetto della legge”
(ricorso, pag. 5 verso il mezzo). La Corte d'assise avrebbe, a suo dire,
“formulato il proprio convincimento con approssimazione insostenibile, senza lasciare traccia del proprio iter decisionale”
; mancherebbe
“un riferimento numerico”
al peso attribuito alle singole infrazioni (ricorso, pag. 4 dal mezzo verso il basso). A torto.
La motivazione in relazione alla commisurazione della pena appare sufficientemente chiara e lineare, permettendo di seguire il ragionamento della Corte d'assise, ritenuto comunque che quest'ultima non era tenuta ad esprimere in termini numerici l'incidenza delle diverse imputazioni. Il ricorso cade quindi nuovamente nel vuoto.
8.3.
Il ricorrente, con riferimento ad un
“frammento”
della sentenza impugnata (cfr. ricorso, 5 in basso e pag. 6 verso l'alto), sostiene poi che la prima Corte, nell'ambito delle commisurazione della pena, avrebbe giudicato negativamente la circostanza che egli
“una volta scarcerato, non abbia postulato di essere messo in anticipata espiazione della pena”
. Così facendo, la Corte d'assise avrebbe, a suo dire, violato l'art. 47 CP. La censura appare decisamente fuori luogo e dimostra una palese mancata comprensione della sentenza di prima sede. Giova ricordare che la Corte ha invero ricordato a RI 6 che la sua colpa era troppo grave per consentire la pronuncia di una pena entro i limiti richiesti dalla difesa e che delinquere comporta una punizione, come pure che sapeva, al momento in cui è stato posto in libertà provvisoria (senza aver postulato di essere posto in anticipata espiazione di pena) che presto sarebbe comunque andato a processo e che, quindi, presto sarebbe stato chiamato a rendere conto dei suoi atti alla giustizia, che non avrebbe certo potuto esimersi dal punirlo. La prima Corte ha pertanto concluso che RI 6
“ha preferito così, ma oggi c'è un prezzo da pagare”
, il suo reinserimento non essendo
“per altro pregiudicato, vista la precaria situazione professionale”
(cfr. sentenza impugnata, pag. 117). La Corte d'assise, con i riferimenti qui contestati dal ricorrente, non ha dunque inteso aggravare la colpa di RI 6, ma semplicemente spiegare perché non era possibile tener conto di effetti e conseguenze della libertà provvisoria – si noti che la difesa nella sua arringa aveva tra l'altro menzionato l'esistenza di un contratto di lavoro, il comportamento tenuto dopo la scarcerazione e l'effetto della pena su RI 6 (cfr. verb. dib. pag. 36 e sentenza pag. 21) – per pronunciare una pena nei limiti richiesti dalla difesa e meglio la rinuncia
“alla revoca della condizionale relativa alla precedente pena nonché la sospensione condizionale parziale della pena inflitta in questo procedimento”
.
8.4.
Il ricorrente si duole infine del fatto che la Corte d'assise non gli abbia riconosciuto le circostanze attenuanti a norma dell'art. 48 lett. a cifra 2 CP per le imputazioni relative all'infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti di cui ai dispositivi n. 6.1.5 (trasporto da _ verso il Ticino e importazione in Svizzera di 1,6 kg di cocaina) e 6.1.6 (possesso di 923,78 gr di cocaina sottratta presso l'esercizio pubblico Al Dosso).
Secondo la disposizione menzionata, il giudice attenua la pena se l'autore ha agito in stato di grave angustia. Questa circostanza si realizza quando l'autore è spinto a trasgredire la legge da una situazione prossima allo stato di necessità, vale a dire sotto l'impulso di un'angustia particolarmente grave, che lo induce a ritenere che la commissione dell'infrazione sia la sola via di uscita. Inoltre, il beneficio di questa circostanza attenuante, può essere accordato solo se l'autore ha rispettato una certa proporzionalità tra i motivi che lo hanno spinto ad agire e l'importanza del bene leso. Ciò rende, in definitiva, assai raro il riconoscimento di questa attenuante (
Pellet
, in Commentaire Romand, Basilea 2009, n. 19 ad art. 48 CP).
Nel caso in esame siamo ben lontani dallo stato di necessità. I timori per le ritorsioni nei suoi confronti, da parte dei suoi fornitori di cocaina, per un debito di fr. 15'000.–, la mancanza di un posto di lavoro e la sua tossicodipendenza non possono certo giustificare il viaggio a _ per trasportare e importare in Ticino 1,6 kg di cocaina. Quanto al furto e al possesso di 923,78 gr di cocaina, a ragione la prima Corte ha evidenziato che RI 6 sapeva a chi rubava, ossia ad una banda di albanesi che aveva già dimostrato di sapersi muovere con disinvoltura nella criminalità; sapeva quindi che con il suo gesto avrebbe scatenato – come poi effettivamente successo – la reazione dei commercianti. Nonostante la pressione di costoro egli ha tuttavia resistito, negando il possesso della sostanza e solo dopo l'arresto ha rivelato agli agenti il nascondiglio della droga. Pretendere, in simili circostanze, lo stato di grave angustia e il riconoscimento di una riduzione di pena, non è serio. Ancora una volta, la sentenza, equa nel suo esito, sfugge alla critica ricorsale.
8.5.
Il ricorso di RI 6 si rivela dunque inconsistente in ogni sua argomentazione e deve essere respinto.
VII. Sulle spese, la tassa di giustizia e le ripetibili
9.
Gli oneri del giudizio odierno seguono la soccombenza, totale per RI 1, RI 3, RI 5 e RI 6, parziale per RI 2 e RI 4. Questi ultimi ottengono entrambi una riduzione di tre mesi della pena detentiva. RI 2 chiedeva una riduzione della pena detentiva dai 6 (sei) anni comminati dalla Corte d'assise a 4 (quattro) anni e scende a 5 (cinque) anni e 9 (nove) mesi. Si giustifica di porre a suo carico 14/15 della tassa di giustizia e delle spese, mentre 1/15 va a carico dello Stato. RI 4 che chiedeva una riduzione della pena, senza quantificarla, passa dai 3 (tre) anni e 6 (sei) mesi a 3 (tre) anni e 3 (tre) mesi. Si giustifica, nel suo caso, di porre a suo carico 9/10 della tassa di giustizia e delle spese, mentre 1/10 va a carico dello Stato. Essendo RI 2 e RI 4 comunque ampiamente soccombenti rispetto alle richieste ricorsali, non si giustifica l'attribuzione di ripetibili. Il dispositivo sugli oneri di prima sede (n. 9) può rimanere invariato, la riduzione di pena non incidendo apprezzabilmente sull'ammontare della tassa di giustizia né sulle spese. | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,009 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
a960fb30-5f2c-51ae-a427-b0f229a6fc6d | in fatto ed in diritto
che a seguito di una segnalazione _ da parte del Pronto soccorso dell’Ospedale _ di _, in relazione ad una lite domestica avvenuta a _ il _ ai danni di _, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale a carico di IS 1
sfociato nel decreto di accusa 4.11.2013 mediante il quale il procuratore pubblico lo ha posto in stato di accusa dinanzi alla Pretura penale siccome ritenuto colpevole di lesioni semplici giusta l’art. 123 cifra 2 cpv. 3 CP "
per avere, il _, a _, presso il proprio domicilio, intenzionalmente cagionato un danno al corpo di _, sua coniuge, e meglio, per averla, a seguito di una discussione verbale, afferrata al braccio destro, eseguendo una torsione dell’arto, provocandole così le lesioni menzionate nel certificato medico di data _ del Pronto soccorso dell’Ospedale _ di _ (...)
" e di danneggiamento giusta l’art. 144 cpv. 1 CP "
per avere, nelle medesime circostanze di tempo e di fatto di cui sub. 1, distrutto il computer portatile della coniuge _ del valore di CHF 300.00
", ed ha proposto la sua condanna alla pena pecuniaria di venti aliquote giornaliere da CHF 30.-- cadauna, corrispondenti a complessivi CHF 600.--, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, alla multa pari a CHF 50.-- e al pagamento della tassa di giustizia e delle spese, e meglio come descritto nel DA _;
che il suddetto decreto è regolarmente passato in giudicato, non essendo stato impugnato;
che con la presente istanza – trasmessa, per competenza, dal Ministero pubblico a questa Corte – IS 1 chiede di ottenere la trasmissione del summenzionato decreto, di cui egli avrebbe
"
(...) ricevuto recentemente una comunicazione da parte dell’UEF di _
"
(istanza 21/28.08.2014, doc. CRP 1.a);
che, come esposto in entrata, il procuratore pubblico non ha formulato particolari informazioni in merito;
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare la vittima al procedimento penale sfociato nel DA _
,
nel frattempo passato in giudicato, essendo il qui istante stato parte (in qualità di imputato) al medesimo;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di imputato) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994, p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, del decreto di accusa richiesto, poiché l’ha interessato personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che egli sostiene di esserne stato informato dall’UEF di _;
che non è dunque da escludere a priori che questa circostanza sia in connessione con la multa inflittagli e/o con la tassa di giustizia e spese accollatigli mediante il decreto di accusa in questione;
che di conseguenza il DA _
richiesto
viene trasmesso, in copia, al qui istante unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo il qui istante già stato parte al procedimento penale nel frattempo archiviato. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,014 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
a97d4a07-2086-53d1-8ac6-a6f4c1f0bce7 | in fatto: A.
Con sentenza del 16 dicembre 2004 la Corte delle assise criminali in Locarno ha riconosciuto _ (detto Mo_) _ autore colpevole di infrazione aggravata e di contravvenzione alla legge federale sugli stupefacenti. Essa ha accertato che fra l'agosto del 2002 e il luglio del 2003 l'imputato aveva ripetutamente detenuto almeno 2550 g complessivi di cocaina acquistati a credito da vari spacciatori, oltre 100 g di cocaina comperati da tale _ (_) _, di cui 600 g trasportati a _, 35 g offerti a consumatori locali, 100 g intermediati tra il fratello _ e _ (detto _) _ e una quantità imprecisata, ma almeno 1815 g, venduti a tossicodipendenti del , il tutto sotto forma di ovuli (con un grado di purezza indeterminato) da circa 10 g l'uno, a un prezzo compreso tra fr. 80.– e fr. 110.– il grammo.
La Corte ha accertato inoltre che tra il giugno del 2002 e l'agosto del 2003, agendo in correità con _, l'imputato aveva ripetutamente venduto a tossicodipendenti locali 110 g di cocaina complessivi (con un grado di purezza indeterminato), sempre sotto forma di ovuli da 10 g l'uno e sempre a un prezzo variante da fr. 80.– a fr. 110.– il grammo, stupefacente che _ si era procurato a credito dallo spacciatore _. La Corte ha accertato infine che tra l'ottobre del 2002 e il luglio del 2003, ma soprattutto nel 2003, l'imputato aveva consumato un'imprecisata quantità di cocaina (almeno 20 g) e di marijuana. In applicazione della pena, la Corte ha condannato _ a 3 anni e 9 mesi di reclusione (computato il carcere preventivo sofferto) e all'espulsione – effettiva – dalla Svizzera per cinque anni.
B.
Contro la sentenza appena citata _ ha inoltrato il 17 dicembre 2004 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nella motivazione scritta presentata il 2 febbraio successivo egli chiede che si accerti un ridimensionamento delle quantità di cocaina trattata e spacciata, che gli si riduca la pena principale, che si rinunci all'espulsione, rispettivamente che se ne riduca la durata e che la si sospenda condizionalmente. Il ricorso non ha formato oggetto di intimazione. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione è un rimedio di mero diritto (art. 288 lett. a e b CPP). L'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono sindacabili unicamente qualora la sentenza impugnata denoti estremi di arbitrio (art. 288 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia manchevole, discutibile o finanche erroneo, bensì apertamente insostenibile, destituito di fondamento serio e oggettivo, in aperto contrasto con gli atti (DTF 129 I 173 consid. 3 pag. 178 con richiami) o basato unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF 118 Ia 28 consid. 2b pag. 30, 112 Ia 369 consid. 3 pag. 371). Per motivare una censura di arbitrio non basta dunque criticare la sentenza impugnata né contrapporle una propria versione dell'accaduto, per quanto preferibile essa appaia, ma occorre spiegare perché un determinato accertamento dei fatti o una determinata valutazione delle prove siano viziati da errore qualificato. Secondo giurisprudenza, inoltre, per essere annullata una sentenza dev'essere arbitraria anche nel risultato, non solo nella motivazione (DTF 129 I 173 consid. 3 a pag. 178 con rinvii).
2.
Il ricorrente esordisce con una serie di premesse generali riferite alle imputazioni contenute nell'atto di accusa, alla quantità di droga acquistata, venduta e trasportata (al massimo 2550 g di cocaina accertati nel corso del dibattimento), alla sua età al momento dei fatti, alla sua attiva collaborazione prestata durante l'inchiesta, al modo in cui egli intende censurare la sentenza impugnata, al periodo che a suo parere entra in considerazione per definire le imputazioni a suo carico (ad esclusione in particolare dei mesi in cui egli era assente poiché partito per ), alle ragioni che lo avevano spinto a tale rientro in patria e – infine – ai motivi che escluderebbero il suo coinvolgimento nella fornitura di 880 g di cocaina da parte di tale _ (cioè la sua assenza dalla Svizzera al momento della consegna di quello stupefacente a _). L'esposto si esaurisce però in precisazioni e intendimenti non seguiti da sostanziate censure di arbitrio (termine nemmeno invocato dal ricorrente) dirette contro un determinato accertamento dei fatti e, men che meno, contro la motivazione posta di volta in volta dalla prima Corte a fondamento del proprio convincimento in merito al coinvolgimento dell'accusato in buona parte delle fattispecie indicate nell'atto di accusa. Puramente appellatorio, al proposito il ricorso per cassazione denota tutta la sua inammissibilità.
3.
Premesso che, secondo l'atto di accusa riprodotto nella sentenza, in concreto sarebbero intervenuti acquisti per un totale di 4190 g di cocaina, di cui 65 g offerti e 85 g consegnati, il ricorrente sostiene che non tutto può essergli ascritto, nel senso che non gli possono essere addebitati gli acquisti da tale _ e _ (_) _. La sua posizione andrebbe perciò riveduta sulla base delle quantità di droga da lui ammesse, fondandosi sullo schema a pag. 6 del ricorso in cui figurano gli acquisti, le vendite, i trasporti di cocaina e le persone coinvolte. Ora, nella misura in cui pretende di non avere acquistato droga da _ e da _ _, il ricorrente allega una tesi inammissibile. Egli non tenta nemmeno di spiegare, in effetti, perché la Corte sarebbe caduta in arbitrio rimproverandogli di avere trafficato, insieme con il fratello _ e _ (detto _), almeno 450 g degli 850 g di cocaina forniti la prima volta da _ (sentenza, pag. 19 a 21), come pure accertando un suo coinvolgimento nella fornitura di circa 100 g di droga da parte di _ (sentenza, pag. 22 a 24). Il ricorso si rivela inammissibile anche laddove il ricorrente propone un proprio conteggio in merito alle quantità di cocaina da lui trattate (pag. 6), ove appena si consideri che egli non spende una parola per dimostrare come mai la Corte sarebbe trascesa in arbitrio accertando un suo maggiore coinvolgimento al riguardo (sentenza, pag. 5).
4.
Secondo il ricorrente, contrariamente a quanto reputa la Corte di assise, non sarebbe emersa nemmeno una prova tangibile di un sodalizio con il fratello _. Egli ricorda di avere avere spiegato come sia iniziata la sua attività illecita e ripete che nessun elemento conforta l'opinione della Corte, l'istruttoria avendo appurato bensì che entrambi trafficavano cocaina, ma non che esistesse una qualsivoglia organizzazione comune. Essi non vivevano insieme e operavano in modo indipendente l'uno dall'altro, la sua funzione essendo solo quella di rifornirsi dagli spacciatori _ e _. Nemmeno può essere condiviso, per il ricorrente, l'accertamento secondo cui egli svolgeva un ruolo centrale, dall'istruttoria essendo emerso addirittura che a un certo momento _ comperava direttamente da _. Anche i suoi clienti erano limitati, né egli ha acquistato droga in precedenza da _. La testimonianza di _ poco gioverebbe, avendo questi ammesso di avere riferito agli inquirenti sul preteso sodalizio tra i due basandosi su deduzioni. Del resto, mentre egli si è costituito alla polizia, il fratello _ è rimasto a . Quanto figura nella sentenza impugnata non corrisponderebbe neppure a quanto ha testimoniato lo stesso _, il quale per finire l'ha scagionato. Egli ha perciò acquistato la merce da sé solo e da sé solo l'ha rivenduta. Quanto affermato da _ non basta per ritenere provato un rapporto di correità, ove si consideri anche la riduzione di pena di cui questi ha potuto beneficiare, né il preteso sodalizio può essere desunto da altre testimonianze.
Così com'è formulato, il ricorso è di nuovo inammissibile. Non solo il ricorrente non invoca arbitrio di sorta, ma nemmeno pretende che la Corte di assise si sia sospinta in un errore di valutazione qualificato accertando un consorzio dedito al traffico di cocaina formato da lui e il fratello. Per di più, egli non si confronta con le diffuse motivazioni che hanno indotto la Corte a concludere come, nonostante qualche debole e maldestro tentativo di ritrattazione o di precisazione, le rivelazioni di _ (in particolare), _, _, _ e _ consentano di accertare oltre ogni ragionevole dubbio una comunità d'azione tra lui e il fratello, una specie di sodalizio, un punto di riferimento per i fornitori e per gli acquirenti della droga, i quali potevano rivolgersi all'uno quando non era presente l'altro (sentenza, pag. 11 a 15). Si rammenti che per criticare con successo gli accertamenti di una Corte di merito non basta allegare una propria versione dei fatti o una personale valutazione delle prove, ma occorre illustrare perché il singolo accertamento o la singola valutazione del materiale probatorio sarebbero arbitrari, ossia manifestamente insostenibili. E non basta nemmeno dolersi di arbitrio nella motivazione, ma occorre dimostrare arbitrio anche nel risultato (sopra, consid. 1). Il ricorso in esame è lungi dall'adempiere tali requisiti.
5.
Richiamandosi alle varie imputazioni contenute nell'atto di accusa, il ricorrente fa valere che le quantità di droga da lui riconosciute corrispondono sostanzialmente alle risultanze istruttorie e alle versioni degli altri imputati. Ciò vale anzitutto per la consegna dello stupefacente, in particolare per i 300 g di cocaina acquistati da _, per i 700 g in ovuli comperati da _ in tre occasioni (e non in quattro, come asserisce il Procuratore pubblico) e per gli ulteriori 130-140 g venduti. Quanto al terzo viaggio (300 g di cocaina), esso non può essergli addebitato, trovandosi egli a quel momento a . Nemmeno può essergli rimproverato di avere acquistato o venduto in totale 1730 g di cocaina, avendo egli riconosciuto unicamente di avere partecipato a tre forniture, e non alla quarta, del luglio del 2003 (800 g di cocaina), poiché assente all'estero. Inoltre la merce non sarebbe stata consegnata a lui, ma al fratello e a _ (_). Il ricorrente ammette invece la seconda fornitura (circa 500 g) e la terza (300 g), ordinata però e ritirata dal fratello, onde una sua responsabilità limitata a 130-140 g. Per quel che è del trasporto, non gli possono essere imputati più di 700 g (in luogo di 1730 g), l'altro trasporto di 700 g riferendosi a merce del fratello.
Ancora una volta il ricorso non riesce a varcare la soglia dell'ammissibilità. La Corte di assise ha indicato diffusamente sulla base di quali considerazioni essa è giunta a stabilire in circa 1730 g la quantità di cocaina presa in consegna, detenuta, trasportata e rivenduta dal ricorrente grazie alle quattro forniture eseguite da _, spiegando com'era pervenuta ad accertare in 130 g l'entità della prima consegna, in 300 g (recte: 500) quella della seconda, in 500 g (recte: 300) quella della terza e in 800 g quella dell'ultima, non senza trascurare che in tale occasione il ricorrente ha ritirato solo 700 g, pur partecipando all'intero traffico in società con il fratello, codestinatario della droga (sentenza, pag. 16 a 18). Anziché confrontarsi con tali motivazioni, il ricorrente si esaurisce in un gravame confuso, contraddittorio (la terza consegna di stupefacente, di 300 g, da parte di _ per il tramite del corriere _ indicata a pag. 17 della sentenza impugnata è prima contestata, poi ammessa) ed enunciato per di più come un atto di appello. Il ricorrente si rivolge alla Corte di cassazione e di revisione penale, invero, come se adisse un'autorità di secondo grado munita di pieno potere cognitivo anche nell'accertamento dei fatti e nella valutazione delle prove. Su questo punto il rimedio non è un ricorso per cassazione fondato sul divieto dell'arbitrio. Donde la sua improponibilità.
6.
Il ricorrente rileva altresì che, per quanto riguarda i suoi rapporti con il nominato _, la Corte di assise si è dipartita da un quantitativo di stupefacente pari a 1650 g, suddivisi in due forniture da 850 g e 800 g, addebitandogli la seconda. Egli obietta però di non avere comperato nulla da quel fornitore, tanto più che la seconda consegna è avvenuta nell'agosto del 2003, quando egli si trovava all'estero. _ ha confermato la sua assenza, limitandosi a dichiarare che gli avrebbe presentato _, salvo precisare poi che si trattava di deduzioni sue. Simile testimonianza non può pertanto essere ritenuta attendibile. La stessa Corte ha accertato, del resto, che egli non aveva assistito alla seconda consegna della partita di 800 g di cocaina. Del resto – egli soggiunge – non può essere condivisa nemmeno l'opinione della Corte di assise, che reputa approssimativa la data dell'agosto 2003 riferita da _ alla prima consegna, periodo durante il quale egli si trovava all'estero. Quanto alla seconda, egli si trovava pure all'estero.
L'argomentazione appena riassunta sfugge ulteriormente a qualsiasi esame. A prescindere dal fatto che l'interessato sembra adombrare finanche una propria responsabilità in una consegna di droga che la Corte di assise non gli addebita (quella di 800 g intervenuta tra la fine di agosto e l'inizio di settembre del 2003, quando l'imputato si trovava a : sentenza, pag. 21), il ricorrente non sostanzia alcun arbitrio. Anzi, egli non cerca nemmeno di spiegare perché la Corte avrebbe tratto conclusioni insostenibili ritenendo che, quantunque non abbia preso in consegna l'intera partita di 850 g di cocaina fornita da _ la prima volta, egli ne abbia nondimeno venduto insieme con il fratello e _ almeno 450 g, come pure ritenendo che la data indicata da _ per quanto riguarda tale consegna (agosto del 2003) sia frutto di approssimazione, altrimenti il teste non avrebbe potuto descrivere in modo tanto logico e puntuale il ruolo dell'imputato nella fattispecie. D'alto canto, sempre secondo la Corte, _ non ha coinvolto il ricorrente nell'intera operazione, riconoscendo che parte della droga fornita da _ la prima volta è stata venduta quando l'imputato si trovava effettivamente a . Inoltre l'accusato non appariva credibile, avendo egli persino negato di conoscere _, a dispetto di quanto dichiarato con dovizia di particolari da _, suo amico fraterno (sentenza, loc. cit.). Perché anche queste riflessioni sarebbero arbitrarie il ricorrente non spiega.
7.
Afferma dipoi il ricorrente che il traffico messo in atto da _ (_) _ riguardava unicamente il fratello, come hanno dichiarato _ (compagna di _) nel suo interrogatorio del 23 aprile 2004 e _ in aula. Al riguardo non vi sarebbe perciò nessuna prova né indizio a suo carico. Ancora una volta il ricorrente sorvola del tutto i motivi che hanno spinto la Corte a ritenerlo coinvolto, unitamente al fratello _, anche in tale traffico (avente per oggetto almeno 100 g di cocaina), sebbene l'amica di _ abbia ammesso di non essere mai stata presente quando questi si incontrava con l'accusato e suo fratello a _ e di avere soltanto dedotto che il principale referente dell'amico fosse il fratello dell'imputato. Giacché le precisazioni della testimone – ha rilevato la Corte – consentivano unicamente di propendere per un ruolo minore del ricorrente rispetto al fratello nell'operazione, come per altro aveva riferito _ agli inquirenti (sentenza, pag. 22 a 24). Non bastavano tuttavia per scagionalo. Non seguito da una sostanziata censura di arbitrio, il ricorso non consente un esame di merito a va perciò nuovamente dichiarato inammissibile.
8.
Il ricorrente contesta che le quantità di cocaina da lui offerte possano essere stimate in 65 g, non avendo egli proposto nulla a _ ed essendosi limitato a prospettare l'acquisto a _ e _ rispettivamente 10 g e 20 g di cocaina, per un totale di 30 g (e non di 35 g come ha accertato la Corte). Egli non spiega tuttavia come mai i primi giudici siano caduti in arbitrio ritenendo credibile _, che lo accusava di avergli dato circa 5 g di cocaina (sentenza, pag. 24). Anzi, egli nemmeno si duole di arbitrio. Donde l'inammissibilità dell'esposto. Il ricorrente ricorda infine di avere ammesso la vendita a _ di soli 110 g di cocaina, ciò che dovrebbe rafforzare la sua credibilità. Manifestamente appellatoria, l'argomentazione è inadatta a confortare un eventuale arbitrio, per di più neppure invocato, senza dimenticare poi che la pretesa ammissione di colpa in tale contesto non può certo definirsi spontanea, avendo l'accusato negato durante l'inchiesta ogni suo coinvolgimento (sentenza, pag. 25).
9.
In diritto il ricorrente fa valere che le quantità di droga da lui trattate non sono state accertate in modo preciso, ma soltanto approssimativo, e sono avvenute su un arco di tempo limitato rispetto a quanto figura nell'atto di accusa, ovvero dall'agosto del 2002 al marzo del 2004. Ancora una volta egli si esaurisce però nel ribadire la propria versione dei fatti, senza invocare né tanto meno sostanziare arbitro di sorta. Egli soggiunge altresì che la quantità di droga trattata è relativa, determinante essendo la qualità dello stupefacente, che ne determina la pericolosità. Non bastava dunque fondarsi, ai fini del giudizio, sulla conclusione della Corte, che ha ritenuto trattarsi di droga con un grado di purezza del 10%. Egli omette di spiegare nondimeno perché la Corte avrebbe errato dipartendosi dalla giurisprudenza secondo cui, quando il grado di purezza della sostanza non è accertabile poiché lo stupefacente non è stato ritrovato o è stato consumato, è lecito presumere un tasso del 10% (sentenza, pag. 27).
10.
Secondo il ricorrente, nell'accertamento dei fatti e nella valutazione delle prove la Corte di assise ha violato il principio
in dubio pro reo
consacrato dagli art. 9 Cost. e 6 par. 2 CEDU. Quanto alla valutazione delle prove, egli ripete di avere ammesso sin dall'inizio le sue responsabilità, non potendoglisi addebitare circostanze non provate. A suo avviso, in particolare, nulla dimostrerebbe il preteso sodalizio con fratello, sicché i quantitativi di droga che entrano in considerazione possono essere solo quelli da lui riconosciuti e riassunti a pag. 15 del ricorso, escluse le forniture eseguite da _ e da _. Fondato su fatti diversi da quelli accertati senza arbitrio dai primi giudici, il ricorso per cassazione esula manifestamente dal potere cognitivo di questa Corte. Va giudicato pertanto, una volta di più, inammissibile.
11.
Riferendosi alla commisurazione della pena, il ricorrente adduce che bisogna dipartirsi dalla quantità di droga accertata al dibattimento e non dai 4040 g considerati dalla Corte, dovendo tale valore essere ridotto di almeno un quarto. Circa il grado di purezza, esso non può essere generalizzato nel 10% già per il fatto che, trattandosi di ovuli, l'imballaggio pesava più della sostanza. La quantità di 2.5 kg stimata dalla Corte di assise va ridotta dunque a 1 kg al massimo, ciò che consentirebbe di sospendere condizionalmente la pena detentiva. Inoltre – a parere del ricorrente – occorrere considerare il diverso grado di responsabilità dei compartecipi nell'acquisto, nella vendita e nel trasporto della droga, non fare un tutt'uno come l'atto di accusa. Se la sua colpa è grave, non va trascurato che egli ha contestato sin dall'inizio di avere agito come il fratello e che la sua posizione è perciò diversa. La pena, inoltre, va commisurata al prescritto degli art. 63 e 64 CP. Ed egli ha sempre sostenuto di voler cambiare vita, ha ammesso di avere sbagliato, si è costituito. Di ciò la Corte di assise non ha tenuto alcun conto, come non ha apprezzato la collaborzione da egli prestata all'inchiesta. Anzi, gli ha attribuito a torto un ruolo centrale, mentre egli ha svolto una funzione di second'ordine. Il fatto poi di essere tornato in Svizzera è segno univoco di sincero pentimento (art. 64 cpv. 4 CP). Nella sentenza, invece, quanto lui ha detto al dibattimento è stato interpretato solo a suo sfavore, soprattutto per quanto riguarda i 110 g di cocaina, al cui proposito la Corte ha adombrato un atto di convenienza, mentre egli voleva solo regolare la sua posizione. Perché egli non abbia rivelato il nome di _ è comprensibile. Infine va rivalutata la sua incensuratezza e la giovane età al momento dei fatti. Tutto ciò imporrebbe una ragguardevole riduzione di pena, tanto più considerando le condanne inflitte a _ (4 anni e 6 mesi di carcere per 3500 g) e a _ (che ha addirittura evitato il carcere).
Articolato su una commistione inestricabile di fatti e diritto, il ricorso è destinato ancora una volta a un giudizio di inammissibilità. Intanto il ricorrente dà per acquisiti fatti diversi da quelli accertati in modo vincolante dalla Corte di assise (quantità e grado di purezza della droga, comportamento di lui, ruolo da lui avuto nel traffico e così via). Oltre a ciò, egli neppure affronta i motivi che hanno indotto la Corte a definire particolarmente grave il suo grado di colpa per la quantità di droga trafficata (ancorché il criterio abbia valenza relativa), per il lungo periodo in cui egli ha delinquito (sentenza, pag. 28 consid. b), per il movente dimostrato (egoismo e fine di lucro), per gli introiti da egli percepiti, per la scarsa dedizione al lavoro in generale (sentenza, pag. 28 consid. c), per la consapevolezza sugli effetti nefasti della droga e per l'impossibilità di riconoscere una scemata responsabilità (art. 11 CP) in esito al preteso consumo di cocaina (sentenza, pag. 29 consid. d). Tanto meno il ricorrente si confronta con le motivazioni per cui la Corte gli ha negato l'attenuante del sincero pentimento, riducendogli unicamente la pena a norma dell'art. 63 CP per avere egli ammesso di essere tornato in Svizzera spinto principalmente da ragioni economiche e dall'intento di garantire al figlio un futuro in Svizzera, per le serie riserve sulla fondatezza delle giustificazioni addotte per tacere l'identità del sedicente _ e, più in genere, per non avere egli raccontato tutta la verità (sentenza, pag. 29 seg.). E ancor meno il ricorrente illustra perché, irrogandogli una pena di 3 anni e 9 mesi di reclusione alla luce delle circostanze aggravanti e attenuanti considerate, la Corte di assise abbia trascurato criteri rilevanti ai fini della commisurazione della pena, rispettivamente sia caduta in un eccesso o in un abuso del potere d'apprezzamento.
Per quanto attiene alla purezza della droga e alla rilevanza di tale fattore per stimare la quantità di sostanza trattata (in ogni caso tale, nella fattispecie, da connotare una violazione aggravata alla legge federale sugli stupefacenti), giovi ricordare che –come ha rilevato la Corte di assise (sentenza, pag. 28) – l'aspetto soggettivo del reato è più importante della quantità di droga trattata (DTF 121 IV 193). La quantità e la purezza dello stupefacente è di rilievo solo ove l'imputato intendesse trattare droga particolarmente diluita (DTF 121 IV 193, confermata in DTF 122 IV 299 consid. 2c pag. 301; CCRP, sentenza del 22 ottobre 2004 in re S., consid. 5). In concreto il ricorrente neppure accenna a siffatta ipotesi.
12.
Infine il ricorrente insorge contro la pena accessoria dell'espulsione, rilevando di avere avuto modo di ribadire come la sua ferma intenzione sia quella di cambiar vita, anche per la presenza in Svizzera della madre e della sorella con figli. Sta di fatto che una volta di più egli non si confronta per nulla con le argomentazioni che hanno indotto la Corte di assise a ordinare l'espulsione per cinque anni (pag. 31 seg.) e a disporne l'esecuzione effettiva (pag. 33 seg.). Insufficientemente motivato, il ricorso va dichiarato anche al proposito inammissibile.
13.
Dato l'esito dell'impugnazione, formulata invero non senza leggerezza, gli oneri processuali vanno a carico del ricorrente (art. 15 cpv. 1 combinato con l'art. 9 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,005 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
a98f2a2a-70bc-5719-b42a-a781335a5172 | in fatto ed in diritto
1.
A seguito
della querela sporta il 14/15.9.2009 da _, da _, da _, da _ e da _, nella loro qualità rispettivamente di presidente, vice-direttore nonché membri del comitato dell’_ _ _, Sezione _ (di seguito _) nei confronti di PI 1, il quale è stato revisore e membro di tale associazione, per titolo di diffamazione e calunnia [in cui hanno in particolare sostenuto quanto segue: “
da diverso tempo e con diversi interlocutori, anche per iscritto, il revisore PI 1 va dichiarando che il Comitato _ gli impedisce di accedere ai dati contabili, nonostante la corrispondenza e diversi testimoni possano confermare che i conti sono stati sottoposti ai revisori già il 5 maggio 2009. È arrivato addirittura a comunicare al collega dell’Ufficio di revisione (sig. _) che i documenti contabili a loro presentati erano stati falsificati. Si tratta chiaramente di una grave calunnia nei confronti dei membri del Comitato, dato che quest’organo si occupa anche di preparare i rapporti e i conti annuali. (...). Anche dinanzi ai soci riuniti in Assemblea lo scorso mese di maggio, il sig. PI 1 non ha tralasciato di lanciare gravi accuse al Comitato nel suo complesso. Non pago, ha addirittura coinvolto l’Amministrazione centrale dell’_ di _, segnalando una serie di falsità sull’operato della Sezione _ cercando di screditarne i membri del Comitato
” (querela penale 14/15.09.2009, p. 2, AI 1; sentenza 24.11.2010, p. 2, inc. CRP _)], il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale sfociato nel decreto di non luogo a procedere 7.04.2010 (NLP _) emanato dal procuratore pubblico Antonio Perugini.
Con sentenza 24.11.2010 l’allora Camera dei ricorsi penali ha dichiarato irricevibile l’istanza di promozione dell’accusa 22/23.04.2010 formulata da _, da _, da _ e da _ avverso il predetto decreto (inc. CRP _).
2.
Presso la IS 1 è pendente un’azione civile ordinaria promossa da PI 1 (patr. da: avv. _, _) nei confronti dell’_ (patr. da: avv. _, _), tendente ad ottenere la revoca di alcune decisioni prese dall’assemblea dell’_ (inc. _; istanza 20/21.06.2011).
Nel corso dell’udienza preliminare, la parte convenuta ha domandato il richiamo del surriferito incarto penale, ammesso dal pretore Francesco Bertini con ordinanza a verbale del 20.04.2010 (cfr. istanza 20/21.06.2011).
3.
Con la presente istanza il pretore della IS 1 chiede la trasmissione della querela penale
14/15.09.2009, del rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria e dei verbali d’interrogatorio dell’inc. MP _
.
A suffragio della sua domanda ha prodotto uno scritto dell’avv. _ datato 17.06.2011, in cui precisa in particolare quanto segue:
"
La richiesta è motivata dal fatto che, nonostante sia già stata acquisita agli atti la decisione 24 novembre 2010 della CRP, le deposizioni delle parti e dei vari testi assunti in sede penale sono rilevanti ai fini della causa civile di contestazione dell’espulsione dell’attore dall’associazione convenuta
"
(scritto 17.06.2011 annesso all’istanza 20/21.06.2011).
Questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare il procuratore pubblico per presentare eventuali osservazioni, poiché le parti coinvolte nel procedimento civile corrispondono in sostanza a quelle del procedimento penale.
4.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha nella sostanza ripreso il testo del previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
5.
Come ricordato dalla prassi di questa Corte, in caso di richiesta da parte di autorità giudiziarie tendente ad ottenere documenti di un incarto penale, la giurisprudenza ammette la richiesta se: (i) si riferisce a procedimenti ancora pendenti presso l'autorità richiedente; (ii) è compatibile con il codice di rito applicabile a quel procedimento; (iii) è formulata dal titolare dell’autorità giudiziaria richiedente. Inoltre deve essere dato un legame di pertinenza dell’incarto richiamato con quello richiamante.
6.
Nella fattispecie in esame – ritenuti i motivi addotti dal pretore e dall’avv. _ – appare data una connessione tra la causa civile di cui all’incarto _ pendente presso la Pretura istante e il procedimento penale di cui all’inc. MP _, poiché le parti coinvolte sono in sostanza le stesse in entrambe le sedi e i procedimenti riguardano il medesimo complesso dei fatti, ossia l’_ e le problematiche sorte in seno alla stessa con riferimento ai fatti che hanno portato all’espulsione dell’attore nella causa civile.
I documenti richiesti potrebbero dunque avere una loro rilevanza ai fini del giudizio civile.
È quindi adempiuto un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG.
Di conseguenza, per praticità, l’intero incarto penale MP _ – in cui sono contenuti i documenti richiesti, segnatamente la querela
14/15.09.2009 (AI 1), il rapporto d’inchiesta di polizia giudiziaria 17.02.2010 (AI 2) e il verbale d’interrogatorio 25.03.2010 del Ministero pubblico di PI 1 (AI 4)
–
viene trasmesso, in originale, direttamente alla Pretura istante unitamente alla presente decisione, con l’obbligo di restituirlo direttamente al Ministero pubblico a procedimento civile concluso.
7.
L’istanza è accolta ai sensi del precedente considerando. La tassa di giustizia, contenuta al minimo, e le spese sono poste a carico della Pretura istante, che a sua volta le addosserà alle parti in base alle norme del CPC. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,011 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
aa3f72e2-40fa-50e5-98ab-762553495209 | in fatto: A.
Tra il 2 aprile 1998 e il 22 novembre 2000 nella camere poste sopra il bar _ a _ hanno soggiornato non meno di 66 cittadine straniere, per complessivi 3500 pernottamenti. Il bar era gestito di fatto da _. Le ospiti pagavano, per vitto e alloggio, fr. 65.– giornalieri, poi aumentati a fr. 90.–. Nelle camere esse praticavano la prostituzione con clienti incontrati nel bar sottostante.
B.
Il 22 novembre 2000, in seguito alla segnalazione di un avventore al Consiglio di Stato, è stato arrestato _, che il 13 giugno 2001 è stato posto dal Procuratore pubblico in stato di accusa per promovimento della prostituzione, truffa, falsità in documenti e infrazione alla legge federale sul domicilio e la dimora degli stranieri. La prima imputazione si riferiva alle cittadine lettoni _ (la ragazza cui si riferiva la persona che aveva segnalato il caso), _, _ e _, che l'accusato avrebbe sospinto alla prostituzione, ledendone la libertà di azione e mantenendole in quello stato. L'imputazione di truffa riguardava l'assicurazione malattia _, dalla quale l'accusato era riuscito a ottenere rendite giornaliere per incapacità lucrativa sulla base di certificati medici fondati sulle sue stesse dichiarazioni, mentre in realtà egli lavorava al bar _. L'imputazione di falsità in documenti si riconduceva alla compilazione, da parte dell'accusato, di tre falsi bollettini della _ per simulare versamenti di complessivi fr. 10
500.–. L'infrazione alla legge federale sul domicilio e la dimora degli stranieri atteneva, infine, al fatto di avere favorito il soggiorno illegale delle 66 donne alloggiate sopra il bar _ e, in ogni modo, al fatto di avere ospitato _ per oltre 3 mesi consecutivi e/o oltre 6 mesi l'anno.
C.
Con sentenza del 20 agosto 2001 il presidente della Corte delle assise correzionali di _ ha prosciolto _ dall'accusa di promovimento della prostituzione, truffa e falsità in documenti, dichiarandolo colpevole di infrazione alla legge federale sul domicilio e la dimora degli stranieri per avere favorito, dando alloggio, il soggiorno in Svizzera di _ tra il novembre del 1999 e il novembre del 2000, eccedendo di una trentina di giorni il limite consentito di sei mesi annui. Ciò posto, il presidente della Corte ha condannato _ a 20 giorni di detenzione (computato il carcere preventivo sofferto), da espiare siccome recidivo, senza revocare tuttavia la sospensione condizionale a un'espulsione che l'imputato si era visto infliggere dalla Corte delle assise criminali in Lugano il 10 novembre 1995. Alle richieste pecuniarie di _, costituitasi parte civile, il presidente della Corte ha rifiutato di dar luogo.
D.
Contro la sentenza citata hanno introdotto una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale sia il Procuratore pubblico, il 21 agosto 2001, sia _, il 23 agosto 2001. Nelle motivazioni scritte del 1° ottobre successivo essi hanno chiesto:
– il Procuratore pubblico: la condanna di _ a 22 mesi di detenzione (computato il carcere preventivo sofferto), a una multa di fr. 5000.– e a 5 anni di espulsione, sospesi condizionalmente con un periodo di prova di 5 anni, per promovimento della prostituzione, truffa e infrazione alla legge federale sul domicilio e la dimora degli stranieri, rispettivamente – ove ciò non fosse possibile – il rinvio degli atti a un'altra Corte di assise;
– _: la condanna di _ a una pena privativa della libertà per promovimento della prostituzione, al pagamento di fr. 85
000.– con accessori per torto morale e di fr. 3000.– per mancato guadagno.
Nelle sue osservazioni del 26 ottobre 2001 _ ha proposto di respingere i ricorsi. _ ha postulato da parte sua, il 25 ottobre 2001, l'accoglimento del ricorso inoltrato dl Procuratore pubblico.
E.
Con sentenza del 26 novembre 2003 questa Corte ha respinto in quanto ammissibile il ricorso per cassazione del Procuratore pubblico e ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione di _.
F.
Il Procuratore pubblico ha impugnato la sentenza predetta mediante ricorso per cassazione al Tribunale federale. Con sentenza del 21 luglio 2004 quest'ultimo ha parzialmente accolto il ricorso nella misura in cui era ammissibile, ha annullato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa all'autorità cantonale per nuovo giudizio (sentenza 6S.17/2004). | Considerando
In diritto: 1.
Se accoglie un ricorso per cassazione per quanto riguarda l'azione penale, il Tribunale federale annulla la decisione impugnata e rinvia la causa all'autorità cantonale (art. 277
ter
cpv. 1 PP). Questa deve porre a fondamento della sua decisione i considerandi di diritto di tale sentenza (DTF 123 IV 1 consid. 1 pag. 3), limitandosi a riesaminare i punti che devono essere oggetto della nuova decisione in base ai considerandi del Tribunale federale. I punti che non sono stati messi in discussione rimangono acquisiti (DTF 121 IV 109 consid. 7 pag. 128 con richiami). Il Tribunale federale ha precisato nondimeno che, nei limiti del divieto della
reformatio
in peius
, la nuova decisione può anche riguardare punti non contestati, sempre che la loro connessione lo esiga (DTF 123 IV consid. 1 pag. 3, 121 IV 109 consid. 7 pag. 126 con rinvii).
2.
Il Tribunale federale ha disposto il rinvio a questa Corte perché statuisca di nuovo sul ricorso del Procuratore pubblico circa l'accusa di promovimento della prostituzione, dalla quale l'imputato era stato prosciolto. Riferendosi art. 195 cpv. 2 CP, che punisce con la reclusione o la multa chiunque, profittando di un rapporto di dipendenza o per trarre un vantaggio patrimoniale, sospinga altri alla prostituzione, esso ha stabilito – diversamente da quanto avevano ritenuto le autorità cantonali – che l'imputato aveva indotto le quattro ragazze al mercimonio (consid. 3.6). A mente del Tribunale federale, in effetti, l'imputato aveva approfittato di un rapporto di dipendenza in danno di _, _ e _ (ma non di _), tanto dal profilo oggettivo quanto dal profilo soggettivo. Onde l'adempimento dell'art. 195 cpv. 2 CP e l'accoglimento del ricorso su questo punto (consid. 3.7.2).
3.
Nell'ambito del ricorso per cassazione il Tribunale federale si è domandato dipoi se, oltre che sospingere le tre donne alla prostituzione profittando di un rapporto di dipendenza, l'imputato abbia agito anche per lucro, ciò che si sarebbe potuto ripercuotere sulla commisurazione della pena (consid. 3.8). Ricordato che il Procuratore pubblico individuava il lucro negli introiti derivanti dalla locazione dei vani destinati all'esercizio della prostituzione, il Tribunale federale ha confermato che il fatto di ricavare guadagni dalla locazione di simili vani non connota già di per sé un fine di lucro (consid. 3.9 e 3.10). Scartata l'opinione estrema, stando alla quale la locazione di tali vani anche a pigioni elevate (ma non di usura: art. 157 CP) non costituisce reato, e ammesso invece il possibile fine di lucro da parte di chi appigiona locali a prezzo “esagerato” (consid. 3.9), il Tribunale federale si è chiesto se il corrispettivo di fr. 65.–/90.– giornalieri pagato dalle prostitute nel caso specifico per vitto e alloggio non fosse esagerato. Pur dando atto che al riguardo il giudice del merito fruisce di ampio apprezzamento, esso ha nondimeno ritenuto il prezzo in questione “molto elevato”, sebbene le autorità cantonali avessero accertato una relazione di per sé non sproporzionata fra tale prezzo e la controprestazione fornita. Alle autorità cantonali esso ha rimproverato nondimeno di avere escluso l'esistenza di una coercizione senza spiegare in che senso il prezzo pagato dalla prostitute per vitto e alloggio fosse proporzionato alla controprestazione offerta. A parere del Tribunale federale, con prezzi compresi tra fr. 1950.– e fr. 2700.– mensili ci si devono aspettare standard alberghieri di livello per lo meno discreto. E siccome tale verifica risulta determinante per sapere se il prezzo pagato da _, _, _ e _ per vitto e alloggio fosse esagerato, e come tale coercitivo nel senso dell'art. 195 cpv. 2 CP, esso ha rinviato gli atti all'autorità cantonale perché accerti la qualità della controprestazione offerta dall'imputato e statuisca di nuovo (consid. 3.10).
Ora, la Corte di cassazione e di revisione penale non può procedere essa medesima ad accertamenti che non si evincono dagli atti (art. 296 cpv. 1 CPP), come in concreto quello sulla proporzionalità fra prestazione e controprestazione in fatto di vitto e alloggio. Certo, il primo giudice non aveva mancato di rilevare che negli ultimi anni si sono moltiplicati in tutto il territorio cantonale esercizi pubblici assimilabili, nella modalità di gestione, al _. Ha soggiunto altresì che tali esercizi, in prevalenza strutture alberghiere non più adatte ai bisogni della normale offerta di alloggi perché antiquate, venivano adibiti alla pratica della prostituzione da gestori spregiudicati (sentenza di assise, pag. 11). In mancanza di riscontri più precisi sul caso specifico del _, ciò non basta tuttavia per trarre conclusioni sul livello qualitativo di vitto e alloggio. Ciò posto, non rimane che ritornare il fascicolo del processo a un'altra Corte delle assise correzionali perché accerti, dopo le necessarie indagini (e interpellando – ove occorra – specialisti nel ramo della ristorazione) quale fosse il rapporto qualità/prezzo, al momento dei fatti, del vitto e dell'alloggio forniti dall'imputato alle ragazze e se tale rapporto qualità/prezzo fosse “esagerato”.
4.
Il Tribunale federale ha respinto il ricorso del Procuratore pubblico nella misura in cui quest'ultimo reputava l'imputato colpevole di promovimento della prostituzione per avere leso la libertà d'azione della quattro donne, sorvegliandole nella loro attività (consid. 4.4 pag. 17 in alto con riferimento all'art. 195 cpv. 3 CP). Nella misura in cui il Procuratore pubblico insorgeva contro il proscioglimento dell'imputato dall'analoga accusa per avere mantenuto le quattro donne nella prostituzione, il ricorso del Procuratore pubblico è stato finanche dichiarato inammissibile (consid. 5.1 e 5.2 riferito all'art. 195 cpv. 4 CP). Tali punti rimangono quindi acquisiti e non vanno rimessi in discussione.
5.
Se ne conclude, seguendo le indicazioni del Tribunale federale, che in quanto ammissibile il ricorso del Procuratore pubblico diretto conto la sentenza di assise dev'essere accolto. Il dispositivo n. 2 della sentenza impugnata che proscioglieva l'imputato dall'accusa di promovimento della prostituzione va quindi modificato nel senso che il ricorrente è riconosciuto autore colpevole di promovimento della prostituzione per avere sospinto _, _ e _ a prostituirsi profittando di un rapporto di dipendenza. Gli atti vanno invece rinviati a una nuova Corte delle assise correzionali affinché – eseguiti i necessari accertamenti – stabilisca se nei confronti di _, _, _ _ il ricorrente si è pure reso colpevole di promovimento della prostituzione per avere sospinto le quattro donne a prostituirsi per trarre vantaggio economico. Il parziale accoglimento del ricorso comporta l'annullamento dei dispositivi n. 3 e 4 della sentenza impugnata sulla pena. La nuova Corte di assise dovrà infatti ricommisurare la pena principale, così come dovrà pronunciarsi sull'espulsione, sulla sua sospensione condizionale e sulla revoca della sospensione condizionale concessa alla precedente espulsione una volta stabilito in quale misura il ricorrente si sia reso colpevole di promovimento della prostituzione giusta l'art. 195 cvp. 2 CP (se per avere soltanto abusato di un rapporto di dipendenza, come ha definitivamente stabilito il Tribunale federale, o per avere anche voluto trarre un vantaggio patrimoniale), considerando in ogni modo la condanna per infrazione alla legge federale sul domicilio e la dimora degli stranieri, passata in giudicato (dispositivo n. 1 della sentenza di assise). L'accoglimento, ancorché parziale, del ricorso del Procuratore pubblico comporta anche l'annullamento del dispositivo n. 5 della sentenza impugnata, che non dà seguito alla pronuncia sulle pretese della parte civile _ (v. art. 272 CPP). Dato che il ricorrente è stato riconosciuto colpevole di promovimento della prostituzione nei confronti di _, almeno per la fattispecie definitivamente decisa dal Tribunale federale, la nuova Corte di assise dovrà statuire anche sulla richiesta di parte civile, senza riguardo al fatto che il ricorso di lei sia stato dichiarato inammissibile. Inevitabile, infine, è l'annullamento del dispositivo n. 6 sulle spese processuali, al cui riguardo la nuova Corte dovrà rideterminarsi.
6.
Rimane da vagliare se il rinvio disposto dal Tribunale federale giovi anche a _, il cui ricorso – come si è appena accennato – era stato dichiarato inammissibile. La risposta è negativa, dato che soltanto il coimputato può automaticamente beneficiare dell'accoglimento per errata applicazione della legge di un ricorso presentato dall'altro imputato (art. 297 CPP). I dispositivi n. 3 e 4 della sentenza del 26 novembre 2003 di questa Corte rimangono perciò invariati. Si aggiunga, ad ogni buon conto, che alla parte civile deriva alcun pregiudizio, dato che potrà far valere i suoi diritti di parte lesa davanti alla nuova Corte di assise, la quale dovrà dar seguito alla presente decisione di rinvio.
7.
Pronunciata la cassazione, lo Stato sopporta le spese posteriori all'atto che l'ha determinata (art. 15 cpv. 2 CPP). Gli oneri processuali conseguenti al parziale accoglimento del ricorso del Procuratore pubblico vanno perciò addebitati allo Stato, che rifonderà ad _ – il quale ha avuto causa vinta per una parte dell'imputazione principale (art. 195 cpv. 3 e 4 CP), come pure per l'imputazione di truffa e infrazione alla legge federale sul domicilio e la dimora degli stranieri – un'indennità di fr. 1500.– per ripetibili ridotte. | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,004 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |
aa51ef7b-7867-546f-95eb-aec2ed6fa10e | in fatto ed in diritto
1.
Presso la IS 1 è pendente una procedura civile nell’ambito della quale _ e _ hanno domandato di impartire a _ e a _ il divieto di appendere dei campanellini agli alberi del giardino di questi ultimi, poiché gli stessi produrrebbero dei rumori molesti (inc. _).
2.
Con la presente istanza il pretore della IS 1 chiede a questa Corte di ammettere il richiamo del rapporto d’intervento di polizia avvenuto il 19.05.2011, alle ore 00:15, presso le abitazioni delle parti, avendo gli agenti potuto costatare i rumori prodotti dai campanellini.
3.
A seguito della richiesta da parte di questa Corte, il 17.06.2011, la stessa ha ricevuto la trasmissione da parte della Polizia cantonale del rapporto di costatazione 7.06.2011. Dal medesimo risulta, in effetti, che in data
19.05.2011, a _, alle ore 00:15, _ ha chiesto l’intervento da parte della Polizia allo scopo di costatare che la famiglia _ non stesse rispettando la decisione emanata dal pretore e dal Comune di _ riguardo all’uso di campanellini all’esterno della loro abitazione, i quali dovrebbero essere esposti soltanto dalle ore 14:00 alle ore 19:00 ed essere al massimo due. La Polizia, quella notte, ha appurato la presenza di sei campanelli che "
(...) creavano disturbo acustico
" (rapporto di costatazione 7.06.2011, p. 1, pratica no. _).
4.
L’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.1.2011, che ha nella sostanza ripreso il testo del previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
".
5.
Come ricordato dalla prassi di questa Corte, in caso di richiesta da parte di autorità giudiziarie tendente ad ottenere documenti di un incarto penale, la giurisprudenza ammette la richiesta se: (i) si riferisce a procedimenti ancora pendenti presso l'autorità richiedente; (ii) è compatibile con il codice di rito applicabile a quel procedimento; (iii) è formulata dal titolare dell’autorità giudiziaria richiedente. Inoltre deve essere dato un legame di pertinenza dell’incarto richiamato con quello richiamante.
6.
Nella fattispecie in esame è certamente data una connessione tra la causa civile di cui all’incarto _
pendente presso la Pretura istante e il rapporto di costatazione 7.06.2011 (pratica no. _)
, poiché quest’ultimo può essere rilevante ai fini del giudizio civile. Ciò emerge chiaramente dalle motivazioni addotte dal pretore e dal contenuto del rapporto in questione. È quindi adempiuto un interesse giuridico legittimo ai sensi dell’art. 62 cpv. 4 LOG.
Di conseguenza il rapporto di costatazione 7.06.2011 (2 pagine) viene trasmesso, in originale, alla Pretura istante unitamente alla presente decisione.
7.
La tassa di giustizia, contenute al minimo, e le spese sono poste a carico della Pretura istante, che a sua volta le addosserà alle parti in base alle norme del CPC. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,011 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
aa7a4c40-3617-5109-8381-7b07dcab738a | in fatto ed in diritto
che a seguito dell’esposto 2/5.04.2013 presentato da IS 1 nei confronti di _ (con la quale ha avuto una relazione) riguardo a presunti fatti avvenuti a _,
il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale
per le ipotesi di reato di vie di fatto, minaccia e violazione di domicilio
(inc. MP _) sfociato nel decreto di non luogo a procedere 8.05.2013 con "
chiusura senza formalità procedurali
", in ragione
del ritiro della querela penale
(NLP _);
che con la presente istanza l’avv. PR 1 chiede, in nome e per conto del suo assistito IS 1, che sia ordinato al Ministero pubblico di trasmettergli copia degli atti istruttori del surriferito procedimento penale in applicazione dell’art. 62 cpv. 4 LOG;
che a sostegno della sua richiesta precisa in particolare che dopo il ritiro della querela l’imputata avrebbe continuato ad importunare il suo patrocinato (mediante telefonate e pedinamenti) e la di lui compagna (che nel frattempo è divenuta sua moglie), e che egli non è più intenzionato a tollerare siffatti atteggiamenti che ritiene opportuno segnalare alle autorità anche con riferimento alla fattispecie di cui alla summenzionata querela (cfr. istanza 18/19.02.2014 e copia procura 21.01.2014 ivi annessa, doc. CRP 1 e doc. CRP 1.a);
che questa Corte non ha ritenuto necessario interpellare il procuratore pubblico, essendo il qui istante stato parte (in qualità di accusatore privato) al medesimo;
che l’art. 62 cpv. 4 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (LOG), in vigore dall’1.01.2011, che ha ripreso il previgente art. 27 CPP TI, con riferimento anche alla giurisprudenza del Tribunale federale (cfr. DTF 110 Ia 83; 95 I 108), stabilisce che: "
Dopo la conclusione del procedimento penale, la Corte dei reclami penali può permettere l’ispezione degli atti di un processo e l’estrazione di copie a chi giustifica un interesse giuridico legittimo che prevale sui diritti personali delle persone implicate nel processo, segnatamente su quelli delle parti, del denunciante, dei testimoni e dei periti; la Corte dei reclami penali fissa le modalità dell’ispezione
";
che nel presente caso, pur essendo stato l’istante parte (in qualità di accusatore privato) nel procedimento nel frattempo terminato, egli deve seguire la procedura prevista dall’art. 62 cpv. 4 LOG e dimostrare un interesse giuridico legittimo;
che,
come ricordano i lavori preparatori, l’art. 27 CPP TI si applicava pure alle richieste di ispezione degli atti presentate dalle parti, dopo che il procedimento era terminato (Messaggio CdS dell’11.03.1987, ad art. 8 p. 10);
che inoltre in base ai successivi lavori preparatori, per le ex parti di un procedimento penale concluso, l’interesse giuridico legittimo era presunto (Rapporto della Commissione speciale dell’8.11.1994 p. 19);
che lo stesso principio vale oggi per l’art. 62 cpv. 4 LOG;
che nella fattispecie in esame – visti i motivi addotti nella presente richiesta – appare pacifico l’interesse giuridico legittimo di IS 1 (rispettivamente del suo patrocinatore) giusta l’art. 62 cpv. 4 LOG ad ottenere la trasmissione, in copia, degli atti istruttori dell’incarto NLP _, poiché il procedimento penale nel frattempo archiviato l’ha interessato personalmente in veste di parte;
che a ciò aggiungasi che il suo patrocinatore necessita della documentazione richiesta, essendo intenzionato a segnalare alle autorità il comportamento assunto dall’imputata, e ciò anche con riferimento alla fattispecie di cui alla querela 2/5.04.2013;
che di conseguenza la documentazione richiesta (gli atti istruttori dell’incarto NLP _) viene trasmessa, in copia, al patrocinatore di IS 1 unitamente alla presente decisione;
che si rinuncia al prelievo di tassa di giustizia e spese, essendo IS 1 già stato parte al procedimento penale nel frattempo archiviato. | Criminal | Criminal Procedure | it | 2,014 | TI_TRAP | TI_TRAP_002 | TI | Ticino |
|
aabff0cd-e3c6-5de0-b1e7-4006477418fc | in fatto: A.
La sera del 21 dicembre 2001 _ e _ si trovavano all'interno del “Grottino _ ” a _, in gruppi separati, per la cena di fine anno con i rispettivi colleghi di lavoro. Per ragioni sue _ ha deciso di lasciare il ristorante ancor prima di iniziare la cena. Mentre stava uscendo, egli ha avuto una discussione con _, che lo ha seguito fuori. La sera stessa _ si è presentato al Pronto soccorso dell'Ospedale _, dove gli sono state diagnosticate una ferita lacero-contusa al labbro superiore sinistro, una contusione allo zigomo sinistro, una contusione alla zona occipitale e dolori al gomito sinistro. Ripresentatosi al nosocomio il giorno seguente, egli è stato ricoverato nel reparto di chirurgia, i sanitari avendogli diagnosticato una commozione cerebrale. L'indomani, 23 dicembre 2001, egli è stato dimesso in buone condizioni generali e locali.
B.
Sullo svolgimento dei fatti gli interessati hanno fornito versioni contrastanti. Nella denuncia del 31 dicembre 2001 sporta per ingiurie, lesioni personali e danneggiamento _ ha affermato di essere stato colpito al volto da _ mentre si trovava nel vestibolo all'entrata del “Grottino _ ” e di essere caduto indietro a seguito del colpo infertogli. _ ha sostenuto, dal canto suo, che nell'intento di seguirlo il querelante sarebbe inciampato e caduto in avanti.
C.
Con decreto di accusa del 17 giugno 2002 il Procuratore pubblico ha riconosciuto _ autore colpevole di lesioni semplici e danneggiamento per avere intenzionalmente cagionato un danno al corpo di _, colpendolo con un pugno al volto, facendolo cadere per terra, procurandogli le lesioni descritte nei certificati medici agli atti e fratturandogli gli occhiali. Egli ne ha proposto perciò la condanna a una multa di fr. 500.–. Statuendo su opposizione, con sentenza del 23 settembre 2002 il Pretore del Distretto di Bellinzona ha prosciolto l'accusato, non ravvisando una versione dei fatti che si imponesse al di là di ogni ragionevole dubbio.
D.
Contro la sentenza citata _ ha introdotto il 25 settembre 2002 una dichiarazione di ricorso alla Corte di cassazione e di revisione penale. Nei motivi del gravame, presentati il 30 settembre successivo, egli chiede l'integrale conferma dell'atto di accusa, la condanna di _ al pagamento di fr. 2'207.80 in risarcimento del danno, di fr. 1'000.– per torto morale e di fr. 1'000.– per ripetibili. Il ricorso non è stato oggetto di intimazione. | Considerando
in diritto: 1.
Il ricorso per cassazione un rimedio di mero diritto, non destinato a rimettere in causa l'accertamento dei fatti né la valutazione delle prove (art. 288 cpv. 1 lett. a CPP), sindacabili unicamente se il giudizio impugnato denota estremi di arbitrio (art. 288 cpv. 1 lett. c e 295 cpv. 1 CPP). Arbitrario non significa tuttavia discutibile o finanche erroneo, bensì manifestamente insostenibile o in aperto contrasto con gli atti (DTF 127 I 56 consid. 2b, 126 I 170 consid. 3a, 125 I 168 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4a). Per motivare una censura di arbitrio non basta quindi criticare la decisione impugnata, né contrapporre a quest'ultima un propria versione dei fatti, per quanto preferibile essa appaia. Occorre invece spiegare per quale ragione l'accertamento dei fatti e la valutazione delle prove siano manifestamente insostenibili, si trovino in chiaro contrasto con gli atti, contraddicano in modo urtante il sentimento di giustizia ed equità (DTF 125 II 10 consid. 4a, 124 IV 86 consid. 2a, 123 I 12 consid. 4a, 122 I 61 consid. 3a) o poggino unilateralmente su talune prove a esclusione di tutte le altre (DTF118 Ia 28 consid. 2b, 112 Ia 369 consid. 3). Secondo giurisprudenza, inoltre, una sentenza incorre nell'annullamento quando è arbitraria non solo nelle motivazioni, ma anche nel risultato (DTF 125 II 129 consid. 5b, 124 II 166 consid. 2a, 124 I 208 consid. 4a, 122 I 153 consid. 6c).
2.
Nella sentenza di assoluzione il Pretore ha ricordato anzitutto che non vi sono testimoni in grado di raccontare che cosa sia realmente accaduto quella sera all'uscita dell'esercizio pubblico. Egli ha rilevato che in un verbale istruttorio del 6 febbraio 2002 _ aveva dichiarato di avere tentato invano di trattenere _, il quale aveva invece seguìto l'accusato, e di essere poi uscito dal ristorante non vedendolo rientrare, tanto più che aveva udito colpi provenire dal vestibolo. Quest'ultima circostanza era stata confermata anche da _. Il Pretore ha soggiunto che _ aveva riferito altresì di avere trovato _ nel vestibolo del ristorante, oltre la seconda porta, con la bocca sanguinante e in procinto di rialzarsi. Al pubblico dibattimento _ ha confermato la propria deposizione, salvo precisare che quando era uscito dal locale per sincerarsi dell'accaduto aveva trovato _ non nel vestibolo, bensì all'esterno dell'edificio, accasciato e sul punto di rimettersi in piedi. Se non che – ha continuato il Pretore – tale precisazione mal si concilia con la versione dei fatti esposta nella denuncia, ove _ affermava di essere stato colpito alla parte sinistra del volto e di essere caduto all'indietro, battendo la faccia contro un muro e poi la nuca per terra. Secondo il Pretore, se _ ha soccorso il denunciante all'esterno dell'edificio, _ sarebbe dovuto cadere in avanti, oltre la porta del ristorante, e non all'indietro. Per di più, non si poteva affermare con sufficiente certezza che le ferite riportate da _ fossero incompatibili con una caduta verso l'avanti, sicché – per finire – in mancanza di una versione dei fatti che si imponesse al di là di ogni ragionevole dubbio, il primo giudice ha assolto l'imputato.
3.
Il ricorrente invoca i certificati medici agli atti, compatibili a suo parere con la propria versione dei fatti. Egli ricorda l'ostilità del denunciato nei suoi confronti, le occhiatacce e gli sguardi che hanno preceduto la sua uscita dal ristorante, onde le premesse per un alterco che poteva concludersi solo nel modo descritto nella querela, avuto riguardo alla prestanza fisica dell'accusato. Egli rileva inoltre che i rumori uditi da testimoni non sono quelli di una caduta all'esterno dell'esercizio pubblico, che nessuno di costoro si è meravigliato nel constatare che l'accusato lo aveva percosso, tant'è che costui si è poi reso irreperibile, ciò che non è sicuramente segno di innocenza. Il ricorrente soggiunge che il testimone _ ha dato atto di essere stato interpellato dal denunciato poco prima del dibattimento, a dimostrazione che quegli non si sentiva tranquillo. Il ricorrente fa valere poi che la sua reazione è stata istintiva, nel senso che non ha avuto né il modo né il tempo per architettare una falsa accusa nei confronti dell'accusato, che il suo stato fisico era normale, dato che a tavola non aveva nemmeno terminato il primo bicchiere. L'imputato invece aveva già bevuto l'aperitivo e, trascorsa la serata con gli amici, aveva ormai deciso di lasciare il locale. Verosimilmente il suo stato psicofisico ha avuto perciò un ruolo importante nella fattispecie. Infine il ricorrente torna a descrivere lo svolgimento dei fatti, rimproverando al primo giudice di avere emesso una sentenza affrettata.
4.
Così com'è formulato il ricorso, la natura appellatoria delle censure è palese. A prescindere dalla circostanza che il ricorrente si duole di arbitrio nell'accertamento dei fatti e nella valutazione delle prove solo nell'ingresso del memoriale, quando indica i motivi invocati a sostegno del gravame (pag. 2), l'esposto che segue è lungi dal rispettare le esigenze di per un ricorso per cassazione fondato sul divieto dell'arbitrio. Come appare evidente scorrendo l'esposto dei motivi, il ricorrente si limita a ribadire la propria versione dei fatti, riproponendosi di dimostrare che è possibile valutare altrimenti le risultanze del processo, al punto da far risultare il suo racconto ben più attendibile. Ciò non basta tuttavia per sostanziare una critica di arbitrio. Il ricorrente avrebbe dovuto spiegare non perché l'episodio da egli narrato sia più credibile, coerente e consono al normale andamento delle cose, ma perché il Pretore, giungendo alla conclusione che tale descrizione lasciasse spazio al dubbio, abbia giudicato in modo manifestamente insostenibile, in chiaro contrasto con gli atti, offendendo il senso di giustizia ed equità o considerando unilateralmente talune prove a esclusione di tutte le altre. Certo, la sentenza impugnata può appare opinabile e fors'anche sommaria, ma la sola eventualità che la versione dei fatti allegata dal ricorrente sia preferibile alla valutazione degli indizi data dal Pretore non è sufficiente per connotare arbitrio. Motivato alla stregua di un appello, il ricorso per cassazione deve quindi essere dichiarato inammissibile.
5.
Gli oneri processuali seguono la soccombenza (art. 15 cpv. 1 CPP). | Criminal | Substantive Criminal | it | 2,002 | TI_TRAP | TI_TRAP_001 | TI | Ticino |